Uomini e Trasporti n. 400 Dicembre

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mensile anno XLIII dicembre 2024 prezzo Euro 5,00 MENSILETariffa R.O.C. Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1 –CN/BO. In caso di mancato recapito inviare al CMP di Bologna per la restituzione al mittente previo pagamento resi.

I TRAGUARDI DI UET: 400

Il

Test: Renault Trucks E-Tech T COME CAMBIANO LE REGOLE PER CHI GUIDA

Rivoluzione ESG LE IMPLICAZIONI PER LA LOGISTICA L’ELETTRICO

nuovo Codice della Strada

Mensile di informazione politica e tecnica. Pubblicazione dell’Associazione professionale di categoria Organo del Gruppo Federtrasporti - gruppofedertrasporti.it

400

Anno XLIII - dicembre 2024

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EDITORIALE

UOMINI E TRASPORTI DAL 2025 SI RINNOVA

I veicoli con motore endotermico sono vecchi e inquinano. L’editoria cartacea è vecchia e consuma alberi. Di conseguenza, entrambi devono cambiare. Ma come?

di Daniele Di Ubaldo

Prendete l’autotrasporto: inquinare meno non era il suo obiettivo prioritario, ma lo sta diventando per i suoi committenti, a maggior ragione se obbligati alla certificazione ESG. E quindi, da fedele fornitore di servizi, il trasportatore si adegua: impara a misurare le proprie emissioni di CO2, comprende che disporre di una flotta di vecchi catorci non lo aiuta a chiedere soldi a una banca o una captive, capisce progressivamente come fare la sua parte. Non gli è ancora chiaro, però, quali siano i camion migliori per accontentare i suoi interlocutori: l’elettrico in genere lo scarta perché costa troppo; del GNL, dopo le turbolenze sui prezzi, inizia a diffidare; dell’HVO non sa ancora se fidarsi, perché lo percepisce troppo poco viscoso.

Gli è chiaro, invece, che il diesel, così com’è (alimentato con gasolio), non potrà durare in eterno. Quindi, se dovesse avere un cliente che necessita di più viaggi e la fortuna di trovare un autista disponibile, su quale tipologia di veicoli converrebbe investire? È un problema. Ma non perché le alimentazioni citate potrebbero non funzionare, ma perché tutte sono esposte al rischio di essere tagliate fuori dal mercato e quindi perdere di valore nello spazio di un mattino. E per uno che acquista veicoli soltanto confidando su quanto possa valere il camion utilizzato fino a ieri, diventa un problema di non poco conto.

Il dilemma dell’autotrasportatore, senza essere un mezzo gaudio, è un male comune e anche chi produce veicoli ne è affetto. Per costoro il problema si presenta come una sorta di vicolo cieco: la normativa chiede di produrre veicoli con emissioni ridotte o azzerate e chi non si adegua rischia multe salate. Ma il mercato non gradisce questi veicoli e se, per non andare in crisi, il costruttore proponesse quelli ancora graditi con motore endotermico, incasserebbe meno di quanto dovrebbe pagare di multa. Se ne uscirà, ma con meno rigore nei tempi e con più fantasia nelle soluzioni.

Arriviamo a noi. Se state leggendo questo editoriale è probabile che abbiate in mano una rivista fatta di carta. Siatene fieri, perché appartenete a una minoranza eletta. Questo tipo di supporto, infatti, è sempre più spesso messo da parte, relegato in nicchie particolari (come quella, per fortuna, della stampa specializzata) e sacrificato sull’altare del progresso. Oggi, per dirla facile, si è moderni se si fruisce dell’informazione in modo digitale. Niente di negativo, ma bisogna verificare se tale soluzione, oltre che moderna, è anche sostenibile. Sicuramente non lo è finanziariamente se l’informazione è considerata un accessorio dello smartphone. Per la semplice ragione che per tenere in piedi una macchina che produce notizie di qualità (vale a dire, verificate, dettagliate, prive di condizionamenti di varia natura) qualcuno la deve pagare. Lo può fare la pubblicità, ma se si assume l’onere in modo esclusivo finisce per controllare le stesse notizie, perché ha un peso condizionante nei confronti della macchina e quindi della qualità. Lo possono fare le grandi piattaforme digitali, ma a quel punto sono i loro algoritmi a decidere su cosa i singoli vanno informati. È un problema da affrontare con la stessa logica con cui si chiede all’acquirente on line una responsabilizzazione etica per evitare che stressi una catena logistica quando tempi e luoghi di consegna non costituiscono una scelta obbligata. Anche in questo caso, infatti, soltanto il lettore può essere il motore della qualità informativa. Soltanto la sua scelta, la sua volontà di abbonarsi e quindi di pagare per ciò che legge, può costituire un argine all’attuale deriva. Siamo consapevoli, però, che non basta un appello generico per smuovere coscienze, serve dimostrare nei fatti di essere qualitativi per stimolare chi legge ad abbonarsi. Dal 2025 lo faremo in maniera attenta: rivoluzioneremo la grafica, riconsidereremo i contenuti per renderli più attrattivi e più rispondenti ai vostri interessi, cercheremo di fornirvi più modi di acquisire informazioni anche senza dover investire troppo tempo. Faremo una rivista nuova, più bella, più interessante, più moderna. Una rivista con cui proseguire a testimoniare una presenza, a battere un ennesimo colpo dopo i quattrocento che ci siamo lasciati alle spalle. E magari con cui arrivare anche noi a provare un’emozione forte: quella di trovarsi per la prima volta di fronte a uno spazio indipendente e privo di confini. A un mare aperto, come il giovane protagonista dei Quattrocentocolpi di Francois Truffaut.

DOPOLAVORO PRODOTTO PROFESSIONESOMMARIO

3 EDITORIALE Dal 2025 Uomini e Trasporti si rinnova

12 DENTRO LA LEGGE DI BILANCIO Le novità in arrivo per il prossimo anno. Spese di trasferte: dal 2025 si cambia

14 NUOVO CODICE Come cambiano le regole di comportamento alla guida. Una stretta per i recidivi

18 NUOVO CODICE Le statistiche non registrano alcol, droga e cellulari. L’indicazione viene dalle contravvenzioni

19 NUOVO CODICE L’incidenza sui sinistri di strade e segnaletica confusa. Quando la colpa non è di chi guida

20 NUOVO CODICE Cosa chiedeva il settore e cosa (non) ha ottenuto. Le domande senza risposta dell’autotrasporto

24 INCHIESTA Cosa comporta l’introduzione dell’ESG nella logistica. Sostenibilità è sinonimo di incertezza

28 INCHIESTA Cronologia normativa. Dal bilancio alla rendicontazione: ecco la certificazione di filiera

30 INCHIESTA Come prepararsi a una possibile rivoluzione. Compliance ESG: «Grande opportunità anche per i piccoli»

32 INCHIESTA Il lato finanziario della sostenibilità. Le nuove regole del credito «green»

38 SERVIZI Accordo tra Truck Warranty ed ESG Rent. Una partnership per l’efficienza

39 NUOVE MINACCE Il mondo della logistica nel mirino degli hacker. Attacco ai trasporti

40 A PROVA DI LAURA Renault E-Tech T. L’elettrico eclettico

44 INTERVISTA A colloquio con Roberto Improta, Ceo di Vrent. Il noleggio in versione 5.0: ecco come cambia Vrent

48 INTERVISTA A colloquio con Massimo Dodoni, AD DAF Veicoli Industriali. «Una rete capillare fa risparmiare tempo a chi trasporta»

52 RETI Le evoluzioni del network MAN. «Ecco come la transizione cambia il ruolo dei venditori di camion»

56 RETI COMMERCIALI Le tappe evolutive di un dealer modello. Scandicar: 50 anni per andare oltre

60 ECOMONDO 2024 Allestimenti ed ecologia sotto i riflettori. Luci sulla ribalta

64 LA TESI DI LAURA Storie di strada che valgono un master. Una filiera poco amica

6 Ministeri & co

8 Intorno all’azienda

10 Sicuri e certificati

66 L’importante è la salute

NON DI SOLO TRASPORTO

65 Voci on the road. 10 domande a…Carmelo Fedele

ALL'INTERNO

33 L'Agenda del mese. Novità normative

Online. La rivista è presenteanche sul web attraverso il sito www.uominietrasporti.it. Ogni giorno vengono pubblicate notizie e approfondimenti, accompagnate da podcast e video, fornendo ai lettori un'informazione puntuale e immediata su quanto accade nel settore. Seguici anche sui Social.

di Clara Ricozzi ex direttore di dipartimento c/o ministero Trasporti

COME CRESCERE IN UNA LOGISTICA FRAMMENTATA

Stiamo attraversando un momento pieno di sfide per il settore, tra la carenza di autisti, l’avvento della digitalizzazione e la transizione energetica. Ma ho l’impressione che non ci sia una visione unitaria per far fronte a questi cambiamenti. Quali misure potrebbero essere adottate per superare la frammentazione delle competenze nella gestione della logistica e del trasporto?

Giacomo B_L’Aquila

Secondo le più recenti analisi condotte da Osservatori specializzati, il comparto della logistica, nell’ambito del quale l’autotrasporto svolge tuttora il ruolo preponderante, continua a crescere: vale quasi il 9% del PIL, e quest’anno dovrebbe registrare un aumento dello 0,7%, praticamente in sintonia con lo stesso PIL, a riprova della sua importanza nel sistema economico del Paese. Tuttavia, come rilevato anche dalle maggiori organizzazioni associative del settore, sussiste una sorta di «deficit di attenzione» da parte delle istituzioni, che non sembrano prendere in adeguata considerazione le maggiori sfide e i problemi che il settore si trova a fronteggiare (resi più difficoltosi dagli attuali conflitti su scala planetaria), tra i quali:

• la transizione energetica verso una maggiore sostenibilità ambientale, da raggiungere attraverso la decarbonizzazione. Al riguardo, secondo quanto rilevato dall’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano, la situazione attuale vede ben 11 diverse soluzioni adottate dagli autotrasportatori sulla base delle diverse opzioni tecnologiche (come elettrico, idrogeno, fossili tradizionali e loro varianti biologiche, tra le quali spiccano HVO e bioCNG/bioLNG), mentre le associazioni di imprese intervenute al recente COP29 di Baku hanno ribadito l’urgenza di modificare in sede europea la regolamentazione sui target di riduzione delle emissioni dei veicoli, valorizzando tutte le tecnologie effettivamente in grado di abbattere le emissioni di CO2;

• una più spinta digitalizzazione per lo scambio di informazioni, il monitoraggio delle emissioni e il tracciamento delle operazioni, tenendo anche conto della Strategia italiana dell’IA 2024-2026, messa a punto dall’Agenzia per l’Italia Digitale. Si tratta di un obiettivo fondamentale per migliorare l’efficienza operativa del settore e ridurre i costi amministrativi,

Occorrerebbe superare la frammentazione di competenze attraverso un tavolo di lavoro ad hoc, che veda coinvolte le organizzazioni rappresentative del trasporto e della logistica, e anche quelle della committenza, per la necessaria condivisione degli obiettivi e degli strumenti per raggiungerli

oltre che per ottenere maggiore trasparenza nell’attività di trasporto e minore impatto ambientale;

• la carenza di personale addetto alla guida (secondo i dati IRU, 22.000 unità, pari al 7% delle posizioni non occupate che potrebbe arrivare al 17% entro il 2028), aggravata dai tempi di attesa, tuttora eccessivi, al carico e allo scarico delle merci;

• le perduranti difficoltà di attraversamento dei valichi alpini, non solo quelle «storiche» verso l’Austria, ma oggi anche verso la Francia;

• il presumibile impatto del nuovo sistema ETS (Emissions Trading System), regolato dal decreto legislativo 10.9.2024, n. 147, che ha recepito le direttive UE 2023/958 e 2023/959 e che, a partire dal 2027, introduce un nuovo meccanismo di negoziazione delle emissioni anche per il trasporto stradale.

Peraltro, nelle manovre di bilancio, vengono riproposte le consuete misure di aiuti a pioggia alle imprese del settore, oltre agli incentivi – comunque ancora modesti – al rinnovo del parco veicolare e al trasporto intermodale ferroviario e marittimo, mentre occorrerebbe una revisione profonda dell’intero sistema che tenga conto delle problematiche attuali e soprattutto promuova un trasporto più sostenibile e competitivo, ispirato ai principi ESG (Environmental, Social and Governance), che il recente Quaderno edito dal Freight Leaders Council ha giustamente denominato «la rivoluzione silenziosa».

Si tratta, in sintesi, di coniugare le raccomandazioni del Quaderno alle imprese di trasporto e di logistica, fra le quali spiccano gli investimenti in innovazione tecnologica, il miglioramento della sicurezza, la formazione e la crescita professionale dei dipendenti, la collaborazione all’interno della filiera, con la messa a punto di un nuovo sistema di incentivi che, utilizzando anche i fondi del PNRR per la logistica, tenda a premiare le imprese più virtuose.

Per accompagnare il settore verso questi traguardi, occorrerebbe una forte spinta e collaborazione da parte degli organi competenti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dove però vediamo che non esiste una struttura unitaria che comprenda la filiera del trasporto e logistica, in quanto il trasporto stradale è incardinato nella Direzione Generale per la sicurezza stradale e l’autotrasporto, mentre la logistica fa capo alla Direzione Generale per i porti, la logistica e l’intermodalità.

Occorrerebbe, pertanto, superare la frammentazione di competenze all’interno dell’amministrazione, magari attraverso un tavolo di lavoro ad hoc, che veda coinvolte le organizzazioni rappresentative del trasporto e della logistica, e anche quelle della committenza, per la necessaria condivisione degli obiettivi e degli strumenti per raggiungerli.

REGALO DI NATALE

In vista delle festività natalizie mi piacerebbe dare dei regali al personale e ai vari clienti e fornitori, così da fare del bene e migliorare la reputazione aziendale. Ma vorrei farlo in maniera intelligente, cioè con un occhio di riguardo ai costi, ai limiti di spesa e a eventuali deducibilità dal punto di vista fiscale. Quali consigli potreste darmi?

Giuseppe C_Salerno

Partiamo innanzitutto col dire che non ci sono particolari limiti di spesa per gli omaggi di costo non superiore a 50 euro. Se rivolti a soggetti esterni all’azienda, come clienti o fornitori, tali spese sono completamente deducibili. Il limite di 50 euro è riferito al valore complessivo del bene e non a quello dei singoli componenti. Per esempio, il cesto natalizio composto da vari beni di importo unitario inferiore a 50 euro, non è considerato interamente deducibile dal punto di vista fiscale se il valore complessivo del cesto supera tale importo.

Qualora, invece, i regali superino il limite dei 50 euro, sono considerati alla stregua delle spese di rappresentanza e, come tali, sono deducibili fiscalmente se e solo se rivolte a clienti. Le spese di rappresentanza, infatti, sono tutte quelle spese che un imprenditore o un professionista sostiene per migliorare l’immagine dell’attività, per garantire in modo indiretto una conversione in termini di immagine sul mercato. Tali spese sono deducibili dal reddito d’impresa in percentuale sui ricavi, con un minimo dell’1,5%. Questo vale per le imprese. Per i professionisti, invece, non c’è la distinzione tra il limite inferiore o superiore ai 50 euro; tutti gli omaggi sono deducibili nel limite dell’1% degli incassi. Invece, se i regali sono rivolti a persone interne all’azienda, come i dipendenti, sono deducibili se di valore non superiore a 258 euro. Per il 2024, questo beneficio è stato aumentato fino a 1.000 euro, che raddoppia a 2.000 euro per chi ha figli a carico. Questa franchigia include tutti i fringe benefit concessi nel 2024, dai classici cesti

Se i regali sono rivolti a persone interne all’azienda, come i dipendenti, sono deducibili se di valore non superiore a 258 euro. Per il 2024, questo beneficio è stato aumentato fino a 1.000 euro, che raddoppia a 2.000 euro per chi ha figli a carico. Questa franchigia include tutti i fringe benefit concessi nel 2024, dai classici cesti natalizi

natalizi ai buoni acquisto. Superata la soglia, l’intero importo sarà tassato e non solo la parte eccedente.

In periodo natalizio, l’azienda può anche pensare a liberalità in denaro ad associazioni o enti. In linea generale, sono deducibili le erogazioni liberali in denaro a favore di Onlus, associazioni di promozione sociale o istituti scolastici.

Quanto abbiamo detto fin qui, dunque, vale per i regali e i benefici fiscali applicati alle aziende. Ma anche coloro che non hanno una partita Iva possono godere di benefici fiscali. Ad esempio, tutti i contribuenti che effettuano erogazioni liberali in favore di

Onlus, associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato o associazioni sportive dilettantistiche possono beneficiare di detrazioni d’imposta dal 19% al 35% a seconda delle caratteristiche dell’ente destinatario della donazione. Ma attenzione: per poter portare in detrazione le liberalità è necessario che il pagamento sia stato effettuato con strumenti tracciabili.

Infine, come si devono comportare i genitori che vogliono donare una somma di denaro ai figli? Innanzitutto, è bene che il trasferimento di denaro avvenga con strumenti tracciati, in secondo luogo è consigliabile che sia indicato nella causale del bonifico che si tratta di un regalo, indicando eventualmente anche la finalità (acquisto casa, ecc.). Nessuna imposta è dovuta nel caso di donazioni di «modico valore», altrimenti il regalo potrebbe essere soggetto all’imposta di donazione!

Tra le novità di quest’anno, c’è il Bonus Natale di 100 euro per i lavoratori con reddito inferiore a 28.000 euro. Se i genitori non sono coniugati né conviventi, entrambi possono richiederlo, raddoppiando così l’importo. In sintesi, Natale è un’ottima occasione per dimostrare gratitudine a clienti e collaboratori, con un occhio a rispettare i limiti fiscali per una efficiente pianificazione fiscale.

I NUOVI GIORNI DEL TACHIGRAFO

Ho letto che la Commissione europea ha allungato da 28 a 56 giorni il tempo delle registrazioni da esibire in caso di controllo su strada dell’attività svolta dall’autista. Ma se la mia carta tachigrafica non ha memoria sufficiente per memorizzare 56 giorni di attività, cosa bisogna fare per dimostrare, appunto, la regolare attività svolta?

Iconducenti, oltre al rispetto dei periodi di guida e riposo previsti dal Regolamento 561/2006, devono porre particolare attenzione al corretto uso del tachigrafo, della carta tachigrafica, al regolare scarico e conservazione dei dati nonché alle informazioni da disporre durante il controllo su strada al fine di non incorrere in contestazioni, spesso spiacevoli, da parte delle autorità preposte ai controlli.

Un aspetto importante da ricordare è che a partire dal 31.12.2024, come previsto dal Regolamento 1054/2020 (Pacchetto Mobilità), il controllo su strada riguarderà non più 28 giorni, bensì 56 (sempre di calendario e non lavorativi). Pertanto, oltre ai dati registrati dal tachigrafo e nella carta tachigrafica, il conducente dovrà anche conservare tutte le registrazioni manuali per tale nuovo periodo, ricordandosi poi di consegnarle in azienda ai fini dell’archiviazione per almeno un anno.

Su questo punto, è nato effettivamente un problema tecnico legato alla capacità delle carte di conservare i dati per 56 giorni, anziché 28. Infatti, solo le carte tachigrafiche «omologate» da luglio 2023 (sulla base delle disposizioni normative che ne hanno disposto l’adeguamento) hanno memoria sufficiente per la registrazione di 56 giorni di attività, mentre per quelle emesse precedentemente e quindi «non omologate» per il nuovo periodo di conservazione, non ne è garantita la

Gli autisti possono assolvere all’obbligo normativo dotandosi di stampe dei tempi di guida dei 28 giorni precedenti (rispetto a quelli già memorizzati sulla carta, quindi dal 29° al 56° giorno), come indicato dalla DG Move, oppure dotarsi di una carta di nuova generazione versando però i diritti di segreteria vigenti

completa registrazione.

È doveroso evidenziare che non c’è una previsione normativa che imponga la sostituzione della carta in corso di validità e quindi gli utenti che dispongono di versioni emesse prima di luglio 2023, si trovano di fronte ad un bivio:

• assolvere all’obbligo normativo dotandosi di stampe dei tempi di guida dei 28 giorni precedenti (rispetto a quelli già memorizzati sulla carta, quindi dal 29° al 56° giorno), come indicato dalla DG Move, oppure

• dotarsi di una carta di nuova generazione versando però i diritti di segreteria vigenti.

Ma, anche in questo secondo caso, ci sono degli aspetti a cui prestare attenzione, ovvero che, pur dotandosi di una nuova carta con maggiore capacità di memoria, nella prima fase di utilizzo i conducenti

dovranno conservare a bordo una stampa cartacea della registrazione dell’attività dei 56 giorni precedenti per garantire i controlli di legge. Infatti, la nuova carta inizierà la registrazione delle attività dal primo utilizzo in avanti. Questo comporta necessariamente che prima della restituzione alla Camera della carta precedente, i titolari dovranno aver scaricato i dati in essa contenuti ed effettuato le stampe.

SPESE DI TRASFERTA: DAL 2025 SI CAMBIA

Tracciabilità è un termine noto a chi opera in una filiera logistica. Ma con la Manovra 2025 diventerà la regola anche rispetto alle spese di trasferta e di rappresentanza. Dal prossimo anno, infatti, non basterà conservare ricevute, ma bisognerà ricorrere a pagamenti elettronici e bandire l’utilizzo del contante. Pena, l’indeducibilità delle spese per le aziende e una tassazione equiparata a reddito per i dipendenti. Così, per incrementare la trasparenza, si rischia di applicare una doppia imposizione

Apartire dal 2025, nuove regole cambieranno la gestione delle spese di trasferta, con importanti implicazionisia per le aziende sia per i lavoratori dipendenti. Queste disposizioni, introdotte dalla Legge di Bilancio 2025, puntano a migliorare la trasparenza fiscale imponendo un obbligo di tracciabilità dei pagamenti. Il rischio, però, è quello di applicare una doppia imposizione: con l’attuale formulazione del disegno di legge, infatti, in caso di pagamento in contanti la spesa è indeducibile per il datore di lavoro e tassabile per il dipendente. Questo aspetto, sicuramente coerente con l’obiettivo di ridurre il sommerso, rischia di generare inefficienze gestionali, soprattutto nei casi di spese modeste o in contesti dove i pagamenti elettronici non sono facil-

mente utilizzabili. Ecco cosa cambia e come affrontare queste novità Quali sono le spese di trasferta?

Le spese di trasferta comprendono costi sostenuti da un lavoratore per motivi di lavoro al di fuori della sede abituale, tra cui:

• vitto e alloggio, come pasti e pernottamenti;

• viaggi e trasporti, come taxi, noleggio con conducente e simili

A quali condizioni le spese sono deducibili?

Dal 2025, la deducibilità di tali spese da parte delle aziende sarà subordinata a due requisiti fondamentali:

1. Pagamento tracciabile. Di conseguenza saranno accettati solo strumenti come carte di credito, bancomat, app,

Lenovitàpuntanoa renderepiùtrasparente lagestionedellespesee a contrastare l’evasione fiscale.L’obbligodi tracciabilitàpermette infatti un controllo piùsemplicedaparte delle autorità fiscali, riducendoimarginidi erroreediirregolarità

di Valentina Camorani Scarpa (commercialista – Studio Gnudi)

bonifici o assegni. I pagamenti in contanti non saranno più ammessi.

2. Documentazione adeguata. Di conseguenza i dipendenti dovranno presentare ricevute e scontrini che attestino l’uso di mezzi tracciabili.

Come sono «punite» le spese non tracciabili?

In caso di mancato rispetto di queste regole:

• le spese non saranno deducibili per l’azienda;

• i rimborsi potrebbero essere tassati come reddito aggiuntivo per il lavoratore.

L’ambito di applicazione della norma è ampio e copre sia le trasferte fuori dal Comune sia quelle effettuate al suo interno. Per queste ultime, il rimborso spese è completamente tassabile per il dipendente e, in caso di mancata tracciabilità, le relative spese non possono essere dedotte dal datore di lavoro.

Quali regole si applicano ai rimborsi dei collaboratori?

L’obbligo di tracciabilità non si limita ai rimborsi spese dei dipendenti, ma coinvolge anche collaboratori e professionisti autonomi. Per esempio, in assenza di tracciabilità, un’azienda non potrà dedurre dal reddito d’impresa le spese rimborsate a un professionista per un incarico. Come per i dipendenti, anche i professionisti devono dimostrare di aver effettuato i pagamenti con mezzi tracciabili. Tuttavia, tale requisito non si applica ai rimborsi calcolati forfettariamente.

Ipagamentitracciabili sonoquellieffettuaticon strumenti come carte di credito,bancomat,app, bonificioassegni

Di cosa si dovranno far carico i dipendenti?

I lavoratori in trasferta avranno un ruolo cruciale nella gestione delle nuove regole. Per essi sarà necessario:

• utilizzare mezzi di pagamento tracciabili per le spese anticipate;

• conservare e presentare la documentazione necessaria per dimostrare che i pagamenti sono stati effettuati correttamente.

Questo processo potrebbe comportare un temporaneo onere economico per quei dipendenti che anticipano le spese; tuttavia, un rimborso tempestivo da parte dell’azienda sarà fondamentale per evitare disagi.

Di cosa si dovranno far carico le aziende?

Se da un lato non è obbligatorio per le aziende fornire ai dipendenti strumenti di pagamento aziendali, dall’altro sarà essenziale garantire un sistema di rimborso efficiente. Le aziende potranno agevolare i lavoratori adottando:

• procedure snelle per le note spese. Un controllo rapido della documentazione riepilogata secondo gli standard di rendicontazione adottati dall’azienda permette di accelerare i rimborsi;

• sistemi di gestione digitale. Utilizzare piattaforme che semplificano la raccolta e la verifica delle ricevute.

Queste pratiche aiuteranno i dipendenti a sostenere le spese di trasferta senza eccessivi oneri personali.

Le spese di rappresentanza sono equiparate a quelle di trasferta?

Oltre alle spese di trasferta, le nuove regole interesseranno marginalmente

anche le spese di rappresentanza, come omaggi aziendali. Anche in questo caso, i pagamenti dovranno essere tracciabili per consentire la deducibilità. Tuttavia, rispetto alle trasferte, queste modifiche hanno un impatto più limitato.

Quali obiettivi ci si pone con le nuove regole?

Le novità puntano a rendere più trasparente la gestione delle spese e a contrastare l’evasione fiscale. L’obbligo di tracciabilità permette infatti un controllo più semplice da parte delle autorità fiscali, riducendo i margini di errore e di irregolarità.

Come conviene prepararsi alle novità?

Ad avviso della stampa specializzata, il fatto che la relazione tecnica emessa dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio abbia individuato un maggior gettito fiscale di 1,4 miliardi di euro per il periodo 2025-2030, non permette di sperare in un cambio di indirizzo.

Per affrontare al meglio le novità:

• i lavoratori dovrebbero abituarsi a utilizzare strumenti tracciabili per le spese di trasferta e a conservare con cura la documentazione;

• le aziende, dal canto loro, oltre a fornire adeguati format per la rendicontazione, dovrebbero adottare sistemi di rimborso rapidi, in modo da limitare o mitigare il disagio per i dipendenti. Queste nuove regole, se gestite correttamente, rappresentano un passo avanti verso una maggiore trasparenza e una riduzione dei rischi fiscali, favorendo un clima di collaborazione tra lavoratori e aziende.

UNA STRETTA PER I RECIDIVI

LE SANZIONI PRIMA E DOPO

ebbrezza alcolica minima

Prima

pena dententivapena pecuniariapatente

sotto0,5g/lpunibilesoloperminorenni,neopatentatieguidatoriprofessionali(168euro) ebbrezza alcolica minore tra0,5e0,8g/lsanzioneda573a2.170eurosospesada3a6mesi

ebbrezza alcolica media tra0,8e1,5g/larrestofinoa6mesiammendada800a3.200eurosospesada6mesia1anno

ebbrezza alcolica massima oltre1,5g/l arrestoda6mesi a1anno ammendada1500a6milaeuro sospesada1a2anni ebbrezza alcol con incidente sec'ècorresponsabilità sanzioni raddoppiate e fermo del veicolo per 6 mesi

recidiva ebbrezza alcol media (in due anni) tra0,8e1,5g/l

recidiva ebbrezza alcol massima (in due anni) oltre1,5g/l

guida sotto effetto stupefacenti- arrestoda6mesia1anno ammendada1500a6milaeuro sospesada1a2annirevoca perarrestoda6mesia1anno guida con cellulare- da165(115conlosconto)a6605punti recidiva guida con cellulare seconda violazione in due annida 165 a 6605puntiesopensioneda1a3mesi guida contromano- da167euroa665euro guida contromano in curva o incrocio- da327a1.308eurosospensioneda1a3mesi attraversamento con rosso- da167euroa665euro6punti superamento limiti velocità in città

trai10ei40kmhinpiùsanzione da 173 a 694 euro 3 punti e sospensione da 6 mesi a 1 anno recidiva in due anni in città

trai10ei40kmhinpiùsanzione da 173 a 694 euro 6punti esospensione da 8 a 18 mesi

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sia una stretta è poco ma sicuro, anche se tra le associazioni pro-sicurezza e i partiti di opposizione, non sono mancate polemiche e c’è chi è arrivato a parlare di «Codice delle stragi». In realtà il Codice della strada introduce misure più rigorose per il divieto di uso del cellulare alla guida, il controllo del tasso alcolemico e delle sostanze stupefacenti, il sorpasso delle biciclette, rafforzando anche le possibilità di verifica delle infrazioni con l’apertura all’introduzione di «sistemi telematici» per i controlli sulla circolazione. C’è una stretta anche sugli autovelox, spesso usati dagli enti locali per fare cassa, più che per garantire sicurezza stradale. E anche qualche attenuazione della sanzione. Il primo punto da chiarire, però, riguarda l’entrata in vigore delle nuove misure. La norma generale prevede che dopo l’approvazione parlamentare, le leggi debbano essere pubblicate in

Gazzetta e 15 giorni dopo entrino in vigore. Salvo diversa disposizione presente nella stessa legge. In quella che modifica il Codice tutto il titolo V delega il governo a rivedere la disciplina con indirizzi relativi proprio ai controlli telematici e, per quanto riguarda l’autotrasporto, la questione dell’uniformità delle norme emanate dagli enti locali, esplosa con la decisione del Comune di Milano di obbligare i camion a montare i sensori dell’angolo cieco per entrare in centro città e la richiesta delle associazioni di categoria di rendere omogenea la normativa per evitare differenti indicazioni sul territorio.

LE SANZIONI

1. guida in stato di ebbrezza alcolica

Le sanzioni per la prima infrazione non cambiano (subiranno un leggero aumento dal 1° gennaio 2025 per l’adeguamento annuale). Sono quattro i livelli del tasso alcolemico:

• sotto gli 0,5 grammi/litro, non c’è sanzione, con l’eccezione di minorenni, neopatentati e autisti professionali (multati con 168 euro);

• tra 0,5 e 0,8 grammi/litro è prevista una sanzione (illecito amministrativo) da 573 a 2.170 euro, più la sospensione della patente da 3 a 6 mesi;

attte Il p pr da l surre dop p le l le

In sintesi, le penalizzazioni entrano in vigore subito (comunque dopo l’emanazione dei decreti di attuazione), mentre il resto sarà oggetto di norme delegate, da presentare entro dodici mesi. Le principali novità sono divisibili in due grandi categorie: l’aumento delle sanzioni e l’introduzione di nuovi strumenti.

Sanzioni più severe per chi viene colto una seconda volta in stato di ebbrezza, con il telefonino mentre guida o se supera i limiti di velocità nei centri urbani. E ci sono anche nuovi strumenti per colpire le violazioni. Per i recidivi scatta l’obbligo di alcol zero e di montaggio (a proprie spese) dell’alcolock. Introdotta anche la sospensione «breve» della patente: 7 o 15 giorni

• tra 0,8 e 1,5 grammi/litro si passa a una contravvenzione (reato) punita con arresto fino a sei mesi e ammenda da 800 a 3.200 euro più sospensione della patente da sei mesi a un anno;

• sopra 1,5 grammi/litro arresto da sei mesi a un anno, ammenda da 1.500 a 6 mila euro e sospensione della patente da uno a due anni. Le sanzioni sono raddoppiate (e il veicolo fermato per sei mesi) in caso di incidente di cui il guidatore sia anche in parte responsabile. In caso di ebbrezza grave, si può arrivare alla revoca della patente.

• Fin qui tutto come prima. La vera

punibilesoloperminorenni,neopatentatieguidatoriprofessionali(168euro) sanzioneda573a2.170eurosospesada3a6mesiarrestofinoa6mesiammendada800a3.200eurosospesada6mesia1anno

secondannatoannotazionesupatente (niente alcol) arrestoda6mesia1annoammendada1500a6milaeurosospesada1a2anni

secondannatoannotazionesupatente (alcolock)

sanzioni raddoppiate e fermo del veicolo per 6 mesi

reclusione da 3 a 5 mesi in caso di feriti e da 8 a 12 in caso di morti sanzioniincrementatediunterzovisitamedicaalrinnovoobbligotassozeroper2anniealcolock sanzioniincrementatediunterzovisitamedicaalrinnovoobbligotassozeroper3anniealcolock arresto da 6 mesi a 1 anno ammenda da 1500 a 6 mila eurosospesada1a2annirevocaperrecidiva testancheconsolofondatosospettoeritiropatente

- da 250 a 61000 euro5puntiesospensioneda15a60giornisospensione breve automatica (*)

- da 442 a 1697 euro10puntiesopensioneda15a60giorni -

- da 167 euro a 665 euro - sospensione

- da 327 a 1.308 eurosospensioneda1 a 3 mesiconfisca del veicolo

- da 167 euro a 665 euro6punti -

- sanzione da 173 a 694 euro

- sanzione da 220 a 880 euro

stretta è sulla recidiva. Chi è stato già condannato per guida in stato di ebbrezza con un tasso superiore gli 0,8 grammi/litro, si vedrà incrementare le pene di un terzo, avrà l’obbligo di rispettare lo zero come limite del tasso alcolemico (con registrazione sulla patente del «Codice 68. Niente alcol»), al rinnovo della patente dovrà sottoporsi a visita medica e, nei casi più gravi, sulla patente sarà annotato il Codice 69 e non potrà circolare senza aver montato sul veicolo, a proprie spese, l’alcolock (sivedaboxquisotto)

2. guida sotto effetto di sostanze stupefacenti

La normativa elimina il requisito dello stato di alterazione per configurare il reato di guida sotto effetto di droghe. Quindi le sanzioni (revoca o sospensione della patente fino a 3 anni) scattano con la sola positività al test che registra sostanze nell’organismo, senza dover provare lo stato di alterazione. Le sanzioni sono allineate al tasso alcolemico più alto: arresto da sei mesi a un anno, ammenda da 1.500 a 6 mila euro, sospensione della patente da uno a due anni, con revoca in caso di recidiva.

3. guida con cellulare

Per chi è sorpreso alla guida con lo smartphone, il nuovo Codice prevede una multa da 250 a 1000 euro (contro i 165-660 di prima) e la sospensione «breve» della patente (una settimana se ha almeno 10 punti, 15 giorni se ne ha meno di 10), i cui tempi raddoppiano in caso di incidente. Aumenta la sanzione per i recidivi che va dai 422 ai 1.697 euro.

4. limiti di velocità

Anche qui viene colpita la recidiva, in particolare nei centri abitati. Chi, per la seconda volta supera in città il limite di velocità tra i 10 e i 40 kmh, la sanzione passa da 173-694 a 220-880 euro. Se il superamento è maggiore dei 40 kmh, alla multa si aggiunge la sospensione «breve» della patente da 15 a 30 giorni, anziché da uno a tre mesi.

5. autovelox

Già a maggio scorso l’uso degli autovelox per rilevare il superamento dei limiti di velocità era stato limitato sulle strade urbane dove vige il limite di 30 km/h e su quelle extraurbane sotto i 90. Il nuovo Codice stabilisce che in caso di più infrazioni nello stesso

Come funziona, quando è obbligatorio

CHE COS’È L’ALCOLOCK

L’alcolock è un dispositivo che rileva il tasso alcolemico del guidatore e impedisce l’accensione del motore se chi è al volante supera i livelli consentiti di alcol. Il suo funzionamento è semplice. Chi si siede alla guida deve soffiare nell’apparecchio per accendere il motore che non parte se il dispositivo rileva presenza di alcol. L’alcolock è

obbligatorio per chi ha subito una condanna per guida in stato di ebbrezza alcolica e, in ogni caso, per chi ha sulla patente l’annotazione «Codice 69. Limitata alla guida di veicoli dotati di un dispositivo di tipo alcolock». Il ministero dei Trasporti dovrà emanare un decreto attuativo per definire i requisiti dello strumento.

tratto stradale nell’arco di un’ora, si paga una sola sanzione: la più grave aumentata di un terzo.

I NUOVI STRUMENTI

1. la sospensione breve della patente

La patente può essere sospesa per 7 o 15 giorni (e ritirata direttamente sul posto dall’agente accertatore), anziché da un mese in su come già avviene per tutta una serie di infrazioni. La durata della «sospensione breve» dipende dai punti che si hanno sulla patente: chi ne ha 20 non ne viene toccato, giacché la norma serve a punire i recidivi; per chi ne ha meno di 10 la sospensione dura 15 giorni, per chi ne ha tra i 10 e i 19 è limitata a 7. La durata raddoppia se la violazione provoca un incidente.

Le violazioni per le quali scatta la sospensione breve sono numerose e vanno dalla marcia in senso vietato al divieto di sorpasso, dal passaggio con il rosso alla mancanza di cinture di sicurezza, ma anche a chi – obbligato al tasso alcolemico zero – guida dopo aver assunto bevande alcoliche con tasso inferiore agli 0,5 grammi per litro. La misura, però, non prevede di per sé la possibilità di allegare al verbale inviato per posta il modulo per indicare la persona che è al volante al momento dell’infrazione e, dunque, sarà più difficile far scattare la sanzione al di fuori dei casi rilevabili da remoto.

2. i controlli video

Su autostrade e strade extraurbane principali è possibile accertare tramite telecamere di controllo o strumenti telematici, violazioni particolarmente pericolose (divieto di circolazione di determinati veicoli, inversione del senso di marcia, circolazione su corsie non consentite, impropria occupazione delle corsie di accelerazione, mancato uso delle luci di posizione durante la sosta, violazione delle norme sull’esazione del pedaggio). La disposizione, tuttavia, compare nella parte finale della legge che affida al governo la delega per l’attuazione di alcune misure, dandogli 18 mesi di tempo.

L’INDICAZIONE VIENE DALLE CONTRAVVENZIONI

Le prime cinque cause di incidente sono: distrazione, mancata precedenza, eccesso di velocità, manovre irregolari e distanze non rispettate. Ma spesso sono indicazioni generiche che nascondono la realtà effetiva. Le contravvenzioni, invece, anche se non sono legate a sinistri, quantificano l'uso scorretto dei cellulari, l'ebbrezza alcolica e l'uso di droghe

Maquanto incidono negli incidenti stradali l’alcol, le droghe o l’uso del telefonino alla guida? Non esistono statistiche probanti per quantificare il fenomeno. Nel 2023 sulle strade italiane si sono verificati 166.525 incidenti stradali, con 3.039 vittime (8 al giorno) e 224.634 feriti, di cui 16.875 gravi (46 al giorno). I primi sei mesi del 2024 indicano un aumento, lieve ma preoccupante: dello 0,9% degli incidenti, del 4% dei morti e dello 0,5% dei feriti.

GUIDA DISTRATTA, ANDAMENTO INDECISO

Ma quando, di fronte a queste cifre di Aci-Istat, l’interrogativo si sposta sulle cause di tali incidenti per capire come prevenirli, di alcol, droga o telefonia non si parla. Le cinque cause principali sono: guida distratta o andamento indeciso (33.144 casi, il 15,1%), mancato rispetto di precedenza o semaforo (28.389, 12,9%), velocità troppo elevata (18.524, 8,4%), manovra irregolare (16.828, 7,7%) e distanza di sicurezza (15.172, 6,9%). Queste cinque tipologie di violazione co-

stituiscono il 51% del totale delle cause di incidenti.

Per di più, all’analisi sfugge quasi un terzo delle cause d’incidente, il 28,5%, pari a 62.506 casi, frutto della somma delle 46.984 (21,4%) registrate come «circostanza imprecisata» e delle 15.522 (7,1%) come «altre cause» non specificate. Di ebbrezza alcolica o di alterazione dovuta a stupefacenti, di uso di telefonini, non c’è traccia perché non previste dalla casistica Aci-Istat che raccoglie le indicazioni provenienti dai rilievi tecnici. Tant’è che lo stesso istituto precisa che i dati raccolti non sono esaustivi a causa «della possibilità di rifiuto, da parte dei conducenti coinvolti, di sottoporsi agli accertamenti sullo stato psico-fisico».

IMPOSSIBILE AVERE I DATI SULL’ALCOL

L’istituto cerca di coprire tale lacuna – almeno per quanto riguarda alcol e droga – deducendola da altre fonti, come Carabinieri e Polizia stradale, che «rilevano circa un terzo degli incidenti stradali con lesioni». E dei 56.075 incidenti su cui sono intervenuti,

4.787 (l’8,5%) registrano uno dei conducenti coinvolti in stato di ebbrezza alcolica e 1.813 (il 3,2%) sotto effetto di stupefacenti, con una leggera diminuzione rispetto al 9,2% e al 3,3% del 2022. Dato significativo, ma non omogeneo né comparabile con la tabella Aci-Istat delle cause d’incidente, ma probabilmente compresa in quel 51% delle prime cinque cause di incidente.

Ma la principale fonte seppure non omogenea per capire quanto alcol, droga e telefonini incidano sulla sicurezza stradale è la statistica sulle contravvenzioni elevate nel 2023 da Polizia stradale, Carabinieri e Polizie municipali dei Comuni capoluogo. In testa sono i divieti di sosta, che superano di poco le contravvenzioni per superamento dei limiti di velocità, entrambe oltre i 3 milioni di sanzioni. In questo elenco, però, compaiono le violazioni (contravvenzionate) sia per l’uso del cellulare alla guida (oltre 125 mila), sia la guida in stato di ebbrezza alcolica (39.046) o sotto influenza di stupefacenti (4.309), cifre – le ultime due - evidentemente condizionate dalle difficoltà denunciate da Aci-Istat per la raccolta dei dati.

CAUSE ACCERTATE O PRESUNTE DI INCIDENTE PER CATEGORIA

STRADA

QUANDO LA COLPA NON È DI CHI GUIDA

A una ricerca della fondazione Luigi Guccione l'87% degli intervistati indica come prioritario il miglioramento del manto stradale; Assosegnaletica ricorda che il 60% della segnaletica verticale e l'80-90% di quella orizzontale sono fuori norma, mentre la Regione Lombardia sostiene che il miglioramento della segnaletica può ridurre gli incidenti del 40%

Maè sempre colpa di chi sta al volante? Certamente la maggior parte degli incidenti è dovuto a comportamenti errati del guidatore, ma spesso questa è una concausa da condividere con una strada dissestata o con una segnaletica incomprensibile. Allora perché limitarsi a inasprire le sanzioni e non agire anche sulle altre componenti? L’interrogativo se lo è posto lo scrittore Vittorio Sabadin, sul Messaggero di Roma: «Le strade extraurbane sono in molte aree del paese in uno stato penoso, piene di buche, con cartelli stradali confusi e abbandonati a sestassi e con segnaletica orizzontale spesso invisibile». E aggiunge, a proposito dell’«andamento indeciso» indicato da Aci-Istat tra le cause di incidente, che questo «spesso dipende dalla segnaletica inadeguata, obsoleta confusa e insufficiente: un enorme problema che si preferisce ignorare».

IL TRIANGOLO STRADA-AUTO-AUTISTA

Gli studi sulle cause della sinistrosità da sempre propongono tre cerchi in parte sovrapposti: strada, veicolo, pilota. Negli anni, però, la circonferenza del veicolo si è ridotta enormemente grazie alle tecnologie introdotte dai costruttori e in parte anche quella delle infrastrutture, lasciando tutto il peso della sicurezza sul conducente. E l’immagine dei tre cerchi è stata abbandonata. In realtà, le strade italiane nel tempo hanno perso smalto. Non a caso gli ultimi dati Aci-I-

stat sulla localizzazione degli incidenti indicano nel primo semestre 2024 una diminuzione del 13,9% di vittime sulle autostrade costrette per contratto a una manutenzione costante, mentre secondo un sondaggio di Motori No Limits, 6 italiani su 10 dichiarano di aver rischiato un incidente per buche e strade dissestate. E uno studio datato 2020 della Fondazione Luigi Guccione, in collaborazione con SITEB (Associazione Bitume e Asfalto), Assosegnaletica e IPR Marketing, su un campione di 66 Comuni sopra gli 80 mila abitanti, registra che l’87% degli intervistati indica il miglioramento del manto stradale come priorità per aumentare la sicurezza in città. E che il 54% degli incidenti coperti da una polizza Responsabilità civile terzi derivano da insidie stradali, connessione e buche. Eppure, tra le cause di incidente registrate da Aci-Istat solo 983 (lo 0,4%) è assegnato alla voce «buche». Anche se un 7% dei sinistri, tra ostacoli accidentali, animali urtati e «comportamento scorretto del pedone (2,8% dei casi), è da attribuire a fattori esterni.

DALLE MULTE I FONDI PER LA SICUREZZA

Di segnaletica, invece, Aci-Istat proprio non parla e dunque numeri per misurare la tesi di Sabadin non ce ne sono. Ma se nella voce «distrazione» si può riconoscere l’uso del telefonino, in quella di «andamento indeciso» forse la segnaletica ha qualche incidenza. Paolo Mazzoni, consigliere delegato di

ARTICOLO 208 CDS

Unaquotapari al 50per cento deiproventispettanti a regioni,province e comuni è destinata: a interventi disostituzione, di ammodernamento, di potenziamento, di messa a norma e di manutenzione dellasegnaletica; alpotenziamento delle attività di controllo; alla manutenzione delle strade

Assosegnaletica, ricorda che in Italia il 60% della segnaletica verticale e l’80-90% di quella orizzontale sono fuori norma e uno studio della Regione Lombardia e di Aci Milano arriva alla conclusione che il miglioramento della segnaletica può ridurre gli incidenti stradali di circa il 40%.

Eppure, proprio l’art. 208 del Codice della strada obbliga gli enti locali a reinvestire in manutenzione per ammodernamento stradale il 50% dei proventi delle multe. Dunque, se è doveroso stringere i freni sui comportamenti più pericolosi di chi è al volante, è quanto meno legittimo chiedersi se sia giusto agire in una sola direzione e se quei tre cerchi non siano tornati a sovrapporsi.

LE DOMANDE SENZA RISPOSTA DELL’AUTOTRASP

Cihanno provato fino all’ultimo Anche quando la legge era al Senato e il governo avevafatto capireche non avrebbe accettato modifiche per non dover tornare alla Camera e perdere ulteriori mesi Quando l’8a commissione ha licenziato il testo inviandolo all’aula di palazzo Madama per l’ok definitivo, i molossi delle associazioni di categoria hanno dovuto mollare l’osso Eppure, di carne al fuoco ne avevano messa tanta Una così profonda modifica del Codice della strada era per il trasporto merci su strada l’occasione buona per aggiornare. Invece niente. O meglio, poco e niente Il poco è che sulla questione dei sensori per l’angolo cieco – resi obbligatori dal Comune di Milano per i veicoli pesanti che entrano in centro – il governo è delegato a riordinare le procedure «che disciplinano le modifiche delle caratteristiche costruttive dei veicoli in circolazione, l’installazione di dispositivi

atti a migliorare la visibilità diretta degli utenti vulnerabili della strada dal posto di guida riducendo gli angoli morti e la sistemazione del carico sui veicoli, ivi comprese le strutture amovibili per il trasporto di bagagli, biciclette, sci e attrezzature sportive».Riprendendosi

la disciplina sulla materia che, durante l’estate, era stata occasione di un duro scontro tra il sindaco meneghino, Giuseppe Sala, e le associazioni di categoria timorose che ogni ente locale legiferasse a modo suo con il rischio, per usare le parole del segretario di Assotir,

Perché l’alcolock obbligatorio per una categoria che è già obbligata all’alcol zero? E perché la sospensione breve della patente non può essere calcolata sulla somma dei documenti di guida (patente e CQC) per professionisti che, percorrendo molti più chilometri dei privati, sono più a rischio di infrazione? Sono solo due delle istanze avanzate invano dalle associazioni

Ordine del giorno/2

REVISIONI AI PRIVATI: LA SPERANZA CONTINUA

ORTO

Claudio Donati, di «una pericolosa regolamentazione a macchia di leopardo». Polemica peraltro circoscritta all’installazione di sensori sui veicoli immatricolati prima dello scorso 7 luglio, da quando i sensori devono essere montati per legge dalle case costruttrici.

Se ne parla da tanto. Con le disposizioni più stringenti sulle revisioni dei veicoli pesanti dettate dall’Europa nel 2014, che obbligano a effettuarla annualmente, il personale della Motorizzazione civile era insufficiente per smaltire le domande accumulate per la riduzione dei tempi di intervallo. Fu quasi contestuale la richiesta di affidare le revisioni alle officine private, come già avveniva per le vetture. Ma fu soltanto nel 2019 – dopo che le file di camion davanti alle Motorizzazioni erano diventate chilometriche – che la legge di Bilancio per quell’anno modificò l’art. 80 del CdS permettendo alle officine private autorizzate a revisionare i veicoli pesanti, esclusi gli ADR e gli ATP. Ma era una mera affermazione di concetto che incontrò vari ostacoli burocratici nell’attuazione: ambiguità normative nella distinzione tra i veicoli revisionati dai privati, eccessive richieste di requisiti ai centri di con-

trollo, incertezze sulle dimensioni e le dotazioni delle officine, hanno partorito decreti attuativi e circolari che non sembrano aver risolto il problema. Che ora sembra concentrato sulla mancanza di un numero sufficiente di ispettori ministeriali per verificare i centri e rilasciare l’autorizzazione e sulle difficoltà a reperirne di privati.

Per questo la senatrice Gabriella Di Girolamo (M5S) aveva presentato un emendamento accolto come ordine del giorno. Il documento invita l’esecutivo a «rimuovere gli ostacoli al processo di esternalizzazione delle revisioni dei veicoli pesanti», precisando che «l’attività dell’ispettore, sia pubblico che privato, è limitata all’acquisizione di una certificazione attestante il corretto funzionamento dell’unità». Semplice, no? La domanda però è un’altra: l’ordine del giorno sarà attuato o finirà, come tanti altri prima di lui, nel dimenticatoio?

Anche la storia dell’età è tutta da capire. Le associazioni dell’autotrasporto avevano chiesto, come risposta alla mancanza di autisti, di prolungare l’attività di quelli in attività, spostando fino a 70 anni l’età massima per circolare con patenti C e D. La proposta era stata trasformata in due emendamenti, che prevedevano anche, superata quell’età, la possibilità di ulteriori rinnovi «previo accertamento annuale dei requisiti fisici e psichici in commissione medica locale». Il primo, di Adriano Paroli e Roberto Rosso (Forza Italia) prolungava l’età per conducenti di camion e bus; il secondo, di Silvia Fregolent (Italia Viva) la portava a 70 anni solo per i conducenti di bus turistici. Per quei misteriosi ghirigori che gli emendamenti percorrono nei minuti convulsi dell’approvazione finale di una legge, l’emendamento di Fregolent (esponente di opposizione) è stato accolto come raccomandazione, mentre quello dei due senatori di maggioranza è stato ritirato per velocizzare l’approvazione del disegno di legge. Perché il governo può chiedere ai parlamentari di maggioranza il ritiro del loro emendamento, mentre a quella dell’opposizione no. Il risultato è che per l’età della patente dei conducenti di bus il governo ha promesso attenzione, per quelli di camion non se ne parla proprio. Ma – tranquilli – alla fine le probabilità che l’età dei conducenti di veicoli pesanti – merci o persona – sia innalzata a 70 anni, sono le stesse: vicine allo zero.

PERCHÉ L’ALCOLOCK A CHI NON PUÒ BERE?

Per il resto le richieste del settore sono rimaste al palo. E così, in nome della «sicurezza subito», gli emendamenti dell’autotrasporto sono stati tutti respinti. Anche quelli più ragionevoli. Che senso ha obbligare a installare l’alcolock (previsto per tutti in caso di recidiva alcolica), che ha un costo intorno ai 1.500 euro, a categorie (autisti, tassisti e camionisti) che già il Codice del 2010 obbligava a zero alcol, con la spada di Damocle del licenziamento per giusta causa? Difficile che ci sia una recidiva, insomma. Un controsenso colto in modo bipartisan da un senatore di Fratelli d’Italia, Etelwardo , e da uno del Partito democratico, , che hanno presentato due emendamenti (respin-

di Fratelli Etelwa

ti) per escludere dal dispositivo gli autisti professionali. Né miglior sorte ha avuto la mediazione tentata dal presidente di Unatras, Paolo Uggè, che in audizione al Senato ha proposto l’obbligo di alcolock per i camion di nuova immatricolazione dopo un anno dall’entrata in vigore della nuova legge sulla sicurezza stradale, mentre il segretario generale di Fiap, Alessandro Peron, ha fatto notare che la norma è di difficile applicazione, dal momento che «i mezzi non vengono guidati sempre dallo stesso autista».

SOSPENSIONE BREVE SÌ, PERÒ...

Sigismondi, e da un Partito democra

Lorenzo Basso, hanno presentato emendamenti (re

Anche sulla sospensione breve – che può essere di 7 o di 15 giorni, a seconda se i punti sulla patente sono da 10 a 19 o meno di 10 – gli autotrasportatori (per i quali oltre alle infrazioni valide per tutti c’è la violazione di oltre

il 20% del tempo massimo di guida) hanno fatto presente che il maggior chilometraggio a cui li obbliga la professione li espone maggiormente al rischio di penalizzazione e, quindi, li priva della possibilità di lavorare. Per di più, osserva Peron, «il nuovo codice non tiene conto che gli autisti professionali hanno un doppio conteggio» e Uggè ha proposto di calcolare la penalità sommando i punteggi disponibili su entrambi i documenti di guida degli autisti professionali – patente e CQC – in modo da avere una dotazione maggiore di punti. Proposte tradotte in due emendamenti – anche questi bipartisan – proposti dal senatore di Forza Italia Roberto Rosso e dalla senatrice del Movimento 5 stelle, Gabriella Di Girolamo. Entrambi respinti. E finiti in un altro ordine del giorno, presentato ancora da Sigismondi, per impegnare il governo a dare chia-

Parla l’avvocato Roberto Iacovacci, esperto in Codice della Strada

Il nuovo Codice modifica le regole sugli autovelox. Quali sono le principali novità?

Alcune disposizioni restano invariate, come la presegnalazione obbligatoria degli autovelox almeno un chilometro prima. Una novità importante è il limite alla riduzione arbitraria della velocità da parte dei Comuni lungo le strade in cui il limite sia più di 20 km/h rispetto a quello previsto dal CdS. Ad esempio, su una strada extraurbana con limite di 90 km/h non si potrà abbassarlo a 70 km/h per piazzare un autovelox. Inoltre, in caso di cumulo, cioè di infrazioni ripetute entro un’ora nello stesso tratto, il trasgressore pagherà una sola multa, ma maggiorata di un terzo.

L’uso degli autovelox è ancora oggetto di contenziosi. Mancano chiarimenti tecnici nel nuovo Codice?

Assolutamente sì. Era l’occasione per introdurre un regolamento che chiarisse le norme tecniche per l’utilizzo dei rilevatori di velocità, ad esempio distinguendo tra quelli omologati e approvati. Senza questi dettagli, le multe continueranno a essere facilmente contestabili per questioni legate alla mancata omologazione, come già avviene oggi. È una lacuna che avrebbe meritato maggiore attenzione.

Tra le nuove sanzioni c’è la sospensione breve della patente. Quando si applica?

Questa misura colpisce infrazioni come l’uso del cellulare alla guida o il mancato rispetto della distanza di sicurezza, di fatto contestato in caso di tamponamenti. La sospensione varia in base al punteggio residuo della

patente: sette giorni se si hanno tra i 10 e i 20 punti, 15 giorni con meno di 10. La durata raddoppia se l’infrazione ha causato un incidente, anche senza coinvolgimento di altri veicoli.

Anche il sorpasso a destra in autostrada può portare alla sospensione della patente. È una misura frequente?

Sì, soprattutto quando un veicolo procede lentamente in corsia centrale o di sorpasso. Tuttavia, in molti casi simili ho presentato dei ricorsi su ordinanze di rigetto che sono stati accolti, in particolare dimostrando che il sorpasso a destra era l’unica alternativa per evitare situazioni di pericolo o congestione.

La guida sotto effetto di droghe è ora trattata con maggiore severità. Cosa cambia?

Non serve più dimostrare che l’assunzione di stupefacenti abbia provocato alterazioni psicofisiche: basta risultare positivi a un test salivare, anche giorni dopo il consumo. Le conseguenze sono pesanti: multa da 1.500 a 6.000 euro, arresto da sei mesi fino a un anno, revoca della patente per tre anni e, in caso di condanna definitiva, confisca del veicolo. È quindi importante portare sempre con sé eventuali prescrizioni mediche se si assumono farmaci in grado di influire sui test.

Il Codice è ancora incompleto. Cosa ci aspetta nei prossimi mesi?

La riforma completa arriverà entro un anno, ma il testo attuale è complesso e frammentato. Molti emendamenti sono stati trasformati in ordini del giorno, lasciando al governo il compito di colmare le lacune con decreti legislativi. Tuttavia, la frammentazione normativa rischia di creare ulteriori difficoltà interpretative, a cui dovrà necessariamente porre rimedio la magistratura.

«ANDAVANO CHIARITI DETTAGLI TECNICI SUGLI AUTOVELOX»

Parla Giordano Biserni, presidente dell’ASAPS «MA IL PROBLEMA SONO I CONTROLLI»

Non sono poi tanto contenti. «Certo», ammette Giordano Biserni, presidente dell’Aspas, associazione sostenitori e amici della polizia stradale, «qualche norma che può risultare efficace c’è: quella sul contrasto all’uso del cellulare, quelle relative ai monopattini per quanto riguarda l’assicurazione e l’uso del casco. Ma siamo sempre lì: se non ci saranno i controlli (e alla Stradale manca il 25% del personale) nessuna norma sarà efficace e nessuna sarà inefficace: ci sarà il nulla».

Ecco, i controlli, una vecchia storia. Ma adesso si apre alla possibilità di verificare da remoto alcune violazioni.

Ma già ci sono: autovelox e sorpasso irregolare possono essere già sanzionati con l’uso di strumenti telematici. Si tratta di decidere, d’intesa con i Prefetti, dove possono essere collocati gli strumenti. Ma non mi pare che si sia allargata questa possibilità.

È una possibilità prevista nelle norme che la nuova legge delega al governo...

Vedremo la delega come sarà attuata. Ricordo la legge 120 del 2010: prevedeva una serie di decreti che hanno tardato anni e alcuni non sono mai usciti. Prevedeva, per esempio, che per i medicinali che influenzano le condizioni psicofisiche, debba essere immesso nella scatola un pittogramma che avverta che il medicinale incide sulle condizioni di chi lo prende, ma il pittogramma non c’è ancora sulle scatole perché il decreto attuativo non è mai stato emanato.

Ma ci sono norme che entrano in vigore subito come l’obbligo dell’alcolock.

Anche per l’alcolock ci vogliono decreti ministeriali che ne stabiliscano modalità di funzionamento, omologazione, ecc. Così come per la guida sotto effetto di stupefacenti, ci sono percorsi da fissare con decreti.

Ci sono norme che non vi convincono o che non sono state introdotte nel nuovo Codice?

Intanto andrebbe alleggerita l’attivazione degli autovelox. Capisco si voglia fare ordine, ma va fatto rispetto alle condizioni che rendono difficoltoso l’impiego di autovelox. Faccio un esempio: l’impossibilità di utilizzare l’autovelox per misurare la velocità in aree urbane dove

ra indicazione affinché «la decurtazione dei punti in caso di violazioni commesse alla guida di un veicolo che richieda anche il possesso della CQC avvenga su uno solo dei titoli abilitati». Il che vuol dire che il governo è più o meno d’accordo, ma poi si vedrà. Ed è su questo «poi si vedrà» che la FAI-Conftrasporto ha dato un giudizio positivo sulle nuove norme, ma orientandolo al futuro: necessaria la stretta, ma ci vogliono i controlli e comunque «alcune materie come le norme sui trasporti eccezionali, la sospensione delle patenti per chi opera professionalmente sulle stra-

è stato introdotto il divieto dei 30 kmh o per le strade extraurbane principali dove il limite si abbassa dai previsti 90 kmh, sono misure che appesantiscono la gestione degli autovelox. Che vadano certificate meglio le condizioni per la loro collocazione è un discorso, ma qui c’è il rischio che si abbatta ogni sistema di controllo della velocità. Quindi mi sembra che ci sia la volontà forse di non volere adeguati controlli della velocità e questo mi preoccupa molto.

Torniamo ai controlli?

L’altro aspetto è la mancanza dell’accertamento a distanza, perché è vero che adesso alla prima violazione sull’uso del cellulare si può sospendere la patente. Però, vista la scarsità delle pattuglie, avremmo preferito che –come avviene per la velocità con l’autovelox e per i sorpassi vietati – fosse stato previsto l’accertamento fatto a distanza con telecamere.

Anche l’alcolock è strumento di controllo, ma gli autotrasportatori lo contestato perché gli autisti professionali sono già costretti all’alcol zero e spesso in aziende strutturate non guidano sempre lo stesso camion.

Sì, però ci sono ancora conducenti - specialmente stranieri – sorpresi alla guida del camion con 2, 3, 3,5 grammi/litro nel sangue. Sono mine vaganti e troppo spesso ce ne accorgiamo soltanto dopo che è successo un disastroso incidente.

Insomma, più ombre che luci.

In realtà confido nell’effetto annuncio. Nel luglio 2003, quando entrò in vigore la patente a punti, il battage comunicativo iniziò a gennaio. In sei mesi ci fu un calo dell’incidentalità e della mortalità come non si è mai più visto dopo. Io spero almeno nell’effetto annuncio. Dopo, temo scatti l’effetto spaventapasseri: se mette lo spaventapasseri in un campo per un po’ i passeri stanno lontano spaventati; poi, quando capiscono che non ha il fucile e non spara, ci si posano sopra.

de e la disciplina dei compensi per il personale della Motorizzazione civile completeranno il quadro».

LE ALTRE PROPOSTE DI MODIFICA

Anche perché stessa fine degli altri emendamenti hanno fatto pure altre proposte. Come quella di rispondere alla crescente carenza di conducenti allungando l’età della guida dei camion, rimandata al mittente insieme a quella presentata (e poi ritirata) da Adriano Paroli e Roberto Rosso (Forza Italia) per portare il pensionamento degli autisti a 70 anni. O quella

presentata da Silvia Fregolent (Italia Viva) di aumentare del 30% le indennità di trasferta. O ancora quella di Aurora Floridia (Verdi-Sinistra) che, sempre per favorire l’arruolamento di conducenti, ne alleggerisce le responsabilità, facendo ricadere solo sulle aziende la sanzione per irregolarità nei tempi di guida. E delle tante altre, alcune – su angolo cieco e sorpasso dei ciclisti – sono state trasformate in ordini del giorno che impegnano il governo a intervenire in un secondo momento. Quando? Diceva un motto antico: «Il giorno del poi dell’anno del mai».

SOSTENIBILITÀ

È SINONIMO DI INCERTEZZA

L’onda’ della sostenibilità arriva (o arriverà) dalla committenza. L’80% delle aziende che acquistano logistica – secondo i dati dell’Osservatorio Contract Logistics t del Politecnico diMilano – hanno avviato progetti ditransizioneambientale e chiedono di fare altrettanto a fornitori e distributori È la logica dei criteri ESG, introdotti dall’Europa già con il bilancio di sostenibilità, potenziata in termini di filiera con la nuova direttiva CSRD (vedi articolo a p.28), recepita dall’Italia lo scorso settembre e obbligatoria in base alla dimensione delle aziende a

partire dal 2024, con un timing scandito fino al 2028. Ma se la richiesta di sostenibilità nel settore cresce – nel 2013 solo il 13% dei committenti badava all’aspetto green dei servizi di trasporto e magazzinaggio – cresce anche l’incertezza su come affrontare la sfida Le aziende si ritrovano a dover scegliere r tra certificazioni, analisi dei dati, rimodulazione dei processi e tecnologie «E il tempo stringe», come fa notare Massimo Marciani, presidente del Freight Leaders t Council che ha appena presentato il 32° Quaderno intitolato «ESG, la rivoluzione silenziosa» «Nessuno ne parla – spiega

Marciani – ma investirà tutta la filiera e dovremo farci trovare pronti».Invece, secondo lo studio del FLC tra C le 50 mila aziende big che avranno l’obbligo di coinvolgere tutta la filiera, solo il 20% è già in regola, il 50% ha cominciato appena a lavorare, mentre sarebbero 8.000 le aziende obbligate ma rimaste ancora immobili

Comunque, tragli indicatori, il più avanti è quello della sostenibilità ambientale, ma pure qui regna l’incertezza. Tornando all’indagine del Polimi, il 57% dei fornitori di logistica sta proponendo almeno tre tecnologie diverse

La sua azienda è attualmente impegnata nel calcolo del CO2equivalente (CO2e) delle attività logistiche?

di Deborah Appolloni

Aumenta la richiesta di soluzioni green da parte della committenza, ma i fornitori di logistica e di autotrasporto sono disorientati e mettono in campo diverse soluzioni nel tentativo di trovare l’investimento più adatto a sopravvivere in un mare agitato anche da scossoni geopolitici. Il tempo stringe e le aziende si ritrovano a dover scegliere metodi di calcolo e certificazioni senza standard univoci, ancora non rilasciati dall’Ue. Il rischio è che il «bollino» ESG si traduca solo in un inutile costo

Qui i tentennamenti derivano anche da situazioni geopolitiche ed economiche. Infatti, lo schema individuato e ritenuto come l’unico possibile fino a qualche mese fa, è destinato a essere rimesso in discussione e (forse) a portare a sviluppi inaspettati. La nuova Commissione guidata da Ursula Von Der Leyen appare meno orientata a difendere a spada tratta il Green Deal nato in tutt’altro clima nel 2019, quando in Europa non c’era stata una pandemia e due guerre che hanno ridisegnato le catene di approvvigionamento delle materie prime (anche energetiche) e gli equilibri geopolitici. Ora che la Cina spinge l’acceleratore sui veicoli elettrici e sul GNL, grazie al gas acquistato a buon mercato dalla Russia, che al Pentagono sta per tornare Donald Trump che non ha mai nascosto l’avversione per le politiche green,

ConriferimentoaltrasportosustradaFTL (acaricocompleto),qualisonoidatielementariutilizzati dalla sua azienda nel calcolo della CO2edelleproprieattività?

anche l’Europa, colpita dal crollo delle vendite dei veicoli elettrici, è costretta a rivedere l’approccio per rimanere competitiva, come ha fatto capire Mario Draghi nel Rapporto presentato in Europa qualche mese fa. Insomma, non è un caso che si susseguano da ogni parte appelli a favore della neutralità tecnologica per la transizione green del settore automotive, mezzi pesanti compresi. Sono stati gli stessi ministri Urso e Salvini a farsi portavoce in Europa per una revisione rapida degli obiettivi di decarbonizzazione affidati in prima istanza esclusivamente all’elettrico, un percorso che appare ancora più in salita per il trasporto pesante, tecnologicamente più indietro rispetto alle auto. Così le scelte in fatto di carburante dei trasportatori italiani sono diverse «per sfruttare la vita utile del singolo mezzo – spiega il Polimi – e per adattarsi alla tipologia del servizio tenendo conto, per esempio, della tipologia dei viaggi e della disponibilità delle fonti di ali-

mentazione». Secondo lo studio, tra le tecnologie green l’HVO e il B100 (biodiesel) – quest’ultimo soprattutto nel caso di trasporti internazionali – sono tra le soluzioni più mature anche grazie alla compatibilità con i motori diesel. Cresce l’uso del bioCNG su scala locale e del bioLNG sulle lunghe distanze, mentre l’elettrico risulta più diffuso nell’urbano, molto meno tra gli autoarticolati. La risposta alla sostenibilità passa anche attraverso la revisione di processi, la riorganizzazione dei flussi e la collaborazione di filiera. Secondo l’Osservatorio del Polimi, nel trasporto si evidenzia una grande spinta verso l’ottimizzazione dei processi e degli asset con la riduzione dei ritorni a vuoto e soluzioni che permettono carichi maggiori. Inoltre, si spinge sull’intermodalità e sulla ottimizzazione della rete in termini di localizzazione dei siti e riduzione delle distanze. Fa capolino anche il fattore S, ovvero la sostenibilità sociale: complice la difficoltà a reclutare personale, le aziende di logistica e autotrasporto stanno lavorando sull’attrattività del settore, con iniziative per le scuole o di comunicazione, ma soprattutto con progetti rivolti ai dipendenti che vanno da progetti per favorire il bilanciamento vita-lavoro come orari flessibili e smart working, miglioramento dei luoghi di lavoro con aree relax e altri servizi, fino ad up grade tecnologici: l’89% delle aziende sta affrontando un processo di digitalizzazione anche per aumentare la propria attrattività sui dipendenti con progetti volti a elevare la sicurezza a bordo dei mezzi o ad alleggerire il lavoro manuale nei magazzini.

Ma come si misurano i miglioramenti?

Anche qui la situazione appare ancora poco omogenea. Sempre stando alla ricerca del Polimi, nell’ultimo anno il 40% dei top player della logistica ha presentato, spesso su base volontaria, un bilancio di sostenibilità relativo all’an-

Conqualeintensitàda1(=bassa)a5(=alta)lasuaaziendastaattualmentelavorandosulle seguentiareeinotticadiriduzionedell’impattoambientaledelleproprieattivitàlogistiche?

no fiscale 2023. Dall’analisi di questi documenti emerge una eterogeneità di impostazione: solo il 62% dei bilanci è redatto seguendo gli standard internazionali (GRI – Global Reporting Initiative), il 21% è composto da documenti meno strutturati e focalizzati solo sull’elemento ambientale. Anche per la misurazione dell’impatto ci sono approcci diversi con la maggior parte (59%) delle aziende che esegue il calcolo una volta all’anno in vista del bilancio, mentre il restante lo calcola ogni tre mesi. Come? Per lo più

con software di calcolo che risultano alimentati da dati medi di consumo in funzione delle caratteristiche del singolo viaggio. L’uso di dati primari, ovvero rilevati direttamente sul servizio in corso, sono ancora rari, ma stanno crescendo. Si è inoltre in attesa che la Commissione europea approvi i metodi di calcolo universali che dovrebbero uniformare la misurazione dei progressi. Infatti, senza un riferimento univoco il rischio è di ridurre gli sforzi delle aziende a un «bollino» a pagamento, ovvero a un costo in più.

Il quaderno 32

IL DECALOGO DEL FLC PER LA RIVOLUZIONE SILENZIOSA

Una guida alla transizione ESG quella contenuta nel Quaderno 32 del Freight Leaders Council. «Adeguarsi non è semplice, ma un’integrazione strategica dei principi ESG trasforma la sostenibilità in un motore di crescita – ha spiegato il presidente Massimo Marciani. Le aziende che sapranno trasformare la propria supply chain secondo questi criteri saranno più competitive e attireranno investitori sempre più attenti ai valori etici». Ecco le 10 raccomandazioni pratiche per le aziende.

1. Ripensare i modelli di business. Includendo l’economia circolare lo sviluppo di servizi logistici che favoriscano la sostenibilità a lungo termine.

2. Investire in innovazione tecnologica. Con adozione di veicoli elettrici o a biocarburanti, l’implementazione di sistemi di monitoraggio energetico e l’uso di software per l’ottimizzazione delle rotte.

3. Migliorare la gestione del capitale umano. Con politiche che promuovano la sicurezza, la formazione, il benessere e la crescita professionale dei dipendenti.

4. Collaborare con stakeholder e partner. Ovvero promuovere la logistica collaborativa.

5. Monitorare e rendicontare le performance ESG. Con la valutazione delle strategie e la comunicazione dei risultati in modo trasparente.

6. Integrazione strategica dei criteri ESG a lungo termine. Con l’obiettivo di migliorare in reputazione e resilienza.

7. Trasparenza. Attraverso l’adozione di standard riconosciuti a livello internazionale.

8. Formazione e sviluppo delle competenze. Investendo nella formazione dei dirigenti e dipendenti.

9. Innovazione e miglioramento continuo. Anche attraverso stimoli provenienti dal settore pubblico sottoforma di contributi (es. industria 5.0).

10. Collaborazione all’interno della filiera. La condivisione delle migliori pratiche e la cooperazione su progetti comuni possono accelerare il progresso verso obiettivi di sostenibilità più ambiziosi.

Ilquaderno32sipuòscaricaregratuitamenteall’indirizzo:www.freightleaders.org/i-quaderni

Osservatorio

DAL BILANCIO ALLA RENDICONTAZIONE: ECCO LA CERTIFICAZIONE

DI FILIERA

Grandi società quotate con oltre 500 dipendenti (già soggette alla direttiva NFRD), incluse grandi società quotate extra-UE con più di 500 dipendenti e filiali nell’UE. Il bilancio sostenibilità dovrà essere pubblicato da gennaio 2025.

Dalbilancio di sostenibilità alla rendicontazione consolidata di sostenibilità, parte integrante della relazione dibilancio. Sembra un banale sinonimo, invece, dietro alla nuova compliance alla transizione green, c’è un grande passo verso il coinvolgimento della filiera.

Ilnuovo percorso comincianel 2019 quando l’Europa approva il Green Deal con l’obiettivo di raggiungere la neutralitàclimatica entro il 2050. Da questo pacchetto di novità, emerge la direttiva 2022/2464, ovvero la Corporate Sustanibility ReportoringDirective (CSRD) che manda inpensione la NFRD (254 del 2016) che aveva introdotto il bilancio di sostenibilità, una dichiarazione di carattere non finanziario che camminava parallela al bilancio economico e si limitava a raccontare le pratiche messe in atto delle imprese sul versante ESG, ovvero sulpiano di sostenibilità ambientale, sociale e di governance, individuando percorsi virtuosi per ridurre l’impatto e mirare a maggiore eticità dei rapporti

Grandisocietànonquotate(nonsoggetteallaNFRD),con pubblicazionedelbilanciosostenibilitàdagennaio2026.

LA VIA ITALIANA

Con la nuova direttiva si compie un notevole passo avanti in quanto la rendicontazione di sostenibilità diventa parte integrante della relazione sulla gestione, allegata al bilancio, nella quale si chiede di dare conto non solo della situazione aziendale attuale, ma anche direndere noti gli obiettivi futuri in termini di ESG e ilpercorso individuato per raggiungerli La norma indica purecome redigere questo documento secondo un formato unico europeo costituito da standard ESEF (European F Sustanibility Reporting y Standard) e impone la pubblicazione sul sito web dell’azienda Gli Stati membri erano obbligati a recepire questa direttiva entro il 6 luglio di quest’anno: l’Italia l’ha fatto con un po’ di ritardo attraverso ildecreto legislativo 125 del 10 settembre 2024 che 4 ha ampliato il raggio d’azione rispetto alla normativa Ue, con i nuovi principi europei che diventano lo strumento unico e univoco per rendicontare impatti, rischi ed effetti finanziari, derivanti dall’attività dell’impresa e dalle sue relazioni commerciali per i fattori Environmental, Social e Governance (ESG).

STANDAR D PER TUTTA

LA FILIERA

Di fatto, sulla carta, i nuovi standard obbligatori (per ora) non toccheranno le piccole aziende, quelle con meno di 50 dipendenti, con fatturato inferiore a 10 milioni di euro e un patrimonio inferiore a 5 milioni, ma nella pratica la rivoluzione coinvolgerà da subito tutta la filiera, perché la normativa europea chiede alle grandi realtà di dare conto delle pratiche di sostenibilità condotte da fornitori e distributori Così l’Europa è venuta incontro anche alle piccole realtà e sta lavorando a una direttiva che diffonderà i VSME (Voluntary Standard y for Small and Medium Enterprises), standard volontari sviluppati dall’EFRAG (European Financial ReportingAdvisory Group) per rispondere alle esigenze delle PMI, fornendo uno strumento univoco per misurare la sostenibilità delle attività e poterne dare conto ai committenti. Tornando alle novitàdella direttiva CSRD, saranno obbligatorie già dall’eserciziofiscale 2024 da presentare entro primavera 2025 per le large companies di interesse pubblico, ovvero i

La direttiva CSRD, recepita in Italia con decreto legislativo dello scorso settembre, introduce l’obbligo per le grandi e medie realtà di rendicontare la sostenibilità attraverso standard comuni e inserire le informazioni nella relazione del bilancio. Inoltre, le nuove norme estendono la responsabilità dei vertici anche alla compliance dei fornitori e distributori. In arrivo i nuovi standard VSME per le piccole aziende escluse dall’obbligatorietà

player che operano in settori fondamentali per il Paese come l’energia, le infrastrutture e la difesa e superano i 500 dipendenti. Dal 1° gennaio 2025, quindi per il bilancio da presentare a consuntivo nel 2026, saranno coinvolte anche le grandi e medie imprese che, secondo la classificazione europea, presentano almeno due dei tre criteri seguenti: 1) impiegano più di 250 dipendenti; 2) fatturano più di 50 milioni di euro; 3) hanno uno stato patrimoniale superiore a 25 milioni di euro.

Dal 1° gennaio 2026 (con bilanci da presentare nel 2027) entreranno in campo

1 GENNAIO 2026

le PMI quotate, mentre dal 2028 le società figlie e succursali di società extraeuropee.

RESPONSABILITÀ

E CONTROLLO PER

GLI AMMINISTRATORI

Una delle novità più importanti della nuova impostazione riguarda la responsabilità e il controllo delle procedure e dei report che l’impianto normativo della CSRD porta in capo agli amministratori della società, sotto la vigilanza diretta del ministero dell’Economia e delle Finanze e della Consob per le quo-

PMIquotateealtrientidiinteressepubblico,conpubblicazionebilanciosostenibilitàdagennaio2027.LePMIquotate possonobeneficiarediunaprorogadidueanniesarannosoggetteastandardmenorigorosirispettoallegrandiimprese.

tate. Inoltre, la verifica degli standard si estende a tutta la catena del valore in cui le società operano. Questo significa che gli amministratori diventano responsabili della scelta di fornitori e distributori che adottino politiche in linea con i principi e gli standard europei. Il decreto legislativo 125/2024 parla anche di sanzioni in caso di inadempienza rimandando all’impianto sanzionatorio dell’articolo 193 del TUF, il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, che prevede le procedure in caso di falso in bilancio e altri illeciti societari.

1 GENNAIO 2028

Società extra-UE con un fatturato di almeno 150 milioni di eurogeneratoall’internodell’UnioneEuropea,conpubblicazionedelbilanciodisostenibilitàdagennaio2029.

COMPLIANCE ESG: «GRANDE OPPORTUNITÀ ANCHE PER I PICCOLI»

Crescere nel mercato e in competitività tra i benefici immediati. Ma da dove iniziare? «Da un salto culturale – rispondono gli esperti di Economia Pulita – Occorre uscire dalla logica dell’obbligatorietà per guadagnare credibilità e cogliere le opportunità che si stanno aprendo». A partire dal credito agevolato per chi certifica l’impronta ambientale fino alle riduzioni fiscali per chi inquina meno

Unsalto culturale importante per guadagnare competitività e mercato, ma anche un modo efficace per rimanere nella catena delvalore di grandi e medicommittenti, accedere al credito, ottenere agevolazioni fiscali, essere compliance con nuovi adempimenti fiscali La rendicontazione di sostenibilità, introdotta con la direttiva CSRD, non toccherà solo le grandi e medie aziende obbligate ad attuarla, ma ha il potere di espandersi e fluire lungo tutta la filiera delle forniture, fino al più piccolo tassello e di coinvolgere ogni attività della gestioneaziendale (interna ed esterna).«Stiamo parlando diuna rivoluzione – spiega Alessandro Servadei, Presidente di Economia Pulita, societàda anniimpegnatanello studio della transizione ambientale con eventi e attività di formazione (il prossimo convegno è a Roma il 26-27 marzo 2025) – che deve partire necessariamente dal-

la governance, passare attraverso l’aspetto sociale per poi approdare alla sostenibilità ambientale» Il cambio di passo rispetto all’assetto precedente dell’ESG è evidente: il bilancio di sostenibilità era un documento che le aziende potevano produrre di fatto senzastandard e, in molti casi, su base volontaria, mentre con la direttivaCSRDla rendicontazione diventa parteintegrante del bilancio aziendale con criteri per la sua redazione (EFRAG) e, anche per contrastare fenomeni di greenwashing, con la misurazione certificata dei datirispetto ai tre criteri (ESG), la proiezione degli obiettivi e il percorso individuato per ottenerli Inoltre, la normativa Ueimpegna gli amministratori nel farsi garante non solo delle proprie performance, ma anche di quelle di fornitori e distributori che, seppure non obbligati a mettere in atto politiche di ESG, saranno chiamati a conformarsi perrimanere nella catena di valore dei committenti.

La normativaimpegnagli amministratori nel farsi garante non solo delle proprieperformance, ma anche diquelle di fornitori e distributori che,seppure non obbligati a mettere in attopolitiche di ESG, saranno chiamati a conformarsiper rimanere nella catena di valore dei committenti

QUALI VANTAGGI SI OTTENGONO

DALL’ASSECONDARE I PARAMETRI ESG

• Si ha l’opportunità di restare nella filiera e nel mercato di riferimento assecondando le richieste della committenza

• Si ha l’opportunità di accedere al credito in modo facilitato in quanto molti istituti bancari guardano ai parametri ESG per valutare la solidità di un’impresa

• Si rende l’azienda più credibile agli occhi del fisco

«Si tratta di un processo che abbraccia tutta la filiera – sostiene Francesco Montanari, professore ordinario di diritto tributario nell’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara e Coordinatore scientifico di Economia Pulita – Per questo consigliamo alle aziende di non attendere l’obbligatorietà della norma per iniziare a lavorare. Bisogna uscire dai modelli preconfezionati e iniziare per tempo la misurazione dei dati e la valutazione delle procedure interne per arrivare preparati agli appuntamenti normativi, ma anche alle richieste della committenza. Si tratta di una trasformazione necessaria per non perdere competitività e quote di mercato».

Il processo di compliance ESG coinvolge l’intero sistema aziendale e – continua Servadei – «deve poter abbracciare tutte le attività dell’impresa. Partiamo per esempio dalla Governance, la cui revisione deve andare di pari passo con il modello 231, con il codice etico e con altri obblighi organizzativi introdotti di recente dal legislatore, anche per prevenire le crisi, con un lavoro di coordinamento che eviterà duplicazioni di attività e di costi».

«In questa analisi – prosegue il presidente di Economia Pulita – sarà fondamentale il fattore umano (S), atteso che è necessario prevedere

azioni finalizzate ad avere personale formato adeguatamente, un assetto sociale in linea con il bilanciamento vita-lavoro dei dipendenti e guardare alle soluzioni migliori per efficientare e ridurre l’impronta ambientale: senza una governance adeguata e dipendenti formati è molto improbabile avviare una reale transizione ecologica. Come detto, non si tratta solo di adempiere a nuovi obblighi di legge, ma di rimanere competitivi sul mercato anche tramite investimenti in innovazione che migliorano l’efficienza dell’azienda».

Il punto di partenza è la certificazione dei dati. Le grandi aziende obbligate alla rendicontazione dal 2025 (per i bilanci da presentare nel 2026) stanno già avviando al loro interno l’elaborazione delle informazioni relative al 2024, anno benchmark per i bilanci 2025. È un’attività che in futuro sarà condotta sotto la guida del revisore di sostenibilità, nuova figura indicata dalla norma per certificare i dati e a cui sono abilitati d’ufficio i revisori già iscritti all’albo, liberi professionisti o società di revisione. Da qui il passo verso tutta la catena del valore è breve; le stesse aziende, infatti, dovranno verificare anche la condotta in termini di ESG dei propri fornitori e distributori. «Le

piccole imprese non quotate – chiarisce Servadei – non sono chiamate dalla norma alla compliance ESG, ma l’Europa sta comunque lavorando alla definizione di standard volontari (VSME) per uniformare anche le dichiarazioni di tali realtà che entrano nella rendicontazione in qualità di fornitori di servizi: pure per loro questo passaggio diventa una grande opportunità di crescita e di accesso al credito».

I grandi committenti, infatti, si stanno muovendo con richieste puntuali, mirate a definire accordi, a volte tramite clausole contrattuali, con cui ottenere nuove procedure o tecnologie nelle forniture, spesso accompagnati da un sostegno economico per il ricambio mezzi o per il restyling tecnologico. «I vantaggi di questo passaggio – interviene Montanari – sono evidenti anche per realtà non direttamente coinvolte dalla norma. Dobbiamo uscire dalla logica dell’obbligatorietà per guardare ai benefici della compliance: un’azienda in grado di vantare una solida struttura di governance, di sostenibilità sociale e ambientale, è una realtà più credibile per il mercato, per gli investitori e per il fisco». La compliance ai parametri ESG restituisce infatti il beneficio di rimanere nella filiera e nel mercato di riferimento in conformità con quanto richiesto dalla committenza, permette un accesso al credito facilitato in quanto molti istituti bancari prendono in considerazione questi parametri per valutare la solidità di un’impresa e, last but not least, rende l’azienda più credibile per il fisco, anche alla luce dell’evoluzione di strumenti orientati a varie forme di Cooperative Compliance che vede (e vedrà) coinvolte nei prossimi anni un sempre più vasto numero di aziende, nella logica di un nuovo rapporto di fiducia tra amministrazione tributaria e contribuente. «Nell’ambito della fiscalità ambientale stiamo andando verso un nuovo principio – conclude Montanari – al “chi più inquina più paga” si sta sovrapponendo un “chi meno inquina meno paga”. Insomma, davvero un nuovo capitolo.

di Gennaro Speranza

LE NUOVE REGOLE DEL CREDITO «GREEN»

Il futuro dell’autotrasporto passerà sempre più dall’adozione di criteri ESG. Gli istituti bancari, infatti, stanno integrando queste metriche nei processi decisionali, premiando chi investe nella sostenibilità. Mentre chi resta indietro rischia di subire restrizioni

Per le aziende di autotrasporto adottare strategie conformi ai criteri ESG non è più solo una scelta etica, ma un’opportunità per ottenere accesso al credito e mantenere competitività. Gli istituti bancari stanno modificando i propri criteri di concessione del credito integrando gli standard ESG nei processi decisionali, creando condizioni economiche favorevoli a chi decide di abbracciare politiche «green». Ma in che modo un istituto valuta il trattamento da riservare a un autotrasportatore in base al proprio livello di sostenibilità? E chi non possiede una certificazione ESG, come viene trattato? Abbiamo chiesto a Fabrizio Previdi, Brand Director della finanziaria Scania Financial Services, di aiutarci a comprendere meglio queste dinamiche.

«Innanzitutto c’è da considerare il contesto normativo», spiega Previdi. «La Banca d’Italia, che in questo caso funge da soggetto regolatore, ha introdotto l’obbligo per banche, finanziarie, captive e altri intermediari di integrare gli indicatori ambientali, sociali e di buona governance nella concessione del credito e nella valutazione del portafoglio clienti, sia di quelli esistenti che dei prospect. Da qui non si scappa: l’intero mercato si sta orientando verso questa direzione, senza alternative. Tutte le istituzioni che erogano denaro devono adeguarsi».

Ma se la direzione è chiara, lo è anche il percorso per uniformarsi. «Abbiamo un piano approvato dal nostro Consiglio di amministrazione – continua Previdi – in cui abbiamo deciso di svolgere, tramite fornitore terzo, un’analisi approfondita

del nostro portafoglio clienti, basata su voci di bilancio, certificazioni e altre informazioni rilevanti. L’obiettivo è di ottenere una valutazione di quanto i nostri clienti siano ESG compliant. Il passo seguente sarà integrare il rating ESG nelle politiche commerciali e di credito. Attualmente, siamo in una fase embrionale, ma entro fine 2025 l’obiettivo è di utilizzare questo rating come parametro per la valutazione e la quotazione dei clienti».

Seguendo tale flusso, quindi, le aziende di autotrasporto con punteggio elevato di adesione agli obiettivi ESG potranno accedere ad agevolazioni finanziarie e crediti a condizioni vantaggiose, men-

tre un’azienda lontana dai criteri ESG (magari con flotta obsoleta) potrebbe vedersi negare finanziamenti o ottenere condizioni più restrittive. «Questo sarà l’ultimo step della catena», aggiunge Previdi. «È chiaro che i trasportatori che utilizzano prodotti efficienti e sostenibili, come per esempio la gamma di veicoli Super di Scania, partono avvantaggiati. Ma ipotizziamo di avere a che fare con una società non legata al trasporto, magari che opera in conto proprio e con elevato impatto ambientale: in quel caso le nostre policy di credito potrebbero diventare molto più rigide in futuro».

Meglio ben accompagnati che soli

SCANIA SUPPORTA CASARIN NEL PERCORSO ESG

Ridurre le emissioni di CO2, investire nell’acquisto di camion con carburanti alternativi, formare i propri autisti attraverso corsi di guida ecosostenibile. È questa la ricetta per la transizione portata avanti dall’azienda trevigiana Casarin, da sempre attenta alle tematiche ESG, che in questo percorso ha trovato in Scania un alleato fondamentale per trasformare la propria visione «green» in soluzioni concrete. La collaborazione con Scania ha permesso a Casarin di rinnovare il proprio parco veicoli con l’introduzione di 20 Scania Super alimentati ad HVO, in grado di ridurre le emissioni di CO2 fino al 90%. Oltre ai mezzi, l’azienda ha investito in corsi di EcoGuida per i propri autisti, organizzati con il supporto di docenti Scania. Investimenti strategici che non solo migliorano la sostenibilità ambientale, ma, proprio in ottica di rating ESG, rendono anche più attrattiva l’impresa agli occhi di investitori e banche.

LL'A 'A L'A

L’Agenda di dicembre 2024

A cura di Anna De Rosa

• Import: ecco lo sdoganamento centralizzato

• Le semplificazioni del decreto Flussi

• 2025: domande per lavoratori stranieri

• Corte UE: stop al rientro dei veicoli

• 2025: la quota da pagare all’Albo

• Limitazioni al transito in Tirolo

• Al via la patente digitale

IMPORT: LO SDOGANAMENTO CENTRALIZZATO

Agenzia delle Dogane, Circolare

L’Agenzia delle Dogane ha fornito alcuni chiarimenti in tema di attivazione della procedura di sdoganamento centralizzato all’importazione. Vediamo i principali punti.

Oggetto: il regolamento UE (n. 952/2013 art. 179) ha previsto una nuova forma di sdoganamento delle merci in arrivo e in partenza dal territorio dell’Unione.

Dichiarazione: le autorità doganali possono autorizzare un interessato a presentare all’Ufficio doganale competente del luogo in cui il richiedente è stabilito, una dichiarazione in dogana per le merci presentate presso un altro Ufficio doganale. La procedura è dunque semplificata e consente di:

• presentare la dichiarazione doganale presso l’Ufficio doganale dello Stato membro in cui la società è stabilita cosiddetto Ufficio doganale di controllo;

• presentare le merci in un Ufficio doganale posto in uno Stato membro diverso, cosiddetto Ufficio doganale di presentazione.

Per poter applicare tale procedura semplificata, il richiedente deve possedere lo status di operatore economico autorizzato per le semplificazioni (AEOC) e deve essere autorizzato alla procedura dall’Ufficio doganale dello Stato membro dove è stabilito.

Tempi: dal 1° luglio 2024 (secondo la Decisione di esecuzione UE

NTO CENTRALIZZAT

2023/2879) gli Stati membri devono dare applicazione al sistema per lo sdoganamento centralizzato all’importazione con scambio di informazioni fra gli uffici doganali tra Stati membri.

879) ganamento zioni membr

Decreto legge n.145/2024

Con questo decreto legge sono state introdotte importanti misure di semplificazione, accelerazione e certezza procedimentale e documentale, sia della funzionalità degli Sportelli unici per l’immigrazione, sia delle parti del contratto di soggiorno per lavoro. Il decreto flussi ha introdotto in particolare alcune innovazioni nelle verifiche relative agli ingressi per lavoro subordinato. Tali accertamenti, infatti, sono ora demandati in via esclusiva ai professionisti iscritti all’albo dei consulenti del lavoro, o iscritti agli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.

Circolare interministeriale del 24 .10.2024

Con questa circolare viene data attuazione alla disciplina (DL 11 ottobre 2024, n.145) che ha introdotto novità in materia d’ingresso in Italia di lavoratori stranieri. Vediamo in dettaglio i principali punti.

In riferimento al lavoro subordinato non stagionale, vie-

Applicabilità: lo sdoganamento centralizzato all’esportazione viene applicato a decorrere da dicembre 2024 ed entro il 2 giugno 2025 vanno implementate le ulteriori funzionalità per merci in ingresso nel territorio unionale.

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Requisiti: l’operatore interessato a ottenere l’autorizzazione allo sdoganamento centralizzato deve essere titolare dello status di AEO per le semplificazioni doganali e presentare l’istanza tramite il sistema CDS (Customs Decision System), inviandola all’Ufficio competente di autorizzazioni nello Stato membro ove lo stesso è stabilito.

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Progetto di autorizzazione: il competente Ufficio, ricevuta l’istanza e verificata l’accoglibilità nei termini previsti dall’art. 22 CDU, predispone il progetto di autorizzazione e avvia la consultazione tramite CDS con gli altri Stati membri coinvolti nell’autorizzazione. Nella semplificazione prevista dallo sdoganamento centralizzato, l’operatore economico autorizzato alla procedura, presenta la dichiarazione doganale all’Ufficio doganale di controllo. La procedura prevede che anche le eventuali integrazioni e richieste di rettifica vadano presentate all’Ufficio doganale di controllo.

LE SEMPLIFICAZIONI DEL DECRETO FLUSSI

In caso di esito positivo delle verifiche, i professionisti competenti rilasceranno apposita asseverazione sulla base delle linee guida emanate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, documento che dovrà essere allegato all’istanza di nulla osta al lavoro.

Altra novità riguarda i soggiornanti di lungo periodo UE. Vengono infatti considerate fuori quota le richieste di esercizio di attività economica in qualità di lavoratore subordinato o autonomo, dello straniero, titolare di un permesso di soggiorno UE per soggiornante di lungo periodo rilasciato da altro Stato membro dell’UE e in corso di validità.

2025: DOMANDE PER LAVORATORI STRANIERI

ne confermata anche per il 2025 la quota attribuita per i vari settori, compreso l’autotrasporto di merci per conto terzi (modello B2020).

Per questo settore, in particolare, l’istanza di nulla osta al lavoro subordinato può essere presentata in favore di

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Con questa circolare viene data attuazione alla disciplina (DL 11 ottobre 2024, n.145) che ha introdotto novità in materia d’ingresso in Italia di lavoratori stranieri. Vediamo in dettaglio i principali punti.

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In riferimento al lavoro subordinato non stagionale, viene confermata anche per il 2025 la quota attribuita per i vari settori, compreso l’autotrasporto di merci per conto terzi (modello B2020).

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Per questo settore, in particolare, l’istanza di nulla osta al lavoro subordinato può essere presentata in favore di cittadini dei seguenti Paesi: Albania, Algeria, Marocco, Moldova, Repubblica di Macedonia del Nord, Tunisia e Ucraina. Ai fini dell’effettivo impiego nell’attività di conducente all’interno del territorio nazionale, vengono riconfermate le norme vigenti che stabiliscono che – analogamente a quanto avviene in altri Stati UE – le imprese di trasporto dovranno dimostrare che si siano perfezionati gli adempimenti formativi prescritti per il rilascio della CQC, ai fini dell’abilitazione. Gli adempimenti formativi sono richiesti, per il solo settore del trasporto internazionale di merci per conto terzi, ai fini del rilascio, da parte degli Ispettorati Territoriali del Lavoro, dell’attestato di conducente, contenente il codice unionale armonizzato “95”. I lavoratori, titolari di una patente di guida non comunitaria di categoria C1 e C (anche speciale), nonché delle categorie C1E, CE e in possesso della CQC, sono abilitati a condurre veicoli immatricolati sul territorio italiano, a nome dell’impresa che effettua trasporti, fino a un periodo massimo di un anno dall’acquisizione della residenza in Italia. Decorso tale periodo, è necessario convertire la patente. Se il lavoratore è già in possesso della patente comunitaria e della CQC in corso di validità, la durata del contratto di lavoro potrà essere anche a tempo indeterminato. Il conducente titolare di patente di guida rilasciata da uno Stato non-UE, dipendente da un’impresa stabilita in Italia, può acquisire o rinnovare la qualificazione CQC in Italia, esibendo la ricevuta attestante la presentazione della richiesta di rilascio del permesso di soggiorno. Ai fini dell’ingresso di tali lavoratori, con la richiesta di nullaosta al lavoro, non è necessario documentare il possesso della CQC, ma solo della patente della categoria richiesta. Ovviamente, il lavoratore giunto in Italia privo di tale documento non potrà guidare un veicolo pesante se prima non lo ha conseguito.

Procedura e click day

Per l’anno 2025, i datori di lavoro che accedono con il proprio SPID/CIE al Portale Servizi ALI e qualificati dal sistema come utenti privati, possono presentare fino a un massimo di tre richieste di nulla osta al lavoro per gli ingressi, nell’ambito delle quote. Serve da parte del datore una preventiva verifica presso il centro per l’impiego competente dell’effettiva indisponibilità di lavoratori presenti nel territorio nazionale. Se il centro non comunica la disponibilità di lavoratori presenti sul territorio entro otto giorni dalla

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richiesta del datore di lavoro interessato all’assunzione di lavoratori stranieri residenti all’estero, il datore può dar seguito alla procedura di richiesta del personale. Nel caso in cui un lavoratore sia stato inviato per un colloquio, il datore di lavoro si impegna a comunicare al Centro per l’impiego l’esito della selezione e a comunicare tempestivamente ogni informazione utile ai fini della gestione della richiesta. In particolare, il datore di lavoro si impegna a comunicare la mancata presentazione, senza giustificato motivo, del lavoratore inviato dal Centro per l’impiego, decorsi venti giorni lavorativi dalla data della richiesta di personale ovvero la non idoneità accertata durante la selezione, indicando anche se l’inidoneità sia conseguente al rifiuto da parte del lavoratore della proposta contrattuale. Il verificarsi delle condizioni e circostanze deve risultare da un’autocertificazione che il datore di lavoro dovrà allegare alla domanda di nulla osta al lavoro. Anche per l’anno prossimo le quote pluriennali previste saranno ripartite con apposita e successiva circolare tra gli Ispettorati territoriali del lavoro, Regioni e Province Autonome, dalla Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, tramite il sistema informatizzato SILEN, sulla base delle effettive domande che perverranno agli Sportelli Unici per l’Immigrazione delle Prefetture e in base al fabbisogno segnalato a livello territoriale. Per l’anno 2025, i datori di lavoro che intendono presentare richiesta di nulla osta al lavoro e hanno già precompilato i moduli di domanda sul Portale servizi ALI, (https://portaleservizi.dlci.interno.it/), possono partecipare al click day del 5 febbraio 2025 , dalle ore 9,00, e presentare le richieste di nullaosta al lavoro nell’ambito delle quote previste per gli ingressi di lavoratori subordinati non stagionali. Il modello da utilizzare è il B2020 - Nulla osta/comunicazione al lavoro subordinato non stagionale. Nell’home page del Portale online sono inseriti gli avvisi, e dalla voce «Manuale» si possono consultare le Linee guida tecniche di ausilio alla compilazione. Per un supporto tecnico, gli utenti possono accedere al servizio di Help Desk tutti i giorni dalle 8.00 alle 20.00 (compreso fine settimana e i festivi) al link «Scrivi all’Help Desk», rinvenibile nella home page del Portale o accedendo all’ «Help Desk» a fondo pagina.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, in collaborazione con l’Agenzia delle Entrate, verifica in tutto il periodo l’osservanza delle disposizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro e la congruità del numero delle richieste presentate. Gli esiti di tali verifiche saranno comunicati allo Sportello unico competente per le valutazioni in fase istruttoria. Sarà, inoltre, cura degli Ispettorati territoriali del Lavoro registrare, nel sistema informatico dedicato (SPI 2.0), le informazioni nell’ambito del relativo parere di competenza.

CORTE UE: STOP AL RIENTRO DEI VEICOLI

La Corte di Giustizia europea ha emanato un’importante sentenza in materia di «Pacchetto Mobilità». Il ricorso era stato presentato da Lituania, Bulgaria, Romania, Cipro, Ungheria, Malta e Polonia (procedimenti riuniti da C-541/20 a C-555/20). In realtà i punti su cui i ricorrenti chiedevano modifiche erano tanti, ma tutti – tranne uno – sono stati rigettati. Vediamo i dettagli dei singoli argomenti di ricorso.

Divieto di riposo nel veicolo: il divieto per i conducenti di effettuare il periodo di riposo settimanale regolare o compensativo all’interno del veicolo è stato confermato. Lo scopo di questa disposizione è garantire che i conducenti possano fruire di un adeguato riposo in ambienti idonei.

Obbligo di rientro in azienda dei conducenti: per le imprese di trasporto è confermato l’obbligo di organizzare il lavoro dei conducenti in modo tale da garantire il rientro durante l’orario di lavoro ogni tre o quattro settimane alla sede operativa dell’impresa o al luogo di residenza, per trascorrervi almeno il periodo di riposo settimanale regolare o compensativo.

Cabotaggio e periodo di raffreddamento: è confermato il periodo di attesa di quattro giorni, detto anche «di raffreddamento», durante il quale il veicolo è tenuto a uscire dal Paese in cui ha effettuato le operazioni di cabotaggio consentite e durante il quale non può rientrarvi. Il fine della prescrizione è quello di evitare abusi nelle operazioni.

Classificazione dei conducenti: è confermata la classificazione dei conducenti come «lavoratori distaccati» in determinate condizioni. Ne consegue da parte loro l’obbligo di rispettare le normative di diritto del lavoro del Paese ospitante.

Installazione di tachigrafi intelligenti: è confermato il termine di fine anno per adempiere all’obbligo di installazione dei tachigrafi

intelligenti di seconda generazione. Obbligo di rientro dei veicoli ogni otto settimane: questo è l’unico punto su cui la Corte ha concesso un’apertura, in quanto ha ritenuto che «il Parlamento e il Consiglio non hanno dimostrato di aver avuto a disposizione informazioni sufficienti al momento dell’adozione di tale misura per consentire loro di valutarne la proporzionalità». Vale a dire, lo hanno approvato, ma non si capisce bene per quali motivazioni. Ne deriva che l’obbligo di rientro dei veicoli ogni otto settimane non è più in vigore e quindi non va rispettato.

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2025: LA QUOTA DA PAGARE ALL’ALBO

Con questa delibera, il Comitato centrale dell’Albo nazionale degli autotrasportatori ha determinato la quota di iscrizione all’Albo per le imprese di autotrasporto di merci in conto terzi per il 2025.

L’importo delle quote è lo stesso del 2024 e va versato entro il 31 dicembre di quest’anno.

La quota è così calcolata:

• una quota fissa di iscrizione di 30 euro dovuta da tutte le imprese iscritte all’Albo;

• una quota aggiuntiva, di entità variabile in relazione alla dimensione del parco veicolare dell’impresa;

• un’ulteriore quota aggiuntiva dovuta dall’impresa per ogni veicolo di massa complessiva superiore a 6.000 kg di cui è titolare l’impresa.

Il versamento della quota deve essere effettuato attraverso PagoPA in due modalità:

1. pagamento quote attraverso sezione sul sito dell’Albo www.alboautotrasporto.it; l’importo da versare è visualizzabile sull’annualità 2024 (sono visualizzabili eventuali annualità pregresse non corrisposte). Le istruzioni sono a disposizione nel Manuale; 2. pagamento on-line: l’utente viene automaticamente reindirizzato sul sito web di PagoPA, sceglie il Prestatore di Servizi di Pagamento (PSP) e può pagare in tempo reale.

Se l’utente ha debiti pregressi ancora da adempiere, deve generare l’avviso di pagamento e pagare una posizione debitoria alla volta. (Per le imprese della provincia autonoma di Bolzano, il pagamento mediante la Piattaforma PagoPA, sarà esclusivamente a

favore della Provincia autonoma). La prova dell’avvenuto pagamento della quota 2025 va conservata

dalle imprese di autotrasporto per eventuali controlli da parte del Comitato centrale dell’Albo e/o delle competenti strutture.

LIMITAZIONI AL TRANSITO IN TIROLO

Il Land Tirolo ha pubblicato l’elenco delle giornate del primo trimestre 2025 in cui verrà applicato il «sistema di dosaggio» sui veicoli pesanti provenienti dalla Germania in transito sull’autostrada A12 Inntal nell’area del valico di frontieraKufstein/Kiefersfelden - asse del Brennero - e diretti a sud. Verranno determinate e rese note anche le ulteriori date di dosaggio per i mezzi pesanti per il 2025.

La pianificazione del calendario dovrà tenere conto della costruzione del ponte Lueg sull’autostrada del Brennero A 13, per cui la concessionaria autostradale ASFINAG sta ragionando sulle misure da prendere. Infatti si prevede un traffi-

co pesante particolarmente intense sul corridoio della Valle dell’Inn. ll filtro dei veicoli pesanti ammette fino ad un massimo di 300unità/h, sarà attivo dalle ore 5:00 nelle seguenti date del 2025:

• martedì 7 gennaio

• lunedì 3 febbraio

• lunedì 10 febbraio

• lunedì 17 febbraio

• lunedì 24 febbraio

• lunedì 3 marzo

• lunedì 10 marzo

AL VIA LA PATENTE DIGITALE

Con questa norma sono stati introdotti i primi tre documenti in versione digitale, vale a dire tessera sanitaria, tessera di assicurazione malattia e patente di guida.

Il portafoglio digitale è collocato all’interno dell’app IO.

Per la tessera sanitaria l’inserimento è automatico. Per la patente, invece, bisogna effettuare l’inserimento nel «portafoglio» dell’app IO dopo aver attivato la sezione Documenti. L’utente può utilizzare volontariamente questo servizio, per ora riguarda solo un ridotto numero di interessati, scelti seguendo un criterio di rappresentatività territoriale e anagrafico ma dal 4 dicembre in poi, il portafoglio digitale sarà attivabile da tutti.

La patente di guida in versione digitale per legge vien definita un documento equipollente della carta di identità che serve esclusivamente per soddisfare l’obbligo di esibizione da

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parte dei conducenti dei veicoli durante la circolazione. La si potrà usare quindi in caso di controllo, nel senso che il conducente può esibirla tramite il proprio smartphone al posto della patente cartacea o plastificata, quando verrà fermato per un controllo su strada. La mera esibizione dovrà essere accettata dagli agenti di controllo. In ogni caso, però, gli stessi agenti potranno, laddove lo ritengano necessario, effettuare una verifica dell’esistenza e della validità della patente consultando l’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida. Se il titolare della patente incorre in una sanzione che comporta il ritiro della patente, non potendo ovviamente essere ritirata la versione digitale, chi accerta la sanzione potrà richiedere al titolare l’esibizione e quindi la consegna della patente cartacea.

COSTIDIGESTIONE OTTOBRE2024

Nel mese preso a riferimento, si è registrata una lieve riduzione del costo dei carburanti, in termini ponderati, mentre è proseguita la volatilità del prezzo, in termini assoluti, derivante, comunque, dal persistere di una forte incertezza nei mercati internazionali del greggio. Come noto, tale situazione è fortemente influenzata dalla difficile situazione politica internazionale e dai conflitti in corso. Si segnala, inoltre, l’incremento del costo del lavoro per l’erogazione della I.C.E. (Indennità di Copertura Economica per ritardato rinnovo CCNL) che fa seguito a quella già avvenuta lo scorso mese di aprile. Al momento non presentano variazioni le altre voci di costo.

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Da sinistra:

Gianluca Re, direttore operativo Car Warranty Group S.p.A. divisione Truck&Bus, e Diego Pellicioli, CEO di ESG Rent SpA

UNA PARTNERSHIP PER L’EFFICIENZA

Evitare i fermi macchina è una priorità per chi opera nel trasporto. Truck Warranty, divisione di Car Warranty Group SpA, attiva da oltre dieci anni nei servizi post-vendita per veicoli, lo sa bene. Di recente ha siglato un accordo con ESG Rent (realtà specializzata nel noleggio di veicoli industriali e commerciali) proprio per rispondere alle esigenze di massima ottimizzazione e produttività. Ne parliamo con Gianluca Re, direttore operativo di Car Warranty Group SpA e coo-ideatore della divisione Truck, e con Diego Pellicioli, CEO di ESG Rent SpA

Iniziamo con una panoramica: chi è

Truck Warranty e quali sono le caratteristiche della vostra garanzia?

Truck Warranty è nata per tutelare i possessori di camion che non possono più usufruire delle garanzie della casa madre, estendo la vita utile dei veicoli oltre le coperture ufficiali. La nostra copertura garantisce un limite di rimborso pari al valore commerciale del veicolo fino a 30.000 euro. Le parti incluse coprono tutte le parti meccatroniche del veicolo: monoblocco, centraline, sospensione, trasmissioni, frizione, impianto frenante, rallentatore idraulico e altre molte dotazioni (sistema NOX, valvola AdBlue, FAP, compressore aria, alternatore, ecc.). Non abbiamo un limite di età del veicolo durante l’estensione della garanzia, ma con un chilometraggio massimo fino a 1.200.000 km. Il punto di forza del servizio è la capacità di rispondere in maniera rapida alle richieste di intervento, garantendo una gestione ottimale delle riparazioni e tempi di fermo ridotti al minimo.

Diego Pellicioli Ceo di ESG Rent, in cosa consiste la partnership con Truck Warranty?

L’accordo con Truck Warranty è stato pensato per essere duraturo e non limitato a interventi occasionali, c’è stata sinergia fin da subito. La nostra azienda, specializzata nel noleggio e proprietaria di una flotta di migliaia di veicoli, aveva bisogno di un prodotto su misura. Così abbiamo lavorato per sviluppare una garanzia personalizzata, che rispondesse alle nostre esigenze operative e fosse affiancata da un servizio rapido ed efficace. Un aspetto chiave di Truck Warranty è la capacità di problem solving: quando un veicolo entra in officina, entro pochissimo tempo è in lavorazione e non resta fermo per giorni evitando così il fermo macchina, cosicché torni operativo nel più breve tempo possibile.

Come è nata la vostra collaborazione con Truck Warranty?

La partnership è nata tramite conoscenze comuni ed è stato subito amore

a prima vista, grazie alla professionalità e serietà di Gianluca Re.

Il valore aggiunto di Truck Warranty rispetto ad altri competitor?

La semplicità e la velocità sono due caratteristiche peculiari dell’offerta di Truck Warranty. Insieme alla trasparenza da ambo le parti il mix è perfetto per noi.

Pensa che sia un servizio indispensabile per le società di trasporto?

A mio avviso è indispensabile accompagnarsi a professionisti del calibro di Truck Warranty perché risolvono problemi in tempo reale. Sono davvero entusiasta della partnership perché penso sia fondamentale per la nostra flotta e per il nostro futuro. Avere costi certi è importantissimo per i noleggiatori e per chi ha flotte di mezzi pesanti, penso, visti i numeri che abbiamo, è per noi indispensabile un enorme valore aggiunto.

ATTACCO AI TRASPORTI

La direttiva europea NIS 2 è l’occasione per fare un salto culturale per un settore collocato al quarto posto tra le vittime cyber. Nel mirino i grandi gestori infrastrutturali, ma anche le PMI interessate da frodi e ransomware. L’obbligo di comunicazione degli attacchi e compliance scatterà solo per grandi e medie realtà, ma l’analisi della resilienza sarà utile a tutti, anche in vista di un upgrade tecnologico

Unsalto culturale per difendersi dagli attacchi informatici. È quanto richiede la nuova direttiva europea contro il cybercrime – la NIS 2 – recepita in Italia lo scorso settembre con il decreto legislativo 138/2024, contenente una serie di obblighi per aziende di interesse pubblico e grandi e medie realtà concepiti per frenare il fenomeno e per conoscerlo meglio. Infatti, tra i pilastri del processo di compliance da costruire nei prossimi due anni c’è l’obbligo di raccontare e denunciare gli attacchi, oggi il più delle volte taciuti per difendere la reputazione aziendale o per inerzia. Invece, il cybercrime cresce e prende di mira trasporti e magazzini, saliti al quarto posto per numero di vittime nella classifica stilata dall’ultimo rapporto Clusit sugli attacchi informatici nel mondo, cresciuti a livello mondiale nel 2023 dell’11%, ma esplosi in Italia di ben il 65%. È l’effetto di due guerre e, in particolare, della Russia che fa dell’attacco cyber una strategia di pressione sull’Europa.

In aumento è anche la gravità degli attacchi: oggi l’81% è classificato come critico o grave, quando nel 2019 si fermava al 47%. «Il recepimento della nuova direttiva –spiega Emanuele Capra, Cyber Security and Business Continuity Manager di Howden, gruppo globale di brokeraggio assicurativo – è un’occasione per colmare il gap culturale delle aziende, analizzando il livello di resilenza verso questi attacchi in un momento in cui sono particolarmente impegnate in up grade tecnologici, che diventano un rischio se non adeguatamente inquadrati in una logica di difesa da tali attacchi».

Tra le novità più importanti della normativa c’è la responsabilizzazione diretta dei vertici delle società in fatto di sicurezza informatica e il coinvolgimento dell’intera catena di fornitura con la valutazione delle vulnerabilità specifiche di ogni diretto fornitore e la qualità complessiva di prodotti

I SETTORI PIÙ COLPITI DAI CYBER-ATTACCHI

Industria

Target multipli

Gov / Mil / Le Trasporto / Stoccaggio

Sanità

Professionale / Scientifico / Tecnico

Organizzazioni

Arte / Intrattenimento

Finanza / Assicurazioni

Vendite Ingrosso / Dettaglio Educazione

Energia / Servizi

Altri Servizi

Notizie / Multimedia

Edilizia

Ospitalità

GLI ATTACCHI IN ITALIA CRESCONO DI PIÙ CHE NEL MONDO

e pratiche di cybersecurity, non solo per i fornitori ICT, ma per tutti quelli ritenuti «critici». Quindi, come per la compliance ESG (si veda articolo a p.30), entra in campo il controllo da parte dei big di tutta la filiera, a cascata fino al più piccolo anello. «Le aziende vanno accompagnate in questo percorso – aggiunge Capra – perché oggi appaiono poco preparate avendo scarsa consapevolezza del rischio. È chiaro che i più esposti sono le grandi reti infrastrut-

turali, come porti, aeroporti e autostrade, ma non bisogna escludere il rischio di blocco totale dei sistemi o di frodi». Infatti, tra gli attacchi più frequenti nelle PMI figurano i «ransomware», una forma di ricatto con un’intrusione nei sistemi informatici in grado di bloccarli completamente, mentre arrivano al 20% le frodi online con sostituzione di iban fraudolenti, più diffuse nelle supply chain internazionali.

dicembre

L’ELETTRICO ECL

Il frontale dall’aspetto frizzante che da anni viene associato a Renault, sull’ E-Tech viene inclinato di 3/4 gradi e profilato in modo da renderlo maggiormente in grado di fendere l’aria e ridurne l’impatto aerodinamico.

Il Renault E-Tech dispone di tre motori elettrici calettati sui tre alberi primari del cambio Opticruise a 12 rapporti, in posizione centrale e dunque in mezzo ai longheroni del telaio, mentre sotto al tunnel il motore cede il posto alle centraline e ai cablaggi. Monta sei pacchi batterie da 90 kWh l’una per un totale di 540 kWh, equivalenti a circa 300 km di autonomia

ETTICO

Siamo andati a conoscere

E-Tech T da vicino e, qui in video, potete trovare le nostre impressioni

Il pesante della losanga in versione elettrica si presenta sportivo e dinamico, con una livrea di sapore molto tecnologico. Ma alla fine, dopo averci trascorso del tempo insieme, ti viene voglia di assecondarlo, di godere della sua voce soffusa, di tirare il fiato e prendere consapevolezza che il futuro non arriva necessariamente accelerato

Seper la versione a gasolio il nome assegnato al Renault T 480 Turbocompound era Hugo, omaggio a Victor Hugo (lo trovate nel numero 383), nella versione elettrica la scelta del nome appare ovvia. Perché il più celebre scrittore francese mi sembra sia coerente con l’eclettismo che contraddistingue il marchio della losanga, riproposto nella versione elettrica e presente nell’aspetto più scolpito della cabina.

Renault E-Tech, la versione elettrica del pesante Renault Trucks e mio compagno di questa prova, si rivela da subito un personaggio sportivo e dinamico: come la versione a gasolio, è in grado di affrontare qualunque sfida con una particolare spinta di energia positiva anche verso l’ambiente.

Compromesso e adattabilità sono le parole chiave per approcciarsi correttamente alla nuova epoca che impone un nuo-

Guidare in elettrico significa godere del piacere del silenzio. Ma significa anche adattare lo stile di guida, sfruttando meglio la tecnologia a disposizione, assecondarla per riuscire a trarre il massimo dal veicolo e, magari, rigenerare energia per allungare l’autonomia. Una guida meno spinta, meno frenetica e più rispettosa dei nostri ritmi

vo modello di relazione tra autisti e veicoli elettrici. A chi guida, infatti, è richiesto di rivedere lo stile di guida e la pianificazione dei viaggi in modo che l’autonomia ridotta (rispetto ai pieni di gasolio, si intende) non diventi un ostacolo, ma un modo naturale di concepire il trasporto pesante fatto di strategia, ottimizzazione e tempi più lenti, ma anche più rispettosi dell’ambiente e, in un qualche modo, anche dell’autista.

Insomma, non può più funzionare una relazione di sudditanza dove uno chiede e l’altro offre tutto se stesso; ora è il momento di partecipare a un dialogo continuo, riscoprendo una serie di aspetti che non si pensava di avere.

CAMBIARE PER MIGLIORARE

Guidare in elettrico significa godere del piacere del silenzio, un po’ come quando hai una serata libera dalla famiglia e ti stupisci

di quanto sia piacevole un momento di silenziosa solitudine. In cui ti accorgi che sei così abituato al brusio costante, che la totale assenza di rumore suona quasi poetica.

Ma significa anche adattare lo stile di guida, sfruttando meglio la tecnologia a disposizione, assecondarla per riuscire a trarre il massimo dal veicolo e, magari, poter rigenerare energia per allungare l’autonomia.

Una guida meno spinta, che

sfrutta l’inerzia anche grazie al Cruise control adattivo che legge la morfologia della strada, meno frenetica e più rispettosa dei nostri ritmi. E il beneficio ottenuto diventa tangibile la sera, quando scendi dal camion senza troppi gravami accumulati.

La tecnologia, infatti, non va mai subita (sarebbe uno stress enorme!), ma va usata a nostro vantaggio in modo che noi autisti, forti delle esperienze, possiamo concentrarci su ciò che è impor-

Per ricaricare le batterie con una colonnina a corrente continua a 250Kw serve 1 ora e 40, mentre se si dispone di corrente alternata a 43 kw il tempo di ricarica arriva a 7,50 ore.

tante oggi, ovvero leggere le dinamiche stradali e adottare una guida sicura e preventiva. Che la direzione delle case sia quella di raggiungere gli obiettivi europei di sostenibilità ambientale è ormai chiaro, così come è evidente che tante trasformazioni dovremo assimilarle e farle nostre per non soccombere a un mercato che ci chiede di essere flessibili e dinamici. Facile a dirsi: ma come si diventa così?

COSA CI INSEGNA L’ELETTRICO

Direi che questo è quanto mi ha lasciato Victor in questo test: non tanto il tecnicismo, non la novità in senso assoluto, quanto il senso di trasformazione inevitabile che stiamo vivendo a partire dalla nostra quotidianità e quanto essere eclettici – appunto – oggi più di ieri sia un vantaggio enorme. Il sapersi adattare agli eventi con spirito critico, ma anche con curiosità ed entusiasmo, portando la nostra conoscenza e la tecnica al servizio del nuovo. Perché in fondo è questo il lato bello e interessante del nostro lavoro, scoprire come ogni cosa imparata possa essere utile in

La nuova scaletta integrata nel nuovo design aerodinamico per gestire al meglio l’energia elettrica.

Renault sceglie di installare di serie i radar di rilevamento degli ostacoli introdotti per legge da luglio 2024, ma su entrambi i lati. Aggiunge poi la videocamera di affiancamento lato passeggero e il rilevamento degli ostacoli frontale. Le nuove telecamere sostitutive degli specchi faranno la loro apparizione nel 2025, quando troveranno posto, con equipaggiamento di serie, non soltanto sulla versione elettrica, ma anche sul Renault Trucks T e T High (in opzione su C, K ed E-Tech C). Il loro minor ingombro consente di contenere l’impatto aerodinamico e di contribuire a ridurre il consumo di carburante. Le telecamere posteriori, a scomparsa, saranno collegate a due schermi in cabina (si vedono nella seconda foto) per visualizzare l’ambiente circostante il veicolo, e comprendono anche la modalità a infrarossi che serve a migliorare la visione notturna. Re m o st a tro v Tr u ro di no c

qualche modo anche in un’epoca diversa dalle nostre, capire che possiamo imparare ancora tanto e padroneggiare con consapevolezza la nostra materia (quindi nel nostro caso la guida) ci rende più professionali e soddisfatti.

Quindi sicuramente meno mostri agli occhi degli altri.

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IL RENNAUAULT T E T -TEC E H T

2025: CON L’E-AXLE IL RENAULT E-TECH T RAGGIUNGE I 600 KM DI AUTONOMIA

Avanti a passi costanti. Renault Trucks dopo aver perfezionato in vario modo il suo pesante stradale, lo renderà nel 2025 sempre più pronto a sostenere anche il lungo raggio. Nei prossimi mesi, infatti, troverà posto in listino il nuovo trattore stradale Renault Trucks E-Tech T con un’autonomia aumentata fino a 600 km con una sola carica. Praticamente un raddoppio rispetto a oggi, consentito dall’integrazione del nuovo assale elettrico e-axle, capace di integrare gli elementi del sistema di trasmissione (motori elettrici e trasmissione) nella parte posteriore del veicolo, in modo da lasciare tra i longheroni lo spazio sufficiente per ospitare pacchi batteria ulteriori. In ogni caso questo salto in avanti non farà terra bruciata, nel senso che Renault Trucks continuerà a offrire anche le altre versioni di autonomie, configurazioni ed equipaggiamenti in modo da andare incontro a un ventaglio più ampio di esigenze.

«Riteniamo che un’autonomia di 600 chilometri con una sola carica, insieme allo sviluppo di reti di infrastrutture pubbliche di ricarica entro il 2026, in particolare grazie alla nostra joint venture Milence, ci consentirà di raggiungere l’equivalenza operativa con le tecnologie diesel che i nostri clienti si aspettano», constata soddisfatto Emmanuel Duperray, senior vicepresident della Mobilità Elettrica di Renault Trucks. «Questo approccio ci permette già di ottenere percorrenze giornaliere superiori ai 700 chilometri con il nostro Renault Trucks E-Tech T di serie». In ogni caso ci tiene a sottolineare che la casa francese non intende «partecipare alla corsa sull’autonomia di una ricarica». Per il semplice motivo che «batterie sovradimensionate penalizzano il carico utile, aumentano il costo totale di esercizio e aggravano l’impronta ambientale. Un autocarro elettrico è più costoso per natura rispetto a un veicolo a combustione. Dobbiamo ripensare la logistica carbon-free, riconsiderando i piani di trasporto per intensificare l’uso dei mezzi e ridurre il costo per chilometro».

IL NOLEGGIO IN VERSIONE 5.0: ECCO COME CAMBIA VRENT

Da qualche mese al timone del principale operatore di noleggio del Paese c’è Roberto Improta, chiamato a solidificare le fondamenta di una società cresciuta molto e in fretta. E intende farlo con una riorganizzazione aziendale costruita con forti dosi di informatica e con l’analisi di tutti i dati raccolti tramite una flotta di 3.000 veicoli. E intanto apre una divisione dedicata al trasporto refrigerato

Prendete una sapida capacità consulenziale, apparecchiata in contesti industriali e di servizio, allo scopo di fornire gusto in ogni attività. Poi guarnitela con una generosa dose di informatica, dopo averla lasciata insaporire in un condimento a base di IT operations. Alla fine, innaffiate il tutto con elettronica per stimolare una digitaltransformation in grado di far lievitare efficienza ed efficacia e lasciare in bocca un persistente retrogusto di innovazione. La ricetta con cui Roberto Improta, in veste di CEO, intende impiattare Vrent e VFM Technik è tutta qui: nelle sue esperienze professionali – comprese quelle in IBM quale responsabile delle operazioni legate all’intelligenza artificiale – e nelle sue competenze, costruite in mondi distanti dall’automotive. Ma per creare un amalgama equilibrata ha dalla sua tre

punti di forza.

Il primo: come ogni bravo chef sa rendere gustoso ogni piatto sulla base di quanto offre la dispensa. La differenza,

NUMERI PER CAPIRE

cioè, non la fa il contenuto (cioè il settore di attività dell’azienda), ma il contenitore (cioè l’organizzazione con cui la si costruisce).

di Daniele Di Ubaldo

Il secondo: la digitalizzazione, ingrediente di moda in ogni ristrutturazione aziendale, nel suo caso non suona vuoto come un tormentone culinario, un po’ com’era la rucola negli anni Ottanta. Qui la bontà della materia prima, evidente nei suoi trascorsi professionali, è di per sé garanzia di concretezza.

La terza: Improta è giunto in Vrent soltanto da 7-8 mesi, poco prima che questa società, fondata da Fabio Telese, festeggiasse il suo sedicesimo compleanno. Ma questi mesi deve averli trascorsi in modo accelerato. Lo si desume dalla quantità di dati che snocciola, dalle visioni di mercato che proietta, dalle azioni riorganizzative che intende realizzare.

Partiamo da qui: perché riorganizzare una società che funziona?

Perché in realtà siamo a un passaggio critico: abbiamo raggiunto volumi importanti sia in termini di flotta, sia di dipendenti. Quindi, o facciamo in modo che le fondamenta diventino solide e permettano di continuare a crescere, oppure l’azienda potrebbe rischiare di essere schiacciata da se stessa. La lungimiranza dell’imprenditore sta proprio qui: scegliere professionalità in grado di permettere un’evoluzione e una riorganizzazione di cui mi sto facendo carico.

Qual è l’obiettivo di questa azione?

Vrent ha vissuto una crescita esponenziale conservando però un forte impulso padronale. Adesso l’obiettivo è di managerializzare e di professionalizzare l’azienda per continuare a garantire una crescita a doppia cifra. A tale scopo non serve sconvolgere l’anima aziendale, ma bisogna efficientare ruoli e processi e far leva sulla digital transformation per fare sì che l’innovazione – già fattore fondante dell’impresa – possa continuare a sostenerla.

All’atto pratico cosa cambia in termini organizzativi?

Si passa da un’organizzazione divisionale a una funzionale. In pratica, partendo da un modello in cui tutte le responsabilità operative erano separate, creeremo un unico pilastro operations che condividerà best practices, acquisti e ottimizzazione operativa. Da un punto di vista commerciale unificheremo la responsabilità del pilastro Vrent sotto un’unica direzione che ingloberà le tre aree – ecologia, commercial e industrial – per ottenere sinergie sia da un punto di vista di best practices, sia per mettere meglio a fattor comune quei clienti animati da esigenze che incrociano le varie unit. Infine, l’attività di self-support sarà inclusa nell’unica direzione commerciale, per ridurre ridondanze in termini di gestione con-

trattuale e amministrativa.

Consideriamo un singolo contesto aziendale: come cambierà e con quali vantaggi?

Prendiamo la gestione della flotta, dove si incontrano ottimizzazione di processo e ottimizzazione IT. Immagino che questa funzione diventi una sorta di centrale di controllo, in grado di darci in tempo reale tutti i KPI di profittabilità, di stato di manutenzione dei mezzi, della loro location, di tutto quanto serva ad anticipare problematiche e a capire i potenziali bisogni del cliente. Così creeremo due vantaggi: ridurremo i costi di manutenzione e riusciremo a essere proattivi, potenziando il livello di servizio.

Questo processo riorganizzativo si consuma in un momento in cui il contesto è in transizione. Come si fa a concentrarsi all’interno, mentre fuori tutto cambia?

Il nostro motto – «La tua visione è la nostra strada» – indica il cliente come centro dell’azienda. È questo il nostro occhio sul mercato, ciò che ci permette di capire cosa stia succedendo e quali evoluzioni affrontano i nostri clienti. Il mercato deve essere la bussola: il raggiungimento delle efficienze interne non può essere un processo fine a se stesso, ma va indirizzato alla soddisfazione del cliente.

Le tre figure che, insieme al CEO Roberto Improta (il primo a sinistra), esprimono la leadership di VFM Company: il direttore operativo Roberto Lalla, il direttore commerciale Rent Matteo Loffi e il direttore vendite usati Matteo Signori

LA STRUTTURA DELLE NUOVE BUSINESS UNIT

Che rapporti intrattengono i vostri clienti con la tecnologia e quali esigenze esprimono?

Nel mondo dell’ecologia i clienti stanno diventando sempre più esigenti e pretendono di più dal servizio. La leva importante, al di là del prezzo, è il fattore qualitativo del servizio. Di conseguenza qualsiasi proposta tecnica non è più circoscritta al mezzo, all’equipaggiamento, alle attrezzature, ma contempla tutto ciò che c’è attorno. Prendiamo la manutenzione: il passo in avanti è di immaginare un mondo in cui non sia più il cliente a dover ricordare le date per le revisioni e tagliandi o a preoccuparsi di altri aspetti tecnici, perché l’azienda fornitrice del noleggio diventa una longa manus della sua organizzazione finalizzata a evitare fermi. La chiava di volta con cui leggere le esigenze del cliente è proprio nella gestione del fermo. Inoltre, siccome la raccolta rifiuti è uno dei settori critici segnalati dalla direttiva per la cyber security (NIS 2), ci adegueremo il prima possibile a tale normativa per essere tra i primi della filiera a offrire il servizio di gestione dei dati e di data protection.

L’elettrico in Italia non sfonda. Nemmeno in segmenti, come quello della raccolta urbana dei rifiuti che, per contesto operativo e percorrenze medie, sembrerebbe congeniale a questa alimentazione. Con quale approccio osservate tale processo?

Ci sono più aspetti. Rispetto a quello normativo, relativo alla quota minima di acquisto o noleggio di veicoli da indicare in ogni gara d’appalto pubblica, noi siamo pronti a rispondere a ogni tipo di necessità sia tramite VEM, società del gruppo specializzata nella fornitura di mezzi elettrici destinati alle consegne dell’ultimo miglio, sia tramite partner esterni rispetto alla fornitura di veicoli più pesanti. Ciò detto, siamo una società di noleggio e ci poniamo in manie-

ra agnostica nei confronti dei produttori, puntando solo a raccogliere ogni cosa il mercato offra per consentire ai clienti di adeguarsi ai vincoli legislativi. Poi c’è l’aspetto tecnologico che è sfidante. È vero che il mondo dell’elettrico non ha vissuto il boom atteso, ma molto di questo insuccesso dipende dal suo essere in evoluzione. Il fatto cioè che il veicolo muti di continuo le caratteristiche tecniche, determina difficoltà negli utilizzatori, perché ciò che compro oggi potrebbe non essere valido domani. E questo porta a una terza sfida, quella economico-finanziaria, perché un veicolo che può diventare superato in pochi mesi, finisce per essere finanziariamente poco sostenibile, soprattutto nel mercato dell’usato. Ciò non significa che la nostra azienda non creda nell’elettrico e non voglia fornire soluzioni sostenibili; anzi, è proprio il contrario e l’investimento per creare VEM lo dimostra.

Ma una tecnologia in evoluzione, soggetta a obsolescenza precoce, non dovrebbe spingere naturalmente verso il noleggio?

La nostra sfida non deve essere necessariamente la sfida del cliente. Infatti, siamo dispostissimi a offrirgli la possibilità di gestire questa obsolescenza precoce tramite l’opportunità di sostituire il mezzo, per avere sempre a disposizione il meglio della tecnologia, lasciando a noi il compito di gestire la flotta. Questo è il nostro know-how specifico e in questa sfida un aiuto essenziale ci verrà dall’informatica, soprattutto quando riusciremo a sfruttare le montagne di dati di cui disponiamo, intraprendendo un percorso di business analytics e data science, per capire meglio cosa succede alla flotta e analizzare costantemente il valore residuo dei mezzi. Credo che già l’anno prossimo saremo in grado di effettuare questa analisi: ci stiamo già muovendo con assunzioni per il ruolo

Molti operatori di trasporto che prima acquistavano, adesso, a termine leasing, prendonosempre più in considerazione il noleggio. Perché riduce la loro esposizione finanziaria, consente un passaggio dall'investimento capex a un'attività opex e, quindi, alleggerisce i bilanci e introduce una buona fetta di flessibilità

di data scientist e in futuro prevedo l’introduzione di strumenti specifici per la gestione del fleet management e del mainstreet management.

In che modo l’intelligenza artificiale potrebbe essere utile a una società di noleggio?

Ci sono due opportunità. La prima è legata al customer service, all’interfaccia clienti-azienda, dove è possibile robotizzare attività ripetitive. Penso alle domande più comuni relative alla gestione della posizione contrattuale o alla manutenzione del mezzo. L’altra è l’area della gestione del dato, l’individuazione precoce di trend interessanti e di advisory rispetto all’analisi del dato. Sono cose ancora da mettere in piedi. Ma ci arriveremo.

Il matrimonio con la tecnologia sta cambiando il volto dei veicoli, che in futuro funzioneranno sempre di più come piattaforme su cui far girare software continuamente nuovi. Questo schema è adottabile anche da una società di noleggio? Non parlerei di «veicolo come piattaforma», ma di «servizio come piattaforma». Perché il veicolo può essere aggiornato, ma spesso le nuove esigenze del cliente non è detto che possano essere soddisfatte tramite lo stesso veicolo. Il servizio, invece, consente di adattarsi ai bisogni, di misurare i tempi di sostituzione del mezzo, le possibilità offerte dalla gestione dei tempi di fermo, di capire se sia o meno opportuno intervenire con mezzi sostitutivi prima che presentino criticità, di incrociare i dati raccolti rispetto all’utilizzo tipico del mezzo. È così che la flessibilità acquisisce valore.

Il noleggio dei veicoli industriali, dopo la recente innovazione normativa, è stato preso d’assalto da diverse realtà. Vede rischi di saturazione del mercato?

Non credo. Il mercato esprime una fase di avanzamento per sostituzione, con molti operatori di trasporto che prima acquistavano e adesso, al termine di leasing, prendono sempre più in considerazione il noleggio. Perché riduce la loro esposizione finanziaria, consente un passaggio dall’investimento capex a un’attività opex e, quindi, alleggerisce i bilanci e introduce una buona fetta di flessibilità. Semmai vedo una flessione nella vendita di nuovi veicoli. E ciò a causa delle forti pressioni che subisce il mercato del trattore stradale, dove i trasportatori da anni vedono appiattire le tariffe, mentre aumenta il costo del carburante. Quindi, l’apparizione di carburanti alternativi potrebbe aprirci le porte a segmenti nuovi.

Tema interessante: ci sono ambiti scoperti in cui pensate di poter entrare?

Ci interessa il trasporto refrigerato in ambito food e pharma. Tant’è che all’interno della business unit commercial abbiamo aggiunto una declinazione riferita a un’offerta di noleggio di un mezzo speciale laddove presenti valore aggiunto molto spinto. E nel refrigerato questo valore deriva dal trasportare beni deperibili, che hanno necessità di rispettare la catena del freddo. Pensiamo a un commerciante di prodotti ittici a cui si ferma un veicolo perché il frigo è rotto: a quel punto cosa fa? Butta 1015 mila euro di carico o si appoggia a un servizio in grado di mettere a dispo-

sizione, seduta stante, un mezzo di soccorso, il trasbordo sul nuovo mezzo dei beni deperibili così da continuare a lavorare? Il mondo evolve. Noi abbiamo conosciuto nell’ambito dell’ultimo miglio il noleggio di un bene commoditizzato, disponibile tramite tanti canali, a prezzo relativamente basso. Ciò che accade con il trasporto refrigerato è diverso: il servizio qui acquisisce un valore preponderante rispetto al mezzo. In che modo volete investire?

Ci stiamo muovendo su base provinciale o regionale, partendo dalla Lombardia, dove stiamo creando un paio di hub in Brianza e nel Milanese, per espanderci verso il Piacentino e in altre direzioni. Il punto fondamentale è la creazione di un network in grado di gestire il livello di servizio. Agiamo su scala provinciale o regionale perché il network va creato con accuratezza: la promessa del servizio non va mai smentita.

A che punto siete?

Abbiamo messo a disposizione i primi mezzi demo su alcuni piazzali dei nostri fornitori. Abbiamo una cinquantina di mezzi noleggiati sul territorio lombardo e, tramite un partner, qualche altro in Puglia. L’obiettivo è di raddoppiare la flotta già dal prossimo anno.

L’informazione soffre di velocità. Nessuno vuole spendere il tempo necessario a leggere per intero un articolo. E noi, come rivista, ci siamo convinti che i numeri rappresentino un compromesso ideale tra brevità e contenuti. Ci fornisce, per i pigri della lettura, una rappresentazione numerica di come cambierà Vrent?

Vrent dispone di una flotta di 3.000 veicoli e già l’anno prossimo ne ordineremo altri 400 per rinnovo o rotazione. Contiamo di inserire tra le 10 e le 15 persone in termini di nuove professionalità. Ed entro fine anno dovremmo maturare un aumento di fatturato di oltre il 10% rispetto all’anno precedente. Il 2025 sarà l’anno del grande cambiamento: internalizzeremo tutte le attività di back office trasferendo 15 persone dalla VFM Technik in Vrent, rifocalizzeremo la strategia e la mission di entrambe le aziende. Il nostro customer service è arrivato a servire 300 clienti, soddisfa 1.500 richiesti di manutenzione al mese e si appoggia a un network di 300 officine. È sufficiente?

Massimo Dodoni arriva in DAF come l’uomo dei carri. Perché nei suoi trascorsi professionali ha acquisito conoscenze tecniche dal punto di vista degli allestimenti che lo mettono in condizione di dialogare in modo proficuo con quel mondo. In questa intervista, però, ci spiega anche che la rete di assistenza è un corpo vivo, che deve crescere in modo proporzionale al circolante del marchio.

E così preannuncia quattro nuove concessionarie per il 2025

Siscrive DAF, ma si legge trattori, segmento cui il costruttore olandese è leader europeo da anni. Da altrettanti, però, si pone la stessa casa l’obiettivo di far breccia anche nei carri, giocando carte e strategie di varia natura. La nomina di Massimo Dodoni come amministratore delegato di DAF in Italia può essere letta anche in questa chiave. Alle sue spalle, infatti, questo manager veronese ha lavorato sia per aziende di componentistica come SAF Holland, sia per produttori di allestimenti come Kögel, arrivando a occupare una poltrona all’interno del board. Una prerogativa che, in quanto italiano, non è così scontata all’interno di un’azienda tedesca. Ma questa è una visione personale, che mi ripromettevo di condividere con il diretto interessato. E sullo stand DAF a Ecomondo, nel corso della prima settimana di novembre, c’è stata l’opportunità di farlo in prima persona. «In effetti è vero – ha esordito Dodoni – io ho due anime: una riferita all’allestimento e a tutto quanto ha a che fare con la parte che va dalle ruote alle so-

spensioni e una che invece si riferisce a quanto sta sopra i longheroni del telaio. Si tratta di conoscenze tecniche che ha acquisito con esperienze diverse e che mi hanno insegnato a cogliere non soltanto i punti critici e quelli di forza di un allestimento, ma anche quei miglioramenti che possono rendere più proficua la collaborazione tra chi realizza un camion, chi si occupa delle sospensioni, chi dell’allestimento. Perché in definitiva ogni azienda, a prescindere dalla sua organizzazione, dispone di procedure utili per lavorare al proprio interno e per interfacciarsi con i vari partner e fornitori esterni. Il momento critico emerge quando bisogna far cooperare due aziende partner, una che produce l’allestimento e l’altra che fornisce la base per sostenerlo, perché a tale scopo bisogna far dialogare proficuamente i due uffici tecnici. D’altra parte, a vendere un trattore basta un commerciale, per vendere un autocarro con allestimento serve un ingegnere o un esperto di prodotto. Prima ancora di definire il prezzo, cioè, vanno risolte decisive questioni tecniche.

L’iniziativa Ready-to-Go sarà potenziata?

Io sono entrato in DAF il 3 settembre e il Ready-to-Go era stato creato in precedenza, quando i tempi di consegna dei veicoli, a causa della mancanza di allesti-

Nel 2025 cisaranno almeno quattronuoviconcessionari, chesiaggiungerannoaisedici attuali.Inrealtà,dietroaqueste inaugurazionicisonodealergià esistenti che hanno interesse a investire in nuovi ambiti esono consapevolicheconDAFpossono avere un ritorno

«UNA RETE CAPILLARE FA RISPARMIARE TEMPO A CHI TRASPORTA»

menti o di componentistica, erano non soltanto lunghi, ma anche incerti. DAF in quella fase ha avuto un’idea geniale: offrire veicoli già preallestiti con configurazioni per quanto possibile standardizzate, ma accettabili per la maggior parte della clientela. Adesso la situazione è migliorata come consegne, ma i tempi di allestimento sono ancora un po’ lunghi; ed ecco che il Ready to Go è ancora la soluzione migliore per avere un veicolo standardizzato, immediatamente disponibile e dotato di quanto serve per lavorare per quella parte di clientela che ritiene anche due mesi un tempo di attesa troppo lungo.

Sicuramente sarà potenziato nel senso che cercheremo sempre più di allargare il range di allestimenti proposti, a seconda delle esigenze di mercato.

Tutto questo insegna che spesso il prodotto è figlio delle esigenze di una stagione. Il veicolo elettrico non è mai stato percepito come tale. Per quale motivo?

Anche su questo terreno ho vissuto un’esperienza diretta. Quando ho lasciato Kögel e prima di arrivare in DAF ho lavorato per sviluppare mercati per conto di aziende estere, ma ho anche avuto il piacere di collaborare con Rampini, un’a-

zienda specializzata nella produzione di autobus completamente elettrici o a idrogeno, da 6-8 metri, destinati a centri cittadini. E lì ho imparato a credere in tali forme di alimentazione, ma ho capito pure che hanno bisogno per stabilizzarsi di 20-25 anni circa. Questo lasso di tempo, però, non serve alla tecnologia, che di fatto è già matura e continua a perfezionarsi in modo accelerato. Le batterie in tal senso sono un esempio eloquente: fino a qualche anno fa gli scettici dell’elettrico ponevano l’accento sul problema del loro smaltimento. Le batterie attuali, invece, sono completamente riciclabili e hanno del tutto rimosso il problema. I 20-25 anni servono invece per sviluppare il mercato e, in particolare, per efficientare i tre momenti su cui poggia: la produzione, la distribuzione e l’utilizzo. I costruttori sono in grado di mettere nella disponibilità dei clienti veicoli già funzionanti, ma per essere utilizzati serve che qualcuno produca l’elettricità in modi compatibili con l’ambiente e che poi la distribuisca. In più c’è il problema finanziario, perché per assecondare la transizione servono comunque infrastrutture e quindi finanziamenti considerevoli. E all’interno dell’Unione europea esistono forti disparità di veduta anche perché non tutti gli Stati dispongono della medesima capacità di investimento. E comunque, anche quando si sarà trovata questa disponibilità, ci vorrà tempo per realizzare tutto quanto serve. E nel frattempo passano gli anni.

Ma non ci sono settori pronti già da oggi all’elettrificazione?

Sicuramente. I servizi comunali e le attività delle municipalizzate, come la raccolta rifiuti, possono essere aggredibili da subito, perché coprono distanze brevi e le autonomie possono essere garantite con un unico punto di ricarica realizzato in ambito aziendale. In più questa clientela ha il vantaggio di ragionare non in termini di profitto ma di servizio. E di fronte a normative che impongono sempre più vincoli ai veicoli inquinanti per accedere nei centri storici o che limitano le emissioni acustiche, le municipalizzate dovrebbero sentirsi naturalmente indi-

rizzate a rispettare tali vincoli facendo ricorso a veicoli elettrici, che peraltro sono già immediatamente disponibili.

In ogni caso per l’utente finale la sostenibilità costa. Chi dovrebbe farsene carico?

Una parte la paga chi, come i costruttori, sviluppa e realizza veicoli sostenibili. Poi però, affinché questi veicoli siano anche acquistati c’è bisogno di un investimento di natura pubblica, proposto sotto forma di incentivi e giustificato dall’obiettivo di migliorare la qualità della nostra aria. Per esempio, in alcuni paesi europei se viaggi sulle autostrade con un veicolo elettrico o non paghi nulla o paghi di meno. Da noi sarebbe opportuno adottare misure analoghe. E non soltanto per ridurre il pedaggio autostradale, ma anche per calmierare il prezzo del kilowatt analogamente a quanto si fa con i rimborsi delle accise rispetto al consumo di gasolio. Ovviamente non immagino incentivi eterni: quando il sostegno avrà stimolato la domanda e le immatricolazioni diventeranno sufficienti ad assorbire la capacità produttiva di una fabbrica, si innescherebbero economie di scala tali da far diminuire in maniera sensibile il costo del singolo veicolo.

Parliamo della rete di vendita e di assistenza: quella di DAF è già sufficientemente dimensionata?

Sono convito che la chiave del successo in questo mondo passi dal potenziamento capillare dei centri di assistenza. Perché in definitiva, qualunque prodotto si venda, l’esigenza dei clienti è sempre la stessa: disporre di uno strumento funzionale al lavoro e che rimanga in officina per manutenzione e riparazione soltanto per un tempo ragionevole. Ed è normale che sia così: un veicolo fermo va comunque pagato anche se non può essere messo al servizio dei committenti e quindi non può fatturare. Detto ciò, non sto criticando la nostra organizzazione, ma credo che una rete di assistenza vada resa più capillare assecondando la crescita dei veicoli DAF in circolazione. La nostra rete, composta da 84 officine autorizzate, è dimensionata per accogliere il parco circolante di ieri; ma se nel

INTERVISTA A COLLOQUIO CON MASSIMO DODONI, AD DAF VEICOLI

Iservizi comunali e le attività dellemunicipalizzate,come laraccoltarifiuti,possono essereelettrificatedasubito, perchécopronodistanzebrevi eleautonomiepossonoessere garantiteconununicopunto di ricarica realizzato in ambito aziendale.Inpiùquestaclientela hailvantaggiodiragionarenon interminidiprofittoma diservizio

frattempo i veicoli DAF in circolazione –sia quelli nazionali sia quelli in transito – sono aumentati, bisogna lavorare per farla crescere.

Quindi, dobbiamo attenderci tagli di nastro nel 2025?

Nel prossimo anno ci saranno almeno quattro nuovi concessionari, che si aggiungeranno ai sedici attuali. In realtà, dietro a queste inaugurazioni ci sono dealer già esistenti che hanno interesse a investire in nuovi ambiti e sono consapevoli che con DAF possono avere un ritorno. È importante essere percepiti come un costruttore che progredisce velocemente e che necessita di partner adeguati per tenere il passo. Ma vogliamo anche essere identificati come un marchio interessato a prendersi cura delle proprie reti di vendita e di assistenza e che, di conseguenza, è anche molto esigente.

Lo sviluppo del mercato dei truck deve fare i conti con il freno costituito dalla mancanza di persone disposte a entrare in questo settore in veste di autisti o di meccanici. Che si può fare per rimuovere questo freno? Per prima cosa bisognerebbe inquadrare il problema nella giusta dimensione. La mancanza di autisti, infatti, non interessa soltanto le aziende di autotrasporto o i costruttori di truck, ma tocca tanti ambiti, per il semplice motivo che l’86% di quanto viene movimentato in Italia viaggia su gomma. Quindi, se non si trovano persone disponibili a mettersi al volante di camion, tante merci saranno trasportate meno oppure costeranno di più, perché chi le produce o le commercializza dovrà dotarsi di magazzini più grandi in quanto la loro fornitura non è così sicura. Se vogliamo evitare tale deriva, sarebbe importante se, a livello governativo, si attribuisse maggiore importanza a tale professione, incentivandola

a livello formativo. Inoltre, come si ripete da anni, bisogna rimuovere quello stereotipo che disegna l’autista di camion come «brutto, sporco e cattivo», per descriverlo invece come un professionista della guida, come un gestore di sistemi computerizzati che si muovono su ruote. Ma soprattutto come una figura formata alla sicurezza stradale. Lo dimostrano i fatti: diversamente da quanto ritengono i più, le statistiche dicono che un camion è coinvolto soltanto nel 6% degli incidenti avvenuti in un anno in Italia. Sono qualità a cui anche la stampa generalista dovrebbe dare risalto.

E per la mancanza di tecnici di officina cosa fate in concreto?

Come DAF stiamo investendo tanto. Abbiamo creato presso il nostro centro di assistenza tecnica una flotta di veicoli da mettere a disposizione degli istituti professionali, convinti che per formare la conoscenza di un camion la cosa più entusiasmante è quella di mostrarlo ai ragazzi e alle ragazze, di farglielo smontare e rimontare completamente. Ma so-

prattutto stiamo cercando di far crescere delle figure professionali proiettate nel domani, visto che il meccanico sarà sempre di più un esperto di automazione industriale, di robotica, di informatica. E anche rispetto ai veicoli elettrici stiamo formando figure pronte ad assisterli, anche se al momento attuale con il circolante esistente potrebbe apparire inutile. E per lo stesso motivo molti siti dei concessionari sono già pronti ad accogliere questi veicoli con prese, spazi di officina, buche separate.

Fino a qualche anno fa il mercato dei veicoli industriali correva parallelo all’andamento del PIL. Oggi questa corrispondenza è venuta meno: per quale motivo?

Per rispondere bisogna tornare indietro di 30 anni, quando veramente il PIL era legato a doppio filo all’andamento del mercato dei truck e la nostra industria era votata alla meccanica e alla trasformazione di prodotti agricoli. Altro non c’era. Oggi, invece, a pesare sul PIL sono anche tante attività di servizio che non richiedono un trasporto. Quindi, se andassimo a spacchettare il PIL, ci renderemmo conto che il peso espresso dai settori primario o secondario è rimasto essenzialmente quello di 30 anni fa, ma sono cresciute nel frattempo altre attività. Così come in 30 anni è aumentata l’incidenza del trasporto intermodale, che mi auguro possa avere sempre maggior spazio se sostenuto dai necessari investimenti infrastrutturali, anche perché consentirebbe al trasporto su gomma di specializzarsi sull’ultimo miglio e sul medio raggio. I trasporti su lunghe distanze ci saranno comunque, ma saranno meno frequenti e soprattutto affrontati con veicoli più sostenibili.

A vendere un trattore basta un commerciale, pervendereunautocarroconallestimento serveuningegnereounespertodiprodotto. Primaancoradidefinireilprezzo,cioè, vannorisoltedecisivequestionitecniche

«ECCO COME LA TRANSIZIONE CAMBIA IL RUOLO DEI VENDITORI DI CAMION»

Una PMI dell’autotrasporto rinnova i veicoli anche ogni 8-10 anni. Ma in questo lasso di tempo il mondo cambia. E anche velocemente se si innesca una transizione energetica. Il venditore di MAN opera proprio per aiutarle a orientarsi. In Italia sono 23 quelli che fanno riferimento ai MAN Center e sono coordinati da Francesco Stroppiana. E proprio a lui abbiamo chiesto di spiegarci come operano e come cambiano pelle queste figure commerciali

Da aprile 2025 si attiva anche in Italia

I

SERVIZI TRATON PER I CLIENTI MAN

DaUna società finanziaria concede prestiti di denaro. E quindi gli interessi applicati sono direttamente proporzionali alla «dimensione delle spalle» della sua casa madre. Quella di MAN da qualche anno si chiama Traton, raggruppamento societario che abbraccia anche Navistar e Scania. Dal prossimo aprile pure MAN Trucks & Bus Italia si avvarrà delle soluzioni finanziarie di Traton Financial Services, la captive che agisce per tutti i brand del gruppo e in ogni contesto geografico, seppure lavorando in maniera dedicata, in modo da tarare i finanziamenti in base alla strategia di mercato e all’identità dei diversi marchi, per fare in modo che anche la leva finanziaria possa funzionare come uno strumento di fidelizzazione dei clienti.

Una società finanziaria concede prestiti di denaro. E quindi gli interessi applicati sono direttamente proporzionali alla «dimensione delle spalle» della sua casa madre. Quella di MAN da qualche anno si chiama Traton, raggruppamento societario che abbraccia anche Navistar e Scania. Dal prossimo aprile pure MAN Trucks & Bus Italia captive che agisce per tutti i brand del gruppo e in ogni contesto geografico, seppure lavorando in maniera dedicata, in modo da tarare i si marchi, per fare in modo che anche la leva finanziaria possa funzionare come uno strumento di fidelizzazione dei clienti.

qualche anno la strategia commerciale di MAN in Italia ha cambiato approccio, affiancando ai dealer privati, che rimangono centrali, dei MAN Center chiamati a colmare le lacune presenti sulla cartina, a stabilire una presenza tangibile dove mancavano strutture utili a fornire in primis servizi di assistenza. Per completare l’offerta di servizio è stata aggiunta l’attività commerciale che funge da ulteriore impulso alla crescita del business. Parliamo di un’organizzazione composta da venti venditori in ambito truck e di tre in ambito van, che trovano nei MAN Center un riferimento logistico, ma per il resto si muovono sul territorio di competenza delle strutture assistenziali, riportando alla direzione commerciale di MAN Truck & Bus Italia tramite il coordinamento di Francesco Stroppiana. Cerchiamo allora di entrare in questo mondo partendo dall’aspetto primario: qual è la definizione più corretta di «MAN Center»?

«Il MAN Center è un luogo in cui il cliente –

risponde Stroppiana – si aspetta il massimo in termini di assistenza e standard del marchio e questo ci sprona a migliorarci giorno dopo giorno. Almeno, questo è l’obiettivo e il motivo per cui cerchiamo di dimensionare ogni struttura per rispondere al meglio alle esigenze del cliente, dal numero di postazioni al magazzino, dal numero di collaboratori alle metrature. Abbiamo l’obbligo di mantenere fede alle promesse del brand e di contribuire al suo rafforzamento in ogni punto di contatto con il cliente, dall’appuntamento per un tagliando alla consegna di un mezzo nuovo.

Percentualmente quanta domanda assorbono i MAN Center?

I MAN Center coprono circa il 35% dei volumi di vendita di MAN Italia con una forza commerciale composta da 23 venditori.

La nostra presenza è di stimolo a tutto il network, sia a livello di assistenza per la rete di officine private che orbitano intorno alle aree di nostra competenza, sia a livello commerciale per il proficuo e onesto rapporto di competizione che ci vede confrontarci con i nostri concessionari privati sul territorio. Se all’inizio si poteva immaginare che questi due mondi sarebbero stati in contrapposizione, oggi posso affermare senza ombra di dubbio che la crescita del brand sul mercato italiano è frutto di questo dualismo e della sua corretta interpretazione da parte di entrambi gli attori.

Visto che parliamo di assistenza, qual è il livello di penetrazione dei contratti di manutenzione e riparazione all’interno dei MAN Center?

Siamo oltre l’80%, un dato che ci pone al top a livello europeo. Ma d’altra parte per noi è un’esigenza fondamentale e su cui puntiamo molto e che viene tenuto costantemente in considerazione anche in sede di trattativa, sullo stesso livello rispetto alla fornitura del prodotto. Quindi, ci crediamo tantissimo, ma le condizioni che offriamo sono pure oggettivamente vantaggiose.

E anche il trasportatore più restio, quello ancora convinto di poterla gestire conve-

Il nuovo centro eredita strutture e personale dalla storica Nord Diesel

MAN CENTER, CON UDINE SI TOCCA QUOTA NOVE

Dopo Milano, Torino, Venezia, Bologna, Forlì e Roma, anche Udine (per la precisione Tavagnacco) avrà il suo MAN Center. Si tratta della nona inaugurazione avvenuta in pochi anni e che ribadisce l’idea di come sia radicalmente mutata la strategia di MAN Italia che, per offrire ai propri clienti maggiore prossimità, ha deciso di coprire con strutture di proprietà quelle aree territoriali non coperte dal network. Che sia stata una strategia vincente lo dicono i numeri: nei primi otto mesi del 2024 sono cresciute sia le immatricolazioni di circa il 20% (sui van si arriva al 47%), sia la quota di mercato giunta alle soglie della doppia cifra, con un incremento sui truck intorno a 1,4 punti percentuale, sia il fatturato ricambi, lievitato del 12%.

L’inaugurazione friulana, però, presenta alcuni tratti originali. Innanzi tutto, perché il taglio del nastro del nuovo MAN Center, avvenuto a circa un anno di distanza da quello di Torino, come ha sottolineato Marc Martinez, Managing Director di MAN Truck & Bus Italia, «chiude idealmente due delle aree più produttive e industrializzate d’Italia, due territori (il Nord-Ovest e il Nord-Est) dove i trasporti giocano un ruolo fondamentale e dove era importante per MAN essere ancora più vicina ai suoi clienti». Il MAN Center di Tavagnacco, poi, è strategico dal punto di vista geografico, in quanto collocato a poche centinaia di metri dal casello di Udine Nord della A23, non troppo distante dalla A4 e dalla A28, e lungo la direttrice che porta verso l’Est Europa via Tarvisio e da dove passano ogni giorno centinaia di camion. Non a caso, l’attività service legata ai transiti, tenuta viva anche tramite un servizio H24, qui arriva a generare oltre il 20% del fatturato dell’officina.

Ma soprattutto il centro di Udine non è una struttura che apre ex novo, ma eredita spazi ed esperienza dalla Nord Diesel, una delle concessionarie più brillanti di MAN, nata come officina nel lontano 1977 per iniziativa di Giancarlo Pontarini – scomparso nello scorso marzo – e poi cresciuta sia per dimensioni dell’attività, sia per perimetro aziendale quando nel 2015 è diventata dealer. La sede attuale beneficia di 18 mila mq complessivi, dei quali 2.500 mq occupati dall’officina, 1.500 mq dall’area commerciale e 1.000 dal magazzino. A cui vanno aggiunti, riferiti alla filiale di Pordenone, i 1.100 mq dell’officina, i 100 del magazzino, i 200 della zona uffici e i 1.500 di piazzale.

Ma l’eredità della Nord Diesel non è limitata alle infrastrutture, in quanto interessa l’intero personale, compresi Paolo e Tiziana Contarini, i figli di Giancarlo, che continueranno a essere presenti in azienda. Sono loro i primi a fornire di questo passaggio di consegne un’interpretazione coerente alla progressiva crescita vissuta dalla Nord Diesel nel corso degli anni e che adesso si suggella con l’ingresso di questa azienda di famiglia «in una grande multinazionale con la quale condivide visioni e senso di appartenenza».

Squadra che cambia per continuare a vincere

TRE NUOVI DIRETTORI PER MAN ITALIA

Squadra che vince si può anche cambiare se si ha voglia di continuare a crescere. L’inaugurazione del Center di Udine è stata l’occasione per MAN Truck & Bus Italia per presentare tre nuovi direttori, destinati a tre ambiti altrettanto strategici, e per ribadire la volontà di continuare a puntare verso obiettivi sempre più ambiziosi. Le tre nomine peraltro non sono, come nel caso del nuovo MAN Center, figure introdotte dall’esterno, ma un arricchimento professionale e motivazionale di figure già presenti nell’organizzazione e già forti di una solida esperienza nel settore. È così, per esempio, nel caso di David Siviero, nuovo Direttore Vendite e Prodotto Truck, già presente in MAN dal 1996, seppure impegnato per molti anni nel settore di Bus. Anche Alessio Sani, oggi nominato Direttore Vendite e Prodotto Bus, nel corso dei 13 anni trascorsi in MAN Italia è stato Direttore sia delle attività After Sales, sia dello Sviluppo Rete.

Una carriera ancora più lunga nell’aziende del Leone è anche quella che può vantare Giulia Marras, nominata ora sia responsabile di MAN TopUsed, sia dello Sviluppo Rete, ma che nel corso dei 22 anni di militanza in azienda si è occupata di qualità, di formazione e di omologazioni, ma è anche stata per 12 anni responsabile della pianificazione commerciale e della gestione ordini nelle vendite truck.

nientemente da sé, nel momento in cui gli si fanno vedere i conti, si convince a sottoscrivere il contratto con la garanzia dell’utilizzo di ricambi originali e l’impiego di manodopera qualificata.

Il contratto di manutenzione è una certezza, qualcosa che rimane stabile nel tempo in un frangente che, invece, vede una trasformazione di tante cose, veicoli e sistemi di alimentazione compresi. In questo contesto evolve anche il ruolo del venditore?

Quando formiamo i nostri venditori, miriamo a costruire prima di tutto figure realmente consulenziali capaci di fornire un supporto concreto ai clienti sotto tutti i punti di vista, tecnologico, normativo ma anche di natura economica. Perché il venditore che riesce a individuare il veicolo giusto per il cliente, vale a dire corretto rispetto alle sue specifiche esigenze di trasporto, può metterlo in condizione di ottimizzare i costi e di incrementare così la sua redditività.

Il fatto di disporre di una gamma di veicoli che parte dai van e arriva al cava-cantiere rende questa ricerca più accurata?

Sicuramente la disponibilità di una gam-

ma di prodotto molto ampia, ci impone di avere una profonda conoscenza di quanto richiesto dal mercato. Di conseguenza, diventa essenziale formare adeguatamente il venditore per essere preparati anche su quei prodotti resi complessi dalla presenza di allestimenti esterni. Penso, per esempio, al mondo dei sollevamenti, dei ganci, dei caricatori, dei veicoli eccezionali.

Il mondo dell’autotrasporto è popolato da operatori con un’età media elevata. Tra gli autisti e i padroncini si arriva anche a 55 anni circa. I vostri venditori anagraficamente come sono messi? E qual è il maggior problema nel sostituirli?

L’età media dei nostri venditori è intorno ai 45-50 anni. La difficoltà maggiore nel sostituire un venditore esperto riguarda la fiducia che in lui ripone il cliente. Lo dico sempre ai venditori: «Il vostro obiettivo più importante è di conquistare la fiducia dei trasportatori». E per conquistarla, paradossalmente, bisogna spogliarsi della maglia del costruttore e mettere in primo piano il suo interesse. Ed è effettivamente così, perché se per lui il veicolo funziona, a quel punto vincono tutti. Perché se qualcuno mi ha consigliato un mezzo con cui mi

sono trovato bene, è altamente probabile che per l’acquisto successivo mi rivolgerò nuovamente a lui. Oggi è sempre più difficile trovare nuovi venditori che spesso guardano a questo settore come “vecchio” e complicato ma stiamo puntando molto sulla transizione in corso per attrarre nuovi talenti e valorizzare la passione che tanti ragazzi hanno verso le nuove tecnologie. Spesso il trasportatore è tradizionalista e un po’ diffidente di fronte alle novità. Quali strumenti utilizzate per rimuovere queste diffidenze?

Il primo strumento che usiamo è una flotta di veicoli demo con cui far provare al cliente per un tempo significativo il mezzo che gli vorremmo proporre. Si tratta di un veicolo standardizzato, ma serve per fargli toccare con mano gli aggiornamenti tecnologici esistenti e che lo potrebbero mettere in condizione di lavorare meglio e fargli percepire il comfort di guida. Poi c’è l’aspetto più legato ai servizi, perché mentre usa il veicolo demo cerchiamo di far comprendere al trasportatore come funzionano i sistemi di ausilio alla guida per contenere il consumo di carburante o per fargli verificare come un determinato stile di guida possa fornire un ulteriore contributo. A tale scopo, siamo in grado di fornire un report da analizzare insieme affinché sia possibile valutare la prova nel suo complesso e i margini di miglioramento. Poi, laddove il cliente decida di acquistare il veicolo, organizziamo un corso presso la sede aziendale tarato sul reale utilizzo e sulle effettive missioni del veicolo. In questo modo, l’autista potrà sfruttare tutta la tecnologia presente a bordo e ottenere il massimo dai nostri mezzi.

Abbiamo fatto riferimento a tante trasformazioni di prodotto e di figure professionali. Ma il trasportatore come immagina che cambierà?

Imparerà sempre di più a usare la tecnologia per migliorare la sua condizione. Faccio un esempio: quanti veicoli circolano vuoti in Italia? Se ci sono è perché il trasportatore non è riuscito a “vendere” il viaggio di ritorno. Ma è un’inefficienza che non si potrà più permettere. Per ovviarvi sarà indotto a lavorare maggiormente in rete con altri trasportatori per essere sicuro di riuscire a fatturare ogni chilometro che percorre. Il problema dell’autotrasporto italiano è sempre stato legato alle dimensioni aziendali, mentre altrove in Europa si è andati verso un’integrazione di diverse realtà per conquistare quei volumi che sono in grado di generare economie di scala e ottenere tariffe più remunerative. In Italia questa trasformazione è sempre spesso paventata, ma non è mai arrivata. Credo che adesso sia giunto il momento buono.

SCANDICAR: 50 ANNI PER ANDARE OLTRE

Sul suo atto di nascita c’è un luogo (Parma, Reggio Emilia e Modena) e una data: 1974. Da allora la concessionaria emiliana Scania, sotto la guida di Giuseppe Gardoni, ha percorso tanta strada. Si è allargata verso la Lombardia (Bergamo e Sondrio) e ha affiancato alle vendite dei veicoli pesanti anche quelle dei medi (Isuzu) e degli allestimenti (Kögel). Ma ha sempre conservato un particolare attaccamento al service che gestisce in modo peculiare. E proprio per questo particolarmente apprezzato dalla clientela

L’origine di un’azienda lascia traccia nel suo Dna. E si conserva negli anni come un patrimonio genetico che custodisce memoria anche se passa di mano, anche se i tempi cambiano, anche se le attività evolvono. Scandicar non sfugge a questa regola. Nata per iniziativa di Carlo Bussetti esattamente 50 anni fa, degnamente festeggiati lo scorso 5 ottobre nella suggestiva cornice del Labirinto della Masone, parco museale creato da Franco Maria Ricci a Fontanellato (Parma), questa concessionaria fu la prima a commercializzare veicoli Scania in tre provincie emiliane (Modena, Reggio Emilia e Parma), ma da subito comprese come in questo settore la forza trae origine dall’assistenza. Prova ne sia che Bussetti già negli anni Settanta ebbe l’intuizione di creare una rete post-vendita nominando otto officine. E Giuseppe Gardoni, attualmente titolare dell’attività, è rimasto fedele a quella impronta

iniziale. Entrato nel mondo dei truck per parentela (suo suocero, di professione ortopedico, investì nel 1986 in un gruppo di concessionarie che comprendeva anche il dealer Scania emiliano), Gardoni comprese ben presto che – sono sue parole – «un service che funziona e con cui si stabilisce un rapporto affiatato è un insostituibile valore aggiunto». E così nel corso degli anni, rimanendo fedele all’imprinting del fondatore, ha investito in una serie di società create in partnership con le officine attive nel territorio di competenza e ha ampliato il network assistenziale raggiungendo le dieci unità, perché è convinto che una rete capillare «è molto apprezzata dai clienti». E il gradimento da parte dei trasportatori, unito alla serietà nei pagamenti, sono i fattori in grado di rendere «win-win» la relazione tra dealer e officine. D’altra parte, spiega il titolare della Scandicar, «la concessionaria vende i veicoli e li introduce

Titolari e rappresentanti delle officine che operano all’interno del territorio di competenza Scandicar: Orvi Bergamo, Eurodiesel Parma, Valetti, Orvi due di Giovanni Vezzosi, Officina Martelli, Officina Dall’Angelo Giuseppe, Officina Euro Sam Due, Officina Arduini Luigi, Orvi di Carlo e Franco Cattadori

Un cliente c mi ha raccontato chhe con uno ScaniaSuper acquistato a dapochi mesi orreperco 800 metri inpiù con un litro litr di carburanterispetto a un altroScaniaacquistato 2-3 anni fa. A dimostrazione che costerà anchequalcosa in più, ma garantisce un payback diverso da tuttigli altri

su u terri utiliz dalla colo orec un s «ti s inte azie alc p st ragg to pi

su un territorio; le officine di quel territorio li riparano, ma a tale scopo utilizzano i ricambi che acquistano dalla concessionaria stessa». È un circolo virtuoso, ma anche una sorta di orecchio proteso sul mercato, perché un service capace, riprende Gardoni, «ti segnala movimenti sul mercato e interessi particolari di una qualche azienda e magari ti accompagna da alcuni clienti. In questo modo la pianificazione della parte assistenziale o la definizione contratti di manutenzione – che in Scandicar raggiungono una penetrazione del 65% sull’immatricolato – diventa molto più facile».

GLI ORARI IMPOSSIBILI DI UN SERVICE

APPASSIONATO

Non stupirà, quindi, se questa particolare sensibilità verso il service nel tempo sia stata continuamente ribadita, tanto che la Scandicar, oltre ad aver acquisito la partecipazione nelle officine “di casa” a Parma e a Bergamo, due giorni dopo i festeggiamenti per i 50 anni ha rilevato uno dei service di Reggio Emilia, che si aggiunge a quello di Piacenza già presente nel gruppo. E anche in prospettiva, tra gli obiettivi aziendali per il prossimo anno compare l’ampliamento strutturale dell’officina e della sede di Parma. Anche per questo l’organizzazione interna agli stessi service mostra qualcosa di peculiare o, per meglio dire, di passionale. Perché accade in tante officine di essere accettati anche senza aver preso un appuntamento. Così come in tante officine gli orari di apertura includono il sabato mattina, ma a Parma – racconta Gardoni –«non soltanto il sabato mattina i miei soci si trovano a fare un briefing alle 6.45, non soltanto alle 8.30 di sera sono ancora lì, ma spesso ci tornano anche la domenica mattina. E questo aiuta veramente a comprendere il livello di attaccamento che nutrono per questa attività».

H24: DIFFICILE, MA DI SODDISFAZIONE

Anche se il servizio che secondo Gardoni trasmette meglio di altri la genetica assistenziale di Scandicar è quello notturno, anche detto «H24». La ragione è semplice: produce una risposta biunivoca testuale, nel senso che – constata Gardoni – «è enormemente impegnativo per chi lo eroga, così come è enormente apprezzato dal cliente».

Cosa vuol dire «enormemente impegnativo»? Vuol dire, dal punto di vista di chi eroga il servizio, «rispondere di notte a una chiamata, uscire quando fuori piove in modo scrosciante per inerpicarsi magari sulla Cisa e poi tornare in sede proprio nel momento in cui arriva una seconda chiamata». Ma d’altro canto, per chi è lì sulla strada, magari con un carico di merce deperibile che rischia di essere sacrificato, vedere le luci del veicolo dell’H24 giungere in soccorso quando intorno c’è soltanto buio e pioggia, aiuta a sentirsi protetto e a continuare a scommettere su un’attività comunque complicata. Qualunque essa sia: «Per noi il cliente è sempre uguale – continua Gardoni – a prescindere dal settore in cui opera o da dove provenga. Ovvio che nei territori di nostra competenza di veicoli in transito ce ne sono molti, anche perché a Parma c’è la food valley o a Modena il polo della ceramica, ma per noi un trasportatore emiliano che lavora con uno Scania è cliente allo stesso modo di uno che arriva da Oslo o da Palermo».

CLIENTELA VARIEGATA PRETENDE CONSULENZA TRASVERSALE

Questo approccio agnostico nei confronti della tipologia di clientela trova un riflesso anche rispetto ai trasportatori con cui Scandicar intrattiene rapporti commerciali. I trasportatori che bussano alla porta della concessionaria, d’altra parte, sono attivi in settori estremamente variegati. Ci

È il fatturato di Scandicar previsto per il 2024

120

Sono gli allestimenti

Kogel venduti nel 2024

sono quelli dediti soltanto al trasporto container, altri che si occupano di igiene urbana, altri ancora che distribuiscono prodotti alla GDO o trasportano acciaio tramite coils. E poi ci sono spedizionieri, operatori del cava-cantiere, aziende in conto proprio. Quindi, proprio perché non c’è un segmento dominante – sostiene Gardoni – «anche chi al nostro interno fornisce consulenze alle vendite deve saper essere quanto più possibile trasversale. Ma soprattutto deve disporre di competenze sia rispetto ai veicoli utilizzati per i trasporti eccezionali – e ne abbiamo diversi di clienti in quest’ambito sia nella zona di Parma e di Reggio Emilia, sia nell’area di Bergamo e Sondrio – sia rispetto a quelli, completamente diversi, funzionali a un’attività di groupage. In ogni caso, i nostri interlocutori necessitano di una customizzazione del prodotto. E questa è veramente un’esigenza trasversale a tutti i settori».

RINASCERE QUANDO

INTORNO ARRIVA LA CRISI

Il service è tanto, ma non è tutto. Se si guarda il fatturato 2024 di Scandicar, che nelle stime di Gardoni viaggia tra i 75 e gli 80 milioni, risulta evidente che in questo giro si muovono tanti e diversi affari. Per comprendere cosa abbia indotto l’approccio alla diversificazione e lo abbia reso un altro elemento cromosomico della concessionaria, bisogna concentrarsi – per così dire – sulla seconda nascita aziendale, coincidente con il momento in cui Gardoni, dopo una ridistribuzione del Gruppo in chiave familiare, si mette ufficialmente al timore della struttura. Siamo nel 2009, vale a dire l’anno che in Italia arriva, come uno tsunami, l’impatto della crisi innescata l’anno precedente negli Stati Uniti con il crack di Lehman Brothers. Per Scandicar è un momento complicatissimo: «Un fatturato di 30 milioni di euro evaporò fino a 20 con uno schiocco di dita», ricorda l’imprenditore. E lì si innescarono una serie di azioni che poi sono andate a costituire il secondo pilastro operativo che sorregge la

Scandicar. La prima azione, riguarda il controllo dei costi, che all’epoca –per forza di cose – doveva mirare a un contenimento: «Da un anno all’altro riuscimmo a tagliare spese per 5-600 mila euro, non senza sacrifici per tutti». Ma l’altra azione importante la si trova – appunto – sotto la voce «diversificazione delle attività». Perché è in quel frangente critico che Gardoni comincia a misurarsi con il trading, che potenzia il commercio dei veicoli usati, che acquisisce consapevolezza di dover andare oltre. Ma cosa voglia dire «andare oltre» bisogna spiegarlo per gradi.

100

Sono i veicoli Isuzu commercializzati nel 2024

I TANTI MODI

PER «ANDARE OLTRE»

«Andare oltre» può voler dire oltrepassare i propri confini di competenza e acquisire dal 2015 il mandato di dealer anche per territori distanti dall’Emilia, ma economicamente floridi, come le province di Bergamo e Sondrio. E la spinta commerciale determinata da questo ampliamento territoriale è stata – il superlativo è di Gardoni –«importantissima». D’altra parte, se oggi Scandicar riesce a vendere in un anno circa 300 veicoli Scania è anche grazie a questo allargato perimetro. Ma «andare oltre» significa pure mettersi nell’ottica di poter servire il cliente con una logica «one stop». Che detta in termini banali significa fornirgli tutto quanto gli serve per lavorare nel momento in cui entra in concessionaria. E siccome per gestire un trasporto occorre non soltanto una parte trainante, ma anche una trainata, ecco che in Scandicar hanno da tempo deciso di commercializzare rimorchi e semirimorchi. Oggi questa attività fa perno sulla relazione stretta con Kögel e porta ulteriore ossigeno al fatturato aziendale con la vendita nel 2024 di circa 120 allestimenti. «Andare oltre», però, può essere inteso anche come un modo per completare l’offerta commerciale, arricchendola con veicoli più piccoli per portata

rispetto agli Scania. E a tale scopo la concessionaria emiliana propone da anni i mezzi Isuzu. Nel 2024 ne ha immatricolati circa un centinaio. Ma «andare oltre», paradossalmente, significa pure relativizzare quella fascinazione del marchio su cui da sempre poggia il successo di Scania e del suo V8, per puntellarla con contenuti peculiari e concreti. «Proprio qualche giorno fa – riferisce Gardoni – un cliente mi ha raccontato che con uno Scania Super acquistato da pochi mesi riesce a percorrere 800 metri in più con un litro di carburante rispetto a un altro Scania acquistato 2-3 anni fa. O altri mi confermano che i loro Scania riescono a conservare valore nel corso del tempo o richiedono ridotti interventi manutentivi». Ciò detto, aggiunge il titolare di Scandicar, «è anche vero che uno Scania costa qualcosa in più rispetto agli altri, però le quote di mercato in Italia e in Europa, variabili tra il 14 e il 18%, dimostrano pure che sempre di più i trasportatori apprezzano un prodotto che, seppure all’acquisto non è il più economico, poi garantisce un payback diverso da tutti gli altri».

Infine, «andare oltre» in qualche caso può significare trascendere il mero aspetto commerciale per soppesare quello più umano. Un concetto che Gardoni chiarisce con un ricordo: «Un giorno un cliente bussò alla porta di Scandicar dopo aver avuto una brutta disavventura finanziaria. I numeri non lo consigliavano, ma io gli ho dato credito. Così, prima divenne cliente dell’usato e quando si rimise in carreggiata, acquistò anche veicoli nuovi. Oggi la sua attività esiste ancora e, seppure sia stata in parte trasformata, arriva a fatturare 80 milioni di euro. Un successo che forse non sarebbe arrivato se quel giorno non mi fossi comportato in quel modo. E questo mi procura un particolare piacere personale».

300

Sono i veicoli Scania immatricolati nel 2024

Il tempo scorre.

L’innovazione non si ferma.
Le persone e le strade ci uniscono.

Con l’augurio di proseguire insieme con la stessa determinazione e passione che da sempre contraddistinguono tutti gli attori del sistema del trasporto e della logistica. Che questo percorso condiviso ci porti verso mete ancora più lontane.

LUCI

SULLA RIBALTA

Alla fiera di Rimini oltre 160mila metri quadrati hanno ospitato veicoli, rimorchi, telai, allestimenti e gru progettati per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. In primo piano ribaltabili e piani mobili. Fari puntati sulle soluzioni per l’intermodalità

Ilritorno di Menci, la prima partecipazione di Granalu, la conferma di importanti player come TMT, Tecnokar e Kraker. Sono alcuni dei protagonisti del mondo degli allestimenti che si sono «presi la ribalta» a Ecomondo 2024, la fiera di riferimento per la transizione ecologica e la sostenibilità che si è tenuta a Rimini dal 5 all’8 novembre scorsi. Una fiera che ha messo in vetrina tante novità soprattutto per ciò che riguarda l’ambito dei piani mobili, anche perché con oltre 6.000 immatricolazioni europee all’anno questa tipologia di semirimorchi resta uno dei settori specializzati nel trasporto di particolari categorie di rifiuti e consente anche di affacciarsi in ambito intermodale. Vi riassumiamo allora, in queste pagine, una panoramica delle principali proposte.

TMT IN PRIMA FILA

Sotto i riflettori della fiera di Rimini c’era TMT, protagonista del settore con circa 200 unità di semirimorchi a piano mobile commercializzate all’anno, di cui circa 50 nella versione Huckepack (ovvero la soluzione intermodale

a mobile comte di cui cirversione oluzione intermodale p

che permette di collocare il semirimorchio completo, telaio e carrozzeria, sul treno), espressione di circa il 20-25% della produzio-

ne dell’azienda. «Si

di Massimiliano Barberis

tratta di un semirimorchio intermodale, progettato per sfruttare il trasporto combinato strada-ferrovia, che permette alle aziende di autotrasporto di ottimizzare le loro operazioni logistiche», spiega Alfredo Spinozzi a capo del Gruppo abruzzese. Consente il trasporto sia di merci pallettizzate (fino a 33 europallet) sia di merci sfuse grazie a un tetto che offre un volume di 90 m³, coprendo il 95% delle esigenze di un classico semirimorchio centinato o ribaltabile. È dotato di assale elettrico SAF, capace di recuperare energia durante frenata e accelerazione, fornendo fino a quattro ore di autonomia per le operazioni di carico/scarico senza necessità del trattore. L’apertura laterale di 12,30 metri e l’altezza di carico di 2,57 metri facilitano le operazioni e riducono i rischi di danni al materiale. Inoltre, grazie alla piattaforma digitale e all’app mobile, è possibile monitorare dati come posizione, velocità, peso sugli assi e stato delle porte, attivare il carico/scarico automatico o aprire le porte posteriori da remoto. L’uso del Huckepack, secondo l’azienda, riduce i costi operativi fino al 55% e quelli esterni fino al 92%. Grazie alle sue caratteristiche, le emissioni di CO2 possono essere ridotte fino al 94%. Il semirimorchio è rinforzato con

saldature speciali e piastre di protezione, facilitando l’accoppiamento ai vagoni ferroviari e lo scarico in spazi complessi. Il pianale con doghe in alluminio permette anche il trasporto di rifiuti sfusi, includendo una tenuta semi-ermetica per il contenimento di liquami.

MULTITRAX CON I BRAND

KRAKER E D-TEC

Anche l’olandese Kraker ha presentato un piano mobile Huckepack tipo K-Force, pensato per promuovere l’intermodalità gomma-rotaia. Importato in Italia da Multitrax e già disponibile sia per la vendita che per il noleggio, questo semirimorchio ha un peso di 7.780 kg per 92 mq3 di

volume ed è stato riprogettato con rinforzi specifici e tasche di sollevamento per permettere le operazioni di carico/scarico sui vagoni ferroviari. Accanto al piano mobile Kraker, Multitrax ha portato poi per la prima volta in Italia la vasca ribaltabile D-TEC che ha conquistato il secondo premio agli International Trailer Awards della IAA lo scorso settembre. Il semirimorchio è progettato per rottami ed è idoneo al trasporto di coil nelle configurazioni 1x23 ton, 3x8 ton, 4x6 ton. La cassa in acciaio Hardox 450 ad alta resistenza, il design e le innovative soluzioni costruttive garantiscono alta stabilità torsionale, un centro di gravità ribassato e una tara ridotta. Le

analisi della Casa olandese evidenziano che il peso complessivo del veicolo (8.700 kg) per 57 mq3 di volume è circa 150 kg in meno rispetto ai competitor nello

stesso segmento, mantenendo le caratteristiche di resistenza e durata nel tempo.

in PVC 900 g/m. Da segnalare, poi, anche la presenza di Legras, importato dalla umbra Lombardi Industrial, che ha presentato il piano mobile francese da 86 a 91 mq3 di volume. Il Gruppo punta a espandersi in Italia, proponendo l’intera gamma di veicoli, inclusi quelli con pianale stagno e semistagno.

MENCI:

NUOVO RADIOCOMANDO PER RIBALTABILI

Grande protagonista anche Menci, che ha presentato una vasca ribaltabile in alluminio da 57 mq3 di volume, lunga 11.770 mm, con un nuovo profilo laterale che blocca meglio il telone di copertura in funzione ermetica antipioggia e antiscivolo. L’azienda ha esposto anche un piano mobile intermodale da 91 mq3 con un tetto dedicato su progetto Cramaro ermetico e antivento a cinque arcate rinforzate. «Questo è un settore – spiega Fabrizio Capecchi, direttore vendite del Gruppo toscano – che offre sempre spazi interessanti. Abbiamo varie tipologie di mezzi che ci permettono di differenziare acquisti e immatricolato, dal trasporto mangimi alle cisterne per GPL, fino ai ribaltabili. alle ci fino ai ribaltabili

PIANI MOBILI:

DA TECNOKAR A LEGRAS, CE N’È PER TUTTI

Tecnokar ha esposto in fiera un modello di piano mobile semistagno, il Moonwalk, in totale livrea nera e con molti più accessori a listino. Ha un volume da 90 mq e una tara di 7.980 kg con 21 doghe da 8 mm e il serbatoio dei liquami da 145 litri. Monta un tetto side-roll manuale con quattro cinghie, archetti, palo centrale di sostegno, telo

meno ai comnello

Questo ci permette di compensare cali di mercato o di esportazioni». In fiera era presente anche il nuovo radiocomando per ribaltabili che permette in totale sicurezza, dalla cabina del camion, di sbloccare il portellone posteriore, azionare i fari da lavoro, far scorrere il telo, azionare il vibratore sotto cassa, sollevare la barra posteriore e il terzo assale.

LA PRIMA VOLTA

DI GRANALU

Il Gruppo ha iniziato quest’anno l’importazione dei mezzi iberici. «Ne abbiamo giù venduti una ventina – spiega Andrea Alberti, manager della società bresciana – e contiamo nel 2025 di aumentare la quota italiana. Sono tipologie di trailer che, insieme ai carrelloni e ai ribaltabili, stanno avendo sempre più spazio nei nostri piazzali».

LE CISTERNE SECONDO ALKOM

Altro marchio presente a Rimini era la Alkom, con la sua cisterna CC35X per trasporto liquidi di rifiuto in Ddr, rifiuti liquidi farmaceutici, liquidi da scarto di lavorazioni. «Il materiale di costruzione è l’acciaio inox AISI316 – spiega Andrea Brendolan, manager del Gruppo veneto – per una capienza di 37.500 litri divisi in 3 scomparti, telaio Menci in alluminio da 11,5 metri, pompa Jurop VL20 per aspirazione o pompaggio prodotto, tubazioni di scarico da 150 mm in acciaio inox e valvolame completo FortVale». «Questo del trasporto di prodotti chimici è un ambito – prosegue Brendolan – a cui siamo arrivati grazie all’ampliamento della capacità produttiva, salita a 13 cisterne al mese e con un fatturato quest’anno del 15% in più tutto venduto in Italia». La cisterna esposta in fiera è la prima di una doppia commessa per il Gruppo Rigato.

Debutto a Ecomondo per la spagnola Granalu, che ha esposto in fiera, tramite l’importatore Multiservice, un piano mobile tutto da 8.412 kg di tara.

un mobile tut porte da 91 mq da 8.412 kg di tar

UNA FIERA DA RECORD

L’edizione 2024 della fiera riminese ha registrato il 5% in più delle presenze totali rispetto all’edizione precedente, con 1.620 brand espositori che hanno occupato 166.000 mq nel quartiere fieristico, ampliato con due nuovi padiglioni per rispondere a una domanda crescente di presenza da parte delle aziende (+10% di espositori rispetto al 2023). Accolti operatori internazionali da 121 Paesi, 72 associazioni di settore e istituzioni a livello globale, 650 buyer provenienti da 65 Paesi, in particolare Nord Africa, Europa, Nord America, America Latina, con un notevole incremento di buyer dall’Asia. Numeri che confermano il ruolo di Ecomondo come hub internazionale di primaria importanza per la green and circular economy.

Ecomondo 2024

UNA FILIERA POCO AMICA

Bizzarra la lingua italiana. Per identificare qualcuno che è «amico» di qualcosa utilizza il suffisso «filo». Un «esterofilo», quindi, è chi predilige cose straniere. Ma la stessa radice «filo» serve pure a fare riferimento a una serie di contributi. «Filiera» logistica, per esempio, è un insieme di anelli concatenati per consentire alle merci di scorrerci attraverso. Ma perché il filo che tiene legati i diversi momenti del trasporto non fa scaturire una solidarietà tra chi fornisce i contributi?

Èun giorno lavorativo qualunque e sono in consegna con le solite merci. Trasporto libretti di uso e manutenzione che andranno inseriti nelle scatole di elettrodomestici che, a loro volta, verranno consegnati ai magazzini di spedizione, poi ai negozi e infine nelle mani del consumatore finale. Un lavoro che rende l’idea del concetto di filiera.

Eseguo in genere il primo scarico e davanti ho un lasso di tempo tale per poter arrivare ampiamente in tempo al secondo, di scaricare e ripartire per rientrare. Arrivo in ditta alle 11,15 e, dopo aver presentato e timbrato le bolle, sono allora scarico alle 11.30. Mi accorgo che qualcuno mi sta dicendo qualcosa. Era il mio momento per tentare un coupdethéâtre e inscenare un’urgenza per scaricare prima. Non lo faccio perché non è nella mia formazione mentale e perché penso che, visto l’orario e le pochissime pedane (14 per l’esattezza), avrebbero potuto tranquillamente scaricare e ricaricare prima delle 12.

Chi è abituato alla movimentazione dei bancali sa che per caricare un bilico servono al massimo 45 minuti. Passano i minuti e vedo rallentare il passo nello scarico merci. 11.45: ancora niente. 11.50: un magazziniere si avvicina e dice: «Ci vediamo alle 13». Alla vista dei miei occhi iracondi aggiunge: «Sì, per mezz’ora». Così torno in cabina e penso che non sa fare i conti, perché dopo la loro pausa pranzo sarebbe passata un’ora e mezza, più il tempo di scarico e ricarico. Quindi, invece di ripartire alle 12, sarei ripartita alle 14: due ore di ritardo. In quel momento di solitudine, chiusa nella cabina, dove per fortuna ho tutto ciò che serve per passare bene il tempo, rifletto sul concetto tanto usato,

Dovremmo concepire la filiera come un rapporto in cui tutto funziona perché esiste una comune volontà in tal senso. Di fare in modo che tutto giri al meglio, prendendosi carico delle proprie responsabilità nei confronti degli altri e smetterla di pensare che i problemi sianosempre altrove

quanto poco applicato, di filiera. «Filiera» deriva dal francese «filière», che trae origine dal latino «filum», «filo». E qui va notato che questo termine ricalca il suffisso «filo» (cinofilo, per esempio), che però deriva dal greco «philos», con cui si identifica qualcuno che è «amico» di qualche ambito. Nonostante il «filo di filiera» e il «filo di amico» derivino da lingue diverse e non hanno significati simili, esprimono però concetti che si combinano perfettamente. L’amicizia è un legame, un filo appunto, che ci tiene in contatto, in modo disinteressato, con un’altra persona che sa completarci. Allo stesso modo, la filiera è un insieme di soggetti economici (quindi non disinteressati) che operano per un obiettivo comune e il cui ruolo è a completamento dell’altro.

Le merci prodotte non arrivano in

tempo se non c’è un trasportatore che se ne occupa, che a sua volta ha bisogno di un magazziniere che prende in carico la consegna.

Se vogliamo mettere in pratica la filiera dovremmo concepirla come un rapporto in cui tutto funziona perché esiste una comune volontà in tal senso. Di fare in modo che tutto giri al meglio, prendendosi carico delle proprie responsabilità nei confronti degli altri e smetterla di pensare che i problemi siano sempre altrove, iniziando a collaborare per tenere il ritmo di un procedimento che funziona e porta tutti verso qualcosa di positivo.

Se ognuno investisse per migliorare i propri processi produttivi e logistici per ridurre le attese, gli sprechi, i pagamenti troppo lunghi e la noncuranza della qualità dei singoli soggetti, sarebbe un piacere poter lavorare insieme.

Come hai iniziato a fare questo lavoro?

È nato tutto in famiglia. Mio padre, siciliano, era un autotrasportatore e sin da ragazzo ho ereditato da lui la passione per il mestiere. Pian piano ho preso le patenti e ho cominciato a lavorare con lui. Facevamo trasporto refrigerato, in particolare pesce fresco. Viaggiavamo sia Italia che in Europa, andando soprattutto in Spagna perché era uno dei maggiori produttori europei di tonno.

Come organizzavate la vostra logistica?

Dipendeva, a seconda dei mercati e degli orari delle navi. Ma in genere, se dovevamo coprire il centro-nord Italia, prendevamo la nave da Palermo per andare a Napoli o Genova, mentre per raggiungere il sud continentale usavamo il traghetto da Messina.

E oggi di cosa ti occupi?

Sono un autista dipendente di un’azienda molisana. Trasportiamo un po’ di tutto (acqua, pasta, detersivi, ecc.) e lavoriamo in tutta Italia. Di solito parto la domenica sera e rientro il venerdì sera, dormendo spesso fuori.

Cosa ti ha portato dalla Sicilia al Molise?

Scelte di vita, legate all’amore. Ad oggi sono vent’anni che vivo qui e mi trovo molto bene. Ho avuto la fortuna di trovare subito il lavoro dopo il trasferimento e da allora non mi sono più fermato. Certo, non nascondo che questo lavoro presenta molte difficoltà, ma nonostante questo guardo avanti con determinazione.

5 10 6 1 2 3 4 7 8 9

Dopo tanti anni di lavoro, hai mai pensato alla pensione? Sì, ma è complicato. Per un complesso calcolo di contributi dovrò lavorare almeno per altri sei o sette anni. Insomma, ne ho ancora di strada da percorrere.

Nome Carmelo

Cognome Fedele

Età 61 anni

Stato civile Coniugato

Anzianità di servizio 43 anni

Punto di partenza Campobasso

Settori di attività Groupage

Quali sono i problemi principali del tuo lavoro?

I tempi di attesa sono estenuanti. Di recente mi è capito di aspettare fino a sette ore per scaricare il camion. Inoltre, ci sono ditte che ti obbligano a fare il carico/scarico, anche se non sarebbe compito dell’autista. La mancanza di aree di sosta, poi, è un altro problema enorme. Devi cercare per ore un posto per fermarti, e spesso non c’è spazio. Ma soprattutto, quel che è peggio è che manca il rispetto per la nostra professione. È frustrante sentirsi etichettati spesso e malvolentieri come “delinquenti della strada”.

Cosa ti spinge ad andare avanti?

Mi accontento di quello che guadagno, vivendo in una zona dove la vita costa meno. Ho avuto offerte per lavori meglio retribuiti, ma avrebbero significato stare lontano da casa per settimane. Alla mia età, preferisco restare con la famiglia e avere una vita stabile.

C’è solidarietà tra colleghi autotrasportatori?

Non molta. Io cerco di essere sempre collaborativo e disponibile, ad esempio quando vedo qualcuno in difficoltà sulla strada che ha bisogno di assistenza per un problema al veicolo, ma molti si girano dall’altra parte. Una volta c’era più rispetto, anche nelle ditte. Ora è tutto più freddo e individualista.

E che rapporto c’è con i più giovani?

I giovani oggi sono pochi in questo settore. E chi inizia lo fa per necessità e spesso si lamenta pure. Sarò duro, ma si interessano solo allo stipendio, non vedo passione nei loro occhi.

Riesci a coltivare hobby o passioni nel tempo libero?

Le auto sono la mia passione principale. Mi piace personalizzarle con cerchi particolari, finiture cromate e le tengo sempre lucide. Inoltre, adoro fare lavori manuali, come creare lampade artigianali con materiali di riutilizzo.

PERSI IN UN BICCHIERE D’ACQUA

Non ho l’abitudine di bere fuori dai pasti, se non in estate per via del caldo. Però, in tanti mi consigliano di bere di più. Ma è veramente necessario anche se non si ha sete?

Quanta acqua bisogna bere ogni giorno? Almeno due litri. Su questo sembrano tutti d’accordo: esperti di salute e bellezza, trasmissioni televisive, articoli di giornale, slogan pubblicitari, amici e conoscenti. Due litri sarebbero il «minimo sindacale» per essere più sani e più belli: sgonfi, depurati, senza liquidi in eccesso e senza cellulite, più intelligenti e con la pelle più liscia e giovane. Affiancare a una corretta alimentazione, una abbondante idratazione è diventato perciò un comandamento virtuoso, una sorta di dogma salutista. Ma è davvero così? Bisogna proprio costringersi a bere – come si domanda il letto –anche se non si ha sete?

L’acqua è essenziale per la vita: nessuno lo mette in dubbio. Eppure, nessuno studio scientifico serio ha mai dimostrato che i fatidici due litri d’acqua quotidiani (circa 8 bicchieri) migliorino la salute o l’estetica. Lo ha scritto chiaro e tondo sul British Medical Journal – una prestigiosa rivista medica – Margaret McCartney, medico di base inglese che ha suscitato molto scalpore smontando la campagna «Hydratation for health» lanciata dal servizio sanitario britannico che invitava i medici a raccomandare 6-8 bicchieri d’acqua al dì. Il dibattito è rimbalzato anche sul New York Times on line dove, qualche tempo fa, un professore dell’Università dell’Indiana ha ribadito che non c’è alcun fondamento scientifico dietro l’affermazione che bere

Su una cosa la comunità scientifica è tutta pienamente d’accordo, se si ha sete che si beva acqua e non bibite industriali dolci e ipercaloriche

tanto faccia bene e ha dichiarato «è vero che alcuni studi hanno dimostrato che un alto consumo di acqua porti benefici alla salute, ma ‘alto’ significa molto meno di otto bicchieri al giorno». Se poi, addirittura, invece di bere acqua si bevono bevande zuccherate, le calorie e il rischio obesità aumentano in maniera esponenziale.

Il dibattito è apertissimo e la questione ancora controversa. Il fabbisogno giornaliero d’acqua varia da individuo a individuo e dipende da molte variabili, prima di tutto genere ed età e poi condizioni generali, clima, umidità, stile di vita, attività fisica. È vero che servirebbero circa due litri per reintegrare le perdite giornaliere, ma la maggior parte di questa quantità si trova nei cibi e nelle bevande. Frutta, ortaggi, verdura e latte sono costituiti per oltre l’85% da acqua, pane e pizza per il 20-40%; carne, pesce, uova,

formaggi freschi ne contengono dal 50 all’80%, pasta e riso cotti il 60-65%. Senza dimenticare poi che tutti gli organismi animali sono «programmati» in modo da segnalare il bisogno di liquidi molto prima di arrivare alla disidratazione e, come avviene con le spie che segnalano la mancanza di carburante, quando il corpo ha bisogno di acqua, scatta la sete!

Vi sono, infine, alcune patologie, come per esempio lo scompenso cardiaco e la cirrosi epatica, nelle quali un eccesso d’acqua può essere addirittura dannoso.

Perciò, secondo l’American College of Nutrition non ci sono regole o verità assolute e chi è sano e segue una corretta dieta mediterranea non deve rincorrere i fatidici otto bicchieri, né sentirsi in colpa se non beve a sufficienza, anche perché non c’è prova scientifica del fatto che le persone che bevono di più stiano meglio o siano più magre. Insomma, non ci si deve sforzare di ingurgitare acqua per forza o in maniera compulsiva «perché fa bene». Ma su una cosa la comunità scientifica è tutta pienamente d’accordo: se si ha sete che si beva acqua e non bibite industriali dolci e ipercaloriche.

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