Villa Cambiaso n° 65

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RIVISTA ARTE E CULTURA DI SAVONA E FUORI PORTA www.villacambiaso.it

Aut. Trib. di Savona N° 544/03 - Spedizione in A. P. - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 Comma 2 - Direzione Commerciale Savona - Tassa Pagata - Taxe Perçue

vintera@villacambiaso.it

Anno XII - N° 65 - Giugno 2012 - Editore: Museo Cambiaso - Direttore Editoriale e Responsabile: Pio Vintera Redazione: Via Torino, 22R - 17100 Savona - Tel. 349 6863819 - Stampa: Marco Sabatelli Editore - Grafica e Fotografia: Mattia e Veronica Vintera

GRILLO: IL COMICO CHE FA PAURA ALLA SINISTRA DI SAMUELE MONTI

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a politica italiana è così impegnata a difendere i suoi privilegi che non è più in grado da tempo di comprendere le esigenze del Paese. La distanza è ormai abissale: da una parte, la ormai tragica quotidianità: aziende che sono costrette a chiudere o delocalizzare, lavoratori in cassa integrazione, mutui e finanziamenti che non si riescono più a pagare, il prezzo dei carburanti ormai insostenibile, e dall’altra parte una classe dirigente che continua come se niente fosse, a vivere l’Italia “da bere” dei favolosi anni ‘80 ed a suonare la stessa musica come i musicisti del Titanic che affonda: pensioni d’oro, appartamenti di lusso affittati a prezzi stracciati a parenti, amici e grand commis di Stato, rimborsi elettorali da capogiro in mano a tesorieri senza scrupoli che comprano diamanti perché non sanno come spenderli, l’acquisto di 400 nuove auto blu, bloccato in extremis per la protesta del web, il capo della banda municipale di Roma che guadagna come un capo di Stato, e via dicendo, ci hanno scritto dei libri… Da ultimo, la G.d.F. che apprende da una trasmissione televisiva di inchiesta (l’unica rimasta) che una fondazione bancaria tra le pìù importanti d’Italia, amministrata da un ex impiegato dell’ASL e da un capo stazione a riposo, ha dilapidato un patrimonio di 13 mld di euro, in operazioni tanto dissennate che fanno sorgere qualche dubbio. Duccio - “Inca”, Ceramica su Bronzo, 54x130 cm

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Arte

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RICCARDO ROSSI: “DUCCIO” Stilista - Pittore - Grafico - Ceramista - Scultore Mostra a Villa Cambiaso dal 16 al 28 Giugno 2012

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rovare un’altra, persona ricca di intelligenza, di idee, iniziative e professioni diverse, come Riccardo Rossi “Duccio”, noto personaggio monregalese, è difficile. “Duccio”, così lo conoscono, è un pittore, un grafico, ceramista, scultore, è stato sarto, tagliatore, stilista, modellista, ideatore di moda (abiti da sera, da sposa, da gran gala, ecc.) e tante altre attività. Ha un grande interesse, però, per il disegno e per l’arte in genere, il raku, il ferro battuto. Nella pittura, Riccardo Rossi, apre il cuore all’amore per i pennelli; spazia dal realismo, all’irreale, alle figure e personaggi della storia romana, della Divina Commedia, della spiritualità. Nei suoi lavori le emozioni non mancano: dai paesaggi alle marine, dai tramonti ai momenti di burrasca delle acque, dalle maternità alle leggiadre ragazze, con vestiti estrosi, carnevaleschi, legati alla moda sua ex professione-passione. C’è in “Duccio” la grande passione a dipingere come soggetto unico il movimento e il colore dei galli: in volo, in lotta, con aspetti superbi, tranquilli o coloratissimi e per questo conosciuto in Langa come il pittore dei galli.

Conosce bene il disegno, la composizione dei colori, ma scrive anche una favola, raccontata non solo ai bambini di un tempo, ma anche agli adulti di oggi; fiaba che rispecchia una sua lunga e qualificata realtà artistica, legando la ceramica raku con maghi e folletti, dando così origine ad opere significative che fanno riflettere. Forme e suoni nello spazio e nel tempo; visioni e percezioni, immagini e soggetti curiosi e misteriosi. Dipinti comunicativi, che ripercorrono trasversalmente la storia medievale, dove le pennellate sottolineano gli effetti di luce e ne esaltano i colori. Nel percorso artistico di Rossi, troviamo opere figurative, ma anche concettuali, che raccontano la trasformazione del mondo contemporaneo, attraverso lo sguardo. Tra scienza ed arte, la natura ha la prevalenza, supera l’intelletto della ricerca, diventa un momento di passaggio, all’interno del quale riflette e crea le sue opere. Tonalità scure veicolano suggestioni lontane, raccontando un mondo popolato da cose dimenticate. I dipinti di Riccardo Rossi “Duccio”, arrivano quindi da riflessioni; dalle gioie e sofferenze, ma anche dallo

Riccardo Rossi pittore, grafico, ceramista, scultore

Via Roccaforte, 76 12089 Villanova Mondovì (Cn) Tel. (+39) 0174 699 172 Mob. (+39) 338 442 89 24 E-mail riccardo@artemonregalese.it www.artemonregalese.it

spunto delle favole. Interessante quella del ‘L Sërvan, dalla quale ipotizza la nascita della sua arte raku; una favola di altri tempi. Da questa fiaba sarebbero nate l’idea delle artistiche ceramiche raku, le maioliche, le terrecotte e gli stupendi dipinti ad olio. Carlo Gramaglia


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Arte

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Pittura su vetro a rovescio, 42x90 cm

“Metamorfosi 1”

“Maternità 1”

“Metamorfosi 2”

“Maternità 3”

“Maternità 4”

“Maternità 2”

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‘L «SËRVAN» Favola di altri tempi rivista e presentata da Remigio Bertolino

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io nonno visse in terra di Langa, in un periodo di stenti e fatiche quando mia mamma era ancora una bambina piccola. Di quel periodo il ricordo folgorante di una favola: la storia del «sërvan». Curiosa creatura, il «sërvan» era un uomo con sembianze di capro, o meglio di fauno. Inquietante figura notturna, girovagava per boschi e vigne al calar delle tenebre, attirato dalla bellezza di giovani donne dai capelli fluenti... Il suo piacere più grande era introdursi nelle case, di notte, per accarezzare e pettinare nel sonno le ragazze dai capelli lunghi. Veniva tenuto a distanza dalle abitazioni spargendo sulle soglie e sui davanzali del miglio, al quale era insofferente. Solo così veniva respinto nel suo regno. Allora, scorrazzava per boschi e vigne, piangendo, singhiozzando e mugolando tristi nenie. Con questo suo atteggiamento seminava disgrazie e malocchio, alle famiglie e alle loro coltivazioni, che regredivano giorno dopo giorno. Si racconta di uve divorate da germi e muffe, interi filari seccavano in una notte, di malattie inspiegabili e addirittura di lutti nelle famiglie. Pareva non fosse possibile fermare o

contrastare in alcun modo il «sërvan». Qualche cacciatore ci provò, ma furono grandi fiaschi, sconfitte brucianti: la sua velocità era sorprendente. Un vecchio contadino raccontava anche che, per non subire i suoi capricci ed annullare la sua nefasta presenza, si doveva catturare imprigionandolo in una foglia di vite. Cosa non molto semplice, perché tutti lo sentivano girovagare di notte, ma nessuno lo aveva mai visto. E poi come era possibile accartocciarlo in un pàmpino? Un giorno un ometto piccolo piccolo, con grandi baffi e occhietti furbi,

ritornò nella vecchia casa del paese, dalla città, dove aveva lavorato come ceramista in una delle tante fabbriche nate come funghi in quegli anni, dove si facevano piatti, ma anche vassoi a forma di foglia di vite, prodotti, diventati poi di pregio nella tradizione ceramica piemontese. Fu subito soprannominato il «maioliche». Fu lui ad escogitare un originale stratagemma. Con un impasto di argilla, modellato a foglia di vite, ancora molle, si appostò tra la vigna e la casa della sua fidanzata, oggetto di attenzioni da parte del «sërvan». Quatto quatto stette in attesa... Finalmente lo sentì arrivare gemendo e piagnucolando: si sentiva respinto dal miglio sparso attorno alla casa. Il «maioliche», dal nascondiglio, al buio, lanciò l’impasto, e colpì. Un silenzio liberatorio confermò il centro del bersaglio, ma solo al mattino vide lo stampo rimasto nella creta. Il «maioliche» pensò bene di cuocerlo e smaltarlo per conservarne il ricordo. Sommerso da innumerevoli richieste continuò la sua caccia e raccolse molti trofei. Intanto la sua fama di cacciatore di «sërvan» crebbe. Fu così abile che in poco tempo non si sentì più parlare di quelle misteriose creature notturne, incrocio di umano e bestiale. Rimasero i trofei, volti stupiti nel momento della cattura, ceramiche che, cotte e verniciate, venivano esposte nelle case, come scongiuri per i tempi di malocchio... Alcuni esemplari è possibile vederli ancora oggi, da me rivisitati ed esposti alla cantina di Clavesana: volti di fauni imprigionati in una foglia di vite. Duccio


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Maschere e lampade in ceramica raku

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Restauro

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LA Iª CAPPELLETTA OGGI, CON LA “SORPRESA” di Flavia Folco

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vevo raccontato le nove cappellette votive sulla via del Santuario, nel 1985, per il 450° anniversario dell’Apparizione di N. S. di Misericordia, su La Madonna di Savona, edito per la CARISA da Marco Sabatelli. Presentandole, segnalavo la gravità del deterioramento di ognuna e l’urgenza di un intervento di risanamento e restauro. Negli anni mi sono stancata di ripetere “prima che sia troppo tardi”. Oggi torno con il pensiero all’incontro, nell’ottobre 2005, con i ragazzi del Liceo Artistico “A. Martini”, con i loro professori accanto alle autorità convenute, con i tutors del mini-cantiere, Federico Molinari e Alberto Capelli, per festeggiare il restauro dell’affresco di questa I capelletta, L’apparizione di Maria ad Antonio Botta, dipinto dal savonese Lazzaro De Maestri (1840-1910) per le celebrazioni del 1886. Restauro attuato con il diretto coinvolgimento dei liceisti, all’interno della didattica del “fare”: una lodevole, concreta iniziativa sulla quale aveva, in quell’occasione, relazionato l’architetto Rosanna Venturino, responsabile dell’evento sul campo. Con la tecnica dello spuntinato si era privilegiata l’integrazione per facilitare la lettura e la fruibilità del dipinto, in rigore di fedeltà cromatica. Era l’ultima ridipintura (effettuata appunto per la ricorrenza semisecolare del 1886) di cui ci parla il Pongiglione negli anni ‘30, dopo gli interventi –con altri temi– per questa come per gli altari delle altre cappellette: ridipinture succedutesi nel tempo –secondo gli storici Queirolo e Noberasco, e anche secondo il Gaibissi– essendosi completamente perdute le tracce, per le successive disa-

strose esondazioni del torrente Laetus Imber, degli affreschi (peraltro forse non presenti in tutte le cappellette), che G. A. Ratti aveva realizzato in occasione del secondo centenario, nel 1736. Questo affresco l’avevo scoperchiato nel 1985, ricordo, con l’aiuto di due non dimenticati amici dell’amata Società Savonese di Storia Patria, asportando trepidante il pesante cartone che, fissato con grossi chiodi conficcati impietosamente tutt’attorno, nascondeva –da quanti anni?– il dipinto in gravissimo degrado... A distanza di undici anni (aprile 2012) torno ancora nella I cappelletta per la conclusione del tanto atteso restauro totale, iniziato nel settembre dello scorso anno. Responsabile della progettazione e della direzione dell’intervento, l’architetto Rosanna Venturino, con la supervisione delle Soprintendenze coinvolte –architetto Scunza, dottor Bartoletti, dottoressa Bulgarelli– e, per le Opere Sociali, il dottor Claudio Berruti; ha eseguito i lavori l’impresa genovese Aran Progetti. A Rosanna Venturino dobbiamo la rinascita di questa cappelletta, così

come nel 1997 della III, nel 2008 della IV; e cioè delle due più disastrate, insieme a questa I, delle nove erette lungo la via ad Deiparae Templum, quello speciale mini sacromonte in piano: stazioni processionali, soste di preghiere, canti, laudi, meditazioni sui versetti del Salve Regina, apposti in cartigli sugli affreschi degli altari, nei secoli e fino ad oggi. E al suo intuito, curiosità appassionata, all’innata vocazione alla puntigliosa ricerca sugli intonaci, alla scoperta del “come erano” sempre praticata negli anni, dobbiamo infine la “sorpresa”: il ritrovamento di un vano sotto il pavimento di marmette di graniglia (a circa venti centimetri), sì da far presumere l’esistenza di un’altra precedente cappelletta a quattro metri di profondità, e dunque all’altezza del torrente: sommersa, devastata in seguito a una delle tante esondazioni del primo ‘600 che la seppellì fino a due metri, su di essa sarà edificata la nuova. Più di uno gli indizi, emersi nella scrupolosa ricerca sul campo e sui documenti; determinante il ritrovamento –sul muro, lato sinistro dell’altare– di una cornice sagomata rifinita a marmorino, sotto l’altare, al centro, tracce di colori, e,


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scavando il vano, l’antico pavimento in piastrelle di ardesia. In più due fori di buche pontaie a quota di calpestio. E così, con l’autorizzazione a procedere nello scavo, è apparsa una figura femminile –una Madonna?– a braccia aperte, con le mani in atto di implorazione, il volto verso l’alto in scorcio, un poco piegato, abito bianco, mantello rosa sul quale spicca uno scialle giallo sfumato in larghe svolazzanti pieghe. Dai documenti reperiti sappiamo l’anno dell’autorizzazione data dal vescovo per la costruzione –il 1622– ma la cappella era iniziata in precedenza. Di lei e delle altre sei lungo la strada, patrocinatore e finanziatore il notabile genovese Franco Borsotto, lo stesso cui si deve la facciata della Basilica del Santuario, 1609-1611 (le ultime due, più tarde, volute dal marchese Giacomo Filippo Durazzo). Tutte uguali nella forma: sul volume cubico, classico (lato m 3.80, h m 6.60), la cupola emisferica in lorìche di ardesia, quattro pinnacoli sugli spigoli e uno centrale a coronamento. A testimonianza dell’esistenza di quel primo edificio sotto l’attuale, e a conferma, si è lasciato in vista, a metà altezza del lato sinistro della cappelletta, lo spigolo della lunetta della copertura: la prima costruzione, dunque, finiva lì, e sopra si alzava l’emisfera. Per il drastico, complesso restauro sul manufatto, il primo intervento è stato riservato alla demolizione e poi messa in opera del nuovo manto di copertura, sempre in abbadini a squame di ardesia a spacco, con la tecnica dei “setti meridiani sopra la calotta in

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muratura”, già praticata nella III e nella IV. L’esterno della cappelletta oggi si presenta così: le pareti del cubo in avorio-giallo tenero (ritrovato), le lesene angolari in tenue aranciorosato, a ricordare la pietra del Finale, i capitelli d’ordine tuscanico si stagliano chiari e netti negli aggetti delle modanature in marmo, le basi anch’esse in marmo su plinti in pietra serena di Dego, e per la cancellata un tono di verdeazzurro, ritrovato, certamente ottocentesco. L’ i n t e r n o : pareti in avorio-pallido, lesene in grigio-chiaro, l’aggettante trabeazione in grigio, la cupoletta che ieri era in azzurro, oggi è nel ritrovato avorio-caldo. I capitelli, che qui sono corinzi come nella III e nella IV (nelle altre sei sono ionici), tolti gli strati di pitture succedutesi nel tempo, offrono netto l’inta glio del le frastagliate

Restauro

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foglie d’acanto. I colori, dell’esterno e dell’interno, sono tutti a calce e le terre sono naturali. L’altare in muratura, coperto di strati di cemento, è stato descialbato e ha rivelato le forme le modanature e i toni cromatici originari e sotto la nuova mensa in ardesia è stata mantenuta la prima lastra. Davanti, per la visibilità dell’affresco scoperto, è stata realizzata una struttura in corten a reggere un cristallo temperato extrachiaro. E sopra l’altare, entro forte cornice in calce dipinta in un pronunciato color bruno, è tutto godibile, ora, l’affresco di Lazzaro De Maestri: alla bianca Signora di luce chiediamo misericordia e protezione per tutti noi. Per quella figura femminile, ancora ben leggibile e salvabile, a noi sono venuti in mente un po’ di nomi di pittori operanti, in quei primi anni del ‘600, nella e per la Basilica del Santuario (e per il Duomo della Città); e uno in particolare... Quel muro ritrovato con quell’affresco sepolto da secoli farà discutere gli esperti delle Soprintendenze, mentre l’architetto Rosanna Venturino è certa di poterci offrire altre intriganti “sorprese” in quel futuro intervento, che auguriamo prossimo.


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Libri

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MILENA MILANI UNA VITA IN COLLAGE Commento di Franca Maria Ferraris sul libro di Lorenza Rossi

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significati che le parole esprimono e Lucio Fontana, Burri, Capogrossi, on sempre il titolo di un saggio ciò che l’astrazione del segno vuole Matta, Asger Jorn, Lam, Tullio “Milena Milani una vita in raccontare. d’Albisola… e altri, tanti altri, collage”, amalgama così radicalmendiventano subito noti, essendo molto La seconda parte del saggio, è resa te la vita di un’Artista e le sue opere. vivaci le descrizioni e l’aneddottica al interessante dalla quantità degli eventi Infatti, se la parola collage esprime loro riguardo. accaduti a un’Artista spesso in l’arte figurativa cui Milena Milani si è Con questo libro, la figura di Milena movimento tra la capitale e altre dedicata e seguita a dedicarsi, anche la Milani balza dagli scritti in una forma bellissime città d’Italia e non, come sua vita, densa di risvolti pittoricocosì precisa e dettagliata non solo Venezia e Parigi. Questo suo letterari e di frequentazioni con grazie all’intervista rivolta al viaggiare, così variamente narrato per personaggi operativi nel campo personaggio, ma anche al magnifico l’introduzione di aneddoti e di dell’arte, va intesa come un collage, corredo delle fotografie dell’Artista, improvvisi colpi di scena, diventa un ovvero come una successione di segni riprodotte nella sezione finale del luminosi e coloratissimi che animano viaggiare del lettore; e, allo stesso libro. uno sfondo Sono queste foto a talvolta azzurro, m o s t r a r e , d a ppiù spesso bianco, prima, l’elegante a richiamare l’idea figura della radell’infinito. gazza Milena, In questo parpensosa e dolce ticolare saggio nella sua indisemerge la notevole cussa fierezza, poi personalità di la figura della un’Artista davdonna fascinosa e vero poliedrica. Vi altera per la carica appare, da subito, di espressività che come Milena ogni suo attegMilani, dopo giamento emana. un’infanzia e un’aChiude il libro in dolescenza trabellezza una serie scorse a Savona, di collage in cui si sua città natale, coglie de visu non abbia esitato a l’avvenuta comcercare spazi più penetrazione tra ampi nei quali, pur “Premio Villa Cambiaso per meriti letterari e artistici” - Savona, settembre 2002 parola e segno in portando in cuore un unicum che si fa espressione le proprie radici, ha abitato e che ha modo, i vari personaggi che vi tangibile di quel “grafismo pittorico”, attraversato nei suoi viaggi, dovunque affluiscono, essendone la personalità dove la fusione tra il pensiero e rapportandosi come protagonista. abilmente connotata dalla scrittura, l’immagine impone un confronto sia A Roma, infatti, sua prima meta, verrà consentono a chi legge di conoscerli. con il Dadaismo, come provocatorio nominata da Marinetti, “Comandante Si tratta, in genere, di personaggi di sovvertimento delle abitudini visive generale di tutte le donne futuriste rilievo, tra coloro che hanno scandito dello spettatore, sia con la poetica d’Italia” e, da qui, avvierà i suoi primi la storia del Novecento attraverso surreale che mette in scena, in modo contatti epistolari con il proprietario l’Espressionismo, il Cubismo, il divertito e personalissimo, l’inventiva della Galleria del Cavallino a Venezia, Futurismo, il Dadaismo, nonché le contraddizioni e i pregiudizi Carlo Cardazzo, che diverrà in seguito l’Astrattismo, il Surrealismo, la Pop sociali di un’epoca. il suo compagno. Inoltre, tra il 1947e il Art. È questa, dunque, la speciale forma 1958, firmerà il primo e il secondo I romanzi di Milena: Storia di Anna d’arte che Milena Milani ha Manifesto dello Spazialismo di Lucio Drei (1947), Emilia sulla Diga (1966), profeticamente frequentato e seguita a Fontana. Dopo una lusinghiera Soltanto Amore (1976), La rossa di frequentare, esprimendosi con affermazione in campo poetico, Via Tadino (1979) per citarne alcuni, creatività, ma anche con casualità, Milena si dedicherà alla scrittura dei riscuotono subito un successo di come a ogni vero Artista è dato di suoi romanzi, e darà altresì inizio pubblico e di critica, ma soprattutto esprimersi. all’attività pittorica con i disegniintrigante è il romanzo La ragazza di E ribadisco “profeticamente” perché collage, nei quali unisce la parola nome Giulio (1964) che, contestato in ogni sua opera pittorica, si avverte il scritta alla parola disegnata, o meglio, all’uscita a causa del contenuto preannuncio strutturale di quel dipinta. Così Milena nella pittura fa sessualmente spregiudicato per ‘reticolato’ al cui interno la parolaentrare la scrittura, arte, quest’ultima, l’epoca, viene successivamente immagine diviene il tessuto in cui è regina e per cui, evidenziando riabilitato (1978) e, tradotto in molte connettivo di ogni forma espressiva la relazione esistente tra la parola e il lingue, viaggerà il mondo. Anche gli sulle cui fantomatiche ali oggi si segno, fa sì che la mente crei amici di Milena, tutti personaggi di molteplici associazioni di idee tra i viaggia “in rete”. fama internazionale come Marinetti,


ASSOCIAZIONE NAUTICO LEON PANCALDO

LA VOCE DELL’

ESTRATTO AUTONOMO DELLA RIVISTA VILLACAMBIASO

www.alpleonpancaldo.org info@alpleonpancaldo.org

A.LP.

N° 17 - Giugno 2012 - Redazione: A.LP. - Via Torino, 22 R - 17100 Savona - Tel: 349/6863819 - E-mail: vintera@villacambiaso.it

RIPORTIAMO IL NAUTICO NELLA SUA STORICA SEDE

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erché il vecchio e glorioso “Istituto Tecnico Nautico Leon Pancaldo” dove insegnarono illustri Professori, sui libri dei quali ancora oggi gli studenti studiano ( vedi Ideale Capasso e Sorrentino, Taramasso), non cerchiamo di farlo ritornare nel fabbricato nel quale nacque nel lontano 1826, in Piazza Cavallotti? Fu spostato dove è attualmente, dalla Provincia, dopo un’accesa battaglia, combattuta contro il Liceo Classico Chiabrera che reclamava spazio avendo accorpato il liceo Linguistico aumentando così il numero degli studenti! Mi chiedo: perché, visto che oggi è accorpato con altri due Istituti e leggo sui giornali che in Via Manzoni hanno problemi di sicurezza ed un alto numero di studenti, invece di spostare il Mazzini, non riportano il Nautico dove era nato? Non sarebbe la cosa migliore da fare? Nessuno si pone in difesa della sede storica del Mazzini, bene! Ed allora perché nessuno si pone la domanda: perché il Nautico Leon Pancaldo non lo riportiamo nelle sua Storica e prestigiosa sede, dalla quale è stato sfrattato, con un bliz della provincia anni fa, lasciando il Mazzini dov’è? Le aule degli ultimi piani dell’attuale Chiabrera sono oggi occupate dal Museo del mare!! Allora? È più importante la sistemazione di un Istituto o si ritiene che il Museo non possa essere spostato, magari in qualche locale del P r i a m a r ? Vi s e m b r a un’idea balzana? Questa domanda la rivolgo alla Provincia, che ora sarà chiamata ad intervenire nella diatriba tra Mazzini e Chiabrera!! Non sarebbe una soluzione per alleggerire la struttura di via Manzoni, così come imposto dalle

attuali normative? Spero che questa, forse, sia la volta buona e che il sogno di tanti “vecchi studenti” e nuovi, si realizzi! All’attuale equipaggio ed ai passati equipaggi del Nautico, auguro felice navigazione in un mare che attualmente è agitato, sperando che alla fine riescano ad atterare nel loro storico porto nato nel lontano 1856. La Provincia, questa volta, potrebbe intervenire ripristinando le cose come erano in passato. Speriamo!

esserci anche i due ufficiali della seconda guardia (un primo ed un secondo sulle navi Costa), non so bene cosa facessero... Data la grandezza della falla e l’arresto macchine per i locali macchine allagati (è una diesel elettrica, probabilmente funzionava solo il diesel alternatore emergenza), la cosa più urgente era di sbarcare i passeggeri, perché il guasto non era rimediabile, prima che affondasse. Cordiali saluti.

C.D.M. Luigi Gravano

Ing. Giorgio Prefumo

RISPOSTA AL CAP. CAFUERI RIGUARDO A COSTA CONCORDIA

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aro Vito Cafueri, ho letto il Blog e quel che dici è giustissimo. Io sono stato moltissime volte sul ponte ed in macchina, anche in manovra, coi ragazzi del Nautico, ma eravamo autorizzati dalla Compagnia, che però aveva proibito le visite del ponte ai passeggeri un tempo concesse, ed inoltre aveva prescritto ultimamente anche la chiusura porte stagne in navigazione. La presenza sul ponte nel caso della Concordia, per giunta, in manovra rischiosa, di persone estranee non è pertanto scusabile. Sul ponte della grande cruise Costa, oltre al Comandante e il Secondo, che dovevano sorvegliare, dovevano

IL MUSEO NAVALE PIACEVOLE SORPRESA

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u iniziativa dell’Asso-nautica Savonese ho avuto modo di visitare, nell’ex sede dell’Istituto Nautico Leon Pancaldo in piazza Cavallotti, il “Museo Navale” di Savona, il centro raccolta dati metereologici nonché assistere nel bel planetario a una interessante se pur breve spiegazione della volta celeste. Pur essendo savonese dalla nascita, non ero a conoscenza di questa mostra di reperti della marineria di altri tempi, dei modellini in essa contenuti sia statici che funzionanti. Il giro, davvero interessante, è stato illustrato, con evidente passione, esclusivamente da volontari che dedicano parte del loro tempo ad accompagnare curiosi nella visita di questa piccola ma interessante mostra. Passando poi per le scale dell’Istituto ho riconosciuto nei quadri dei diplomandi molti degli amici che negli anni passati hanno studiato e si sono diplomati in questo storico Istituto che si spera possa in un prossimo futuro riaccogliere gli studenti attualmente in esilio in altre scuole. Luigi Mazino


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A.LP.

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TRANSYLVANIA Il ritrovamento del relitto è avvenuto il 6 Ottobre del 2011

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arato il 23 maggio 1914, il Transylvania è un piroscafo inglese di lusso con circa 15mila tonnellate di stazza, che entra in servizio sulla linea Liverpool-New York. Appartiene alla Compagnia di navigazione Cunard Line che alla fine del 1915 lo mette a disposizione dell’Ammiragliato britannico; viene armato di un cannone a poppa e diventa il più importante trasportotruppe alleate operante nel Mediterraneo. La sera di giovedì 3 maggio 1917 parte da Marsiglia, sede di una base militare inglese, dove ha imbarcato circa 3mila soldati britannici di vari reggimenti e 64 crocerossine diretti al fronte turco in Palestina; al comando di Samuel Breuell deve raggiungere Alessandria d’Egitto. Naviga alla velocità oraria di 16 miglia e, scortato da due cacciatorpediniere giapponesi, il Matsu e il Sakaki, punta su Genova, mantenendosi sotto costa per evitare in mare aperto i temuti attacchi dei sommergibili tedeschi. La mattina del giorno seguente, venerdì 4 maggio, il Transylvania sta navigando a zig-zag al traverso di Spotorno, a circa 3 miglia da terra, preceduto a 1.500 metri dai due caccia. Il cielo è sereno, il mare mosso per un fortissimo vento di tramontana con raffiche di grecale. Improvvisamente, alle ore 11.17 esatte, un sommergibile tedesco in immersione, che da mezz’ora ha

Caccia Sakaki

Caccia Matsu 2° siluro (ore 11.39) 1° siluro (ore 11.17)

Transylvania

U-63 Inizio discesa a -45 m (ore 11.45)

avvistato il convoglio dirigersi verso Savona, lancia da mille metri e dal lato della costa un primo siluro che centra il piroscafo sulla fiancata sinistra all’altezza della sala macchine. La nave, imbarcando acqua e inclinata a babordo, ha un notevole sbandamento, vira verso terra per cercare di arenarsi e consentire più facilmente il salvataggio dei militari, ma poco dopo non è più in grado di procedere. A bordo intanto soldati e marinai sorpresi dallo scoppio tentano, nella grande confusione, di raggiungere la coperta; oltre alle zattere di emergenza vengono calate alcune scialuppe dove prendono posto per prime le crocerossine mentre uno dei caccia, il

Matsu, si affianca prontamente alla nave per raccogliere a bordo parte della truppa accalcata sui ponti. L’altro caccia, il Sakaki, eseguendo rapide evoluzioni nello specchio di mare circostante, tenta di individuare e colpire l’invisibile nemico aprendo il fuoco assieme al cannone del trasporto. Ventidue minuti dopo, mentre ferve l’opera di salvataggio e le sirene del Transylvania lanciano in continuazione richiami angoscianti di soccorso, ed esattamente alle ore 11.39, la scia di un secondo siluro, lanciato a 350 metri di distanza, si dirige verso il trasporto accostato dal Matsu. Questo strappa gli ormeggi che lo uniscono alla nave retrocedendo a tutta forza e il siluro colpisce il Transylvania a proravia del traverso sinistro, cioè sulla fiancata sinistra dei quartieri di prua. Il Sakaki scopre intanto il periscopio nemico e si dirige sparando verso il sottomarino per speronarlo, ma questo si sottrae alla caccia scendendo veloce mente a 45 metri di profondità. Alle ore 12.20 il piroscafo, o r m a i a g onizzante per il colpo di grazia,


VillaCambiaso comincia lentamente ad affondare assistito dai due caccia impegnati nel recupero dei naufraghi reso molto difficile a causa del mare agitato. Alle ore 12.30, dopo un’ora e 13 minuti dal primo siluramento, il Transylvania –secondo il rapporto del comandante del sottomarino tedesco, che nel frattempo è risalito a quota periscopica per constatare l’epilogo della sua azione– affonda sul dritto di poppa, mentre per i testimoni oculari e la documentazione fotografica l’affondamento avviene alle ore 12.35 e sul dritto di prora, cioè in termini marinareschi la nave cola a picco, adagiandosi su un fondale di 200 metri a 2 miglia al largo di Bergeggi. Le vittime accertate risultano 407, delle quali 96 sono sepolte nel Cimitero di Zinola. Il ritrovamento è avvenuto il 6 Ottobre 2011 ad opera del Centro Carabinieri Subacquei di Genova Voltri in collaborazione con Gay Marine di Lomazzo (CO), ditta specializzata nella progettazione e produzione di veicoli subacquei ad alta tecnologia, che nell’aprile 2011 mise a punto un veicolo teleguidato capace di operare a grandi profondità. Le operazioni iniziarono con l’utilizzo del sonar a fascio laterale nell’area compresa tra il porto di Vado Ligure e

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la punta di Capo Noli. Furono percorse circa 100 Mn, ma le operazioni risultarono essere particolarmente difficoltose per la discontinuità del fondale, ricco di crinali montuosi, canyon, secche, scarpate rocciose, caratteristiche che

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poco si confanno all’utilizzo del sonar a fascio laterale. Le ricerche vennero interrotte il 14 maggio 2011 e riprese il 4 ottobre 2011 con l’utilizzo di un magnetometro (realizzato dall’Ing. Gay) che permise di notare un’anomalia alla profondità di 630 m, le cui forme e dimensioni avrebbero potuto corrispondere a quelle del relitto del “H.M.T. Transylvania”. Nei giorni successivi furono riconosciuti numerosi punti caratteristici del relitto fino ad intuirne l’intero profilo e lo stato di conservazione. Sul promontorio Predani di fronte all’isola di Bergeggi inagurata nel 1922 è attualmente visibile la croce commemorativa a ricordo dell’affondamento e dei gloriosi estinti e in testimonianza della gratitudine imperitura del popolo Britannico verso gli abitanti di questi lidi per il generoso soccorso ai superstiti. La città di Spotorno, otto anni dopo quel tragico affondamento con senso di pietà, fece erigere nei giardini centrali un pregevole monumento dedicato ai naufraghi Inglesi del Transylvania, successivamente distrutto dal Governo fascista nel 1936 in seguito alle “sanzioni economiche” contro l’Italia proposte dal Governo Britannico in seno alla Società delle Nazioni.


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LE PAPERELLE GALLEGGIANTI del Dott. Aldo Pastore

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l giornalista Statunitense Donovan Hohn ha pubblicato, in questi giorni, il libro “Moby duck”, che racconta la paradossale storia delle 28.000 paperelle di plastica, naufragate nell’Oceano Pacifico (assieme alla nave che le trasportava), a causa di una tremenda tempesta marina, verificatasi nell’Anno 1992. Secondo quest’autore, circa Due Terzi delle paperelle naufragate (per un totale di circa 20.000 esemplari) sono tuttora in mare aperto, galleggiano piacevolmente tra le onde e contribuiscono, attraverso la loro presenza, ad arricchire ulteriormente la varietà delle meravigliose bellezze esistenti nei mari del nostro Pianeta. A questo proposito, l’Oceanografo Curtis Ebbesmeyer ha voluto precisare che circa due terzi di queste paperelle, partendo dall’Oceano Pacifico Settentrionale (interposto tra la Corea e l’Alaska) ed utilizzando le correnti marine, sono scese verso il basso, hanno raggiunto il Sud America e successivamente, l’Indonesia e

l’Australia. Altre, invece, sono scivolate verso lo stretto di Bering (tra l’Alaska e la Russia), hanno affrontato il gelo e gli iceberg, sono state intrappolate nei ghiacciai per parecchi anni, ma, poi, al momento del disgelo, hanno ripreso il loro avventuroso viaggio nei mari, sorridendo (forse, anche con l’inchino) davanti ai Continenti che si trovavano nuovamente a fronteggiare. Il fatto è diventato un imponente avvenimento mediatico, al punto che molti appassionati si stanno cimentando nella loro ricerca; addirittura, la The First Years ha posto una taglia-premio sulla loro cattura, pagando profumatamente i potenziali ricercatori di paperelle galleggianti. Il tutto potrà apparire come un evento piacevole, invitante all’humor e ad una serena e giocosa visione del Mondo. Ma… le cose non sono così semplici. Molti ricercatori hanno incominciato a dissertare, con serie argomentazioni

scientifiche, sugli effetti negativi della loro presenza; sempre più numerosi sono diventati gli scienziati che hanno incominciato ad affermare che queste paperelle (e, soprattutto, i loro residui) sono, in realtà, delle armi improprie puntate sulla fauna marina e sul complesso degli ecosistemi oceanici. In altri termini, si è incominciato a riparlare dell’annoso tema “La plastica e il mare” e dei fatti negativi, indotti da questa innaturale coesistenza. Ricordo, a titolo di esempio, che dal 20 al 23 agosto 2006, si svolse ad Erice la trentaseiesima sessione dei Seminari Internazionali sulle Emergenze Planetarie, alla quale parteciparono oltre cento scienziati, provenienti da ogni parte del Mondo. In quell’occasione, Charles Moore dell’Algalita Marine Research Foundation di Long Beach giunse a dichiarare: “Lo stato di salute dei mari è fortemente peggiorato.


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Infatti, il problema si è ormai spostato dalla semplice presenza di rifiuti plastici (come bottiglie, contenitori, etc) nelle nostre acque, alla capacità di questi materiali di rilasciare sostanze pericolose per l’organismo umano”. Aggiungo che, già in allora, Algalita Marine Research Foundation aveva reso noto di aver individuato un’enorme chiazza di rifiuti di plastica, grande come il Texas (più di due volte l’Italia), che si estendeva, nell’ Oceano Pacifico, tra le Isole Hawaii e la Costa Californiana; il volume complessivo di questi rifiuti, a giudizio della stessa Fondazione, era sei volte superiore alla quantità di Fitoplancton e di Zooplancton, che viveva nello stesso tratto di mare. Ma, forse, queste osservazioni e questi rilievi sono stati sottovalutati negli ultimi anni. Soltanto recentemente è comparso uno studio effettuato da “5 Gyres” (sito internet che si occupa dell’inquinamento degli Oceani) il quale ha messo in rilievo che nei Mari vi sarebbero circa 143 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. Il Quotidiano “La Stampa”, in un pregevole servizio (datato: 19 Febbraio 2012), ha precisato che il

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calcolo per stimare la quantità di Rifiuti Plastici, presenti nei mari, ha origine dai dati forniti dall’Oceanografo Giora Proskurowski e cioè: su ogni chilometro quadrato di superficie dell’Oceano Atlantico galleggiano, in media, 50.000 pezzettini di plastica dal peso di 0,1 grammi l’uno, vale a dire, dunque cinque kilogrammi. Ma la plastica non è presente soltanto in superficie; considerando anche quella che è presente in profondità, è possibile calcolare che per ogni Kilometro Quadrato di Mare vi siano circa 450 Kilogrammi di Plastica. Moltiplicando questa cifra per 316 Milioni (pari ai Kilometri Quadrati di estensione degli Oceani) si ottengono, appunto, i 143 Milioni di tonnellate stimati. Il Quotidiano così conclude: “Se fosse possibile asportare tutta quella plastica, per contenerla servirebbero 630 super petroliere da 225.000 tonnellate di capienza l’una”. Ma domandiamoci: perchè è veritiera l’affermazione di Charles Moore, secondo la quale il materiale plastico negli Oceani è pericoloso ed, il modo più esplicito, in che cosa consiste la pericolosità delle sostanze rilasciate da questo materiale?

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La risposta a questo quesito ci proviene dallo stesso scienziato: “L’enorme quantità di plastica, dispersa nei mari, produce particelle nocive che vengono liberate nelle acque, contaminando i pesci ed altri organismi marini, i quali, a loro volta, trattengono sostanze come il policarbonato plastico (PCB), la diossina, il polivinilepolidrato (PVC) ed altre molecole; allorquando l’essere umano viene ad alimentarsi con le carni ittiche contaminate, può andare incontro a malattie neoplastiche”. Ma, un’altra Scienziata, per la precisione, la Prof. Shanna H. Swan del Centro di Epidemiologia Riproduttiva di Rochester è andata ben oltre; riporto integralmente le sue parole: “Quello che ci preoccupa è la diffusione globale di queste sostanze plastiche e l’ampiezza del numero di persone, colpite dai loro effetti; la comunità scientifica internazionale ha raggiunto, infatti, la certezza che queste sostanze porteranno conseguenze negative, trasmissibili da generazione in generazione, mutando, sebbene gradualmente, il patrimonio genetico dell’uomo”. Il bersaglio principale di queste


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sostanze è, infatti, l’apparato riproduttivo, sia maschile, sia femminile, considerando la gravidanza il periodo di maggior vulnerabilità. Secondo Frederick S. Von Saal della Divisione di Scienze Biologiche dell’Università del Missouri “Durante la gestazione, la donna trasmette al feto questi elementi, che vanno ad intaccare il sistema riproduttivo ed il cervello del nascituro, provocando effetti permanenti”. Non aggiungo altra documentazione scientifica, perché mi sembra che quanto sopra riportato sia, in proposito, ampiamente esaustivo. Debbo, tuttavia, evidenziare che l’innaturale coesistenza tra Plastica e Mare ha, già da tempo, inciso sull’intero Ecosistema Oceanico: almeno 267 specie animali (tra cui l’86 per cento delle Tartarughe marine, il 44 per cento degli Uccelli ed il 43 per cento dei Mammiferi Marini) sono danneggiate dal materiale plastico vagante sui mari. Ecco perché occorre rapidamente intervenire per eliminare questa gigantesca marea di rifiuti ed, in questo contesto, porre anche fine all’avventuroso viaggio della nostre, piccole paperelle galleggianti. Lo stesso Donovan Hohn, a malincuore, ha dovuto ammettere che “Le papere sono carine, apparentemente indifese, amichevoli. Sono il simbolo dell’infanzia. Resistono ad ogni tipo di avversità. Ti ci affezioni, ma non puoi trascurare che sono le piccole assassine del mare”. Sorge, a questo punto, un ultimo, ma decisivo quesito: Come intervenire e con quali obiettivi? La risposta a questo problema è stata data recentemente dal UNEP (Agenzia ONU per l’Ambiente) e può così essere sintetizzata: Occorre una gestione sostenibile del mare, che affronti ed elimini i danni da inquinamento, creati dalle attività umane. Questi danni ammontano attualmente a circa 320 miliardi di euro l’anno. Perdurando ed aggravandosi l’attuale situazione, l’economia mondiale andrà incontro ad un ulteriore e duplice tracollo: L’irreversibile crisi della pesca marittima (e relativo indotto). Ulteriore aumento della spesa sanitaria.

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Attualità

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I MEDICI DI FAMIGLIA E IL BENE COMUNE La salute pubblica, un bene garantito che collassa verso il modello americano

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na perfida sequela di tagli alle spese si è abbattuta sulla salute pubblica in Italia e particolarmente a Savona, ma purtroppo non é ancora finita. La tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo, interesse della collettività, previsto persino dall’articolo 32 della Costituzione, volto a garantire la dignità della persona umana attraverso il Servizio Sanitario Nazionale non è più! Biasimevoli comportamenti della politica degli ultimi anni hanno cancellato l’articolo 32 ed i suoi principi fondamentali: dal Pio Albergo Trivulzio, al San Raffaele di Milano, e chi ne ha, più ne metta. Ma quale assistenza sanitaria dobbiamo aspettarci dai tagli della Regione per il futuro? Ricordo che alla Scuola di formazione politica dei Gesuiti di Genova: Padre Pietro Millefiorini S.I. e Padre Enrico di Rovasenda, «spirito magno», con un animo di grande nobiltà avevano sempre predicato per il bene della nostra formazione politica di studiare con cura Jacques Maritain e l’Umanesimo Integrale. Un’opera del lontano 1936, nella quale si afferma che il bene comune non è il compendio

dei beni individuali o della maggioranza, ma bensì il bene della società in quanto composta di persone. Ecco che all’improvviso questo bene che era il Sistema Sanitario Nazionale italiano fra i primi al mondo è crollato; imploso, per lasciarci senza più sostegno. A causa degli interessi della politica degli affari da molti anni entrata in corsia. La salute pubblica non è più un bene garantito. Ma quale uomo, oggi deputato alla salute pubblica di una Regione può pensare di fare la cosa giusta: parlo di Savona, sballottando l’anziano a Cairo, a Varazze, ad Albenga, a Ceva, perfino ad Acqui per fare degli esami? Si è mai pensato al disagio che questo stressante itinere può causare alle persone e quanto tutto questo disagio possa costare ai cittadini piuttosto che un ricovero in un Senior Health Center di facile progettazione, dove in un giorno gli anziani potrebbero fare tutti gli esami? Una simile struttura adeguata –a me pare– non è mai stata progettata nella nostra Regione come sappiamo ad altissimo indice di persone anziane, o meno giovani, quali lo scrivente, però andrebbe creata per onorare le sacrali aspettative dei Padri della nostra

Rembrandt La lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulp (1632), L’Aja, Mauritshuis

Costituzione. È notizia di tutti i giorni che le prescrizioni di raggi X, ecodoppler, mammografie, analisi sangue, Holter, ecocardiografie e quant’altro hanno ormai dei tempi non più sostenibili. Se poi in età avanzata da un controllo all’altro si rischia di scomparire dal mondo. Per non parlare poi di un ricovero ospedaliero. Manco a parlarne, “costi troppo”. Siamo al paradosso che... “quando muori, allora ti ricovero!” Così hanno ucciso anche l’art. 32 e quel bene comune della politica che Jacques Maritain –insuperabile Maestro– ci aveva tramandato con l’Umanesimo Integrale. Il medico, sia egli ospedaliero, specialista chirurgo, oncologo, medico di base, nella sua accezione classica atta allo svolgere una missione umanistica diretta al bene dell’uomo sarà sempre lì a consigliarci, sì, ma quando potremo fare gli esami diagnostici prescritti saranno passati dei mesi. E proprio da umile lettore, quale sono, che desidero parlare proprio del ns. medico di base costretto a fare per così dire i salti mortali; incalzato dalle ASL sulle spese diagnostiche, per consigliarci sugli esami ritenuti più urgenti, indirizzarci allo specialista, fare per noi tutto il possibile, visitarci a casa all’occorrenza, aiutandoci a sopravvivere nella quotidianità ed a condurre una terza età sempre più serena. In una società come quella italiana, il medico di base, con i colleghi specialisti ospedalieri, i paramedici, i tecnici, con gli infermieri sempre in prima linea: tutti quadri importantissimi per la nostra salute, con la loro deontologia professionale sono nel Paese Italia le figure le più vicine al vero Umanesimo Integrale, nel rispetto più integro dell’art.32 della nostra Costituzione e del bene comune inteso da Jacques Maritain. Fulvio la Cognata


Continua da copertina In mezzo c’è o meglio ci dovrebbe essere il Governo dei Tecnici che ha sprecato la più grande occasione dopo tangentopoli di cambiare veramente il Paese. Nei primi cento giorni, avrebbero potuto fare qualsiasi cosa; chi si sarebbe preso la responsabilità di mandare il popolo alle elezioni? con lo spread alle stelle? E invece no, gli scienziati della Bocconi, invece di tagliare gli sprechi, cosa fanno? aumentano ancora le tasse a cominciare dalla casa e dalla benzina perché gli Italiani si possono ancora spremere e poi dopo aver ritoccato l’IVA, giusto per disincentivare un po’ i consumi, si concentrano nella lotta all’evasione fiscale, non quella vera, delle società di capitale che dichiarano un utile pari a zero e poi hanno i conti alle isole Cayman ma con quella ormai di necessità, dell’esercente che non fa lo scontrino del caffè e che, complice una televisione appiattita su se stessa, diventa il principale responsabile dei conti in rosso delle nostre finanze. E la sinistra cosa fa? Bersani è talmente impegnato con Casini e Alfano a scrivere la nuova legge elettorale, che tra un doppio turno

alla francese e un maggioritario con sbarramento alla tedesca, non si accorge che ai lavoratori dipendenti (quelli che dovrebbero essere i suoi elettori, sic!), hanno alzato da un giorno all’altro l’età pensionabile a 67 anni: un altro capolavoro del governo Monti. E poi ci si stupisce che gli Italiani abbiano incominciato ad apprezzare un comico, che fa delle proposte concrete, seppure alcune un po’ strampalate. Ci si dovrebbe stupire invece del fatto che una gran parte dell’elettorato continui a votare per i partiti tradizionali. Partiti che non differiscono più in nulla, scatole vuote senza contenuti, senza proposte, senza idee, senza fantasia. In questa situazione verrebbe da chiedersi chi siano i veri comici e chi siano i veri politici, dove stia la politica e dove l’antipolitica. Personaggi auto-referenziati, ormai sotto la soglia della decenza, che nei talk show televisivi, intervistati da finti giornalisti, non sono più in grado di suscitare il minimo entusiasmo, e che presi alla sprovvista non sanno neppure cosa siano lo spread (mentre tutti giornali non parlano di altro), e il cuneo fiscale. Loro dovrebbero essere considerati, l’antipolitica.

I risultati della recente tornata elettorale però, non devono trarre in inganno, la sinistra sul territorio, con qualche eccezione, ha ancora una classe di amministratori in grado di riscuotere consenso e pertanto è riuscita ad arginare il voto di protesta rappresentato da candidati alle prime armi. Ma alle prossime politiche sarà diverso ed è ovvio che a temere di più il nuovo che avanza, sia la stessa sinistra che al di là del rinnovamento del nome e dei simboli appare incapace di fare proposte concrete. Lo spazio lasciato libero dalla crisi dei partiti tradizionali è immenso e potrebbe essere riempito da qualsiasi soggetto politico che si proponga come nuovo e sia in grado di apparire credibile di fronte all’elettorato come Berlusconi nel 94 e non certo dai Grillini, con tutto il rispetto e la simpatia che deve andare a questo movimento. Certamente a farne le spese sarà quella stessa sinistra che un tempo aveva una classe dirigente portatrice di valori universali di libertà, giustizia, uguaglianza e che ora non sa quanto costa un litro di latte e ha paura di un comico. Del resto ve li immaginate Togliatti, Di Vittorio, Calamandrei, Longo, Pajetta e Berlinguer, davanti a un Grillo... si sarebbero fatti una risata!


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