Padre Rocco è il nuovo Ministro Provinciale
Dal 27 giugno al 2 luglio 2021 si è svolto nella Casa Trinitaria di via Fontanelle al Trivio a Napoli il Capitolo Provinciale Ordinario della
Provincia San Giovanni de Matha dell’Ordine della Santissima Trinità e degli Schiavi. Nel capitolo è stato eletto il nuovo Consiglio Provinciale. Padre Rocco Cosi è stato nominato Ministro Provinciale. Il consiglio è ora così composto: Padre Rocco Cosi (Italia) Ministro Provinciale; Padre Célestin Guy Simplice Mbakha (Congo) Vicario Provinciale; Padre Matteo Santamaria (Italia) Segretario Provinciale; i Padri Maciej Kowalski (Polonia), Xuan Lang Lai (Vietnam), Francesco Prontera (Italia)
Consiglieri Provinciali. L’Istituto dei Padri Trinitari di Medea ha accolto la notizia con gioia, ma anche con un briciolo di tristezza, perché ora gli impegni tengono il nostro Rettore spesso lontano dall’Istituto. Abbiamo voluto chiedere direttamente a lui cosa pensa di questo nuovo importante incarico e qualche parola sulla sua esperienza “medeense”.
Buongiorno Padre Rocco. Come prima cosa desidero rivolgerle (anche a nome dell’intero istituto) le più sincere congratulazioni per l’importante ruolo al quale è stato eletto. Come ha vissuto questo momento?
È stato un evento inatteso. L’elezione mi ha colto di sorpresa, non pensavo che in questo momento della mia vita sarei stato chiamato ad assumere questo ruolo così importante. Certo, mi ha fatto piacere, soprattutto per la fiducia che i Padri Capitolari hanno dimostrato nei miei confronti. Ma, allo stesso tempo, è sorto in me il timore, per certi versi fisiologico, di non essere all’altezza di questa responsabilità. Poi però ho riflettuto che bisogna essere sempre pronti ad accogliere la volontà di Dio, che si è manifestata, in quest’occasione, attraverso i confratelli. Le paure della prima ora sono svanite e mi sono immerso nel nuovo incarico senza esitazioni e con tutte le mie forze.
Proprio riguardo a questo, quale impronta vuole dare al suo mandato? Quale sarà il suo, chiamiamolo così, “stile di guida”?
Come ho già detto in altre occasioni, ci sono tre atteggiamenti che vorrei indicare come guida, non solo per me, ma per tutto il consiglio. Si possono sintetizzare con tre parole: preghiera, ascolto e coraggio. Preghiera, per accogliere la volontà di Dio e per chiedere allo Spirito Santo di guidare le nostre decisioni; ascolto, per mantenere la “rotta” sui bisogni e le difficoltà reali delle persone, per vivere pienamente la fraternità religiosa e progettare insieme; coraggio, per compiere scelte audaci, importanti e innovative; ma, soprattutto, per guardare sempre al domani con speranza, entusiasmo e fede.
Quali saranno gli impegni prioritari per questo triennio?
Gli impegni sono quelli già emersi nel Capitolo Generale dell’Ordine, che si è tenuto a Roma dal 9 al 23 giugno 2019. Il tema era la pastorale giovanile e vocazionale. In quell’occasione, per la prima volta si erano riuniti non solo i
religiosi, ma anche altri membri della famiglia trinitaria: religiose e laici. È emersa una grande varietà di culture e modi di vivere la fede. Questa è una ricchezza per l’Ordine. Riguardo ai giovani, Papa Francesco, nel suo discorso al Capitolo, ha sottolineato l’importanza di comunicare con i giovani, con un atteggiamento di vicinanza e accompagnamento. Aprire ai giovani, ascoltarli, dialogare con loro. Andare incontro a chi si è allontanato e accoglierlo. Il nuovo consiglio provinciale esprime proprio questi aspetti: è multiculturale e giovane. Tutto questo implica un’altra priorità: la vita comunitaria. Il Ministro Generale, Padre Gino Buccarello, nel discorso per la Solennità della Santissima Trinità, ha affermato che la vita comunitaria è un punto imprescindibile nella vita consacrata. Tutti avvertiamo, specialmente in questi anni di pandemia, la mancanza dello stare insieme. C’è una profonda nostalgia del “noi”, che deve trasformarsi in impegno per costruire nuova condivisione, solidarietà e accoglienza. La comunione fraterna deve essere alla base di ogni nostra iniziativa, di ogni progetto e decisione. La nostra

da destra: P. Francesco prontera, P. Rocco Cosi, il Ministro Generale P. Luigi Buccarello, P. Célestin Guy Simplice Mbaka, P. Maciej Kowalski, P. Xuan Lang Lai
prima missione è la comunione, inteso come “laboratorio di ascolto, di comprensione, di aiuto reciproco, dove ogni giorno impariamo a portare i pesi gli uni degli altri”. Infine, è importante mantenere sempre la capacità di sognare e profetizzare. La nostra missione è spezzare tutte le catene, anche quelle della paura, dell’egoismo e della rassegnazione, attraverso il dialogo e l’esempio.
Spezzare le catene... un tema molto legato a questo è quello della libertà religiosa, e soprattutto la sua negazione, con il fenomeno della persecuzione religiosa. Quale è il suo pensiero su questi argomenti così antichi, ma ancora drammaticamente attuali?
Questo è un tema di fondamentale importanza per l’Ordine Trinitario. Più che il mio pensiero, vorrei ricordare, a questo proposito, che il 18 febbraio 2021 è stata inaugurata, presso la Pontificia Università San Tommaso D’Aquino (Angelicum), a Roma, la “Cattedra San Giovanni de Matha” sulla Libertà Religiosa. È un evento storico per l’ordine, il riconoscimento dell’impegno plurisecolare dei Padri Trinitari nel dialogo interculturale.
Sempre in riferimento a questo tema, nel 1999 venne fondato il SIT (Solidarietà Internazionale Trinitaria), organismo che s’impegna nella liberazione di coloro che sono perseguitati per la loro religione. L’anno scorso, dal 17 al 24 ottobre, il SIT ha organizzato una settimana di preghiera per ricordare il dramma dei cristiani perseguitati. La settimana si è tenuta a Gagliano del Capo e ha coinvolto 25 paesi. Padre Pasquale Pizzuti ha portato ai fedeli l’immagine di Gesù Nazareno, simbolo dei cristiani perseguitati. La devozione a Gesù Nazareno è nata nel ‘600 e merita una piccola digressione. Una statua di Cristo, chiamata successivamente “Gesù di Medinaceli”, fu trovata in Marocco da Padre Pedro di Los Angeles, dei Trinitari Scalzi. Era parte di una chiesa distrutta e si dice fosse stata gettata in un letamaio.
Egli ne chiese il riscatto, che, secondo la tradizione, ebbe luogo il 28 gennaio 1682. Dopo un viaggio avventuroso arrivò in Spagna tra solenni festeggiamenti e con la fama di statua miracolosa. Attualmente si trova a Madrid. Il Gesù Nazareno di Medinaceli è detto “il Redentore redento” e la sua devozione è legata alle persecuzioni che i cristiani subiscono ancora oggi in molti paesi.
Una storia veramente interessante... come tutta la storia dei Padri Trinitari, del resto. Il 10 ottobre 2021 Papa Francesco ha aperto il grande “Sinodo della Chiesa di Dio”, che durerà due anni e conterà tre fasi. Il progetto è riassunto nel motto: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Sembra proprio fatto per i Padri Trinitari... Sì, è vero, ed è un’ulteriore dimostrazione di quanto l’operato S. Giovanni de Matha sia stato profetico e anticipatore di problematiche estremamente attuali. Voglio ancora ricordare le parole del nostro Ministro Generale, Padre Buccarello. Egli afferma che La sinodalità, per noi Trinitari, è una caratteristica innata della nostra spiritualità. Non è una scoperta dell’ultima ora, ma fa parte della nostra storia. Il nostro fondatore, infatti, fu un grande innovatore della vita religiosa, non solo per la sua apertura ai bisogni dei poveri e alla liberazione degli schiavi pro fide Christi, ma anche per lo stile di fraternità e comunione che animò la sua opera, ispirata dallo Spirito Santo. Il carisma trinitario è un dono di Dio, offerto ai religiosi ma anche ai laici, per il bene della Chiesa e di tutta l’umanità. Queste parole chiariscono bene l’importanza che ha il Sinodo per i Padri Trinitari, ma anche quanto è importante, per il Sinodo, l’opera e l’esempio di S. Giovanni de Matha.
Il suo impegno come Ministro Provinciale la porterà inevitabilmente ad assentarsi spesso da Medea. Perciò vorrei concludere chieden-
dole un pensiero sul suo lavoro degli ultimi anni, che ha visto a Medea l’apertura dell’importante realtà del Centro per L’Autismo, intitolato proprio a S. Giovanni de Matha.
Abbiamo fatto un bel percorso insieme in questi sei anni. Insieme abbiamo vissuto momenti importanti ed intensi, che ci hanno visti tutti protagonisti nella vita dell’intero centro. Mi riferisco ai momenti “istituzionali”, come l’apertura del Centro Residenziale per l’Autismo e la sua inaugurazione, nella giornata per noi storica del 13 giugno 2017; alle visite di importanti personalità, come l’ex presidente del consiglio Matteo Renzi, la presidente della regione, Debora Serracchiani, l’assessore regionale alla salute, integrazione socio-sanitaria politiche sociali e famiglia, dottoressa Maria Sandra Telesca, il dottor Riccardo Riccardi, attuale vice presidente della regione Friuli Venezia Giulia. A ognuno va la nostra gratitudine. Ma mi riferisco anche, e direi soprattutto, agli altri innumerevoli momenti belli, come le feste conviviali, gli incontri e le collaborazioni con le realtà locali. Non è possibile qui citare ognuno di questi momenti. Però di certo sono tutti presenti nella nostra memoria e nel nostro cuore, perché tutti hanno contribuito a costruire un po’ di questa straordinaria realtà che è l’Istituto di Medea.
Colgo l’occasione che qui mi viene offerta per ringraziare innanzitutto Dio Trinità, per avermi fatto vivere questa bellissima esperienza con tutti voi, a contatto con la semplicità e la tenerezza dei nostri ragazzi, con l’amore e la dedizione dei collaboratori, con la Provincia e l’Ordine, le istituzioni e le associazioni. Come già detto, non è possibile qui citare tutti, ma desidero ringraziare il personale dell’istituto, per l’impegno e la professionalità. Vorrei ricordare l’amministrazione comunale di Medea, il Sindaco Igor Godeas e il parroco di Medea don Federico Basso per la costante vicinanza e l’affetto che ci hanno dimostrato. Ringrazio le forze dell’ordine, in particolare i carabinieri
del comando stazione di Mariano del Friuli, e l’Azienda Sanitaria Isontina, per il fondamentale supporto dato in questi anni così difficili. Ringrazio inoltre le cooperative sociali FAI e “Il Grande Carro”. Tra le associazioni, ricordo con piacere i clown dell’associazione “Vip ViviamoInPositivo FriulClaun” e il “Gruppo Costumi Tradizionali Bisiachi” di Turriaco. Un particolare ringraziamento va al Lions Club di Gradisca – Cormons, per tutti gli anni di presenza costante nei confronti dei nostri ospiti. Infine, proprio a loro, ai nostri cari ospiti, rivolgo il mio ultimo pensiero: non vi lascio, ma vi accompagno in maniera diversa, assicurandovi sempre la mia presenza, la mia attenzione e una parte del mio tempo e delle mie energie.
Le sue parole ci confortano e ci rassicurano. La ringrazio per l’impegno, la passione e l’amore che ha dedicato all’Istituto di Medea. A nome di tutti gli ospiti, Grazie Padre Rocco!
Qui sopra: Gesù di Medinaceli. Madrid, Basilica Jesus de Medinaceli. La statua, alta 173 cm, è un “Ecce Homo” e rappresenta Gesù durante la Passione, davanti alla folla, flagellato e coronato di spine. La chiesa sorge sul convento trinitario di Nuestra Señora de la Encarnación, dove, nel 1689, fu eretta una cappella dal Duca di Medinaceli. Successivamente abbattuto, venne poi costruita l’attuale basilica. Fu solennemente consacrata il 21 novembre 1930 ed eretta a parrocchia il 26 gennaio 1966.
Beati i Prigionieri, perché saranno liberati
I Padri Trinitari: storia di un cammino lungo 800 anni

La storia dei Padri Trinitari inizia ufficialmente nel 1198, quindi ben 824 anni fa. È chiaramente impossibile, in questo contesto, raccontarne in modo esauriente la storia. L’Ordine Trinitario è nato per svolgere un compito molto difficile e delicato. Un compito che è ancora drammaticamente attuale. Di questo vorrei parlare nell’articolo. Premetto però che questo scritto non può (e non vuole) essere completo e approfodito. Non ha la pretesa di essere un saggio storico. E non ha nemmeno l’obiettivo di rappresentare lo “stato dell’arte” degli studi e del pensiero su questo argomento. È solo un racconto. È una narrazione semplificata, basata sì su dati il più possibile precisi e reali, ma inevitabilmente soggetta a scelte e tagli compiuti dall’autore. Ne risulta quindi il punto di vista soggettivo di chi scrive, frutto di una ricerca altrettanto soggettiva e inevitabilmente parziale. Mi scuso perciò anticipatamente per eventuali (sicuramente possibili) errori o imprecisioni e gradirò molto la loro segnalazione. Grazie e buona lettura.
Alessio Pettarin
L’Ordine della Santissima Trinità e degli Schiavi (Ordo Sanctae Trinitatis et captivorum) è nato il 17 dicembre 1198, grazie all’opera di S. Giovanni de Matha. O meglio, questa è la data di nascita “ufficiale”, perché quel giorno il Papa riconobbe l’Ordine. In realtà l’origine vera risale a qualche anno prima, probabilmente nel 1193. Ma procediamo dall’inizio. Giovanni de Matha nacque il 23 giugno 1154, in Francia, in un villaggio di montagna di nome Faucon de Barcelonnette, che attualmente si trova nel dipartimento delle Alpi dell’Alta Provenza. In realtà sui suoi primi anni di vita non ci sono date certe. Wikiipedia, come molti altri testi, riporta l’anno di nascita 1154; ma altre autorevoli fonti, come l’Enciclopedia Treccani o l’Enciclopedia Britannica, parlano del 1160. Il padre era Eufemio, appartenente a una nobile famiglia catalana; la madre, Marta, nata Visconti Fenouillet, proveniva da una delle più importanti famiglie della Linguadoca. Inizialmente fu educato a Faucon, poi ad Aix-enProvence, dove imparò le discipline che competono a un giovane nobile: grammatica,
equitazione e uso delle armi. Egli capì presto che quel tipo di vita non era per lui, sentendosi più portato alla meditazione. Così, ritornato a casa, provò a fare l’eremita. Durò poco e continuò la sua formazione a Parigi. Qui studiò teologia alla scuola che poi sarebbe diventata l’università della Sorbona. L’università di Parigi si formò da tre scuole allora famose: la scuola di Notre-Dame, quella dell’abbazia di Sainte Genevieve e la Scuola di Saint-Victor.
Giovanni studiò alla scuola di Notre-Dame, che al tempo era una corporazione di studenti e insegnanti, annessa alla famosa cattedrale, da poco costruita: la prima pietra venne infatti posata nel 1163, grazie all’iniziativa del vescovo Maurice de Sully. La struttura principale di Notre-Dame fu consacrata il 19 maggio 1182. È noto che Lotario dei Conti di Segni, Futuro papa Innocenzo III, completò qui i suoi studi, proprio nel 1182. Giovanni successivamente si avvicinò alla scuola di Saint-Victor, che sentiva più vicina alla sua sensibilità. Qui infatti aveva insegnato Riccardo di S. Vittore, teologo, allievo di Ugo di S. Vittore. La sua opera più importante è il De Trinitate, nella quale affronta il mistero della Trinità. Ottenne l’attestato di “Magister Doctor Theologus” attorno al 1190, e insegnò poi teologia. Aveva intanto maturato una forte vocazione religiosa e divenne sacerdote. Durante la sua prima Messa, il 28 gennaio 1193, alla presenza del Vescovo Maurice de Sully e l’Abate di Saint-Victor, ebbe una visione. Questo fatto si trova in una narrazione anonima del sec. XIII: “vidit maiestatem Dei”. La tradizione agiografica narra che quando sollevò l’Ostia verso l’alto, vide Cristo in maestà con una croce blu e rossa, che teneva per le mani due schiavi incatenati, uno bianco e l’altro nero. Gesù gli disse di liberare le persone incatenate per la loro fede. Ebbe chiaro allora quale sarebbe stata la sua missione di sacerdote: liberare i prigionieri cristiani in Africa. Il problema era allora molto sentito e lo è stato per secoli. Il Mediterraneo, il mare tra le terre,


Elaborazione digitale di Notre-Dame nel medioevo. Immagine di Guillaume Rabaud ed Eric Zingraff (GrEz)
Raffaello Vanni: Trinità adorata da San Giovanni di Matha e San Felice di Valois. Sec XVII. Fabriano, chiesa di san Benedetto, Cappella della Santissima Trinità.
è attraversato da intensi traffici e da moltissime persone; è rotta di migrazioni e teatro di terribili tragedie, come purtroppo vediamo quasi quotidianamente. Il mare separa e unisce diverse civiltà. La civiltà islamica iniziò a espandersi nel VII secolo, portando alla formazione di un impero, guidato da varie dinastie, prima arabe, poi turche. Negli assalti in mare e nelle scorrerie a terra, gli arabi e i turchi catturavano europei e andavano a venderli sui mercati nordafricani. Questa pratica era molto comune ed aveva finalità anche economiche. I prigionieri infatti potevano essere riscattati con somme di denaro oppure con lo scambio di prigionieri, poiché esisteva ovviamente il fenomeno opposto, cioè musulmani catturati e resi schiavi in Europa. Il prigioniero veniva chiamato “captivo” (dal latino captivus = prigioniero). Nella cultura islamica si distingueva tra asir e abd. Asir è il captivus, il pri-

gioniero, colui che è stato rapito, incarcerato e non ancora asservito. Abd, invece, implica sottomissione, ubbidienza: è colui che accetta la condizione di servo e fa propri la cultura, la lingua, la fede del padrone. Abd è usato anche nell’accezione di “devoto”, “servo di Dio”. I confini tra i due termini non sono netti, ma i Trinitari si impegnarono principalmente nella liberazione “captivorum, qui sunt incarcerati pro fide Christi”, coloro che rimanevano cristiani e in carcere, escludendo coloro che avevano abiurato o che erano liberi o servi. La liberazione era chiamata “redenzione” (redemptio captivorum). Diverse associazioni, anche laiche, si occuparono di questo nel corso dei secoli. Proprio un laico, un mercante di nome Pietro Nolasco, fondò in Spagna, a Barcellona, il 10 agosto 1218, un altro ordine religioso per la liberazione degli schiavi: l’Ordine di S. Maria della Mercede (Mercedari). Trinitari e Mercedari furono, e sono tuttora, i due ordini religiosi storicamente impegnati nella delicata missione di liberare gli schiavi dalle catene (vere o metaforiche).
Torniamo a Giovanni de Matha. Dopo la visione, si ritirò per meditare a Cerfroid, una località boscosa vicino a Brumetz, a circa 80 chilometri da Parigi. Qui c’era un eremo, fondato da Felice di Valois, dove questi viveva con altri tre compagni. Il nome latino della località, che tuttora compare sulla porta della foresteria, è Cervi Frigidi, traducibile in “Cervofreddo”, perché, secondo una leggenda, qui, ai piedi di un colle, c’era una sorgente dove un cervo bianco veniva ad abbeverarsi e refrigerarsi. Si narra che un giorno il cervo apparve ai frati con una croce rossa e blu tra le corna. Giovanni si ricordò della visione avuta durante la prima Messa, e capì che era il momento di rivelarla ai suoi compagni. Così, insieme decisero di fondare un nuovo ordine religioso, devoto alla Santissima Trinità e dedito alla liberazione dei prigionieri: Ordo Sanctae Trinitatis et redemptionis captivorum. Non si sa per quan-
Juan Carreno de Miranda: La visione di Giovanni de Matha.1666. Parigi, Louvre.
to tempo Giovanni de Matha sia rimasto a Cerfroid. Si può ipotizzare che vi abbia vissuto per 4 o 5 anni. Era rimasto sempre in rapporto con Parigi, facendo conoscere la sua comunità, ormai costituita come domus. A Cerfroid si delineò e prese forma una condotta di vita che diventerà in seguito la sua Regola, approvata nel 1198. Essa si trova tuttora trascritta negli archivi vaticani, i quali iniziarono l’attività di raccolta e catalogazione dei documenti proprio a partire dall’anno 1198. Un fatto provvidenziale, che ha permesso il ritrovamento della Regola originale.
La comunità avviò nuove fondazioni. Tra i primi beni (secondo la lettera pontificia Cum a nobis petitur) c’era la domus di Cerfroid, concessa dalla contessa Margherita di Borgogna; un terreno e una chiesa a Planels, toponimo di difficile individuazione, donati dal nobile Roberto di Planels; una domus a Bourg-la-Reine in diocesi di Parigi. I “Chronicon” e gli “Annales” del XIII secolo danno varie datazioni all’inizio dell’Ordine, ma, tradizionalmente, viene assunta la data della visione, nel 1193, come appare anche sui cartelli stradali a Cerfroid. Gli “Annales Novesienses” ricordano inoltre lo scopo di “contatto disarmato e umanitario con il mondo islamico”. Bisogna sottolineare bene questa finalità: per i suoi tempi (e non solo), era un’idea rivoluzionaria. Era l’epoca delle crociate. I contatti con l’Islam erano soprattutto di carattere militare e




Sopra, alcune immagini della “Domus” di Cerfroid. Dall’alto: un cartello stradale che definisce Cerfroid la “culla” dell’Ordine. La data 1193 si riferisce alla sua fondazione, mentre l’approvazione papale avvenne nel 1198; di seguito ingresso del convento e resti della chiesa.
Sotto, da destra: plastico del convento antico; la Fonte della Trinità o Fonte dell’Apparizione. Qui, secondo la tradizione, Giovanni De Matha vide un cervo bianco con una croce rossa e blu tra le corna.

commerciale (le due cose non sono in contraddizione, anzi vanno di pari passo). Giovanni voleva invece stabilire relazioni basate sul dialogo, armato solo della Fede e, naturalmente, della capacità di contrattazione e negoziazione. Per perseguire una modalità d’approccio così “diversa”, egli capì subito che era necessaria l’approvazione del Papa. Era appena salito al soglio pontificio Innocenzo III (8 gennaio 1198), che aveva studiato a Parigi e probabilmente lì si erano conosciuti. Nel 1198 Giovanni fece due viaggi a Roma, testimoniati da due lettere di Innocenzo III, datate maggio e dicembre 1198. In particolare nella prima, la già citata Cum a nobis petitur , del 16 maggio 1198, il Papa dava la sua protezione a tre fondazioni trinitarie e parlava di uno stile di vita già praticato nelle case: usa, infatti, la definizione di “ordo” (ordine). Questo primo documento, contenuto nel registro del primo anno di pontificato di Innocenzo III, è una littera gratiae, ovvero una lettera con la quale il pontefice, su richiesta (petitio) del soggetto interessato, concedeva una grazia, cioè un favore o un diritto. Era

indirizzata a “frate Giovanni e agli altri frati della casa della S. Trinità di Cerfroid”. Si tratta, dunque, di una lettera ad Personam, non qualificata con un titolo istituzionale. Questo fa pensare a una certa prudenza del Papa; ma le formule utilizzate nella lettera dicono che l’esperienza religiosa di cui iniziava l’iter di riconoscimento era ben vista in curia, perché funzionale a un bisogno urgente: la liberazione dei captivi cristiani in mano ai musulmani. Il Papa chiese una più attenta valutazione del progetto, con l’esame di una commissione. In questo modo, affermava, avrebbe poi potuto concedere il proprio assenso con più sicurezza e con più efficacia: “assensum nostrum tibi possemus securius et efficatius impertiri”. La commissione doveva essere composta dal vescovo di Parigi, Eudes de Sully e dall’abate di S. Vittore, Bernardo, che però morì fra il 26 e il 27 maggio 1198; perciò il compito fu demandato al suo successore, Absalon. Giovanni andò quindi a Parigi e tornò a Roma in autunno, portando i risultati della commissione. Il Papa fece un’ulteriore revisione, cercando di conservare la novità dell’intuizione del frate provenzale. Questo controllo era sicuramente importante, perché il tema della cattività e della liberazione - come ha evidenziato lo storico trinitario Giulio Cipollone - aveva per Innocenzo III un profondo significato teologico. Bisogna aggiungere che questo pontefice fu il primo ad accogliere i nuovi ordini “mendicanti”, che a quel tempo si stavano formando, a patto però che fossero rigorosamente sottomessi al potere papale (egli infatti fu anche spietato con gli eretici: è tristemente nota la crociata contro gli albigesi). Poi, il 25 novembre 1198, mentre celebrava la messa nella Basilica di S. Giovanni in Laterano, il Papa ebbe una visione identica a quella di Giovanni de Matha. Si convinse allora che era giusto accogliere il nuovo ordine. O almeno, così si racconta... fatto sta che, finalmente, il 17 dicembre 1198, Egli diede la propria approva-
Papa Innocenzo III. Subiaco, Monastero di San Benedetto, noto anche come Sacro Speco, chiesa inferiore.
zione, con la lettera Operante divine dispositionis. Tecnicamente, anche questa era una lettera personale, non una bolla ufficiale. Però conteneva il riconoscimento scritto della Regola da parte della curia. Ciò sanciva di fatto l’inizio di un nuovo ordine e conferiva validità giuridica a una situazione esistente, che - dice la lettera - deve essere assecondata, perché è nata con spirito di carità, è richiesta da Gesù Cristo e antepone il bene comune all’interesse privato: Operante divine dispositionis clementia in sedis apostolice specula constituti, piis debemus affectibus suffragari et eos, cum a caritatis radice procedunt, perducere ad effectum; presertim ubi, quod queritur, Jesu Christi est, et private communis utilitas antefertur. L’ordine ebbe come motto: Gloria tibi, Trinitas, et captivis libertas (Gloria a Te Trinità e ai prigionieri libertà), ponendosi sotto la protezione della Vergine del Rimedio, che si festeggia l’8 ottobre e la cui devozione si diffuse proprio grazie ai Trinitari. L’iconografia classica, infatti, la ritrae con la croce trinitaria e i sacchetti pieni di monete da destinare ai riscatti. A volte appare S. Giovanni de Matha, con una borsa di denaro e una nave sullo sfondo, simbolo dei viaggi di redenzione. Giovanni fu nominato Superiore e con Felice si attivarono per la sua diffusione. Le linee essenziali della Regola erano tre: la devozione alla Trinità; uno stile di vita religiosa rigoroso ; l’impegno per la redemptio captivorum e le opere di misericordia. I frati dovevano indossare un abito bianco con una croce rossa e azzurra che richiama al mistero trinitario. Il voto di povertà implicava l’obbligo di destinare un terzo dei beni alla redenzione e alle strutture di ospitalità. Venne inoltre fissata la dieta, con l’astensione da carne, pesce e vino (salvo nelle solennità). Per i viaggi era permesso solo l’utilizzo di asini, da qui l’appellativo di “fratres asinorum”. Ad esempio, in un registro della Camera dei Conti di Parigi dell’anno 1330, i


Aronne Del Vecchio (1910 - 1998): “L’approvazione della regola dell’Ordine da parte di Papa Innocenzo III”. Roma, S. Tommaso in formis
Giovanni Battista Conti (1878 - 1970): “La vergine del Buon Rimedio” (1944). Roma, S. Crisogono
trinitari del Convento di Fontainebleau sono chiamati “frères des ânes de Fontainebleau” (fratelli degli asini di Fontainebleau). Nel 1199 si intrapresero le prime spedizioni di riscatto nei principati islamici d’Europa e d’Africa, che poi si ripeterono in gran numero. La prima missione fu in Marocco. I Trinitari si presentarono con una lettera di Papa Innocenzo III, datata 8 marzo 1199, al sultano Muhammad al-Nasir, della dinastia berbera degli almohadi, che si auto - fregiava del titolo di Califfo e “amir al-mu’minin”, ossia “comandante dei credenti” (tradotto in “Miramolino”). Ottenuto il permesso, i Trinitari compirono la prima redenzione. Trattarono con autorità e padroni e liberarono quasi 200 schiavi, con una regolare scrittura di riscatto registrata da un notaio. Questa sarà la procedura poi usata sempre. Al ritorno sbarcarono a Marsiglia; la popolazione si commosse vedendoli arrivare e dirigersi alla cattedrale, cantando il salmo “In exitu Israel de Aegypto”. Ai redenti malati o senza famiglia diedero accoglienza nei loro ospizi. Tra il 1199 e il 1207 Giovanni de Matha aprì
Stampa raffigurante un riscatto nel sec. XVII. Frontespizio del libro “Histoire de Barbarie et de ses Corsaires” di Pierre Dan, 1637
molti centri di accoglienza, cercò denaro e moltiplicò le spedizioni di riscatto. Nel 1207 Papa Innocenzo gli donò una chiesa a Roma, San Tommaso in Formis, situata sul colle Celio. Qui Giovanni nel 1209 fondò un altro ospedale, chiamato “S. Tommaso iuxta formam claudiam“, ossia “presso l’acquedotto Claudio” e nel 1210 sul portale fece realizzare il celebre mosaico, che rappresenta il Signum dei Trinitari (ossia la visione di de Matha). Gli autori del mosaico e del portale, che sono tuttora esistenti, furono Iacopo e Cosma, padre e figlio, nipote e pronipote di quel Tebaldo Marmorario dal quale si fa solitamente iniziare la stirpe artistica dei Cosmati. Vi si legge l’iscrizione “Signum Ordinis Sanctae Trinitatis et Captivorum”. Nel 1379 i Trinitari dovettero abbandonare Roma, cacciati da Papa Urbano VI, a causa dello scisma d’occidente. Avevano infatti sostenuto l’antipapa Clemente VII (1378 - 1394). I loro beni vennero confiscati e fu nominato amministratore il cardinale Poncello Orsini. Nel 1389 Bonifacio IX passò il complesso di S. Tommaso al Capitolo Vaticano e venne lasciato in uno stato di crescente degrado. Nel 1634 fu affittato a Girolamo Mattei, proprietario della Villa Celi-

montana. Furono effettuati parziali lavori di restauro solo nel 1663. Infine, nel 1898, in occasione del VII° centenario dell’Ordine, fu restituito ai Trinitari. La chiesa riaprì al pubblico nel 1926, anche se l’ospedale era stato demolito per la costruzione dell’Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, tuttora esistente. Sono rimasti solo il portale duecentesco e il mosaico, visibili dal Largo della Sanità Militare. Giovanni, secondo alcuni, avrebbe dato ospitalità a San Francesco d’Assisi, quando venne a Roma per presentare la sua Regola al Pontefice. Pare che Giovanni abbia in qualche modo “introdotto” al Papa il poverello d’Assisi; si ipotizza anche che si sia ispirato alla Regola dei Trinitari. Da parte sua, Innocenzo III si dimostrò ancora più prudente: a differenza di Giovanni, diede solo un’approvazione verbale all’ordine francescano. E ciò avvenne, ancora una volta, grazie a una visione del Papa, avvenuta in sogno: S. Francesco sorregge la Basilica di San Giovanni in Laterano, che sta per crollare. Il sogno venne poi dipinto da Giotto in un affresco nella Basilica Superiore di Assisi. L’approvazione definitiva dei francescani, la cosiddetta “Regola Bollata”, venne approvata solo il 29 novembre 1223 da Papa Onorio III.
Giovanni de Matha morì a Roma il 17 dicembre 1213 e fu sepolto nella chiesa di S. Tommaso in Formis.
Tra il XII e il XIV secolo l’Ordine Trinitario ebbe un periodo di espansione. Nel 1228 Guglielmo d’Alvernia, vescovo di Parigi, donò all’ordine un convento, con annessa una cappella dedicata a S. Maturino (Saint Mathurin de Larchant), che conteneva le reliquie di questo santo. Perciò i trinitari in Francia furono chiamati anche “Mathurins”. Maturino, vissuto nel III secolo, fu un esorcista; quindi anche lui era impegnato a liberare le persone, schiave, in questo caso, del demonio. Il convento di Maturino era nel Quartiere Latino, a due passi dalla Sorbona. Per questo ha avuto un ruo-
Roma, via della Navicella. Il portale dell’ospedale (non più esistente) fondato da S. Giovanni de Matha. Sopra l’arco, il celebre mosaico, simbolo dei Padri Trinitari, che rappresenta il “Signum”, la visione del Santo fondatore
La chiesa di S. Tommaso in Formis a Roma. L’ingresso è in via S. Paolo della Croce, sotto l’arco di Dolabella e Silano, che sosteneva l’acquedotto neroniano. Infatti il termine “in formis” significa “presso l’acquedotto”
lo importante nell’Università di Parigi. Dal XIII secolo ospitò l’assemblea universitaria nel suo chiostro (fino al 1764, quando furono trasferiti al Collège Louis-le-Grand). Lì avveniva ogni tre mesi l’elezione del rettore dell’università. Vi alloggiavano anche i religiosi dell’ordine che studiavano a Parigi. Subì numerose ricostruzioni e le migliorie nel corso dei secoli, ma l’edi-
Dall’alto: disegno del Convento di S. Maturino; resti del convento in rue de Cluny; la targa commemorativa
ficio fu infine distrutto nel 1863. Attualmente sono rimasti solo pochi resti murari, in Rue de Cluny (visibili, volendo, anche con lo “street view” di Google Maps!).
La fine del ‘500 vide un’altra tappa importante per l’Ordine. Ci fu la infatti la riforma dello spagnolo S. Giovanni Battista della Concezione. Juan Garcia Xixón, poi chiamato Juan Bautista de la Concepción, fu sacerdote, mistico e scrittore. La sua opera letteraria lo pone in una posizione di rilievo tra gli autori mistici dell’età d’oro in Spagna. Nacque ad Almodóvar del Campo (Ciudad Real), il 10 giugno 1561, era quinto di otto figli. Il padre, Marco Garcia Xixón, era un agricoltore benestante. La madre, Elisabetta Lopez Rico, si dedicava alla la carità verso i poveri e diede ai figli una solida educazione cristiana. Frequentò le scuole dei Carmelitani Scalzi di Almodóvar. Nel giugno 1576 conobbe santa Teresa d’Avila, la grande riformatrice del Carmelo, che era parente del padre. Indossò l’abito trinitario a Toledo il 28 giugno 1580 e studiò teologia ad Alcalá de Henares. La sua vasta cultura, le doti oratorie e la coerenza di vita fecero di lui un predicatore molto ascoltato e ricercato. La sua vita scorreva tranquilla, tra consensi, applausi e successi. Non sentiva il bisogno di ascoltare quei confratelli che, almeno a parole, si richiamavano e volevano vivere secondo la più rigida Regola dettata dal fondatore. Poi successe l’imprevedibile. Un giorno, mentre andava a predicare, lo colse un terribile temporale, che diventò presto un vero uragano. La sua vita era in pericolo. Spaventato, pregò e fece voto di cambiare stile di vita se fosse riuscito a salvarsi. Era l’epoca della controriforma, seguita al Concilio di Trento (1545 - 1563). Filippo II, re di Spagna aveva promosso la riforma degli istituti religiosi. I Trinitari decisero che in tutte le province dell’Ordine vi fossero due o tre conventi di religiosi chiamati “recolletti”, come già accadeva per i frati minori francescani.
Tale appellativo derivava dalla volontà dei frati di raccogliersi in conventi solitari, vestendo abiti più grossolani e osservando alla lettera la regola originaria. Il 26 gennaio 1596 Giovanni Battista entrò nel convento dei Recolletti di Valdepeñas. Iniziò così un’autentica conversione che lo portò ad allontanarsi da amicizie influenti, onori e privilegi; rinunciò al “Dio molto zuccherato e molto sensibile” in cui aveva creduto fino ad allora, per abbracciare Dio nel dolore della croce. Si accorse però che anche tra i “recolletti” non c’era autenticità: si limitavano a un’osservanza formale, di superficie, senza arrivare al rigore richiesto dal vangelo e dalla Regola. Alcuni mesi dopo, nel capitolo provinciale di Siviglia, fu eletto ministro del convento. Iniziò così a introdurre in modo sistematico la Regola. Non bastava limitarsi ad una stoffa più grossolana e rozza dell’abito, ma bisognava uniformare tutta la vita del monastero allo spirito originario. Vietò, per esempio, il consumo di carne; esigeva sei ore di orazione al giorno. Quasi tutti, spaventati da quella vita povera e austera, lo abbandonarono. Giovanni allora decise di recarsi a Roma per chiedere al papa Clemente VIII l’approvazione della riforma trinitaria. Era il 1597. I confratelli gli si schierarono subito contro e lo osteggiarono, perché lo consideravano ambizioso e ostinato. Si opposero alle sue idee usando quella che oggi si chiamerebbe una “macchina del fango”. Più tardi scriverà: “Io mi sentivo in uno stato tale

Almodóvar del Campo (Ciudad Real), la città che ha dato i natali a Giovanni Battista della Concezione
da desiderare piuttosto di trovarmi all’inferno se questo fosse stato possibile restando amico di Dio”. L’ostilità, il “mobbing” a cui era sottoposto lo costrinsero a trasferirsi presso i Carmelitani spagnoli di Santa Maria della Scala, a Trastevere. Costoro lo ricevettero a braccia aperte, perché sapevano che intendeva farsi carmelitano se non fosse riuscito a concludere l’agognata riforma. Rimase lì per più di un anno, durante il quale cadde in un lungo periodo di crisi, con tentazioni, scrupoli, dubbi e una lunghissima “notte dello spirito”, dalla quale si salvò aggrappandosi alla sua fede. Sentiva che, nonostante tutto, Dio era con lui. Finalmente, dopo tante lotte, il 20 agosto 1599 Papa Clemente VIII emanò la bolla
Joseph Prechtl: S. Giovanni Battista della Concezione. Vilnius, Pinacoteca (Vilniaus Paveikslų Galerija)
Ad militantis Ecclesiae, con la quale diede approvazione alla riforma. Sancì la fondazione della “Congregazione dei fratelli riformati e scalzi dell’ordine della Santissima Trinità”. L’ordine dei Trinitari risultava così di fatto diviso in due rami, denominati “Calzati” e “Scalzi”, i cui rapporti erano segnati da una marcata conflittualità. La nuova parte dell’ordine doveva avere almeno 8 conventi riformati per essere indipendente. Per riuscire nell’intento si sottopose a viaggi, a fatiche e a umiliazioni. Si consolava dicendo: “Solo Dio è la mia paga”. L’ottavo convento lo fondò nel 1605, a Valladolid, con l’aiuto del duca di Lerma, suo grande estimatore e braccio destro del re Filippo III. Nello stesso anno si tenne il primo capitolo della riforma. Fu eletto Ministro Provinciale, ma soltanto con due voti di maggioranza. Molti infatti non gradivano la sua linea severa e la determinazione ad aprire nuovi conventi. Nel 1606 contrasse il tifo, assistendo i confratelli colpiti dal morbo convento di Socuéllanos. Ma, appena guarito, riprese la sua missione con energia. Il 7 febbraio 1609, nel secondo capitolo riunito a Madrid, fu eletto provinciale Padre Francesco di S. Anna. Giovanni Battista fu trasferito da un convento all’altro, finché nel 1610 fu nominato ministro di quello di Cordova. Aveva ormai l’aspetto di un uomo “stanco, pieno di acciacchi e vecchio”. Il 12 maggio 1612 fu celebrato a Valdepeñas il terzo capitolo provinciale. Egli non fu neppure invitato. Padre Gabriele dell’Assunzione, nuovo Ministro Provinciale, lo richiamò a Madrid. Qui Giovanni Battista accolse nei Trinitari Scalzi alcune religiose agostiniane, provenienti da Toledo. Fondò il monastero di San Ildefonso e San Juan de Mata, più conosciuto come Chiesa e Convento delle Trinitarie Scalze. Ma la sua

Cordova. La chiesa di Nuestra Señora de Gracia, chiamata anche “iglesia de los Trinitarios”, al cui interno, nella cappella del Cristo de Gracia, sono custodite le spoglie del Santo riformatore
salute era ormai compromessa. Morì l’anno successivo, il 14 febbraio 1613. È stato santificato il 25 maggio 1975 da Papa Paolo VI. Le sue spoglie sono oggi venerate nella chiesa dei Trinitari di Cordova. Alla fine della sua vita aveva fondato 19 conventi, dei quali l’ultimo è quello delle suore di Madrid, per il quale è necessario fare una breve digressione. Il Convento delle Trinitarie Scalze si trova in Calle Lope De La Vega. Nel 2015 è diventato famoso nel mondo, apparendo su tutti i mass - media. Perché? Per rispondere bisogna parlare di un grande scrittore spagnolo, Miguel de Cervantes Saavedra, universalmente conosciuto come l’autore di un capolavoro della letteratura di ogni tempo, il romanzo Don Chisciotte della Mancia. Cervantes era molto legato ai Trinitari e aveva verso di loro un debito di riconoscenza. Egli era un soldato e si era arruolato nelle compagnie del cosiddetto “tercio” di Miguel de Moncada, a Valencia, insieme a suo fratello Rodrigo. Con il tercio di
Moncada partecipò alla battaglia di Lepanto, il grande scontro navale che aveva fermato l’avanzata dei turchi nel mediterraneo, il 7 ottobre 1571. Cervantes fu ferito in battaglia alla mano sinistra, perdendone l’uso. Ma combattè ancora, a Navarino nel 1572 e infine a Tunisi, nel 1573. Nel 1575, in settembre, la galera Sol, su cui era imbarcato col fratello Rodrigo fu catturata da corsari barbareschi. I due fratelli furono tratti in prigionia ad Algeri e diventarono schiavi di un rinnegato greco. Cervantes trascorse ad Algeri cinque anni, facendo quattro tentativi d’evasione, tutti falliti. Al secondo tentativo, il governatore di Algeri, Hassan Pascià, costrinse il padrone di Cervantes a consegnargli quello schiavo così pericoloso per 500 scudi. La sua famiglia raccolse 280 scudi, che furono affidati a due Padri Trinitari, Antón de la Bella e Juan Gil. I due frati partirono per Algeri da Valencia il 22 maggio 1580. Il 29 maggio trattarono con Hassan Pascià, che rimase fermo sulla richiesta di 500 scudi. In agosto Fra de la Bella tornò in Spagna con 111 prigionieri liberati, mentre Fra Juan Gil rimase in terra africana. In quel


Il celebre “Ritratto di Cervantes”, attribuito al pittore spagnolo Juan de Jáuregui. In realtà l’uomo non è stato identificato, e l’opera non è firmata. Un ritratto con una vicenda veramente... donchischottesca!
periodo il governatore stava per terminare il suo mandato ad Algeri ed era in partenza alla volta di Costantinopoli. Iniziò cosi una corsa contro il tempo per Fra Gil, che cercò ovunque la somma mancante. Venne infine trovata grazie all’aiuto di alcuni commercianti cristiani. Come in un film, mentre già Cervantes stava per imbarcarsi, rassegnato, alla volta di Costantinopoli (19 settembre), Fra Gil raggiunse il governatore e gli consegnò i 500 scudi. E poi... immagine in dissolvenza, cambio scena e lieto fine: lo scrittore appare in primo piano. La cinepresa si alza e inquadra un veliero, che, con una lunga scia, si allontana, veleggiando verso la Spagna. Era il 24 ottobre 1580. Per tutta la vita Cervantes dimostrò la sua gratitudine verso i Padri Trinitari. Nella novella “La Española inglesa” espresse la sua ammirazione per la “...carità di questi Padri, che danno la loro libertà per gli altri e rimangono prigionieri per salvare i prigionieri”. Quando morì, il 23 aprile 1616, volle essere sepolto nel proprio nel Convento delle Trinitarie Scalze, anche perché lì viveva sua figlia, che era suora trinitaria. Nel 1639 il convento fu
il monastero di San Ildefonso e San Juan de Mata a Madrid, più conosciuto come monastero delle Trinitarie Scalze

sottoposto a lavori di restauro, che, per varie cause, si protrassero per alcuni decenni. Purtroppo nel 1676 la cappella dov’era sepolto Cervantes fu demolita e le sue spoglie andarono perdute, tanto da far ipotizzare il loro spostamento in una fossa comune. Arriviamo dunque al 2015, quando, in primavera, si diffuse una notizia che fece immediatamente il giro del mondo: erano state ritrovate le ossa di Cervantes. Un’equipe di antropologi e archeologi, guidata dal medico forense Francisco Etxeberria, aveva a lungo cercato il corpo nella cripta del convento, con strumenti ad alta tecnologia, ritrovandolo infine a circa cinque metri di profondità. L’eccezionale ritrovamento fu celebrato ovunque. Le spoglie vennero spostate in un monumento, situato nella chiesa del Convento. Finalmente, dopo quasi 340 anni, Cervantes aveva di nuovo una tomba. L’anno successivo ricorrevano i 400 anni dalla morte dello scrittore e vi fu una enorme quantità di eventi per celebrarlo. In questa occasione il Convento delle Trinitarie Scalze fu una tappa fondamentale, diventando una attrazione turistica e una meta di pellegrinaggio.
Ma torniamo a noi. All’inizio del XVII secolo, in un clima di rinnovato fervore religioso controriformistico, e con la fondazione dei Trinitari Scalzi, maturarono le condizioni per la richiesta di santificazione di Giovanni de Matha e
Felice di Valois. Il 5 luglio 1634 papa Urbano VIII emanò la Costituzione Apostolica Coelestis Hierusalem cives, nella quale stabiliva che per ricevere pubblico culto era necessaria una esplicita pronuncia della Santa Sede. Distingueva inoltre la beatificazione dalla canonizzazione e regolamentava il “culto ab immemorabili” per le devozioni “pregresse” da tempo immemorabile (più di 100 anni). In questo caso la canonizzazione si diceva - e si dice tuttora - “equipollente”, cioè decisa infallibilmente dal Papa senza bisogno di un processo canonico. I Trinitari ritenevano che i due fondatori fossero già stati canonizzati nel 1262 da papa Urbano IV (1261-64), ma la bolla era andata perduta. Nel 1631 chiesero il permesso di celebrare liturgicamente la Festa dei Santi Giovanni e Felice in Francia e Spagna, ma non venne concesso. Iniziarono così a raccogliere informazioni per il processo di santificazione “ab immemorabili”. Finalmente, il 21 ottobre 1666, Giovanni de Matha fu proclamato Santo da Papa Alessandro VII. Riguardo a Felice di Valois, invece, ci sono informazioni contrastanti. Su molti testi, tra i quali Wikipedia, si legge che venne canonizzato nel 1694 da Papa Innocenzo XI. Questa informazione è sbagliata, perché Innocenzo XI fu Pontefice dal 1676 al 1689. Potrebbe allora trattarsi di Innocenzo XII (1691 – 1700), come indica l’enciclopedia Treccani. Altre fonti sostengono, forse più verosimilmente, che Felice fu canonizzato insieme a Giovanni (cfr. ad esempio S. Felice de Valois - ottavo centenario della morte, edito dall’Associazione degli ex allievi ed amici dei Trinitari, 2012). Ciò sarebbe confermato anche dall’iconografia: dalla seconda metà del XVII secolo la maggior parte delle chiese e cappelle trinitarie furono adornate con dipinti raffiguranti i due santi fondatori dell’ordine.
È in questo clima, in questo “odor di santità”, che avviene un celebre episodio, cruciale nella storia dei Trinitari. Una notte, due frati
L’inumazione dei resti di Cervantes nel nuovo sepolcro,
nella chiesa delle Trinitarie Scalze di Madrid
spagnoli penetrarono clandestinamente nella chiesa di S. Tommaso e trafugarono le spoglie di Giovanni de Matha. Era il 19 marzo 1665. Il “pio furto” (così venne chiamato) fu, in realtà, un vero e proprio salvataggio, perché, come già ricordato, il complesso di S. Tommaso in Formis era in stato di abbandono. L’ospedale era ridotto a granaio e, soprattutto, la tomba del fondatore giaceva dimenticata nell’incuria. I resti furono trasferiti a Madrid il 24 novembre 1655 e consegnati al Nunzio Apostolico Camillo II Massimo. Nel 1671 il segretario di stato vaticano ordinò al nunzio apostolico Cardinal Galeazzo Marescotti di esaminare formalmente i resti, che ancora giacevano nella sede della nunziatura apostolica di Madrid. Nel 1686, benché mancasse ancora una identificazione ufficiale, il nunzio Marcello Durazzo consegnò le ossa ai Trinitari Scalzi, che le deposero sotto l’altare di una cappella dedicata a S. Tommaso della Vergine (1587 - 1647), un trinitario scalzo molto famoso al tempo, perché, pur colpito da una misteriosa malattia che lo immobilizzava, svolse il suo ministero per 40 anni dal suo letto, diventando un grande oratore, celebre per i suoi consigli. I Trinitari Calzati si opposero alla donazione del corpo agli Scalzi. Esistono infatti due versioni molto differenti della consegna: Cronica del trinitario calzato Vega Y Toraya e Historia del sagrado cuerpo del trinitario scalzo Alexandro de la Concepcion. La contesa finì nel 1721, quando Papa Innocenzo XIII emanò una bolla con la quale annunciava che S. Giovanni de Matha poteva ricevere culto pubblico. E ora, con un lungo salto, Arriviamo al 1966. Perché è importante quell’anno? Perché vide l’ultimo viaggio di S. Giovanni de Matha. L’8 ottobre, giorno della patrona dell’Ordine, la Vergine del Buon Rimedio, con una cerimonia solenne le spoglie del Santo vennero traslate a Salamanca, nel collegio dell’Ordine della Santissima Trinità. Una enorme folla salutò l’evento. Da allora, le spoglie di San Giovanni




8 ottobre 1966.
L’arrivo di S. Giovanni de Matha a Salamanca, la processione e la S. Messa (le foto in questa pagina e successiva sono tratte da: Parroquia de S. Juan de Mata, www.sanjuandemata.es)
de Matha sono venerate nella Parrocchia di Salamanca. Nel 2000 venne realizzato il nuovo complesso monastico, opera degli architetti Alberto Ustárroz e Manuel Iñiguez. Le spoglie del Santo riposano oggi al centro della nuova chiesa, sotto una colonna appositamente realizzata. Si è concretizzato così finalmente, l’antico desiderio di dare alle spoglie di San Giovanni de Matha un tempio degno della suo ruolo di Fondatore.
Tornando alle vicende storiche, tra il XVII e il XIX secolo, l’illuminismo prima, la rivoluzione francese e le riforme ottocentesche poi, portarono alla chiusura della maggior parte dei conventi. L’Ordine rinacque poi nel corso del XIX secolo, in più momenti, a seconda delle condizioni politiche. Tra il XIX e il XX secolo si determinò un nuovo clima nel diritto internazionale. Questo processo culminò nel 1948, con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e l’abolizione della schiavitù. Nella seconda metà del secolo scorso, le nuove condizioni storico-sociali e
Salamanca, dall’alto: vista dall’altare della colonna con le spoglie del Santo; La teca di vetro contenente l’urna settecentesca; sotto: esterno della nuova chiesa e convento, inaugurati nel 2000
il Concilio Vaticano II (1962 – 1965), indussero l’Ordine Trinitario a iniziare un processo di rinnovamento e recupero del carisma del fondatore, per dare risposta ai cambiamenti e alle sfide del XX secolo.
Nel 1983 si tenne, dal 22 maggio al 22 giugno, il Capitolo Generale a Rocca di Papa (Roma). Qui vennero esaminate e approvate definitivamente le nuove costituzioni dell’Ordine, redatte secondo gli orientamenti conciliari. Il decreto di approvazione della Santa Sede arrivò il 17 dicembre 1984, ed entrarono in vigore il 2 giugno 1985. Con le nuove costituzioni si pone formalmente fine alla divisione tra Calzati e Scalzi. Da allora esiste un solo Ordine Trinitario. Vennero definiti gli elementi essenziali dell’identità trinitaria: 1. la Santissima Trinità è la fonte inesauribile della carità, che si traduce nel servizio della redenzione e misericordia; 2. la vocazione trinitaria come chiamata ad essere testimoni di Cristo; 3. il servizio di liberazione è realizzato in vari modi: ascoltando le nuove forme di schiavitù (prostituzione, alcolismo, tossicodipendenza, ecc.); assistendo i cristiani dubbiosi; svolgendo il compito di evangelizzazione, sia in paesi di missione come nei paesi di tradizione cristiana; partecipando alla liberazione degli indigenti dalla condizione di povertà. Seguendo le nuove costituzioni, l’Ordine ha creato un organismo chiamato Solidarietà Internazionale Trinitaria (SIT), con un proprio statuto e delegazioni in tutti i paesi dove sono presenti i Trinitari. Si tratta di una piattaforma di informazione, denuncia, preghiera, sensibilizzazione e azione per le situazioni internazionali di persecuzione religiosa e di crisi umanitaria. L’opera di redenzione, la redemptio captivorum, quindi, deve essere rivolta alle nuove forme di schiavitù, sia concrete e materiali che “metaforiche”, come nelle patologie psichiatriche e disabilità. Come viene recepito questo servizio in Italia? Scrive la rivista Nuovi Orizzonti: “In Italia,
il servizio prevalente è alle persone con disabilità, specie psichiche, fortemente presenti in Puglia,ad Andria e Gagliano del Capo; in Basilicata, a Venosa e Bernalda; in Friuli Venezia Giulia, a Medea. Una evidente scelta preferenziale. Sono le malattie con cui la società sta imparando a fare i conti, specie dopo la provvidenziale chiusura dei manicomi per effetto della famosa legge Basaglia, la Legge 180 del 13 maggio 1978, rimasta incompiuta nella parte più innovativa, quella della
Dall’alto: le strutture trinitarie di Gagliano del Capo, Andria, Venosa e Bernalda




realizzazione di case di accoglienza. Case, invece, realizzate con forte spinta profetica e innovativa dai padri Trinitari sul versante della disabilità intellettiva e dello spettro autistico. In esse, la forte professionalità degli operatori, si fonda e si accompagna al valore aggiunto della Missione Trinitaria” (Nuovi Orizzonti, Istituto Trinitari di Venosa, n° 5, settembre - ottobre 2017). La “scelta preferenziale”, quindi, è stata di dedicarsi alla disabilità fisica e intellettiva. Questa scelta portò, nel 1971, alla decisione di acquisire la struttura di Medea. L’atto di compravendita è datato 5 febbraio, redatto dal notaio Pietro Carussi di Roma. I Trinitari lo acquistarono da monsignor Angelo Magrini, sacerdote diocesano dell’arcidiocesi di Gorizia, che aveva realizzato un centro per l’infanzia in un complesso di fabbricati con un ampio parco e terreno agricolo. Questo complesso era in origine una casa dominicale di proprietà dei conti Mels-Colloredo. Il 24 giugno 1873, la giovane contessa Cosuelo (1857 - 1906), figlia di Jakob Mels-Colloredo, marchese di S. Sofia e Recanati, ad appena 16 anni sposò il conte Heinrich Dubsky (1847-1927), ventiseien-
Il conte Heinrich Dubsky


ne, e si stabilirono nella casa di Medea. Questi territori appartenevano allora all’impero Austro-Ungarico e Dubsky, viennese di nascita, era un fervente filoaustriaco, un cosiddetto “austriacante italofobo”. Dopo alcuni anni di matrimonio e la nascita di un figlio, il 14 marzo 1882 Consuelo si rivolse all’Imperial-regio tribunale di Gorizia e chiese la separazione dal marito. Il fatto sembra fosse, in realtà, accettato da entrambi. Concordarono uno scambio di beni: Consuelo si sarebbe trasferita a Vienna, nell’appartamento di Heinrich, mentre lui sarebbe rimasto nella tenuta di Medea. Qui egli si impegnò, oltre che nell’amministrazione dell’azienda agricola, anche nella vita sociale del paese. Ricoprì infatti varie cariche istituzionali. Il 24 maggio 1915 era podestà di Medea e si presentò alle truppe italiane che stavano avanzando. Venne subito arrestato e iniziò per lui e la seconda moglie, Maria, un lungo periodo di prigionia, fino al dicembre 1919. La sua storia è stata raccontata da un pronipote, Giuseppe Matschnig, in un libro intitolato “Il caso Dubsky”, presentato a Medea il 20 giugno 2014. durante le sue ricerche, Matschnig visitò più volte l’istituto dei Padri trinitari, in quanto casa di Dubsky. All’epoca della prima guerra mondiale nella tenuta si installò il quartier generale del XI° e XIV° Corpo d’Armata. Anche per questo Medea era continuamente visitata dagli alti gradi dell’esercito italiano ed alleato. Alla morte di Heinrich Dubsky la casa
Cartolina d’epoca di Medea
La targa che ricorda l’antico nome dell’Istituto
fu messa in vendita dal figlio, che si chiamava anche lui Heinrich. Venne acquistata, il 14 gennaio 1928, da Arnoldo Frygyessy di Rattalma, triestino di origine ungherese, direttore generale della compagnia di assicurazione RAS (Riunione Adriatica di Sicurtà) di Trieste. Egli la acquistò come “casa di campagna” per i soggiorni domenicali ed estivi dei suoi tre figli. La utilizzò fino a settembre 1943. Poi la famiglia Frygyessy, che era di origine ebraica, la dovette abbandonare, a causa delle leggi razziali. Finita la guerra, Frygyessy vendette la villa all’imprenditore Vittorio Vriz, proprietario della cava di Rivalunga a Borgnano, oggi dismessa ma ancora visibile sulla strada che porta a Medea. Era il 25 luglio 1947, Egli poi a sua volta la vendette a monsignor Angelo Magrini, che, negli anni ‘50, era impegnato ad acquisire proprietà, da destinare a ricreatori e istituti per bambini. Per esempio a Sagrado comprò il castello degli Alimonda, trasfor-
mandolo nell’Istituto Pio X, una scuola per i bambini bisognosi. A Fraelacco (Tricesimo), nel 1964 fondò l’istituto Medico-Psicopedagogico “S. Maria dei Colli”. A Cormòns, Il 31 maggio 1951, stipulò un contratto con il quale ottenne parte di un’area era occupata da una vecchia caserma asburgica e la destinò a ricreatorio giovanile. In quella scrittura si prefigura già l’idea di creare una struttura destinata a bambini orfani o abbandonati. Il progetto trovò attuazione a Medea nel 1959, quando acquisì la casa Dubsky e creò un centro per la tutela della maternità e dell’infanzia. Ne ampliò la struttura, costruendo l’ala retrostante, chiamata “scuole”, che oggi è diventata parte del Centro Residenziale per l’Autismo. Come già ricordato, il 5 febbraio 1971 i Padri Trinitari acquistarono la proprietà, procedendo
Due immagini delle vecchie “scuole” prima della ristrutturazione
a lavori di ristrutturazione. Realizzarono l’Istituto Psico-pedagogico, diventato poi “Centro Residenziale Villa S. Maria della Pace”, rivolto a persone adulte con disabilità fisica e intellettiva. Infine, venne realizzato il nuovo Centro Residenziale per l’Autismo, chiamato “S. Giovanni de Matha”. I lavori iniziarono nel 2009: il 16 maggio venne posata la prima pietra. Ci vollero poi 8 lunghi anni per completare
la ristrutturazione e ottenere le autorizzazioni necessarie. Bisogna infatti ricordare che è stato il primo centro del genere in Friuli Venezia Giulia, autorizzato come “Servizio di riferimento regionale sperimentale e innovativo”. (cfr. il Decreto di Autorizzazione e la Delibera Regionale 1463/2016). Ciò ha richiesto un’attenzione accurata per ogni aspetto del progetto. Venne finalmente inaugurato il 13 giugno 2017, alla presenza della presidente regionale Debora Serracchiani.
Dall’alto:
Villa S. Maria della Pace, già casa Dubsky, vista esterna e interna; sotto: il nuovo Centro S. Giovanni de Matha, realizzato nelle vecchie “scuole”.
L’Ordine Trinitario oggi è diviso in sei province religiose, tre vicariati e due delegazioni. Ogni provincia è governata da un Ministro Provinciale, mentre a capo dell’Ordine viene eletto ogni sei anni un Ministro generale.
L’Ordine Trinitario è presente in Italia con la Provincia Romana di San Giovanni de Matha Ordine della SS. Trinità, che opera con due Enti distinti, ognuno con personalità giuridica: la Provincia della Natività della Beata Maria Vergine dell’Ordine della Santissima Trinità e la Provincia Italiana dell’Ordine degli Scalzi della SS. Trinità. L’attuale Ministro Generale dell’Ordine, eletto nel 2019, è Padre Luigi Buccarello. Nel 2021, il Capitolo Provinciale che si è svolto a Napoli (27 giugno - 2 luglio), ha eletto Padre Rocco Cosi nuovo Ministro Provinciale. Insieme a lui il Capitolo ha designato anche il resto del governo della Provincia, il Consiglio provinciale che coadiuverà Padre Rocco nei diversi settori della vita religiosa trinitaria.
Alla fine di questo lungo racconto, citiamo le parole di due Pontefici, dedicate ai Padri Trinitari. Il 17 dicembre 2013, per la ricorrenza dell’ottavo centenario della morte di Giovanni de Matha, Papa Francesco disse: “desidero pregarvi... di non smettere mai di imitare Cristo e, con la forza dello Spirito Santo, di dedicarvi con umiltà a servire il povero e lo schiavo. Oggi ce ne sono molti. Li vediamo ogni giorno e non possiamo passare oltre, accontentandoci di una buona parola. Non è quello che ha fatto Cristo. È condizione di vita acquisire
i sentimenti che aveva Cristo, per vedere il suo volto in colui che soffre e per offrirgli la consolazione e la luce che sgorgano dal suo Cuore trafitto. Osate pure “primerear”! [Primerear è vocabolo gergale di Buenos Aires: significa prendere l’iniziativa, anticipare ma si può tradurre anche come “fregare”. Secondo Bergoglio dobbiamo“primerear” il peccato, “fregarlo”, “scavalcare” l’ingiustizia. Dio ci “primerea”, ci aspetta al varco: quando pecchi lui è già lì per perdonarti. Ndr]
Il 4 marzo 1990, Papa Giovanni Paolo II, durante la visita alla Parrocchia romana di S. Crisogono, disse: “Qui tocchiamo un altro aspetto del trinitarismo: il dono. Dio è dono, Dio è come dono di se stesso. (...) Voi portate nella vostra tradizione trinitaria anche questa testimonianza di dono. Siete stati creati, istituiti, dai vostri fondatori, per essere dono per gli
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Giuseppe Matschnig, Il caso Dubsky, Mariano del Friuli, Edizioni della Laguna, 2014
altri, anzi, per dare voi stessi per gli schiavi. (...) Oggi ci vuole forse ancora una maggiore donazione di se stessi per liberare i nostri contemporanei, i nostri fratelli e le nostre sorelle, dalle diverse schiavitù.”
Vogliamo chiudere con questa immagine, così bella e profonda. Questa storia è la storia di un Dono. Un Dono che Giovanni de Matha ricevette in quel freddo 28 gennaio 1193, cambiando per sempre la sua vita.
Un Dono che ha attraversato otto secoli ed è arrivato fino a noi, con la stessa forza rivoluzionaria che ebbe allora.
Un Dono che è un messaggio di speranza, di forza e di vita: chi accoglie Dio può spezzare ogni catena.
Chi ha Fede è Libero.
Gloria tibi, Trinitas, et captivis libertas!
Alessio Pettarin
Isidoro Murciego, Dalle origini al domani. Più di otto secoli sulle orme di S. Giovanni de Matha, rivista “Trinità e Liberazione”, da: anno XI, n.10 a: anno XIII, n.7
Isidoro Murciego, Con il fondatore alle radici. Tratti di una vita appassionante, rivista “Trinità e Liberazione”, da: anno XIII, n.8 a: anno XIV, n.3
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Natale