



Il Cerchio - Rivista dell’Istituto dei Padri Trinitari di Medea
Redazione: Padre Rocco Cosi, Alessio Pettarin, Marina Zonch
Grafica e impaginazione: Alessio Pettarin
Fotografie: Fabio Gerussi
Stampa: Poligrafiche S. Marco - Cormons

Sommario



![]()




Il Cerchio - Rivista dell’Istituto dei Padri Trinitari di Medea
Redazione: Padre Rocco Cosi, Alessio Pettarin, Marina Zonch
Grafica e impaginazione: Alessio Pettarin
Fotografie: Fabio Gerussi
Stampa: Poligrafiche S. Marco - Cormons





Ritorniamo sulle nostre pagine dopo una lunga pausa, non certo volontaria. Non è facile riprendere, perché questa rivista vuole essere uno “specchio” della vita quotidiana dei nostri ospiti, ma la vita quotidiana di tutto il mondo è stata sconvolta e fermata da questo virus che continua a imperversare. Lo strumento per affrontarlo è definito da un termine inglese diventato di uso comune: Lockdown. Questo mezzo di difesa è diventato, col tempo, una condizione esistenziale. Lockdown significa solitudine, isolamento, distanza. L’Istituto dei Padri Trinitari ne ha subito, come tutti, gli effetti. La numerose attività degli ospiti si sono interrotte; le visite, le uscite, gli incontri e le relazioni di cui era nutrita la loro vita sono stati sospesi. Il tutto sostituito da rigidi protocolli, in osservanza dei vari DPCM e delle indicazioni dell’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina. Per un anno questo rigoroso rispetto delle norme ha funzionato. Poi, anche a causa delle varianti più aggressive, il virus è riuscito ad aprirsi un varco e dilagare tra le nostre mura. Nonostante ciò, la sua è stata una vittoria effimera: la grande maggioranza dei contagiati non ha avuto problemi e presto l’emergenza è stata superata. Ma la guerra è ancora in corso e la guardia rimane alta, come ricorda Padre Rocco, nel suo scritto di ringraziamento, nella pagina seguente. Questi eventi hanno lasciato (e continuano a lasciare) segni profondi in ognuno di noi. Qualcosa è cambiato definitivamente. Tempo fa si diceva “andrà tutto bene”. Era una reazione comprensibile, di fronte all’enormità che ci stava investendo, in modo del tutto inaspettato. Ora, ed è passato poco più di un anno, ci rendiamo conto che siamo così diversi da allora. Quel grido, quel cantare dai balconi, ci appaiono adesso così ingenui, così infantili. Come se in quest’anno il tempo avesse accelerato il suo corso e ci avesse costretti a crescere, ad aprire gli occhi, a diventare adulti in fretta. E la condizione di disincantata consapevolezza che abbiamo raggiunto, non ci permette di cedere alla stanchezza, allo sfinimento che tutti sentiamo a causa della dura prova che stiamo affrontando. Qualcuno dirà che non è vero niente, che è un complotto, che ci stanno imponendo una “dittatura sanitaria”. Queste persone hanno in comune una visione passiva e fatalista dell’umanità; pensano che siamo “massa” e il nostro destino è subire passivamente certi indefiniti “poteri forti”. Queste persone non capiscono che il “potere forte” è affrontare la realtà senza scuse; il potere forte è quando soffochi la tua paura, perché dai tuoi occhi deve uscire gioia e dal viso un sorriso; il potere forte è quando fai tacere il tuo dolore, perché devi prenderti cura di chi non può curare il proprio dolore. Il vero potere, infine, è quando capisci che tutto questo non lo puoi fare da solo. Bisogna essere uniti, stare insieme, prendersi per mano. Questo gesto, così importante, denso di significati, oggi è vietato. Ecco la nostra vera sfida. La pandemia passerà, e allora saremo a un bivio: fare finta che non è successo niente o accettare che siamo cambiati. Se avremo il coraggio di seguire la seconda strada, allora potremo dare un senso a ciò che è accaduto; allora capiremo che prendersi per mano è l’unico modo per affrontare il futuro. Capiremo che prendersi per mano è il vero potere. Allora potremo davvero dire: “andrà tutto bene” .



I° aprile: finalmente arriva la notizia tanto attesa: anche questo screening (29 marzo) si è completato e i tamponi molecolari di tutti gli ospiti ed operatori hanno dato esito negativo! Finalmente termina (speriamo definitivamente) questo momento difficile e complesso, iniziato martedì 23 febbraio. Finalmente possiamo esultare per questo traguardo raggiunto... e l’unica parola che vorrei giungesse a tutti voi è: GRAZIE!
Innanzitutto, grazie a Dio Trinità, che ci ha dato la forza e la pazienza di affrontare questa difficile situazione, illuminando il nostro cammino.
Grazie a tutti gli operatori che, in qualsiasi modo, si sono resi disponibili ad affrontare e vivere in prima persona le zone covid (RSA di Cormons e modulo covid nel centro); grazie per la disponibilità dimostrata e la delicatezza nell’affrontare le diverse situazioni che improvvisamente si presentavano, non sempre preventivabili.
Grazie a tutti coloro che, per garantire la quotidianità del centro, hanno rinunciato e rimodulato i propri turni al fine di assicurare sostenibilità alla vita del centro ed un minimo di normalità ai nostri ragazzi in quarantena.
Grazie all’Équipe Medica e al settore infermieristico, per aver seguito l’evolversi degli eventi ed aver contribuito con preziosi consigli ad affrontare il periodo di isolamento e quarantena.
Grazie a tutti coloro che, nel silenzio del proprio lavoro quotidiano, hanno organizzato dispositivi di protezione individuale, pasti,


logistica, sanificazioni, interventi tecnici, tamponi, orari, tutto nei minimi dettagli, al fine di arginare il diffondersi del contagio, proteggere personale ed ospiti e garantire la vita quotidiana del centro.
Grazie alle ditte CAMST per la disponibilità dimostrata nel ricalibrare il proprio servizio alla luce dell’emergenza.
Ma un sincero GRAZIE, come comunità riconoscente, lo vogliamo rivolgere anche agli organi sanitari di riferimento che ci hanno seguito in questo momento così delicato.
Grazie al Dipartimento di Prevenzione per averci accompagnato quotidianamente con consigli utili e necessari per circoscrivere il contagio. Un grazie particolare lo vogliamo rivolgere al Capo Distretto, nostro punto di riferimento in ogni situazione, che particolarmente in questo periodo ci ha guidati con pazienza e saggezza in ogni scelta e procedura messa in atto.
Grazie al personale della Residenza Sanitaria Assistenziale di Cormons, che ha accolto i nostri “ragazzi” contagiati, per aver mostrato grande professionalità e alta predisposizione verso di loro ed alla collaborazione con i nostri collaboratori.
Grazie al Team Covid dell’Azienza ASUGI per il prezioso servizio della vaccinazione agli ospiti: un momento importante per la vita del centro vissuto in serenità e condivisione.
Se è vero che un gruppo di persone che condivide un obiettivo comune può raggiungere risultati insperati, allora è chiaro che lavorare insieme significa vincere insieme. Ed infine, ma non per importanza, un grazie a
tutte le famiglie dei nostri utenti. Con apprensione e preoccupazione hanno seguito l’evolversi della pandemia nel nostro centro, ma anche con disponibilità e garbo, consapevoli che solo lavorando tutti insieme, ognuno nel suo ruolo, potevamo superare questa prova. Nella difficoltà del periodo, questa esperienza ci ha dato la grazia di esprimerci come comunità, rafforzando i rapporti fra colleghi e i rapporti con i gli ospiti,
ma anche le relazioni con le famiglie e le istituzioni.
Un grazie di cuore a tutti voi…
A tutti voi cari collaboratori, ricordo solo che non tutto è passato: purtroppo la pandemia continua. Vi invito a non abbassare la guardia e a continuare nel vostro impegno quotidiano con professionalità e diligenza.
A tutti voi… GRAZIE
Padre Rocco



Nonostante i tentativi di contenimento, le speranze di tutti sono state deluse, a causa dell’aggressività del virus e della conseguente cosiddetta “seconda ondata”. Inutile dire che è stato un Natale diverso e inedito. Il fatto più significativa, un vero simbolo del momento, è stata senz’altro la Messa di Mezzanotte, spostata alle 20.00 per rispettare il “coprifuoco”. Gli ospiti dell’Istituto aspettano sempre il periodo delle feste con grande trepidazione. Anche loro, comunque, hanno accettato questi cambiamenti con consapevolezza. Per questa ragione, le feste natalizie sono passate comunque con serenità, pur mancando tutti gli appuntamenti tradizionali: gli auguri, la festa con il Lions Club di Gradisca e Cormons, il pranzo di Natale con la visita del sindaco e
naturalmente la torta, l’arrivo dei “bikers” con le loro moto rombanti, l’allegria e i numerosi doni... E poi il cinema, il teatro, i Claun… tutto rimandato a tempi migliori. Lo spirito, però, è rimasto intatto. Comunque, è il tempo delle feste, con il suo fascino, il suo carattere di tempo “magico”. Questo perché ha mantenuto il suo senso profondo: la nascita di Gesù, la luce della stella cometa che risplende con il suo messaggio di accogliere Cristo dentro di noi. Soprattutto in questi giorni bui, infatti, il Santo Bambino ci è vicino, ci infonde forza e volontà per affrontare e superare questa battaglia. Proprio per questo, il solito augurio, a volte così superficiale e automatico, oggi è diventato così importante, vero, profondo:
Buon Natale!




La Befana è una nonnina, molto anziana ma ancora in piena attività. Nessuno sa quanti anni ha, ma i bambini di tutto il mondo la aspettano. Ma allora chiediamoci, una nonna così, poteva mancare quest’anno? No di certo! Così lei, imperterrita, è partita, con il permesso del CTS. Naturalmente rispettando le regole: il distanziamento (ma lei, si sa, vien di notte, quando non c’è nessuno in giro) e la mascherina! Ed è arrivata anche a Medea, per un breve ma intenso (e molto atteso, questa volta ancora più degli anni scorsi) incontro con gli ospiti dell’Istituto. Come di consueto è stata accolta con grande entusiasmo e ciò è testimoniato dalle immagini. Lei ha ricambiato l’affetto, elargendo i dolci doni tanto attesi. Poi, al momento del congedo, a bordo della sua scopa, ha salutato tutti , con l’augurio e la speranza che, quando tornerà, questo periodo sarà solo un (brutto) ricordo. Grazie di tutto, cara Befana!











La carta è bella. Un concetto molto semplice per una grande verità. Se non ci fosse bisognerebbe inventarla… È presente in tutti gli aspetti della nostra vita. È quindi inevitabile trovarla anche nei laboratori dell’istituto, come in tutti i laboratori, del resto. Presentiamo quindi il laboratorio “Maschere di carnevale”. L’elemento comune è proprio la carta. Questa attività è nata dall’idea di quattro operatrici: Deianira Fabris, Chiara Rizzi, Cristina Persoglia e Alessia Parisi. Lavorando con due gruppi di ospiti molto attivi e motivati (per la precisione il gruppo 7 e il gruppo 9), hanno pensato di coinvolgerli nell’attesa di carnevale, che forse avrebbe portato qualche piccola festa. E quale poteva essere il modo migliore, se non creando le maschere? È nato così questo laboratorio, che si può definire “sui generis”, perché si è svolto con l’incertezza della conclusione: fino all’ultimo, infatti, non si sapeva se sarebbe stato possibile usarle in una festa, a causa dell’andamento covid. Nel frattempo, con diligenza artigianale, i partecipanti hanno creato le loro opere: chi disegnava le maschere, chi ritagliava, chi dipingeva, chi preparava le decorazioni. Tutto all’insegna della fantasia e del colore. La semplicità e la ripetitività del “modello” hanno permesso di concentrarsi sugli aspetti decorativi, arrivando a bellissimi risultati, come è testimoniato dalle fotografie in questa pagina e nelle pagine seguenti, dedicate alla festa. Ancora una volta, quindi, complimenti agli artisti che hanno dato il loro contributo e, naturalmente, anche alle operatrici che li hanno seguiti e supportati in questa divertente (e molto utile) attività.

Sotto: l’impegno dei partecipanti al laboratorio



















In questa fase storica così travagliata, potrebbe sembrare inopportuno, in generale, “festeggiare”. In particolare, è opinione comune che sia fuori luogo cercare di divertirsi, rispetto all’emergenza che ci ha travolti, in occasione del carnevale. Ma due cose sono da dire: la prima è che il carnevale non è solo un “divertimento” leggero e spensierato (come viene vissuto o meglio, consumato, oggi, allo stesso modo di altre festività importanti). Di questo si parla diffusamente nell’articolo successivo. La seconda è che proprio in fasi così difficili, in cui è in atto una vera e propria guerra, è importante creare dei momenti di pausa, occasioni in cui mettere tra parentesi la realtà (sempre nel rigoroso rispetto delle regole sanitarie) per mantenere un equilibrio interiore, ritrovare un raggio di serenità in un periodo così oscuro.




Per queste ragioni, gli ospiti di “Villa S. Maria della Pace” hanno potuto godere di alcune ore di allegria, con maschere e musica, in due

pomeriggi del periodo carnevalesco. Il primo venerdì 12 febbraio, il secondo martedì grasso, 16 febbraio. L’organizzazione è stata possibile in primis grazie alla situazione sanitaria del momento. I tamponi da poco effettuati, infatti, avevano dato tutti esito negativo e, di fatto, l’istituto era “covid free”. Poi, tutto era stato programmato in modo da evitare assembramenti, nei limiti, ovviamente, di ciò che è la normale vita quotidiana di una comunità con persone disabili. Detto questo, la festa è stata una vera festa, anzi due, con musica, bibite e, naturalmente, i crostoli! Da segnalare anche le decorazioni, costituite dalle bellissime maschere realizzate nel laboratorio del gruppo 9 e del quale parliamo in un articolo ad esso dedicato. Sono stati quindi, momenti di spensieratezza e divertimento, assaporando un po’ di quella “normalità” che manca da troppo tempo e di cui sentiamo tutti estremo bisogno.















Carnevale è una cosa seria. Se è vero che a carnevale ogni scherzo vale, se è vero che la “legge” di carnevale è il sovvertimento dell’ordine, il rovesciamento del mondo, allora, da un anno, sembra proprio che stiamo vivendo un lungo carnevale. Non è una mancanza di rispetto nei confronti della tragedia che ci ha colpiti ed è costata (e ancora costa) tante vite umane. Non è cinismo. È invece il senso umano più profondo della grave crisi che caratterizza questi mesi. Abbiamo vissuto esperienze che nessuno poteva immaginare di vivere. Ci è stata tolta la parte più importante della nostra natura: la socialità. Allo stesso tempo è tornato, prepotente, il senso della nostra fragilità. Che brusco “risveglio”, dopo anni in cui veniva glorificato il progresso tecnologico, dopo che abbiamo creduto (ci hanno fatto credere) di poter dominare il mondo. L’idea delle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità, su cui già ironizzava Leopardi ne “La ginestra” (1836), viene costantemente ripresa e usata negli spot pubblicitari. Ora invece, il contro - messaggio della natura è arriva-


to chiaro e inoppugnabile
La natura ha rovesciato il tavolo, ha detto “non potete continuare così”. Ha fatto impressione ciò che è successo durante il primo “lockdown”. La natura si è ripresa i suoi spazi. Era incredibile vedere il mare di Venezia pulito, gli animali girare indisturbati. Ecco allora che emerge il significato profondo del carnevale, al quale non siamo abituati, perché non sappiamo più leggere la nostra cultura e la nostra natura. Nella ciclicità dell’anno, il carnevale rappresenta il caos primordiale. Si potrebbe dire che rappresenta il momento della “terra informe” come viene definito nella Bibbia (Gen 1,2). Dopo viene la Quaresima, che è il periodo di purificazione che precede la nascita. È l’emergere della luce dalle tenebre, il passaggio dall’informe alla forma, la Pasqua. Carnevale, quindi, non è uno scherzo. O perlomeno, non solo. Ma noi non siamo più abituati a guardare in profondità. Se osserviamo bene, il nostro vivere “in rete” significa muoversi sempre in orizzontale, sulla superficie, come se avessimo una sola dimensione; e in questa
dimensione ciò che conta è la velocità (di connessione). Come motoscafi che solcano il mare, siamo preoccupati di attraversarlo sempre più velocemente, ma siamo totalmente ignari di ciò che c’è sotto di noi. Il problema è che “sotto” c’è ciò che conta veramente: c’è la vita. Così, viviamo nel nostro eterno presente, senza storia, senza profondità. E pensiamo che la vita sia tutta qui, ben piantati nella nostra rassicurante superficialità. Poi arriva un esserino microscopico, invisibile, insignificante e, soprattutto, imprevedibile e ribalta tutto. Sembra uno scherzo (di carnevale) e infatti abbiamo pensato così, all’inizio. È “roba” dei cinesi, è fuggito da un laboratorio, non arriverà mai da noi, è solo un’influenza… invece no. La realtà ha rotto lo specchio in cui ammiravamo compiaciuti noi stessi. Prima, con la maschera di carnevale eravamo allegri. Ora, con la mascherina chirurgica siamo angosciati. Chi ha negato l’esistenza del virus lo ha preso. Sarebbe da ridere, se non fosse terribile; è il duro charivari che la natura ha riservato all’umanità, accecata da sé stessa.
E Quindi? Abbiamo diverse possibilità. La più semplice è aspettare il vaccino come una panacea, per poi tornare a vivere come prima. I mass – media, che parlano sempre alla superficie con linguaggio elementare, fanno passare questo messaggio. Oppure, possiamo negare tutto e vivere nella rassicurante illusione che è stato tutto un complotto. Infine, ci sarebbe un’altra possibilità: cercare un senso. Elaborare i fatti, riflettere, progettare il futuro. Ma questa è una strada impervia e poco frequentata. Significa analizzare la realtà; anzi, di più, accoglierla. Significa fermare il motoscafo e guardare giù. Sentire che galleggiamo fragili su un abisso scuro. Significa anche sentire che c’è Dio (“Lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” dice la Genesi). E Dio, prima di fare noi, ha fatto la Natura e l’ha definita “cosa buo-
na”. Da qui bisognerebbe ricominciare. Non viviamo in un tranquillo presente, ma in un divenire pieno di luce e ombre, salite e discese. La nostra luce è lo Spirito, che alberga silenzioso in noi, che non urla, non adula né seduce; aspetta paziente che il nostro sguardo si posi su di lui. Aspetta il figliol prodigo. Può sembrare un facile esercizio di retorica dire che dobbiamo cambiare rotta, iniziare un’epoca nuova, riscoprire la spiritualità in noi, ecc. E infatti, detta così, lo è. Lo sarà finché vivremo sulla superficie delle cose. Per cambiare bisogna andare in profondità, agire con consapevolezza. La “rete” di cui abbiamo bisogno (e questo forse un po’ lo abbiamo capito) è la rete di relazioni umane, la rete sociale. Il nostro ambiente è la comunità, intesa in senso ampio, ecologico; è il luogo in cui viviamo, fatta di persone e spazi, di aria, acqua, di Natura. Abbiamo già tutto ciò che ci serve per iniziare, per uscire dal caos e andare verso la luce. Abbiamo tutto per passare dal carnevale alla Pasqua. Ora manca solo la nostra volontà.
Alessio Pettarin

Un laboratorio “primaverile”, aspettando


Rimanere chiusi in casa per molto tempo non è facile per nessuno. Nemmeno per i nostri ragazzi, che, molto diligentemente e pazientemente aspettano il momento in cui si potrà di nuovo uscire, fare gite, vedere parenti e amici. Purtroppo, per ora, questo non si può fare. Allora bisogna creare occasioni di divertimento nella quotidianità, nei momenti di impegno e di svago. In questo senso, l’idea di Fabia Bevilacqua è giunta come “il cacio sui maccheroni…”. Infatti ha ideato un laboratorio di fiori in carta colorata ritagliata. Sono nate così bellissime creazioni, come i fiori che presentiamo nelle foto. Il lavoro è molto impegnativo. Si parte da un progetto iniziale (es. le orchidee). Si prosegue




analizzando le forme e i colori del “modello”, arrivando a ricavare i profili degli elementi che lo compongono, per poi disegnarli sul foglio, ritagliarli e assemblarli. I fogli vengono colorati a mano. Questa parte dell’opera è molto apprezzata. Infatti preparare i colori, vernici o tempere, cercare la giusta tonalità, stendere la tinta con il pennello, sono azioni che danno grande soddisfazione e anche serenità, a tutti coloro che vi si cimentano. Si tratta di un’opera complessa ma anche molto divertente e con bellissimi risultati.
È certamente un modo molto bello e simbolico per riprendere le attività e festeggiare la primavera, in attesa della Pasqua, che speriamo porti un vero periodo di rinascita.









Anche a Pasqua, purtroppo, come a Natale, la festa è stata rimandata. Inoltre, dopo quanto successo in Istituto, come ampiamente documentato nelle pagine successive, c'era la prospettiva di una giornata molto triste. Invece, grazie al miglioramento della situazione (il 29 marzo i tamponi molecolari hanno dato esito negativo per tutti, ospiti e operatori) è stato possibile ricevere il Lions Club di Gradisca - Cormons. L'incontro, naturalmente, si è svolto nel rispetto delle norme. Perciò il rappresentante del Lions, il segretario Gianfranco Lorenzut, è stato accolto da una piccola delegazione di ospiti e dalla rappresentante dell'Istituto Isabella Greco. Come ogni anno, ci hanno fatto visita a Natale e a Pasqua. In particolare, in questa seconda visita hanno porta-
to in dono le uova al cioccolato, dono sempre atteso dai nostri ospiti, ma quest'anno ancora di più. Grazie a questo gesto, la festività pasquale ha assunto un tono più allegro e, soprattutto, ha infuso quella dose di speranza che era un po' latitante negli ultimi tempi. Isabella Greco ha espresso un caldo ringraziamento per la visita e per la lunga e profonda amicizia che lega l'istituto al Lions Club. Questo sodalizio, infatti, è sempre attivo a Medea ed è vicino ai nostri ragazzi – è proprio il caso di dirlo! – nel bene e nel male. Perciò, come ha auspicato l’amico Gianfranco Lorenzut, speriamo di rivederci al più presto “in presenza”, in occasione di tutti quegli eventi che da quasi quarant'anni ci hanno visto e che continueranno a vederci in futuro, vicini.





Che Pasqua sarebbe, senza un… mega-uovo?

Ovvero: quando la sorpresa non è solo dentro l’uovo. ma è l’uovo stesso!
Infatti, con una graditissima sorpresa, il gruppo della parrocchia di S. Giovanni al Natisone ha voluto donare agli ospiti dell’Istituto Padri Trinitari un “ovetto” di ben 10 chili!



Il dono era accompagnato da una lettera del Gruppo di S. Giovanni, che riportiamo con piacere.
“Da diversi anni questo maxi uovo di Pasqua viene consegnato alle varie comunità che frequentiamo… Avremmo voluto aprirlo assieme a voi e scoprire quale sorpresa contiene, ma quest’anno non è possibile. Con affetto vi consegnamo questi 10 chili di cioccolata, non possiamo abbracciarci, ma vogliamo condividere virtualmente con voi un momento di dolcezza. Speriamo di vederci presto, alla festa, a cui anche voi avete partecipato, che ci auguriamo di poter rifare a S. Giovanni al Natisone”.

Il Gruppo di S. Giovanni al Natisone
L’uovo è stato aperto tra l’entusiasmo generale, come è facilmente intuibile. Ne è seguita una doverosa scorpacciata di deliziosa cioccolata fondente. Naturalmente, nonostante l’impegno profuso, una buona parte dell’uovo deve ancora essere gustata. Doriano si è preso l’onere di scoprire il regalo, come si vede nella foto. Non ci resta che ringraziare di cuore l’associazione di S. Giovanni al Natisone, ricambiando l’augurio di rivederci presto!



Ormai sappiamo tutti come il 2020 con l’avvento del coronavirus, abbia profondamente modificato le nostre vite e soprattutto le nostre relazioni, ma pochi sanno come questo periodo sia stato vissuto dai ragazzi con autismo e dalle loro famiglie. In questo breve articolo cercheremo di raccontarvi la nostra esperienza del lock-down all’interno del Centro Residenziale per ragazzi e adulti, riportando anche il lavoro fatto con le famiglie a casa. Sappiamo bene quanto il mantenimento di una routine costante e prevedibile, sia un requisito fondamentale per il conseguimento di una buona qualità di vita degli ospiti del Centro. Per questo motivo non possiamo negare che la comunicazione della notizia di un lockdown, abbia subito messo tutti noi operatori e le famiglie in una condizione di grande preoccupazione. L’interruzione delle attività esterne (piscina, ginnastica, sport, etc.), dei rientri in famiglia e delle visite in istituto ha subito fatto emergere una domanda tanto netta quanto ovvia: “come reagiranno i ragazzi a questa chiusura improvvisa?”. La risposta non era assolutamente scontata. Trovandoci noi stessi “addetti del settore” in una condizione nuova, insolita e perturbante abbiamo abbracciato l’unica soluzione possibile: accettare il nuovo,
l’imprevedibile e l’ignoto e contare sulla nostra professionalità per adattarci flessibilmente alle nuove richieste. Il primo grande lavoro è stato quello svolto da tutti gli operatori su sé stessi, lavorando su emozioni e vissuti sconosciuti, per offrire una presenza stabile e solida che potesse essere una base sicura per i ragazzi. Si è lavorato sull’affrontare insieme il cambiamento, cercare di comprenderlo e soprattutto di spiegarlo nel miglior modo possibile. Molti dei nostri Ospiti sono rimasti in Centro per diversi mesi e le scelte terapeutiche sono state diversificate in base alle esigenze e specificità di ognuno. Con alcuni si è incentivato l’aspetto emotivo-relazionale e con altri si sono utilizzate maggiormente strategie di coping e comportamentali. Il confronto costante tra le diverse figure professionali del nostro Centro (psicologi, educatori, OSS, fisioterapisti, infermieri etc.) ha permesso di rimodulare gli obiettivi educativi ed assistenziali ed adattarli al periodo di crisi. In particolare, il lavoro educativo, laddove possibile, ha lasciato grande spazio al dialogo e al confronto, incentivando la fruizione di informazioni chiare e sintetiche sulla situazione in corso e favorendo e supportando l’elaborazione dei vissuti emotivi e il contenimento affettivo. Utili a tal fine è stata
l’implementazione da parte degli operatori di nuove le attività ludico-educative ed espressive che hanno permesso il lavoro sulle emozioni anche con Ospiti con basso funzionamento cognitivo e/o non vocali. Lavorare sugli aspetti emotivi ed espressivi ha permesso inoltre di contenere e limitare le manifestazioni comportamentali, favorendo un clima di tranquillità e serenità di cui hanno beneficiato anche gli ospiti con funzionamento cognitivo più limitato. Sorprendentemente i nostri Ospiti hanno mostrato una capacità di adattamento veloce e flessibile, coadiuvati probabilmente dalla presenza di un contesto tranquillo e poco soggetto a cambiamenti, hanno saputo modularsi a queste nuova esperienza. Spesso tendiamo a sottovalutare i ragazzi con autismo a basso funzionamento ma, in questa insolita condizione, le loro capacità e potenzialità si sono rivelate decisive per il mantenimento di un clima sereno e familiare. Un'altra riflessione emersa da questa esperienza è stata quella relativa alla percezione del tempo, portando-

ci a supportare le teorie che propongono una differente percezione dello scorrere del tempo o una diversa scansione degli eventi. Per diversi ragazzi, a nostro avviso, la nuova routine ha assunto i toni di una sospensione del tempo, come se questo si fosse fermato o scorresse molto più lentamente e diversi mesi potessero diventare alcune settimane. Questo li ha aiutati a supportare e sopportare la distanza dai familiari ed è stato un feedback importante per le famiglie stesse.A tal proposito infatti, un carico emotivo importante è stato quello sostenuto proprio dalle famiglie, lontane da figli, fratelli e sorelle per un lunghissimo periodo. Sebbene infatti le risorse tecnologiche (foto, video, videochiamate etc.) siano state dei validissimi strumenti che hanno permesso di mantenere un collegamento costante tra i ragazzi e le loro famiglie, un contributo importante è stato quello di fornire alle famiglie degli spazi di confronto e supporto mediante colloqui psicologici telefonici. Sappiamo bene infatti, quanto il lavoro svolto con le famiglie sia un requisito fondamentale per la buona riuscita degli interventi educativi rivolti a ragazzi con autismo. La possibilità di fornire un aggiornamento sulla vita del Centro e un sostegno ai vissuti emotivi delle famiglie, permette infatti di creare un continuum tra il lavoro svolto in Istituto e quello svolto nelle rispettive case. Facile immaginare dunque come durante il lock-down il mantenimento un “ponte” tra la vita nel Centro e quella nelle famiglie sia stato uno strumento che ha permesso di alleggerire l’angoscia data della distanza forzata, di tollerare l’attesa di rivedersi e di affrontare un momento difficile mantenendo vivo il desiderio di riabbracciarsi presto.
Claudia Fratangeli Sara Manieri Psicologhe CRA

Per nessuno il lockdown è stato un periodo facile, soprattutto per i nostri ragazzi che si sono visti togliere la loro quotidianità, non potendo, fra le varie cose, più partecipare ad attività che si svolgono all’esterno. Molti dei nostri ragazzi ad esempio erano soliti recarsi presso strutture pubbliche quali piscine e palestre al fine di svolgere attività, condividendo spazi comuni con persone esterne alla struttura, All’avvio del lockdown, ciò non e stato più possibile e quindi ci siamo trovati a doverci reinventare e riorganizzare spazi e tempi per garantire quella tranquillità e normalità andati persi. A tal proposito, molti dei nostri ragazzi, sono stati coinvolti in attività atte a compensare quel tempo ora libero. Se per tutti è stato un periodo di isolamento, solitudine e difficile gestione del tempo, per noi è stata anche un’opportunità per metterci alla prova e fruttare quelle potenzialità che venivano a volte messe in secondo piano. Le giornate hanno quindi preso una nuova forma, dopo le sveglie, l’autonomia e la colazione, i ragazzi si riuniscono in salone e in base alle loro potenzialità, vengono coinvolti in attività che si possono svolgere all’interno della nostra struttura, che fortunatamente dispone di un ampio spazio


La parola “lockdown” definisce ormai una condizione di vita, che tutti abbiamo sperimentato. Vi raccontiamo come è andata nel nostro istituto
verde e grandi spazi interni che consentono lo svolgimento di diverse attività ludiche e sportive. Con l’arrivo delle belle giornate, i ragazzi, hanno trascorso il loro tempo in compagnia degli operatori in lunghe passeggiate nel parco, partite di calcio e di basket grazie ai campi che abbiamo a disposizione, giri in risciò e come ultima novità, assieme all’arrivo di un nuovo ospite molto giovane, è stata posizionata anche un’altalena che ha reso entusiasti tutti gli ospiti. Tra gli eventi che hanno contribuito a tenere vive le nostre giornate, ci sono stati gli ingressi di due nuovi ospiti che ci hanno visti coinvolti nella loro accoglienza, nel cercare di conoscere le loro personalità e abitudini, cercando di coniugare il loro modo di essere con quello degli altri ospiti che vivono qui da più tempo. I due nuovi ingressi sono due ragazzi, un ragazzo e una ragazza, di rispettivamente 11 e 17 anni, entrambi hanno un rapporto 1:1. La ragazza fin da subito si è ambientata e ha fatto suoi i tempi e spazi della struttura, trascorrendo la maggior parte del suo tempo passeggiando nel parco, colorando e facendo giri in risciò, imparando a condividere con gli altri ospiti abitudini e stili di vita. Il ragazzo invece è arrivato da qualche
settimana e sta prendendo confidenza con gli educatori, i ragazzi e gli spazi della struttura. Durante la sua permanenza giornaliera (è semiresidenziale) alterna attività in aula a passeggiate a giri in risciò. Per facilitare il suo ingresso, e per la gioia di tutti, è stata installata in giardino un’altalena, molto apprezzata. Il ragazzo, è più giovane degli altri ospiti, sarà compito di noi operatori calibrare le modalità di lavoro in base alle sue capacità ed esigenze, non sarà un compito semplice Ma sicuramente stimolante. Concludendo, ci auguriamo che tale periodo non porti con se solo negatività, ma che tutto ciò che ne è conseguito sia stata un’esperienza e diventi risorsa per una maggiore conoscenza e consapevolezza di quelle peculiarità insite in ogni ragazzo e che come tutte le esperienze non comuni, ci abbia permesso di vivere il tempo e le relazioni in modo nuovo. Pertanto sperando che non si sia solo trattato di un trauma ma di un processo di resilienza e di comprensione di se stessi, degli altri e della relazione tra noi.








La “terza ondata” è entrata in istituto





Nel momento in cui scriviamo, agli inizi di aprile, il sole è tornato a splendere e la primavera sta portando serenità e gioia. Questa immagine, che qualcuno giudicherà scontata e un po’ banale, in realtà quest’anno non lo è affatto. È invece un’immagine simbolica molto forte rispetto al periodo che si è appena concluso. Diciamo subito che questa è una storia a lieto fine, dove veramente “tutti vissero felici e contenti”.
Ma come è iniziata?
Il primo giorno “ufficiale” è stato martedì 23 febbraio, quando, a seguito dei normali controlli anticovid, un ospite del Centro Residenziale “Villa S. Maria della Pace” è risultato positivo. È scattato immediatamente il protocollo di emergenza covid: l’attivazione della zona covid interna all’istituto, l’isolamento del soggetto contagiato, le misure di distanziamento degli ospiti, in particolare quelli che erano in contatto con la persona contagiata.

mane, fino alla guarigione completa. Alcuni ospiti, invece, sono rimasti nella zona covid dell’istituto. Nessuno ha avuto sintomi gravi, anche grazie anche alla prima dose di vaccino, alla quale tutti erano stati sottoposti in precedenza.
Purtroppo, come sappiamo bene, questa terza ondata è caratterizzata da varianti del virus molto più contagiose e di rapida diffusione. Così, in pochi giorni, a seguito dei tamponi rapidi effettuati quotidianamente, sono emersi alcuni altri casi di contagio. Grazie alla stretta collaborazione con l’ASUGI (Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina) è stato possibile trasferire parte degli ospiti positivi nella residenza sanitaria assistenziale (RSA) di Cormons, che, come è noto, è stata riconvertita nel novembre scorso in struttura per l’accoglienza dei pazienti covid a media e bassa intensità. Qui i nostri ospiti hanno trascorso alcune setti-
Di questo lungo periodo sono rimasti molti ricordi in ognuno di loro, ricordi che certamente rimarranno a lungo nella memoria. In generale però, grazie alla straordinaria capacità che le persone cosiddette “disabili” hannocapacità che, con un termine ultimamente abusato, viene definita “resilienza” - hanno vissuto questo periodo con grande ottimismo. Questo traspare con evidenza nelle parole di alcuni di loro, che pubblichiamo più avanti. D’altro lato invece, chi è rimasto in istituto ha vissuto questo periodo in un’atmosfera sospesa e irreale, caratterizzata da un silenzio non usuale nei nostri corridoi. Gli operatori erano naturalmente dotati di DPI adeguati: camici, occhiali o visiera, maschere e guanti erano
obbligatori sempre. Gli ospiti dovevano mantenere un rigoroso distanziamento tra loro in ogni attività: lavarsi, mangiare, dormire. Tutto era svolto in modo da non creare occasioni di contatto o, peggio, di assembramento. Un periodo quindi, per tutti certamente difficile, ma vissuto con spirito positivo, dove ognuno ha “tirato fuori” le proprie energie migliori ed ha affrontato con pragmatismo e concretezza la battaglia che si era improvvisamente presentata. Per un anno, infatti, nonostante alcuni casi tra gli operatori, gli ospiti erano rimasti indenni dal contagio. Grazie alle misure preventive messe in atto, ai controlli serrati e tamponi periodici su tutti, l’istituto è rimasto sostanzialmente “covid free”. Poi, come spesso succede, il destino fa lo sgambetto agli umani propositi e programmi. Così, da un giorno all’altro, ci siamo trovati immersi in una realtà che si sperava di non dover affrontare. Questo ha comportato la riorganizzazione del lavoro. Gli operatori si sono divisi in tre gruppi: la zona covid dell’istituto, il supporto all’ASUGI di Cormons e chi operava con gli ospiti rimasti. Anche gli altri servizi hanno subito variazioni e adeguamenti. Tutti, come ricorda il Rettore Padre Rocco, nel silenzio del proprio lavoro quotidiano hanno organizzato DPI, pasti, logistica, sanificazioni, interventi tecnici, tamponi, orari, nei minimi dettagli per arginare il conta-

gio, proteggere personale e ospiti e garantire la vita quotidiana de centro. Tutti hanno affrontato questi cambiamenti con grande forza e determinazione, senza cedimenti, come dimostrano le testimonianze nelle pagine che seguono. Finalmente, dal 19 marzo, gli ospiti ricoverati a Cormons hanno cominciato, per usare una terminologia ormai entrata nel nostro linguaggio comune, a “negativizzarsi”. Così, un po’ alla spicciolata, sono iniziati i primi rientri. Nel contempo, tutti i tamponi effettuati a Medea risultavano negativi. All’inizio di aprile, per la precisione venerdì 2 aprile, dopo un mese, viene dichiarata la fine dell’emergenza. Così possiamo tornare all’inizio. Il sole splende e la primavera porta serenità e gioia. Ma con la consapevolezza che la pandemia continua e nessuno può ancora permettersi di abbassare la guardia. Però, chiarito questo, rimane in ognuno anche una sensazione nuova, piacevole, una luce diversa, una scintilla, come la pagliuzza d’oro che rimane nel setaccio del cercatore, quando toglie la sabbia e il fango. Cos’è? Vogliamo sempre dare un nome a tutto, ma in questo caso forse è meglio lasciare questa sensazione splendere in noi senza inquadrarla, senza limitarla con una definizione. È forse qualcosa che ha a che fare con la nostra essenza profonda, un processo più che una sostanza. È oro, ma come lo intendevano gli antichi alchimisti. Ciò che essi cercavano non era solo una sostanza materiale, era soprattutto una crescita spirituale; e la raggiungevano con un processo di trasformazione. Ecco, forse ciò che ci è rimasto, questa sensazione nuova, è legata a una trasformazione; è un seme che diventerà pian piano un fiore, se sapremo coltivarlo, se sapremo averne cura. E forse, infine, l’oro in noi è proprio questo: la consapevolezza che l’essenza della vita è avere cura della vita.
Alessio Pettarin





Quando i nostri ragazzi hanno iniziato a risultare positivi al coronavirus, non sono rimasta particolarmente sorpresa. Non che dovesse per forza succedere, ma in una situazione pandemica come quella che stiamo vivendo, si da quasi per scontato che si verrà prima o poi in contatto con questo virus che sta paralizzando il mondo, specialmente se si sta facendo un lavoro come il nostro. Io ho iniziato da pochi mesi questo percorso professionale, ben conscia di andare a lavorare con soggetti considerati fragili ed in un momento storico delicato dal punto di vista sanitario e sociale. È stato deciso quindi di trasferire i ragazzi in RSA (residenza sanitaria assistenziale) a Cormons, in un reparto di isolamento per tenere le loro condizioni meglio monitorate e per proteggere i ragazzi rimasti in struttura ancora negativi al virus. Non ho quindi esitato a dare la mia disponibilità a seguire i positivi in isolamento, sapendo che potevano essere disorientati e confusi e che avevano bisogno di visi familiari. Inizialmente ero preoccupata perché, effettivamente, c'era poco di familiare nel mio viso per alcuni di loro e pensavo di poter essere poco d'aiuto. Inoltre sapevo che i turni in reparto covid possono diventare fisicamente
spossanti per le condizioni in cui bisogna lavorare. Infatti, una volta effettuato il protocollo di vestizione (copriscarpe, calzari, cuffia, tuta, 3 paia di guanti, mascherina ffp3, visiera), soddisfare i propri bisogni primari risulta impossibile. Non ci era proibito uscire se ne avessimo avuto bisogno, ma l'iter di svestizione, sanificazione, doccia e rivestizione sarebbe risultato ancora più impegnativo. Nonostante ciò, è stata un'esperienza lavorativa e di vita non da poco. Mi sono ricreduta sui dubbi iniziali riguardo al portar conforto perché, che mi conoscessero o meno, ho capito che stavamo davvero dando loro conforto e benessere, semplicemente parlando della loro routine, delle persone loro care, di cosa avremo fatto una volta tornati a casa, raccontandoci la giornata e cercando di rendere loro le giornate normali meramente facendo loro la barba o eseguendo l'igiene orale. Alcuni dei ragazzi, abituati alla loro quotidianità, non hanno reagito bene al cambiamento ed è stato un po' più difficoltoso rassicurarli, ma alla fine, grazie anche alla collaborazione di alcuni colleghi dell'RSA, si sono adeguati pian piano alla nuova situazione. Altri invece, in maniera quasi inaspettata, sono stati pa-
zienti e tranquilli e hanno mantenuto perlopiù un umore buono.
La nostra presenza è stata fondamentale anche per consigliare e dare indicazioni ai vari operatori "autoctoni" riguardo i ragazzi, cosicché anche loro potessero rapportarsi ed operare al meglio. Personalmente posso dire di essere professionalmente soddisfatta per esse-


re stata in qualche modo utile e presente in questa breve "avventura" in quanto penso che solo affrontando situazioni sconosciute e magari spaventose, si possono conoscere cose nuove di sé degli altri e di ciò che ci circonda, cose che altrimenti nemmeno avremmo cercato.
Eleonora Contento

“Buonasera a tutti, è arrivata l’ora. Nei prossimi giorni si effettueranno i tamponi agli ospiti. Con il presente messaggio chiedo a ciascuno di voi di confermare o meno la vostra disponibilità durante l’eventuale gestione modulo covid (si spera chiaramente che non ce ne sia bisogno).”
Questo messaggio, mandato dal Rettore Padre Rocco, ha sancito l’istituzione del gruppo di sedici volontari per la zona covid dell’Istituto Padri Trinitari. Nel momento del bisogno, e se soprattutto una persona ha la possibilità, perché non aiutare?

Fino al 26 febbraio 2021 le cose sono sempre andate bene, ogni tampone è stato superato alla grande, non è mai servito mettersi in gioco realmente.
In quel pomeriggio però le cose sono cambiate. Dopo il primo caso di positività, sono stati effettuati ulteriori tamponi. Il numero di persone positive cresceva. È seguita la corsa frenetica per allestire la zona covid, l’inserimento e l’improvviso cambio nella gestione degli utenti. Oltre alla scarica di adrenalina, si è insinuata la paura. Ma cos’è la paura? Citando il filosofo Umberto Galimberti: “La paura è un’emo-

zione primaria di difesa, provocata da una situazione di pericolo che può essere reale, anticipata dalla previsione, evocata dal ricordo o prodotta dalla fantasia”. È subentrata poi la preoccupazione: saremo all’altezza?
Quello però non era il momento adatto per farsi prendere dall’emozione, bensì quello di fare quanto più si poteva per il benessere degli ospiti. Una volta indossati i vari DPI (dispositivi di protezione individuale), assieme agli altri volontari, siamo entrati in scena con tutti i nostri timori, ma soprattutto con tutta la nostra grinta, pronti a farci valere. Già dai primi giorni abbiamo cercato di creare una sorta di nostra routine, che comprendeva sia l’intrattenimento dei ragazzi, in maniera da dare loro quel sentore di minima normalità, ma anche la parte dell’igienizzazione degli ambienti.
L’impegno, la costanza ma soprattutto il sostegno da parte di tutti gli operatori coinvolti sono stati fondamentali, se non l’arma vincente per affrontare al meglio il periodo. Infatti, oltre al “turbamento mentale”, si sono manifestati anche dei disturbi fisici come ad esempio la
stanchezza, i dolori, la confusione. Eppure, dandoci manforte, non ci siamo arresi. Il primo periodo è stato un susseguirsi di sensazioni forti, in quanto non appena taluni si positivizzavano e successivamente si optava per trasferirli in RSA, ne arrivavano altri, e tutto ricominciava daccapo. Una volta accertate le positività, si andava subito ad isolare i casi, per poi portarli in zona covid in maniera tale da contrastare la propagazione del virus.
Nel vederci così coperti, quasi irriconoscibili, era inevitabile per gli utenti farsi qualche domanda, avere qualche timore: “Come mai sei vestito così?”, “Come mai sono qui?”, “Per quanto tempo dovrò stare qui?”. Sono solo alcune delle domande che ci hanno posto. Oltre a spiegare loro la situazione con l’aiuto fornito dall’équipe, il trucchetto, se così si può chiamare, che più ha funzionato è stato uno in particolare. Infatti, per evitare di farli sopraffare dagli eventi e all’emozione di paura abbiamo puntato tutto sull’immaginazione. Immaginare cosa avrebbero fatto una

volta fuori, chi avrebbero rivisto, e come si sarebbero sentiti una volta guariti e finalmente liberi. Abbiamo fantasticato situazione per situazione, evento per evento, momento per momento, abbiamo giocato con la realtà. Per esempio, immaginare di riabbracciare un caro e sentirne il calore, la stretta, il tatto sui vestiti, la gioia nel farlo. Piuttosto che pensare ai luoghi che avrebbero rivisto, alle attività che avrebbero ripreso a fare e principalmente pensare a tutti i compagni che li aspettavano in aula, trepidanti del loro ritorno. Rincuorandoli con questi pensieri si allentavano le tensioni, si sgomberava la mente e si procedeva a vele spiegate. Fino al giorno in cui finalmente è arrivato un altro messaggio di Padre Rocco, questa volta bellissimo e liberatorio, con il quale comunicava la fine dell’emergenza. Con questo scritto abbiamo voluto condividere la nostra esperienza, per infondere un po’ di speranza, in un periodo in cui sembra difficile trovarla. Speriamo di esserci riusciti.


Un anno di covid 19, un anno di screening tramite tamponi, un anno di mascherine sul viso, un anno di disinfettanti e igienizzanti. Un anno di esiti negativi per gli ospiti del centro. Fino al 26 febbraio: “Apriamo la zona covid”. Impauriti, ma organizzati e preparati, gli operatori volontari hanno accompagnato i primi ragazzi nel luogo che sarebbe diventato casa loro per i giorni successivi.
È stato un periodo inusuale sia per i ragazzi, sia per gli operatori. I ragazzi, preoccupati ma con la stessa vivacità e caratteristiche individuali che li contraddistinguono, si sono adattati alla nuova situazione molto velocemente, felici della accortezze che gli operatori hanno avuto nei loro confronti. Gli operatori, pieni di entusiasmo, forti emozioni, voglia di imparare cose nuove e di mettersi in gioco ma catapul-
tati in una situazione difficile da gestire per i numerosi dpi, i protocolli da seguire, sempre mantenendo però il sorriso è la forza per rendere questo nuovo ambiente il più sereno, stimolante e simile alla normalità possibile. Un periodo impegnativo dove si può capire il bene che si può fare per il prossimo. In questo turbinio di emozioni, quello che rimarrà di più nel nostro cuore è il senso di vicinanza provato anche in un momento di lontananza fisica: il supporto e lo sforzo di tutti i colleghi all’esterno del modulo covid, il lavoro giornaliero delle ragazze di lavanderia e cucina, di Alex e Francesco pronti a sanificare sempre gli ambienti, le chiamate quotidiane e il supporto del rettore Padre Rocco, la professionalità e presenza costante del reparto amministrativo e degli infermieri, tutti gli occhi sorridenti che hanno avuto un pensiero per noi operatori e ragazzi. Mantenere il più possibile le autonomie, il benessere, le abitudini, il buonumore e le routine dei ragazzi sono solo alcuni degli aspetti che
per noi sono stati fondamentali. All’interno del reparto la giornata iniziava con la solita doccia a cui i ragazzi sono abituati, poi una bella colazione seguita dalle attività personalizzate che proseguivano poi nel pomeriggio dopo il pranzo. Disegni, schede didattiche, una chiacchierata con gli operatori, immagini da colorare, radio, tv, pasta di sale, balletti, un saluto da dietro la finestra agli amici in giardino: i ragazzi si sono potuti intrattenere con quello che più li faceva stare a loro agio. Dopo la cena, qualche minuto di tv e arrivava il momento di salutare gli operatori notturni e andare a dormire.
Dopo circa un mese la notizia che i ragazzi sono negativi è stato un sollievo: siamo grati e questo periodo non lo dimenticheremo mai.
La gioia più grande è ora poter stare vicino ai nostri ragazzi riuniti tutti assieme.
Giulia Burini
Giuseppe Trovato
Stefania Masarotti
L’emergenza nelle parole degli ospiti del CRD


Vi offriamo ora le testimonianze dirette degli ospiti dell’istituto, sia coinvolti nel “contagio” che non. Ci sono tre testimonianze dall’RSA di Cormons, diventato centro covid; una dalla zona covid dell’istituto e una di chi è rimasto “a casa”. In quest’ultimo caso, da notare che l’autore è Maurizio Dal Bello. Egli è un grande sportivo (ricordiamo che è stato campione mondiale di maratona ed insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica); ed essendo la sua cosiddetta “aula” posta nell’ex palestra del centro, ha apprezzato moltissimo il fatto di restare “tutto il giorno in palestra, colazione, pranzo, cena”...il sogno di ogni sportivo!

L'esperienza nella zona covid del CRA ero nel CRA con la Stefania, Alessia, Giuseppe, Luca, Giulia, Alessio, Laila. Mi hanno assistito, misurato la temperatura. Guardavo la TV, ascoltavo la radio, il cd di Sanremo 2021. Mangiavo nella mensa, colazione, pranzo, merenda, cena. Andavo in terrazza ad ascoltare le campane di Medea, dormivo da solo tranquillo, salutavo i ragazzi del centro residenziale dall'alto. Con l'Alessia, con il computer, a guardare le campane e i campanari su internet. Mi lavavo ogni giorno. Poi sono rientrato con gli altri nel vecchio centro.
Mauro Cominotto
A Cormons, senza Radio Ottanta!
A Medea è venuta l'autoambulanza. Era di lunedì pomeriggio verso le 14.45. mi hanno portato in ospedale a Cormons. Quando sono entrato dentro in ospedale c'erano Livio, Patricja Marvin e Paola Pizzon. Poi mi hanno portato in camera, da solo. Dalla mattina alla sera in camera da solo e c'era pure la TV e ho guardato il film. E pure guardavo il telefilm Walker su Iris dalla mattina alla sera. Poi è arrivato Luca, per fortuna. Però mancava la Radio Ottanta! In ospedale le infermiere mi hanno fatto il tampone nella bocca anche nel naso alle 6.00 di mattina. E poi alla mattina mangiavo i biscotti con il tè e c'era pure il caffè. In ospedale sono stato dentro tutto il mese di marzo e un po' pure in aprile. C'era a mezzogiorno il pranzo; ho mangiato fusilli con la salsa. Però in ospedale ero stufo di stare, dentro in ospedale, perché c'era ancora il virus e non si poteva andare fuori perché c'era il virus.
Enzo Nicastro
Ho fatto la puntura
Sono andato a Cormons con l'ambulanza. Dopo mi ha chiamato mia mamma. Ho visto Colorado, sono andato a dormire con Antonello. vedevo le infermiere che facevano i letti e le pulizie. Ho fatto la visita, la puntura con la siringa e sono tornato a Medea con gli amici.
Claudio Macor
Grazie a tutti!
Io ero in ospedale a Cormons per tre settimane. Ero in camera 143 con Enzo, guardavamo la TV tutto il giorno. Non si poteva uscire dalla camera, perché c'era il virus. Ho rivisto Mario e conosciuto Arianna, Clarissa, Zazzà, Ruben, Giuseppe, Davide, Laura, Daniela, Agnese, Monia, Monica, Freddy, Livio e Marco. Ora io sto molto bene, noi ragazzi siamo tutti rientrati da Cormons, Dal covid 19 siamo tutti guariti e siamo tutti negativi. E siamo tutti contenti. Io ringrazio quelli che ci hanno aiutato per stare bene. Un grazie con tutto il cuore. Vi voglio bene.
Tutto il giorno in palestra
Il 5 marzo ho cominciato a mangiare in palestra, fino al primo aprile, sono stato 27 giorni in aula, colazione, pranzo, cena. Mi piace tanto mangiare nelle aule, colazione pranzo cena in palestra! Si pranza 12.30, si cena ore 7 di sera, si fa colazione verso 8.30 di mattino. Ho fatto bellissima esperienza.
Maurizio Dal Bello

Maurizio Dal Bello nella “sua” palestra


In questo periodo di chiusura della struttura per i casi di covid, i ragazzi hanno dovuto un po’ stravolgere le loro abitudini e routine. In poco tempo è stato necessario svuotare il modulo blu per creare la zona covid e trasferire i ragazzi in stanze diverse. Tutto questo è stato reso possibile anche grazie alla collaborazione di tutte le famiglie che hanno riportato i propri figli a casa, permettendo ai ragazzi del blu di traslocare nei moduli verde e arancione. “È stato molto brutto, volevo tanto uscire e stare con i miei familiari” - dice Andrea, quando gli abbiamo chiesto come ricordasse quei giorni“Mi mancava uscire in paese con gli operatori. Per fortuna non ho preso il covid, sono sano come un pesce”. Parole molto simili sono quelle di Matteo R: “è stato brutto, non potevo vedere mia mamma, ma sono contento perché ho potuto fare con lei delle telefonate lunghe il sabato!” Per fortuna i nostri ragazzi, nonostante i momenti di frustrazione e nervosismo, hanno saputo cogliere un po’ di lati positivi in un momento veramente difficile. In particolare il nostro Florian, l’unico del CRA che ha vissuto dentro e fuori dal modulo covid: “ è stato brutto rimanere nel modulo blu, mi mancava tanto la
Qui a lato, il celebre murales realizzato dall’artista Franco Rivolli, come ringraziamento a medici e infermieri, situato nell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo

mia camera, ma almeno ho potuto usare per la prima volta un computer portatile!” Abbiamo anche chiesto che ne pensavano dell’abbigliamento degli operatori della zona covid: “Sembrano dei grandi puffi bianchi” dice Florian “No, sembrano degli astronauti!” Controbatte Matteo R.; Mentre il nostro Matteo C.: “Sembrano degli operai delle centrali nucleari”. Sicuramente non sono mancati i momenti di nervosismo, sconforto e nostalgia ma per fortuna, grazie alla collaborazione di operatori e famiglie, siamo riusciti ad affrontare questa grande sfida.
Gli educatori del CRA


Ogni giorno, insieme a tutti gli ospiti del CRA, svolgiamo molte attività. Per iniziare, abbiamo scelto di raccontarvi la nostra attività di pittura, da cui abbiamo tratto una splendida tela e ognuno ha potuto dare libera espressione di sé stesso con il suo contributo. Inizialmente ci siamo concentrati sulla scelta del disegno da realizzare e abbiamo subito iniziato a creare lo sfondo del quadro utilizzando spugnette, pennelli e tantissimi colori per creare tutte le sfumature. In questo passaggio abbiamo allenato anche la pazienza, ci sono voluti ben 3 giorni per ottenere una base che ci soddisfacesse e tutte le stelle! Poi ci siamo affidati alle precise mani di ragazzi e operatori per realizzare il soggetto e infine lo abbiamo colorato con cura, ripassando tutti i bordi. Dopo tanto lavoro ci ha dato molta soddisfazione vedere il nostro quadro pronto e sapere che lì dentro c'è racchiuso il contributo di tutti.

Ci divertiamo molto anche a organizzare giochi di società e sfide a “Uno” e “Non t'arrabbiare”. Anche in questo caso, ognuno gioca a modo suo e dando il suo contributo: c'è chi tira i dadi, chi sposta le pedine e chi fa il tifo… a prescindere dal vincitore, per noi la cosa più bella e importante di questi momenti è lo stare insieme, coinvolgendo tutti e rispettando le potenzialità di ognuno!
Ilaria Manfredi

In questo periodo ho fatto molte attività, ma quella più bella è inventare storie, insieme agli educatori, di un personaggio da me inventato: una supereroina bambina di 5 anni che si chiama Kiara. Sto facendo con le sue storie più belle! Poi ho disegnato le bandiere di tutti gli stati del mondo. Alcune erano veramente difficili da ricopiare perché al centro avevano dei disegni con molti particolari. Una mia grande passione è il calcio: mi sono informato sugli Europei che inizieranno questo 11 giugno. Questo anno ci sono 2 nuove squadre: Finlandia e Macedonia. Non vedo l’ora che inizi anche perché la prima partita sarà Italia-Turchia all’Olimpico di Roma. Insieme ad una operatri-

ce ho classificato tutti i miei DVD Disney: ne ho ben 145! Ne guardo uno quasi ogni giorno insieme agli altri ragazzi. Un’altra mia passione sono i modellini: ho già realizzato il Big Ben e la torre Eiffel, ora sto facendo il Taj Mahal. Ogni giorno giochiamo a tanti giochi da tavolo: come ha “Non t’arrabbiare” e chi perde deve andare in giro con un cartello della squadra di calcio che odia. Oppure giochiamo a “Nomi, cose, città” e a “Uno”. Abbiamo fatto anche attività di traforo; con il legno abbiamo realizzato più di una ventina di incastri così tutti ci possono giocare. Si sta molto bene qui in CRA perché è una struttura molto moderna e facciamo molte attività!
Matteo Ricci

In questo periodo di lockdown abbiamo fatto tante attività. La mia preferita è stata l’attività degli origami: insieme a Stefania, un’operatrice, abbiamo realizzato un super Mario gigante piegando i cartoncini. Inoltre, con altri operatori, seguendo le istruzioni di un libro di origami ho fatto diverse forme e animali. Insieme a Matteo Ricci sto facendo l’album di figurine dei calciatori: lui di calcio sa tutto, così ad ogni figurina mi dice i segreti della squadra. Ogni periodo dell’anno facciamo tante decorazioni a tema: tutti contribuiscono, sia ragazzi che operatori. A Halloween abbiamo riempito il salone di zucche e ragni, a Natale renne da mettere sulle finestre. A carnevale, per abbelli-
re il salone per la festa abbiamo fatto tanti palloncini, coriandoli e tante maschere. Adesso che è primavera, le finestre sono piene di rami con fiori e uccellini. Mi piace anche colorare con la tempera! Oltre a tanti cartelloni abbiamo fatto un grande quadro usando la spugna per le sfumature. Con luca ci divertiamo a fare modellismo. È un’attività che richiede molta calma e io ce la faccio! L’ultimo che abbiamo è un mulino ad acqua. Per fortuna, dopo un periodo di pausa, hanno ripreso le attività di fisioterapia e di psicomotricità. A fisioterapia faccio ginnastica e a psicomotricità faccio attività di rilassamento e di costruzioni. Mi piace molto! Con l’arrivo della primavera, le belle giornate con il sole ci hanno permesso di goderci il nostro giardino. Giochiamo a calcio e pallavolo, facciamo le passeggiate o giri in risciò. Per ogni compleanno facciamo sempre delle belle feste. I giorni prima prepariamo un grande cartellone con la scritta “Buon compleanno” e gonfiamo tanti palloncini. Il giorno del mio compleanno abbiamo fatto una bella festa perché sono diventato maggiorenne. Le cuoche mi hanno regalato una squisita torta al budino di vaniglia e tutti mi hanno cantato “tanti auguri a te”. Sono proprio felice di stare qua in CRA a Medea. Florian Brussatto







Le donne del CRD si raccontano, tra storie di vita e ricordi




Ci sono cose, nella nostra vita, che sono importantissime, ma che, normalmente, vengono sottovalutate, date per scontate, o, peggio, considerate “secondarie”. Una di queste è sicuramente la scrittura. Reduci, come siamo, da esperienze scolastiche in genere poco esaltanti, scrivere è spesso visto come un atto pratico, quasi un fastidio. O, al contrario, un piacere, un hobby, uno sfogo. Scrivere, invece, è un’attività fondamentale, così importante da caratterizzare tutta la storia dell’umanità; anzi, l’umanità è tale proprio grazie alla scrittura. Fissare sulla carta (e torna anche qui, come già detto, anche l’importanza della carta) i propri pensieri, le idee e i ricordi ha anche un grande valore sociale e psicologico, riconosciuto dalla scienza. Interi settori di studio infatti, della psicologia, sociologia, antropologia sono dedicati al “metodo biografico”, al “metodo narrativo”, alle cosiddette “storie di vita”. In Italia, basti ricordare il lavoro di Duccio Demetrio. I titoli di alcune sue opere sono significativi: “Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé”; “Educare è narrare”. Ci so-
no due aspetti in questo metodo che hanno valore pedagogico: la ricostruzione del percorso di vita (con la stimolazione della memoria) e la narrazione di sé. Per queste ragioni, l’attività svolta dal gruppo 8 del CRD “Villa S. Maria della Pace”, chiamata “Ricordo un giorno”, è molto significativa. Grazie all’iniziativa delle operatrici Lara Nardin e Annamaria Zorat, le donne del gruppo, Claudia De Paolo, Luigina Palumbo, Arianna Montagnani, Beatrice Tortora, hanno iniziato a raccontarsi, a cercare nella memoria gli eventi della vita, a ricucire i fili dei ricordi e, infine, a trascrivere e fissare tutto sulla carta. Questa operazione, inizialmente faticosa, ha poi suscitato grande entusiasmo nelle partecipanti, le quali hanno colto e assaporato il piacere della parola. Piacere, bisogna ammettere, già ben noto ad alcune di loro, ma in forme un po’ diverse... Oggi perciò vogliamo presentarvi il lavoro da loro svolto. Abbiamo scelto una parte di esso, con quattro temi: l’arrivo a Medea, il Natale, una ricetta e “ricordo un giorno…” Buon viaggio... nel tempo.


Sono arrivata a Medea, tanti anni fa. Prima ero a S. Maria la Longa. Dopo mi ha portato qua Franco con il pulmino. Ho conosciuto tanta gente della cucina e lavoravo in cucina. In cucina lavavo i piatti, li sugavo [asciugavo ndr], e li mettevo via. Quando finivo le mie ore andavo a dormire, lavoravo tante ore. De domenica andavo a messa a piedi ed ero ben vestita e dopo de corsa in cucina e a preparar i tavoli. Qualche volta la nonna veniva a trovarme. A Medea ho trovato tante amiche e me trovo ancora bene.
Claudia
Nel 1998 sono venuta a Medea, sono arrivata con la mamma. C'era tanta gente in un'aula grande che ascoltava la musica. La mia prima assistente è stata la Patrizia Sverzut e poi la Claudia Panteni. Ho conosciuto la Claudia De Paolo, portava gli occhiali e cuciva. La Renata Cominotto disegnava e picchiava tutti e Tiziano Frizzi che urlava sempre. Antonello Terzini metteva a posto i piatti e io gli chiesto se è sposato. Ho fatto amicizia con Alex Roma che mi prestava la radio e io ascoltavo Radio Maria. Ogni tanto tornavo a casa e dopo tornavo a Medea a dormire. Adesso sono abituata a stare qua in appartamento.
Luigina
Sono arrivata a Medea il 4 ottobre 2004. Mi ha accompagnato mio fratello. Sono stata accolta dalla Patrizia Sverzut e mi ha accompagnato in appartamento. Ho conosciuto Luigina, Claudia, Renata e poi tutti i ragazzi. Sono stata circondata da tutti e tutti mi facevano domande. La Luigina mi è piaciuta subito però lei mi seguiva e io cercavo di nascondermi perché ero timida. Pian piano mi sono
abituata e qui a Medea mi sono sempre trovata bene, prima arrivavo il lunedì e tornavo dalla mamma il venerdì. Dal 2009 sono rimasta sempre qua. La cosa che mi è piaciuta subito e mi piace ancora è l’appartamento, perché è come essere a casa.
Arianna
Ricordo un giorno in cui sono venuta per la prima volta a Medea. Mi hanno portato qui la mamma, Andrea e Gabriele. Poi li ho salutati e loro sono andati via. Ho conosciuto la Renata, la Debora, la Luigina, l'Arianna, la Paola e la Claudia. Abbiamo cenato fuori in giardino la pizza e bevuto la coca cola e la Fanta. Ho conosciuto tantissimi educatori e tantissimi ragazzi, tutti sono stati gentili con me. A fine settembre ho fatto la mia prima volta lezione di mosaico e mi è piaciuto molto. È passato un anno e ancora mi piace molto fare mosaico, anche se devo ancora imparare molto.




Per Natale facevamo l'albero grande in cucina, io e la nonna insieme, con le palle rosse, verdi e blu e le luci di tutti i colori. Il giorno di Natale si andava a messa a piedi alle 10 in via Romana e poi si mangiava a casa a mezzogiorno solo io e la nonna, lei cucinava brodo, pasticcio, arrosto e patate. Il dolce era il panettone di quello buono e dopo anche spumante, mi dava la nonna Maria e poi per ultimo il cafetin. Dopo si andava a fare gli auguri a quelli che stavano vicino a noi. La nonna mi regalava il panettone quello grande e quando ero piccola Gesù Bambino mi portava i cioccolatini, mangiavo solo pochi al giorno. El marì de nona Maria iera el nono Luigi, iera murador. Un giorno la nona va per sveiarlo ma no 'l rispondeva, la nona diseva: “alzite che xè mezogiorno, te ga de 'ndar a lavorar”, ma el nono gaveva un mal, el iera morto e i lo gà sepelì. La nona me ga dito de pregar in silenzio senza rider. Iero picola, gavevo 5 anni.
Claudia
La vigilia di Natale si faceva l'albero vicino alla macchina da cucire, aveva le lucine e le palline rosse e blu. La mattina andavo a fare la spesa con la mamma, mio fratello e il papà alla Supercoop a Monfalcone, adesso l'hanno chiuso; andavamo in macchina e guidava mio fratello, si andava a prendere la carne, il vitello arrotolato per farlo arrosto. Mia mamma faceva l'addobbo da mettere sulla porta di fuori della veranda, io facevo con l'agrifoglio e mettevo qualche fiocchetto. Andavamo a messa a mezzanotte anni fa ma poi faceva troppo freddo e andavamo la mattina di Natale alle 10.30. La vigilia si mangiava la carne, la verdura cotta poi si guardava la televisione e si andava a dormire presto. Il giorno di Natale, appena morto il papà di mia cognata ospitavamo la mamma di mia cognata ed eravamo in 7 e mi ricordo che le ho detto alla Carmela, Maria Carmela si chiamava perché era nata nella provincia di Napoli, che mi volevo spostare per non darle fastidio e lei mi ha risposto: “dove vuoi andare, in giardino?” e ci siamo messi a ridere. Mia mamma cucinava per tutti, era brava, faceva il brodo con i tortellini, carne arrosta, verdura, patate e il dolce. Era brava a tagliare l'ananas a fette e lo metteva in un piatto grande e tutti lo prendevano e per dolce c'era il panettone con l'uvetta. Appena morto mio papà andavamo a messa la mattina di Natale e dopo andavamo a pranzo da mio fratello e aprivamo i regali, c'erano regali per tutti. Da quando è morta mia mamma, mio fratello viene a prendermi qui a Medea e mi porta in giro per i negozi la vigilia di Natale per fare le ultime spese e dopo pranziamo e ceniamo da lui e dopo cena mi portava a casa mia a dormire e c'erano la signora Bruna e Igor, suo marito e dormivo tutta la notte. Il giorno di Natale mi alzavo e mi vestivo, poi veniva mio fratello e mi portava a messa e dopo prima di andare a
pranzo andavamo a fare gli auguri ai nostri zii e poi andavamo a pranzo da mio fratello.
Arianna
Quando la Luigina era piccola la mamma cucinava la polenta di patate. Polenta battuta con la pentola. Per batterla aveva la stufa a legna e la nonna si scaldava i piedi sulla stufa. Era inverno e freddo e abbiamo abitato in via dei Cordaioli 33. la mamma ha fatto nascere tre figlie e un figlio. Abbiamo sempre fatto l'albero di Natale nel salotto grande e mio fratello, quando era piccolo gli portava macchinine e un aeroplano, a noi portava bambole con la carrozzina


Prima si preparava il ragù con la carne macinata sale pepe e sugo. Per pasta usava le omelette fatte con l'uovo la farina, il sale e il latte. Poi faceva la besciamella fatta con farina, latte e sale. Poi si metteva uno strato alla volta tutto e alla fine il formaggio grattugiato. E dopo si mette in forno, quando è cotto si toglie, si taglia e si mangia. Mi piace ancora tanto il pasticcio.
Claudia

ILuigina
strudel di mele
Tagliavo le mele a pezzettini poi preparavo la pasta con l'uovo, la farina, lo zucchero, il latte, il lievito e la buccia grattata del limone. Formavamo una palla e poi la stendevo con il mattarello. Sulla pasta mettevo le mele, l'uvetta, i pinoli, la cioccolata e biscotti tritati. Poi arrotolavo, lo spennellavo con il latte e infornavo. Dal forno usciva un buon profumo e a me veniva l'acquolina in bocca. A me piacciono tanto i dolci.
Luigina
Arrosto
l giorno di Natale erano arrivati i miei genitori a prendermi e sono stata a casa della mamma e ho mangiato antipasti, il primo, il secondo e il dolce. Poi ero stanca e sono andata a dormire; dopo ho aperto i regali e siamo andati a casa dei genitori di Andrea. Poi sono tornati a casa e sono tornata a Medea.
Beatrice
Al sabato compravamo la carne e mia mamma la cucinava con lo spago arrotolato e la domenica era pronta e cucinata. La cucinava con l'aglio e il rosmarino in una casseruola bella grande e di acciaio con i manici poi aggiungeva sale e pepe e lasciava la pentola chiusa sul fornello per un'ora. La domenica prendeva l'arrosto, toglieva lo spago e lo tagliava a fette. Le fette le metteva in un piatto e aggiungeva le patate al forno. Questo piatto piaceva a tutta la famiglia.
Arianna
Tramezzino prosciutto e funghi prima ho preso il pane bianco, il prosciutto cotto, i funghi e la maionese. Ho tagliato il pane in due fette uguali, poi ho spalmato tanta maionese. Sulla prima fetta ho messo il prosciutto cotto, sulla seconda fetta i funghi. Ho messo una fetta sopra l'altra e ho mangiato tutto. Era buonissimo.
Beatrice


Avevo 15 anni ero ancora piccola sono andata a ballare al dopolavoro Invece di andare a far la spesa per la nonna. Mi hanno offerto il caffè la Meneghin e dopo ho ballato. C'era l'orchestra che suonava. La nonna Maria è uscita a cercarmi da tutte le parti e quando mi ha trovato a ballare me le ha date così tante che mi è venuto il culo rosso e mi ha detto: “fila subito a casa e non t i muovi più”. Per una settimana non sono riuscita a sedermi. Mi sono pentita e ho chiesto scusa alla nonna. Però la nonna mi ha dato il caffè lo stesso.
Claudia
Quando ero piccola non andavo in asilo, andavano solo le mie sorelle e mio fratello Giuseppe che lo chiamavano Pinuccio. Mentre ero a casa con la mamma giocavo con le bambole e poi tiravo i pupazzi a terra. Un giorno la mamma mi ha comprato la bambola in porcellana però me la chiudeva dentro l'armadio con la chiave. Un giorno giocavo con la bambola di plastica però non mi piaceva perché si staccavano le braccia allora la mamma mi ha dato la bambola di porcellana. Mentre giocavo la facevo saltare su e giù finché è caduta per terra e si è rotta. Il papà si è arrabbiato molto e mi ha menato e io ho pianto molto.
Luigina
Quando ero piccola mi piaceva andare in asilo per giocare con le altre bambine e perché mi piaceva la maestra che si chiamava Mariuccia. Andavo in asilo in cantiere e c'erano tanti bambini e bambine. Tutti assieme giocavamo, cantavamo e disegnavamo. A Natale facevamo la recita e venivano a vedermi il mio papà, la mia mamma e mio fratello. Poi sono cresciuta e sono andata alle elementari dove ho imparato a scrivere e leggere. Ero molto brava a scuola e la mia materia preferita era la geografia, così ho imparato tante cose sulle regioni, italiane. Mandavano a chiamare mia madre e le dicevano che io non ero un essere umano ma bensì un computer perché io ricordavo tutto. Ho finito la scuola con la prima media.
Arianna
Io e mio fratello abbiamo giocato a Star Wars con le spade laser e io ero Jedi, un signore dei Sith. Io e mio fratello abbiamo unito le spade per un impero della galassia e poi le abbiamo puntate verso la grande




A pochi mesi di distanza, anche se in anni diversi, due nostri ospiti hanno compiuto gli anni, per la precisione 60. si tratta di Antonello Terzini, nato il 7 novembre 1960, ed Enzo Nicastro, nato il 3 febbraio 1961. Sarebbe meglio dire, però, che hanno raggiunto un traguardo importante nella loro vita. Come definire infatti un numero così, si potrebbe dire, “di peso”? Ammettiamolo: non è un traguardo che si vive con leggerezza. È una tappa quasi temuta, segna simbolicamente un passaggio ad un’età diversa. Un tempo (lontano) questo sarebbe stato l’inizio dell’età definita “anziana”. Oggi per fortuna non è più così. I sessantenni si potrebbero definire, senza ironia, “diversamente giovani”. La gran parte delle persone, infatti, sono estre-


mamente attive (anche perché molti ancora lavorano!) e piene di energia. Detto (e chiarito) ciò, possiamo affermare che questo si addice perfettamente ai nostri due festeggiati. Diversamente giovani, si diceva; e difatti loro non sentono minimamente l’età, sentendosi ancora in forma, energici e, fortunatamente, in salute. Hanno inoltre entrambi quella serenità di spirito e tranquillità interiore, che si raggiungono a quest’età, grazie alle quali hanno realmente “festeggiato” con molta allegria ed emozione il fatidico giorno. Entrambi hanno accolto la festa a sorpresa preparata per loro con entusiasmo e anche con momenti di commozione. Lasciamo quindi parlare le immagini, augurando loro il classico cento di questi giorni!
















Buongiorno dal vostro MeteoMario, come state? Spero abbastanza bene. Come è stato il 2020? Molto brutto e disastroso, anche per l'economia. C'è una crisi mondiale per colpa di questo cattivo virus che si chiama “coronavirus covid 19”, viene dalla Cina e si è diffuso in tutto il mondo, come sapete bene. Ha fatto grossi danni all'economia di tutto il mondo, tanti negozi chiusi, alberghi, ristoranti, piscine, palestre, impianti sciistici ecc. per fortuna oggi abbiamo il vaccino e speriamo che, grazie a questo, usciremo fuori da questa situazione che è molto grave. Noi all'Istituto di Medea abbiamo fatto sempre il tampone e il vaccino contro il virus. Io però, come tutti, sono un anno che non vado più in giro per colpa di questo virus maledetto e la nostra vita è cambiata. So che sarà dura ma dobbiamo farcela, andare sempre avanti. Poi vorrei ricordare un amico, Paolo, che ci ha lasciati nel 2020. Io sono preoccupato per questo virus che speriamo che vada via entro il 2021. Parliamo del meteo. Come è stato il 2020? Il più caldo da 30 anni. Il bollettino dell'ARPA FVG descrive il 2020 come “un anno caldo con piogge eccezionali a

dicembre”. Avrete osservato che adesso, che le giornate sono più lunghe, fa più freddo. Quando, invece, le giornate erano più corte faceva più caldo! In febbraio 2021, infatti, in particolare verso la fine del mese, si sono registrate in Friuli Venezia Giulia temperature massime già primaverili, intorno ai 25 gradi in pianura! I 25,6° registrati a Gradisca d'Isonzo sono probabilmente il valore più alto in pianura dal 1930 almeno. Questa cosa non è normale, ma il “trend” già da anni è così. Le stagioni sembrano impazzite, con cambiamenti bruschi e inversioni termiche. Volete sapere come sarà l'estate del 2021? Sarà molto calda e siccitosa, ve ne parleremo ogni mese. Le previsioni sono valide sempre 3 - 5 giorni, sempre con la luna vanno fatte, è molto importante. Dopo sempre i notiziari del meteo di ogni giorno io li metto nella bacheca appesi.
Gli orari del MeteoMario sono sempre quelli.
Da lunedì a giovedì
dalle 9.30 alle 12.00 dalle 15.00 alle 18.00
venerdì riposo sabato e domenica
dalle 10.00 alle 12.00 dalle 15.00 alle 18.00


L’artista non descrive la realtà, la vive e la esprime con la sua opera. Così, questa volta abbiamo scelto due foto di Fabio Gerussi, due immagini fortemente evocative del periodo che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo. Esprimono la solitudine e l’angoscia, l’innaturale silenzio che ha caratterizzato la vita in certi giorni che non si possono dimenticare. Si dice che stiamo combattendo una guerra. In questo senso, la seconda immagine ci riporta a una celeberrima poesia di Giuseppe Ungaretti, “Soldati”: Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie.





Ciao Paolo. L’ultimo saluto a una persona cara viene spesso formulato in questo modo. Potrebbe sembrare banale, un po’ scontato. Ma per Paolo non è così. Perché questo è il suo saluto. Lo sentivamo risuonare nel corridoio dell’Istituto, forte e gioioso: “ciao”, accompagnato dal nome di chi salutava.
Ciao Alessio! E mi porgeva la mano con fare allegro. “Come va, Paolo?” E lui: “Tutto bene!” Era sempre bello salutare Paolo. Ti

accoglieva a modo suo, ti trasmetteva l’allegria e l’energia che aveva dentro. Quando lo conoscevi meglio, ti rendevi conto che, a dispetto delle sue difficoltà, aveva energie inaspettate e una forza d’animo invidiabile. Amava cantare ed era sempre presente nei momenti di festa. Sempre in prima linea! E anche quando lo vedevi più stanco, anche in certi giorni “no”, aveva un guizzo, un attimo di felicità negli occhi quando ti rivolgeva il suo inconfondibile, sonoro saluto. Paolo è stato tra i primi che ho conosciuto, arrivando a Medea, molti anni fa. È stato tra i primi a cui mi sono avvicinato. Mi ha dato il benvenuto. Lui lo sapeva e non l’ha mai dimenticato. Nemmeno io l’ho dimenticato. Nessuno ti dimenticherà. Quindi, a nome di tutti, ciao Paolo, adesso vola leggero. Tutto bene!
Alessio Pettarin








Cara Antonietta,
Tra le tante persone meravigliose che il nostro lavoro ci permette di conoscere, tu hai un posto speciale. Perché hai sempre sfidato le difficoltà della tua vita con un’arma bellissima, l’ironia. Non avevi bisogno di tante parole. Il tuo dono è quello dei grandi comici: uno sguardo, una parola e tutto intorno a te diventava allegro, tutto rideva. Il tuo attrezzo preferito era la vanga: la tua “buca vanga” ci ha tenuti sempre attivi e ha riempito i nostri giorni con te di risate. E i tuoi occhi vivaci inneggiavano alla vita, con la forza di chi ha il coraggio di scherzare sul proprio dolore. Non era previsto, come non lo è mai per chi ci dona allegria, che te ne andassi. Ci siamo illusi che il tuo carattere coriaceo avrebbe vinto. Che avresti ancora riso di noi, che ti avremmo sentito a lungo ancora cantare. Invece sei andata via, come fanno i grandi, senza clamore, in silenzio. Ci hai sorpreso ancora, come sempre.

Ma tanto lo sai che la tua voce risuonerà ancora tra questi corridoi, lo sai che ancora sarai con noi.
Chi dona allegria non se ne va mai.
Ciao Anto!
Le tue operatrici e tutti gli operatori


Quest’anno si celebrano i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri.
Il celeberrimo verso finale dell’inferno è più che mai attuale oggi.
Vogliamo concludere proprio con questo verso, che è un augurio per tutti.
L’illustrazione è degli ospiti del Centro Residenziale “Villa S. Maria della Pace”, realizzata qualche anno fa, ma ci è sembrato bello rivederla e riproporla in questa occasione.