UniCamillus Magazine - Inverno 2022

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UNI UNICAMILLUS CAMILLUS Magazine

Inverno2022

2 INFORMA STUDENTI/ WHITE COAT CEREMONY 2022 8 PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE, REALTÀ IN EVOLUZIONE di Alessandro Boccanelli 16 LA CARDIOPATIA ISCHEMICA NELLA DONNA di Achille Gaspardone e Maria Benedetta Giannico 24 “MI HA SPEZZATO IL CUORE” di Luca Weltert 30 BENIN, DIARIO DI MISSIONE di Massimo Gravante 44 STAGE IN GAMBIA, VADEMECUM PER GLI STUDENTI di Filomena Pietrantonio 54 PALASCIANO, IL PRECURSORE DELLA CROCE ROSSA di Giovanni Cardillo 60 UMA; PERSONE E LAVORO: È IL CUORE CHE GUIDA I RAPPORTI UMANI di Mario D’Ambrosio 68 NEWS/NOTE: COREA DEL SUD, AL VIA IL MASTER IN ODONTOIATRIA DI UNICAMILLUS 70 RICERCHE

EDITORIALE

UNICAMILLUS E INTERNAZIONALITÀ, UN’OSMOSI NATURALE di Gianni Profita Rettore

Fin dalla sua istituzione UniCamillus ha fatto dell’apertura al mondo e dell’integrazione fra i popoli il perno della sua missione. UniCamillus ha una vocazione internazionale innata vantando un considerevole tasso di studenti stranieri che giungono da ben 67 Paesi, tra i quali spiccano per numerosità le “delegazioni” di India, Haiti, Turchia, Nigeria, Israele pur non mancando studenti provenienti da Stati Uniti d’America, Germania, Giappone, Francia, Svizzera, Canada, Arabia Saudita, cosa che testimonia anche la competitività accademica di UniCamillus rispetto a Paesi che hanno tradizioni universitarie molto importanti.

In questo numero parleremo di un nostro Master in Odontoiatria che si è svolto in Corea del Sud e parleremo, da due punti di vista diversi, di due eccezionali missioni all’estero volute e guidate dai nostri docenti in Africa Occidentale. La prima si è svolta in Benin, piccolo Stato costiero di lingua francofona, situato in una posizione strategica fra il Sahel e il Golfo di Guinea; la seconda in Gambia, il paese più piccolo del continente Africano di lingua anglofona, anch’esso affacciato sull’Oceano Atlantico, e circondato dal Senegal di cui è un’enclave.

La prima missione, condotta e raccontata in prima persona dal professor Massimo Gravante, nostro docente di Dermatologia, viene descritta in un racconto appassionante che costituirà sicuramente motivo di grande ispirazione per i nostri studenti.

La seconda, guidata dalla professoressa Filomena Pietrantonio, nostra docente di Medicina Interna, affronta il tema delle missioni umanitarie da un punto di vista pratico, offrendo una sorta di vademecum a disposizione degli studenti che intendessero fare un’esperienza formativa di enorme rilievo sanitario ed è densa di significati sotto il profilo umanitario.

Noi siamo convinti, e le nostre missioni ne sono la conferma più concreta, che il lavoro sul campo a livello internazionale, ancor più nei Paesi dove maggiore è la carenza di personale medico, sia uno dei fattori più importanti nella formazione di professionisti della salute capaci, versatili e soprattutto consapevoli della specificità della professione sanitaria.

Vi è poi una parte del Magazine che abbiamo deciso di dedicare al “cuore”, con interventi di alcuni dei nostri docenti che affrontano con profondità scientifica, pur in modo affascinante e chiaro, alcune tematiche di vasto interesse considerato il grande impatto delle patologie cardiache nella qualità e nelle aspettative di vita.

EDITORIAL

UNICAMILLUS AND INTERNATIONALITY, A NATURAL OSMOSIS

Since its inception, UniCamillus made the openness to the world and the integration among peoples the cornerstone of its mission.

UniCamillus has an innate international vocation, boasting a significant rate of international students coming from as many as 67 countries: among these the most numerous “delegations” are those from India, Haiti, Turkey, Nigeria, Israel, but there are also students coming from USA, Germany, Japan, France, Switzerland, Canada, Saudi Arabia, which is evidence of the academic competitiveness of UniCamillus, compared to countries with important university traditions.

In this issue we will report on a Master’s Degree in Dentistry that took place in South Korea and also, from two different points of view, on two extraordinary missions abroad led by our professors in Western Africa.

The first took place in Benin, a small French-speaking coastal country, strategically located between the Sahel and the Gulf of Guinea; the second in Gambia, the smallest country in the African continent, also washed by the Atlantic Ocean, and surrounded by Senegal, of which it is an enclave.

The first mission, led and told in first person by Prof. Massimo Gravante, professor of Dermatology, is described in a riveting tale which will be a source of great inspiration for our students.

The second, led by Prof. Filomena Pietrantonio, professor of Internal Medicine, addresses the issue of the humanitarian missions on a practical point of view, offering a kind of handbook for students who intend to live a training experience of great healthcare significance, and deeply meaningful on a humanitarian point of view.

Our missions are the most solid evidence that fieldwork at international level, even more in countries where there is a higher shortage of medical personnel, is one of the most important factors in shaping capable and versatile healthcare professionals, who are also aware of the specificity of the health profession.

Finally, we have decided to dedicate part of the Magazine to the “heart”, with contributions of some of our professors, who address in a clear and fascinating in-depth analysis, some issues of great interest, considering the impact of heart diseases on the quality and expectancy of life.

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SOMMARIO

ACADEMIC LIFE

Informa Studenti

WHITE COAT CEREMONY 2022

Il rettore, Gianni Profita; le giornaliste Rosanna Lambertucci e Manuela Lucchini; i professori Barbara Tavazzi, Maria Rosaria Capobianchi e Giuseppe Ippolito hanno consegnato, nelle giornate di mercoledì 9 e venerdi 11 novembre, il “primo camice” agli studenti di Medicina e Chirurgia che iniziano così il loro tirocinio ospedaliero. Durante la cerimonia, è intervenuta in rappresentanza degli studenti Ilaria Cassano, studentessa del quarto anno di Medicina e Chirurgia:

“Tre anni fa la maggior parte di noi seduti qui oggi si stava affannosamente immatricolando presso la nostra università. Avevamo la grinta di chi sente di poter fare tutto, come se il peggio fosse passato. Medicina sfida le leggi della concretezza, e trova appiglio nella vocazione. Eppure essere giunti qui oggi vuol dire tagliare un primo traguardo che segna la metà di un percorso, di cui in maniera ancora sfocata, possiamo intravedere in lontananza la fine”.

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Nel corso della cerimonia sono stati consegnati 180 camici ad altrettanti studenti del quarto anno di Medicina e Chirurgia. Subito prima della “vestizione”, la professoressa Tavazzi ha letto agli studenti un estratto della Dichiarazione di Ginevra sulla professione di medico. La Dichiarazione è stata adottata nel 1948, all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale in seguito ai crimini di guerra commessi da medici durante il periodo del Conflitto.

WHAT’S NEW ACENDIO CONFERENCE ROME 2023

16-18 marzo 2023 - UniCongress Hall

Si terrà dal 16 al 18 marzo prossimi, la 14esima Conferenza biennale dell’ACENDIO - Association for Common European Nursing Diagnoses, Interventions and Outcomes – presso la sede UniCongress Hall. Nell’incontro verranno analizzate le interazioni dei dati generati dall’assistenza infermieristica, come essi siano predittivi di modelli che impatteranno sui risultati per pazienti e sull’organizzazione e quali siano le strategie per integrare l’eHealth nella pratica infermieristica. Per l’occasione, si indagheranno gli esiti dei pazienti sensibili all’assistenza relativa alle lingue infermieristiche standardizzate (SNL); l’adesione e la responsabilizzazione del paziente; lo sviluppo e la validazione delle SNL; gli esempi di implementazione di SNL nei curricula, metodi educativi, modelli e valutazioni; l’implementazione pratica dei SNL; l’accuratezza delle diagnosi infermieristiche, l’efficacia degli interventi, la qualità dei risultati dei pazienti e dell’elettronica usata nelle cartelle cliniche; le implicazioni della digitalizzazione e le preoccupazioni etiche; l’usabilità e l’efficacia della digitalizzazione per migliorare i risultati sui pazienti; l’archiviazione e ricerca di big data infermieristica e l’interoperabilità e usabilità dei dati; la sicurezza del paziente e la qualità dell’assistenza attraverso i dispositivi adeguati; la documentazione dell’assistenza infermieristica, la classificazione delle diagnosi infermieristiche e gli interventi; la sanità elettronica e la qualità dell’intelligenza artificiale e della robotica nell’assistenza infermieristica.

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ACADEMIC LIFE

Informa Studenti

DICHIARAZIONE DI GINEVRA

Nel momento di essere ammesso come membro della professione medica mi impegno solennemente a consacrare la mia vita al servizio della umanità. Darò ai miei insegnanti il rispetto e la gratitudine che gli è dovuta. Svolgerò la mia professione con coscienza e dignità.

La salute e la vita dei miei pazienti saranno le mie prime preoccupazioni. Rispetterò i segreti che mi sono confidati, anche dopo la morte del paziente. Manterrò per tutto ciò che è in mio potere, l’onore e la nobile tradizione della professione medica. I miei colleghi saranno i miei fratelli. Non permetterò che considerazioni su età, malattia o disabilità, credo, origine etnica, sesso, nazionalità, affiliazione politica, razza, orientamento sessuale, stato sociale, ed ogni altro fattore, interferiscano tra il mio dovere ed i miei pazienti. Manterrò il massimo rispetto per la vita umana. Non userò la conoscenza medica per violare i diritti umani e le libertà civili, anche sotto minaccia.

Ho fatto questa promessa solennemente, liberamente e sotto il mio onore.

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PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE, REALTÀ IN EVOLUZIONE

Cardiologo, docente di Filosofia Morale presso la UniCamillus University

In un recente articolo è stata esaminata l’entità globale del carico di malattie cardiovascolari (MCV o Cardio Vascular Disease, CVD) e le tendenze a 30 anni in tutto il mondo, con il relativo impatto sulla crescita della popolazione e sull’invecchiamento, tenendo in considerazione le differenze di sesso e di modelli regionali. I risultati evidenziati nel documento hanno mostrato come i casi prevalenti di malattie cardiovascolari totali sono quasi raddoppiati da 271 milioni nel 1990 a 523 milioni nel 2019, mentre il numero di morti per malattie cardiovascolari è aumentato costantemente da 12,1 milioni nel 1990 a 18,6 milioni nel 2019. Nel 2019, la maggior parte delle morti per malattie cardiovascolari a livello globale sono state la cardiopatia ischemica e l’ictus, in modo sempre più costante dal 1990. Anche gli anni di vita vissuti con la disabilità sono raddoppiati passando da 17,7 nel 1990 a 34,4 nel 2019 (come evidenziato nelle successive figure tratte da Journal of the American College of Cardiology; 2020 Dec 22; 76(25): 2982–3021; doi: 10.1016/j.jacc.2020.11.010). Come osserva Gregory Roth, primo Autore dell’articolo “[…] I modelli globali di malattie cardiovascolari hanno implicazioni significative per la pratica clinica e lo sviluppo delle politiche di salute pubblica. È probabile che i casi prevalenti di malattie cardiovascolari aumentino notevolmente a causa della crescita e dell’invecchiamento della popolazione, specialmente in

È necessaria una maggiore attenzione alla promozione della salute cardiovascolare e di un invecchiamento sano per tutto l’arco della vita

Nord Africa e Asia occidentale, Asia centrale e meridionale, America latina e Caraibi e Asia orientale e sud-orientale, dove la quota di persone anziane dovrebbe raddoppiare tra il 2019 e il 2050. È necessaria una maggiore attenzione alla promozione della salute cardiovascolare e di un invecchiamento sano per tutto l’arco della vita. È giunto il momento di attuare strategie fattibili e convenienti per la prevenzione e il controllo delle malattie cardiovascolari e per monitorarne i risultati”. Nel piccolo segmento temporale degli ultimi 50 anni si sono osservate le più grandi rivoluzioni nella storia della medicina cardiovascolare, che hanno avuto un riflesso sull’attesa di vita del singolo individuo. Se ci riferiamo alla prevenzione cardiovascolare, classicamente catalogata come primaria e secondaria, osserviamo come è soprattutto grazie ai rapidissimi suoi progressi che si sia avuto nelle ultime decadi un aumento dell’attesa di vita di oltre dieci anni. Grazie agli studi epidemiologici del secolo scorso è stato messo a fuoco il rapporto causale tra i fattori di rischio e le malattie cardio e cerebrovascolari, aprendo la strada alle strategie di intervento, farmacologiche e comportamentali.

Nel 1974 l’attesa di vita di un maschio italiano era di 69 anni. Attualmente è di 81: questo è dovuto soprattutto alla mutata epidemiologia delle MCV legata all’uso dei farmaci antiaterosclerotici, come le statine, i farmaci antii-

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pertensivi e antiaggreganti, nonché alle procedure di rivascolarizzazione. Nello stesso tempo, l’aumento dell’attesa di vita ha permesso che divenissero epidemiologicamente più rilevanti patologie che prima si osservavano in misura minore: si tratta delle malattie valvolari cardiache, della fibrillazione atriale (presente nel 15% degli ultraottantenni), dello scompenso cardiaco. Si è dato tempo allo sviluppo di malattie da invecchiamento del sistema cardiovascolare, che riconoscono alla propria base numerosi meccanismi a livello cellulare, che includono la senescenza replicativa, l’apoptosi, processi infiammatori. Le conseguenze di queste alterazioni

sono l’ipertensione sistolica isolata, la sclerosi valvolare aortica calcifica con stenosi, l’amiloidosi cardiaca senile, insieme con la coronaropatia calcifica multivasale.

Sono necessarie metodologie e strategie di prevenzione aggiornate, capaci di adattarsi alla epidemiologia che cambia

E come nelle decadi precedenti, problemi nuovi e soluzioni nuove: parallelamente al mutare della epidemiologia, venivano infatti a maturazione le tecniche di sostituzione/riparazione valvolare transcatetere: nel 2002 veniva realizzata la prima sostituzione valvolare aortica transcatetere (TAVI) e nel 2011 la Mitral Clip e sono in corso di perfezionamento le tecniche di sostituzione transcatetere della mitrale e della tricuspide. Si rendono pertanto necessarie metodologie e

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Variazione percentuale del tasso di mortalità per CVD standardizzato per età dal 2010 al 2019
Evoluzione 1990-2019 della classifica dei fattori rischio per le CVD

strategie di prevenzione aggiornate, capaci di adattarsi alla epidemiologia che cambia.

GLISTUDIDIGENETICAELOSCORE POLIGENICO

Il trattamento di malattie ad enorme impatto sulla popolazione quali le MCV, come sopra riportato, si è dovuto necessariamente servire di un approccio “probabilistico”, come espresso dalle tradizionali carte del rischio, sulle quali si basano a tutt’oggi le indicazioni delle linee guida relativamente al trattamento dei fattori di rischio modificabili, sia in termini di variazioni di stile di vita che di prescrizione di farmaci. Relativamente a quest’ultima, mentre sono abbastanza chiari i benefici nelle persone classificate ad alto rischio o in prevenzione secondaria, nella gran parte della popolazione classificabile a rischio intermedio o basso rimangono molte incertezze sulle indicazioni all’uso di farmaci. Al fine di avvicinarsi per quanto possibile alla pratica di una medicina di precisione, si rende necessario affinare le metodiche di valutazione del rischio individuale. Negli ultimi 15 anni si sono riposte molte speranze sugli studi di genetica, che hanno portato alla elaborazione di “score” poligenici fortemente predittivi di rischio di ammalarsi di malattie cardiovascolari. Grazie all’utilizzo di grandi dataset genomici, raccolti in studi longitudinali con follow-up di più di dieci anni, è stato possibile validare la capacità predittiva degli score poligenici. Un esempio di un grande dataset genomico è la UK Biobank: lo studio, promosso dal governo inglese ed effettuato in Gran Bretagna, che comprende più di 500.000 partecipanti genotipizzati e con la loro storia clinica a disposizione tramite gli electronic health records, ha permesso di accelerare la ricerca nella medicina di precisione. Gli score poligenici sono basati sul contributo di centinaia di migliaia o addirittura milioni di variazioni genetiche comuni, ognuna con un piccolo effetto nell’aumento del rischio, ma

che quando sono considerate nella loro totalità, riescono a identificare persone con rischio superiore al 300% rispetto al resto della popolazione. Le variazioni genetiche presenti negli score vengono identificate grazie all’uso di sofisticati algoritmi di machine learning e l’analisi di studi caso-controllo chiamati Genome wide association study (GWAS). Negli ultimi tre anni, la ricerca nel campo della genetica dell’infarto miocardico ha fatto dei progressi importantissimi, riuscendo a raggiungere valore clinico nell’identificare persone sane a rischio. Il valore è dato dalla possibilità di identificare persone con ri-

schio equivalente ai portatori di ipercolesterolemia familiare, ma che, a differenza di questi, non hanno livelli di LDL elevati o altri fattori di rischio, risultando quindi invisibili ai modelli di rischio tradizionali. Inoltre, lo score poligenico ha dimostrato di poter modulare il rischio di infarto conferito dal colesterolo LDL. Uno studio recente pubblicato su Circulation ha evidenziato come persone con livelli di LDL intermedi (e.g. tra 130 e 160 mg/dL), ma con score elevato, abbiano lo stesso rischio di chi ha ipercolesterolemia. Lo score poligenico può essere utilizzato come strumento aggiuntivo a quelli in uso nella pratica clinica, come supporto per aiutare nel prendere decisioni terapeutiche in persone a rischio intermedio,

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La SICGe si è impegnata in un progetto di screening delle MCV e dei fattori di rischio in piccole comunità
Proporzione di decessi per CVD per causa (2019)

spesso difficili da effettuare con gli strumenti a disposizione. Inoltre, è stato dimostrato che le statine e gli inibitori del PCSK9, sono risultati più efficaci nelle persone con alto score poligenico, apportando benefici più elevati.

ILPROSSIMOFUTURO: LAPREVENZIONEDI PRECISIONEEDICOMUNITÀ

Altre ricerche sulla stratificazione o riclassificazione del rischio coronarico si sono focalizzate, oltre che sulla genetica ed i suoi score, sui biomarcatori, in particolare dell’infiammazione sull’imaging sia ultrasonografico che ra-

Numero di decessi per CVD

rimane ancora molto da fare nonostante le evidenze anche italiane sul “basso rischio” e le raccomandazioni, anche recenti, ai due lati dell’Atlantico (17,18).

UNMODELLODIPREVENZIONEDI PRECISIONEEDICOMUNITÀ: ILPROGETTO PREVENZIONECARDIOVASCOLARE (PREVASC)

Raccontiamo nel paragrafo che segue l’esperienza che la Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe) sta conducendo per creare un modello di prevenzione di precisione e di comunità.

diologico e sulla loro integrazione, favorita dalle applicazioni di machine learning, approccio basato su sistemi informatici in grado di apprendere e adattarsi senza seguire istruzioni esplicite, utilizzando algoritmi e modelli statistici per analizzare e trarre inferenze da pattern nei dati. Infine, si stanno studiando fenotipi metabolici “metabotypes” per ottenere una “precision prevention”, prevenzione di precisione soprattutto dal punto di vista alimentare.

Questi scenari sono certamente interessanti, ma emergono subito due problemi:

1)una volta identificati gli strumenti migliori per una “prevenzione di precisione” vanno valutati il loro costo e la loro reale applicabilità a livello di popolazione, in particolare in prevenzione primaria;

2)parlando di popolazione emerge anche per il futuro il contesto di comunità, soggetto essenziale e non riducibile della prevenzione, come anche la pandemia da Covid19 ha dimostrato. Gli individui vivono in un contesto comunitario che ne influenza le scelte soprattutto comportamentali e qui

SINTESIDELPROGETTO

Le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte in Europa e tuttora la prima di ricovero e accesso agli ambulatori. Allo stesso tempo, le MCV hanno una maggiore prevalenza e mortalità nella popolazione anziana. Oltre alla comorbidità c’è da considerare il peso della disabilità, specialmente importante nel caso delle patologie cardiache. Il cambiamento demografico della popolazione ha determinato un’evoluzione epidemiologica e in termini di salute pubblica, creando nuove esigenze assistenziali che devono trovare risposte specifiche, a cominciare da adeguate politiche di prevenzione in ambito cardiovascolare. Prevenzione e screening per contrastare la sotto-diagnosi vanno intesi come strumenti capaci di arginare l’impatto delle MCV sul sistema sanitario. In particolare, le MCV, quando vengono affrontate in età geriatrica, assumono una rilevanza e un interesse non solo clinico (e individuale), ma anche di tipo sociale ed economico, perché rappresentano un’enorme perdita di salute

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collettiva e un costo incalcolabile per il Servizio Sanitario Nazionale. Le malattie cardiache strutturali (SHD) aggravano ulteriormente questo onere. Le SHD sono malattie legate all’invecchiamento che, se non rilevate e curate negli stadi iniziali, presentano un elevato tasso di mortalità e compromettono la qualità della vita dei pazienti. L’impatto del Covid-19 ha ulteriormente peggiorato il quadro epidemiologico dei pazienti. Di fatto si è assistito ad un grave ritardo nel ricorso alle cure mediche di pazienti affetti da patologie cardiovascolari. Sulla base di queste considerazioni, la SICGe si è impegnata in un progetto di screening delle MCV e dei fattori di rischio in piccole comunità per offrire alla popolazione un servizio organizzato di prevenzione a forte valenza sociale. Questa iniziativa ha l’ambizione di voler individuare standard metodologici di prevenzione cardiologica appliin Italia e in Europa.

L’iniziativa è partita già da luglio 2018 ed è ancora in corso con screening cardiologici sugli over 65enni. Il progetto “Il Cuore di...” include il nome dei piccoli comuni italiani dove è stato ospitato. I primi paesi a sperimentare l’iniziativa sono stati Guarcino, Fumone e Picinisco (FR), Montoro (AV), Sant’Arcangelo (PZ), Isnello (PA), Fiesole (FI) e gli iscritti a un circolo sportivo di Roma. Sono stati in particolare eseguiti un elettrocardiogramma (ECG) e un ecocardiogramma. Sono stati coinvolti prima di tutto i sindaci, chiamati a mettere a disposizione sedi opportune e gestire le fasi organizzative, ma anche i medici di base, i cardiologi ed i pazienti. Da un primo immediato confronto

dei due campioni di popolazione (cittadini dei paesi versus frequentatori del circolo sportivo) si è avuta conferma che, a parità di età, praticare regolarmente attività fisica comporta una drastica riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare.

L’azione primaria di riduzione del danno è demandata alla diagnosi precoce (early detection) e quindi attraverso azioni di screening mirate.

I dati raccolti finora sono stati esaminati allo scopo di determinare la prevalenza delle malattie cardiovascolari nella popolazione: su oltre 1000 persone esaminate, il 7% di chi aveva più di 80 anni era affetto da stenosi aortica, il 10% insufficienza mitralica, il 15% fibrillazione atriale o scompenso cardiaco.

L’iniziativa ha inoltre evidenziato l’ottimo rapporto costo-efficacia: è sicuramente più gravoso curare la malattia o le sue complicanze piuttosto che intervenire subito, prima che la malattia manifesti sintomi gravi.

L’iniziativa pilota “Il Cuore di...” prosegue anche nel corso del 2022 e coinvolgerà altri 5 piccoli comuni geograficamente distribuiti su tutto il territorio italiano, selezionati per dimensione (1.500-2000 abitanti) e vicinanza a Istituti cardiologici di riferimento.

Il protocollo di screening (anamnesi, fattori di rischio, esame obiettivo, ECG ed ECO) viene condiviso con i centri ospedalieri partecipanti; i dati sono raccolti in modo centralizzato presso il Dipartimento Cardiovascolare dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi (Firenze) e l’analisi sarà sviluppata presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Firenze, a cui SICGe ha dato l’incarico.

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Gli screening si tengono in momenti di sensibilizzazione sulle patologie cardiache appositamente organizzati per rafforzare il processo di comunicazione e informazione rispetto alla prevenzione delle MCV. I Comuni annunciano l’evento ai cittadini e i medici di famiglia e incoraggiano i loro assistiti a sottoporsi allo screening. Alla luce di questi dati epidemiologici e delle recenti esperienze sulle piccole comunità, SICGe inizierà un programma di diagnosi precoce cardiovascolare organizzato a livello della Repubblica di San Marino (RSM). L’obiettivo ultimo è quello di raggiungere l’intera popolazione over-50 della Repubblica. Tale modello potrà essere in futuro testato anche in altre regioni italiane e su scala nazionale.

1)Screening del profilo di rischio cardiovascolare a 50 anni

A tutti i cittadini di 50 anni viene somministrata mediante invio postale la “carta del rischio”. Il rischio viene calcolato in base a età, genere, abitudine al fumo, presenza di diabete, ipertensione arteriosa, dislipidemia.

I soggetti a rischio da medio ad alto vengono invitati a visita cardiologica ed ecg.

2)Visita ed elettrocardiogramma ai 70enni Nei soggetti dai 70 anni in su viene programmata una visita cardiologica con elettrocardiogramma. In caso di anomalie accertate o sospette, l’iter prosegue con ecocardiogramma e altre indagini se necessario.

IL PROGETTODILEGGE “CARDIO 50”

In base alle esperienze condotte nei Paesi, la SICGe, insieme con altre Società Scientifiche (ANMCO, SIGG) sostiene il Progetto di legge “CARDIO 50”, in corso di esame in Commissione Sanità del Parlamento italiano. La legge intende attivare lo Screening CARDIO50-PREVASC su tutto il territorio nazionale italiano e l’applicazione a S. Marino potrebbe essere un utilissimo pilota.

La legge prevede di:

1)inserire lo Screening CARDIO 50-PREVASC nel nuovo Piano nazionale della prevenzione e nei conseguenti Piani regionali attuativi; 2)assicurare, anche mediante processi di nuovo orientamento operativo dei servizi, le risorse umane e strumentali necessarie per l’avvio, l’estensione e il consolidamento del programma «Screening CARDIO50PREVASC» in tutto il territorio nazionale.

3)raccordare l’implementazione dello Screening CARDIO50-PREVASC con i programmi di

promozione della salute già attivi o in fase di sviluppo, con particolare riferimento alle iniziative di comunità finalizzate a favorire l’adozione di comportamenti salutari.

OBIETTIVIDELPROGETTODI SCREENING CARDIOLOGICO

L’obiettivo generale è quello di identificare e correggere i fattori di rischio cardiovascolare e fare diagnosi precoce delle patologie cardiovascolari e quindi di ridurre morbilità e mortalità. Ciò è in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) definiti dalle Nazioni Unite e il Libro Verde dell’UE sull’invecchiamento, completando le iniziative fondamentali dell’Unione europea sulla salute nonché l’approccio olistico della Commissione europea al problema delle malattie non trasmissibili, come le malattie cardiovascolari, il cancro, le malattie respiratorie croniche e il diabete.

A livello nazionale, con il Programma “Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari” promosso dal Ministero della Salute, già nel 2007 l’Italia si era dotata di una strategia per intervenire sui fattori di rischio modificabili legati allo stile di vita che hanno un impatto sulle malattie cardiovascolari. Questa strategia è stata recepita dai Piani Nazionali della Prevenzione (PNP). Il nuovo PNP 2020-2025 mira ad attuare interventi di promozione della salute, anche diffondendo informazioni e conoscenze sulle malattie croniche non trasmissibili (tra cui le malattie cardiovascolari) e problemi correlati.

In linea con la Strategia Europa 2020 e le priorità trasversali del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il Programma intende contribuire ai seguenti obiettivi strategici:

• Promozione dell’inclusione sociale;

• Prevenzione e diagnosi precoce delle malattie cardiovascolari;

• Contrasto alla povertà e ad ogni forma di discriminazione, attraverso il potenziamento dell’accesso a servizi sanitari di qualità garantiti alle persone in situazioni vulnerabili, come gli anziani;

• Formazione del personale medico nell’ambito delle attività di screening, del riconoscimento dei sintomi e delle competenze digitali legate alla rilevazione dei dati.

Le attività riguarderanno il trasferimento e attuazione, su scala nazionale, di buone pratiche di screening cardiologici sugli over 50, facilitazioni nell’accesso a servizi sostenibili e di qualità, raccolta di dati in formato digitale.

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CARDIOVASCULAR DISEASE PREVENTION: AN

EVOLVING REALITY

The prevalent cases of total cardiovascular disease (CVD) almost doubled: there were 271 million cases in 1990, compared to 523 million in 2019. The number of deaths has steadily increased: from 12.1 million in 1990 to 18.6 million in 2019.In 2019, the majority of cardiovascular disease deaths globally were caused by ischaemic heart disease and stroke; years living with disabilities doubled from 17.7 in 1990 to 34.4 in 2019.

In 1974 the life expectancy of an Italian male was 69 years. Currently, it is 81 years: this is mainly due to the changed epidemiology of CVD linked to the use of antiatherosclerotic drugs, such as statins, antihypertensive and antiplatelet drugs, as well as revascularisation procedures. At the same time, the increase in life expectancy has allowed diseases that were previously observed to a lesser extent to become epidemiologically more relevant: namely heart valve diseases, atrial fibrillation (present in 15% of those over 80) and heart failure.

Over the last 15 years, many hopes have been placed on genetic studies, which have led to the development of polygenic “scores” that are highly predictive of the risk of illness from cardiovascular diseases. Thanks to the use of large genomic datasets, collected in longitudinal studies with follow-ups of more than ten years, it is possible to validate the predictive capacity of polygenic scores.

Polygenic scores are based on the contribution of hundreds of thousands or even millions of common genetic variations, each with a small effect in increasing risk, but when considered in their entirety, they are able to identify people with a risk greater than 300% compared to the rest of the population. Over the past three years, research in the field of myocardial infarction genetics has made tremendous progress, achieving clinical value in identifying healthy people at risk. The value is given by the possibility of identifying people with equivalent risk to carriers of familial hypercholesterolaemia, but who, unlike them, do not have high LDL levels or other risk factors, thus being invisible to traditional risk models.

In Italy, the Italian Society of Geriatric Cardiology (SICGe) has engaged in a project to screen CVD and risk factors in small communities to offer the population an organised prevention service with a strong social value. The initiative already started in July 2018 and is still underway with cardiological screening of over-65’s. In particular, an electrocardiogram (ECG) and an echocardiogram were performed.

First of all, the auditors were involved, who were called upon to provide appropriate offices and manage the organisational phases, but also general practitioners, cardiologists and patients. The data collected so far have been examined in order to determine the prevalence of cardiovascular diseases in the population: out of over 1,000 people examined, 7% of those over 80 years of age had aortic stenosis, 10% had mitral insufficiency and 15% had atrial fibrillation or heart failure. The initiative will also continue in 2022 and an early cardiovascular diagnosis programme will begin, organised at the level of the Republic of San Marino (RSM).Based on the tests carried out in the various regions, SICGe, together with other Scientific Societies (ANMCO - Italian National Association of Cardiological Hospital Doctors, SIGG - Italian Association of Gerontology and Geriatrics) supports the “CARDIO 50” Bill, currently being examined in the Health Commission of the Italian Parliament. The law intends to activate the CARDIO50-PREVASC Screening throughout the Italian national territory and its application to San Marino could be a very useful pilot.

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LA CARDIOPATIA ISCHEMICA NELLA DONNA

Cardiologo, docente di Malattie dell’apparato cardiovascolare presso la UniCamillus University Cardiologa interventista presso l’Ospedale Sant’Eugenio di Roma

Sono ormai numerose le evidenze riguardanti le peculiarità di genere nella cardiopatia ischemica. Prevalenza, sintomatologia e fisiopatologia variano tra uomini e donne. La prima differenza è l’età media di insorgenza della patologia ischemica, negli uomini prima dei 65 anni; le donne, invece, entro tale età, sembrano relativamente protette dalla malattia.

La coronaropatia nelle donne si manifesta con un ritardo medio di 7-10 anni rispetto agli uomini

Il meccanismo di protezione non del tutto chiaro, secondo alcuni potrebbe banalmente riflettere una minore prevalenza di fattori di rischio cardiovascolare, secondo altri rifletterebbe l’assetto ormonale estrogenico.

Superati i 65 anni, l’incidenza della malattia femminile aumenta e si avvicina a quella maschile. Si verifica cioè un fenomeno di “catchup” per cui, oltre i 75 anni, essendovi più donne che uomini, il numero di donne con cardiopatia ischemica è addirittura maggiore rispetto agli uomini. Da un lato, quindi, la coronaropatia nelle donne si manifesta con un ritardo medio di 7-10 anni rispetto agli uomini; dall’altro, le donne con malattia coronarica sono più anziane ed in esse come negli uomini la cardiopatia ischemica è la principale causa di morte.

Le statistiche annuali continuano a riportare un numero maggiore di decessi per coronaropatia tra le donne e quella cardiaca resta la principale causa di morte per pazienti femmine di tutte le età.

Anche da un punto di vista fisiopatologico sono emerse alcune differenze: il sesso femminile mostra, rispetto a quello maschile, minore incidenza di malattia ostruttiva epicardica, a fronte di una più spiccata vasoreattività coronarica, tendenza all’erosione di placca/embolizzazione distale, disfunzione microvascolare e predisposizione alla dissezione spontanea.

Le pazienti con cardiopatia ischemica dovuta a coronaropatia ostruttiva e sottoposte ad angioplastica coronarica (PCI) hanno, rispetto agli uomini, un burden maggiore di fattori di rischio tradizionali:

• età >55 anni;

• familiarità per eventi coronarici prematuri in parenti di primo grado (maschi sotto ai 50 anni, femmine sotto ai 60 anni);

• ipertensione;

• dislipidemia (LDL elevate e/o basso HDL);

• fumo;

• diabete mellito;

• obesità;

• sindrome metabolica;

• malattia renale cronica.

A questi si affiancano nuovi fattori emergenti “peculiari” del sesso femminile: menarca precoce; sindrome dell’ovaio policistico; complicanze correlate alla gravidanza (eclampsia, pre-eclampsia, ipertensione gestazionale, diabete gestazionale); ipotiroidismo (nei soggetti ipotiroidei è stato riscontrato un aumento dei livelli plasmatici di osteoprotegerina, una proteina

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di Achille Gaspardone e Maria Benedetta Giannico

correlata agli eventi cardiovascolari le cui concentrazioni si riducono in seguito al trattamento con tiroxina), stress psicologico (depressione, stress o disordine post-traumatico); malattie autoimmuni (prevalenti nella donna e in tutte le fasce di età, causano uno stato infiammatorio e una tendenza alla trombofilia; inoltre l’uso di steroidi e di farmaci antinfiammatori non steroidei predispongono a ipertensione e diabete). Si parla molto, attualmente, dello stress da violenze subite dalle donne fra le mura domestiche, nell’ambiente di lavoro, che va a sommarsi a quello legato al peso della famiglia e delle funzioni di caregiver. L’“indicatore” obiettivo di questo fattore di rischio è rappresentato dall’utilizzo di antidepressivi e di ansiolitici che, nel nostro Paese, è più che doppio nelle donne rispetto all’uomo. A fronte della chiara evidenza di elevata prevalenza della malattia cardiovascolare nel sesso femminile, quel che emerge dalla letteratura è il differente approccio diagnostico e terapeutico verso la donna affetta da cardiopatia ischemica: nel registro CRUSADE (circa 36

Le donne ricevono meno frequentemente degli uomini un ECG entro 10 minuti dall’accesso alla struttura sanitaria e sono meno spesso ricoverate in ambiente cardiologico

000 pazienti con SCA-NSTE ad alto rischio) le donne ricevono meno frequentemente un ECG entro 10 minuti dall’accesso alla struttura sanitaria e sono meno spesso ricoverate in ambiente cardiologico. In riferimento alla terapia farmacologica, le donne ricevono meno spesso inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa rispetto agli uomini, e alla dimissione vengono loro prescritti meno aspirina, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e statine. Nell’uso delle procedure diagnostiche gli uomini sono più frequentemente avviati a coronarografia, le donne a test di stress imaging. Però, uomini e donne hanno la stessa probabilità di rivascolarizzazione una volta sottoposti a coronarografia. Una analisi retrospettiva ha dimostrato che la mortalità a 30 giorni nelle donne è significativamente più alta rispetto agli uomini in quasi 19000 pazienti trattati mediante PCI dal 1979 al 2004; in un lavoro prospettico di 1450 pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA-NSTE) avviati a studio emodinamico precoce e a PCI della sola lesione ritenuta “culprit”, l’endpoint com-

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binato di morte e reinfarto non fatale a 20 mesi di follow-up si riduce in entrambi i sessi, ma in maniera significativamente più marcata nelle donne, a conferma della necessità di adottare strategie interventistiche paritarie nei due sessi. Tale tendenza a “sottotrattare” le donne, emerge dall’analisi “post-hoc” dello studio CURE che evidenzia che in pazienti ricoverati per SCA-NSTE, le donne vengono sottoposte meno frequentemente degli uomini a coronarografia, eppure nella fascia ad alto rischio la presenza di malattia coronarica è sovrapponibile nei due sessi, così come la frequenza di rivascolarizzazione con PCI o bypass aortocoronarico. Inoltre l’impiego di tecniche diagnostiche invasive come la coronarografia è più limitato per le donne, per questo motivo probabilmente la diagnosi è più tardiva e la patologia osservata è di solito più avanzata. Dal punto di vista prognostico si osserva una maggiore incidenza di angina refrattaria e riospedalizzazione per ischemia nelle donne rispetto agli uomini (23,9% vs 15,3%), soprattutto nella fascia di alto rischio, risultato che potrebbe

Si osserva una maggiore incidenza di angina refrattaria e riospedalizzazione per ischemia nelle donne (23,9%) rispetto agli uomini (15,3%)

essere stato causato dalla minore aggressività di trattamento. Viceversa la prescrizione della terapia indicata dalle linee guida si associa invariabilmente all’abolizione o alla netta riduzione di eventi avversi nel sesso femminile. Anche il tasso di complicanze appare numericamente superiore nel genere femminile: le donne rispetto agli uomini presentano un tasso doppio di sanguinamenti dopo somministrazione di inibitori della glicoproteina IIb/IIIa nel contesto di sindrome coronarica acuta, evitabile mediante uno scrupoloso dosaggio degli stessi, o un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio e delle comorbilità della paziente che predispongono ad eventi emorragici, o mediante l’utilizzo sistematico dell’approccio transradiale. Dal punto di vista terapeutico, una strategia invasiva è sicura ed applicabile, nella donna come nell’uomo, a tutto lo spettro di manifestazioni cliniche della cardiopatia ischemica e lesioni tecnicamente complesse sono trattabili efficacemente con PCI in entrambi i sessi. Inoltre, l’eccesso di rischio di eventi cardiaci avversi maggiori nelle donne dopo PCI diventa

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Nella foto in alto, una placca aterosclerotica filmata in vivo durante un intervento chirurgico.

fittizio quando corretto per il peggiore profilo di rischio basale.

Se da un lato la prima manifestazione di malattia coronarica è più drastica nella donna rispetto all’uomo per un possibile bias di selezione (verrebbero cioè diagnosticate di più le donne più anziane e con elevato carico di fattori di rischio) o bias di trattamento (cioè, nelle donne verrebbe attuata una minore prevenzione cardiovascolare primaria), la prognosi è sensibilmente peggiore nelle donne colpite da sindrome coronarica acuta prima dei 60 anni, la cui mortalità intraospedaliera è descritta essere quasi doppia rispetto agli uomini e la cui genesi potrebbe riferirsi a differenti meccanismi di malattia rispetto all’uomo. Studi con tomografia assiale computerizzata coronarica in soggetti sintomatici per dolore toracico o con ultrasonografia intracoronarica (IVUS) in soggetti sottoposti a coronarografia diagnostica, procedurale o di controllo suggeriscono che non solo l’estensione ma anche le caratteristiche istologiche delle lesioni aterosclerotiche differiscano nei due sessi prima

Si osserva una maggiore incidenza di angina refrattaria e riospedalizzazione per ischemia nelle donne (23,9%) rispetto agli uomini (15,3%)

dei 65-68 anni, ma non in età più avanzata. In queste casistiche, la donna prima dei 65-68 anni rispetto all’uomo mostra un minore numero e volume di lesioni epicardiche, che meno spesso sono calcifiche o con cappuccio fibroso sottile. In uno studio di circa 1000 pazienti con coronaropatia stabile, di età media <60 anni, la valutazione IVUS mostrava volumi inferiori sia dei segmenti arteriosi che del lume (riferibili alla minore superficie corporea) e ateromi più piccoli nella donna rispetto all’uomo nonostante una maggiore prevalenza di ipertensione, obesità e dis-lipidemia nella donna. Non vi erano differenze tra i sessi nel rimodellamento arterioso di tipo costrittivo o espansivo. In una serie di 700 pazienti con SCA, le lesioni non culprit esaminate con IVUS erano di numero inferiore nelle donne, con minor volume di “core” necrotico e di calcio e con meno rotture di placca. Questi e altri dati suggeriscono uno sviluppo rallentato di ateromasia coronarica nella donna rispetto all’uomo nonostante un maggior numero di fattori di rischio cardiovascolare. In

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una serie autoptica di 111 decessi per morte coronarica improvvisa, l’erosione rispetto alla rottura di placca si associava ancora al sesso femminile, a minor grado di stenosi coronarica, a una età più giovane, a trombo meno fresco, a minor core necrotico e a minore presenza di macrofagi.

Quindi SCA anche letali nella donna più giovane, si realizzano più per effetto di erosioni coronariche epicardiche che per la presenza di placca lipidica macrofagica e rottura della stessa, come avviene per l’uomo. Nella donna con manifestazione precoce di malattia coronarica i meccanismi sono frequentemente differenti dalla rottura di placca ateromasica e pertanto la presentazione clinica può essere più insidiosa.

La dissezione coronarica spontanea è circa 3 volte più frequente nella donna rispetto all’uomo. L’incidenza, seppur rara (tra 0.1% e 1% in diverse serie angiografiche) può superare il 10% nel sottogruppo di donne con SCA prima dei 50 anni. L’arteria più colpita è la discendente anteriore. Il clivaggio e falso lume possono avvenire tra intima e media o tra media e avventizia, ostruendo in parte o in toto il vero lume. La dissezione può causare morte improvvisa, aritmie ventricolari, infarto miocardico, oppure essere un riscontro casuale. Sembrano maggiormente colpite donne <50 anni, senza fattori di rischio tradizionali e con limitata estensione di aterosclerosi significativa. Nel 30% circa dei casi la dissezione si verificherebbe peripartum, specie nelle 2 settimane successive al parto. Altri casi si associano a malattie del connettivo, vasculite, sforzi fisici, consumo di cocaina o di contraccettivi orali. Oltre alla dissezione intimale, sono stati documentati infiltrati eosinofili e l’ematoma intramurale è un altro possibile meccanismo. Questi dati suggeriscono che la parete arteriosa epicardica della donna sia più propensa a lacerazione, infiltrazione eosinofila ed emorragia, specie nelle giovani senza fattori di rischio né aterosclerosi ostruttiva. Gli eventi peripartum suggeriscono una predisposizione legata a oscillazioni ormonali femminili e/o a sforzi isometrici estremi.

I dati suggeriscono che la parete arteriosa epicardica della donna sia più propensa a lacerazione, infiltrazione eosinofila ed emorragia, specie nelle giovani senza fattori di rischio né aterosclerosi ostruttiva

angina microvascolare è costituito da donne in peri- o postmenopausa. Questa sindrome è caratterizzata da angina – prevalentemente da sforzo nella forma stabile, a riposo nella forma instabile – in presenza di test non invasivi positivi per ischemia e di coronarografia normale o priva di stenosi significative. Si riscontra nel 20-30% dei pazienti sottoposti ad angiografia diagnostica. Difetti di perfusione o indici metabolici di ischemia vengono documentati durante stress o nelle forme instabili. In questi pazienti è stata evidenziata una maggior sensibilità al dolore, un’alterata risposta a stimoli vasodilatatori e un’aumentata risposta a stimoli vasocostrittori. La carenza di estrogeni potrebbe avere un ruolo significativo. Nelle forme instabili, è possibile che processi coronarici epicardici transitori di trombosi e/o spasmo interagiscano con la disfunzione microvascolar. La cardiomiopatia da stress (vedi sotto), almeno in alcune sue forme, potrebbe essere riconducibile a intensa vasocostrizione del microcircolo con conseguente stunning miocardico. Questi dati suggeriscono che il microcircolo coronarico della donna sia più soggetto a disfunzioni motorie e che il quadro ormonale femminile peri/postmenopausa (declino estrogenico) possa favorire l’insorgenza di angina su base microvascolare. La sindrome di Takotsubo è un’altra manifestazione clinica della cardiopatia ischemica in cui vi è una forte prevalenza femminile, specie in postmenopausa, e una forte associazione con stress emotivi, chirurgici o fisici. È caratterizzata da ballooning reversibile dell’apice o dei segmenti medio-apicali del ventricolo sinistro, sopraslivellamento del tratto ST o onda T negativa, lieve o moderato rialzo di indici di miocardionecrosi e assenza di stenosi coronariche epicardiche significative. Costituisce il 2-5% delle SCA.

Sono stati ipotizzati quali possibili meccanismi patogenetici: un transitorio stunning indotto da rilascio improvviso di catecolamine, spasmo coronarico epicardico (anche multivasale), disfunzione microvascolare e trombosi coronarica seguita da rapida ricanalizzazione.

Un’altra manifestazione di cardiopatia ischemica prettamente femminile è l’angina microvascolare, infatti sino al 70% dei pazienti affetti da

In aggiunta, alcuni dati suggeriscono che la donna abbia un maggiore potenziale protrombotico rispetto all’uomo; ciò potrebbe favorire lo sviluppo di occlusioni coronariche anche

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in assenza di stenosi epicardiche significative; dati tratti da una comunità di 8000 scozzesi tra i 40 e i 60 anni indicano livelli plasmatici di fibrinogeno più alti nella donna rispetto all’uomo nelle varie fasce di età. Anche in pazienti con coronaropatia ostruttiva, dopo aggiustamenti per età, le donne mostrano concentrazioni più alte di fibrinogeno, dell’inibitore della fibrinolisi plasminogen activator inhibitor-1 e del fattore VII della coagulazione. Diversi studi, hanno evidenziato una maggiore reattività piastrinica nella donna rispetto all’uomo. Infine il ruolo dell’immunità appare sempre più rilevante nelle donne come possibile meccanismo eziopatogenetico di malattia coronarica. Molte malattie autoimmuni mostrano una forte predilezione femminile con rapporto donna: uomo anche di 50:138.

Tra queste:

• lupus eritematoso sistemico,

• sindrome da anticorpi antifosfolipidi,

• tiroidite di Hashimoto,

• malattie del connettivo

• artrite reumatoide

si associano ad aumentato rischio di eventi coronarici.

Uno studio di circa 500 donne con lupus eritematoso sistemico ha mostrato una incidenza di infarto miocardico 50 volte superiore nelle donne lupiche di età tra 35 e 44 anni rispetto

a 2000 controlli sani. Nella sindrome da anticorpi antifosfolipidi, l’infarto del miocardio è stato descritto prevalentemente in donne giovani con coronarie angiograficamente normali.

Questi dati suggeriscono che patologie autoimmuni, compreso l’ipotiroidismo, vadano ricercate e trattate nelle donne che sviluppano ischemia miocardica prematura, soprattutto in assenza di stenosi epicardiche significative. Particolarmente deleteria nella donna la combinazione tra fumo, contraccezione orale e anticorpi lupici.

Alla luce di quanto sin qui enunciato appare di assoluta importanza concepire un progetto di sviluppo di strategie mirate alla prevenzione primaria e secondaria della malattia cardiovascolare in tutte le fasce di età nella donna, al fine di garantire un’adeguata qualità della vita a tutte le età. Per tali motivi, è necessario sensibilizzare enti, associazioni, organismi statali ad implementare campagne di informazione dettagliata su entità del fenomeno e possibilità di controllo attivo dei fattori di rischio modificabili; inoltre è necessario garantire un accesso facilitato a cure tempestive, efficaci e complete e promuovere altresì il reinserimento agevole nella società produttiva delle donne affette da sindrome ischemica, garantendo una svolta concreta nella storia naturale di questa malattia.

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ISCHAEMIC HEART DISEASE IN WOMEN

There is now much evidence regarding gender specificity in ischaemic heart disease. The first difference is the average age of onset of ischaemic disease in men before the age of 65; women, on the other hand, by that age, seem to be relatively protected from the disease. After the age of 65, the incidence of female disease increases and approaches that of men. That is, a “catchup” phenomenon occurs so that, over 75 years of age, since there are more women than men, the number of women with ischaemic heart disease is even greater than that of men. On the one hand, therefore, coronary heart disease in women occurs with an average delay of 7-10 years compared to men; on the other hand, women with coronary heart disease are older and ischaemic heart disease is the main cause of death in them, as in men. Patients with ischaemic heart disease due to obstructive coronary artery disease and undergoing coronary angioplasty (PCI) have, compared to men, a higher burden of traditional risk factors: age >55 years; familiarity with premature coronary events in first-degree relatives; hypertension; dyslipidemia; smoking; diabetes mellitus; obesity; metabolic syndrome; chronic kidney disease. These are accompanied by new emerging factors “specific” to the female sex: early menarche; polycystic ovary syndrome; pregnancy-related complications; hypothyroidism, psychological stress; autoimmune diseases.

Given the clear evidence of high prevalence of cardiovascular disease in women, what emerges is the different diagnostic and therapeutic approach towards women suffering from ischaemic heart disease: women receive an ECG less frequently within 10 minutes of access to the health facility and are less often hospitalised in a cardiological environment. With reference to drug therapy, women receive less inhibitors of glycoproteins IIb/IIIa than men, and at discharge they are prescribed less aspirin, angiotensin converting enzyme inhibitors and statins. A retrospective analysis showed that 30-day mortality in women is significantly higher than in men.

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“MI HA SPEZZATO IL CUORE”

Una frase che in tanti ci siamo trovati a dire nel corso della vita, di fronte ad un tradimento, una delusione, un fallimento, un lutto. Al corso universitario di pischiatria ho poi imparato che quel modo di dire si chiama “somatizzazione”, cioè rendere corporeo qualcosa che invece nasce nella sfera dei sentimenti. Per esempio, “somatizziamo” qualche evento o persona che ci sta antipatico dicendo “mi sta sullo stomaco”, o anche su ben altri segmenti anatomici se siamo più espliciti.

Poi ho cominciato la specialità in Cardiochirurgia, e mi sono occupato per tutta la vita dell’organo cuore, delle sue valvole, dei suoi condotti, del muscolo e delle coronarie.

E ho maturato una consapevolezza di tipo soprattutto anatomico della malattia: invariabilmente quando apro un cuore in cui una valvola si è deteriorata al posto della lucida e liscia perfezione dei tessuti sani mi trovo davanti un grumo di materiale bitorzoluto ed invecchiato, palesemente inadeguato a svolgere la sua funzione.

E, parimenti, quando apro una arteria coronaria malata ne apprezzo lo spessore esagerato, il colore biancastro invece che rosa e gli inestetici (e letali) rigonfiamenti giallastri che chiamiamo placche aterosclerotiche.

Per un chirurgo quindi malattia è sempre sinonimo di substrato anatomico, e certi concetti romantici, come appunto il “cuore infranto” o il “morir di crepacuore” sono confinati alla letteratura, o alla pochezza espressiva di chi non ha la dovuta contezza fisiopatologica. Oppure no?

La prima volta che ho impattato nella Sindrome di Takotsubo, questo il nome nosologico della “sindrome del cuore infranto”, è stato in una paziente operata di plastica mitralica. Intervento riuscito, paziente sveglia ed estubata, e, purtroppo, una volta riacquisita la capacita di parlare, la prima domanda che ci ha rivolto era relativa alla sorte del marito, che, per somma sventura, il giorno prima dell’intervento aveva avuto un ictus. Il marito permaneva in un coma da cui era difficile si risvegliasse, e la notizia ha sconvolto la nostra paziente mitralica. E fin qui nulla di straordinario, chi non sarebbe addolorato in questa condizione. Ma quello che è successo subito dopo aveva dell’incredibile: una improvvisa défaillance cardiaca con slivellamento elettrocardiografico come da infarto in fatto. Ora, va detto che ogni paziente che si opera al cuore, prima di sdraiarsi sul fatidico letto operatorio e passare dalla parte sbagliata della lama del bisturi viene sottoposto ad estese indagini, tra cui una angiografia coronarica. Quindi sapevamo per certo che le coronarie della paziente erano sane. Era impossibile che avesse un infarto ischemico. Eppure, stava succedendo. Prendendo una decisione figlia della nostra “teologia dell’anatomia” abbiamo portato la paziente in emodinamica per compiere uno studio angiografico alla ricerca di una placca che ci era sfuggita, o di una compressione dovuta ai punti dell’anello mitralico che avevamo impiantato. Niente. Coronarie lisce come l’olio. E quadro di ischemia risolto. Riportiamo la paziente in terapia intensiva, ri-

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duciamo la sedazione e la svegliamo. La signora non ha più dolore. Finalmente rilassati, ma ancora con il dubbio di cosa fosse successo, andiamo a toglierci le divise chirurgiche in spogliatoio dopo una lunga e strana giornata di lavoro. Ancora non avevo finito di sfilarmi la blusa che ci richiamano da terapia intensiva: nuovo attacco di angina e slivellamento in corso. La frustrazione provata in quel momento,

la immortale e ora proverbiale espressione “Carneade, che era costui?”. Mentre cercavo di disseppellire dalla memoria del corso universitario il nome giapponese il collega anestesista corse a sospendere le pompe degli inotropi e si fece portare invece una fiala di calcio antagonista che somministrò a bolo. E sotto gli occhi stupiti e reverenti di noi chirurghi quel giorno impotenti, la contrazione si attenuò fino a rilasciarsi.

Angiogramma in diastole (sinistra) e sistole (destra) in proiezione obliqua anteriore destra che dimostra l’anomalia del movimento della parete caratteristica della cardiomiopatia da stress. Alla fine della sistole, la camera ventricolare sinistra adotta una configurazione distintiva a “collo corto con pallone tondo” in cui la porzione distale (apicale) è acinetica/ipocinetica mentre, al contrario, il restante segmento prossimale (basale) è ipercontrattile (l’area di transizione affilata è mostrata dalle frecce).

di non aver un bersaglio da aggredire, è una sensazione amara che non dimenticherò. Facendo l’ecocardiogramma osserviamo una strana forma del ventricolo, come una specie di cilindro, contratto e che si rilascia poco alla base del cuore. Fu il nostro capo anestesista allora a dire “potrebbe essere una Takotsubo”.

Io mi sentii come Don Abbondio quando il Manzoni ce lo presenta, alle prese con la memoria per cercare di ricordare chi fosse un tal scrittore latino, che ce lo ha consegnato con

“Takotsubo” è una parola giapponese che si riferisce a una sorta di cestello utilizzato dai pescatori locali per la cattura dei polpi. I ricercatori che hanno descritto per primi la sindrome di Takotsubo hanno ritenuto di dare questo appellativo alla sofferenza in questione poiché, alle immagini ecocardiografiche o di risonanza magnetica il ventricolo sinistro del paziente assume una forma del tutto simile al Takotsubo per la pesca dei polpi.

Nei Paesi occidentali, si stima che la sindrome

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di Takotsubo si presenti nel 2-3% di tutte le persone che manifestano i sintomi di un infarto. Tipicamente, come nel caso di cui fui testimone, questa sindrome è più frequente nella popolazione di sesso femminile (90% dei casi) e in particolar modo nelle donne in menopausa: si stima che soltanto il 3% dei casi femminili riguardi donne di età inferiore ai 50 anni. Come spesso succede nel gruppo di patologiche psicosomatiche, la causa precisa della sindrome di Takotsubo è a tutt’oggi poco chiara, probabilmente perché complessa e non lineare. In più dei due terzi dei casi, la sofferenza cardiaca sussegue temporalmente un evento particolarmente stressante o una forte emozione, come se queste situazioni fossero in grado in qualche modo di condizionare negativamente la funzionalità cardiaca.

La teoria fisiopatologica che al momento spiega l’associazione tra la sindrome di Takotsubo e le situazioni particolarmente stressanti o emotive vede come attori principalmente coinvolti due ormoni, l’adrenalina e la noradrenalina, potenti vaso-costrittori che hanno il loro presupposto fisiologico nel massimizzare la pressione e la velocità di circolo, ma che in questo caso trovano una esagerata sensibilità nel substrato bersaglio; l’ipotesi alla base di questa teoria fisiopatologica è che l’abbondante rilascio di questi due ormoni indotto dagli stress maggiori e dalle intense emozioni sia capace in persone predisposte di “stordire” il tessuto miocardico, alterando in questo modo la funzione di pompa. Un’altra teoria, a nostro avviso complementare alla prima, sostiene come la disfunzione miocardica sarebbe dovuta da una vasocostrizione temporanea delle arterie coronarie, ed anche questo sarebbe coerente con il meccanismo ormonale, facendo rientrare il quadro più nella malattia ischemica classica che in quello delle cardiomiopatie in cui la malattia era in origine catalogata. Tra gli eventi più frequentemente associati alla sindrome sono riportati decesso di una persona cara, la diagnosi di malattia grave, la violenza domestica, la perdita o la vincita di grosse somme di denaro. E, ancora: feste a sorpresa, discorsi in pubblico, perdita del lavoro e problemi finanziari, separazione o divorzio, stress fisici come attacchi d’asma, fratture ossee o interventi di chirurgia maggiore.

Esiste inoltre un’ulteriore condizione che può comportare la presentazione di questa sindrome, ovvero l’assunzione di particolari farmaci quali epinefrina, duloxetina, venlafaxina e levotiroxina. Il loro effetto difatti consiste nell’elevazione dei livelli plasmatici di adrenalina e noradrenalina. Arrivare alla diagnosi di Sindrome del Cuore Infranto non è facile, e si lavora per lo più con la logica dell’esclusione: si porrà cioè la diagnosi quando si è stati in grado di escludere le cause organiche di ischemia cardiaca nonché le altre patologie in diagnosi differenziale tradizionale quali miocardite, pericardite, dissezione aortica, miocardiopatia secondaria a emorragia subaracnoidea.

Ipotesi: l’abbondante rilascio di adrenalina e noradrenalina indotto dagli stress maggiori e dalle intense emozioni sia capace in persone predisposte di “stordire” il tessuto miocardico, alterando in questo modo la funzione di pompa del cuore

All’Elettrocardiogramma (ECG) l’80% dei pazienti mostra un’elevazione dei tratti ST che morfologicamente non possono essere differenziati da quelli che si osservano durante uno STEMI. Oltre a ciò, nel 64% dei casi sono presenti variazioni dell’onda T (frequentemente invertite) accompagnate da elevazione del tratto ST. Infine, il 32% dei pazienti presenta onde Q patologiche. Per questi motivi l’ECG spesso non può distinguere una sindrome di Takotsubo da un infarto miocardico acuto, motivo per il quale questi pazienti devono essere trattati come se avessero uno STEMI in atto sino a coronarografia avvenuta. Negli esami del sangue i livelli di Troponina, un enzima che viene rilevato in seguito a miocardiocitonecrosi, possono essere mediamente elevati, ma è soprattutto l’Ecocardiogramma spesso ad essere dirimente: il riscontro di ipocinesia e di rigonfiamento dei segmenti apicali del ventricolo sinistro, la forma “a pallone” dell’apice cardiaco (un sinonimo di questa malattia è infatti “left ventricular apical ballooning”). Nella forma più comune il quadro ecocardiografico mostra acinesia dei segmenti apicali e medi del ventricolo sinistro ed ipercinesia dei segmenti basali. L’inevitabile angiografia coronarica mostra quasi sempre, come nel nostro caso aneddotico, assenza di alterazioni nei vasi coronarici, ma alcuni studi hanno riportato che nel 10-20% circa dei pazienti con questa sindrome si sia riscontrata in sede di questo esame una coronaropatia tipicamente non concordante con la sede delle alterazioni della cinesi. Attualmente non è noto se la coro-

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naropatia rappresenti uno “spettatore innocente” o se abbia un ruolo eziopatogenetico e prognostico nella cardiomiopatia da stress. Infine, la Risonanza magnetica cardiaca per la verità utile più a scopo di studio che in fase clinica acuta, se eseguita in una fase molto precoce, può mostrare l’estensione del miocardio colpito, mentre in una fase più tardiva è in grado di valutare la reversibilità delle peculiari alterazioni della cinetica regionale. Ipotizzando di aver fatto diagnosi il passo successivo è la terapia, che qui si fa elusiva come spesso succede nei casi in cui la patologia sia squisitamente dinamica e non anatomica: fino a quando la diagnosi non è certa, il trattamento si sovrappone a quello previsto in caso di infarto. Successivamente la terapia verte sull’assunzione di farmaci quali ACEinibitori, beta-bloccanti, diuretici e antagonisti dei recettori dell’angiotensina, con lo scopo di alleggerire il carico di lavoro cardiaco e migliorare la sintomatologia presente. In cronico ha poi spazio un training con esperti in tecniche di rilassamento e di gestione dello stress, in modo tale che possano apprendere

come affrontare nel modo corretto le situazioni emotivamente più intense e stressanti. Nonostante il nome “cuore infranto” lasci intendere una fine miseranda, generalmente la prognosi è buona, se non eccellente. Questo in quanto in assenza di complicazioni le persone colpite da sindrome di Takotsubo si riprendono completamente nel giro di giorni o settimane. Solitamente, dopo 4-6 settimane dall’inizio del trattamento è previsto un controllo ecocardiografico, che serve a valutare il processo di recupero e la ripresa della piena funzionalità cardiaca.

La storia da cui eravamo partiti si risolse poi con la scomparsa dei sintomi nella paziente e con una grande lezione di umiltà per la compagine chirurgica, generando il forte impulso a considerare che la vita è ancora spesso complessa e imperscrutabile alla nostra limitata comprensione; non per questo dobbiamo arrenderci al fatalismo: ogni piccolo passo ci aiuta ad evolvere e migliorare, ricordandoci però sempre che la nostra vocazione, come medici, è di essere a servizio della sofferenza e non padroni della vita.

Nella foto: Angiografia coronarica di paziente 82enne affetto da Sars-Covid 19. L’immagine ha mostrato arterie coronarie prive di lesioni ed è stata eseguita la ventricolografia cardiaca. Ciò ha mostrato una frazione di eiezione ventricolare sinistra molto ridotta con ampia acinesia apicale. Il risultato della PCR è stato positivo, indicando la sindrome Takotsubo correlata all’infezione virale. Rivista spagnola di Cardiologia DOI:

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101016/j.rec.2020.06.022

“IT BROKE MY HEART”: TAKOTSUBO SYNDROME

“Takotsubo” is a Japanese word that refers to a sort of basket used by local fishermen to catch octopuses. The researchers who first described Takotsubo syndrome decided to give this name to the issue in question since, on echocardiographic or magnetic resonance imaging, the patient’s left ventricle takes on a form entirely similar to the Takotsubo basket used for octopus fishing. In Western countries, Takotsubo syndrome is estimated to occur in 2-3% of all people who experience the symptoms of a heart attack. Typically, this syndrome is more common among the female population (90% of cases) and especially in menopausal women: it is estimated that only 3% of female cases concern women under 50 years of age. As often happens in the group of psychosomatic conditions, the precise cause of Takotsubo syndrome is still unclear, probably because it is complex and not linear. In more than two-thirds of cases, cardiac distress temporarily follows a particularly stressful event or a strong emotion, as if these situations were capable in some way of negatively affecting cardiac function. The pathophysiological theory that at the moment explains the association between Takotsubo syndrome and particularly stressful or emotional situations sees two hormones, adrenaline and noradrenaline, powerful vasoconstrictors that have as their physiological condition the maximisation of pressure and circulation speed, but that in this case find an exaggerated sensitivity in the target substrate; the hypothesis behind this pathophysiological theory is that the abundant release of these two hormones induced by major stress and intense emotions is capable, in the people who are predisposed to it, to “stun” myocardial tissue, thus altering the pump function. Another theory, in our opinion complementary to the first, argues that myocardial dysfunction would be due to a temporary vasoconstriction of the coronary arteries, and this would also be consistent with the hormonal mechanism, bringing the picture more into the classical ischaemic disease than in that of cardiomyopathies in which the disease was originally catalogued. In addition to events that generate intense levels of stress, there is another condition that can lead to the presentation of this syndrome, namely the intake of particular drugs such as epinephrine, duloxetine, venlafaxine and levothyroxine. Their effect in fact consists in the elevation of the plasma levels of adrenaline and noradrenaline. Arriving at the diagnosis of broken-heart syndrome is not easy, and we work mostly through the logic of exclusion: that is, the diagnosis will be made when we have been able to exclude the organic causes of cardiac ischaemia as well as other diseases in traditional differential diagnosis such as myocarditis, pericarditis, aortic dissection, cardiomyopathy secondary to subarachnoid hemorrhage. Assuming that the diagnosis has been made, the next step is therapy, which here becomes elusive, as often happens in cases where the disease is exquisitely dynamic and not anatomical: until the diagnosis is certain, the treatment overlaps with that provided in the event of a heart attack. Subsequently, the therapy focuses on the intake of drugs such as ACE-inhibitors, betablockers, diuretics and angiotensin receptor antagonists, with the aim of lightening the cardiac workload and improving the symptoms present. Chronic training with experts in relaxation and stress management techniques is also available, so that they can learn how to correctly deal with the most emotionally intense and stressful situations.Despite the fact that the name, “broken heart,” implies a miserable end, generally the prognosis is good, if not excellent. This is because, in the absence of complications, people with Takotsubo syndrome recover completely within days or weeks. Usually, after 4-6 weeks from the start of treatment, an echocardiographic check-up is provided, which is used to evaluate the recovery process and the resumption of full cardiac function.

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BENIN, DIARIO DI MISSIONE

“La prima cosa che l’Africa ti insegna è il modo in cui scorre il tempo: occorre resettare la frenesia, i ritmi accelerati, e sincronizzarsi su di un ritmo più lento, caldo, senza affanni, ma mai indolente. È un tempo che consente di scomporre la tua vita e analizzarla, è un tempo che viene dal deserto, che non ha fretta perché trascina l’eredità degli uomini e racconta l’eternità delle memorie”.

Il Benin, adagiato nel golfo di Guinea, occupa una striscia di terra dell’Africa occidentale che ricorda vagamente un chiodo di garofano con la testa rivolta a Nord dove confina con il Burkina Faso ed il Niger, mentre a sud la linea costiera si estende per 121 km dalla Nigeria verso il Togo. Mentre atterriamo guardando la costa vediamo un succedersi ininterrotto di case basse che ben rappresentano l’alta densità di popolazione nel sud del paese. Nell’interno ed al nord sono presenti suggestivi villaggi di palafitte su aree lacustri e piccoli nuclei

abitativi con capanne di paglia e fango ricoperte da tetti in lamiera che ha sostituito i vecchi tetti in canne e palmizi. L’interno del paese si caratterizza per la presenza di altipiani coperti da savane, “la Brusse”. Il vento caldo che viene dal Sahara, “L’Harmattan”, caratterizza la stagione secca mentre nei mesi di maggio-luglio e settembre-novembre dominano le piogge tropicali, di fatto persiste un clima caldo e umido. Capitale del Benin è Porto-Novo con Cotonou come prima città commerciale e sede dell’unico aeroporto. Sino al 1600 era la terra dell’antichissimo

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e potente regno del Dahomey in continua lotta con i regni vicini, in particolare con i confinanti Yoruba della Nigeria, aveva confini che superavano di gran lunga quelli dell’attuale Repubblica del Bénin e, proprio in virtù della sua forza politico-economica in continua espansione, sin dal XV secolo non disdegnò i contatti con i popoli occidentali (dapprima portoghesi ed olandesi, ma presto anche francesi, inglesi e spagnoli) che ben presto diedero inizio al vergognoso traffico degli schiavi. Gli schiavi africani venivano prelevati da ogni parte del regno e condotti a Ouidah, una cittadina a tutt’oggi rappresentativa della religione “Vodun”, e in piazza ChaCha venivano venduti all’asta. Quindi dopo aver ef-

Fino al 1600 il Benin era l’antichissimo e potente Regno del Dahomey

fettuato tre giri attorno all’albero del ritorno, al fine di lasciare l’anima a casa e con essa ricongiungersi prima o poi dopo la morte, venivano imbarcati per i Caraibi ed il Brasile per lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero. Si stima che furono deportati 12 milioni di uomini ovvero la più grande e vergognosa deportazione del genere umano. Gli schiavi portarono le proprie tradizioni e ritualità, in particolare la religione “Vodun” che si diffuse largamente ed ancora oggi è tangibile nel sud America. Tutto questo e molto altro è ricordato dalla “Porta del non ritorno” monumento dell’Unesco, sulla spiaggia di Ouidah, e dal museo della Diaspora. La popolazione è composta da differenti gruppi etnici,

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il più rappresentato è quello dei Fon (40%) seguito dagli Yuruba, gli Adja, i nomadi Pel ed altri. La lingua ufficiale è il francese ma sono usati anche i dialetti tradizionali “fon”, “fongbé”, “baatonu”. Convivono in Benin equamente rappresentate le religioni cristiana, islamica, animista-vodun; in numero minore anche metodisti, cristiani celesti e testimoni di Geova. L’aspettativa di vita in Benin è di 61.2 anni (dati 2018). La spesa sanitaria pro-capite ammonta a 4,50 euro all’anno, in un paese con un’alta incidenza di malaria, diarrea e malnutrizione. Il tasso di nascita è tra i più alti con 5 o 6 bambini per donna, con il risultato che circa la metà della popolazione ha meno di 15 anni, nonostante

Si stima che siano state vittime della tratta degli schiavi 12 milioni di uomini

un tasso di mortalità infantile (0-5 anni) del 12,5‰. Molti sono i bambini malnutriti (40,4%), sottopeso e con ritardo della crescita. La situazione sociosanitaria in Benin è particolarmente critica e ciò è dovuto soprattutto al fatto che il sistema sanitario è in itinere, a pagamento, solo qualche dipendente della pubblica amministrazione ha eccesso ad una forma parziale di copertura assicurativa. Così gran parte delle famiglie vengono escluse dall’accesso alle cure e agli interventi chirurgici, troppo costosi per la maggior parte della popolazione, costretta a sopravvivere con redditi al di sotto della soglia di povertà. Questo spinge l’80% della popolazione a rivolgersi alla medicina tradizionale “folk health

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care system” anche per la sua radicata presenza sul territorio e la sua affinità alla mentalità popolare, soprattutto nelle zone rurali. Di fatto la cultura medica tradizionale unisce l’utilizzo di medicamenti, solitamente a base di piante, alla dimensione rituale metafisico-religiosa, spesso afferente all’universo rituale del Vodun ed è praticata da Guerisseurs e Feticheurs (guaritori e stregoni). Questa difficoltosa programmazione e realizzazione di un sistema sanitario, ha portato alla creazione di numerosi ospedali religiosi che con costi limitati e più accessibili riescono a dare risposte ai bisogni della popolazione. Tra questi troviamo l’ospedale “LA CROIX” dei frati Camilliani a Zinviè luogo della nostra missione. Ad accogliere il visitatore la statua di San Camillo contornata da due file di Palme. Dal nucleo originario caratterizzato

In Benin l’aspettativa di vita media è di 61,2 anni; il tasso di nascite è fra i più alti con 4 o 5 bambini per donna; quello sulla mortalità infantile è del 12,5% ma circa metà della popolazione ha meno di 15 anni

dalla presenza di un reparto di medicina e uno di chirurgia l’ospedale si è ampliato in maniera razionale nel tempo sia nella fornitura dei servizi assistenziali sia nella sua componente logistica. Attualmente oltre ai reparti già citati si sono aggiunti soprattutto negli ultimi dieci anni il reparto di pediatria, di pronto soccorso, di nefrologia, di ostetricia e ginecologia, di anatomia patologica. Realizzati anche i nuovi padiglioni come la moderna sala per le visita ambulatoriali con la presenza di quasi tutte le specialità. Hanno accompagnato la crescita anche i servizi di radiologia con ecografia, Tac, risonanza magnetica ed il laboratorio analisi. Questo impulso è stato determinato dalla volontà e dalla strategia del suo direttore sanitario Padre Marius Yabi e i suoi collaboratori. Il dott. Marius o padre Mario, laureato a pieni voti all’Università

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Federico II di Napoli, specializzato in chirurgia generale ha compreso gli aspetti socioeconomici del paese e tra l’esercizio del sacerdozio e la sua attività di chirurgo ha saputo trasformare, soprattutto qualitativamente, un buon ospedale in un punto di riferimento sanitario aggiornato e moderno anche per le popolazioni vicine. In questo contesto si è svolta dal 18 agosto al 7 settembre 2022 la missione medico-umanitaria dell’associazione “Medici e professionisti senza vacanze” con il partenariato della UniCamillus University in Roma. La missione, l’ennesima di una lunga e affascinante storia, era la prima dopo la pandemia del Covid 19 ed era iniziata, per ovvi motivi, tra non poche incertezze e qualche timore. Hanno partecipato oltre a chi scrive (Prof. Massimo Gravante, dermochirurgo e do-

Dal 18 agosto al 7 settembre 2022 si è svolta la missione medico-umanitaria dell’Associazione

“Medici

vacanze” con il partnerariato di UniCamillus

cente della UniCamillus University), il Prof. Giovanni Ostuni, già primario del reparto di Chirurgia maxillo - facciale del policlinico di Bari, la Prof.ssa Antonietta Reho, biologa e la Sig.ra Dina Suriano. Siamo stati accolti da un clima piacevolmente fresco e dai sorrisi e dagli abbracci della comunità locale con la quale abbiamo stretto legami di sincera e piacevole amicizia. Con piacere abbiamo trovato completato il torrino dell’acqua, alla cui realizzazione avevamo contribuito fattivamente, ritenendola un’opera essenziale nel funzionamento dell’ospedale. La connessione stretta tra salute, igiene e disponibilità di acqua sana non ha bisogno di essere spiegata. Alla sua sommità, una croce, rossa, illuminata anche di notte non come un semplice simbolo ma come un segno di accoglienza, di un

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e professionisti senza

percorso di come la vicinanza di tanti amici, il costante impegno dell’associazionismo e della solidarietà possa far crescere una comunità bisognosa avvicinando realmente genti così lontane.

Nel corso della missione, che è stata quanto mai impegnativa e densa di eventi, abbiamo effettuato 287 visite dermatologiche, 183 interventi chirurgici, 20 biopsie diagnostiche, oltre 250 medicazioni e prestazioni mediche varie. Le patologie di maggior riscontro sono state indubbiamente le malattie infettive: lebbra, ulcera del Buruli, impetigini, herpes, Malattie veneree, fasciti necrotizzanti, molluschi contagiosi, micosi filariasi, leishmaniosi, scabbia e pediculosi. Importanti sono le mani-

Nel corso della missione sono state effettuate 287 visite dermatologiche, 183 interventi chirurgici, 20 biopsie diagnostiche e oltre 250 medicazioni e controlli medici vari. In totale: 740 prestazioni, con una media di 37 al giorno

festazioni cutanee che attualmente si affacciano, con grande preoccupazione, anche nei nostri climi come il “Monkeypox” o vaiolo delle scimmie. Patologie che affliggono quelle popolazioni, perché intensamente pruriginose e facilmente soggette ad infezioni, sono poi la prurigo nodulare con il lichen verrucoso e molte manifestazioni allergiche - eczematose. Non sono mancate le patologie autoimmuni come la vitiligine, l’alopecia areata, il lichen ruber planus ed il poliedrico Lupus eritematoso. Ben rappresentate anche la psoriasi, l’orticaria, la dermatite atopica e l’acne che in quel clima e con la struttura tipica della pelle nera spesso è un’acne cistica. Dal punto di vista chirurgico

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abbiamo rivolto la nostra attenzione alla correzione di eventi malformativi (spesso per carenze alimentari) come il labbro leporino e relativa palatoschisi, la spina bifida, i teratomi e la malattia di Recklinghausen nelle sue variabili e molteplici forme. Non sono mancate le patologie tumorali della cute, dei tessuti molli e del cavo orale. Su quest’ultimo è entusiasmante partecipare alle maestrie tecnico-chirurgiche del Prof. Giovanni Ostuni grazie al quale riusciamo a restituire volti e funzioni a visi deturpati da patologie tumorali di notevoli dimensioni. La cute nera è predisposta alla formazione di cicatrici post traumatiche, post infettive o post ustione visto che

Chirurgia: correzione di eventi malformatici come il labbro leporino e relavita palaschitosi; spina bifida, teratomi, malattia di Recklinghausen; tumori della cute, dei tessuti molli e del cavo orale

la cottura dei cibi avviene su fuochi e fiamme libere. Queste cicatrici possono essere di dimensioni veramente notevoli (cheloidi) ed interessare prevalentemente gli adulti, oppure retraenti ed interessare prevalentemente le mani dei bambini. In entrambi i casi oltre al danno estetico, con il coinvolgimento articolare, si ha una impotenza funzionale dell’arto con immaginabili svantaggi socioeconomici. Anche a questi casi rivolgiamo la nostra attenzione chirurgica. In questa nostra, si può ben comprendere, incessante attività siamo stati coadiuvati dal personale medico e paramedico dell’ospedale La Croix, insieme siamo riusciti ad utilizzare al meglio tutte le risorse

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Nelle foto in questa pagina, in alto, un momento del corso di formazione, in basso: preparazione pre operatoria.
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Nelle foto in questa pagina, in alto, la nuova sala d’attesa, in basso, l’ingresso nel nuovo reparto di medicina.

In questa pagina: il reparto di chirurgia e quello di anatomia patologica.

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(ahimè non sempre) disponibili e a rispondere alle richieste sanitarie. Meritano di essere nominati i dottori Franck Gandji, il dott. Pere Jonas, la dott.ssa Lilian Agbo e la dott.ssa Moussa, la dott.ssa Zinsou Abla Jocelyn, la dott.ssa Flenon Nakou, la dott.ssa Marjoline, il dott. Prince, il dott. Gabnon Noel, il dott. Judicael SOHOU, le infermiere Gloria Djianou e Edwige Hounkpe, gli infermieri Hospice, Benois, Louis, Estelle, Emilienne, Lazare detto Zaza, del Padre dott. Marius Yabi abbiamo già detto. Abbiamo amichevolmente colloquiato anche con il Padre dott. Bruno Hounkonnou, direttore del laboratorio analisi con il quale abbiamo collaborato alla realizzazione di corsi sulla qualità di un laboratorio analisi, sulla donazione del sangue, sulla identificazione dei miceti e sulla malaria. Sui miceti, sulla malaria che è responsabile della morte del 60% dei bambini entro i 5 anni e sulla sensibi-

L’albinismo

lizzazione alla donazione di sangue, pratica agli albori, padre Bruno si è a lungo soffermato chiedendo il nostro aiuto. Parte del nostro tempo l’abbiamo dedicata ai pazienti albini. L’albinismo è un gruppo di condizioni ereditarie caratterizzate dalla diminuzione o dall’assenza di melanina nei tessuti derivati dall’ectoderma: cute, capelli, occhi. Sebbene l’albinismo oculo-cutaneo colpisca tutti i gruppi etnici risulta prevalente negli individui africani. Senza dilungarci in aspetti scientifici gli albini, per un difetto genetico, non riescono a sintetizzare la melanina, il pigmento che conferisce il colore alla nostra pelle e ci protegge dalla radiazione solare. Al suo posto sintetizzano la feomelanina che, non solo offre scarsa protezione contro le radiazioni ultraviolette (UV) ma, promuove anche la produzione di radicali liberi che possono danneggiare il DNA e promuovere i tumori della pelle. A livello oculare

Padre Marius Yabi, sacerdote, chirurgo, direttore sanitario dell’Ospedale La Croix.

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è un gruppo di condizioni ereditarie caratterizzate dalla diminuzione o dall’assenza di melanina nei tessuti

gli albini possono presentare fotofobia, miopia, astigmatismo, ipermetropia, pigmentazione dell’iride variabile: rosa, azzurro, verde, grigio, marrone. La cute degli albini appare perennemente arrossata, rugosa, ispessita, precocemente invecchiata con presenza di lentiggini dendritiche (oggetto personale di studio) e di cheratosi attiniche (precancerosi), già all’età di cinque anni. Stante l’assenza della melanina, i pazienti con albinismo sviluppano le patologie tumorali della cute a causa della radiazione solare tra i 15 ed i 20 anni. I tumori che sviluppano son il carcinoma basocellulare, in minor misura lo spinocellulare, raro il melanoma. Se alle nostre latitudini il carcinoma basocellulare è trattabile nella maggior parte dei casi, negli albini assume aspetti aggressivi, infiltranti e destruenti la cute. In effetti, l’incidenza del tumore raddoppia ogni 10 gradi di declino della latitudine con la massima incidenza all’equatore, dove la dose di UV per unità di tempo è 200 volte superiore a quella europea. Solo pochi albini sopravvivono oltre i 30/40 anni. In alcune regioni africane (fortunatamente non nella zona di nostra competenza) l’albinismo vive immerso in un’atmosfera magica, gli albini sono considerati figli degli spiriti, sono rifiutati dalla comunità, sono spesso segregati, quando non amputati, per ricavare dalle ossa amuleti portafortuna. Paradossalmente i pazienti ignorano il legame tra la loro patologia e l’esposizione solare. Quindi ecco che, oltre dell’aspetto medico vero e proprio, ci siamo occupati anche di formazione, di educazione precoce degli albini e dei loro caregiver sulla cura della pelle e sull’importanza della protezioni dalla radiazione solare con abitazioni idonee, abbigliamento con maniche, con creme solari, con occhiali da sole, con ombrelli, incoraggiando la visita medica per lesioni anche piccole e/o sospette in modo che la chirurgia minimamente invasiva possa essere eseguita con poca o nessuna deturpazione. L’attività di formazione continua anche in nostra assenza avendo istruito dei formatori locali, come già fatto per l’ulcera del Buruli. Oltre all’attività medica nel corso della missione sono stati confezionati a cura della Sig.ra Dina Suriano numerose lenzuola per letti operatori, tendaggi vari, capi di abbigliamento per i pazienti ricoverati. Quando si va in missione umanitaria portiamo dentro di noi i nostri vissuti così come

Nel corso della missione sono state effettuate 287 visite dermatologiche, 183 interventi chirurgici, 20 biopsie diagnostiche e oltre 250 medicazioni e controlli medici vari.

In totale: 740 prestazioni, con una media di 37 al giorno

quando ritorniamo alle nostre vite riportiamo le emozioni provate. Niente meglio dello sport può raccontare le emozioni in ogni parte del mondo, pertanto abbiamo organizzato un incontro di calcio per ricordare “Giuseppe Tarsilla” un giovane prematuramente scomparso, che amava il calcio e la vita e che sicuramente a fine partita avrebbe scambiato la maglietta con i suoi avversari sul campo. Dopo l’incontro le magliette, con il logo del Milan Club di Poggiardo (non me ne vogliate per il tifo, n.d.r.), sono state regalate ai calciatori partecipanti con loro grande contentezza. In definitiva questa missione è stata caratterizzata da, costante e crescente impegno professionale, intensi momenti affettivi, coinvolgente partecipazione sociale. Quando una missione termina ci interroghiamo non su quello che abbiamo fatto ma su quanto dobbiamo ancora fare. Constatiamo quante cose che noi diamo per ovvie e scontate in Africa diventano eccezionali ed indispensabili. Ci rendiamo conto che per un momento con i nostri amici del Benin abbiamo lavorato riso, programmato, progettato insieme, abbiamo stretto le loro mani, condiviso il loro cibo, sporcato con la loro terra, ascoltato la loro pioggia. Siamo ben consci che quello che abbiamo fatto è una piccola goccia: una piccola, silenziosa ed impercettibile goccia nel grande mare del bisogno di comunione, ma pur sempre goccia di preziosa acqua su realtà che non godono dei privilegi dello spreco, del superfluo e del banale, nei fatti come nelle parole. Far comprendere che cos’è la “solidarietà”, le sue componenti etiche, morali, sociali, economiche, politiche, geografiche, filosofiche e soggettive è compito impegnativo ma forse basta semplicemente dire che “solidarietà è guardare il mondo con il cuore” sperando come medico, che la solidarietà diventi l’unica malattia contagiosa che la medicina non dovrà mai sconfiggere. Ringraziamenti sono doverosi ai miei compagni di viaggio dei “Medici e professionisti senza vacanze” Giovanni, Antonietta Dina, Norberto, Gigi, Bruno con cui da quindici anni condivido periodicamente conoscenze umane e scientifiche ed al Magnifico Rettore Prof. Giovanni Profita e alla Università UniCamillus tutta, la cui vocazione umanitaria è stata fattivamente e sensibilmente testimoniata attraverso la fornitura di materiali, sanitari e non, utili al compimento della missione.

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BENIN, A JOURNEY

The medical-humanitarian mission of the association “Doctors and professionals without holidays” was held from 18 August 18 to 7 September 2022 at the La Croix hospital of the Camillian friars in Zinviè with the partnership of Rome’s UniCamillus University. This was the first mission after the pandemic and was attended by Giovanni Ostuni, former head of the maxillofacial surgery department of the Bari’s general hospital, biologist Antonietta Reho and Dina Suriano.

From the original core, a medicine and a surgery unit, La Croix has grown with paediatrics, A&E, nephrology, obstetrics and gynaecology, pathological anatomy units. New blocks have been built as well, such as the modern room for outpatient visits featuring almost all specialist areas. Radiology services have grown, too, with ultrasound, CT, MRI facilities and a test lab. During the mission we carried out 287 dermatological visits, 183 surgeries, 20 diagnostic biopsies, over 250 dressings and various medical services. The most common conditions have undoubtedly been infectious diseases: leprosy, Buruli ulcer, impetigo, herpes, venereal diseases, necrotizing fasciitis, contagious molluscs, filariasis mycosis, leishmaniasis, scabies and pediculosis. There are also extensive skin conditions appearing, with great concern, even in our climates, as in the case of monkey pox. Moreover, these populations are afflicted by very itchy diseases easily subject to infections – nodular itching with verrucous lichen and many allergic-eczematous conditions. There were also autoimmune diseases such as vitiligo, alopecia areata, lichen ruber planus and polyhedric Lupus erythematosus. There were also many cases of psoriasis, urticaria, atopic dermatitis and acne, which in that climate and with the typical structure of black skin is often a cystic acne. From a surgical point of view, we turned our attention to the correction of malformations (often due to dietary deficiencies) such as cleft lips and palates, spina bifida, teratomas and Recklinghausen’s disease in its variable and multiple forms. There was no shortage of tumour diseases affecting the skin, soft tissues and oral cavity. Part of our time was devoted to albino patients whose hereditary conditions are characterised by the decrease or absence of melanin in tissues deriving from the ectoderm: skin, hair and eyes. Due to the absence of melanin, patients with albinism develop skin cancer due to solar radiation between the ages of 15 and 20. The ensuing tumours are basal cell carcinoma, to a lesser extent spinocellular carcinoma, while cases of melanoma are rare. Paradoxically, patients ignore the link between their illness and sun exposure. Therefore, in addition to the actual medical aspect, we also dealt with training, early education of albinos and their caregivers on skin care and the importance of protection from solar radiation.

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I professori Gravante e Ostuni al tavolo operatorio
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STAGE IN GAMBIA, VADEMECUM PER GLI STUDENTI

di Filomena Pietrantonio Docente di Medicina interna presso la UniCamillus University

Esperienza sul campo, ricerca in laboratorio, volontariato e tesi di laurea: ecco tutto quello che c’è da sapere per chi vuole lavorare in Africa

“Q

ui in Gambia, piccolo paese anglofono nell’Africa occidentale collocato come enclave nel Senegal francofono, abbiamo stabilito una convenzione tra Unicamillus e il Medical Research Council, MRC, che è un istituto di ricerca diretta dipendenza della London School of Hygiene and Tropical Medicine. Si tratta di un Centro di Ricerca molto avanzato che possiede laboratori di terzo e quarto livello, conduce ricerche scientifiche a livello internazionale e pubblica ogni anno oltre 250 articoli su riviste indicizzate”.

Filomena Pietrantonio, docente di Medicina interna nei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia, Fisioterapia e Infermieristica, da anni conduce missioni internazionali: “In Unicamillus opera la Unicamillus Task Force che si occupa di realizzare missioni di cooperazione internazionale. Abbiamo già effettuato diverse missioni nei Paesi in Via di Sviluppo: la prima in Amazzonia dove abbiamo lavorato sul Barco Hospital Papa Francisco con attività di medicina interna, neurologia, odontoiatria e chirurgia; in Camerun occupandoci di malaria, vaccinazioni e salute materno-infantile”.

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E ORAIN GAMBIA

“In Gambia stiamo costruendo una attività di cooperazione universitaria con periodi di stage presso l’MRC per attività di ricerca e formazione, completate da attività sul campo con la supervisione di personale sanitario locale qualificato per iniziare ad avvicinarsi alla realtà dei Paesi in Via di Sviluppo (PVS), comprendendo cosa significa lavorare in paesi a risorse limitate. I progetti nei PVS si dividono in : attività di cooperazione, come facciamo noi di UniCamillus, oppure di azione umanitaria, in caso di emergenze e disastri naturali, come è il caso di Medici Senza Frontiere o diverse ONG impegnate nella azione umanitaria. La nostra è una cooperazione uni-

“Grazie ai forti legami con la Gran Bretagna, in Gambia è stato costruito il centro di ricerca MRC direttamente collegato con la London School oh Hygiene and Tropical Medicine”

versitaria perché agiamo all’interno di un’università, UniCamillus, che nasce con la vocazione di essere aperta nei confronti dei Paesi in Via di Sviluppo e stiamo elaborando una strategia che consenta sia la esperienza in attività di cooperazione che la prosecuzione della attività di formazione in strutture qualificate che è fondamentale per i nostri studenti”.

PERCHÉIL GAMBIA?

“Abbiamo collegamenti diretti sia con l’MRC che con la Comunità Europea. La situazione in Gambia è particolare perché, anche grazie a forti legami con la Gran Bretagna, nel Paese è stato costruito il centro di Ricerca MRC direttamente collegato con la London School of Hygiene and Tropical

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Medicine. Il progetto che stiamo elaborando prevede sia una collaborazione universitaria, quindi periodi di stage all’estero con attività di ricerca e formazione, sia attività sul campo con la supervisione di persone locali qualificate per avvicinarsi a questa realtà, comprendendo cosa significa lavorare in un Paese in Via di Sviluppo”.

COMEFUNZIONAQUESTA COLLABORAZIONE?

sulla base di valutazioni estremamente severe. L’MRC è all’avanguardia riguardo alla informatizzazione, realizza sia attività clinica che di ricerca e ha a disposizione importanti data base.

sia attività clinica che di ricerca e

disposizione

data base, laboratori di terzo e quarto livello, biobank, frigoriferi a -

“Come dicevo, abbiamo firmato una convenzione con il Medical Research Council, MRC, centro di ricerca avanzato che selezionati accuratamente i propri dipendenti scegliendo i migliori in ambito di ricerca e formazione, selezionandoli

Fra le dotazioni oltre ai laboratori di 3° e 4°livello, è presente la biobank e la possibilità di stoccare campioni biologici in frigoriferi fino a -70 gradi e in azoto liquido consentendo di condurre ricerche di biologia molecolare molto complesse.

Tra l’altro, l’attuale direttore è italiano, si chiama Umberto d’Alessandro, è un malariologo di livello internazionale e molto interessato alle collaborazioni internazionali sia nel campo della formazione che della ricerca”.

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“L‘MRC è alll’avanguardia riguardo all’informatizzazione, realizza
ha a
importanti
70 gradi”
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“In due parti: una è quella di ricerca al MRC, l’altra è la formazione sul campo in Health Center sia all’interno dell’MRC che sul terreno. Il centro di ricerca è molto ben organizzato e l’attività si svolge all’interno dei laboratori e in aree attrezzate per lo studio. Il lavoro sul campo si basa su visita e follow up di pazienti che afferiscono agli Health Center. Si tratta di attività clinica di base, si raccolgono dati e ci si avvicina alla realtà del lavoro in ospedali e presidi locali. Attraverso una presenza capillare sul terreno l’MRC è in grado di raccogliere in breve tempo migliaia di dati che sono molto significativi, rapportati ad una popolazione totale del Gambia che è di circa 2 milioni di persone. Questo consente di realizzare degli studi di grande impatto e significato”.

COMEFUNZIONAQUESTACOLLABORAZIONE

FRA UNICAMILLUSEIL MRC?

“Ho già parlato con altri professori che sono molto interessati a realizzare i progetti di ricerca con gli studenti. La nostra idea è di procedere con gradualità: iniziare intanto la collaborazione,

inviando alcuni studenti in un progetto pilota per avviare uno stage ed essere inseriti all’interno di progetti di ricerca. Intanto stiamo lavorando attivamente sui Bandi di Ricerca per essere in grado di iniziare progetti strutturati nelle aree di interesse convergenti con quelle dell’MRC, in particolare Telemedicina e studio dell’impatto delle Malattie Croniche nei Paesi in Via di Sviluppo per dare solidità e sostenibilità alla collaborazione. Dal punto di vista degli studenti, a parte l’esperienza sul campo che diviene parte formativa vera e propria e non solo come attività da scrivere nel curriculum, l’idea è che lo stage fatto in Gambia divenga poi tema della tesi di laurea”.

I CANDIDATIIDEALI?

“Partendo dal presupposto che questa esperienza ha valore per chiunque studi professioni sanitarie, è chiaro che fra i candidati trovano posizione naturale gli studenti del quinto anno di medicina. Avrebbero il tempo di fare un’esperienza di stage e poi successivamente l’anno successivo fare la tesi che si collocherebbe bene nel loro percorso. Per quanto riguarda invece le lauree

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E COMEÈARTICOLATOILLAVORO?
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triennali, direi che tutte possono essere interessate. In particolare pensiamo sicuramente agli studenti di ostetricia e ginecologia, perché si tratta di uno dei temi cardine, insieme a malattie infettive, studi avanzati dell’MRC sono sulla malaria, e nutrizione. Poi ancora infermieristica e tecnici di radiologia, e sicuramente grande rilievo ha la componente dei laboratori; quindi, i tecnici di laboratorio rientrano tra i candidati ideali”.

ENTRIAMOSULPRATICO. COSADEVEFARELOSTUDENTE CHEVUOLEPARTECIPARE?

“Chi intende presentare la propria candidatura a questo stage deve contattarmi sull’email dell’ateneo: filomena.pietrantonio@unicamillus.org”

DOCUMENTIEPROFILASSI?

“Il passaporto in corso di validità e le normali vaccinazioni. La profilassi antimalarica è consigliata se si rimane per periodi non superiori ai 30 giorni. In caso di soggiorni più lunghi il trattamento il trattamento non è consigliato e si dovrà agire prevalentemente con la prevenzione del contatto (zanzariere, insetticidi e spray)”.

COSTI?

“Al momento stiamo cercando di trovare dei

fondi per passare dallo stadio di stage su base volontaria a uno superiore: bandi della Commissione europea, Erasmus”.

SUBASEVOLONTARIA, QUINDIPAGALOSTUDENTE? “Sì”.

POSSIAMOQUANTIFICARE?

“Bisogna mettere in conto alcuni costi: quello del volo, che oscilla sui 7/800 euro e quello del mantenimento per la durata del soggiorno. Il MRC mette a disposizione delle strutture che hanno un costo, espresso in euro, di circa 30 euro al giorno. Ci sono anche soluzioni più economiche sul posto”.

COSARICEVEINCAMBIOLOSTUDENTE?

“Stiamo verificando che questo periodo di stage venga riconosciuto come frequenza di tirocinio. Noi stiamo lavorando perché questo riconoscimento in termini “amministrativi” si sommi a quello dell’esperienza sia dal punto di vista della ricerca che a quello dell’esperienza sul campo, oltre che, naturalmente, la realizzazione della tesi di laurea sperimentale, che ha un valore molto maggiore di quella compilativa e permette poi la pubblicazione del lavoro su riviste impattate”.

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FIELD EXPERIENCE HANDBOOK

The UniCamillus Task Force operates at UniCamillus University and is responsible for carrying out international cooperation missions. We have already conducted several missions in developing countries. Now in Gambia we are building a university cooperation activity with internships at the MRC unit for research and training, together with field activities with the supervision of qualified local health personnel to start getting closer to the realities of developing countries, thereby understanding what it means to work in countries with limited resources.

The project we are developing involves both a university collaboration, i.e. internships abroad with research and training activities, and field activities with the supervision of qualified local people to learn more about this reality and understand what it means to work in a developing country.

The MRC unit is at the forefront of computerisation and carries out both clinical and research activities, as well as having extensive databases available to it. In addition to the 3rd and 4th level laboratories, equipment includes the biobank and the option of storing biological samples in refrigerators down to -70 degrees. The current director, Umberto d ‘Alessandro, is Italian and is an international malaria expert. Candidates include students at their fifth year of medical studies. All those attending their bachelor degrees may be interested. “Those who wish to apply for this internship should contact me via the university’s email:filomena.pietrantonio@unicamillus.org. You need a valid passport and the usual vaccinations. At the moment we are trying to find funds to move from the stage of internship on a voluntary basis to a higher stage: European Commission tenders, Erasmus programmes. Flight and accommodation costs shall be borne by the student.

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PALASCIANO, IL PRECURSORE DELLA CROCE ROSSA

Spedito di fronte la Corte marziale dal generale borbonico Carlo Filangieri, condannato a morte ma graziato da Re Ferdinando II delle Due Sicilie, chirurgo di chiara fama, visita Garibaldi ferito in Aspromonte, ortopedico, filantropo, deputato prima, senatore poi del Regno d’Italia: un profilo dell’uomo che ispirò Dunant e la nascita della Croce Rossa

Il principio consacrato nella Convenzione di Ginevra del 22 agosto 1864, secondo cui le potenze belligeranti debbono riconoscere il carattere “neutrale” dei combattenti feriti e perciò questi vanno curati ed assistiti senza distinzione di parte, ha trovato una precedente e concreta attuazione nel 1848, allorché negli interventi di repressione dei moti scoppiati a Messina, il sottotenente medico (“Alfiere chirurgo”) Ferdinando Antonio Palasciano si premurava di curare tutti coloro che ne avevano bisogno, escludendo ogni rilevanza alla loro qualificazione di patriota o realista. Di fronte, invero, al borbonico generale Filangieri che, avendo superato la resistenza dei rivoltosi, quasi ad incrudelire la sconfitta, aveva ordinato ai

Nato a Capua, nel 1815, laureato in Belle Lettere e Filosofia (1837), in Veterinaria (1837) e, infine, in Medicina e Chirurgia (1840), gli viene imposto il nome di Antonio perché nato nel giorno della ricorrenza di S. Antonio; e di Ferdinando, in ricordo di uno zio, contravvenendo all’usanza di dare al neonato il nome del nonno.

medici militari di non prestare assistenza alcuna agli insorti feriti, a pena di fucilazione in caso di disobbedienza, Palasciano non desistette dal suo comportamento umanitario; a nulla valsero i richiami, le sollecitazioni e le minacce, perché ribadendo, a sua difesa, che i feriti dovevano essere considerati “sacri” e non già nemici, affermò che il suo dovere di medico era più importante di quello di militare e gli imponeva di curare ed assistere coloro che ne avessero bisogno, fossero essi progressisti o reazionari. Si intende che la reazione del generale non si fece attendere in quanto il Palasciano viene deferito alla Corte marziale che, non dissimilmente peraltro da quanto praticato da altri stati belligeranti, lo condanna alla pena capitale mediante fucilazione “perché si

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fece spontaneo custode della vita dei feriti delle fila nemiche”.

Sennonché, in aiuto di Palasciano interviene una circolare di Ferdinando II datata 18 novembre 1833 secondo cui “tutti i pronunciamenti a pene capitali delle 21 Corti territoriali

dell’Arciconfraternita del SS. Rosario di san Rocco a Chiaia; partecipa, nel 1851, ai soccorsi per i terremotati di Melfi, ricevendo una medaglia d’oro al merito civile.

Nel 1864 viene nominato professore di chimica chirurgica nell’Università di Napoli,

28 agosto 1862 - Il generale Giuseppe Garibaldi viene ferito al malleolo sull’Aspromonte nel corso di un conflitto a fuoco fra le Camice Rosse e i bersaglieri piemontesi del generale Pallavicini di Priola. Dopo lo sbarco del 25 agosto precedente, a Melito Porto Salvo, i duemila garibaldini si dirigono verso Reggio Calabria perdendo progressivamente allineamento e collegamenti. Al momento della scaramuccia coi Piemontesi, le forze di Garibaldi erano scese a 500 unità. Garibaldi, fidando sull’idea che i Bersaglieri sarebbero passati dalla sua parte vedendolo, decide di tentare la sorte dello scontro in cui le Camice Rpsse hanno la peggio.

dovevano essergli comunicati, onde consentirgli di provvedere motu proprio alla grazia di commutazione pena”. In questa circostanza, quindi, il “Re Bomba” si mostra generoso commutando la pena in un anno di reclusione: si dice che il re si sia così espresso alludendo alla sua bassa statura “…che male volete che po’ fa don Ferdinando? Chille è accussì piccerillo”.

Dopo questo burrascoso periodo, Palasciano ritorna alla sua normale attività professionale. Nel 1850 viene nominato chirurgo dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli e l’anno successivo consulente chirurgo dell’Ospedale

ma si dimise nel 1866 perché si rifiutò di fare lezione ed operare nell’Ospedale del Gesù e Maria ritenuto inadatto ai criteri didattici e pericoloso per i degenti.

La sua fama lo porta ad accorrere in extremis al capezzale di Re Ferdinando II; visita anche Garibaldi, ferito ad Aspromonte, e consiglia di asportare il proiettile conficcato nella gamba, consiglio poi seguito, che gli valse una lettera di ringraziamento del generale. Come emerge dai suoi scritti, Palasciano si dedica essenzialmente all’ortopedia e la passione mostrata fin dagli anni giovanili per questo settore, con il passare del tempo non

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si attenua, ma continua e si intensifica specialmente attraverso l’attività di medico chirurgo.

A questa attività si fanno risalire le lezioni di anatomia contenute in un manoscritto del Fondo Torraca nella Biblioteca Nazionale di Napoli.

Ancora in tema di ortopedia, si interessa delle sue applicazioni nel campo della medicina militare, come si rileva da un lavoro pubblicato a Parigi nel 1865 dal titolo “Notice sur l’appareil brancard pur le traitment des fractures compliquées du tronc et membres inferieurs et pour le transport des blessès de ce genre”.

Accanto all’ortopedia, si occupa della strumentazione nel cui settore costruisce un congegno medico che viene premiato nella “Mostra industriale” del Reale Istituto di incoraggiamento (1853).

La sua attività e i suoi studi non sono, tuttavia, circoscritti al campo dell’ortopedia e si estendono alla chirurgia generale in cui si fa valere per la sua vasta conoscenza dell’anatomia e dell’anatomia patologica; si fa perciò apprezzare come medico eccellente e scrupoloso ed acquista notorietà anche all’estero mediante partecipazione ai congressi internazionali in cui le sue relazioni ricevono ampi apprezzamenti e consensi.

In particolare, si dedica alla tenotomia adottando un suo specifico metodo per la resezione del tendine, e, in argomento, presenta al “VII Congresso degli scienziati”, tenutosi a Napoli nel 1845, una esaustiva memoria sulla legatura delle arterie e le sue conseguenze. Rivolgendo la sua attenzione all’idrofobia, pubblica le “Storie di idrofobia curate nell’Ospedale degli Incurabili di Napoli”; al riguardo osserva che il morbo viene nascosto malgrado le dissezioni anatomiche e che una frequente complicazione è costituita dall’alimentiasi gastroenterica, per cui polemizza aspramente con la pratica ospedaliera di usare come rimedio, definito da ciarlatani, di un così detto vino “del cav. Nouveu”. Si occupa, altresì, della sifilizzazione e sostiene che si possa ricavare dalle vacche uno specifico vaccino in grado di sottrarre il paziente al contagio della sifilide ed altre malattie veneree. Palasciano, pur proseguendo nella sua attività di medico, non mette a tacere il suo intimo carattere di filantropo ed insiste sulla necessità di adottare il principio che i militari feriti sono sacri, che aveva già rappresentato al Re

Borbone quando stava per essere fucilato; nel Congresso internazionale dell’Accademia Pontaniana di Napoli, nella adunanza del 20 gennaio 1861, afferma, tra l’altro, la necessità che “tutte le potenze belligeranti, nella dichiarazione di guerra, riconoscessero reciprocamente il principio della neutralità dei combattenti feriti o gravemente infermi per tutto il tempo della loro cura” al fine di ottenere la loro pronta guarigione, ed aumentassero il personale sanitario. Queste considerazioni vennero nuovamente sottolineate in un’altra adunanza della medesima Accademia del successivo 29 aprile, con la presentazione di un suo “ragionamento” intitolato “Della neutralità dei feriti in tempo di guerra”.

Il fervore con cui Palasciano ha esposto le sue convinzioni in tema dei militari feriti non è rimasto senza effetti, ma ha influito grandemente sulla formazione della corrente di opinione che ha portato alla creazione della Croce Rossa.

Di lì a poco, infatti, anche se indipendente-

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John Henry Dunant, imprenditore, filantropo, umanista svizzero, vinse, ex aequo con il pacifista francese Frédéric Passy, il Premio Noberl per la Pace nel 1901, primo anno di istituzione del prestigioso riconoscimento.

Subì una condanna dal Tribunale del Commercio per il fallimento del Credito ginevrino di cui era uno degli amministratori e fu costretto, quindi, a molte ristrettezze. Nonostante questo, diede in beneficienza la parte di premio spettantegli e terminò i suoi

mente dalla posizione di Palasciano, Henry Dunant con uno scritto dal significativo titolo “Un souvenir de Solferino” (1862), richiama l’attenzione sulla materia e prevede la costituzione di un Comitato che, con la partecipazione di rappresentanti di quattordici Stati (non c’è l’Austria), pone le fondamenta per la costituzione del nuovo Ente mediante l’approvazione della così detta “Convenzione di Ginevra (22 agosto 1864).

Per la sottoscrizione dell’atto finale, vengono invitati i rappresentanti dei vari Stati e l’Italia invia il dott. Baroffio e il Capitano Cottreu. Palasciano non viene invitato e non partecipa ai lavori della Convenzione: questa mancanza viene spiegata con il fatto che il suo orientamento appariva circoscritto, conosciuto solo localmente ed, altresì, senza correlazione con la politica internazionale, anche se non potevano negarsi, per esempio, i rapporti intrattenuti con il medico svizzero Louis Appia, tra i fondatori del Comitato della Croce Rossa; altri parlano di una congiura internazionale diretta a passare sotto silenzio la di lui attività e la non conformità delle sue idee sull’azione del governo, oltre al suo carattere polemico.

Comunque, Palasciano non si adombra più di tanto e dichiara pubblicamente: “A noi basta che la conferenza internazionale riunitasi a Ginevra abbia adottato i nostri principi della neutralità del combattente ferito e dell’aumento illimitato del personale sanitario in tempo di guerra”.

Successivamente ha insistito per un’integrazione della convenzione nel senso di prevedere che la protezione e l’assistenza dei feriti fosse estesa a quelli delle guerre navali e queste modifiche furono, poi, accolte.

Durante il secondo conflitto mondiale, una nave ospedale portava il suo nome ed a Roma, nella sede centrale della Croce Rossa, una sala è a lui intestata.

Dedicatosi alla politica, viene eletto deputato della Sinistra per la X, XI e XII legislatura e poi senatore del Regno (1876) fu Consigliere e Assessore all’igiene del comune di Napoli. Era insignito delle onorificenze di Commendatore della Corona d’Italia, Cavaliere dell’Ordine SS. Maurizio e Lazzaro e Cavaliere dell’Immacolata Concezione di Vela Vigorosa (Portogallo).

Colpito per molti anni da disturbi mentali, si spense a Napoli il 25 novembre 1891.

Il Presidente del Senato Domenico Farini, nel commentare pubblicamente la sua scomparsa ebbe a dire: “Le profonde convinzioni scientifiche, un altissimo sentimento gli facevano tenace il valore. A quelli che erano o parevangli i diritti della scienza e dell’umanità non consentiva piegassero ad altre esigenze i doveri del medico modellava su quelli del filantropo: non esercitò un’arte, compì una missione”.

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PALASCIANO, THE PRECURSOR OF THE RED CROSS

Ferdinando Antonio Palasciano was a philanthropist, physician and orthopaedist and is the forerunner of the modern Geneva Convention of 1862 and the birth of the Red Cross.

A military doctor – author of a text on the rescue of the wounded in battle – in the army of the Kingdom of the Two Sicilies during the repression of the Messina riots of 1848, he was sent before the Martial Court by General Filangieri for having violated orders and having helped the wounded insurgents. He was pardoned by King Ferdinand II, who shortened his sentence to one year in prison, at the end of which Palasciano returned to practice medicine. In 1850 he was appointed surgeon at the Hospital of the Incurables in Naples, then, the following year, at that of the Archconfraternity of SS. Rosario di San Rocco in Chiaia. In the same year, 1851, he participated in the rescue of the victims of the earthquake in Melfi, receiving a gold medal for civilian courage. Appointed Professor of surgical chemistry at the University of Naples in 1864, he resigned two years later. Having become a famous surgeon, he visited the dying King Ferdinand II (1859) and then Garibaldi also summoned him for a consultation after the malleolus wound he received in Aspromonte. He explored topics related to orthopaedics and surgery, adopted a specific method for the resection of the tendon and treated hydrophobia and syphilis. He fought above all for the recognition of the neutrality of the wounded in battle and his ideas are found soon after in the writings of Dunant that are the basis of the Geneva Convention and the foundation of the Red Cross. He was elected deputy for the Left from 1864 to 1876 in three legislatures before being appointed by King Vittorio Emanuele II. He received various Italian and foreign honours. He died in Naples in 1891.

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UniCamillus Mangement Academy PERSONE E LAVORO: È IL CUORE CHE GUIDA I RAPPORTI UMANI

Essere manager e leader nelle organizzazioni oggi vuol dire gestire con il cuore le persone di Mario D’Ambrosio Direttore UMA e Master OGRU

“Addio - disse la volpe - ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”

Queste semplici, ma emozionanti parole che utilizza la Volpe per dare il suo tenero messaggio al Piccolo Principe permettono ad Antoine de Saint-Exupery di farci capire quanto il cuore sia un sensore profondo capace di farci cogliere l’essenza che connota la personale sensibilità degli altri. Da diversi anni, fortunatamente, si parla di emozioni, di organizzazioni emotive, di coinvolgimento passionale, di soddisfazioni dell’anima per riuscire ad ottenere gli obiettivi produttivi o, ancor più complesso, il cosiddetto cambiamento che sempre più viene ritenuto indispensabile per poter conquistare vantaggi competitivi o posizioni dominanti sui mercati di riferimento. Con ancora maggior soddisfazione manageriale, è indispensabile riuscire ad avere il clima aziendale atteso che permetta a tutta la popolazione lavorativa di sentirsi considerata, ascoltata, coinvolta e valorizzata dal proprio “datore di lavoro” che riesce così a definire un ambiente positivo e consono alle proprie finalità ed obiettivi organizzativi nonché sociali e produttivi. Saper “parlare al cuore” è diventata, dunque,

una priorità ed una caratteristica irrinunciabile dei sistemi lavorativi che rappresentano vere e proprie “comunità di persone” interagenti operativamente, emotivamente e socialmente e che sempre più costituiscono un insieme di intelligenze consapevoli dei propri diritti umani e dell’importanza irrinunciabiledi approcci produttivi sostenibili.

La nostra viene definita un’epoca che, per salvarsi, deve acquisire caratteristiche sentimentali proprie della sfera femminile che, nella sua dimensione emotiva, riesce a individuare soluzioni e visioni capaci di percorsi solidali e affettivamente appropriati che vogliono includere e non danneggiare relazioni, vite, ambiente e risorse pur raggiungendo gli obiettivi voluti guardando “al futuro delle generazioni”.

Insomma, il secolo scorso che aveva sviluppato ai suoi massimi livelli l’esaltazione dello scientific management – che presuppone pianificazioni progettuali rigide e immodificabili finendo per rendere le persone veri propri atomi impazziti alla ricerca del successo individuale, economico e d’immagine che prescinde dai sentimenti considerati una forma di debolezza nascosta –ha lasciato il campo al nuovo millennio che sta

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necessariamente e sempre più consapevolmente tracciando nuove strade.

Diventa, dunque, assolutamente legittimo interrogarci su cosa voglia dire “essere sentimentali” e perché stiamo diventando consapevoli che il cuore deve essere una guida di valore almeno pari, se non superiore, ai rapporti di lavoro ed ai progetti economici nella chiara volontà di “sentire” più che di “ragionare”.

A questo punto, un’ispirazione ci può arrivare dal romanticismo ed in particolare dal pensiero di Giacomo Leopardi che, nello Zibaldone, definisce “sentimentale” tutto ciò che attiene alle relazioni umane contrapposto alla ragione fredda e astratta.

Leopardi, quindi, ci indica la strada della sensibilità che si nutre di affetti e passioni, rifuggendo dall’essere consoni con il consumismo e con la ricerca del consenso sociale derivante dal successo economico spesso acquisito immeritatamente.

La grande rivoluzione che si va compiendo in questo nuovo Secolo sta modificando la comune accezione del “sentimento” da elemento di debolezza, inutilità e di perdita di tempo a una considerazione dello stesso come

valore di leva sociale, capace di generare consenso e coinvolgimento di grandi forze individuali e sociali.

Uno dei segnali più potenti e unanimemente riconosciuti è sicuramente la differente accezione del potere di “disposizione” nelle organizzazioni che agli albori dello scientific management di stampo taylorista/fordista – e quindi possiamo dire fino agli anni Cinquanta del secolo scorso – veniva identificata nella cosiddetta riconoscibilità della rigida catena di comando, emblema di autorità.

Dagli anni Sessanta, invece, è andata sempre più imponendosi una visione del lavoro e del sentimento più consona allo humanistic management – riconducibile alle dottrine di Abraham Harold Maslow e Douglas McGregor e che addirittura viene fatto risalire come sue fondamenta nel grande patrimonio umanistico e rinascimentale della cultura italiana ed europea - che, insieme all’evoluzione dei bisogni e attese dei lavoratori, ha visto parimenti, e necessariamente, evolvere le competenze gestionali manageriali verso la cosiddetta leadership.

Il nuovo modo di rapportarsi delle organizzazioni del lavoro con le persone che collaborano per realizzare obiettivi pianificati, si è profondamente modificato, assumendo caratteristiche di coinvolgimento, ascolto, trasparenza, empatia, ma soprattutto curando gli aspetti di immagine sociale, di reputazione e di condivisione del senso del lavoro tanto individuale che di gruppo come missione di tutto il sistema organizzativo.

Il contesto lavorativo viene sempre più identificato come un ambito di appartenenza e di rappre-

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Lo Zibaldone Abraham Maslow Douglas McGregor

sentanza e non più come il semplice “luogo di lavoro” dove andare, passare del tempo operativo, utile esclusivamente per guadagnare denaro, e tornare poi ai propri interessi personali esterni, vera ed unica fonte di soddisfazione e realizzazione delle attese di vita e di immagine sociale. Questa nuova modalità di gestione delle “risorse umane” deve assolutamente evolvere anche in termini di rapporto gerarchico e potere autoritario verso capi molto più sensibili e “amici” capaci di guidare, con l’esempio e l’autorevolezza, i propri collaboratori riuscendo a coinvolgerli con visioni motivanti del futuro aziendale e personale e illustrando con chiarezza il loro ruolo ed il loro imprescindibile contributo per il successo dell’organizzazione. Questa nuova generazione di manager deve possedere innanzitutto le doti di leadership che vengono riconosciute dalle persone che sono da loro coordinate e dirette verso i compiti assegnati in ordine agli obiettivi di impresa ed ancor di più questo nelle fasi di cambiamento che incessantemente caratterizzano l’era del secondo millennio sostenibile, digitale e globale.

Prima dote fra tutte, è quella di saper considerare le persone nella propria sensibilità individuale che le contraddistingue rendendo ognuno di noi unico e irripetibile, nel bene e nel male, e come tale capace di dare qualcosa di speciale se motivato e coinvolto sinceramente

e questo, come diceva il Piccolo Principe, può essere raggiunto solo attraverso il “cuore” che può vedere anche l’invisibile. Ecco perché, il richiamo alle radici culturali e letterarie dello humanistic management deve necessariamente nutrirsi di ispirazioni che arrivano dalle molteplici contaminazioni delle discipline umanistiche che possono aiutare a conoscere l’essere umano ed a sapersi sintonizzare con le connotazioni della sensibilità personale. Si aprono, quindi, strade di ispirazione e conoscenza impensabili per i teorici dello scientific management, derivanti dalla filosofia, dalla poesia, dal teatro, dal cinema, dalla letteratura, dall’arte cui, oggi, si aggiungono anche i social network, il multimediale, l’edutainment, insomma tutte fonti di innovazione manageriale che generano nuove frontiere gestionali delle persone, favorendo una nuova forma di integrazione organizzativa basata su identità di linguaggio e di “emozione”.

Sulla grande diversità del sentire individuale e della corrispondente esigenza di parlare al “cuore” di ognuno possiamo anche noi richiamarci ad una grande e folgorante visione poetica che immediatamente ci fa capire questi concetti espressa nella sua bellissima poesia “nulla due volte” dalla poetessa polacca Premio Nobel del 1966, amata e conosciuta in tutto il mondo, Wislawa Szymborska.

Lei ci conduce per mano nella bellezza della diversità e dell’unicità e ci dice:

Nulla due volte accade Né accadrà. Per tal ragione Nasciamo senza esperienza, Moriamo senza assuefazione […] Non c’è giorno che ritorni, Né due notti uguali uguali, Né due baci somiglianti, Né due sguardi tali e quali

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Wislawa Szymborska

e conclude dandoci una perfetta visione delle grandi diversità pur considerando una forte uguaglianza esteriore ritenuta tale solo da chi tratta tutto con grande superficialità e dunque:

[…] Cercheremo un’armonia, Sorridenti, fra le braccia, Anche se siamo diversi Come due gocce d’acqua

Ecco che ci appare evidente come il manager può trasformarsi in leader potente e riconosciuto se è capace di trasmettere ordini e direttive con il linguaggio del cuore sapendo di avere vicino, e di doverne ottenere la migliore performance, persone che pure possono sembrare maestranze indifferenziate ma che in realtà sono soggetti sensibili ed emotivi in grado di fare squadra e realizzare obiettivi importanti. Il cuore, quindi, oltre ad essere l’organo principe da ascoltare e salvaguardare per la nostra salute diventa un alleato prezioso ed insostituibile per svolgere il nuovo ruolo di leader richiesto dal lavoro.

Intelletto ed energie assolutamente sì, ma non solo: bisogna esplorare le nuove dimensioni dell’intelligenza emotiva così come descritta e teorizzata da Daniel Goleman nonché le riflessioni ed i modelli studiati, analizzati ed elaborati da Stephen Fineman sin dagli anni

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Novanta dello scorso secolo. Il riferimento è in particolare alla raccolta di saggi “Emotion in organizations” del 1993, ad “Understanding emotion at work” del 2003, di carattere prettamente divulgativo, ed infine a “The emotional organization: passion and power” del 2008. Questo volume oltre ad essere in pratica una summa degli studi e del “sentire” dell’autore testimonia l’approccio interdisciplinare alla

concettualizzazione delle emozioni nella vita e nel divenire emblematico delle organizzazioni che viene dunque influenzato dalla psicologia organizzativa, dalla sociologia, dalla filosofia, dall’antropologia, dalla sensibilità e politica sociale, dalla neurologia e dalla chimica delle relazioni fino ad arrivare alla dinamica delle comunità produttive. È dagli anni Ottanta che si è sviluppato in modo sempre più convinto e circostanziato il movimento di teorici del contesto emotivo delle organizzazioni del lavoro che tendono a dimostrare, con fondamenti empirici, come emozione e cognizione non possano essere separati nell’agire comportamentale umano e che, come ha chiaramente mostrato lo studioso Antonio Damasio nel suo volume “Pensiero ed emozione” del 1994 risiedono nelle psicodinamiche del nostro essere e non appartengono a quella che chiamiamo mente raziocinante.

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Antonio Damasio

È proprio il cosiddetto approccio costruttivista che viene utilizzato da Fineman che spiega come le emozioni vengano sviluppate nei contesti sociali ed organizzativi e che quindi nascono e si dispiegano in funzione di particolari circostanze progettuali ed in relazione alle interazioni tra i soggetti posti in situazioni collaborative di lavoro.

In parallelo, va considerato anche l’approccio squisitamente psicodinamico che condivide l’idea che sentimenti ed emozioni, in quanto elementi irrazionali, non siano dei disturbatori dei processi organizzativi ma possano contribuire a risultati di grande rilievo senza inibire l’azione manageriale. Possiamo, infatti, far risalire l’etimologia di emozione al termine latino emotus participio passato di emovere nell’accezione di smuovere ma anche di commuovere fino ad una sua interpretazione dinamica che ci porta a movimento e motivazione. Appare chiara e densa di significato psico-gestionale l’evidenza che emozione e motivazione hanno la stessa radice.

Altra considerazione che possiamo trarre dalle narrazioni di Fineman è quella che individua i sentimenti come una sensibilità interna e nascosta degli individui mentre le emozioni ne sono la manifestazione esteriore leggibile dagli altri, interpretabile e quindi degna di attenzione e nelle sue conseguenze organizzative.

Ecco, quindi, come le nostre emozioni, che sono guidate dalle nostre sensibilità più

interiori e riservate e che scaturiscono dal cuore, diventano cardine di comportamenti che influenzano performance individuali ma anche indiscutibilmente le progettualità delle organizzazioni e devono essere tenute in altissima considerazione nel loro dispiegarsi e nel loro originarsi dalla scienza manageriale che potrebbe averne, se non le governa con saggezza, conseguenze molto pesanti per l’azione direzionale.

Ma questi, adesso che ne abbiamo evidenziato natura e contenuti, rappresentano ambiti di studio e approfondimenti da rimandare ad altre discipline e contesti specifici.

Bisogna, però, oggi, tenere ben presente quanto sia tornato a giocare un ruolo determinante per l’occupazione il saper parlare al cuore delle persone in questa contingenza globale post-pandemia in cui sta assumendo una dimensione preoccupante il fenomeno delle dimissioni volontarie da posizioni di lavoro, anche “pregiate”, che non rispondono al sentire profondo del lavoratore. È diventato di fatto imprescindibile per chi svolge un compito lavorativo capire il senso, il cosiddetto “purpose”, della propria funzione così come il valore sociale espresso dall’organizzazione di appartenenza.

Quindi chi svolge attività di gestione delle risorse umane deve sempre più essere capace di sintonizzarsi con il sentire emotivo delle persone cogliendone gli stati d’animo e inviando messaggi capaci di coinvolgere la passione per il lavoro e per la missione che tutta l’organizzazione vuole perseguire sia per realizzare i propri obiettivi di profitto sia per contribuire al bene sociale.

In chiusura di questa breve dissertazione sul “cuore” e la sua importanza nel management delle persone è molto significativo ricordare una illuminante affermazione di un gigante della filosofia:

Educare la mente senza educare il cuore significa non educare affatto

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Aristotele Stephen Fineman
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ACADEMIC LIFE

NEWS/NOTE

Corea del Sud, al via il Master in Odontoiatria di UniCamillus

Ha preso inizio, con una cerimonia tenuta all’Ambasciata italiana di Seul, il Master in Implantologia che UniCamillus in collaborazione con Istituto Stomatologico Toscano dedica ai dentisti coreani. Da quasi quattro anni c’è una convenzione fra UniCamillus e l’Istituto Stomatologico toscano per portare avanti programmi di formazione superiore post lauream in campo odontoiatrico. Inizialmente l’attività si è concentrata sul Regno Unito e sull’area del Mediterraneo: i Balcani, la Turchia. Poi, grazie alla grande reputazione dell’Italia in campo implantologico e alla nostra vivace attività di ricerca, alle nostre pubblicazioni scientifiche - le domande di questi master sono aumentate e, quindi, si è creata la domanda per questo master in Corea del Sud.

Tutto nasce grazie al rapporto fra uno studente coreano, Young Min Park, laureatosi a Pisa

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nel 2016 e il Prof. Ugo Covani, all’epoca Ordinario dell’Università di Pisa e relatore della sua tesi. Una collaborazione che è sfociata nella volontà di costruire un rapporto internazionale nel campo della formazione dando così origine al 1° Master in Advanced Surgical Extraction and Implantology, indetto da Unicamillus, con la direzione del Prof. Covani, oggi Professore Straordinario di UniCamillus, in collaborazione con l’Istituto Stomatologico Toscano e Gangnam International Implant Academy, presieduta dal

Prof. Young Sam Kim, docente molto noto a livello internazionale

Al prestigioso evento in Ambasciata, oltre l’ambasciatore, Federico Failla, erano presenti esponenti locali e molti imprenditori italiani. Questo primo contatto con l’Ambasciata e l’esistenza degli Istituti Italiani di Cultura correlati alle ambasciate italiane di molti paesi potrebbe essere l’inizio di una proficua collaborazione volta alla diffusione della cultura scientifica italiana nel mondo, a sottolineare la vocazione internazionale di UniCamillus.

CINQUE NOTIZIE

NEOPLASIE

I ricercatori dell’Università di Oxford, in collaborazione con l’Università del Surrey, hanno scoperto nel più grande studio mai realizzato sul tema, che il tumore al pancreas può essere diagnosticato fino a tre anni prima del manifestarsi delle cellule tumorali.

CHIRURGIA

Eccezionale intervento chirurgico in laparoscopia sottoposta ad anestesia spinale su una paziente di 93 anni rimasta sveglia durante l’operazione eseguita all’ospedale di Vizzolo Predabissi in provincia di Milano, da un’équipe multidisciplinare coordinata dall’anestesista Davide Vailati e dal chirurgo Carmelo Magistro.

EMATOLOGIA

Una grave malattia emolitica ha portato un team del National Health Service Blood and Transplant (NHSBT) del Regno Unito ad analizzare il sangue di 13 pazienti con antigeni sospetti che ha condotto all’identificazione di cinque variazioni negli antigeni ER: le ER A, ER B e ER3 più due nuove ER4 e ER5.

MONKEYPOX

Dopo il primo caso in Italia di Vaiolo delle Scimmie confermato il 20 maggio 2022, da alcune settimane il bollettino dei casi registrati nel nostro Paese rimane sostanzialmente stabile tanto che si inizia a parlare di stabilizzazione della curva dei casi. Dai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità anche nel resto del mondo la curva dei contagi diminuisce: a trainare al tendenza al ribasso, osservata già a partire da agosto a seguito all’aumentata attenzione e sensibilizzazione sulla malattia, è la diminuzione dei casi segnalati in Europa e nelle Americhe.

ALZHEIMER

Il morbo di Alzheimer si comporta in modo diverso fra uomini e donne. Il dato è emerso da uno studio congiunto dell’Università degli Studi di Milano, dell’Università Milano Bicocca, dell’Università dell’Insubria, e dell’Università di Roma Tor Vergata: una donna che soffre del morbo di Alzheimer presenta un profilo metabolico differente da un uomo con la stessa patologia. Il lavoro, pubblicato sulla rivista Cell Reports, ha analizzato campioni post mortem di ipotalamo da cervelli di uomini e donne con un invecchiamento normale e da pazienti affetti dal morbo di Alzheimer. Le analisi hanno evidenziato profonde differenze in termini di vie metaboliche alterate.

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RICERCHE/ABSTRACT

Una selezione delle ricerche più recenti e interessanti condotte dai ricercatori UniCamillus. A disposizione, l’abstract del lavoro. Per consultare il testo completo è necessario inquadrare il relativo QR Code.

che contengono il lavoro esteso.

Genetic Basis of ACTH-Secreting Adenomas

Locantore, P., Paragliola, R.M., Cera, G., Novizio, R., Maggio, E., Ramunno, V., Corsello, A., Corsello, S.M. (2022) International Journal of Molecular Sciences, 23 (12), art. no. 6824, DOI: 10.3390/ijms23126824

and impacting public health

Signorini, L., Ceruso, F.M., Aiello, E., Zullo, M.J., De Vito, D. (2022) Endocrine, Metabolic and Immune Disorders - Drug Targets, 22(9), pp. 935-943

Photodynamic Therapy by Mean of 5-Aminolevulinic Acid for the Management of Periodontitis and Peri-Implantitis: A Retrospective Analysis of 20 Patients

Rossi R , Rispoli L, Lopez MA, Netti A, Petrini M, Piattelli A. Antibiotics (2022) Volume 11, Article number 1267. DOI10.3390/antibiotics11091267

Pyruvate dehydrogenase complex, metabolic enzymes, and energy derangement in traumatic brain injury

Giacomo Lazzarino,, Patrick O’Halloran,, Valentina Di Pietro, Renata Mangione, Barbara Tavazzi, Angela Maria Amorini, Giuseppe Lazzarino, Stefano Signoretti (2022) Cellular, Molecular, Physiological, and Behavioral Aspects of Traumatic Brain Injury, pp. 207-218. https://doi.org/10.1016/B978-0-12-823036-7.00040-2

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Temporomandibular Joint Surgery: Open Discopexy and “Functional Arthroplasty”

Cascone, P., Spallaccia, F., Vellone, V. (2022) Atlas of the Oral and Maxillofacial Surgery Clinics of North America, 30(2), pp. 193-198

Impact of TRAF3IP2, IL10 and HCP5 Genetic Polymorphisms in the Response to TNF-i Treatment in Patients with Psoriatic Arthritis

De Benedittis G, Latini A, Ciccacci C, Conigliaro P , Triggianese P , Fatica M, Novelli M, Chimenti MS, Borgiani P, J. Pers. Med. 2022, 12, 1094. https://doi.org/10.3390/jpm12071094

Reply to “Recommendation on an updated standardization of serum magnesium reference ranges,” Jeroen H.F. de Baaij et al.

Touyz, RM., Wolf, F, Maier, JA, Rosanoff A, West, C, Elin, RJ; Micke, O;Baniasadi, S; Barbagallo, M;Campbell, E; Cheng, FC; Costello, RB.

Eur J Nutr. 2022 Dec;61(8):4235-4237. doi: 10.1007/s00394-022-03005-8

SARS-CoV-2 IgG “heritage” in newborn: A credit of maternal natural infection

Marchi, L., Vidiri, A., Fera, E.A., (...), Scambia, G., Cavaliere, A.F.

J Med Virol. 2022 Sep 7;10.1002/jmv.28133. doi: 10.1002/jmv.28133

Ottone T, Faraoni I, Fucci G, Divona M, Travaglini S, De Bellis E, Marchesi F, Angelini DF, Palmieri R, Gurnari C, Giansanti M, Nardozza AM, Montesano F, Fabiani E, Lindfors Rossi EL, Cerretti R, Cicconi L, De Bardi M, Catanoso ML, Battistini L, Massoud R, Venditti A, Voso MT.

Front Oncol. 2022 Jun 27; 12: 890344. doi: 10.3389/fonc.2022.890344

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Direttore Responsabile: Gianni Profita

Redazione a cura di: Fernando M. Magliaro, Gianandrea Sapio, Claudia Romano, Sara Veltri, Ginevra Guidoni, Francesca Temperini

Immagini: Fernando M. Magliaro, Ansa Foto

UniCamillus: Cynthia Achonu, Federica Alota, Claudia Bevini, Cristian Biondi, Simone Micarelli, Manuel Ventre

Stampa: Tipografia Miligraf Srl Chiuso in redazione: novembre 2022 Copia Gratuita www.unicamillus.org

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