Post Scripta - Le cose che ho scritto dopo che ho smesso di scrivere

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marco vimercati

POST SCRIPTA le cose che ho scritto dopo che ho smesso di scrivere

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POST SCRIPTA testi e metatesti di Marco Vimercati fotografie di Daniela De Gol Pubblicazione privata fuori commercio distribuzione gratuita Tiratura: 50 copie impaginazione di Klaus Koriza stampato da Mircroart nel maggio 2017

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INDICE UNA BREVE PREMESSA 5

narrazioni varie: L’EVASO 11 ALTRE DISTANZE 17 LE ULTIME COSE 47 UN LAVORO SEMPLICE 77 ARIA, VITUPERIO DELL’UOMO RETRATTILE 127

quasi poesie, filastrocche e altro: RELICTARIUM 143 RIME 164 VERSI IN TORTONESE 169 CATALEXICO 193

testi da rappresentare: LA TORTA 215 BIOGRAFIA DI CARNEADE 237

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UNA BREVE PREMESSA

Anche se non sono un vero professionista della scrittura, mi comporto come se lo fossi. Mi concedo cioè libertà di ogni sorta, nella convinzione che le mie conoscenze di morfologia, di grammatica, di sintassi e di semantica rendano plausibile ogni cosa. Per giustificare questa mia prosopopea devo almeno accennare delle effettive esperienze di scrittura che ho maturato. Come si vedrà, tra le cose che ho pubblicato o diffuso, a parte una raccolta di racconti dal titolo Un altro destino, non c’è niente di letterario in senso stretto, ma posso dire che le mie velleità letterarie sono emerse quasi contemporaneamente all’apprendimento della scrittura. Cosicchè ho da parte centinaia di poesie, i racconti, qualche novella di carattere giallo o fantascientifico, un romanzo dal titolo Fuga dal mondo (che ho stampato in digitale in poche copie per gli amici nel 2002), ai quali bisogna aggiungere un poema comico e tre romanzi, scritti a più mani con altri che, come me, si dilettano di scrittura. Al di fuori dell’ambito letterario ho effettivamente pubblicato alcuni libri: tre saggi, riguardanti vari aspetti della comunicazione ed altri due libri che parlano prevalentemente di immagini. Ho scritto anche testi critici per alcune mostre e molti articoli su diversi giornali specialistici e qualche volta anche non specialistici, quasi sempre su argomenti riguardanti la percezione visiva, la comunicazione o i media. Per molti anni sono stato autore di una trasmissione radiofonica e poi bisogna aggiungere che la mia professione di pubblicitario mi ha portato centinaia di volte nel ruolo di copywriter, costretto a riempire pagine di brochure con testi su valvole in materiale termoplastico, su località turistiche, su vernici ecologiche, su impianti di disidratazione dei fanghi e molte altre cose, compresi i partiti politici e le casse da morto. Non ho mai avuto problemi a riempire pagine di testo a comando, su qualsiasi argomento; posso quindi dire che uso la materia del linguaggio da parecchio tempo, e questo fa di me un esperto. Non necessariamente un buon esperto, solo un esperto. 5


Quando mi avventuro in direzioni letterarie, cioè quando scrivo libero da doveri e obiettivi pratici e concreti (e grazie al cielo anche da obblighi contrattuali con editori), questo avventurarsi è per me una cosa molto piacevole e liberatoria. Come scrittore, riesco a fare ciò che non riesco a fare come pittore, e cioè lasciarmi portare dalla sostanza che sto usando per essere condotto dove devo essere condotto, quasi indipendentemente dalla mia volontà. E’ una caratteristica che ho sempre invidiato ad altra gente che dipinge, ma questa paura lacunosa per me si riscatta nella scrittura. E se non sono mai - o quasi mai - riuscito ad essere informale nella pratica delle arti visive, questa prospettiva mi riesce più percorribile nello scrivere. Non c’è soltanto un piacere, dietro questi esperimenti; c’è anche la convinzione che oggi sia necessario chiedere ancora una volta al linguaggio qualcosa in più della sua celebre capacità rappresentativa. Visto e dimostrato che il linguaggio genera mondi (io la penso addirittura come Heidegger, sostenendo che fabbrichi la realtà), è anche legittimo pensare che disgregando il linguaggio si possa di riflesso ottenere qualche piccola disgregazione del mondo. Disgraziatamente questa ricerca e questa velleità di cercare di andare oltre il testo raccoglie pochi o pochissimi consensi in termini di gradimento dei lettori. Posso senz’altro dire che tra i miei pochi lettori - parenti e amici - il testo che ha suscitato più consensi è la raccolta di racconti Un altro destino che contiene testi di tipo più convenzionale, con una narrazione lineare, che spesso ha un capo e una coda; tutte cose che rassicurano e gratificano i lettori; se poi si riesce a piazzare nel testo qualche struggente ricordo, qualche anelito di libertà o di ribellione, qualche redenzione o ravvedimento, ecco che subito il gradimento si incrementa. Quando posso però cerco di non blandire il mio lettore, di proporgli al contrario qualche sfida, di provocarlo e incitarlo a cimentarsi con una lettura che intende costruire degli scenari un po’ meno noti e dei luoghi un po’ meno comuni. Cerco inoltre di sottoporre ciò che ho scritto alla rilettura da parte di un “occhio freddo”, come voleva Beckett, che è certamente uno degli scrittori che io prediligo, e i cui Textes pour rien sono per me un ineguagliabile modello di scrittura perfetta. Questo piacere di lavorare non tanto col testo, ma sul testo, aveva già trovato ampio spazio nel mio romanzo Fuga dal mondo: il monologo di un eremita il cui linguaggio va desemantizzandosi man mano che il racconto procede verso la fine. Quando poi ho mandato via mail ad alcuni amici il testo Catalexico che è contenuto in questa raccolta, l’avevo fatto precedere addirittura da un preambolo di scuse per la fatica che avrei richiesto. Quel breve testo 6


di scuse sottolineava anche la precarietà dell’esperimento letterario, che ribadisco: per quanto infatti attiene a testi come Catalexico e Aria vituperio dell’uomo retrattile sono perfettamente conscio che si possa affermare che son messe già dette; che tra dadaismo, futurismo, beat generation, surrealismo e avanguardie varie questo tipo di esperimenti sia già stato fatto. Non importa: la questione è che oggi per me è significativo fare operazioni nel linguaggio anziché pascersi di un uso convenzionale del linguaggio come fanno molti contemporanei che riscuotono tanto consenso. Inoltre la scaturigine di questi miei esperimenti è più nella Piccola cosmogonia portatile di Queneau o nei Four Quartets di Eliot o addirittura nel secondo coro dell’Adelchi di Manzoni più che nelle ginsbergerie o marinetterie, pur con tutto il rispetto che porto per la beat generation e per il futurismo e nella piena consapevolezza d’aver ricevuto da entrambi notevoli impulsi al mio scrivere. Ma qui si tratta di un’operazione più tecnica, un’operazione che porta i segni del tempo trascorso proprio dal dinamismo futurista e anche dagli anni liberatori della rivoluzione studentesca agli anni bui che stiamo vivendo, in cui tutte le variazioni, le deformazioni e le rotture degli schemi non hanno più la caratteristica di un dirompente florilegio che divora le vecchie strutture, ma quella di un virus che sta attuando una mutazione incontrollabile della quale non siamo più autori ma vittime.Tutto ha l’aspetto di una disgrazia, e di fronte a questa fine del mondo che stiamo vivendo ho logicamente pensato che non avrei più scritto niente, dal momento che ogni nuovo testo è soltanto ormai una replica agonizzante di brandelli d’altri testi già scritti, in un gioco infinito di permutazioni e di variazioni. Provando proprio a rendere iperbolica questa direzione ho realizzato alcuni passi che mi sembrano più interessanti di quelli che avrei potuto scrivere sugli stessi argomenti usando le coordinate convenzionali. Di fronte a questi testi, come ad esempio Catalexico, generalmente, si tende a cercare di capire il tipo di operazione e di sorvolare sulla vera lettura. Bisogna invece provare ad ascoltare il testo e leggerlo, anziché lasciarsi leggere dal testo, e poi ascoltare cosa resta dopo il frastuono del testo. Sono enunciati che parlano del limite che stiamo raggiungendo. Quando penso alla prossimità di questo limite e all’insipienza della nostra razza che lo ha determinato e provocato, mi coglie ormai una specie di nauseata stanchezza, ed anche una certa rassegnazione. Ho tentato di spiegarlo nel testo intitolato Le ultime cose. Di fronte a questo limite, che ha molti aspetti, ma che è uno solo, unico e gigantesco, mi ha preso una specie di risoluta determinazione a non scrivere più niente di impegnativo, a meno che i miei testi non fossero in grado di dire a me, prima che agli altri, qualcosa di nuovo, sia 7


quando questo qualcosa di nuovo emerge con la percezione profonda di questo limite, come avviene per esempio in deadline, sia quando emerge grazie ad un caotico ed apparentemente inorganico affastellarsi di memorie. In questo caso, il potere evocativo del testo scaturisce proprio da questo mixaggio di tracce che vengono a giustapporsi in modi inaspettati, realizzando sinapsi e collegamenti così imprevedibili da essere molto infrequenti negli sviluppi testuali di tipo più logico. In questa raccolta ci sono anche testi più agevolmente leggibili, in particolare, credo, Altre distanze e Le ultime cose. Sono prose alle quali ho cercato di attribuire una buona forma ma soprattutto un certo ritmo, capace di assecondare il respiro del lettore. E’ una cosa che ho riscontrato in particolare in Sándor Márai, un altro scrittore che ammiro particolarmente. Direi che Catalexico e Le ultime cose sono anche i testi che consegno agli altri come una specie di testamento, nella consapevolezza che oltre al limite collettivo che stiamo raggiungendo vedo avvicinarsi anche il mio limite personale, e in Le ultime cose ho cercato brevemente di spiegare il mio disappunto per essere costretto a lasciare il mondo con una idea ben peggiore di quella che ne avevo i primi tempi in cui vi sono entrato. Catalexico invece è la migliore rappresentazione che sono riuscito a dare della realtà attuale ed è un testo abbastanza disarticolato, un po’ come anche Aria, vituperio dell’uomo retrattile, due composizioni che non si curano molto della sintassi e che si avvalgono di una semantica non convenzionale, una specie di metasemantica dove la significazione emerge al di là (o al di qua) del significato. In ogni caso, per fare ammenda a questi testi così destrutturati, ho alla fine deciso di inserire in questa miscellanea anche dei versi, che non ho il coraggio di chiamare poetici poiché per la vera poesia ho un grande rispetto e credo che sia appannaggio di pochissimi scrittori dotati di una elevata sensibilità e di un linguaggio capace di assecondarla, e io non mi annovero tra quelli. Ho voluto riportare questi scritti (quelli della sezione “quasi poesie”) ai quali sono emotivamente legato, come se fossero fotografie di un album famigliare, ma la cui esposizione pubblica mi provoca perfino un po’ di vergogna perché riguardano una intimità che potrebbe non essere molto comprensibile, come in Relictarium, o che riguardano la nostalgia e il rimpianto personale di anni più felici di quelli correnti, come nelle Poesie in tortonese. Ho scelto il dialetto tortonese perché per me è la lingua dei ricordi e degli anni giovanili e mi sembrava adatta a descrivere i temi relativi a quel periodo. In questi casi, l’occhio freddo richiesto da Beckett è rimasto chiuso. Se avessi sottoposto anche questi testi alla revisione cinica e sarcastica del mio maestro irlandese non li avrei pubblicati. E forse avrei fatto bene, perchè 8


rileggendoli in particolari stati d’animo mi sembrano patetici e velleitari: è una sensazione che provo spesso leggendo poesie o presunte poesie anche d’altri, dove la presunzione che un’esternazione compiaciuta di un’emozione riassunta in brevi parole e brevi righe sia sufficiente a fabbricare poesie, mentre penso che la poesia sia la forma più complessa di letteratura, dove la singolarità dei pensieri e dei moti d’animo deve essere sostenuta da un lessico oltremodo accurato, da un’impalcatura ritmica impeccabile e poi anche da una particolare e calibrata distanza da parte di chi scrive nei confronti di tutte queste cose. Ho anche inserito nel libro alcuni testi leggeri e perfino buffi, comici, o sarcastici. Mi rendo conto che in questo modo il tutto risulti molto poco organico e poco congruente. Di certo a qualcuno dispiaceranno questi salti di palo in frasca, queste alternanze tra sperimentazione e gusto retorico, tra introspezione e presa in giro, così come potrebbe apparire incongruente il fatto che gli stessi testi siano ripetuti in forma un po’ diversa in più parti di questi scritti, e alcuni versi ricompaiano nelle commedie oppure alcune prose siano poi riproposte in forma di versi. D’altra parte credo invece che queste contrapposizioni e queste differenti declinazioni rappresentino abbastanza bene le mie oscillazioni tra l’entronautica e l’ironia, la mia commistione tra disperazione e leggerezza, che talvolta diventa paradossale. Chi mi conosce, sa bene che trascorro spesso periodi tristi, con tendenza alla depressione, ma che in altri momenti mi assale la voglia di scherzare e di non prendere niente sul serio. Oggi queste oscillazioni vengono chiamate ciclotimia, o anche, più gravemente, sindrome bipolare: un malessere che molti sostengono possa sfociare nella psicosi maniaco-depressiva. Io credo invece che il disappunto, la tristezza e perfino la disperazione non siano patologie, ma che abbiano invece una loro ragion d’essere, specie nel mondo contemporaneo. Credo inoltre che queste variazioni di umore siano semplici alternanze di perturbazioni e bel tempo, come accade nella metereologia: quando piove o tira vento si sa bene che tornerà l’alta pressione, così come è evidente che i periodi di bel tempo siano puntualmente seguiti da perturbazioni. E a volte, specialmente in Liguria, le giornate cambiano rapidamente. Marco Vimercati aprile 2017

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foto

tema: la fuga soggetti suggeriti: orizzonti, strade o autostrade, vie d’uscita, cancelli aperti, sentieri in paesaggi aperti

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L’EVASO

Qualcuno doveva aver fatto scattare una serratura alle mie spalle, perché sentii un rumore metallico, e mi parve proprio un chiavistello che si apriva. Lì per lì non ci avevo fatto neanche caso, sopraffatto com’ero dalla paura e dal freddo. Saremo stati in due o trecento, con i polsi legati dietro la schiena, ammassati da circa dieci ore nel cortile di quello che sembrava un carcere, o tuttalpiù una caserma. Un colonnello gridava ordini in quella lingua sconosciuta, e ad ogni strillo del colonnello drappelli di militari si muovevano separando gli uomini dalle donne e radunando i prigionieri in vari gruppi. Indossavamo tutti la divisa dei detenuti, ma nessuno era ancora stato portato nelle celle. Dal terrore che serpeggiava tra quelli che capivano la lingua, mi sembrava di dedurre che molti sarebbero stati giustiziati. Forse direttamente lì, nel piazzale, di lì a poco. Molti erano stati presi durante i rastrellamenti, come me. Sorpresi a letto, nella notte, oppure fermati mentre camminavano per la città, mentre uscivano da un portone. Altri erano chiaramente oppositori, catturati sulle alture, magari già ricercati da tempo, noti alla polizia, ma per la stragrande maggioranza mi sembravano tutte persone spaventate, stupite, alle quali era completamente oscuro il motivo del loro sequestro. Prima eravamo tutti con i nostri vestiti, molti avevano con loro denaro e documenti. Ci hanno ammassati, poi sono venuti dei soldati con dei sacchi di juta. Ognuno di noi si è spogliato di tutto, 11


ha messo vestiti, occhiali e tutto il resto nel sacco. Molti miopi che facevano rimostranze sono stati tacitati con violenza. I soldati chiudevano i sacchi, ci chiedevano il nome e lo scrivevano con una matita copiativa su un cartoncino che poi veniva fissato sul sacco. Io ho detto il mio nome, ma il militare non ha capito, e ha tradotto il mio nome nella sua lingua, scrivendo tutto sbagliato. Ho provato a dirlo, a dire che ero straniero, ma non hanno neanche alzato gli occhi per guardarmi. Saremo rimasti nudi nel piazzale per una ventina di minuti, poi hanno cominciato la distribuzione delle divise. Appena indossata la divisa ci hanno fatto mettere le mani dietro la schiena e le hanno legate con una corda. Sento che molte persone si lamentano, ad alcuni sanguinano i polsi perché i legacci sono stati stretti troppo. Inutile dire che quasi tutti si proclamano innocenti: l’ho dedotto dal tono delle indignate lamentele che la gente faceva ai militari. Ma nel corso di queste ultime ore ho avuto anche modo di vedere come si siano rassegnati gli animi e le rivendicazioni di innocenza si siano tacitate. Nelle prime ore le proteste erano accese, molte persone erano indignate per il trattamento a loro riservato. Mi sembravano persone per bene, c’era gente semplice, con scarpe rotte e vestiti logori, ma anche molte persone ben vestite, dall’aria benestante, che io individuavo come avvocati, medici, direttori di banca. Alcuni erano stati portati lì con le relative consorti. Sembrava che queste signore più benestanti soffrissero un maggiore disagio, oppure che fossero più inclini a manifestarlo. Alcune singhiozzavano, appese al marito, altre reclamavano diritti, minacciavano ritorsioni, forse accampando conoscenze e ruoli sociali che in quel momento non valevano più niente. Ma quando le lamentele avevano cominciato a farsi pressanti erano state tacitate con il calcio del fucile. Una di queste signore, che aveva apostrofato un militare con rabbiosa indignazione, aveva ricevuto un manrovescio ed ora taceva con un occhio tumefatto. In poche ore tutte le richieste di spiegazioni e le rivendicazioni di

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diritti si erano trasformate in una silenziosa rassegnazione piena di paura, in una specie di tacita consapevolezza che ormai i destini non fossero più individuali, ma collettivi; che tutte le diversità di centinaia di storie personali stessero per confluire in una infausta uguaglianza e, forse, in un identico epilogo. Io restavo attonito per lunghi minuti ad osservare la disperazione degli altri, cercando e sperando in quel modo di dimenticare la mia. Poi mi risvegliavo e tornavo a prendere atto una ennesima volta della mia disatrosa prospettiva, che mi pareva addirittura peggiore di quella di tutti gli altri, in quanto non avrei potuto argomentare alcunché. Per un po’ avevo confidato nel fatto di essere straniero. Appena capiscono chi sono - mi ero detto - mi porgeranno le loro scuse, mi restituiranno il sacco e mi lasceranno andare. Poi ho visto che non è andata così. Alcune ore fa, non so più quante, un militare ha gridato dei nomi. La gente chiamata si alzava e si collocava dove lui indicava. Ad un certo punto ha pronunciato qualcosa che assomigliava al mio nome. Mi sono alzato, ho ripetuto il mio nome, come per verificare se avessero chiamato proprio me. Nessuno mi ha risposto. Quando mi sono alzato il militare mi ha indicato un angolo della piazza, dove c’erano già una cinquantina di altre persone. Forse è il gruppo degli stranieri? No, niente stranieri in questo gruppo, a parte me. Ai miei occhi non c’era nessun senso, mi avevano spostato da un luogo a un altro, probabilmente secondo un criterio che io non capivo. Tre dei fabbricati che chiudevano il coltile avevano dei porticati, mentre il lato principale era occupato da un muraglione con al centro un grande cancello, dal quale eravamo entrati tutti quanti. Il punto in cui mi trovavo non era lontano da uno dei porticati. Alzando un po’ il collo sopra la folla potevo vedere alcuni locali dentro cui si muovevano altri militari. C’era una lunga fila di porte, rientranze, aperture. In un punto il muro

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si interrompeva e si intravvedeva uno stretto passaggio che terminava con un cancelletto. O meglio, il cancelletto non si vedeva. Ma io ero arretrato verso il porticato, non so perché, forse sospinto da un movimento della folla, forse alla ricerca di un po’ più di spazio. Stando sempre all’interno del perimetro destinato al mio gruppo, ero finito vicino al porticato, e avevo sentito quello scatto meccanico, quella tipica rotazione dell’ingranaggio metallico un po’ arrugginito e poi il rumore secco dello scatto di un chiavistello, seguito da quel caratteristico cogolìo dei cardini di un cancello metallico le cui cerniere ruotano appena appena, nell’accenno di una apertura. Nel frastuono generale dei lamenti, delle urla militaresche e dei vari spostamenti, lì per lì era stato un ruomore fra tanti, ma adesso, spostandomi un po’ di più verso il passaggio, in fondo a quel piccolo pertugio intravvedevo alcune sbarre arrugginite, la cui prospettiva non era proprio ortogonale al muro... insomma pareva un cancelletto semi-aperto, anzi, quasi certamente lo era, e quel rumore ascoltato mezz’ora prima si colorava di una immagine. Lo vedevo, ed era aperto, sembrava aperto, non lo vedevo proprio tutto ma insomma, il battente non era del tutto accostato, era aperto, semiaperto. Lentamente mi ero spostato fino al limite del mio gruppo, nella direzione del porticato. Adesso la visione del passaggio un piccolo corridoio sotto il porticato - era completa. Alla fine del passaggio, il cancelletto. Potevo vedere benissimo il battente, leggermente discosto dal montante, e al di là delle sbarre, la strada. Era il crepuscolo, e presumibilmente di lì a poco avrebbero acceso le luci elettriche. Arretrai ancora un poco verso il porticato, che mi sembrava vuoto. Mi trovavo in un punto in cui probabilmente la moltitudine delle persone non mi rendeva molto visibile, sistemato com’ero nella semi oscurità del porticato, al margine di una folla. Guardai distrattamente a destra e a sinistra: non vidi nessun militare. Arretrai ancora, camminando all’indietro, in direzione del passaggio. Una persona del mio gruppo si era voltata,

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mi aveva visto. Io mi ero bloccato per un attimo, aspettando la sua reazione. Mi avrebbe denunciato? Avrebbe tentato di seguirmi? Avrebbe fatto finta di niente? La persona aveva alzato leggermente una mano, facendo un gesto enigmatico. Sembrava che mi facesse segno di attendere, ma poteva anche essere un saluto sommesso, fatto in modo che non fosse visibile se non da me. Lo guardai negli occhi. Anche lui mi stava guardando. Temetti che mi seguisse facendosi notare. Ormai mi ero infilato nel passaggio, aprii il cancelletto di quel poco che mancava per farmi passare e senza più voltarmi indietro presi a correre. Correvo più forte che potevo, senza sapere cosa stesse succedendo alle mie spalle: forse i militari mi stavano inseguendo, forse quel prigioniero che mi aveva fatto un cenno adesso era dietro di me e stava fuggendo anche lui... non mi importava. Pensai che se avessi corso più forte di tutti loro, e sufficientemente a lungo, mi sarei lasciato quell’incubo alle spalle. La strada davanti a me era vuota. La prospettiva era illuminata da lampioni ancora per un tratto davanti a me, poi affondava nell’oscurità. Credo di aver corso per ore, fino a non farcela più e poi aver continuato a correre anche dopo, quando scopri che il limite che credevi di avere si è spostato chissà dove, e c’è un’altra storia che incomincia dopo che non ce la fai più. Devo aver scavalcato cancelli, calpestato giardini, saltato fossi, siepi e reticolati metallici. Non so come, ma a un certo punto mi sono ritrovato con le mani slegate, e il terreno su cui correvo non era più fatto di asfalto e di cemento, ma era terra e ghiaia, fango e prato. Ho attraversato un ponte e mi sono fermato. Guardavo tutto intorno, e non c’era nessuno. Il silenzio era assoluto, se si esclude l’abbaiare di qualche cane lontano e il vento tra i rami dei pioppi e delle robinie. Non erano riusciti a prendermi, o forse nessuno mi aveva seguito; forse nessuno si era accorto di niente o forse la mia fuga non interessava a nessuno.

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tema: la distanza dal mondo soggetti suggeriti: vecchie ville isolate e/o abbandonate, giardini deserti, cittĂ viste in lontananza, luoghi di segregazione, anziani, periferie desolate. Oppure: uccellini

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ALTRE DISTANZE

I Ciuffobianco arrivava puntuale ogni mattina e io ero diventato un dio. Cioè, non proprio un dio; una specie di sovrano soprannaturale i cui sudditi avevano eletto un delegato a interloquire con lui. Così Ciuffobianco arrivava e io venivo informato sull’andamento e sulle esigenze del regno. Per mesi si erano combattuti sul territorio su cui vigilo e governo: loro, i vincitori, i Toccaefuggi, e gli altri, i Cambiaposto, guerrieri pieni di ardimento che si erano battuti con onore nella contesa per il territorio. Dei Cambiaposto non riuscivo a distinguere le diverse identità, a parte due casi: il loro capo, di cui non conosco il nome, ma che io ho chiamato Testa Alta per il suo particolare modo di drizzare il capo alla minima avvisaglia di pericolo, e il luogotenente Alfio, nome anche questo assegnato arbitrariamente da me, per via della somiglianza del soggetto con una mia vecchia conoscenza che si chiamava così. Gli altri Cambiaposto mi sembravano più o meno tutti uguali. Dei Toccaefuggi invece conosco ormai quasi tutti; nome per nome, indole per indole, carattere per carattere. A parte Ciuffobianco nessuno di loro ha l’ardire di presentarsi qui vicino, ma non mancano di manifestare le loro azioni, le loro discordie e le loro manchevolezze al mio cospetto. Vivo chiuso, rinchiuso qua dentro - mi dicono - da quindici anni. Ma io sono convinto che mentano per pietà nei miei confronti. Io penso, anzi, sono praticamente certo di vivere recluso in questo edificio, castello, carcere o fortezza, da cento, 17


forse duecento anni, come minimo. E visto che il fine-pena è mai, volendo parafrasare il linguaggio giudiziario, a coloro che vogliono consolarmi o esprimere compassione oppure solo pietà per la mia condizione, non resta che mentirmi sul tempo che ho alle spalle, giacché su quello che ho davanti nessuno mi può consolare, perché so che finirà con me, sempre ammesso che non sia già finito, e che questa cosa che vivo non sia più tempo, ma una specie di prolungamento dell’immobilità del presente. All’inizio doveva essere un privilegio, sembrava un privilegio, forse lo è stato, ma per un breve periodo; non più di venti o trent’anni. Poi si è capito che le promesse - tutte le promesse - fatte in passato nei miei confronti venivano formalmente mantenute, ma nel frattempo si svuotavano di significato, perdevano valore. E così, man mano che si concretizzavano quelle che un tempo furono le aspettative, ecco che i motivi per cui erano state stipulate, i desideri che le avevano evocate, si perdevano in un ricordo lontano che andava sempre più somigliando all’oblio. Per questo ho parafrasato il linguaggio giudiziario, perché il tutto è una parafrasi: non sono certo un carcerato, però vivo rinchiuso. Non sono certo un reo, però sto espiando una pena. Non ho subito alcun processo ma la mia vita, da un certo punto in avanti, è stata oggetto di una sentenza. Tutto è stato molto noioso, a volte anche affliggente, ma nessun dolore è mai stato definitivo. Questa particolare pena infatti contiene nella sua comminazione una specifica strategia di tortura, ovvero quella di affliggere il condannato con fatti dolorosi, fornendolo però anche delle risorse capaci di resistere a quei dolori in modo da soffrirne per sempre in modo tollerabile, senza mai esserne annientato e senza poterli abbandonare all’immemore silenzio. Tutto questo avviene con il massimo confort, con baci sulla fronte, cibo adeguato alle mie esigenze e cure necessarie a mantenere quella che osano chiamare salute.

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II Per fortuna un bel giorno sono arrivati i Toccaefuggi. Per un po’ tutto è andato liscio. Sembravano non avere un capo, anche se sicuramente c’era. Vivevano democraticamente e pacificamente, o almeno così sembrava, perché non c’erano strepiti o fughe improvvise, tafferugli o battibecchi di sorta. Occupavano serenamente gli alberi e il prato qui davanti. Per la verità, più che occuparlo, lo percorrevano con brevi incursioni, sempre un po’ guardinghi. Probabilmente il loro territorio era più esteso, ma lo percorrevano serenamente, con delicati spostamenti di quà e di là, piccole perlustrazioni e moderato sfruttamento delle risorse. Forse erano sereni, dannazione. Io li guardavo, e già ne riconoscevo qualcuno: c’era Solerte, che pareva sempre darsi un gran da fare, dotato di un’energia inesauribile. C’era Verrina, sempre circospetta e velocissima; c’erano Gilmour, Kildare e Ludmilla. E poi c’era Ciuffobianco, che però allora non era ancora un guerriero; probabilmente a quell’epoca era molto giovane. Ad un certo punto - era l’inizio particolarmente rigido di un inverno - ho cominciato a buttare qualche briciola. Mi sembrava di dar loro una mano. Devo aver pensato che fossero a corto di cibo. Li guardavo e mi sembravano sempre affamati, sempre alla ricerca di qualcosa da mangiare; ricerca che spesso otteneva magri risultati. Mi facevano compassione, o così credevo. Mi sono chiesto negli anni se in realtà non sia stato solo il mio desiderio di regnare su quelle creature dal comportamento così lineare ed efficace. Non conoscevo nessuno che avesse altrettanta diretta arroganza e anche tanta dignità nell’accettare le sconfitte. Nessuno che avesse un rapporto così diretto con i propri bisogni. Così misi in atto il folle proposito di mescolare la mia vita con le vite di quelle creature. Volevo accattivarmele e renderle dipendenti da me, ossequianti al mio dispensare cibo. Comunque credo che sia cominciato tutto da lì. Verrina e Capodimonte furono tra i

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primi a farsi avanti. Verrina era fulminea, una vera Toccaefuggi. Capodimonte, che presumo all’epoca fosse il capo, si avvicinava invece perplesso, con apparente indifferenza, come un tipo che fischietta con le mani dietro la schiena. In questo modo si portava a paio di centimetri dalla briciola e poi, con un balzo che diventava un frullo, faceva sparire il frammento di pane come un prestigiatore, e insieme al pane spariva anche lui. Tutti sembravano avere questa caratteristica di sparire nel folto del bosco dopo aver colpito. Pensavo che fosse una caratteristica della specie, ma quando più tardi vidi i Cambiaposto in azione, capii che ogni gruppo aveva delle affinità interne, delle caratteristiche simili. Il nome di Toccaefuggi infatti l’ho coniato all’epoca dei primi attacchi portati dalle avanscoperte dei Cambiaposto. Questo gruppo - lo vidi da subito - aveva una strategia diversa. Ora sono qua. Mi vedi? Ora invece sono là, mi sono spostato su quel ramo. Anche quando prendevano le briciole. Colpivano, ma non sparivano. Restavano lì, in un posto diverso, ma poco lontano da quello da cui provenivano. Sembravano più coraggiosi, e forse anche più leali. Era evidente: il territorio sotto le mie finestre era diventato una zona ricca, una specie di Baviera etologica. I Toccaefuggi sembravano preoccupati, e qualcuno di loro andò a fare le rimostranze agli incursori. Bisognava scacciarli, mantenere il territorio. Iniziarono le ostilità. III Avrei dovuto smettere di gettare briciole. Si sarebbero divisi il territorio senza lottare per un’isola felice. Non ci sarebbero stati ricchi e poveri, e neppure vincenti e sconfitti. Invece, siccome avevo una paura fottuta di morire, optai per mantenere in vita l’Isola Felice delle Briciole. Pensavo che dispensando felicità a qualcuno, seppure a discapito di qualcun altro, quel qualcuno avrebbe sperato che io vivessi a lungo. Così assistetti alla guerra tra i Toccaefuggi e i Cambiaposto per l’Isola Felice delle Briciole. Felice ma precaria, perché persiste l’ipotesi che io possa morire da un momento all’altro

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e tra l’altro ogni giorno questa possibilità si fa sempre più concreta. Certamente è stato grazie ai Toccaefuggi e ai Cambiaposto che ho capito di avere una paura bestiale di morire. Non ci credevo. Non mi sembrava possibile; ed a tratti la mia morte mi è parsa persino desiderabile, come la famosa fine delle mie pene, per usare una locuzione ritrita e non veritiera, che si usa finché le pene sono sopportabili. Quando diventano insopportabili invece ci resti attaccato come un’arsella, a quelle pene, perché sono ancora, malgrado tutto, la prova che hai ancora un corpo e che questo corpo è in grado di sentire. Per la verità io non sono più tanto sicuro di avercelo, un corpo. Mi proietto talmente spesso nei ricordi che mi sembra di poter viaggiare così tanto libero da non avere corpo, e poi, una volta raggiunto il ricordo, mi sembra di avere il corpo che avevo. Ma disgraziatamente non ho più tanta memoria, né fantasia da porle accanto in ausilio. Così i miei ricordi sono sempre gli stessi, quei pochi che ho salvato e che continuo a ripassare per paura di perdere anche loro. Ormai non sono più veri ricordi, sono ricordi di ricordi, che mi ritornano così come me li racconto, sempre uguali, fatti solo di parole, nei quali i fuochi delle cucine alla vigilia di Natale ardono ma sono freddi e le persone dicono frasi ma non hanno un volto. So chi sono: sono mia madre, mia zia, i nonni, i compagni di scuola, gli amici più cari: hanno un nome ma non hanno più sangue e non hanno più vita e non mi sono a fianco come si promette dei morti. Sono solo nei miei ricordi, che a loro volta sono ombre slavate laggiù, oltre la vaporigine grigioviola dell’orizzonte. Magari domani stesso finirò anch’io laggiù, e diventerò ricordo per altri. Una figura ritagliata contro la prospettiva dell’infinito, celebrata nel periodo post mortem per presunte doti e poi consegnata all’oblio. Sopravvissuta al massimo una, due generazioni, fotografata con la cravatta a una cerimonia, con le bretelle e i pantaloni di fustagno in vacanza, nudo su una spiaggia oppure in divisa in un gruppo di scuola.

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IV Anch’io sono incorso in luoghi comuni del tipo: non ho paura della morte, ma della sofferenza. Non ho paura della mia sofferenza, ma di quella che provocherei morendo. Non ho paura perché c’è una vita dopo la morte. Oppure: non ho paura perché, se la morte è la fine di me, sarà tecnicamente impossibile avere coscienza di un dopo, fosse anche un nulla, il più pauroso dei nulla, quindi non mi fa paura perché sarò nulla anch’io. Balle. Adesso mi rendo conto che ho una grandissima e maledetta, oppure sacrosanta paura della morte. Forse perché ho visto morire tanta gente, tante persone a me care, e più ne ho viste morire più mi sono convinto che morire non è tanto facile, e che la vita è tutto quanto abbiamo a disposizione. Quando cominciò la battaglia tra i Toccaefuggi e i Cambiaposto ero ancora allocato in una tranquilla posizione di credente, pur con tutte le mie eccezioni e con l’idea di una possibilità di contatto diretto con l’Altissimo: tramite il pensiero, tramite la preghiera, tramite alcune azioni che compivo e nelle quali mi sembrava di riconoscerlo. Così come mi sembrava di riconoscerlo direttamente in ogni albero, in ogni frutto, in ogni nervatura di foglia o in ogni sguardo di creatura. Ero partito insomma da una posizione piena di fede. Attraverso un lungo percorso tra materialismo dialettico e animismo teologico mi ero portato in una situazione che mi vedeva come compreso dentro un cono di luce la cui sorgente era lassù in alto. Riconoscevo un ordine nell’universo, e pensavo che ci fossero delle leggi che avevano in sè un contenuto positivo. Pensavo che ci fosse un fine ultimo, e che la nostra anima sopravvivesse al corpo. Ho sbagliato a dire che “pensavo”. Ne ero certo, e avevo avuto anche parecchie inuizioni mistiche, a riprova dell’esistenza del Bene Supremo. Ero sicuro che il male che noi vediamo fosse solo un male apparente. Oppure temporaneo e necessario per realizzare il fine ultimo, che è il bene. Che se in ogni pianta, in ogni sasso e in ogni essere vivente c’è energia che si esprime come sapienza e intelligenza e

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conferma delle aspettative, ci dovesse per forza essere un’energia, un’intelligenza che le comprendeva tutte. Non solo: mi sembrava che ci volesse molta più fede a immaginare un universo senza dio piuttosto che a credere a ciò che sembrava quasi naturale: il Grande Omnicomprensivo e Supremo da cui tutto cominciò e verso cui tutto converge. Mi sembrava che qualunque spiegazione scientifica non fosse altro che un qualche cosa di un po’ meno logico e soddisfacente di Dio, un po’ come se il caso fosse il dio degli atei e le scienze fossero delle religioni minori, più ingenue e più orizzontali; delle specie di politeismi pagani moderni. Non poteva essere che così. Poi, dopo che c’è stato il dolore, tutti questi orizzonti si sono chiusi. Il dolore così vicino a me mi ha fatto entrare in risonanza con tanti altri dolori che avevo intorno. Ricordo d’aver sperato che Dio non esistesse, in modo da non dovergli imputare così tante atrocità e manchevolezze. D’aver quasi dovuto smettere di crederci, per salvare Dio stesso dall’immagine che mi si squadernava davanti agli occhi. E insieme a Dio sparivano dalla mia coscienza la vita dopo la morte, l’anima e tante altre strutture su cui avevo affrancato tutta la vita. Spariva la differenza tra emozione e sentimento, tra indole e carattere, tra tenacia e rigidità. Tutto diventava rancore. V Anche verso i Cambiaposto nutrivo rancore. Io ero dalla parte dei Toccaefuggi. E come spesso accade coi figli, ti accorgi che qualcun altro è migliore di loro, ma continui a parteggiare per loro. E hai paura per loro, e se te li toccano la paura si concretizza e diventa rancore. Anche la mia paura era diventata rancore. E quel ringhiare, quel disprezzare continuamente la realtà mi dava un po’ meno paura della morte. L’avere rancore mi aiutava a non legarmi più alle cose e alle persone, avrebbe reso più facile il distacco. Lagnarmi e disprezzare la vita, coglierne il lato peggiore, mi avrebbe salvato dal dovermene distaccare con dispiacere.

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Il rancore diventava rabbia quando poi vedevo il mondo esterno dominato dai gaglioffi, osservavo l’incedere della malvagità con il sostegno dell’arroganza e della volgarità. Vedevo la sfortuna perseguitare i miti e risparmiare gli empi. Ero arrabbiato e desideravo soluzioni drastiche. Se confrontavo i miei pensieri con quelli che avevo avuto in passato, mi terrorizzavo: non ero più niente di interessante, di vitale e di trasformativo; ero diventato qualcos’altro. Le idee che per anni avevo sostenuto con convinzione adesso vacillavano sotto tonnellate di evidenze che le vanificavano. Dentro di me nasceva uno spirito ostile, nemico di chi mi fronteggiava, con un crescente desiderio di decisioni definitive. La punizione dei colpevoli. La separazione tra bravi e cattivi. L’incomprensione; l’incapacità di mettermi nei panni degli altri. L’odio, in pratica. Era la morte, che dal fondo della mia vita cominciava a chiamarmi, ma lì per lì la scambiai per un anelito di nuova vita. Ero arrabbiato e scoprivo che quella contrapposizione arcaica, quell’accorata ricerca del nemico si era impossessata di me. E quella contesa tra i due eserciti mi schierava, mi indignava e sfogava il rancore che diventava rabbia. Ogni tanto mi fermavo a riflettere. Era strano, quasi pazzesco, ma era vero: mi stavo trasformando nel mio contrario. Deve essere stato quando Ciuffobianco ha preso il sopravvento, diventando il nuovo capo dei Toccaefuggi. Capodimonte non si vedeva più già da un pezzo. Aveva preso parte alle prime schermaglie coi Cambiaposto, poi era sparito. Non credo sia morto in battaglia, sembrava già vecchio. E anche ultimamente, più che battersi permaneva stabilmente a vigilare e a rintuzzare le avanguardie dei Cambiaposto. Ma poi lui si è fatto da parte e Ciuffobianco si è rivelato il più aggressivo. E anche un esperto di tecnica militare. Ha adattato lo stile dei Toccaefuggi alla guerra. Rapide beccate ai Cambiaposto per poi dileguarsi. I Cambiaposto invece, erano ottimi incassatori, mantenevano la posizione. Si spostavano da un ramo a un altro ma non fuggivano quasi mai.

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VI Un etologo sa che non ci sono differenze sostanziali di comportamento nei gruppi. Aggiungerebbe che le differenze di comportamento che io rilevavo dipendevano dal fatto che un gruppo stava difendendo il suo territorio, mentre l’altro stava tentando di impossessarsene, e questo determinava condotte differenti. Ma me apparivano più dignitosi i Cambiaposto, che sembravano presidiare con una dignità tenace un territorio di loro proprietà, mentre i Toccaefuggi sembravano gli invasori illegittimi. Il comportamento dei Cambiaposto poteva essere interpretato anche come arroganza. Forse lo era. Ma quando vedevo Testa Alta starsene lì imperterrito nel prato ad aspettare l’attacco, mi sembrava un guerriero mahori immobile di fronte agli elefanti in arrivo. Gli attacchi dei Toccaefuggi erano fulminei. Planavano veloci come falchi, colpivano e altrettanto velocemente si dileguavano. Vedevo in loro qualcosa di subdolo, qualcosa che trasgrediva la nobiltà della battaglia. Sembravano terroristi: piccoli gruppi che attaccavano all’improvviso, proprio quando i Cambiaposto sembravano rilassarsi. Non fosse stato per lo ius naturalis che in un certo qual modo legittimava i Toccaefuggi, avrei parteggiato per i Cambiaposto. E un per un po’ di giorni, all’inizio, quando non mi era ancora chiara la contesa, elergivo briciole a dritta e a manca, senza sapere di preciso a chi dispensassi il favore. Ma un giorno lo sguardo deluso di Ciuffobianco che mi guardava sdegnoso mentre gettavo briciole verso il prato, a sinistra, mi fece capire tutto, o quasi. Non si precipitò sulle briciole, che erano ormai appannaggio di un gruppo di forestieri. Cominciai a capire che c’erano due eserciti. Mi sembrava addirittura di individuare la direzione delle rispettive provenienze: i Cambiaposto venivano da sinistra, e alle loro spalle c’era la periferia e poi la campagna, mentre i Toccaefuggi sembravano provenire dal boschetto che ho di fronte. Un piccolo agglomerato di alberi che mi separa dalla città.

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E in un certo senso mi separa anche da ciò che sono stato, perché là, oltre quegli alberi, c’è la città dove devo essere stato qualcosa, anche se non ricordo più bene cosa. D’altronde è accaduto più di cent’anni fa. “Che vinca il migliore” mi sono detto all’inizio. Ma i Toccaefuggi esercitavano il loro diritto, erano lì da prima, prima che io cominciassi a buttare briciole. E’ stato inevitabile cominciare a parteggiare per loro. Si era creata quasi un’intesa. Sto per lanciare una briciola... a te, Ciuffobianco; a te, Verrina; a te, Gilmour. Tu no, Alfio! Tornatene al tuo luogo d’origine. I Toccaefuggi lo sapevano di certo, che parteggiavo per loro. Forse addirittura mi includevano nel loro gruppo, ero il furiere... no, qualcosa di più rilevante... Lo sponsor, il finanziatore. Il re. Il dio. VII Ero nello stesso tempo il motivo per cui difendevano il territorio e la fonte delle risorse necessarie a difenderlo. Ero la causa e l’effetto, e il circolare ripetersi di entrambe. Logicamente più diventavo sovrano, più crescevano anche le mie responsabilità. Non potevo permettermi di morire, e neppure di ammalarmi. Quando, circa una cinquantina di anni fa, un attacco di gotta mi costrinse a stare con la gamba alzata per giorni e giorni, imposi una deroga per effettuare i giornalieri lanci di briciole. Due, per l’esattezza. Il primo al risveglio e l’altro poco prima di cena. Accadimenti che nella mia vita si attuano con una straordinaria puntualità, spaccando quasi il minuto ogni mattina e ogni occaso, con l’unico effetto disturbante dell’arrivo dell’ora legale e il corrispondente ripristino dell’ora solare. Cambi fastidiosi, repentini, che i Toccaefuggi non capiscono e tollerano a stento. Prima di adattarvisi, impiegano alcuni giorni di lieve disorientamento. Per la verità io ho cercato il più possibile di ignorare quei cambi di ritmo, ma come io sono il sovrano dei Toccaefuggi, così sono il suddito di un’oligarchia travestita da democrazia, che sull’estorsione del consenso basa la sua apparente

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benevola tolleranza. Devo sottostare a orari prestabiliti, in modo da avere il cibo nel momento in cui viene dispensato. Misurazioni, notiziari, assunzioni di farmaci e riposini scandiscono le mie giornate sul filo del secondo. E’ fondamentale mantenere il ritmo, mi hanno detto. Ma il ritmo di che cosa? Cos’è che si sta scandendo là fuori, e anche qua dentro, malgrado me? E sta veramente scandendo, o piuttosto invece non fluisce come un fiume, un incessante fiume che produce un costante rumore di fondo, senza ritmo né armonia, senza capo né coda? Oppure, ancora più plausibilmente: non c’è nessun ritmo, nessun fluire. Siamo noi, che fluiamo, che abbiamo ritmo finchè ce l’abbiamo, poi c’è il nulla. Sempre ammesso che il nulla ci sia, che è un altro controsenso. Non so se interpreto giustamente Parmenide, ma mi sembra che ciò che non è, effettivamente non sia. Che il non essere non ci sia. Che riusciamo a formularlo solo grazie a un giochetto di parole, un trucco del linguaggio che ti permette di apporre quel non davanti a qualunque cosa, sperando di poter generare il completamente diverso da quella cosa, o tutto ciò che quella cosa non è. Ma è un trucco, e il non essere non può essere. E poi una bella mattina, a sugello di tutto questo considerare parmenidèo, mi sono anche detto: Ma come? hai perso tutta la fiducia che avevi nell’essere, in pratica hai smesso di credere in Dio, che era qualcosa di bello, rassicurante e luminoso, adesso non vorrai mica credere nel suo contrario? Se era farlocco Dio, deve essere per forza farlocco anche il nulla. Comunque: mantenere il ritmo. Grazie a Ciuffobianco era più facile. Dio non c’era più, ma io mi ero sostituito a lui. Ed ero anche un dio soccorrevole, attento a capire le esigenze dei suoi fedeli, diamine. Capivo se ero in anticipo o in ritardo in base alla sua presenza sul davanzale. Se tardavo si faceva addirittura sentire, picchiettava ai vetri e faceva rapidi svolazzi davanti alla finestra, accompagnato da Corina, che di certo era la sua compagna. Mi aiutavano a mantenere il ritmo. Destarsi alla stessa

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ora. Rispettare i rituali. Cominciare a indulgere, derogare di un minuto stamattina vorrebbe dire passare la maggior parte del mio tempo a letto tra due o tre mesi, e poi non alzarmi più. Non mi faccio illusioni, accadrà quasi certamente così, ma in ogni caso bisogna mantenere il più possibile il ritmo per prolungare a dismisura il tempo che ci separa dalla posizione definitiva, che è orizzontale. Lo dice l’oligarchia. E sostiene che alla base di questo ritmo imposto a forza, c’è la benevolenza, c’è l’agire per il bene dei sudditi, che poi sarei io. C’è l’amore, dicono addirittura certe volte. VIII Sarà proprio perché sono un suddito, che partecipo così attivamente alla vita di coloro che sono a loro volta miei sudditi. Sudditi di un suddito, e nel contempo gli esseri più liberi che si possa immaginare. Padroni di andare e venire, di combattere, far l’amore e dormire dove capita. Padroni di godersi la natura e di procurarsi liberamente il cibo dove lo trovano. Spicci nei modi, diretti, direi anche dignitosi, e allegri e eroici. Ed equilibrati, perfino. In condizioni normali (ovvero prima che io creassi l’Isola Felice delle Briciole) c’era un’armonia, anche se un po’ frenetica; ma niente combattimenti o litigi. Se c’è stata una guerra, è accaduto per colpa mia. Diciamo per causa mia, perché non me la sarei mai aspettata, e il primo (e forse l’unico) ad esserne sorpreso sono stato proprio io. E poi, la parola causa si confà a un dio, la parola colpa assolutamente no. Quindi vada per causa. Le briciole... devono essere le briciole, la causa. Io sono solo un tramite. Se non ci fossi io, lo farebbe qualcun altro. Forse da qualche altra parte. Una nuova guerra. Cosa guardi, sempre fuori dalla finestra? Mi chiedeva un oligarca. Stiamo parlando di un’ottantina d’anni fa, credo. Guardo... Come spiegare? Come far capire all’oligarca che non ero un vecchio imbambolato alla finestra a guardare gli uccelli? Avrei dovuto cominciare a spiegare che Codalarga era una

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furbastra, che aveva individuato una zona nel giardino che doveva essere ben piena di vermi, e la presidiava, e prendeva in bocca due, tre, quattro vermi alla volta, e poi spariva nel nido a portare la merenda ai piccoli. Mentre quell’altra, o quell’altro, Pettinfuori, prendeva un verme alla volta, e poi tornava a svolazzare e io cominciavo a chiedermi se anche tra di loro ci fossero delle così marcate differenze caratteriali. Gli oligarchi non hanno tempo per queste elucubrazioni. Se gliele comunichi non le trovano disdicevoli, anzi, sorridono e ti fanno i complimenti. Sei attento, sei sensibile, ti dicono. Ma sembra un po’ come quando un bambino porta a vedere a un adulto un disegno e immancabilmente riceve complimenti, e quasi sempre c’è qualcuno disposto a riconoscere al bambino una vena artistica. Così in genere, alla domanda “cosa guardi” ho imparato negli anni a rispondere in modo sempre diverso. “Mah, nel cortile dei vicini c’era un rotolo di rete metallica, oggi non c’è più... mi chiedo dove l’abbiano usato” oppure “Bisognerà dare una mano di antiruggine al cancello”, o anche “Viene brutto tempo”. IX Diciamo che di tutte le cose che mi sono successe da quando sono rinchiuso qua dentro, la presenza dei Toccaefuggi è stata la cosa più bella. E’ una questione di amicizia. Gli oligarchi dicono di volermi bene, manifestano affetto e sono sempre pronti a darsi da fare. Manca una medicina? Vado io! Dice un oligarca. Ti porto una coperta? Una camomilla? Chiede quell’altro. E poi si preoccupano di accompagnarmi, di far venire gente, di riempire il frigo. Sono gentili, sorridenti e disponibili, ma non sono amichevoli. Almeno non nel senso che intendo io. L’amicizia è una persona che non ti chiede niente e alla quale non devi chiedere niente. Che ti ascolta, e sposa i tuoi pensieri fino a mettersi nei tuoi panni, e sa che lo faresti anche tu. E’ dalla tua parte. Ti prende come sei e non vuole cambiare delle cose di te, non vuole renderti migliore. Non vuole imporre nessun ritmo alla tua vita. E preferirebbe vederti morire

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piuttosto che vederti sopravvivere a te stesso. Sì, un amico può permettersi anche questo lusso, di preferirti morto piuttosto che distrutto, di rispettare il tuo essere per come sei. E’ così che funziona nei Toccaefuggi. E credo anche tra loro e me. Voglio comunque che si sappia che non penso assolutamente d’essere migliore dei miei oligarchi. Probabilmente lo sono stato anch’io, a suo tempo, e so benissimo che gli oligarchi non vogliono la mia morte. Si sentono responsabili di quella che credono essere la mia vita e se questa si interrompesse loro si sentirebbero in colpa. Quindi cercano di prolungarla il più possibile. Spendono soldi, impiegano tempo e piangono lacrime, e mettono al mio servizio fatica e disperazione dissimulata per allontanare il più possibile la fine, per fare in modo che il tempo da qui alla fine sia il più lungo possibile, indipendentemente da ciò che desidero o che credo di desiderare. Forse neanche, perché adesso anche i desideri sembrano più ricordi dei desideri, e al loro soddisfacimento pure serve la memoria di soddisfazioni passate. E mi sovviene il tempo lunghissimo, o forse solo apparentemente lunghissimo se visto da qui, della mia vita di prima, di quando ero nel mondo e andavo e venivo, e progettavo cose e incontravo persone, tante persone e tante cose. Alcune insignificanti, a cui ho dedicato energie enormi. Altre gigantesche, che sono accadute in un attimo e sono uscite fuori con la naturalezza della biologia, senza bisogno di fatiche o sforzi. X Erano tempi fortunati. Ero fortunato e forse in parte lo sapevo, anche. Poi, ad un tratto, ho avuto la sensazione le la fortuna fosse finita. Che tutta la fortuna disponibile per me si fosse consumata. Ed era vero, perché da un certo punto in avanti la mia vita è diventata brutta e piena di problemi e di brutte notizie. Ai tempi in cui ero fortunato pensavo che avrei saputo trovare il bello anche in tempi in cui non sarei più stato fortunato. Ero convinto che la vita fosse un film e che io ne sarei stato

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sempre il regista. Sarei sempre stato io a decidere il clima e l’atmosfera in cui ambientare l’azione. Ero convinto, anzi, sapevo che una giornata o una vita vanno come tu le racconti. Ma non è andata così. Ad un certo punto il cielo si è fatto cupo e non ho più potuto decidere niente. Non ho più potuto costruire o scegliere niente, perché tutto intorno a me cominciava a morire, e dal momento che più vai avanti più la tua vita è collegata con quella degli altri, la mia vita si è riempita di dolore e di preoccupazione. E io ho cominciato a odiarla. A guardarla in modo riottoso, così come si guarda una persona che ti fa del male. Non c’erano giornate di sole sul mio regno, e cosa assai più grave non c’era più neanche la speranza che il sole tornasse. O meglio, non lo speravo perché, anche qualora fosse tornato, il suo ritorno non avrebbe coinciso con il ritorno della luce e della gioia nella mia vita. La luce e la gioia erano andate, erano oltre il boschetto e appartenevano alla mia vita di prima. Nella mia vita di prima non ho mai pensato di essere dio, ma lo ero. Ero immortale, innanzi tutto. Logico che a quei tempi ne ero ignaro, ma se adesso penso alla forza che mi sentivo dentro in certe sere di fine primavera, quando l’aria della notte sa di fiori e le ragazze cominciano a indossare i vestiti leggeri, penso che avrei ancora potuto trasformare tutto. Sì, perché tra tutte le cose belle che si hanno a disposizione in quella età di forza e di appetito la più bella è proprio la capacità, che a volte è anche la voglia, di cambiare le cose, di trasformarle, per renderle più belle o per farle funzionare meglio. Se starete a sentire tanti vecchi, vi diranno che i ricordi più belli riguardano la seduzione e le notti in cui qualche giovane donna alla quale aspiravano finalmente si è concessa. Non è che voglia dire il contrario, anche io per lungo tempo mi sono consolato pescando qua e là tra i ricordi, ma alla fine ho dimenticato quasi tutto e l’unica cosa che è rimasta è una lunga serie di trasformazioni. Le persone cambiavano, il mondo cambiava e io cambiavo con loro. E qualunque fosse l’aria che tirava, mi dicevo:

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respira. Respira fino in fondo, perché qualunque sia l’aria che tira, un bel respiro profondo è sempre meglio di un singhiozzo. Ma poi l’aria ha cominciato a diventare irrespirabile, così acre che c’era da aver paura a inalarla. In molti abbiamo cominciato a respirare poco, come per preservarci. E se non prendi fiato non riesci a trasformare più niente, perché tutto comincia e finisce con il respiro. XI A un tratto sembrava buffo: eliminato Dio, che per gran parte della mia vita mi era parsa l’unica matrice sensata dell’essere, non avevo potuto far altro che auto-eleggermi dio. Naturalmente non che avessi di me una qualche idea divina o trascendente, questo no; semplicemente mi vedevo come “il più importante per me” e questo bastava a fare di me un dio ai miei occhi. Ma ecco che proprio appena ero diventato dio il mio regno si faceva inutile, squallido, pieno di problemi e probabilmente perfettamente in grado di andare avanti senza di me. Quando non addirittura di poter andare avanti meglio senza di me. Così qualche volta mi è capitato ancora di pensare a Dio, di capirlo, per così dire… tanto quasi da credere che lui ci fosse e che non facesse niente perché alla fine la miglior cosa è non fare niente. Lì, con l’introdursi di questa parola: “niente”, dev’essere cominciato questo niente che sto abitando. Nel sostituire qualcosa col niente, nella rinuncia, nel ridurre le proprie esigenze ma soprattutto nel dare un addio definitivo e permanente ai propri desideri. Comincia così quella lunga fase (lunga, indipendentemente dal tempo) in cui si sa che niente di ciò che desideriamo si potrà mai più avverare. E’ una sala d’aspetto della morte: l’assenza del bisogno nasce probabilmente dalla negazione del suo soddisfacimento, poi si passerà alla negazione del bisogno vero e proprio, e alla fine tutti i bisogni se ne andranno a fare in culo.

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XII A volte mi sorge il dubbio che tutto sia già accaduto. Tutto, compresa la mia morte. Sì, ho proprio la sensazione di essere già morto, anche se manca di fatto ancora qualcosa di preciso (che non ho capito ancora cosa sia) per ratificare effettivamente l’avvenuta morte. Eppure sono quasi sicuro d’essere morto, d’avere memoria della vita che fu, d’avere memoria di tutte le volte che sono morto un po’, tutte le volte che andava via qualcuno che era un pezzo della mia vita. A volte erano pezzi grossissimi, quasi tutta la mia vita, oppure pezzi della mia vita presi per intero, da cima a fondo. Morivano i testimoni, e quei pezzi non avevano più narrazione se non la mia, e quindi non più un racconto ma le parole con cui lo raccontai, senza rettifiche o correzioni, senza più nessuno che puntualizzasse una data, aggiungesse un particolare, facesse tornare vive le parole trasformando i nomi in persone, in respiri e in gesti. Si, dev’essere così. Questa condizione è sicuramente un primo pezzo della morte, una specie di limbo, di camera di decompressione dalla vita dove cominci a imparare come si fa a dissolversi nel nulla. Certe volte mi chiedo quand’è che è finita la mia vita. Quand’è che ha cominciato a finire, a dissolversi. Sì, d’accordo, ha cominciato a finire nel momento in cui è cominciata, lo so benissimo, non è che non abbia letto i Four Quartets o qualche libro di filosofia greca o di sapienza orientale, ma io mi domando una cosa molto più stupida e meschina, una visione da sondaggio di rotocalco: quand’è che ho smesso di essere una risorsa per le persone che avevo intorno e sono diventato un problema? Quand’è che hanno smesso di vedermi come un rassicurante baluardo di qualcosa e mi sono trasformato in un impegno, in una preoccupazione, in un ladro di tempo altrui?

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XIII A un certo punto è sparito anche Ciuffobianco. E per una volta ancora quello che per un attimo era sembrato un panorama stabile e tranquillo è stato funestato da una morte, un’altra volta ancora. Non che l’abbia visto morto, è semplicemente sparito. Un bel giorno non si è presentato e da allora non si è più visto. Tralascio la tristezza delle elucubrazioni che ho fatto sulla sua morte, su dove potesse essersi cacciato e su quale fosse stata la sua fine, se naturale o per via d’una fiondata, di un’automobile o di qualche veleno moderno. E’ stato naturale associarlo al mio più caro amico degli anni giovanili. C’era davvero analogia: entrambi erano gli unici individui con cui ho avuto una relazione vera in un momento della vita in cui nessuno sembra capire esattamente le tue esigenze. No, non voglio dire che gioventù e vecchiaia si assomiglino… tutte quelle balle sull’analogia tra la culla e il letto di morte con la scala della vita che sale e che scende mi piacevano tanto in gioventù, ma viste dall’altra parte della scala sembrano un paradosso: e non basta che il fantolino e il nonnino fatichino entrambi a camminare, che all’adolescente come all’anziano siano riservati lavori più leggeri e che al vertice e della scala ci sia un baldo uomo nel pieno delle forze. Visto dalla prospettiva finale, dal numero quarantasette della Smorfia, sembra ci sia un prendere per poi lasciar andare. Lasciar andare tutto, perdere, non avere più. Può esserci analogia tra un momento in cui prendi e un momento in cui sei costretto a lasciare? C’è chi dice di sì, e che l’uno e l’altro sono la stessa cosa, un po’ come la via che sale e quella che scende. Ma non è vero. Quando acquisisci sai già che non è per sempre, e quindi il tuo attaccamento è limitato. Ti affezioni, ma prima o poi capisci che niente ti appartiene davvero. Però, quando poi sei costretto a lasciare tutto, allora sì che è per sempre, e quel per sempre è intollerabile, soprattutto perché solo in quel momento ti rendi conto che di quel tutto che avevi non hai fatto quasi niente di buono, e a volte lo hai perfino disconosciuto.

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XIV Quando è morto il mio più caro amico era ancora presto per morire. Diamine, era immerso nella mia infanzia, era ancora palpitante di scritte oltraggiose sui diari di scuola o di corse dietro a un pallone, di grida in un cortile che potevo sentire ancora distintamente nelle orecchie. Non poteva essere morto. Mi sembrava che non ci fosse niente di vero, che la vita fosse una presa in giro e che si potesse tornare indietro e far tornare tutto come prima. Non poteva essere andato, e infatti non era lì, non c’era già più. Non c’era nelle parole del prete, e non c’era a confortare il dolore dei presenti, non era lì in nessun modo, o meglio: io pensavo così, volevo pensare così, e questo mi aiutava a non piangere. Pensarlo in quell’altrove da cui non avrei più potuto recuperarlo, qualunque luogo o non luogo fosse. Consegnato al silenzio. Ma quando siamo arrivati alla sepoltura è passato un alito di vento tra i pioppi e io mi sono dimenticato per un attimo dove ero, ho alzato gli occhi e in quel fruscio ho sentito tutti i ricordi e la nostalgia di un tempo di cui non avrei mai più potuto parlare. E’ stata una cosa dolorosissima e ha continuato a esserla finché sono stato in grado di soffrire. Non erano i ricordi a essere dolorosi, ma il loro riaffiorare e il non poterli più condividere con lui, che poi ero io. Non avrebbe più potuto ascoltarmi e quello che mi sembrava più grave era che io non avrei più potuto ascoltare lui. Era una cosa che faceva male perché avevo continuato a desiderarlo in tutti gli anni in cui eravamo stati lontani. Era l’amico che avrei voluto vicino per tutta la vita, e invece per certi versi era stato il più lontano. Mi è rimasta per anni questa specie di rimorso per questa mia indolenza nel non aver voluto o non aver saputo rompere quella sorta di membrana con cui lui si proteggeva senza voglia. Così lo penso spesso, e continuo a scrivergli mentalmente una specie di lettera postuma che serve solo a me, per provare a riempire un po’ del vuoto che ha lasciato e quello che lascerà da qui in avanti in questa situazione che mi ostino a chiamare la mia vita, ma solo perché non ho in mente altri termini più adatti per definirla.

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XV Il mio amico era furtivo negli sport, atletico e veloce. Avevamo giocato insieme a basket e a football, e lui era come i Toccaefuggi, scattante e imprevedibile. Dev’essere per questa analogia che ho cominciato a pensare che Ciuffobianco potesse essere la reincarnazione del mio vecchio amico. Intendiamoci, non che io creda a discipline orientali, kharma e samsara… dico solo che ad un certo punto ho pensato che Ciuffobianco fosse arrivato lì con la precisa funzione di ricordarmi il mio amico. Più lo osservavo più riconoscevo somiglianze. Mi sembrava addirittura che nei battibecchi Ciuffobianco assumesse quella tipica postura di chi apparentemente arretra, ma in realtà sta solo comprimendosi e raccogliendo le forze per attaccare, e l’attacco può essere fulmineo e improvviso, quando meno te l’aspetti. Sembrava proprio assumere lo stesso atteggiamento pugnace e felino del mio amico, che nelle contese aveva un eloquio insidioso e combattivo, fatto di rapide battute efficaci e a volta tranchant, che chiudono la contesa, e che a volte potevano avvalersi anche delle braccia, che si facevano sotto a scopo intimidatorio, come le incursioni di Ciuffobianco. Naturalmente quando si imbocca una strada del genere si entra in una specie di delirio (ma tutto attorno a me lo è) che trova al suo interno le sue conferme e le sue validazioni. Guardavo il comportamento di Ciuffobianco e mi sembrava di prevederne le mosse, così come avevo la presunzione di indovinare le posizioni del mio amico nei lunghi anni in cui non ci siamo più frequentati, ed ero certo che le avrei capite nel caso in cui fossero state diverse dalle mie, perché lo conoscevo. Accadeva la stessa cosa con Ciuffobianco. Di entrambi conoscevo i fondamenti: l’indole, l’atteggiamento speculativo, il modo di usare paradossi e metafore, il voler capire, l’essere più intelligenti del branco. Col mio amico non ho più avuto avuto il tempo. Avevo rimandato tutto a una ipotetica vecchiaia in cui saremmo stati liberi dalle incombenze e con tanto tempo a disposizione da passare insieme e fare la disamina della vita trascorsa.

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XVI Quando se n’è andato ho capito cosa significa quella famosa banalità che dicono spesso: quando muore qualcuno che ti è caro muore una parte di te. Prima non me n’ero mai reso conto, mi sembrava una frase fatta, ma quella banalità era diventata un bruciore freddo che avevo nel cuore, che faceva come una specie di vuoto pneumatico e doloroso. Lo conoscevo fin da bambino, e avevamo fatto il liceo insieme. Compagni di banco. Tutto quello che avevamo condiviso aveva ormai soltanto me come testimone, io disgraziatamente avevo perso il mio testimone più attendibile, l’unico che avrebbe potuto scongelare il mio cadavere diciottenne che tengo nell’obitorio dei miei ricordi e rianimarlo, rendendolo vero, cioè diverso da come lo ricordo. A volte mi ritorna il ricordo di quella specie di vitale frenesia che aveva, il suo modo di parlare concitato, sarcastico o polemico, sempre vivace e spesso espresso per iperboli. Lì ci vedo Ciuffobianco col suo frenetico e intelocutorio cinguettare. La memoria mi rimanda indietro tante immagini di un periodo leggero, caldo e polveroso, un’aria che girava intorno alle persone, di gran lunga migliore di quella attuale. Un periodo in cui tutto era ancora da fare e noi avevamo la vita davanti. Se ripenso alla sensazione di avere la vita davanti, adesso, non riesco proprio a recuperarla. Non riesco a capirla. Riesco solo a ricordare l’ultima volta che l’ho pensata, che è stata quando è lui andato via. Lui, con cui avevo diviso quell’eta in cui si ha la vita davanti. Poi guardo i Toccaefuggi e di nuovo mi immergo in questa specie di delirio che può sembrare un gioco: quello stormo di uccellini là fuori siamo noi, la nostra banda di ragazzini, loro hanno la vita davanti e io ho davanti loro: è il mio film. Gilmour, Verrina, Kildare prendono nomi e cognomi, il loro volo diventa la corsa di ragazzi e ragazze nel cortile di una scuola, e ci sono io che corro dietro a Ludmilla, e c’è Ciuffobianco laggiù insieme a Corina.

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XVII Con il mio amico l’intesa non era perfetta, ci mancherebbe, ma c’era un riconoscimento reciproco: la sua intelligenza per me era la più geniale e straordinaria, e mi piaceva ancor di più perché accompagnata da una sensibilità che nascondeva con una sarcastica ostilità. Anche lui riconosceva alcune mie doti, ma adesso non ricordo più quali. Ma l’intesa era proprio simile a quella che ho avuto poi con Ciuffobianco, quando capisci uno anche quando sbaglia. Avevo visto Ciuffobianco affermarsi, diventare adulto e poi capo. L’avevo visto sposarsi e quando tutto sembrava andare per il meglio lui è volato verso i cieli silenziosi. Aveva compiuto buona parte dell’opera ed è sparito prima di godersi i risultati e il meritato riposo. Con il mio amico d’infanzia è andata in modo più o meno simile. Conoscere uno nel momento in cui la debolezza diventa forza è un modo di conoscerlo che non ha eguali. Se penso a me stesso in quell’epoca, mi vedo debole e incerto e immagino che anche lui lo fosse, anzi, lo so. Ma anche lui, come me, aveva messo in pratica le strategie giovanili per nascondere la debolezza. Entrambi conoscevamo tacitamente le reciproche debolezze e le relative strategie, e forse quel tipo di conoscenza di una persona ce l’hai solo quando l’hai conosciuta negli anni della formazione. Comunque penso che entrambi dovessimo ancora sviluppare quella specie di forza e anche di cinismo (lui qualche volta faceva il cinico già allora) di cui necessariamente ti devi dotare nella vita in quei pochi anni in cui hai la sensazione di essere alla guida e stai andando veloce. E comunque ho la presunzione di aver continuato a conoscerlo e a capirlo a distanza, nonostante la distanza, perché avevo Ciuffobianco che lo rappresentava alla prefezione. Nel mio delirio a volte si confondevano, e io stando alla finestra potevo assistere alle azioni del mio amico, fare il tifo per lui.

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XVIII A volte (parlo di quando ancora provavo sentimenti ed emozioni) mi prendeva come una specie di invidia per il mio amico che se n’era andato via presto, evitando con una sorprendente azione strategica questa interminabile fine, questa fine della fine che inizia sempre presto e sembra non finire mai, pur facendo sembrare ogni giorno come se fosse l’ultimo o quasi. In questa situazione la morte arriva ormai senza causa, come un conoscente che passa a trovarti dopo tanti anni, senza un vero motivo. Ma quando la morte arriva improvvisa è come quando ti suona alla porta nella notte il vicino di casa: c’è un motivo. Quindi mi lambiccavo il cervello, chiedendomi in continuazione se in questa incomprensibile esistenza che trascorriamo tutto succeda a caso, che poi sarebbe il nome che noi diamo a sistemi oltremodo complessi e insondabili, o se invece tutto accada per una causa. Se c’è un motivo per cui il vicino di casa suona alla tua porta alle quattro di mattina, o se invece il vicino non sia un pazzo sconsiderato e sonnambulo, che nottetempo esce inconsapevolmente dalla sua dimora e si avventura per le scale suonando campanelli a casaccio. Ma noi, niente, siamo troppo abituati a ragionare cercando colpe e conseguenze, cause ed effetti, motivi iniziali, origini, e poi ci piace studiare fin dove arriva l’onda del sasso nello stagno, ci piace tanto quel famoso battito di ali di una farfalla da qualche parte del mondo che causa un terremoto dall’altra parte. E quindi eccoci a cercare cause; forse è giusto, ma le cause hanno altre cause, e bisognerebbe vedere questo gioco delle cause fin dove arriva. E chissà se il gioco deve guardare all’indietro oppure in avanti. Chissà se la causa è iniziale, cioè è qualcosa che sta nel passato, o se invece la causa è finale; e tutti gli eventi della vita sono trascinati da un epilogo. Chissà se dietro ad ogni morte che arriva obliqua e anzitempo si potrà mai individuare una vera causa e intervenire prima che gli effetti uccidano, o se invece la morte sia non solo la causa di se stessa ma puranco la causa finale di tutti gli eventi pregressi,

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ognuno dei quali ha concorso per la sua parte a costruire la strada e a determinare la fine. XIX Comunque, specialmente dopo la sparizione di Ciuffobianco, stavo a strologare sui perché, e quando nella vita cominci ad andare a cercare i perché e spesso non li trovi, finisci per provare una specie di rabbia, di indignazione, che però non riesci più a scagliare contro niente e contro nessuno e finisci per addebitare alla tua inadeguatezza, alla tua incapacità di accettare la vita per quella che è. Perché se davvero ci fosse qualcosa che fa ammalare e poi andar via, se quel qualcosa fosse come una specie di apertura, una lacerazione che si crea ad un certo punto nella nostra integrità esistenziale, se a un certo punto intervenisse come una specie di sfiducia nei confronti dell’esistenza, come un senso di inutilità, di sfinimento e anche un po’ di delusione (non perché qualcosa sia andato storto, ma solo perché cominciamo a individuare il tessuto dell’esistenza, e guardandolo da vicino comincia a non piacerci troppo) allora i motivi che hanno fatto morire il mio amico avrebbero potuto essere gli stessi che avrebbero fatto morire me, qualora fossi morto quando ero ancora vivo. Ma non è stato così: sono sopravvissuto alle cause del decesso. Infatti, come appunto ho cercato di spiegare, a me tocca morire da morto. Come dicevo, fino ad un certo punto c’è stata, a consolarmi, a sprazzi, una forma di fede che da qualche parte di me doveva essere rimasta: mi sembrava ancora di intravvedere le leggi del cosmo; e se c’era un ordine ci doveva essere una volontà che lo metteva in atto, un’intelligenza universale di cui è intriso per non dire costituito ogni angolo di materia e di antimateria. Allora mi veniva in mente che forse ci doveva essere anche un perché che rispondesse a tutta questa ingiustizia e a questa dolorosa incomprensibilità.

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XX Logicamente, affinché fosse un perché degno di chiamarsi tale doveva essere un perché che io fossi in grado di capire, non uno di quei perché imperscrutabili e sovramondani di cui vagheggiano i preti, no, doveva essere un perché chiaro e semplice, che fosse capace di far smettere di piangere un bambino. Un perché comprensibile, alla portata di chi fa la domanda e di chi subisce il danno dell’incomprensibilità. Ma il perché non c’era, e allora pensavo che forse vediamo solo apparenza; e che la verità vera è nascosta e immutabile ed eterna e palpita di senso. Che la luce da qualche parte ci sia, e che niente vada perduto. Che le vecchie fotografie delle famiglie, i vecchi album buttati nella spazzatura vuotando le case dei morti siano solo dei simulacri di materia, ma che quei momenti e quei sorrisi continuino ad esistere da qualche parte in un eternità perfetta. Per secoli ho implorato il cielo sperando che queste cose fossero vere, e che i dialoghi interrotti dalla morte potessero riprendere da qualche altra parte e in un altro modo. Adesso non so più. Anche qualora il cielo rispondesse non sarei in grado di intendere. Forse ha risposto, e io non sono stato in grado di sentire, chi lo sa, ero distratto, quando ero ancora vivo… e invece poi, da quando sono qua dentro, mi sono sempre rivolto al cielo per prassi, dapprima nella convinzione che pregare fosse un modo per mettermi in contatto con la mia interiorità, col mio dio interiore, per così dire, ovvero la parte migliore che sapevo esprimere. Poi anche la certezza di questa parte migliore si è affievolita. Non trovavo quasi niente di buono, in me… vedevo prevalentemente paura, meschinità, pigrizia e in un primo tempo tanta rabbia, che poi è diventata tristezza. Come avrei potuto rivolgermi a un dio terrorizzato e triste? Quale conforto ne avrei potuto trarne? Quindi mi rivolgevo al cielo con la stessa abitudinaria inerzia con cui compivo le altri azioni quotidiane, tutte scandite dal protocollo. Senza nessuna aspettativa né dall’alto né dal basso. Restava per fortuna ancora un brandello di mondo là fuori, dove si svolgeva la contesa tra i Toccaefuggi e i Cambiaposto.

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XXI Guardando loro riscoprivo ancora un po’ del dio potente e misericordioso che ero stato o in cui avevo creduto in qualche momento; gettando le briciole non ero più tanto terrorizzato e triste. Parteggiando per i Toccaefuggi stavo dalla parte del bene. Ma un dio, non dovrebbe essere al di sopra del bene e del male? Chiaramente stavo facendo il male dei Cambiaposto. Facendo il bene, non potevo esimermi dal fare il male. Questo mi aiutava a capire Dio e mi apriva uno spiraglio su quel famoso perché, come se bene e male fossero due categorie alle quali perfino Dio doveva sottostare. Alla fine ogni mio intervento mi è sembrato un errore. Ogni azione passata mi sembrava un intervento arbitrario e ingiusto, che puntualmente aveva peggiorato le cose. Giunsi alla conclusione che mai avrei dovuto fare una mossa, e quello sarebbe stato un atteggiamento veramente divino, da vero dio. Essere così al di sopra delle parti e così rispettoso da non intervenire mai, fino a far sorgere il dubbio di non esistere. L’altro giorno il mattino sulfureo non lasciava presagire niente di buono, tuttavia un po’ di speranza rimaneva impigliata in quella luce rossastra che baluginava all’orizzonte. Sembrava che il sole tentasse in qualche modo di perforare l’aria caliginosa e gonfia di pioggia, spessa come una lanugine di metallo, come un pulviscolo di nebbia carbonica che avvolgeva la città. Albeggiava appena ma nella mia stanza la luce era già accesa. Forse era addirittura rimasta accesa tutta la notte. Ormai accade così da parecchio tempo, mi pare da sempre, e quindi comincio a pensare a me, che non sono più proprio io, ma che è già diventato un noi. Un me che è diventato tutti quelli che hanno già fatto o che stanno per fare quell’ultimo passo. Lo sento per tutti, sento che è possibile, altamente probabile ormai quasi certo, praticamente certo che potremmo arrivarci, ci dovremmo arrivare ci dovremo arrivare, ci arriveremo, ci arriveremo anchilosati, esausti, logorati, ci arriveremo certamente, forse sfiniti, arriveremo tutti lì davanti, davanti all’improvviso, tutti noi tutti insieme anche

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se non ci arriveremo tutti insieme tutti contemporaneamente, all’improvviso da tempo atteso al punto certo, ormai sicuro, altamente certo, è sicuro che saremo tutti lì, lì a quel cospetto certo ormai imminente probabilmente imminente, servi e padroni, carnefici e vittime, saremo lì, guidatori e trasportati, senza addii né tantomeno arrivederci, saremo tutti lì per l’ultima volta, lì davanti al punto d’arrivo al punto di non ritorno, al punto, insomma. XXII Avremo o non avremo aspirazioni, non le avremo, saremo aspirazioni, saremo al punto di cui s’è detto che sarebbe arrivato e lo diremo ancora o non lo diremo, saremo lì tutti insieme, di fronte a ciò che finalmente sarà arrivato, senza che niente arrivi in nessun posto saremo lì a non dire niente e a non tacere niente. Arriveremo al cospetto di quel punto senza aver torto e senza aver ragione. Non vorremo silenzio e avremo silenzio, non vorremo vuoto e avremo vuoto, o volendoli entrambi non li avremo, diremo di non averli, di non avere niente. Diremo di non avere niente, di non essere niente, dopo aver avuto ed essere stati, diremo o forse taceremo del vuoto e del silenzio e ci sarà qualcosa di più del vuoto, qualcosa di più del silenzio, diremo del nulla ma non ci sarà il nulla. Saremo lì, qualcuno sarà lì, saranno in molti a sperare in un perdono senza aver perdonato e a sperare che non ci sia giudizio avendo giudicato, avendo fabbricato le categorie della morte qualcuno spererà di non morire e infatti non ci sarà morte probabilmente e neanche vita, ci sarà soltanto il fatto che ci arriveremo. Saremo lì al cospetto dell’ineluttabile del grande vuoto che ci inghiottirà e che inghiottiremo senza essere morti e senza essere vivi, consegnati semplicemente al silenzio, al sempiterno addio per sempre a tutto, saremo lì di fronte all’addio e non diremo addio perché non avremo voce, staremo semplicemente attoniti senza sapere, a contemplare il nulla che però non ci sarà a

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dirci che è nulla, saremo noi a essere nulla. Giaceremo lì e diremo: “eravamo a un passo dalla redenzione, innumerevoli volte siamo stati a un passo dalla redenzione e quando saremo lì vedremo probabilmente che non ci sarà più redenzione, forse vedremo che non c’è mai stata colpa, dunque non c’è mai stata redenzione e non ci sarà bisogno di redenzione; non ci sarà più bisogno, nessun bisogno, staremo lì senza nessun bisogno, staremo lì atterriti senza paura, sospesi senza attesa, finiti senza fine come siamo stati all’inizio. Diremo senza fine che c’è stato un inizio, diremo che c’era un prima e c’è stato un dopo ma saremo lì nel presente finalmente, proprio quando non ci sarà più presente saremo lì senza presente, assenti di fronte al presente. XVIII Diremo adesso quando non sarà più adesso e parleremo tardi di un prima che c’è stato, di un dopo che c’è stato diremo o forse taceremo, di un dopo che ormai è stato prima, e diremo prima senza ricordare d’essere stati, d’esserci stati, in quel prima, poco prima che tutto il prima e il dopo venissero spazzati via dal nostro essere lì davanti. Cercheremo di avanzare d’un passo, cercheremo, diremo: avanziamo d’un passo ancora, in modo che ci sia un dopo, ma saremo lì con il dopo alle nostre spalle, saremo lì spalancati senza possibilità, senza poter fare altro che esserci ancora per poco, quasi non esserci più, renderci conto di non esserci mai stati, d’esser stati qualcos’altro, d’essere andati via prima che tutto accadesse. Staremo sbigottiti davanti al motivo per cui eravamo arrivati al punto esatto d’arrivo, al compimento del ciclo che non è detto sia rivelazione, sarà solo il punto d’arrivo, il punto di vista, uno sguardo, l’ultimo sguardo e dentro lo sguardo la nostalgia dell’eterno, la memoria di un rimpianto. La vedremo spegnersi, perdersi, saremo arrivati e senza saperlo saremo lì con tutte le nostre teorie e i nostri emendamenti, probabilmente, quasi sicuramente, per certo ci saremo tutti,

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saremo tutti lì, attoniti a guardare e non vedere, a guardare lo sguardo che non ha visto e non vedrà, che vedrà ciò che ha visto e lo rivedrà, e saremo guardati da ciò che abbiamo visto e saremo forse lì a pensare di farcela. Dopo aver odiato cercheremo un abbraccio e non avremo braccia, non avremo fame, avremo pane e non sapremo neppure di non avere più fame, non avremo mai più fame. Dormiremo e non avremo sonno e veglieremo una veglia di dormienti e saremo lì senza saperlo, immobili, non avremo quiete e non avremo modo di poter dire: non ho quiete, staremo solo immobili, insonni su quello che credevamo l’abisso e diremo: non c’è abisso. Staremo al cospetto di niente, guarderemo niente, spinti da nulla perderemo la memoria di tutto, dell’ultima volta che avemmo memoria. Sapremo di non esserci, diremo di non esserci, lo diremo tacendo; saremo dopo il silenzio, taceremo tutti lì di fronte al punto, e diremo: ci siamo. Lo diremo tacendo e saremo lì in un modo diverso da tutte le altre volte in cui ci siamo stati. Tempo fa ho cominciato a sentir battere alla finestra, di notte. Da allora accade immancabilmente, con frequenza crescente; e ogni notte i battiti si fanno più forti ed insistenti. E’ come un tichettio che scandisce le ore, le ultime ore, è il richiamo, è come un richiamo al tempo che scorre e non passa, perché quasi certamente è in arrivo la fine del tempo,e quando si avvicina la fine il tempo rallenta, tende a zero. Un giorno vale quanto un’ora, quanto un minuto. I giorni sono secondi, e i secondi sono anni, sono tutti gli anni. Il tichettio è sempre presente, anche quando nessuno batte ai vetri: di certo è Ciuffobianco che mi chiama all’ultimo spazio, quello che non ha dimora.

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tema: la partenza soggetti suggeriti: strade, stazioni, cittĂ deserte al mattino, lontananze varie, persone solitarie, oggetti abbandonati

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LE ULTIME COSE

1. la scena in cui Una città di mare del Mediterraneo. D’estate, la mattina presto. Le case immerse nella luce silenziosa, ancora silenziosa. La città è bellissima, o sembra bellissima; un gioiello di luce e di silenzio. Che città? Potrebbe essere Rabat, Almería, Cagliari o anche Argostoli, non ha molta importanza. Ogni città ha la sua luce, le sue mattine d’estate con la luce silenziosa, quella luce ancora un po’ pallida, prima che la città cominci ad animarsi. Luce sospesa, che si può guardare alla finestra e non dalla finestra, perché ci si naviga dentro. La luce entra in casa ma non fa ombre, non ancora. Bisogna aspettare ancora un’ora e più prima che il sole sparga bagliori di trapezi, triangoli e righe sui muri e sui caloriferi. Poi va su, e la luce arriva fino alle gambe delle poltrone, ai tappeti, ma per ora è una luce d’anteprima, un avviso di luce, un suono di trombe che annunciano l’imminente arrivo della luce. C’è quel silenzio sospeso nella luce, prima che comincino le prime seghe circolari, le prime frese, i primi flessibili nei cantieri. Prima che arrivi il traffico. Prima che il calore trionfi. La città non dorme più, ma non è ancora sveglia. E’ un limbo nel quale ci sono ancora tutte le possibilità, tutta l’energia potenziale, tutte le possibili telefonate, gli arrivi di notizie, le partenze, come la mia, che devo partire in questa luce sospesa che ha dentro tutte le possibilità sospese in una luce silenziosa. 47


2. le ultime cose Alcuni giorni fa è arrivata la convocazione, quindi ormai la mia partenza è certa. Dal momento che mi sto preparando da tempo per questo viaggio, che poi un vero viaggio non è, ho già sistemato tutte le faccende importanti. Non mi resta che occuparmi delle ultime cose. Ma cosa sono poi, queste ultime cose? Le ultime cose che lascio qui, e le ultime cose da portare via. Gli ultimi accorgimenti nei confronti di ciò che abbandono, (per sempre, probabilmente) e le ultime cose da mettere nel novero degli oggetti necessari o utili in un viaggio di questo tipo, che poi un vero viaggio non è. Le cose da lasciare, vediamo... Qualcosa da lasciare in bella vista sulla scrivania, perché una scrivania vuota sa di morte. Non certo i miei esperimenti letterari, buoni tuttalpiù per il bugliolo, e neanche comunicazioni personali, mandate o ricevute. Ci vorrebbe una qualche missiva importante che ho ricevuto da un ente, qualche encomio o qualche lettera d’incarico. Poi una bella penna, non di lusso. Una penna di quelle che usano quelli che scrivono tanto e sanno scegliere, non le penne più belle ma quelle che scrivono meglio. La rubrica? Forse potrebbe dare una cattiva immagine di me, disordinata e confusa. L’agenda idem. Lascio un pacco di fogli bianchi, qualche libro e qualche annuario. Una cartella con le comunicazioni condominiali. Chiudo il gas, chiudo l’acqua, la corrente all’ultimo. Questa convocazione sembra una condanna o una diagnosi infausta. E’ un atto definitivo, qualcosa che finalmente mi farà fare quel benedetto ultimo passo per valicare il confine e lasciarmi un bel po’ di roba alle spalle, nel bene e nel male.  Mi lascio alle spalle solo le ultime cose, perché le cose importanti, le prime, le ho già lasciate da tempo, forse non le ho mai possedute. Magari le cose importanti non si possiedono, si vivono e basta, e io semplicemente non le ho vissute. Non ho

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vissuto niente di importante. Niente di importante da lasciarmi alle spalle. Non ho mai avuto un grande amore, non ho mai vissuto un’avventura straordinaria, no ho mai fatto un viaggio bellissimo, non ho mai passato notti brave. Fino a una certa età mi son chiesto se si chiamassero “brave” per contrapporle chiaramente a quelle cattive. Di notti cattive ne ho passate a centinaia. Notti insonni a celebrare il mio nulla, a rinvangare il mio nulla che voleva affermarsi su altre nullità. Neppure una notte passata sveglio a pensare a una conquista, a una vittoria. E neppure a una sconfitta. Non ho mai vinto un premio o una coppa, non ho mai festeggiato un successo scolastico o lavorativo, ma neppure ho memoria di momenti tragici o disperati. Devo eliminare l’ultima biancheria sporca dal cestone, non vorrai mica che chi arriva qui trovi delle mutande o dei calzini da lavare. Lasciare tutto ordinato, ben pulito. Togliere quella scaglia di sapone dal lavabo, e sciacquare via i residui cerosi dalla ceramica. Staccare il frigo, che è già vuoto. Non lasciare assolutamente roba da mangiare. Qualche telefonata per salutare i conoscenti, forse. 3. mentre ero a pisciare Peccato dovermi occupare solo delle ultime cose, giacchè per tutta la vita mi hanno, anzi, mi avrebbero interessato le prime. Di ogni cosa, la parte meno nota è il suo inizio, la sua causa prima, e io ho sempre avuto un’incredibile attrazione per l’epistème. Da studente avrei voluto capire, impegnarmi per tutta la vita nel sogno dell’interpretante, e alla fine avere in premio il risveglio da quel sogno, la comprensione, la conoscenza certa e incontrovertibile delle cause e degli effetti del divenire, ovvero quel sapere che si stabilisce su fondamenta certe, al di sopra di ogni possibilità di dubbio attorno alle ragioni degli accadimenti. Ma è andata diversamente. Per tutta la vita ho avuto a che fare con le contingenze, e mentre io disperdevo intere centrali di energia

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dietro a consegne, scadenze e ottemperanze varie, il mondo che c’era prima si è sciolto nella sua parte più essenziale e senza che io me ne accorgessi si è ripresentato in tutt’altra guisa, che poi sarebbe la sua ultima faccia prima della putrefazione. Qualcuno deve aver cambiato le carte in tavola mentre ero al cesso a pisciare. Quando sono tornato, ho assistito per la prima volta nella storia ad un fatto assai singolare, noto alle cronache con il vezzeggiativo di Apocalisse. Da un mondo in cui tutto era ancora da fare si è passati a un mondo in cui tutto è già stato fatto, e dopo avere abbondantemente fermentato volge alla putrefazione. E tutto è successo in un batter d’occhio. Ma non voglio essere troppo categorico, affermando che tutto è successo mentre mi sono assentato. Probabilmente mi sono distratto nel momento finale di un processo incominciato da migliaia d’anni, forse addirittura dall’inizio. Quando dico “l’inizio”, non so di cosa parlo, quindi lo dico solo perché ritorna la mia voglia di risalire, di tornare indietro alle cause scatenanti. Ma non ha più alcun senso. Forse, se avessi parlato prima di andare a pisciare, si sarebbe potuta rallentare un po’ l’ultima goccia, aspettare un attimo prima di far traboccare il vaso. 4. un po’ di colla Inutile dire che questa partenza coincide con il completo fallimento della mia vita personale. Oppure ne è la conseguenza, o anche forse la causa. Molti sostengono che la vita ci appaia per come la guardiamo, e siccome è andata male a me, io guardo la realtà come se fosse andata male al mondo. Potrebbe essere vero, ma potrebbe essere vero il contrario. In ogni caso, comunque sia andata, causa o effetto che sia, il completo fallimento della mia vita personale è lì ben chiaro, nel linguaggio burocratico che scandisce le poche righe di quella lettera: “... essendo la sua segnalazione di inadeguatezza completamente certificata dai nostri controlli sulla sua attività, le

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comunichiamo il suo trasferimento presso...” Il completo fallimento della mia vita personale non è quello che si potrebbe pensare. E’ vero che non sono stato un viveur, e neppure un rampante lavoratore di successo. Non sono stato uno studente modello. Ma nella mia mediocrità non ho avuto tragedie sentimentali, e neanche disastri lavorativi. Anche la mia salute è considerevolmente buona, e questo rende anche un po’ tragica la partenza perché là dove vado le possibilità di sopravvivenza sono basse. Dunque parlo di fallimento della mia vita personale perché, per come la intendo io, la vita personale è quella che si costruisce sulle prime cose, quelle cose a cui avrei dovuto prestare attenzione. Le voglio enumerare ad una ad una, anche se mi ero riproposto di non occuparmene più. Non devo, non posso, non voglio più occuparmi delle prime cose. Mi restano le ultime, le bazzecole di uno che sta per partire. Però prima di chiudere baracca e burattini voglio enumerare quelle prime cose ad una ad una, almeno per quanto mi ricordo. Voglio attaccarle al cartone, come fotografie nell’album di famiglia di congiunti che ho perduto. Senso, verità, amore, bellezza, utilità, giustizia, intelligenza. Roba che oggi si può acquisire con un click. Oppure viene venduta insieme alle merci, e che nei giorni che viviamo è facilissimo comprare a poco prezzo: basta aspettare un’offerta. Ma quando la mia vita personale è cominciata, quella roba si doveva andare a recuperare in luoghi impervi e faticosissimi. Senso, verità, amore, bellezza, utilità, giustizia, intelligenza. Non è che mi siano mancati, ho avuto qualche frequentazione. E come me, molti altri. Poi, pian piano, a queste cose se ne sono affiancate altre, il cui fulgore all’inizio non era altro che una flebile fiammella. Anzi, neppure. Si vedeva soltanto il loro riflesso, perché erano illuminate dalle prime cose, le uniche davvvero luminescenti.

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5. un pezzo per volta Qualcuno potrebbe pensare che il completo fallimento della mia vita personale dipenda dal fatto che queste prime cose mi hanno abbandonato. Non è così. Queste cose sono scomparse. Non sono andate da un’altra parte. Si sono dissolte, sostituite dai loro riflessi. Qualcuno deve aver progettato qualche marchingegno olografico che ne riproduceva perfettamente i sembianti. Appena il riflesso si accendeva, la cosa spariva. Qualche abile progettista deve aver trovato il modo di tenere acceso un riflesso anche quando la luce si spegne. Molti non se ne sono accorti. A loro non arrivano convocazioni, non devono partire. Tutto è successo anche per loro, ma sembrano non cogliere le differenze tra le prime e le ultime cose. Ritengono anzi che le ultime cose altro non siano che le prime rivedute e aggiornate, e in questo fraintendimento non c’è solo la loro condanna, ma la sentenza per tutti. Nel luogo dove devo andare pare non ci siano né prime né ultime cose. Non c’è niente, o quasi. Non è che abbia notizie certe, sono voci. Qualche collega ha definito quel luogo “ai confini della realtà”, usando il titolo italiano di una vecchie serie televisiva. Logicamente è un modo di dire; ma per come la vedo io, la realtà sta veramente tirando le cuoia. E la realtà è la realtà, non è che sia in un luogo particolare, è dappertutto. O almeno dovrebbe esserci. Dico “dovrebbe esserci” perché sempre più spesso io non la trovo, non la rirovo. Data così, per quello che è, la realtà mi appare nella sua fase terminale. Ma sarebbe meglio dire che quei pochi brandelli che ne rimangono e che posso ancora osservare se sono abile o velocissimo, si stanno sfaldando sotto i miei occhi. La realtà, nella sua fase terminale, mi appare nella sua inconsistente assurdità. Mi chiedo: ma come ha potuto la realtà (che è una cosa reale, indubbiamente, tanto reale da poter infondere a tutto quello che c’è dentro di lei lo statuto ontologico di “realta”), sgretolarsi, farsi da parte e lasciarsi sostituire dai suoi simulacri?

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Mi hanno detto che non è così, che la realtà c’è sempre, nascosta sotto le rappresentazioni delle contingenze umane, come una sottile musica che non si sente per l’enorme rumore di fondo di tanti motori elettrici che servirebbero per amplificarla, ma il cui funzionamento è più rumoroso del segnale che dovrebbero evidenziare. Bisognerebbe poi vedere se questi motori siano fuori o dentro la realtà. A me pare che non siano nella realtà, e neanche nella realtà amplificata che dovrebbero riproporre. Forse sono nel rumore. Appartengono al rumore. Ecco, una delle ultime cose è il rumore. Il rumore non assordante, anzi, quasi rassicurante, del Grande Meccanismo che gira, fluisce, si ingrippa ogni tanto, facendo ancora più rumore, per poi ripartire con il suo ronzìo. Chiudo la valigia. Un’altra delle ultime cose. La casa è in ordine, tutto spento, tutto chiuso, lasciare le chiavi al bar. Scendo, tanto che cosa ci sto a fare in casa? Aspetterò al bar. Appena entrerò lascerò le chiavi, poi ordinerò un caffè e mi metterò al tavolino d’angolo, dove si vede bene la strada e anche l’entrata. 6. quando veramente Il giorno, quello vero, quello della gente che si dice “buongiorno” è cominciato. Qui nel bar sì che ci sono delle belle geometrie di luce, gli spari di sole sui laminati dei tavolini, il bancone illuminato di sbieco, il pavimento pieno di triangoli d’oro. Guardo fuori dalla vetrata, la gente si affaccenda e il fermento sale. Pensando per un attimo alle vite degli altri mi sono dimenticato della mia, di quella che sarà da questo momento in avanti, da domani in poi. Provo ansia per questo trasferimento per cui mi sento impreparato, direi anche inadeguato. E poi l’ansia è aumentata dalle voci di chi ha cercato in qualche modo di rassicurarmi, di prepararmi, di darmi qualche consiglio utile. La descrizione più terrificante è stata quella di un tizio che mi ha detto: “è un luogo dove non c’è natura”.

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Si potrà obiettare che tutto è cominciato da me, sono stato io a mandare la segnalazione di inadeguatezza; forse in un primo tempo pensavo solo a un cambio di mansioni, non a un trasferimento. Ma poi ho saputo che per quasi tutte le segnalazioni di inadeguarezza viene disposto un trasferimento. Come dire: se sei adeguato stai qua, però non ti lamenti; se invece sei inadeguato, vai. E tutto sommato, anche quando sono riuscito a capire che mi avrebbero trasferito, non ho sollevato obiezioni. Ero quasi sicuro che mi avrebbero spostato in qualche altro posto simile, l’hanno già fatto in passato. Pensavo che tutto si sarebbe risolto con un semplice cambio di indirizzo... non pensavo che mi avrebbero mandato in capo al mondo. Poi pian piano mi sono persuaso che il trasferimento sia di fatto una sanzione. Colleghi, gente al bar, letture tra le righe negli articoli dei giornali... un sacco di frasi colte qua e là mi hanno fatto capire che lo spazio per gli inadeguati si riduce sempre di più, forse in maniera inversamente proporzionale al numero di inadeguati o presunti inadeguati facenti domanda. Presto metteranno un numero chiuso anche per gli inadeguati. Ci sono stati anni in cui gli inadeguati avevano i loro spazi. Qualcuno di loro, addirittura, veniva celebrato e preso ad esempio. Oggi sono un elemento di disturbo, non fanno più notizia, non c’è più nessuno disposto a cercare in un inadeguato qualche talento nascosto, così da ritargliargli un qualche ruolo adatto. Li trasferiscono. Ci trasferiscono. Nessuno riflette sul fatto che se uno è inadeguato è inadeguato e basta. Inadeguato anche per un trasferimento, anzi, a maggior ragione. C’è un posto per gli assassini, per i malati, per i deficienti, perfino per i nomadi, ma non c’è un posto per gli inadeguati. E’ una bruttissima faccenda. Il posto dove andrò (dove credo che andrò, perché di destinazioni nessuno mi ha parlato) non è un posto per gli inadeguati. Dicono che lì anche un super-adeguato avrebbe poche possibilità di adattarsi. Quindi il posto per gli inadeguati è

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un luogo a cui è impossibile adeguarsi, un po’ come se per curare un affamato lo si facesse digiunare. Un luogo dove non c’è natura. Cosa avrà voluto dire? Magari voleva soltanto alludere a un posto brullo, senza alberi, senza fiori, senza un fiume o un mare sulle cui sponde sedersi a guardare. Ma la mia sensazione è che si riferisse a un luogo dove non c’è più niente di naturale, neanche i rapporti tra le persone o il rapporto che una persona ha con se stessa. Un posto dove niente della vita quotidiana è regolato da un qualche ciclo biologico, solare, lunare o planetario. Un posto senza stagioni e senza mesi, dove il tempo è soltanto un infinito numero di giorni. C’è chi dice che in quel luogo si facciano le prove generali per il futuro, o per un post-qualcosa che molti aspettano. In quel caso spetterebbe agli inadeguati trovare i paradigmi di un futuro adattamento per tutta la specie... sembra che lì si stia facendo un esperimento per verificare se la razza umana vincerà alla fine la sua guerra contro la natura e riuscirà finalmente a sconfiggerla del tutto. Non è che in quell’area ci sia più odio per la natura di quanto non ce ne sia qua, solo che lì gli effetti dell’odio per il nemico vengono accelerati, in modo da poter vedere se alla fine, quando non ci sarà più neppure un germoglio, una zolla di terra o il miagolìo di un gatto, quest’odio si placherà. Io ho fatto presente diverse volte l’ipotesi che quest’odio non sia connaturato con l’uomo, ma che sia arrivato dopo. Che qualche nostro progenitore si sia rivoltato contro la natura ed abbia cominciato a odiarla perché non voleva più ammettere di esserne parte. Si vergognava. Questa mia idea balzana dev’essere finita sulle mie note personali e deve avere influito negativamente sull’esito della mia segnalazione di inadeguatezza. Più volte mi hanno detto di non insistere su certe idee, su certe frasi tipo “lasciare che la natura faccia il suo corso”. Affermare una cosa simile, mi hanno detto, equivale a negare l’essenza stessa dell’uomo, l’unico essere che può arginare e bloccare il proliferare entropico e incontrollato della diabolica natura, inadeguata anch’essa.

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7. l’invidiabile fretta Quell’invidiabile fretta che ha la vita, forse mi sfuggirà. Fretta di arrivare, fretta di tornare. Mentre si sta, si freme, perché bisogna andare. Di questo sentirò la mancanza, perché devo dire che se qualche volta mi sono sentito a posto, è stato quando ero impegnato a fare qualcosa. Ma questo fare qualcosa, questo qualcosa che viene fatto, fa parte ormai delle ultime cose, si fanno solo ultime cose. Le prime si pensa siano state fatte a suo tempo, e nessuno se ne cura più. Finché sono stato al ritmo di quell’invidiabile fretta mi sono sentito quasi perfettamente adeguato. Le ultime cose che ho fatto, l’ultimo fare, è stato anch’esso una rappresentazione del fare: dovevo giustificare la mia presenza, per cui tra il “da farsi” e il “fatto” frapponevo una quantità indefinita di controlli, di verifiche, di rimodulazioni del fare in corso d’opera, di modo che il fare una cosa significava prima fare una cosa che descriveva come quella cosa sarebbe stata fatta, poi fare una cosa che ridefiniva come avrebbe dovuto essere fatta quella cosa alla luce dei vari pareri che erano emersi quando avevo proposto il documento in cui si descriveva come quella cosa sarebbe stata fatta; successivamente procedevo a definire esattamente i tempi e i modi in cui ogni singolo pezzo di quella cosa avrebbe dovuto essere fatto. C’erano poi da definire le modalità con cui i singoli pezzi avrebbero dovuto essere messi insieme. Ma per definire queste modalità aprivo una nuova procedura, coinvolgevo esperti, e quando alla fine riuscivo a trovare due autorevoli pareri contrastanti ecco che il gioco era perfettamente riuscito, perché tutto il fare si concentrava nel gestire questa divergenza di pareri. Dico “gestire” che è una parola falsa e anche umiliante, quando viene usata in certe locuzioni. Un tempo si diceva: amministrare. Adesso di dice gestire, che deriva sicuramente dal far gesti, e anche qui sembra proprio che chi gestisce faccia i gesti di colui che amministra, come un attore. L’amministrare era una delle prime cose, quelle che non ho avuto tempo di approfondire, perché il

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gestire assorbe tutto il tempo. Stavo appunto dicendo che gestivo i due pareri contrastanti. Mostravo di voler trovare una soluzione, riunivo gli esperti per gestire il loro contrasto e dichiaravo di essere alla ricerca di una soluzione, ma in realtà alimentavo la divergenza perché questo mi rendeva felice ed impegnato, e più la divergenza diventava grande e di dominio pubblico più io mi sentivo importante, più la mia presenza veniva legittimata, giustificata, ritenuta utile, talvolta addirittura indispensabile. Inoltre, l’essere super partes, mi faceva sentire molto onesto ed imparziale. Tutto questo veniva svolto con fretta, con frenesia, quasi, dal momento che nel gestire non si può prendersela comoda, altrimenti tutto rallenta e si corre il rischio di incorrere in qualche ritmo biologico, che catapulterebbe tutto il processo nella brutale entropia della natura. Poi mi sono accorto di tutta la faccenda. E’ successo guardando gli altri, non me stesso. 8. quel sottile involucro Qualcuno mi ha detto che vedo pagliuzze negli occhi degli altri, ignorando travi nel mio. Ma se uno avesse veramente un trave nell’occhio, riuscirebbe mai a vedere una pagliuzza nell’occhio di un altro? Gli altri sono stati il mio campo di osservazione fin da bambino; ho continuato ad osservare i comportamenti delle persone prendendoli fino a una certa età come esempi da imitare. Ma da un certo periodo in poi hanno cominciato ad esercitare su di me una forza repulsiva, una specie di antimagnetismo che mi imponeva di differenziarmi rispetto a ciò che vedevo. Guardavo una persona ordinata e subito sorgeva in me l’impulso ad essere disordinato; a un dibattito culturale al quale le persone prendevano parte con grande accaloramento, io opponevo un atteggiamento grezzo, distaccato e volutamente semplicistico. Ero ateo coi credenti e viceversa. Non c’era irritazione da parte mia per il loro comportamento, volevo solo mostrare quanto la

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loro identificazione con ciò che stavano facendo fosse patetica, nevrotica, ingenua e... non so quanti altri aggettivi ho scartabellato nel mio vocabolario per invalidare l’agire degli altri. Anche questo sicuramente ha avuto un peso nelle informazioni che devono aver raccolto su di me prima di emettere il verdetto di trasferimento. Il fatto è che a me, a un certo punto, è apparso chiaramente il sottile involucro che avvolge le persone, che infonde in loro una certa forma umana, che è qualcosa di diverso e di artificiale rispetto a ciò che dovrebbe essere. Voglio essere più esplicito, su questo punto, altrimenti corro il rischio di esser frainteso, e trattando di ultime cose è fondamentale che non restino quiproquo, perché le ultime cose sono urgenti, quindi senza possibilità di revisione. Quello che ha cominciato a farmi sorgere qualche dubbio è stato il parlare delle persone, che poi è l’esposizione degli strumenti che hanno a disposizione per pensare. Parlare dovrebbe essere un po’ come una jam session per un musicista. Ma un musicista una volta mi ha detto che le vere jam session sono davvero rare, e che i musicisti anche quando sembrano improvvisare, in realtà usano scale e passaggi che conoscono. Sanno sistemarli opportunamente, ma non li inventano. Il parlare delle persone ad un tratto mi è apparso così, come un enorme riciclaggio di blocchi di discorso già fatti in precedenza, già uditi in precedenza, già collaudati e digeriti. Mi sembrava che nessuno più parlasse, ma che in realtà ricollocasse lì pezzi di discorso già fatti. Ho pensato che fossero diventati tutti pazzi, oppure automi, o che mi stessero prendendo per il culo. Poi ho scoperto che anch’io facevo così. Anche per me era molto più facile tenere in serbo quelle due o tremila risposte pronte per tutti i temi dei discorsi conviviali. Erano il corpus della mia personalità: per i più benevoli, ero diventato un simpatico scettico, cinicamente agnostico e fondamentalmente rispettoso delle idee altrui.

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9. la timida abiura Poi mi sono accorto che le parole fanno solchi per il pensiero. E così, quello che ho visto accadere nel parlare, l’ho visto accadere anche nel pensare. Tutto il lavorìo (almeno nel mio caso, ma penso che gran parte della gente accada così) consiste nel metter dentro il maggior numero possibile di teorie, di pensieri già pensati, di definizioni, soprattutto. Perché poi, in questo modo di pensare, che poi pensare non è, le definizioni si sostituiscono alle spiegazioni. Riuscire a definire qualcosa con perizia e cognizione di causa, equivale ad averla sviscerata, perché il posto dove viene collocata descrive la sua funzione nell’architettura globale, dove tutto assume un suo preciso ruolo e una sua precisa connotazione. Più uno ha a disposizione queste definizioni, più queste definizioni sono circostanziate e collocate opportunamente nel sistema globale e messe in relazione con molte altre, più quella persona viene valutata, interpellata e convocata. Tutti vogliono sentire le sue spiegazioni, che altro non sono che frasi che lui ha già dentro di sè. Per un certo periodo anch’io ho adorato queste persone, ho subito la fascinazione delle loro parole e della loro capacità di esprimere certezze in relazione a qualsiasi argomento. Per un certo periodo, anch’io ho cercato in ogni modo di accumulare cosi tanti dati da avere risposte per cose che non conosco. Avendo sottoscritto pienamente (anche se forse non del tutto consapevolmente) questo bizzarro modo di eludere il pensiero, anch’io come molti ho smesso di pensare, essendo a mia disposizione ormai una moltitudine di pensieri già pronti, riferibili a qualsivoglia argomento. L’ho visto accadere negli altri, ma probabilmente, di pari passo, stava accadendo anche dentro di me. All’inizio sembra spaventoso, difficilissimo, ma poi si scopre che basta acquisire un certo numero di risposte e di definizioni per poi veder germinare dentro di se una progenie di quelle prime risposte incamerate. Gli schemi, le forme del pensiero, sono applicabili e coniugabili

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a piacere. Imparati gli schemi, si crede di avere imparato a pensare e invece quell’attitudine viene progressivamente perduta man mano che gli schemi si consolidano. 10. non posso dire con certezza Il bar comincia ad animarsi. Studenti che hanno rinunciato alla quotidiana dose di afflizione e di cultura; qualche rappresentante di commercio che si attarda con il caffè fino all’ora del primo appuntamento, forse amanti segreti che si scambiano un bacio prima di cominciare la giornata, curiosi personaggi che già di mattina presto bevono calvados o Pernod. Guardo, anzi, immagino le loro vite, le vite che hanno da vivere, e poi immediatamente ripenso alla mia. Non ai ricordi. Come ho detto, ho ben poco nei miei almanacchi che valga la pena di esser ricordato: nonostante la mia vita sia già sufficientemente lunga, se mi volto indietro non ho ricordi. Non ho una foto di vacanze da bambino, non ho una casa o un cagnolino che ho amato, non ho foto di gruppo e men che meno foto con a fianco una donna vestita di bianco sul sagrato di una chiesa. Anche in questo caso, non posso dire con certezza che queste cose non ci siano state, nella mia vita. Ma posso dire con certezza che, se ci sono state, ero io a non esserci, quindi non posso ricordare. Affrancato da questa incombenza, non posso far altro che pensare a quello che sarà. Non so descrivere il sentimento che mi sento nascere dentro ogni volta che ci penso...credo sia ansia, ma l’ansia non è un sentimento, forse è solo una sensazione, forse è un’emozione, forse è qualcosa che precede, annuncia un sentimento: un presentimento. La mia vita si è fermata tutta lì, in quell’anticamera che c’è prima dei sentimenti. Ho anche bussato, e qualche volta qualcuno, da dentro, mia ha detto “avanti”, ma io me ne sono andato. Ed ogni volta che me ne sono andato ho avvertito dentro di me, a fianco della frustrazione, un sottile senso di salvazione, come di averla fatta franca, di essermi preservato, di non essermi fatto coinvolgere.

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Così anche i sentimenti sono spariti. Sostituiti anch’essi dalle loro rappresentazioni esteriori. Mi sono accorto che per avere una vita sentimentale è sufficiente mostrare di averne una: ciò basta per poter mettere in scena tutte le delizie, tutti i tormenti e i furori che accompagnano di solito le vite sentimentali. 11. neanche quelle erano le regole Se il mio trasferimento è una sanzione, non la capisco e non la condivido. Ho fatto di tutto per adattarmi allo stato delle cose: anch’io mi sono liberato degli inutili orpelli della coscienza, ho commesso azioni disdicevoli, ho ignorato regole e inscenato falsità; ma questa cosa non ha contribuito ad adattarmi, anzi, al contrario, la mia inadeguatezza cresceva in ragione di quanto io mi immergevo in quelle che avevo inteso essere le regole vere, quelle non scritte e praticate ad onta delle regole dichiarate. Mi sono convinto che tutto il gioco consistesse nell’individuare le regole vere, che bisognasse fin da subito agire con tutto il disprezzo possibile per le regole dichiarate. Ma questa cosa non è servita a niente. Evidentemente neanche quelle erano le regole, perche non hanno portato nella mia vita alcun miglioramento, non solo: alla fine mi hanno reso la vita insopportabile, così insoppoertabile da chiedere di esserne esonerato. Così adesso mi viene imposto di partire, di distaccarmi dall’ambiente in cui ho vissuto. E la motivazione - il reato, se si tratta di una sanzione - è il fatto che non assomiglio affatto, non assomiglio più all’ambiente in cui ho vissuto. Mi risulta molto difficile capire se sia cambiato l’ambiente e io non abbia saputo adeguarmi, o se le mie capacità di adattamento si siano nel tempo deteriorate; sta di fatto che io per primo ho dovuto prender atto che non si poteva più andare avanti così, non avrei più retto. Devo dire che il mio non è un procedimento di urgenza. Non è detto che la mia partenza avvenga oggi, e forse neanche domani. Ma da quando è arrivata la convocazione io ho cominciato ad

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occuparmi delle ultime cose. Ho pulito la casa, tirato giù gli avvolgibili, staccato la corrente e preparato le valigie. Se anche oggi non arriverà la chiamata, vorrà dire che tornerò in casa, dormirò un’altra notte sul divano (il letto omai è senza lenzuola, col materasso ripiegato e coperto da un telo bianco che lo fa sembrare il sudario di un morto inginocchiato) e utilizzerò ancora un po’ d’acqua domattina per farmi la barba e lavarmi, poi sciacquerò il lavabo e richiuderò tutto; riprenderò le valige e scenderò di nuovo al bar. Non voglio che mi trovino in casa, voglio farli aspettare il meno possibile. Se anche quest’oggi passerà la mattinata senza che vengano a prelevarmi prenderò la decisione di andare a chiedere qual è la mia destinazione, dopodiché ci andrò con i miei mezzi. Dirò: visto che ci devo andare ma voi tergiversate, ci andrò da solo. Ma temo che non me lo concederanno, perché in quel modo sarei libero, e come si può ben costatare questo sarebbe un controsenso, dal momento che anche la libertà è stata completamente rimossa. Dev’essere un imperativo categorico, quello di intervenire sulla libertà. Quindi deduco che la libertà dev’essere in contrasto con le regole di coloro che hanno deciso di confinarmi, rispondendo con un eccesso di zelo alla mia richiesta, assumendo un provvedimento assai più ingente della mia banale segnalazione di inadeguatezza. 11. la libertà liberata Sulla libertà hanno agito con particolare cura ed intensità: il simulacro che l’ha sostituita è veramente sorprendente perché all’interno delle scelte obbligate sono state costruite così tante variazioni, così tante possibilità di percorsi alternativi accuratamente differenziati, così tante opzioni, come amano dire, che le persone si sono sentite così tanto libere di scegliere i percorsi da non vedere che la meta poi alla fine era la stessa. Per quelli che l’hanno scoperto è stato coniato appositamente un

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concetto filosofico che attribuisce un enorme valore al mezzo e svuota completamente la meta. Il sistema che ha trovato questo concetto filosofico, è che il mezzo che adoperi determina la meta, ed ecco che subito tutti si sono concentrati sugli strumenti, nella convinzione che strumenti migliori potessero portare a risultati migliori, quali che fossero, al tempo in cui sarebbero arrivati. Quindi creare strumenti era la meta. La libertà non è stata soffocata o occultata, ma sbandierata e moltiplicata in modo esponenziale. Ma anziché essere rivolta alla prime cose, quelle famose prime cose che ho attaccato con la colla nell’album dei ricordi, l’hanno proiettata nelle ultime cose: libertà nella scelta di un deodorante tra diverse centinaia di tipologie, di marche, di profumazioni, di formati, ognuna delle quali declinata in varie versioni, formati, confezioni, prezzo. La stessa cosa si può dire per un detersivo o un succo di frutta, un’auto o un cerotto. Liberissimi, quindi di comperare e anche di esprimere ciò che si vuole. La libertà non viene mai negata, viene applicata ad ogni collo di bottiglia, ad ogni manico di pentola, ad ogni tasto di qualsiasi macchinario o impianto. Ognuno è libero di schiacciare tutti i tasti che vuole, nella sequenza che preferisce. Nel togliere ogni proibizione c’è stato il passo più geniale: ognuno può dire o fare quasi ciò che vuole, può esprimere il suo dissenso nella completa sicurezza che qualunque cosa dica o pensi non succederà nulla, non si modificherà nulla di quanto è stato deciso: in ciò che è stato deciso c’è compreso anche il suo dissenso, che è il benvenuto perché mostra a tutti la libertà di esprimerlo. Ciò che vuole il dissenziente, la sua protesta, è già stata pensata prima e gli è stata inoculata perché lui testimoni che la libertà è garantita. 12. il luogo dove vado Il luogo dove vado mi preoccupa enormemente, anche se la loro logica è quella di affermare continuamente che un inadeguato è comunque inadeguato e quindi è meglio che sia inadeguato in un

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luogo dove non può danneggiare gli adeguati. Ho cominciato a raccogliere informazioni sulla destinazione. Come premessa, dettata dalla mia esperienza, dovrei ammettere che la gente parla spesso di cose che non conosce, e che più le cose sono sconosciute, più su di esse si maturano certezze che possono anche diventare dogmi. Quindi la gran mole di previsioni, di suggerimenti, di descrizioni non ha fatto altro che aumentare l’indefinitezza della mia destinazione. In poche parole, le uniche notizie certe lo descrivono, se così si può dire, come un luogo indecifrabile. Aggettivi come misterioso o sconosciuto sono molto ricorrenti nei racconti di coloro che dicono di avere informazioni certe, magari ricevute da un collega o da un parente che conosce benissimo uno che c’è stato. Di certo è un luogo nascosto, perché non è mai capitato a nessuno di imbattersi in una di queste località cosiddette terminali. Questo non sarebbe granché grave, e per coloro che hanno il gusto dell’avventura potrebbe anche essere un richiamo, uno stimolo, ma a bloccare una prima dose di entusiasmo ci sono tutte quelle accurate descrizioni che lo connotano chiaramente come un ambiente ostile, lontano, collocato in un luogo impervio e praticamente irraggiungibile. C’è anche chi però non parla di cime e di altezze, ma di una enorme pianura, di un luogo la cui inaccessibilità sarebbe determinata esclusivamente dalla enorme distanza che lo separa dai luoghi abitati. E’ logico che su questi presupposti la fantasia della gente vada a costruire nuove prospettive. Voglio sperare che quanti mi hanno parlato di un ambiente terrificante, pieno di insidie e di pericoli, dove impera la violenza, abbiano soltanto seguito la loro fantasia e non fondino invece quelle tremende descrizioni su dati certi e su racconti credibili. Allo stesso modo, non voglio dar credito alle voci che si soffermano sulla decadenza del mio prossimo habitat: secondo questi racconti il luogo sarebbe addirittura repulsivo, sporco e malato, tale da contaminare con la sua fatiscenza tutti coloro che sono costretti a viverci per più di qualche giorno.

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13. le parole che mi hanno fatto trasalire Può sembrare strano che io abbia tutte queste proiezioni negative riguardo al luogo della mia destinazione. In effetti, ad essere sinceri, nessun documento ufficiale ne dà descrizioni drammatiche. Al contrario, le località terminali vengono suggerite come collocazioni estremamente risolutive e piacevoli per i non adattati. In alcuni casi vengono anche illustrate attraverso dei dépliant, con tanto di fotografie, anche se le immagini hanno tutta l’aria di panorami generici, spiagge, colline e prati comprati a poco prezzo da qualche banca di immagini. Ma, a parte le immagini, a farmi trasalire sono state le parole, il bodycopy, come viene chiamata la scrittura dei pubblicitari. Lì si parla con linguaggio affettato e convenzionale di luoghi caratterizzati da “grandi cieli” che dovrebbero, a quanto si afferma “favorire la meditazione e la soluzione dei conflitti interiori”. Si può ben capire che un linguaggio del genere messo in relazione alle località terminali ha la stessa autenticità di una banconota da sette euro, per dirla alla maniera di Chandler. Ma non c’è solo menzogna nelle promesse. A rendere il tutto estremamente sospetto c’è un uso eccessivo di aggettivi magniloquenti, di verbi acuti, di parole che qualcuno deve aver pensato come palpitanti, ma che invece sono o diventano odiose e fanno rabbrividire d’angoscia. Mi riferisco in particolare a termini come “accattivante”, riferito all’atmosfera del luogo o “indimenticabile” inderogabilmente rispolverato quando si parla del tramonto. Un altro termine che mi ha fatto sobbalzare di terrore è stato “sfiziosi” riferito ai pasti che vengono impartiti, e alla ricorrente affermazione di “sapori autentici”, anche se la maggior dose di paura mi è arrivata quando ho letto che il luogo proposto era stato “pensato” per “intercettare” un “bisogno diffuso”. Si tratta inequivocabilmente di falsità, e se i documenti ufficiali sembrano falsi, dev’essere necessariamente vero quanto dice la vulgata. Del resto, è quasi sempre così, e non si capisce perché in questo caso dovrebbe essere diverso.

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Un luogo desolato, quindi. Un confino tetro e pericoloso. Non so su cosa potrei fare affidamento, in un luogo simile. Potrei forse fare affidamento sulle mie qualità, se ne avessi, ma come ho già detto non sono una persona di talento. 14. ritorno doloroso Potrò forse fare affidamento sulla nostalgia. Un sentimento inutile e doloroso che mi ha sempre accompagnato dovunque andassi. Se lo definisco inutile e doloroso è per uniformarmi alle regole, perché se io dovessi parlare secondo le mie inclinazioni non potrei certo definirlo inutile. Quanto al dolore, certamente, è innegabile. E’ addirittura dentro l’etimologia della parola, però si tratta di un dolore particolare, un dolore nel quale è piacevole indulgere e che alla fine ha aggiunto colore a quei pochi minuti in cui, come i naufraghi che si arrendono al mare, si sprofonda nei ricordi e ci si sveglia un attimo prima di annegare. Disgraziatamente, come ho detto, non ho ricordi memorabili; non ho ricordi, praticamente. Ma sono convinto che con molto tempo a disposizione, con poche distrazioni, la mia memoria potrebbe riuscire a recuperare qualcosa... Per me, ricordare significa questo: tentare di ricordare. Non sono mai riuscito a lasciarmi andare giù, ad annegare nei ricordi. Appena qualche cosa irrompe nella mia memoria mi scuoto, mi ridesto e ritorno a galla senza aver visto nulla di quello che c’è laggiù. Nella mia confinata solitudine, sempre che sia solo, forse potrò finalmente dedicare tutto il tempo a ricordare, sempre ammesso che mi resti memoria, e rivivere tutte le emozioni sulle quali ho sorvolato distrattamente. Se fosse così, il trasferimento potrebbe anche essere una pietosa destinazione. Allora i miei scenari quotidiani potrebbero essere il cortile di una scuola, una certa panchina in un certo giardino della città in cui ho vissuto, un bar, un negozio o anche solo un giorno di vento. E questo potrebbe essere un punto di partenza. Come un ubriaco coricato in un

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uragano potrei fluttuare ignaro delle contingenze. Potrei immergermi in quello stuggimento perenne di chi pensa sempre a ieri, e soprattutto a quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Perché la nostalgia riguarda anche le nostre scelte, e a volte mi capita di avere nostalgia per momenti in cui ho fatto le scelte sbagliate, che sono quasi sempre rinunce o ignavie. E il dolore, in quel caso, riguarda il fatto che si potrebbe ripartire da quel punto e giocare carte diverse. Questo particolare tipo di nostalgia viene chiamata rimpianto, ma io fin da bambino ho invece pensato che quella fosse la vera nostalgia, il ritorno doloroso sul luogo di un’omissione, e la tortura di dovervi assistere senza poter fare nulla se non veder scorrere tutto quanto davanti a me per un’ennesima volta. 15. un virus ontologico Perché non sono poi tanto ingenuo: affermo che le cose sono sparite dalla nostra vita, ma sono ben consapevole che - se affermo una cosa del genere - significa che le cose sono sparite dentro di me. C’è un virus ontologico che sta corrompendo la realtà dentro di me. Ma la vecchia diatriba (una diaspora, direi, in cui grandi pezzi di realtà sono fuggiti, migrati dal loro territorio di origine fino ad insediarsi nell’enclave della soggettività) sulla realtà oggettiva e le percezioni dei singoli uomini è ormai alle spalle, è una domanda che riguarda le prime cose. Il virus sta mangiando tutto, e che sia là fuori o dentro di me ha ormai pochissima importanza, perché anche l’importanza è una delle prime cose, anzi, un criterio per organizzare le prime cose. Infatti, un tempo si diceva così: in ordine di importanza. Oggi sembra completamente incredibile, eppure c’é stato un tempo in cui le cose si facevano in ordine di importanza. Si facevano dapprima le più importanti, lasciando da fare quelle meno importanti in un secondo tempo. E capitata così, inspiegabilmente (almeno in apparenza) questa

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sovversione; è accaduto così che si facessero tetti prima delle fondamenta, epiloghi prima delle storie, è capitato anche che si cominciasse a morire prima di nascere. Anche se questo non ha certo affrancato la gente dalla paura di un disastro imminente. Io l’ho praticamente paventato ogni giorno. A volte mi sembrava addirittura di cogliere negli sguardi di chi mi guardava un presagio sul mio infausto destino, o su un tragico evento collettivo. 16. ho finalmente avuto notizia Eppure non ho saputo, non ho voluto testimoniare, avvertire. Forse neanch’io ero troppo convinto. Pensavo forse che tutto si sarebbe messo a posto, che si stava attraversando una fase storica di disagio, come quasi tutte quelle che ci hanno preceduto. Neanch’io ero convinto che si fosse arrivati al limite. Ma quella decisione eroica, quella che ho rimandato per tutta la vita, adesso mi viene imposta forzatamente. Sto parlando della decisione di non stare al gioco. Che non è poi l’aspetto più difficile. L’aspetto più difficile è dire: non sto al gioco e non ci starò mai più. Prendere cioè una di quelle decisioni irrevocabili e definitive, nelle quali ci si assumono tutte le conseguenze e si sa che niente più ci farà cambiare idea. Nei confronti di quelle decisioni, delle persone che prendono quel tipo di decisioni, per tutta la vita ho provato un senso di rispettosa paura, e mi ci sono tenuto a debita distanza, ma adesso tutto accade comunque. Ho finalmente avuto notizia (sempre per lettera, attraverso un modulo impersonale) sul giorno e sulle modalità del mio trasferimento. Sarà dopodomani, e avverrà in treno; la destinazione non viene menzionata. So quindi per certo che domani sarà la mia ultima giornata qui, e che nessuno verrà a prelevarmi, per cui, seguendo il consiglio di alcuni colleghi, mi concederò una specie di festa d’addio, anche se non ne ho nessuna voglia, e vorrei anzi essere già sul treno. Ma siccome può darsi che

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sia l’ultimo giorno in cui potrò ancora fare le cose che fa la gente quando si diverte, le farò anch’io, quelle benedette cose, in modo da avere qualcosa di cui ricoordarmi quando sarò laggiù, alla mia destinazione finale. Andrò da Susy, berrò molto e forse farò anche una puntata alle corse dei cavalli. Susy, per prima cosa. Riceve in casa, ci sono stato già altre volte. E’ materna, e quando coccola i clienti sembra convinta, è molto credibile. Ride in modo molto simpatico e sembra sempre di buon umore. Dico “sembra” perché mi sembra impossibile che una persona - una puttana, per di più - possa essere sempre di buon umore. Penso che per Susy sia una specie di obbligo lavorativo. Comunque sta di fatto che il suo buon umore sembra vero, e stare vicini a una persona di buon umore fa piacere, di tanto in tanto. Devo dire che dopo un primo periodo in cui l’ho frequentata abbastanza spesso, ho poi smesso di andarci, perché il suo sorriso e il suo buon umore mi sembravano veri, e il fatto che una donna che sorride in quel modo ed è sempre allegra si concedesse anche a letto, sorridendo benevola ad ogni tipo di richiesta, mi metteva al rischio di innamorarmene, di volerla redimere, di avere quel sorriso e quelle magnifiche gambe lisce solo per me. Così ho diradato molto i miei incontri, anche se qualche volta mi viene voglia di sentirmi chiamare mi querido, e di lasciarmi andare tra quei capelli profumati. Solo un’imbecille inadeguato può pensare di innamorarsi di una puttana, può interessarsi alla sua intimità, voler sapere se è davvero felice come sembra. Ci ho provato, con Susy. Lei per un po’ è stata carina, finchè le domande erano generiche. Quando le ho chiesto qualcosa di più personale, quando le ho detto se l’avrebbe interessata un’altra vita, lei se l’è presa. Mi ha detto che la gente come me in genere crea problemi. Che lei preferisce di gran lunga quelli che arrivano, le chiedono anche delle cose “in più”, ma che hanno voglia di stare in allegria e di non fare domande. Mi sono offeso, o almeno credevo. Invece ero deluso. Speravo di essere un cliente speciale, un cliente amico.

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Un cliente che lei vedesse volentieri, e magari potesse procurarle un orgasmo autentico... invece ero solo un cliente un po’ più problematico degli altri. Chissà, forse vedendo il mio nome sulla sua agenda, qualche volta avrà detto: oh, no! giovedì alle sei viene quel tale che fa sempre un sacco di domande, come un prete o un poliziotto. Così, le poche volte che ci sono tornato, ho fatto il cliente normale: spogliati, fai questo, fammi quell’altro, ciao cara, ciao, grazie, alla prossima volta, ciao. Ma mi struggevo perché mi sembrava impossibile che quello sguardo così amichevole, quel sorriso così infantile non nascondessero un’anima buona, da moglie, da madre. Forse Susy non ha l’anima. Ho infatti scoperto che l’anima è un’altra di quelle prime cose che sono sparite dalla circolazione. Mi sono convinto che l’anima non sia una cosa con la quale si nasce. Quando si nasce, si ha uno spazio vuoto, una specie di contratto ancora da firmare. Se si desidera un’anima, bisogna firmare quel contratto e poi cominciare a fabbricarsela. In un ambiente che funziona c’è un sacco di gente intorno a te che ti aiuta a firmare, a cominciare i lavori, Che ti avverte se stai procedendo male. Oggi invece si è diffusa praticamente la certezza che l’anima non esista per niente. Ma il capolavoro sono state le argomentazioni fornite a coloro che, nonostante tutto, hanno voluto continuare a crederci. Per quella categoria di persone sono state formulate due idee fondamentali: che l’anima, sempre ammesso che esista, ce l’abbiamo comunque e che in ogni caso non serva a niente. Quindi non si sono più firmati contratti e si è smessa la coltivazione delle anime, e questo ha reso tutto più semplice, concedendo agli uomini il privilegio di commettere le azioni più disdicevoli senza avvertirne minimamente il peso postumo. Tutt’alpiù, qualcuno dice: me la vedrò io con la mia coscienza, sapendo benissimo che poi tutto sarà rimandato all’ultimo giorno, in cui il morire impegna tutte le energie e quindi non ci sono più risorse per un esame di coscienza.

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17. la derisione del bene Non so ancora se portarmi questo taccuino in viaggio, e di conseguenza conficcarvi tutte le considerazioni che emergeranno, se ne emergeranno; oppure lasciarlo qui, limitando questi appunti alla fotografia della partenza. Forse farò così, e shakespearianamente mormorerò tra me: il resto è silenzio. Devo però stare bene attento a non rimarcare troppo il valore delle prime cose, quelle che ho incollato nell’album. Penso addirittura che strapperò via le prime pagine, in modo che non resti traccia di quelle citazioni. Se ve ne rimanesse, correrei il rischio enorme di essere messo alla berlina. Ho già detto della manipolazione di quelle idee, della loro sostituzione con i loro simulacri. Ma le idee hanno pur sempre delle persone che le professano oppure le incarnano. E allora, oltre alle idee, andavano sostituite anche le persone. Questa non è una novità, basta guardare la storia per vedere eserciti di persone eliminate e sostituite da altre. Ma l’eliminazione fisica delle persone può generare una loro mitologia postuma, lascia sospeso un discorso ancora in atto, consegna alla storia il giudizio sulle persone. Allora qui si è inventata la strategia opportuna per evitare questo contrattempo, un modo di demolire le persone indolore e non violento, una specie di artificio caricaturale capace di farci apparire patetico e narcisista ogni sforzo per il recupero delle prime cose. Indipendentemente dalle divergenze ideologiche presenti in un corpo sociale, esistono sempre persone che mettono davanti a tutti dei valori condivisi e innegabili. Persone che magari li raccontano, come cantanti, scrittori o pittori, ma anche persone che li incarnano, come per esempio magistrati o medici. Ebbene, la strategia è questa: prendete quelle persone che piacciono a tutti, che incarnano valori veri, prendete attentamente quelli della cui onestà sono tutti certi... Quando avrete individuato i più rappresentativi, cominciate un lento e sommesso lavoro

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di derisione che - ben pilotato - può condurre non tanto ad un totale dissenso, quanto piuttosto ad una banalizzazione, ad uno svaloramento e infine ad un annullamento di quella voce nel grande rumore di fondo. Vorrei quindi cercare di sembrare sufficientemente carogna da non passare per imbecille e a non dire troppe cose giuste e inconfutabili, al fine di non passare per imbecille. E si badi bene che l’aggressione arriverebbe non soltanto dalle falangi più accalorate e primordiali di lettori, ma anche da quelle intellettualmente più elevate e dotate, giacchè l’epistemologia di oggi comincia a prendere in considerazione una teoria solo quando è confutabile. 18. l’ultima prospettiva Adesso, mentre me ne vado, mentre mi allontano in treno dal centro della città ho come la sensazione che le cose inconfutabili abbiano a che fare con le prime cose, quelle perdute. Così perdute che tornando indietro nelle pagine non ritrovo più; ne leggo l’enunciazione ma ai miei occhi ormai ne è sbiadita l’autoevidenza, la chiara certezza della loro inconfutabilità senza bisogno di certificazioni perché la loro palpitante verità si mostrava senza quasi mediazioni, era lì, sotto gli occhi di tutti, condivisa da tutti. Chissà quando è accaduto. In un’età dell’oro più o meno ipotetica, collocabile qua e là nella storia ma sicuramente esistita, dal momento che ognuno di noi ne ha nostalgia. Mentre me ne vado via su questa strada ferrata che mi porterà dritto alla mia destinazione finale, scorrono davanti ai miei occhi i mausolei, le cattedrali, i palazzi governativi, i tribunali, i centri commerciali e i grattacieli, con i piani alti occupati dai reparti amministrativi. C’è un grande affaccendarsi delle persone, c’è un grande intreccio di incombenze, di contrattempi, di intoppi e colli di bottiglia in cui le pratiche, le licenze, i certificati, gli ordini, i trasferimenti giacciono in attesa di una qualche validazione, di un qualche nulla osta, di una qualche ratifica senza la quale

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non è possibile procedere. Ad ispirare ognuna di quelle pratiche, ognuno di quei timbri, ci fu un tempo un motivo. Perché un tempo le cose si facevano per un qualche anelito, anche se può sembrare strano. Quegli antichi aneliti non risuonano più, come ho detto. Quegli antichi aneliti avevano gli stessi nomi delle prime cose: utilità, efficienza, verità, giustizia, bellezza... cose di questo tipo, insomma. Cose che venivano attivate e vivificate da altre, come intelligenza, senso, amore, efficienza, bravura, onestà, compassione. Non so se al tempo in cui esistevano si chiamassero già con questi nomi, forse non avevano ancora un nome, però venivano ricercate e poi esercitate dalle persone. Ma come ho detto mi sono perso la parte iniziale, quindi mi è nettamente sfuggito il processo con cui queste cose sono state sostituite dalle loro immagini. Devo aver dormito troppo, e forse, anche quando ero sveglio, devo aver tenuto gli occhi un po’ troppo bassi. Comunque tutto questo non mi riguarda più, e come ho già più volte detto, non mi ha mai veramente riguardato. Chi, come me, nutre un enorme interesse per queste cose ma non è dotato dell’anima grande degli eroi, finisce inderogabilmente nel girone degli inadeguati, e da lì alla destinazione finale il passo è brevissimo. Dicevo dunque del panorama cittadino che scorre al finestrino come la carrellata di un film. Un piano sequenza di edifici e costruzioni, e la colonna sonora sono quegli antichi motivi che nonostante il mio addio continuano a risuonare nella mia testa: verità, giustizia, utilità... 19. metonimie terminali Attorno ad ognuna di queste cose sono state costruite queste cattedrali, questi edifici sontuosi, questi loggiati e queste guglie. Per validarle, per proteggerle, per cerebrarle, per certificarle, per diffonderle, amministrarle e divulgarle.

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Ma una volta ultimate le costruzioni, le cattedrali e i palazzi sono stati trovati vuoti. La costruzione si era divorata il contenuto, l’atto del costruire, proteggere e celebrare aveva reso gli uomini dimentichi delle prime cose: l’esercizio della giustizia si era divorata la verità, la cura aveva divorato la salute, sposalizi e coniugi fagocitavano a più non posso amori e amanti. La celebrazione s’era divorata il santo. Più genericamente sono costretto ad ammettere che la ricerca del senso ha fagocitato il senso. Credo che l’errore più grossolano sia stato quello di cercare di dare un nome al senso, come se dandogli un nome questo senso potesse essere più a portata di mano. Col senso accadono cose strane. Sembra che compaia quando ci dimentichiamo della sua esistenza e sembra che scompaia appena cerchiamo di evocarlo o lo confondiamo con lo scopo. Forse lo scopo è il simulacro del senso. 20. speranze resistenti Nell’età dell’oro, mentre si era immersi a far l’amore, mentre si facevano figli, mentre si giocava e si danzava, mentre si era portati via da una qualche attività che si stava svolgendo, come cacciare, percuotere tamburi, fare collane o seppellire i morti, non si pensava al senso, perché si agiva nel senso. Dopo la Grande Sostituzione si è cominciato a fare l’amore per un motivo, per questioni di potere, di rivalsa, di disperazione, di narcisismo o di oblio. O magari per assicurarsi una qualche certezza presente o futura. Per gli stessi motivi si è procreato. Si è giocato per vincere e per vincere si sono trascurate le regole del gioco, quindi il gioco. Si è danzato per sedurre o per dimagrire. E’ stato davvero spettacolare: un gioco di prestigio del cui trucco ancora oggi, che sono di partenza, non sono riuscito a capacitarmi; ha semplicemente messo lì dei perché, e il resto è accaduto da solo. Il mezzo è diventato il fine, e il fine è andato a farsi benedire. Abbiamo fatto l’amore per un qualche motivo, qualche volta anche per un buon motivo, ma

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quel motivo che ci ha spinto ha divorato il senso. Abbiamo tirato calci ad un pallone per vincere... è stato bellissimo! Abbiamo svolto le nostre attività con solerzia e precisione, pensando all’utilità futura che ne avremmo ricavato. Ci siamo trovati pieni di obiettivi, innamorati dei nostri obiettivi; ossessionati dai nostri obiettivi; scagliati dal management verso i nostri rispettivi target. Li abbiamo raggiunti e abbiamo celebrato la nostra vittoria. Ma nel nostro agire non abbiamo trovato più più alcun senso. Chiedo scusa se ho usato il plurale, come se io potessi permettermi di parlare a nome di tutti, o almeno in rappresentanza di un cospicuo gruppo. Si è ben capito invece che tutta questa visione così negativa riguarda con tutta probabilità soltanto il sottoscritto, e tuttalpiù uno sparuto manipolo di altri inadeguati. Eppure, questa mancanza che io sento dentro di me, questa mia nostalgia per le prime cose - una fissazione, mi hanno sempre detto - a volte sembra lampeggiare come brace sotto la cenere nei luoghi più impensati. Chissà che le sue propaggini non si estendano fin dove vado.

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foto

tema: la ridondanza delle attivitĂ umane soggetti suggeriti: inaugurazioni di mostre, gente antipatica, immagini paradossali con persone al lavoro, sale riunioni, palazzi del potere, uffici, industrie o banche

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UN LAVORO SEMPLICE

un’emblematica storia contemporanea Personaggi Samir Murati - apprendista tipografo Signor Frangipane - proto della Tipografia Lito2000 Mirko Tirelli - Grafico pubblicitario dello Studio Sygma Giorgio Brentani - fotografo amatore Geppe Contardi - presidente del circolo fotografico Adams Mirella Leonardini - funzionaria dell’Assessorato alle Politiche Sociali Anna Maria Parodi - Assessora alle Politiche Sociali Gian Francesco Bisio - Assessore alla Cultura Marina Roversi - stagista presso l’ Assessorato alle Politiche Sociali Milisa Casati Rovegni - Funzionaria dell’Assessorato alla Cultura Brunella Wartz - architetto Stefano Cantoni - giornalista e esperto di storia locale Giovanna Tessì - Direttice del Museo del Territorio Gerardo Segre - critico, scrittore e filosofo Ottavio Magni - giornalista Goffredo Melegatti - Presidente Fondazione Cultura Ferdinando Farneschi - direttore editoriale di Raksy Diego Ronchetti - art director di Raksy Desmond Willaby - esperto di marketing culturale Cinzia Rossi - impiegata della Sistemix SpA Giampiero Casorati - Responsabile marketing della Sistemix SpA Romolo Cangemi - Responsabile dell’Associazione Tutela delle Aree Agricole

1 - Samir Murati Da quale punto incominciare a raccontare questa storia è difficile decidere. Forse perché potrebbe andar bene qualunque momento, dal primo all’ultimo, a condizione che si racconti per bene tutto il pregresso e il successivo, ovvero tutti gli accadimenti che hanno fatto sì che quel tale attore di questa storia sia lì, in quel dato momento, a fare quella certa cosa che sta facendo oppure rimandando, e successivamente si proceda nel mostrare tutti gli effetti determinati da quella azione o da quella procrastinazione. 77


Perché indubbiamente si tratta di un racconto di marcata fede determinista, dove trionfa il rapporto tra causa ed effetto, dove ogni cosa è nel contempo il risultato di cause antecedenti e causa a sua volta di fatti a venire. Voglio anche dire che il racconto, pur essendo evidentemente metaforico, è la narrazione sincera di molti fatti di cui sono stato testimone. Bene, se va bene qualunque punto possiamo partire quasi dalla fine, da un accadimento che precede di poco l’epilogo. Lo fanno spesso nei film: all’inizio si vede una scena, e poi tutto il film è come un lungo flashback che ci riporta alla scena iniziale, che è il presente narrativo. Il nostro presente narrativo si chiama Samir Murati, è albanese, ha diciannove anni ed è figlio di gente arrivata in italia col gommone. E’ un vero proletario, se vogliamo usare questo termine. L’unico vero proletario di questa storia. Ha avuto una vita dura, ma i suoi si sono arrangiati tra debiti, lavori pazzeschi e anche qualche furtarello, e lui ha fatto la scuola per tipografi e dopo un anno di giri a vuoto l’hanno preso come apprendista alla Lito2000, una tipolitografia in un capannone seminuovo tra il centro e la periferia. Adesso è sera, sono le ventuno, e lui è solo, davanti alla Heidelberg Speedmaster 35x50 che sta girando al ritmo più veloce possibile. Ha l’ansia e le mani sudate, è la prima vola che lo lasciano da solo. Ma deve solo caricare i cestelli, togliere gli stampati, ricaricare la carta, prendere gli stampati col muletto, portarli al reparto confezionamento e tornare a guardare la Heidelberg che continua imperterrita a fare taftàk-zzzztakshhhhhhh, taftàk-zzzz-takshhhhhhh col suo ritmo regolare, mentre il cuore di Samir ha il battito un po’ accelerato. Non deve fare casini, si sono fidati. Speriamo che vada tutto bene, però certo quello stronzo dello studio grafico ha mandato gli impianti oggi pomeriggio... e domani bisogna consegnare gli stampati. Quello stronzo dello studio grafico non ha il minimo rispetto per noi tipografi. Manda le cose all’ultimo momento. Sta a giocare col computer per giorni e giorni... cambia i colori, sposta le scritte...

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e poi io sono qua alle nove di sera, e devo lavorare tutta la notte, da solo, per di più. E lui magari se la sta spassando, oppure sta dormendo tranquillamente, tanto per lui il lavoro è finito! Ma almeno oggi pomeriggio il capo reparto gli ha detto il fatto suo. Samir si riferisce ad un evento accaduto un po’ prima dell’ora di cena, quando quello stronzo dello studio grafico ha chiamato (stavano già per andare in lastra) per dire che il rinfresco non era più alle 20,30 ma alle 21 e che quindi rimandava il documento corretto. il caporeparto, il signor Frangipane, gli ha detto che se telefonava un quarto d’ora dopo non c’era più niente da fare, e che era ora di finirla con tutte queste correzioni dell’ultimo momento. E lui sapete cosa ha fatto? Invece di chiedere scusa, e di promettere che la prossima volta sisveglierà un po’ prima, lui si è incazzato come una biscia, ha cominciato a strepitare che lui vive sotto stress, che non ce la fa più, e insomma di non rompergli i coglioni perche sono già in tanti a romperglieli, ci manca anche il proto della tipografia. 2 - Mirko Tirelli Lo stronzo dello studio grafico si chiama Mirko Tirelli, con la kappa. Ha trentun’anni ed è sempre stato un cosiddetto creativo, nel senso che da giovane suonava la chitarra molto bene, a scuola andava malissimo ma faceva delle belle foto e disegnava quasi come Manara. Poi gli sono sempre piaciuti i computer e così ha fatto un corso di visual design ed è finito a lavorare da un amico di suo zio, il titolare dello Studio Sigma. Pensava di fare un lavoro creativo, ma la creatività occupa circa un 10% del suo tempo lavorativo: il resto sono più che altro correzioni e rifacimenti, collegati a bizzosi cambiamenti di umore dei clienti, giudizi dati da segretarie distratte, valutazioni aprioristiche di arroganti incolti. Così almeno crede Mirko, perché lui è convinto di fare bene il suo lavoro: non ha mai smesso di interessarsi al visual design, è appassionato di storia dell’’arte, gira per mostre

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e corsi di aggiornamento, conosce Arneim, Watzlawick e McLuhan, ha letto molto sulla comunicazione, sul messaggio, sul design e sulla grafica. Quando tira una riga (lui la chiama filetto, anche se è vegetariano) in una pagina, valuta attentamente posizione, allineamenti, spessori, colori, proporzioni e senso della composizione. Mentre tira una semplice riga, nella sua testa frullano un sacco di cose, dalle scalinate di Piero della Francesca agli orologi molli di Dalì, passando per la sigla del tg, qualche frame dei manga e i frontespizi del Bodoni. Pensa a tutte le righe dei più begli impaginati che ha visto nella sua vita e che ha immagazzinato nella sua testa senza neanche saperlo. Insomma, ci pensa a lungo, e quando tira la riga pensa di sapere cosa fa, e accetta malvolentieri il fatto che qualcuno gli chieda di farla più sottile o più spessa o, peggio ancora, di spostarla più in basso o più in alto. Da queste premesse potrebbe sembrare che chi scrive abbia una certa propensione verso le caratteristiche di questo attore della vicenda ma non è così. Questa vicenda vuole solo cercare di svelare le ragioni di ogni singolo personaggio, le molle che lo spingono ad agire, e come il suo agire sia di fatto costretto ad incunearsi nell’agire degli altri in modo tale che alla fine nessuno sia soddisfatto, anche se tutti diranno di esserlo. Mirko stasera è arrabbiato. Dopo la litigata con quella testa di cazzo di Frangipane è arrivata la telefonata di Annamaria, anche quella finita in lite. O meglio, ha ereditato la lite della telefonata precedente, perché Mirko era ancora con il sangue alla testa per quella testa di cazzo di Frangipane, ribadisco. Possibile che non capisca che non è colpa sua se mandano correzioni fino all’ultimo momento? Possibile che non capisca che lui è il cuscinetto tra i raffinati intellettuali dei musei e i pragmatici tipografi, e che in questo collo di bottiglia (che poi è il suo computer) passano tutte le nevrosi del mondo? Così adesso Mirko sta mangiando una piadina al bar sotto l’ufficio. Sono le dieci di sera e lui ha litigato con Frangipane e Annamaria, e ogni boccone di piadina sembra un tappo di

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sughero da mandare giù. E anzichè quietarsi, la sua rabbia aumenta, aumenta a dismisura pensando a quando è cominciata tutta questa faccenda, circa sei mesi prima... sì, fammi pensare... era l’inizio di settembre, ero appena rientrato da una breve vacanza all’Elba a casa di amici. Adesso siamo alla fine di marzo... sono quasi sette mesi, perdio! Sette mesi! 3 - Giorgio Brentani Per chiarire finalmente lo sviluppo di questa storia, che nelle sue ultime fasi assume un ritmo caotico e convulso, dobbiamo risalire ad alcuni mesi orsono, alla sua origine, se così vogliamo dire, anche se come si vedrà già questa origine è il risultato di un lungo lavoro pregresso. Anzi, ora che ci penso sarebbe meglio cominciare da lì, un paio d’anni indietro, quando il fotografo amatoriale Giorgio Brentani ha fatto visita ad un suo vecchio amico, il quale gli ha telefonato e gli ha detto: stiamo sbaraccando la casa dello zio che è morto, e in un baule abbiamo trovato qualcosa che forse ti può interessare. Quindi Brentani è andato in quella vecchia casa ormai disabitata da mesi e mesi, e nel baule ha trovato cinque scatole di lastre fotografiche degli anni venti, trenta e quaranta. Il papà del vecchio zio era un pioniere della fotografia e con la sua Conley a soffietto girava i borghi e le campagne di tutto il circondario producendo una enorme quantità di negativi di formato 5,7 x 8,4. A quanto pare sono tutti in queste scatole, busta per busta, ogni busta il nome di una località, oppure di un paese, o anche un cognome: Fam. Cavati - Scorzano, Famiglia Vanelli- Pontebasso... tutti tagliati a mano da vecchi rulli di cui restano quà e là le code di sviluppo. E’ inutile dire che gli occhi di Brentani sembrano quelli di Paperon de Paperoni quando scopre una miniera d’oro, solo che al posto dei dollari o delle pepite d’oro ci sono granuli d’argento che brillano nella luce del passato come una polvere magica che

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risveglia nei suoi arti una specie di energia, di più: una forza gigantesca. Tre quarti d’ora dopo Brentani è già nel suo laboratorio con tutte le lastre. Ha già pensato che al suo amico dovrà regalare almeno un paio di casse di vino eccellente, perché per lui questa roba vale un tesoro. E il primo pezzo del tesoro è già lì nel telaietto del suo ingranditore Durst. E’ mezzogiorno, ma chi se ne frega? Ci sono voluti circa tre mesi di lavoro forsennato e disperatissimo. Alla fine il buon Brentani ha tirato fuori duecento fotografie spettacolari. Ha dovuto fare delle scelte tremende, escludere tante cose, infinite volte è stato costretto a decidere tra due lastre: una meglio conservata ma meno interessante e una bellissima ma danneggiata. Ha vissuto tutta una serie di crucci, angosce e perplessità che estinguono e alimentano gli amatori di ogni cosa, ma che sono quasi ignote ai non amatori che, come vedremo, in questa storia non mancano. Poi Giorgio Brentani ha presso una cinquantina di stampe, le più belle, e le ha portate a Geppe, il presidente del circolo fotografico Adams. Per la verità era già da parecchio tempo che Geppe gli telefonava: “Allora, Giorgio... a che punto sei con quelle lastre? Posso venire a dare un’occhiata?” Ma Giorgio Brentani è fatto a modo suo, è uno un po’ ombroso, di poche parole. Gli piace starsene nel suo laboratorio da solo a fare tutte le congetture del caso, senza intrusi. Poi, a lavoro finito, ben vengano critiche e consigli. E critiche non ce ne sono. Geppe sfoglia le stampe con gli occhi sgranati e dice cacchio Giorgio, sono bellissime, sono fantastiche. E siccome anche lui è un fabbricatore di idee dice: “Sai cosa devi fare, Giorgio? Devi andare a fotografare tutti questi posti per vedere come sono diventati oggi. Magari se ci riesci e se li trovi, fotografare ancora i discendenti di queste famiglie. Sarebbe bellissimo trovarli e fotografarli al posto dei loro antenati”. E il buon Brentani non dice niente, ma si sente di nuovo negli arti quella forza sovrumana, tale per cui gli verrebbe da prendere la macchina e partire subito per andare a fare la prima foto.

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4 - Mirella Leonardini Non ve la voglio fare troppo lunga. Ormai avrete capito che tipo è Brentani. In poche parole in un anno ha fatto qualche migliaio di fotografie, qualche migliaio di chilometri nel raggio della provincia, o di quella che un tempo era la provincia. Ha cercato, chiesto, è risalito alle fonti. Ha conosciuto persone e ha tirato fuori una capacità interlocutoria che non sapeva di avere. E’ diventato amico di parroci, sindaci e dei pochi contadini rimasti. E’ venuto a sapere che a Vallescura c’era una chiusa, che la torre di Borgo San Michele è crollata nel 1864, che il figlio dei signori Contardi di Castellina è stato ucciso dai fascisti sulla provinciale nel 1941 e un sacco di altre storie personali. Ha fatto questo lavoro rubando spazio alla famiglia, al lavoro, al suo stesso sonno, ma adesso ha davanti uno splendido risultato, a detta di tutti. Più di una trentina di foto di famiglie a confronto con i loro bisnonni, sistemate nello stesso luogo, o in quello che quel luogo è diventato. Altre settanta o ottanta foto di luoghi nelle due diverse versioni. Foto eseguite con una scrupolosa analogia di focale e, per quanto possibile, di illuminazione. Un lavoro meticoloso, bello, ben fatto. D’accordo, non si è inventato niente di nuovo, non è certo il primo a fare questo tipo di confronti tra ieri e oggi, ma è una bellissima testimonianza sul nostro territorio... e poi ci sono le foto delle persone... queste cinquanta famiglie potrebbero già da sole essere l’oggetto di una mostra... Logico, si progetta una mostra. Il circolo ha la sede in uno stabile che è della Curia, e quando chiede il Salone dei Canonici lo ottiene sempre. Ormai si va avanti così da anni: tre volte l’anno il circolo fa una mostra che dura circa un mese. Si apre il Salone, ci va un qualche volontario del circolo a tenere aperto. La Curia paga la luce e il circolo Adams fa le pulizie e tiene tutto in ordine. E’ un sistema semplice e collaudato. Brentani è contento. Le stampe sono già pronte, le cornici sono le solite che il circolo utilizza ogni volta da dieci anni, basta decidere una data e fare un volantino.

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Chiamiamo Mirko, è un lavoro semplice. E’ un amico, l’altra volta ci ha fatto tutto a prezzo super politico: volantino e locandina, trecento euro. Poi ne facciamo un po’ di stampe digitali dalla Digiprint qui all’angolo. Con cinquecento euro facciamo tutto. Chiediamo al Vivaio Scarabelli se ci dà trecento euro, come l’anno scorso, praticamente non spendiamo quasi niente. “Scusate ma perché non chiediamo all’Assessorato”? A pronunciare questa frase è la signorina, pardon, la dottoressa Mirella Leonardini, consigliera del circolo Adams dall’anno scorso, in cui Geppe ha pensato di fare una mossa strategica includendo nel direttivo una persona che aveva un po’ di agganci con la cultura cittadina “alta”. Quella cultura istituzionale, quella che insomma organizza mostre e convegni nei palazzi più fastosi del centro cittadino, che invita critici, giornalisti e super professori dai quattro angoli del mondo e di cui si parla nei tg locali e qualche volta nazionali. Non come noi del Circolo Adams, che, come ha detto una volta un socio anziano, “ce le facciamo e ce le cantiamo tra noi”. Poi non si è rivelata una grande mossa: la Leonardini è una rompicoglioni, una che deve sempre sindacare, ha sempre un’idea un po’ diversa delle cose, si oppone alle decisioni collegiali, punta i piedi e trova sempre dei difetti nei progetti e nei lavori degli altri. Dei suoi lavori non si sa niente, perché anche se è associata al circolo da cinque anni non ha mai chiesto di fare una mostra e non ha mai esibito le sue foto, tranne una volta in cui ha portato una foto fatta alla madre qualche anno prima, in controluce, dicendo che sembra Marguerite Yourcenar. E’ una donna che fa un po’ soggezione. E’ molto colta, da del lei a tutti e si stizzisce molto se la si contraddice. Ha un modo di stizzirsi molto efficace, perché alza le sopracciglia e assume un’aria infastidita, disgustata, quasi... e poi prende a controbattere la critica punto per punto, ma senza mai rivolgersi direttamente all’interlocutore. Ama generalizzare e usare i contrari per rafforzare le sue tesi. Per esempio, se le si dice che una sua proposta è un

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po’ troppo intellettuale e forse non adatta al pubblico del Circolo Adams, lei non risponde direttamente, ma afferma disgustata: certo, che se qui si vuol trasformare questo circolo in un gabinetto da stazione, occorrerà modificare l’atto costitutivo. Nonostante questo suo caratteraccio la Leonardini si esprime in un italiano eccellente, anche se con voce un po’ nasale, ma parla con una fluidità che a quelli del circolo è praticamente ignota; cita Jaspers, Malevich e Melanie Klein, parla di postmoderno, di minimalismo, di semiotica e di movimenti operai. Quando parla lei il circolo Adams per qualche attimo sembra uno di quei posti dove nessuno si preoccupa di capire perché sono tuttti intelligentissimi e hanno già capito. Non ha portato soldi, ma una volta l’Assessorato alle Politiche Sociali, su sua indicazione, ha fornito il patrocinio, senza contributo, per una mostra. Solo che per aspettare l’ok da parte dell’Assessorato l’inaugurazione della mostra ha dovuto essere rimandata di un mese. 5 - Anna Maria Parodi Tutto quanto detto della dottoressa Leonardini ovviamente riguarda le proiezioni degli altri. Lei in realtà è certa di essere la garante del livello culturale del Circolo Adams. Senza di me, quel branco di caproni non farebbe altro che fare mostre di infimo livello, senza un filo di spessore... Invece, grazie ai miei aggiustamenti, riesco a dare una certa qualità a quell’armata Brancaleone di incolti spontaneisti. La Leonardini gode di stima anche da parte dell’Assessora, Anna Maria Parodi. Intendiamoci, non certo stima per la sua cultura o per la sua ossessiva ricerca della qualità culturale. Stima per la sua capacità critica, per il suo saper individuare quello che non va, quello che è sbagliato, ciò che pesta i piedi a qualcuno o ciò che può aiutare qualcun altro. Anna Maria Parodi è una donna pragmatica, una politica di professione. Di famiglia

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dignitosamente operaia, ha studiato dalle suore per poi entrare giovanissima nel sindacato. Forgiatasi nelle scalinate dei Palazzi, ha capito molto, quasi tutto della realtà intorno a lei. Determinata fin da giovane, bravissima a scuola, ha sposato uno degli avvocati più in vista della città con cui ha fatto due figli: Michele, brillante studente di ingegneria e campione di pallavolo, e Marina, primo anno di medicina, terza ai regionali di nuoto juniores. Ha trasformato rapidamente la sua passione politica in difesa dei meno fortunati e degli oppressi in una attenzione spasmodica a portare consenso e potere presso coloro che, ormai l’ha dato per scontato, si occupano della difesa dei meno fortunati e degli oppressi. Non si preoccupa assolutamente più di verificare se quelli per cui lei sta lavorando stiano ancora e sempre dalla parte dei meno fortunati e degli oppressi, perché è troppo impegnata a mantenere contatti, tessere alleanze, gestire equilibri, provocare reazioni e tacitare dissensi, dirimere controversie, rappacificare nemici e separare amici, ascoltare questo e quell’altro, e fingere di sostenere uno sbagliato mentre sta lavorando alle sue spalle per far salire quello giusto. Tutto questo, ovviamente, in difesa dei meno fortunati e degli oppressi. E ovviamente anche quando ha accettato pacchetti di voti di provenienza non proprio solare, lo ha fatto per salire dove si può fare qualcosa in difesa dei meno fortunati e degli oppressi, perché il fine giustifica i mezzi, perché lo fanno tutti, perché anche se nessuno te lo dice hanno sempre fatto così, perché è così che si fa se vuoi fare le cose, altrimenti stai a casa, perché lo ha fatto perfino l’integerrimo S. e perché se lo fai tu è meglio che se lo fa un altro, perché quell’altro è un mafioso vero, mentre tu sei una brava persona. Adesso Anna Maria è in vista delle prossime elezioni, che ci saranno tra sei mesi circa, e sta un po’ tralasciando il suo lavoro per dedicarsi alla campagna elettorale. In fin dei conti lei è una delle donne più rappresentative del partito. Fino ad oggi non ha ricevuto neanche un avviso di garanzia e quindi “deve” impiegare un po’ della sua faccia onesta per far vincere le elezioni a coloro

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che ancora lavorano in difesa dei meno fortunati e degli oppressi. Ancora meglio: perché tra tutti coloro che ancora lavorano in difesa dei meno fortunati e degli oppressi, lei vuol far vincere la sua corrente, che logicamente è quella che meglio assolve ai problemi di coloro che ancora lavorano in difesa dei meno fortunati e degli oppressi. Non è una stupida, Anna Maria. Quando la Leonardini le mette davanti il progetto “Memoria Viva” le basta un attimo per capire che può venirci fuori qualcosa di interessante. La tutela delle aree rurali, tanti bei proclami sulla civiltà contadina, tutto a sostegno del suo progetto di riqualificazione con bonifica della Regione Costa di Malgara, dove potrebbe beccare un finanziamento CEE, che mal si sposa però con l’altro suo progetto che è quello della creazione di un centro commerciale sul greto del torrente Misernia, con l’assunzione prevista di settantacinque persone, e dove non ci sono finanziamenti pubblici ma c’è in atto un interessante project financing da parte dei potenti della città. E averli tutti lì è utile e comodo. Ma poi ci pensa, fa due conti... il progetto del centro commerciale partirà tra un anno e mezzo, mentre questo “dei contadini” potrebbe partire prima, e forse per le elezioni è più spendibile perché non ha a che fare col cemento. 6 - la metamorfosi Ebbene, forse sì. Forse potremmo dire che la nostra storia comincia proprio con quella frase della Leonardini: “Scusate ma perché non chiediamo all’Assessorato?” Si è trattato probabilmente di una frase diabolica che, anche se ancora non lo sappiamo, trasformerà tutta la nostra vicenda in una vorticosa spirale di accadimenti, nella scena di ordinaria follia che accompagna moltissime produzioni di eventi e di relativi stampati di carattere socioculturale nel nostro paese, specialmente quando

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questi stampati coinvolgono istituzioni, enti pubblici, banche e fondazioni, associazioni, federazioni, comitati, organizzazioni e, non si creda, anche aziende di grandi o medie dimensioni. Di per sè la storia avrebbe avuto un suo sviluppo normale ed organico. Brentani avrebbe fatto la mostra nel salone della Curia, si sarebbe come al solito incazzato perché nessun giornale ne avrebbe fatto menzione, ma avrebbe avuto un sacco di complimenti da amici e parenti. Avrebbe forse venduto un paio di stampe e avrebbe lasciato i cento euro come fondo cassa per il circolo. Dopo l’inaugurazione sarebbero andati tutti a mangiare una pizza. Insomma, la mostra forse avrebbe avuto un po’ meno successo di quello che avrebbe meritato, ma tutto si sarebbe sviluppato in modo normale, con una modesta dose di sbattimento e di soddisfazione per i suoi attori. Invece, quella frase, quella frase fatidica “Scusate ma perché non chiediamo all’Assessorato?” infliggerà alla nostra vicenda e al lavoro di Brentani una diversa e ben maggiore risonanza ed un più triste destino. Per esser più chiari, il tutto si potrebbe paragonare alla vicenda di una bella fanciulla di provincia, che aspirando a diventare “miss quartiere” viene spinta a diventare star televisiva e per farlo si sottopone a liposuzioni, iniezioni botuliniche e protesi mammarie e finisce per diventare una mostruosità con tutti i presunti canoni della bellezza. Per coloro che amano lo sviluppo lineare della storia, dirò comunque che alla sera, verso le 18, la Leonardini entrando nell’ufficio di Anna Maria Parodi vede che l’assessora sta leggendo il progetto del Circolo Fotografico Adams, quello che lei chiama invece il SUO progetto. Non solo: sta prendendo appunti alla sua maniera, facendo delle scritte, poi facendoci dei riquadri intorno e poi collegando i vari riquadri con delle frecce. A volte per collegare un riquadro all’altro occorre usare più frecce e passare attraverso altri riquadri, ma così, sul foglio di Anna Maria, tutta la città è lì davanti: enti, sponsor, presidenti, referenti, persone da coinvolgere...

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“Interessante, vero?” chiede la Leonardini “Può diventare una cosa interessante, sì” dice Anna Maria (sottolineando il fatto che a farla diventare interessante sarà lei stessa) mentre già sta sollevando il cordless della sua scrivania e sta premendo uno dei tasti coi numeri memorizzati. Il numero memorizzato è quello di Gian Francesco Bisio, assessore alla Cultura, l’uomo giusto, quello che (come dice Anna Maria coprendo il ricevitore in attesa della risposta) “può dare a questa cosa il taglio giusto per farla diventare interessante, come vorrebbe lei, Leonardini”. Dall’altra parte risponde una voce pacata e gutturale, con la erre moscia, da ambasciatore. Assistendo alla telefonata la Leonardini capisce che ha ancora molta strada da fare, che non basta saper buttare giù bene un progetto, bisogna saperlo cucinare in modo che i media ne parlino, che sia politicamente spendibile, che sia coerente con gli obiettivi di coloro che lo stanno facendo diventare interessante, che possa “attrarre investitori” e che possa portare dei “ritorni” di carattere economico ma soprattutto di consenso, e che forse, per tortuose vie istituzionali, possa perfino aiutare a sbloccare situazioni inceppate, e tante altre cose ancora. 7 - Gian Francesco Bisio Bene, si diceva della voce gutturale di Gian Francesco Bisio, Gianfra per gli amici e i colleghi di partito, assessore alla Cultura. Non c’è niente da dire, è un uomo in gamba. E bello, anche. Ed è decisamente più colto di tutti gli assessori alla cultura che lo hanno preceduto. Di famiglia benestante, è professore universitario. Nonostante non ami la politica, fin da giovane si è schierato anche lui in difesa dei meno fortunati e degli oppressi. Si è però tenuto sempre ai limiti del partito. Lo usavano più che altro come supervisore, una specie di supercorrettore di bozze dei concetti e

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dei programmi. Lui ha sempre lavorato con spirito di volontariato, e fino alle ultime elezioni non si era mai candidato. Ce lo hanno tirato dentro un po’ a forza, essendo in grande carenza di facce oneste, incensurate e abbastanza famose. Ha un bel ciuffo di capelli grigi, molto english, ha molte conoscenze, porta cravatte scozzesi e giacche di tweed. Ha preso parecchi voti, ma logicamente non era previsto che facesse l’assessore. Ce lo hanno messo in sostituzione della Persona Designata, che attualmente ha a che fare con un paio di avvisi di garanzia. “Onore al talento e alla cultura, per carità, ma uomini così sono dei sognatori, rischiamo di mettere alla cultura uno che si occupa di cultura... sarebbe un guaio!” pare che abbia detto un giorno (scherzando) il Presidente della Giunta. Tutti hanno capito che scherzava, ma Anna Maria ha capito anche che Gian Francesco, Gianfra, per gli amici, non è pericoloso ed è l’uomo giusto per dare ad un evento il giusto “format”. Ha detto proprio così: format. Nel frattempo dobbiamo tornare brevemente alle scrivanie di formica bianca del Circolo fotografico Adams, dove il buon Brentani e Geppe Contardi stanno parlando con Mirko Tirelli, grafico pubblicitario dello Studio Sygma e loro vecchio amico. “Guarda Geppe, se mi regalate due belle stampe di queste due immagini, vi faccio tutto gratis. Le incornicio e le metto ai lati del camino nel casale che abbiamo a Costa dei Faggi. D’altra parte è un lavoro semplice, no? Un depliantino a tre ante, come l’ultima volta, che sarà mai?. Poi, se volete possiamo anche fare un piccolo catalogo, ci mettiamo una cinquantina di immagini, magari lo vendete ...” “Eeeehnnnnooo! non possiamo mica vendere niente, siamo senza scopo di lucro. Lo possiamo regalare a chi si tessera, ecco. Ma poi magari ci troviamo con due scatoloni di cataloghi che non sappiamo dove mettere... è un casino. E poi non c’è budget per farsi venire certe fantasie... il catalogo, addirittura! Mica sono Berengo Gardin” dice Brentani. “ Ok, però è un peccato. - dice Mirko - Sono bellissime, queste

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foto. Specialmente questa, con questi due gemelli che reggono un unico forcone... ha una modernità... è stupenda, è da copertina!” “Sono d’accordo” dice Brentani, e anche Geppe ne conviene. “Allora, Mirko, la copertina l’abbiamo decisa. Ti mando una mail con le date esatte e gli orari. Poi scrivo due righe di presentazione, le mettiamo all’inizio, vedi tu...” Questi ultimi dialoghi, come avrete capito, sono dialoghi che riguardano una storia che non esiste già più. Mirko, Giorgio e Geppe sono completamente ignari del fatto che il loro progetto “Memoria Viva” stia già trasformandosi in qualcosa di abnorme che al pari di un uovo sottoposto durante l’incubazione a una mutazione genetica, alla sua schiusa esporrà al mondo una creatura del tutto diversa da coloro che l’hanno generata. Gian Francesco Bisio, assessore alla Cultura, in questo momento è al telefono con Anna Maria Parodi, sua compagna di partito e collega di Giunta. Stanno buttando giù al telefono, il project team. Bisio, con la sua voce pacata e gutturale, parla con autorevolezza e intanto fa dei disegnini con la sua Mont Blanc sulla carta intestata dell’Assessorato. Dice che delegherà la bravissima Milisa Casati Rovegni, una funzionaria dell’Assessorato alla Cultura che appartiene al jet set cittadino ed è bravissima a mettere in piedi progetti. Per l’allestimento della mostra bisognerà fare una piccola gara, ma il progetto lo diamo da fare a Brunella Wartz, che è un architetto molto legata al partito, ha già lavorato tante volte per noi, ha un sacco di esperienza, è l’unica che... “Certo, sono d’accordo” dice Anna Maria. E come supervisione, anche per scrivere i testi del catalogo, io direi di chiedere a Stefano Cantoni... e poi sentiamo anche la Giovanna Tessì, che è la Direttice del Museo del Territorio, perché la mostra la potremmo fare lì. Quel Museo è sempre deserto, e ha due saloni quasi inutilizzati... “Si, ma... i soldi?” “Guarda Anna Maria che il budget lo abbiamo già tutto pianificato...” “Bisognerà trovare degli sponsor”

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“Beh dai... qualcosa sappiamo ancora fare... lasciami fare quattro o cinque telefonate” 8 - Un salto di qualità Non voglio certo raccontarvi i labirintici sviluppi che trasformeranno il progetto “Memoria Viva” nel grandioso evento intitolato “Presenze” (come voluto dal critico Gerardo Segre). Ci vorrebbero circa otto volumi dell’entità del Conte di Montecristo per descrivere passo per passo come la cosa abbia dovuto necessariamente fare “un salto di qualità” (considerazione dell’Assessore Gianfra Bisio) e che, naturalmente, sia sfuggita di mano ai nostri amici del Circolo Fotografico Adams. Né voglio raccontarvi come come il buon Brentani, da star della mostra, divenga alla fine un modesto comprimario. Potrei tuttalpiù cercare di farvi un sunto brevissimo, dicendo in breve che le foto di Brentani, quelle contemporanee, scattate da lui, mostravano un “minore appeal” rispetto alle foto antiche (osservazione del Professor Stefano Cantoni). Si è quindi deciso di esporle più in piccolo, a scopo didascalico (proposta di Milisa Casati Rovegni), di coinvolgere molte fototeche della Regione, alla ricerca di vecchi dagherrotipi contadini (idea di Giovanna Tessì, Direttice del Museo del Territorio), e di mandare qualche fotografo a fare delle foto più o meno in posti simili (il cugino della Tessì casualmente è il fotografo proposto, che è bravissimo anche nei video). Certo, non solo fotografie, le fotografie sono statiche, e le mostre oggi devono essere dinamiche, quindi bisogna metterci anche dei video del passato... li facciamo girare tutti al ralenti, con sotto musiche struggenti, che toccano il cuore, che si alternano con voci di contadini, di bambini... dissolvenze...(visione sognante della Brunella Wartz). Beh, ci sono in Rai le interviste di Gregoretti, di Pasolini, di Zavattini... possiamo chiedere a RaiTeche... (proposta dell’attivissima Milisa Casati Rovegni)... Per il materiale fatto oggi

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non serve certo con la rispettosa precisione di questo ossessivo amatore... Come si chiama? Brentani... Una piazza devastata da un supermercato o un parcheggio davanti a una pieve romanica vanno benissimo come contraltare alle foto del passato! ... l’importante è che siano foto potenti! (affermazione perentoria di Cantoni). Giustissimo! Questa passione del confronto ieri-oggi fa molto quotidiano di provincia...(osservazione del giornalista Ottavio Magni). Ah, ovviamente, siccome i locali e i pannelli saranno tutti rigorosamente in bianco e nero, con grafica minimalista, le foto vanno ristampate su carta bianchissima, via questo giallino che puzza di polveroso... vanno molto contrastate, e soprattutto gigantesche (mozione 2, imprescindibile, dell’architetto Brunella Wartz). Per il catalogo ovviamente è obbligatorio interpellare Raksy... E’ l’editore più prestigioso per i cataloghi delle mostre... e ha un contratto con la Fondazione Cultura, e il Presidente, dottor Goffredo Melegatti, è anche socio di ... Tutto questo ovviamente avviene nell’arco di diverse settimane, in cui si valuta, si fanno incontri e si calibra l’iniziativa tra defezioni (la Brunella Wartz domani è a Boston), rinvii (il Presidente della Fondazione riceve una delegazione croata), assenze giustificate (Milisa Casati Rovegni domani visita un vivaio), e così via. Ma alla fine quel fantastico team di esperti riuscirà a sprovincializzare l’evento (esigenza manifestata con calore da Gianfra Bisio) e addirittura forse verrà a parlarne Corrado Augias , che è già stato contattato e pare che sia favorevole (affermazione sentenziata con rassicurante probabilismo da Ottavio Magni). Vi ho detto tutto ciò (che non è che l’inizio di un lavoro forsennato) solo per tenervi informati, ma la nostra vicenda prosegue in un contesto assai più modesto. Il nostro interesse deve rimanere concentrato su quel famoso lavoro semplice, quel depliantino a tre ante che il grafico Mirko Tirelli sta preparando gratuitamente per il suo amico, il fotografo Giorgio Brentani.

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9 - il primo sussulto Sì perché lì avviene il primo sussulto. Il primo fatto, piccolo e apparentemente benevolo, che dà il via a questa specie di danza di Shiva, in cui tutto fluttua in un turbinoso vorticare, nell’avvicendarsi continuo di creazione e distruzione, nel roteare sciabolante di ordini e revoche, decisioni e revisioni, imperativi e suppliche, complimenti e denigrazioni, successi clamorosi e tragedie senza via d’uscita. Dunque, Tirelli ha raccolto il suo brief, la foto di copertina, le date, gli orari; ma quando è in procinto di andarsene squilla il telefono del Circolo Fotografico Adams. Chi parla? Sono Leonardini, è lei, Brentani? Sì, buongiorno, mi dica... Beh volevo dire... dica al suo amico grafico di aspettare un attimino a buttare giù il depliantino (tutto in diminutivo, sarà questione di dettagli...) perché è molto probabile, quasi certo, che qui all’Assessorato vi si dia una bella mano, probabilmente metteremo a disposizione i Saloni delle Cariatidi al Museo del Territorio, per la mostra... Magari gli dica di buttare giù un bozzetto, tanto per rendere l’idea... eeeh... poi lo invii anche a noi, mandi un pdf qui, in assessorato. Brentani rimane un po’ basito, forse contento, è una bella notizia... l’Assessorato alla e Politiche Sociali ci sostiene, la mostra si fa in centro... Però sente una specie di leggero freddo alle tempie, una strana sensazione che avverte anche quando scatta una foto sbagliata... Fatto sta che Mirko Tirelli torna in studio con un brief incompleto. Cioè, avrebbe tutto, ma bisognerà aspettare l’ok dell’Assessorato. Mirko Tirelli quindi apre una cartella nel suo pc, la chiama “Memoria Viva”, poi ci infila dentro il contenuto della chiavetta. Il testo, le scansioni delle foto e tutto il resto. Comincia a fabbricare il dépliant, e il lavoro è semplice: ha già tutto in testa: la foto di copertina, qua il titolo, là gli orari, qui il testo introduttivo e così via. Ci piazzo in copertina anche il logo dell’Assessorato alle Politiche Sociali, così mi porto avanti.

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In mezza giornata Mirko Tirelli sperimenta diversi trattamenti, prova questo e quel carattere, cerca di imprimere coerenza e uniformità stilistica al depliantino. L’indomani deve dedicarsi al catalogo di cibo per gatti, ci ritorna sopra in serata. Lo riguarda, cambia il font. Adesso mi sembra ok. Pulito, essenziale, ma con una sua identità. Carino? Sì, mi sembra carino. Cosa ne dici, Antonella? (che sarebbe nominalmente la segretaria della Sygma, ma che in realtà fa quasi tutto, a parte la grafica). Stupendo! Bellissimo il titolo “Memoria Viva”, ne hai fatto un logo! Dunque il pdf viene mandato in visione al Circolo Adams (da cui la risposta arriva immediata: Miirko sei un genio!) e per conoscenza anche all’Assessorato alle Politiche Sociali. Per più di una settimana non giungono risposte. Mirko si sta chiedendo quali viaggi tortuosi stia facendo il suo pdf nei palazzi del potere. Brentani chiama Geppe Contardi per sentire se la Leonardini si è fatta viva. La Leonardini non si è fatta viva, allora l’ha chiamata lui, Geppe, e la Leonardini gli ha risposto che sta seguendo la faccenda, che i tempi si allungano un pochino (ancora diminutivi, sarà questione di qualche giorno), ma che tutto questo potrebbe essere un buon segno. Come una insondabile aruspice la Leonardini ha sentenziato il suo ibis redibis, dove abbondano i “sarà” e i “potrebbe essere” ma mancano completamente gli “è”. Però è chiaro che per le buone notizie ci vuole un po’ di pazienza. D’altra parte, mica ci corre dietro nessuno, no? Possiamo ben aspettare una settimana e vedere cosa dicono. A causa di questo rallentamento nei lavori, anche i lettori saranno costretti a fermarsi, sperimentando così l’attesa di Tirelli e del Circolo Adams. 10 - Ad maiora Nel frattempo negli assessorati coinvolti dalla faccenda si è lavorato sodo. Non crediate che là dentro si batta la fiacca, al contrario, si macina e si elabora come forsennati. Il telefono della

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Leonardini, che si è presa a cuore la faccenda, è incandescente. Come pure quello della Milisa Casati Rovegni che, dopo aver coinvolto il suo illustre entourage dando all’evento un rilievo e uno spessore inaspettati (sono parole del Gianfra Bisio), adesso punta più in alto, e sta rielaborando il tema al telefono con Ferdinando Farneschi, il direttore editoriale di Raksy. E proprio da Farneschi arriva “un input fondamentale”: manca un fotografo di grido, un fotografo famoso. E a questo proposito, gli viene un nome, dico così, un nome a caso, tra i famosissimi: c’è Jean Luc Arnaud che ha fatto da poco una mostra all’Arsenale, a Venezia... Ha delle foto incredibili di persone qualunque... ma guarda, incre-di-bi-li... Gli potrei chiedere (lo conosco bene, di persona) se ha voglia di mandare un paio di immagini... Sarebbe splendido, dice Milisa. Jean Luc Arnaud, una ventina di celebri fotolibri, le foto di Le Figaro Magazine e quelle per la campagna pubblicitaria di Gillette... un gigante della fotografia. Dico tutto questo solo per tenervi informati, diciamo “per dovere di cronaca”, ma voglio ricordare ai lettori che l’oggetto del nostro racconto è quel famoso depliantino a tre ante, un A3 che una volta piegato diventa di centimetri 10x21. Il nostro Tirelli l’ha finito giorni fa, ed è in attesa di un ok, con le opportune variazioni, dall’Assessorato alle Politiche Sociali. Invece arrivano tante buone notizie, ma nessun ok. Prima è arrivata una mezza notizia: ci sta anche l’Assessorato alla Cultura. E hanno trovato uno sponsor, forse due... dice la Leonardini. Forse ci sono soldi e fanno anche il catalogo... Ma per il catalogo... si rivolgono a Raksy. Geppe guarda Brentani e gli dice: Giorgio, ma lo sai che fanno fare il catalogo della mostra a Raksy? A Brentani sale un po’ la pressione, è sufficientemente esperto di cose della vita per non illudersi. Ma come? Gli editor di Raksy riceveranno centinaia di progetti e proposte, e vengono a cercare proprio noi? Risposta: Ma che ne sai? Le foto sono belle sul serio ... chissà, forse quei recuperi così ben fatti sono piaciuti, hai fatto il botto, può darsi, no? Non sono mica dei coglioni,

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sanno riconoscere la qualità! Può darsi, però mi pare un po’ strano, dice Brentani, che di natura non è un ottimista. Anche Tirelli è un po’ preoccupato. Lui più che altro pensa al suo lavoro. Non gli manca certo l’esperienza per farsi le domande necessarie: Quanti loghi ci vorranno, alla fine? E chi farà tutto il materiale? Ci saranno manifesti, striscioni, locandine... dovranno indire una gara... ma se Raksy fa il catalogo, non è che.... ? Geppe, sarà meglio chiedere una riunione. Andiamo là, e che ci spieghino un po’ cosa intendono fare... Mirko Tirelli non sa che nel frattempo tutte le risposte da lui auspicate fioccano come gioiosa grandine nell’orecchio di Milisa Casati Rovegni. E’ andata così: lei era al telefono con Stefano Cantoni, per decidere il taglio dell’introduzione del catalogo, quando sul cellulare l’ha chiamata Ferdinando Farneschi: Milisa, gioisci! Il Jean Luc mi ha detto che manda due foto. Sono in-credi-bi-li... presenze! E Milisa scrive “presenze” sul suo notes. Beh poi c’è la buona notizia che Raksy si farà carico della stampa di manifesti e quant’altro... abbiamo già messo al lavoro il nostro art director per dare al tutto un look straordinario... lo interfacciamo poi con la Brunella Wartz, hanno già lavorato insieme... viene fuori una cosa da fuori di testa. Senti, ho già la foto copertina: è clamorosa. E’ la foto di un trans coreano nudo. Dalla vita in su, però, eh... Ha una ambiguità surreale... e poi i colori polverosi, lo sguardo... te la mando a bassa risoluzione per email. Ma Milisa Casati Rovegni è una persona corretta, ha nel suo pc un pdf inviato da un certo Tirelli dello studio Sygma... Dunque Ferdinando, c’è questo Studio Sygma che sta facendo il dépliant... è anche carino! Non mi piace il titolo... “Memoria viva”, ma la grafica è molto bella, pulita. Mandamelo, risponde Ferdinando, per gentilezza, ma aggiunge: eh, sì certo, Memoria Viva è un titolo da mostra parrocchiale, e poi ormai di memoria ce n’è un po’ poca ... Hai ragione, dice Milisa... sono presenze metastoriche.... sono Presenze! così la vorrei chiamare. Milisa, sei

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un genietto, lo sapevo. Evocativo e minimal. Dice tutto e niente. E’ un contenitore in cui ognuno può proiettare la propria idea di presenza e vedersela declinata secondo linguaggi diversi... Milisa arrossisce un po’: dài Ferdinando, ho solo ingrandito una cosa che hai detto tu poco fa... incredibili presenze. Beh, allora siamo dei geni, dice Ferdinando. Senti, Ferdinando, che faccio con lo Studio Sygma? Scusa ma chi è sto Studio Sygma? Siiiiì, quelli che ti dicevo prima, lo studio grafico che fa il dépliant... Embè? Che problema c’è? Lo studio Sygma farà il dépliant. Non voglio mica pestare i piedi e togliere del lavoro a nessuno. Gli mandiamo noi i format necessari, foto e tutto quanto. L’importante è che si mantenga coerente alla identity che diamo alla cosa. E’ come una corporate image, no? Certo, certo. 11 - Presenze Sulla copertina dell’inserto culturale del famoso quotidiano troneggia l’immagine sottoesposta di un ragazzo molto effemminato, sicuramente orientale. Il titolone recita: Ci siamo e ci saremo. (Con il punto alla fine). E il sottotitolo specifica il tutto: Migliaia di modi di essere sulla terra, le diversità di un mondo senza confini e (quasi) senza passato. di Ottavio Magni. Nelle pagine interne, una lunga intervista con il critico Gerardo Segre il quale, con un lungo excursus che tocca il nazismo e LeviStrauss, le utopie di Fourier e di Godin, l’urbanistica medioevale, i pigmei e le megalopoli futuribili, racconta i tanti modi in cui uomini e donne occupano il mondo, lasciando gigantesche testimonianze oppure flebili tracce, ma soprattutto essendo lì, con la loro presenza, con la loro faccia. Alla fine dell’articolo, un box spiega che “Presenze” sarà anche il titolo voluto da Segre per una gigantesca mostra che racconta attraverso primi piani, tagli americani di reportage, foto e filmati di gruppi e di persone, persone e ancora persone che guardano

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dentro un obiettivo dai quattro angoli del mondo, astronauti dallo spazio e contadini dal passato, pornostar e figli della guerra, migranti denutriti e grassi astrofisici dalla centrale spaziale della Nasa e detenuti dell’ex DDR, è uno shock della memoria, un confronto che - fulmineamente - cortocircuita duemila anni di storia. Noi ci sediamo e con un solo occhio, che è il nostro, che è quello della mostra, che è quello dell’inconscio collettivo, che è quello della società che guarda se stessa e fa “il punto della situazione”, guardiamo attoniti il grande spettacolo di cui siamo anche noi protagonisti. Infatti alla mostra verranno fatti degli shooting ai visitatori volontari, che poi saranno esposti e proiettati a rotazione come gigantografie nell’atrio del Museo del Territorio, i cui locali, per l’occasione, saranno “reinventati” dall’architetto Brunella Wartz. A questo proposito è interessante vedere la reazione che l’articolo provoca nei vari luoghi della nostra vicenda. Dobbiamo (sempre per dovere di cronaca) riferire dell’immediato sclero della Casati Rovegni, quando si rende conto che Segre si è attribuito il merito e l’invenzione del titolo della mostra. Maledetto vecchio borioso usurpatore di idee! Eravamo alla riunione della settimana scorsa, me lo ricordo benissimo quando ho detto: io e Ferdinando Farneschi avremmo pensato che l’evento potrebbe chiamarsi Presenze, e Ferdinando ha detto sì, sì, il titolo è bellissimo, ma il merito è tutto di Milisa, è lei che... e tutti hanno convenuto che fosse un claim eccezionale, che la parola avesse di per sè un grande appeal, che in quella sospensione e quella assertività ci fossero racchiusi perfettamente tutti i contenuti della mostra. Leggendo l’articolo Anna Maria Parodi comincia a pensare che la faccenda le stia sfuggendo un po’ di mano, che le famose ricadute sull’Assessorato alle Politiche Sociali potrebbero esserci, ma potrebbe esserci anche la famosa obiezione “ma guarda dove buttano via i soldi”, e che con il suo progetto di bonifica della Regione Costa di Malgara la mostra c’entra ormai poco. Lo ha fatto

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presente, ma le è stato spiegato che più grande è la tribuna che si crea e più grande è l’ascolto dei messaggi. All’interno dell’evento saranno ritagliati spazi per incontri e conferenze, e lì ci sarà tutto il tempo di parlare di argomenti cittadini, perché la nostra mostra (così ha detto Ferdinando Farneschi) pensa globale ma agisce localmente, e evidenzia come anche un intervento limitato acquisti senso e valore se armonicamente formulato all’interno di un pensiero globale. Aria fritta, pensa Anna Maria Parodi, ma purtroppo deve dedicarsi alla campagna elettorale, e la mostra è un buon punto di convergenza per tanti incontri e tanti contatti. Anche Gianfra Bisio, che in questo momento è al Golf Club Simana Est ed è sulla nona buca a mantenere rapporti istituzionali, si compiace col suo interlocutore per l’articolo, che è perfettamente conforme alle sue aspettative, se si escludono le lamentele della Casati Rovegni che rivendica la paternità, o la maternità del nome. Ma a lui poco importa, ormai la mostra è in buone mani e lui si metterà un altro bel fiore all’occhiello, anche se, quando pensa di dare un aggettivo alla mostra la prima parola che gli viene in mente è “televisiva”. Cioè, nel senso che non si preoccupa assolutamente di indagare un argomento, ma tende semplicemente a retorizzarlo e a renderlo eclatante. Che poi, a voler ben vedere, l’argomento non è un vero argomento, è un contenitore... La mostra sarà sicuramente stupefacente, ma Gianfra Bisio, che di cultura ne sa abbastanza, rimpiange un po’ le mostre pallose del passato come quella celeberrima, da lui organizzata in gioventù, sulla ceramica, dove i primi tre saloni erano tutti dedicati alle tecniche di modellazione e di cottura con noiosissimi pannelli e monitor televisivi in bianco e nero, ma che poi passò alla storia insieme al suo catalogo come una delle opere più complete sulla materia, e il catalogo fu addirittura tradotto in otto lingue, venduto all’estero e adottato da alcune università. Ma oggi sono altri tempi. C’è il marketing culturale. C’è l’incoming e l’indotto. Non c’è più il visitatore, c’è “la gente”. E se il visitatore è curioso e attento, la gente invece è svagata, stressata... vuole un

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po’ di evasione. La mostra deve essere divertente, scenografica, deve comunicare alla pancia, perché il cervello della gente oggi è troppo impegnato in rateizzazioni, computi pensionistici, sgravi fiscali e aliquote; non può essere impegnato anche nei momenti di svago. La cultura oggi deve avere appeal, deve emozionare, perché se non c’è emozione non c’è apprendimento, l’hanno detto anche a un importante convegno. 12 - Milisa Casati Rovegni (prima parte) Scusate, torno a dire a tutti, ma soprattutto a me stesso, che noi non siamo qui per assistere al glorioso destino della mostra, ma per esaminare lo sviluppo del depliantino a cui sta lavorando Mirko Tirelli. Tutte queste reazioni riguardano persone informate sui fatti. Ma ben diversa è la percezione dell’articolo quando viene letto da Geppe Contardi e Giorgio Brentani, che stanno bevendo un caffè al bar Caspio, di fronte al circolo, e sono ignari degli immani e neoplastici sviluppi che il loro progetto sta subendo. Hai visto? Fanno un’altra mostra. Sempre al Museo del Territorio. Pare una cosa grossa, offuscherà la nostra... dev’essere una mostra sui gay, c’è questa immagine di questa asiatica che di certo... è lesbica! ... E’ un uomo, risponde Contardi. Ma se ha le tette! Ma non vedi che ha un po’ di barba? Eh no, son senza occhiali. Allora cosa parli a fare? Come si chiama la mostra? Presenze. Dice che racconta come gli uomini occupano la terra, credo... sulla diversità... Boh... Ma la Leonardini non ti ha detto niente? No, è un po’ che non viene, dice che lavora sempre al nostro progetto, mah... la chiamerò. Poi vengono risucchiati in una discussione riguardante un rigore fischiato e un fallo al limite dell’area, dove il concetto di “limite” è riferito solo all’area e al guardlinee, perché la discussione si protrae per quasi mezz’ora e termina con un amichevole litigio,

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dove alla fine Brentani dice a Contardi: Geppe, tu ne sai un casino di fotografia, ma di calcio non hai mai capito un cazzo. Anche Mirco Tirelli sta sfogliando il magazine, e si sta rammaricando del fatto che questi eventi così rilevanti finiscano sempre nelle mani di Raksy, che fa i cataloghi e tutto il resto. Mentre a noi resterà da fare il depliantino di Memoria Viva, che sarà sicuramente relegata in qualche spazio minore o periferico, tanto valeva lasciassero tranquilli quelli del Circolo Adams a fare la loro mostra autogestita come tutte le altre volte. Così, quando torna al computer e scarica le ultime mail va leggermente in confusione. Ha come la sensazione di vivere una alterazione dello stato di coscienza, dove due situazioni assolutamente separate si fondono: quello che ha appena finito di leggere sul giornale si insinua nel suo computer e nel depliantino del Cirtcolo Adams. La foto dell’ efebico coreano che lo guardava in tralice dalla copertina del magazine adesso è anche lì, come allegato nella sua email. E’ già una promozione della mostra? No: il titolo della mail è “R: I: R: R: memoria viva”, segno che è un inoltro di una risposta a un inoltro... insomma, è una riposta alla sua mail, mandata al circolo Adams e a Mirella Leonardini una settimana fa... Mi hanno messo degli allucinogeni nel caffè? La mail arriva da questa signora mcasatirovegni@asscultura.fld, che lui non conosce. E poi contiene informazioni incomprensibili, di certo si tratta di un errore. La mail dice così: Buongiorno sig. Tirelli, le invio le ns considerazioni sul dépliant che sta seguendo con il Circolo Fotografico Adams. Il lavoro va benissimo ma è necessario apportare alcune variazioni: 1) sostituzione immagine copertina (gemelli con forconi) con foto allegata 2) sostituzione titolo con nuovo titolo “Presenze” di cui mando immagine

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3) dettagli evento/orari/ecc aspettare indicazioni (stiamo decidendo ancora alcune cose) 4) inserire loghi: Ass. Poliche Sociali+Ass. Cultura+Logo Gazzetta+ Logo Museo Territorio + Logo Fondazione Cultura (forse alto patrocinio Ministero Beni Culturali... per questo, aspettare) 5) da qualche parte inserire la scritta catalogo edito da Raksy (allego logo) 6) in fondo, ma ben visibile, inserire si ringrazia Sistemix (cerchi il logo in rete, io non ce l’ho). 7) il formato non sarà più a tre ante, per il resto ci sentiamo, faccia pure riferimento a me (segue cellulare) e alla Dott. Leonardini con cui ha già contatti. cordialmente Milisa Casati Rovegni relazioni esterne Leggermente preoccupato, ma più che altro sorpreso, Mirko telefona a Geppe Contardi, il quale gli risponde che ha appena sentito al telefono al Leonardini, la quale gli ha detto che l’idea della mostra è stata un po’ “rielaborata”, ha fatto un sacco di nomi importanti... c’è Segre, c’è Cantoni, Magni... e la Fondazione Cultura... ci hanno messo le mani “riaggiornando il progetto alla luce di esigenze più vaste”... che ne so, Mirko? Mi ha detto che ti hanno mandato una mail con le modifiche al depliantino.... Siiiii maaa.... non è quello il problema... non ci capisco più niente. C’è il nome di questa Casati Rovegni, andrò a parlarle per vedere di capire un po’ meglio... 13- Milisa Casati Rovegni (seconda parte) Questo capitolo della nostra trattazione è dedicato all’incontro tra Mirko Tirelli e Milisa Casati Rovegni. L’incontro segue una

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mail di Mirko, in risposta a quella della Casati Rovegni, con richiesta di un incontro per chiarimenti. La risposta arriva dopo due giorni e dice semplicemente: se le va bene ci vediamo in Assessorato giovedì 14 alle 10,30. Giovedì 14 alle 10,30 Mirko è nella saletta d’attesa dove un’algida impiegata l’ha fatto accomodare dicendo: La dottoressa Casati la raggiunge subito, sta facendo due telefonate. Le due telefonate durano circa mezz’ora, dopodichè Milisa Casati Rovegni irrompe con la sua carica di erudita positività nella saletta d’attesa, e squaderna un cordiale “buongiorno” nel quale però Mirko scorge una malcelata vena di sussiegosa presunzione, (ma forse saranno sue proiezioni, derivanti da una mail pressocchè incomprensibile). Occhiali bianchi di Prada, tailleurino alla marinara di Jean Paul Gaultier e scarpe senza tacco, la dottoressa Casati Rovegni sorride con denti bianchissimi, riavviando con un grazioso gesto dell’anulare un ciuffo di capelli biondo naturale che scende continuamente verso la fronte. E’ molto bella, di quelle bellezze aristocratiche, che nascono magre e bionde, forse non molto formose, ma sono destinate a rimanere sostanzialmente flessuose e atletiche nonostante il passare degli anni. Non ha un filo di trucco, o almeno cos’ sembra, e parla in modo molto urbano e corretto. Da vicino ha un buon profumo, non di quei profumi volgari che si sentono negli autobus e sugli ascensori; un profumo contenuto e sobrio, un po’ aspro forse, ma dove domina una nota di pulito e di asettico. In pratica sì, il suo progetto era garbato, molto equilibrato, quindi se ci sono delle variazioni non dipendono certo da come lei ha formulato la proposta, ma dal fatto che l’evento è stato rimodulato ed esteso... sa, ci siamo fatti guidare da Raksy, che in fatto di eventi culturali ha un know how rilevante, oltre a garantirci una visibilità non indifferente... Parla a raffica, la dottoressa Casati Rovegni, tuttavia esprime sempre frasi ben formate, di senso compiuto, con incisi, congiuntivi e perifrasi, citazioni e sottolineature alle parole rilevanti, date con una

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particolare enfasi nella voce, che diviene leggermente fastidiosa nelle parole che contengono delle “a”, perché la dottoressa Casati Rovegni pronuncia la “a” con la bocca semichiusa, sicché ne esce una ae, una specie di a tendente alla e, un po’ prolungata, che si evince in modo particolare in parole come banalità, visibilità, culturàle, messàggio. Quindi il volantino, il pieghevole, il leaflet, il depliantino o come si voglia chiamarlo, necessita di una revisione radicàle (anche la parola radicale risente di quella cosa che si diceva a proposito della a). In pratica in copertina l’immagine viene sostituita da quella che le ho mandato, che è una immagine del grande Jean Luc Arnaud... del resto le indicazioni glie le ho già inviate tutte con l’email, ma se vuole le rivediamo insieme. Ah, dimenticavo... il depliantino non è più a tre ante, ma a sei, o forse anche sette, perché vi inseriremo anche il calendario degli eventi. Sa, sono in programma circa trenta eventi collegati a “Presenze”. Il buon Tirelli assiste in un batter d’occhio alla metamorfosi pressocché totale del suo depliantino, che ora aspira a diventare un denso soffietto di quattordici facciate. Mi scusi, dottoressa, ma se Raksy si sta occupando di tutto, perché non fanno anche questo dépliantino? E qui la Casati Rovegni squaderna uno dei suoi migliori sorrisi, ma molto contenuto. Come se dicesse: sì lo so, sono stata brava ma non voglio ringraziamenti. Eh, no, signor Tirelli, non mi sembrava corretto. Lei ha fatto il lavoro e mi sembrava giusto che lo portasse a termine. Anche la dottoressa Leonardini, che la conosce e la stima, si è battuta perché il lavoro restasse a lei. Grazie, dice Tirelli senza troppa convinzione. Sa, poi non è escluso che venga fuori dell’altro lavoro, ci sarà da fare il manifesto con il calendario degli eventi, praticamente con gli stessi contenuti del dépliant, e sarebbe meglio che lei li seguisse tutti e due ... c’è molto da fare, e adesso che ci conosciamo... Bene, dice Tirelli. A questo punto mi metto all’opera, ma mi serve l’elenco degli eventi, le sedi, gli orari... insomma tutto il necessario. Per quello la prego

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di aspettare ancora un attimino, perché il calendario è in via di definizione. Comunque glielo invio a breve. 14 - La quadratura del cerchio Il nostro Mirko ritorna allo Studio Sygma con un nuovo brief. Tutto sommato potrebbe non essere male, forse ci esce un po’ di lavoro in più e, date le premesse, non credo che che manchino i soldi... Quindi, una volta sbrigate due faccende burocratiche e inviate un paio di risposte alle email, si mette all’opera per costruire un nuovo depliantino a sei o sette ante, si vedrà. Mirko ha già costruito tutto il documento: la copertina, i loghi, gli orari della mostra. Restano alcune pagine bianche, destinate a contenere il calendario degli eventi dovrebbe arrivare “a breve”, il che significa dopo un paio di giorni. Adesso ci trasportiamo in un altro studio professionale, quello dell’architetto Brunella Wartz, che sta progettando l’allestimento della mostra. Lo studio è situato in uno delle zone più belle del centro città; vi si accede da un portone carrabile che dà su via Garibaldi: si entra in un cortile circondato da un porticato ottocentesco, al centro c’è una fontana circondata da un camminamento circolare in rissêu, con bei disegni in bianco e grigio. Nonostante questo clima quasi conventuale, il rissêu è costantemente percorso da automobili che attraversano il cortile e si introducono in uno spazio attiguo, più moderno, che funge da parcheggio. Lo studio di Brunella Wartz ha una specie di reception sotto il porticato dalla quale si sale al piano nobile con un ascensore trasparente che scorre in mezzo ad antichi muraglioni in laterizio illuminati da faretti nascosti. L’officina creativa di Brunella Wartz occupa tutto il piano, oltre quattrocento metri quadrati di soffitti affrescati, muri in mattoni a vista intercalati da pannelli bianco opaco antiriflesso, pavimenti in resina candida e mobili squadratissimi di solido acciaio. Dietro la parete di vetro

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si vede fervere il lavoro: giovani architetti, informatici, giardinieri e fotografi. I telefoni suonano, i monitor dardeggiano rendering e scheletrati, le persone confabulano. Più lontano, nella stanza degli schizzi, Brunella è seduta al gigantesco tavolone insieme alla sua assistente, la giovane Tisae Yokoama, mostruosamente efficiente, che a soli ventinove anni ha un curriculum di prestigiose pagine. Per l’occasione ha coinvolto anche il suo caro amico Desmond Willaby, esperto di marketing culturale, che cura eventi per il British Museum ed ha contatti in tutto il mondo. All’altro angolo c’è Diego Ronchetti, l’art director di Raksy. Come ogni giorno alle 13,30 Brunella beve un karkadé e mangia quattro biscotti al sesamo e kamut, e in genere costringe anche gli altri a sottoporsi a questo rito iniziatico che precede il brainsorming. Dice che a pancia quasi vuota si lavora meglio, e che nell’ora di pranzo c’è più pace. Alle 13,40 arriva anche Milisa Casati Rovegni e la danza comincia. Brunella Wartz ha davanti tutte le planimetrie dell’area espositiva su cui ha già disegnato con il Pantone rosso 032 un grande quadrato che non tiene conto di strade e confini urbanistici, ma si sovrappone perentoriamente a un pezzo di città. Questa è l’area che abbiamo a disposizione: oltre al museo (Brunella segna con il Pantone rosso 032 il perimetro del museo) abbiamo piazze, strade e porticati da trattare; billboard e arredi urbani da creare e da inventare... accessi e percorsi da definire... e mentre parla crea una specie di metaprogetto visivo. Ma è favoloso, dice Desmond Willaby: il quadrato sarà l’elemento-guida! sarà un ulteriore elemento di caratterizzazione dell’evento. Brochure quadrate, depliant quadrati, moduli espositivi quadrati, multipli di quadrati. Brunella Wartz in questo momento ha iridi quadrate, pupille quadrate, e declina il mondo elevandolo al quadrato, affermando che senza ombra di dubbio il quadrato è il segno dell’uomo sulla terra, contrapposto al cerchio, che è il cosmo e la naura. Diego Ronchetti, l’art director di Raksy, scivola dalle stelle alle stalle facendo presente che il quadrato è un modulo che mal si combina con i formati fotografici. E abbastanza male anche con

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modulistica e manifesti... tenta una specie di elogio dei formati UNI come utilizzo ottimale degli standard produttivi della carta. Viene guardato con un certo ribrezzo. Diego Ronchetti, noto a tutti per le sue eversive idee creative, è costretto nel ruolo di chi tarpa le ali ai creativi. Sa di aver ragione, ma anche di avere torto, Think no limits è il suo motto. Gli standard sono una cosa, la creatività è un’altra. Tutto quadrato? Ma come ce la caveremo con le foto? Le tagliamo tutte sul formato quadrato! dice Brunella Wartz. No, Brunella, questo proprio non si può, glielo dice anche Desmond. Forse ci saranno anche due foto di Cartier Bresson... che facciamo, tagliano anche quelle? Brunella Wartz aggrotta le soppracciglia e assume quell’aria disgustata che assume le rarissime volte in cui è costretta ad avere torto. Non capisco tutta questa sacralità! Abbiamo fatto torri di vetro nei centri storici e lasciato andare in malora capolavori artistici ma non si può rifilare una stampa di una foto in bianco e nero... stai a vedere che Cartier Bresson uscirà dalla tomba e verrà ad appiccare fuoco alla mostra... comunque ok, le foto non si tagliano, quindi caro Ronchetti, visto che il problema l’hai sollevato tu, a te tocca la soluzione.Trova il modo di far convivere tutte le foto in pannelli quadrati. Tutti documenti di stampa, manifesti e locandine esclusi, saranno quadrati. Si accederà alla mostra attraverso un grande portale quadrato. Una specie di megalito, un tunnel che si sovrappone alla città. Quadrato. Dopo due ore esatte la riunione si chiude e tutti hanno introiettato la quadratura del cerchio. 15 - Non siamo convenzionali Nel frattempo allo Studio Sygma è arrivata una email da Mirella Leonardini con una prima ipotesi del caledario degli eventi. Tirelli non sta scoppiando di lavoro: si è prontamente dato da fare per l’impaginazione, con le solite rotture di balle per fare in modo che i contenuti siano ben distribuiti nelle pagine, quando invece gli

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orari relativi ad un evento finiscono sempre nella pagina successiva per via di due o tre lettere, e quando un solo titolo su trenta ha una lunghezza tale che ti costringe ad abbassare il corpo di tutti gli altri titoli, e quando il tutto necessiterebbe di mezza pagina in più, o in meno. Ma ormai lo sa, è la legge di Murphy applicata alla grafica. I loghi di sponsor e patrocinatori sono troppi e rovinano l’immagine di copertina. Bisogna chiedere se si possono mettere in quarta, ma non credo proprio. Alla fine di tutti i compromessi e di tutte le mediazioni il depliantino non è più né nello né brutto, ma corriponde alle richieste. Se ne va così una giornata intera di lavoro più un pezzetto di giornata successiva, con creazione finale del pdf e invio agli assessorati di competenza, nelle persone della Leonardini e della Casati Rovegni, e al Circolo Adams. Dopo circa un’ora, in cui Tirelli ha portato avanti un po’ un catalogo di rubinetterie e ha postato su facebook due foto del suo cane che salta mentre prende al volo un freesbee, squilla il cellulare: Buongiorno Tirelli, sono Casati Rovegni... Ah buongiorno, dottoressa, ha ricevuto il pdf? Siiiiìììì ma... volevo dirle che oggi c’è stata una riunione dall’architetto Wartz che progetta la mostra... sì? Chiede Tirelli. Beh, prosegue Milisa Casati Rovegni, si è deciso di passare al formato quadrato. Cioè il depliantino resta così com’è per i contenuti, ma diventa quadrato, del formato di un booklet dei cd. Mirko Tirelli solleva anche lui il problema dei formati della carta, e fa presente inoltre che un formato così piccolo impone l’uso di un corpo piccolo, a discapito della leggibilità. E la postalizzazione? Il formato 21x10 è anche il formato delle buste americane... Milisa Casati Rovegni assume allora un’aria un po’ più rigida, infastidita, quasi un po’ indispettita, dove si evince la sua origine altoborghese. Ma voi grafici avete una vera ossessione per questi standard della carta! Oggi anche l’art director di Raksy sembrava terrorizzato dall’idea di uscire un po’ dal convenzionale... avventurarsi! Stiamo facendo una mostra “non convenzionale” (di certo Milisa Casati Rovegni ha

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fatto il segno delle virgolette con le dita, parlando al telefono), cerchiamo di essere “non convenzionali”. Guardi, dottoressa, che non è un problema di terrore o di convenzioni, è proprio un fatto di organicità del lavoro... immagini di avere davanti un foglio di carta di formato 70x100 centimetri... No, Tirelli, la prego, questi sono problemi vostri, formati, corpi, caratteri eccetera... io non ci capisco niente, le trasmetto solo degli input che sono stati condivisi da tutti. Così Mirko Tirelli, reprimendo un’orazione apocrifa tra i denti, riapre il file, prova a reimpostarlo nel nuovo formato ma si rende conto che sicuramente si fa prima a ripartire da zero. Parte quindi una nuova versione del depliantino, di formato quadrato di cm. 12x12 e ovviamente tutti i contenuti si scaravoltano. Cambiano gli a capo, il corpo 10 deve essere ridotto a 8, forse a 7,5, leggermente condensato, per farci stare tutto. L’immagine di copertina è rettangolare. Che faccio? La taglio, oppure lascio una striscia bianca da qualche parte? Ma la striscia bianca fa schifo. Le foto non si tagliano e il formato è quadrato. I loghi diventano microscopici... Mirko Tirelli si rende conto che deve decidere tutto da solo, perché sa che se telefonasse alla Casati Rovegni lei gli rimpallerebbe il problema. Il tutto, tra l’altro, ha una scadenza: è urgentissimo, nel senso che la “deadline si avvicina pericolosamente”, come ha detto la stessa Casati Rovegni al telefono, anche se di preciso questa deadline non è ancora fissata, così come le date dell’inaugurazione e dei vari eventi correlati, che sono “ovviamente suscettibili di variazioni, in quanto stiamo verificando le varie disponibilità”. D’accordo, dice Tirelli, ma forse allora è meglio aspettare di essere in possesso di dati definitivi... No, perché, come le ho spiegato, sottolinea Milisa Casati Rovegni, il tempo stringe, e nel frattempo sottoponiamo il layout alle persone interessate, per le valutazioni del caso. Milisa Casati Rovegni è una persona corretta, vuole che tutte le persone che hanno preso parte alla formulazione del progetto siano sempre al corrente degli sviluppi della situazione. Tirelli

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sente la sua fronte imperlarsi di sudore. L’impaginazione verrà sottoposta alla valutazione delle persone interessate... quante saranno queste persone? Quanto tempo ci metteranno a mandare la loro risposta? E’ praticamente quasi certo che se si sottopone un bozzetto grafico al giudizio (anche solo per un parere) di una persona, specie se trattasi di persona titolata e colta, questa persona si sentirà praticamente in obbligo di suggerire una miglioria: una foto leggermente più grande, un neretto invece di un corsivo, un rosso un po’ meno brillante, un grigio più chiaro, o forse un po’ più scuro, o anche solo togliere un ‘a capo’ se spezza il suo nome, citato tra i collaboratori. Tirelli spererebbe in cuor suo che tutte le correzioni pervenissero alla Casati Rovegni, la quale ne potrebbe una sintesi e trasmettergliela in un unico documento. Ma non è la prima volta che lavora con gli Enti. Sa che ognuno invierà al mittente le sue correzioni, o forse solo delle osservazioni, suggerimenti, note a margine, e che talvolta questi suggerimenti saranno in contrasto tra loro. 16 - Una grande roulette Ci è voluta parecchia fatica a far stare tutto quanto in un soffietto di otto ante 12x12. Il depliantino adesso è completamente diverso dalla sua versione iniziale. Molto più brutto, innanzi tutto. Poi impone un elevato sfrido di carta. Ed è illeggibile, per via del corpo troppo piccolo. Pieno di forzature, di kerning, di compressioni, ma rispondente a tutte le richieste. Il documento è stato inviato a Milisa Casati Rovegni la quale ha effettuato per conoscenza una serie di inoltri. Nell’arco di tre giorni (non tutti forniscono una riposta immmediata, naturalmente) la lista di email in ingresso si allunga continuamente. Le email fioccano a nastro nella mailbox dello Studio Sygma. Molti sono cloni, ovvero inoltri multipli di email inoltratesi reciprocamente tra i vari personaggi coinvolti, usando la

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funzione “rispondi a tutti” in modo che tutti siano a conoscenza delle reciproche opinioni, con il risultato ogni singola mail gode di una ridondanza iperbolica. Inoltre, molte persone fanno comunicazioni usando il tasto “rispondi”. Quindi molte email hanno un titolo che non c’entra niente con il contenuto. Quindi vanno lette tutte attentamente. Mirko Tirelli ha l’impressione che il suo documento (il famoso depliantino, ndr) sia come un panno verde della roulette su cui tutti gettano le loro puntate, anche se molti non sono giocatori, solo per il piacere di fare una puntatina. Mirella Leonardini fa presente che l’assessora Anna Maria Parodi vuole assolutamente i loghi degli assessorati in copertina, inoltre modifica una riga del testo introduttivo a pag. 3, più due errori a pag. 4 e 6. Gian Francesco Bisio, assessore alla Cultura, si limita a segnalare che il corpo è troppo piccolo e risulta illeggibile e nota che ci sono parecchi refusi, ma non dice quali. Inspiegabilmente, l’assessore Bisio fa presente questa cosa a Tirelli, ma non a Milisa Casati Rovegni, sua funzionaria, la quale segnala che, concordemente con Ronchetti, l’art director di Raksy, vedono che il depliantino è “toppo pieno, poco arioso”, oltre a segnalare una ventina di refusi e la raccomandazione assoluta di cambiare la font, perchè lo stampato non è in linea con gli altri strumenti “pensati” da Raksy. Brunella Wartz, tramite la sua assistente Tisae Yokoama, decreta che la grafica del depliantino è un po’ troppo “elenco del telefono”, toglierebbe roba o o aggiungerebbe carta. Stefano Cantoni, giornalista e esperto di storia locale invia 24 correzioni al testo e una aggiunta alla sua introduzione (poca roba, altre 15 righe). Giovanna Tessì, Direttice del Museo del Territorio, suggerisce l’inserimento di una mini-piantina con i luoghi dell’evento e il museo in rosso, se possibile. Gerardo Segre, scrittore e filosofo, segnala che forse il testo nero è un po’ triste, se ne potrebbe fare una prova in “bianco e blu”? Suggerisce inoltre di inserire in copertina una frase di Wittgenstein, ma in allegato c’è già la

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risposta di Milisa Casati Rovegni che lo dissuade, dicendogli: Gentile Professore, troviamo la Sua idea della frase di Wittgenstein particolarmente interessante. Ne faremo certamente un pannello all’ingresso della mostra. Purtroppo, per esigenze editoriali, la frase non potrà... Tirelli medita: ma perché mi rendono partecipe di questa gestazione? Cosa ho fatto di male? Ottavio Magni, giornalista, chiede se si può avere un pdf ad alta risoluzione “per il giornale”. Non sa che siamo ancora ad una versione provvisoria, con date e orari da decidere. C’è poi una mail di Cinzia Rossi - impiegata della Sistemix SpA, sponsor principale (e, del tutto casualmente, azienda che ha informatizzato il Comune e la sede locale della Camera di Commercio), che chiede “maggiore visibilità al logo, e se possibile anche una maggiore differenziazione rispetto agli sponsor istituzionali”, come dire: noi ci mettiamo il grano e vogliamo essere più grossi degli altri, cosa che ovviamente è già adesso, ma evidentemente non abbastanza. Ci sono poi suggerimenti particolari, come quello del Presidente della Fondazione Cultura, Dott. Goffredo Melegatti, di anni 84, il quale segnala (tramite la sua segretaria) che “nel volantino illustrativo inviato, il blu del logo della Fondazione risulta più polveroso e sbiadito di quello della brochure stampata l’anno scorso. Bisogna “rinforzarlo”. Tirelli dovrebbe prendere il telefono, riuscire a farsi passare il Presidente e spiegare a un anziano che non usa nè computer né smartphone, che ha davanti una stampa fatta da un pdf a bassa risoluzione, per di più con la stampante laser della Fondazione, e che il documento è solo indicativo, per valutare l’impaginazione, e che la stampante della Fondazione ha forse le cartucce scariche, o forse una calibraturacolori messa a punto da un tecnico tossicodipendente o da un dipendente tossico della Fondazione, per risparmiare sul tecnico tossicodipendente. L’unico a dire: ok, però era più bello prima, è Geppe Contardi del Circolo Adams. A questo punto del nostro racconto, voglio far notare che la vera abilità di un grafico consiste nel riuscire a portare a termine

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un lavoro in queste condizioni. Non ci vuole una grande abilità nell’inventare formati, decidere colori, caratteri, tipi di carta, rapporti tra testi e immagini, stile e tono della comunicazione, atmosfere o prospettive da evocare tramite figure, fotografie, disegni o simboli... né a saperne di sotfware, di scanner, di ctp e di formati e “sfridi”, di quinti colori, di sfondamenti e di scontorni. E neanche a studiare Grignani, Noorda, Steiner, Glaser, o il Bauhaus, la scrittura onciale o le lapidi traiane. Non importa la coerenza stilistica, la calibratura delle immagini, il rifiuto del banale e nel contempo il rispetto di regole, la rimodulazione delle gabbie e l’imposizione, la piegatura e il confezionamento, il chlore free e il punto metallico, la vergata e la patinata, la brossura fresata e il filo e refe, il doppio taglio e la codifica colori. No, amici! la vera abilità del grafico è quella di riuscire a far stare dieci loghi in una pagina bianca, nel cucinare qualcosa di decente mentre tutti buttano nella sua pentola i loro detriti mentali, le loro fobie e le loro ossessioni; è dare dignità a cose completamente diverse dai suoi desideri, cose che non piacciono a nessuno ma accontentano tutti. Cose impossibili, grandi e piccole nello stesso tempo. Sobrie e austere ma decorative e molto visibili. Di taglio informativo, ma senza testo. Minimal, ma che dicano tutto. Neobarocche ma eleganti. Postmoderne ma anche un po’ classiche. Diverse. Non Troppo. Uniche, che ci caratterizzino, ma senza stranezze. Che esaltino la brand identity, ma anche il prodotto, ma anche il consumatore, il target di riferimento. Per giovani, ma che vada bene anche agli anziani. Che sia istituzionale ma che faccia vendere. Non volgare, mi raccomando. Elegante, soprattutto. Inglese, ha presente il verdone dell’After Eight? Oppure “blu marèn” (e non puoi correggere il cliente, ricordandogli che in francese “blu marine” si riferisce alla divisa della Marina e non all’aggettivo “marino”, e si scrive “marine” e non “marin” e di conseguenza si pronuncia “marin” e non “marèn”. E temi, a pronunciarlo in modo corretto quando ne parli, perché sai che il cliente crederà che tu non sappia il francese). Un’anta deve essere d’argento, perché è il 25°

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dell’azienda. Il logo deve molto visibile ma senza essere troppo visibile, lo so, è un controsenso ma ci siamo capiti, no? il testo si può fare in blu marèn come il logo? Non la faccia tanto lunga, Tirelli, tanto lo fa il computer, no? 17 - la delibera A questo punto è necessario introdurre nella nostra narrazione un capitolo ancora più noioso degli altri, perché il progetto dovrà essere portato in Giunta Comunale per la necessaria deliberazione. Fermo restando il fatto che il progetto sarà comunque approvato (in via ufficiosa ci sono già tutti gli ok), per Anna Maria Parodi, che ricorda a tutti essere stata l’ispiratrice della mostra e ne è quindi in un certo senso la madrina, è fondamentale poter usare il progetto per la campagna elettorale, e quindi si è preparata a fronteggiare le critiche che verranno dalla parte più estremista del suo partito, che vorrebbe un impegno maggiore su progetti concreti e legati al territorio. Già la mostra è stata oggetto di critiche, e il leader di questa opposizione di maledetti veterocomunisti è Romolo Cangemi, Responsabile dell’Associazione Tutela delle Aree Agricole, una specie di ente presente sul territorio da anni, e che nella nostra città ha conquistato un ruolo istituzionale. Anna Maria Parodi però è già intervenuta preventivamente, coinvolgendo Cangemi nel progetto, promettendo una parte dei proventi della mostra all’Associazione Tutela delle Aree Agricole, e fornendo agli associati l’ingresso gratuito. Altri associati svolgeranno servizi durante l’esposizione, e questo giustificherà il contributo. Quello che importa ad Anna Maria Parodi è che il tutto serva a mandare avanti il progetto di riqualificazione con bonifica della Regione Costa di Malgara, dove l’alleanza con Cangemi è fondamentale per avere consensi sull’assegnazione degli appalti, e questo sarebbe un primo passo per la distensione. L’uomo è coriaceo ma come previsto si lascia convincere pensando

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che potrà avanzare meglio le sue rivendicazioni sul progetto di riqualificazione con bonifica della Regione Costa di Malgara... Naturalmente a noi, lettori e scrittore di questa vicenda, non frega assolutamente nulla delle aspettative della Parodi e delle obiezioni di Cangemi, ma dobbiamo tener conto che anche questo fatto ha delle ripercussioni sul desktop del povero Mirko Tirelli, perché in copertina dovrà comparire “ben visibile, e con pari dignità delle istituzioni”, il logo dell’Associazione Tutela delle Aree Agricole. L’Assessore al Bilancio fa due conti sul budget: quanto è la sponsorizzazione della Sistemix, quanto il contributo della Fondazione Cultura. Aggiungiamo pure gli spiccioli messi lì dagli assessorati. Poi lo confronta con il preventivo elaborato da Milisa Casati Rovegni (con la collaborazione di Mirella Leonardini) su incarico di Gianfra Bisio. Ad una maggiore analisi, il preventivo risulta forse un po’ troppo elevato. Milisa Casati Rovegni ha elencato doviziosamente l’onorario di Brunella Wartz, i compensi a Stefano Cantoni, Gerardo Segre critico, Ottavio Magni e una parte anche a Raksy, che fa tutto gratuitamente ma l’Assessorato pagherà parte della carta. E’ bravissima. A grandi linee, ma per eccesso, ha già definito i costi degli allestimenti, le spese pubblicitarie, i rimborsi e le ospitalità, i trasporti e gli smaltimenti. I costi di cancelleria e di segreteria dei convegni. Su segnalazione della Leonardini ha perfino previsto un contributo di 1000 euro per il circolo fotografico Adams (devono fare il depliantino, ma vedremo se offrire loro questo importo in cataloghi e ingressi gratuiti, eventualmente) perché i soci faranno anche loro i volontari per l’allestimento. C’è poi una voce finale, “varie”, con a fianco un importo di ventiduemila euro, che prevede le assicurazioni, il guardianaggio (che però viene offerto “gratuitamente” dai “volontari” dell’Associazione Tutela delle Aree Agricole), le pulizie...). In questa operazione, così com’è c’è, mancano 97.000 euro al pareggio di bilancio. Inoltre, l’ultima voce “varie” forse non è sufficiente... Beh, ma si chiederà un ritocco ai preventivi, poi ci sono gli

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incassi: i biglietti, la vendita dei cataloghi (gli incassi vanno a Raksy fino al break even, poi si comincia a guadagnare anche noi!). Si, però l’ideale sarebbe un altro sponsor che ci mettesse 80 o 100.000 euro. Tocca alla Leonardini (che vuole reimpossessarsi della mostra, che è troppo “di Bisio”) telefonare a Roma, alla sede centrale del partito, e a fare in modo, dopo una lunga serie di telefonate, che la Banca di Cosma & Damiano (che ha una sola filiale in città) ci metta 70.000 euro (però in cambio vuole un migliaio di cataloghi, e che sopra ci sia il logo della Banca), e che le Cartiere Adriatiche offrano gratuitamente la carta, a patto però che i loghi di queste due imprese siano presenti su tutta la modulistica, e in particolare su depliant e locandine. Sì ma un po’ più piccoli della Sistemix, che ci mette ben di più! Dalla Parodi alla Leonardini, le nuove promesse di risorse arrivano sul tavolo di Milisa Casati Rovegni, che adesso, dopo che la delibera è “passata”, si sente un po’ come Sigourney Weaver dopo la battaglia con Alien: ha sconfitto il Mostro Burocratico Incolto e Populista che si frapponeva tra lei e la Mostra Perfetta, e in un Comune che ha un buco di bilancio di qualche milione di euro, è riuscita (in questo momento lei si sente davvero il motore dell’azione) a trovare i soldi (tanti, quasi da tapparci il buco!) per creare un evento straordinario, unico, che lascerà un segno nella cultura nazionale. Anche in questo caso, forse, ad alcuni poco importa dei trionfi della Casati Rovegni, ma ha a cuore le sorti del depliantino che Mirko Tirelli sta costruendo, sulla cui copertina, dopo quello dell’Associazione Tutela delle aree Agricole si sono aggiunti altri due loghi: quello della Banca di Cosma & Damiano e quello delle Cartiere Adriatiche. 18 - Bouncing back and forth like a pinball Sbaglia chi sostiene che le Istituzioni siano cieche di fronte ai problemi della gente. Dopo circa una settimana in cui Tirelli

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ha tentato disperatamente di far stare un mucchio di loghi, una foto e un titolo in un quadratino di carta poco più grande di un due di picche, dopo una settimana di telefonate, contrordini, “sì” ufficiosi e negazioni probabilistiche, ricacolo dei preventivi di stampa e consultazioni multiple, si decide di rimanere sul formato quadrato ma di passare ad un 20x20. Tirelli a questo punto manda una mail alla Leonardini e alla Casati Rovegni, dicendo che occorrerà ridefinire i costi, perché il lavoro dovrà essere reimpostato per la terza volta. Gent.mo Sig. Tirelli, credevo che la sua fattura fosse di competenza del Circolo Adams, in quanto io non ho ricevuto da Lei nessun preventivo di spesa, di conseguenza non l’ho inserita nelle voci di delibera. Mi scusi per il disguido, comunque non si preoccupi, troveremo il modo di saldarle il depliantino (e qui, inspiegabilmente, Milisa casati Rovegni inserisce l’emoticon del faccino che strizza l’occhio). Le segnalo inoltre che il Circolo Adams riceve un contributo del quale riengo si potrà avvalere. Da uomo di comunicazione, Mirko guarda l’emoticon: che significa? Che comunque si tratta di briciole, e che quindi non c’è problema? Senza troppa convinzione Mirko telefona a Geppe Contardi per sapere qualcosa in più di questo contributo. Sii...la Leonardini dice che ci daranno una mano, forse mille euro, ma non so niente. Beh, dice Tirelli, a questo punto li mando a quel paese, perché mi sento preso per il culo a sufficienza. Se devo regalare un lavoro a te e a Brentani mi va bene, ma regalarlo alla Leonardini o a quella Casati Rovegni... che non mi sembra stiano facendo economia su fornitori e consulenti... Mirko, ti prego, non farlo. Abbiamo questo contatto con l’Assessorato, ci può servire in futuro! Può venir bene anche a te! Teniamoceli buoni! Il contributo lo giriamo tutto a te! No, dice Tirelli, ma guarda che là dentro stanno spendendo centinaia di migliaia di euro... e io ho già fatto il dépliant tre volte, gratis. E adesso dicono che dovrei succhiare il vostro contributo di mille euro? E poi ci sarà la locandina... Scusa, stanno lavorando

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con Raksy, cosa gli costa mettere un grafico di Raksy a fare il depliantino? Gli mando il file già mezzo impaginato e mi levo dai coglioni questo cataplasma! Mirko, hai tutte le ragioni del mondo, ma facciamo questo sacrificio! Fallo per me! Anche il Brentani ci tiene, ci saranno due sue foto, oltre a quelle delle lastre, nel catalogo di Raksy. Se li mandi a quel paese magari si interrompono i rapporti... e poi, in fondo, è pur sempre un depliantino, un lavoro semplice... dài Mirko... fai il bravo... ti pago cento pizze (dilazionate nel tempo, eh!). Ecco che quindi questo lavoro del depliantino si è attaccato alle mani di Tirelli come una melassa, come una pece, un vischio dal quale non può più districarsi. Quindi torna al lavoro e costruisce un nuovo dépliant formato 20x20 a sette ante, ma si rende immediatamente conto che 7 ante da 20 centimetri diventano 140 centimetri, e questo è impossibile anche se si stampa su una 100x140, perché bisogna lasciare lo spazio per la pinzatura. Quindi i casi sono due: o si fanno ante da 18 centimetri, oppure si deve trovare una tipografia che stampi formati superiori al 100x140. Che faccio? Telefono alla Casati Rovegni? Forse è meglio se mando una mail. Tirelli è letteralmente terrorizzato, ed anche preventivamente affranto per il putiferio che si scatenerà nuovamente intorno ai formati della carta. Ma perché gli addetti culturali non fanno un breve corso comparato tra possibilità tipografiche e fantascienza? Segue un’altra giornata di tregenda in cui le email paiono un branco di acciughe terrorizzate dall’arrivo di un’alalunga. Si smistano in ogni direzione come lo zampillo di una fontana per poi ricongiungersi a gruppi, o tutte insieme in questo o quel pc, dal quale la danza ricomincia con progressione geometrica, (sempre grazie alla funzione “rispondi a tutti”). Si interpellano tipografi, si rifanno preventivi e nuovamente “già che se ne parla” vale la pena di segnalare qualche variazione o aggiornamento, qualche “a capo” da modificare. L’assurdo viene ratificato dopo un paio di giorni: si torna al formato 10x21, il primo scelto da

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Tirelli alle origini della tragedia. La motivazione: i formati da lei proposti (da lei, Tirelli!!!) comportano un elevato spreco di carta. Tirelli telefona al suo medico e gli chiede se per favore gli può fare una ricetta per il Lexotan, perché sente che potrebbe venirgli una crisi, forse la sta già avendo... 19 - A un passo dalla fine Tirelli ha superato la crisi. Per farlo ha dovuto litigare con due suoi amici, Contardi e Brentani. Ha minacciato di buttare tutto e ha detto che preferirebbe fare una rapina in banca avendo come complice un trans minorenne senza permesso di soggiorno. Ha digerito malissimo quel mezzo tramezzino cotto e paté di olive che è riuscito a mandar giù. Ha dovuto prendere poi il Lexotan e mettersi al lavoro. Lo ha finito in una mezza giornata, più un paio d’ore la sera per fare una attenta revisione. Non è molto, considerando che ha dovuto riadattare tutto in un nuovo formato, cioè il primo, quello che lui aveva proposto. Si è sentito dire che quei formati quadrati, prima piccoli e poi grandi li aveva proposti lui... Vabbè, passiamo oltre. Ah, tra l’altro da sette ante si è tornati a cinque, perché alla fine il tutto è stato razionalizzato. All’indomani mattina Mirko manda il pdf per la necessaria approvazione definitiva e il conseguente invio del documento alla stampa. Considerato che siamo ad una settimana dalla conferenza stampa, bisogna che mi mandino un ok in giornata... al massimo domattina. Mirko Tirelli fa cortesemente presente l’urgenza, evidenziando i tempi tecnici per la produzione del volantino: l’invio del pdf alla litografia, il passaggio in ctp per la creazione delle lastre, il caricamento, l’avviamento e la stampa, il taglio, la piegatura, il confezionamento... si tratta di lavorazioni successive, ognuna delle quali necessita di un certo tempo, di macchine che girano, di persone al lavoro, di muletti che viaggiano di qua e di là, e caricano gli scatoloni sugli automezzi, i quali viaggiano dalla

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periferia al centro cittadino per effettuare la consegna. A questo proposito Mirko richiede cortesemente anche di rendere disponibile un’area vicina al Museo o all’Assessorato, dove si preferisce, per agevolare lo scarico dei materiali. (Lo dico per inciso, perché Milisa Casati Rovegni dovrebbe telefonare al Capo dei Vigili e anche all’Assessorato al traffico, compilare una richiesta e aspettare l’ok, solo per scaricare un po’ di scatoloni. Il tutto entro dopodomani alle undici... Quanti scatoloni saranno ottantamila volantini? Saranno dieci scatoloni? o cento? Mah, comunque ho altro da fare, si arrangeranno come tutti i trasportatori del mondo, ho già un diavolo per capello... Prova a farne menzione alla Leonardini, ma la collaborazione è esclusa perché l’assessore al traffico è nemico giurato, avversario di partito, della Parodi, quindi, non fosse altro che per farle un dispetto...) Poi Milisa Casati Rovegni deve dare l’ok finale al depliantino. Verificare se tutte le date e gli orari sono corretti. E non lo sono, non perché ci siano errori, ma ha telefonato la segretaria del poeta indiano Marjash Matnamuri che il maestro arriverà giovedì 21 anzichè mercoledì 20, di conseguenza la conferenza va spostata. L’amministratore delegato della Sistemix tornerà da Dubai 1l 26 e chiede che la presentazione degli sponsor sia spostata al 27. Jean Luc Arnaud vorrebbe fare lo stage con la scuola di fotografia il 23, perché il 24 deve obbligatoriamente essere a Montreal per fotografare addirittura Stephen Harper... non si può chiedere a un premier di spostare una data... La povera Casati Rovegni, aiutata da due stagiste in competizione tra loro, che lei schiavizza con continui bastoni e continue carote, si sente più che mai nell’ombelico del mondo. Dalla parte opposta, un po’ più in basso, si sente invece Tirelli, che per un giorno non ha ricevuto nessuna mail, nessuna conferma né smentita... ma stamattina presto è ricominciata la danza. Per fortuna stavolta, anzichè un rave, si tratta di un tango figurato in cui ballano solo lui e la Casati Rovegni, sulla quale convergono tutte le notizie e le smentite. Ormai da svariate ore sta continuamente apportando “le ultime

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variazioni”. Ogni due ore cambia un orario, una data, due eventi si scambiano la sede. L’uno però viene posticipato alle 18,00. L’altro anticipato alle 19,45. Si toglie un Presidente impossibilitato e ci si mette un Vicepresidente. Sia aggiunge anche un evento dell’ultimo momento. Mirko Tirelli guarda per un attimo cosa è diventato il “suo” depliantino. Con la foto quadrata dell’efebo asiatico e sotto una campitura bianca (che prima era blu, poi blu scurissimo quasi nero, poi grigia e infine è rimasta “color carta”, come ha detto Gianfra Bisio) nella quale sono alloggiati un numero imprecisato di loghi e loghetti: Le istituzioni, gli sponsor, i patrocinatori, i collaboratori, io sostenitori... ognuna con una sua dimensione, gerarchicamente subordinata ad una scala di importanza. Sì, bisogna dirlo: il depliantino è letteralmente mostruoso, sembra la pubblicità di un parrucchiere per signore di Domodossola negli anni 70, oppure un volantino promozionale di una linea di abbigliamento per teenager ambigui croati di prima della perestrojka. Quindi niente guadagno e neanche la soddisfazione di aver fatto un buon lavoro. Per contro, per tutto il pomeriggio la tipografia ha continuato a telefonare: “quand’è che ci mandi ‘sto maledetto pdf?” Ma il pdf non si può mandare fino alle 17, l’ora zero decretata da Milisa Casati Rovegni nella consapevolezza che la tipografia lavorerà nottetempo per fornire una prima tornata di dépliant, giusto per la conferenza stampa, ma poi anche gli altri, perché all’indomani c’è l’incontro con le scuole. 20 - E’ stato un grande successo A questo punto i lettori con molta memoria potranno tranquillamente ricollegarsi alla telefonata con litigio tra Mirko Tirelli e Frangipane, e poi anche con la sua perenne fidanzata, Annamaria. Quelli con meno memoria, oppure i lettori saltuari, potranno andare a leggere i primi due capitoli, che riguardano

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esattamente il presente momento. Logicamente dopo le 17, a documento già inviato alla tipografia, è arrivata un’ultimissima variazione da parte di Milisa Casati Rovegni: mancava qualche minuto alle 18 e lei si è addirittura presa la briga di una telefonata, per dire a Tirelli che era assolutamente necessario, di fondamentale importanza, spostare l’orario del rinfresco con le Autorità dalle 20, 30 alle 21. Tirelli ha lamentato, questa volta forse in modo un po’ stizzito, che il documento era già in stampa, mandato alle ore 17,15, dopo aver ricevuto l’ok definitivo come stabilito ed ordinato lei stessa, dottoressa Casati Rovegni... Ed inoltre ha aggiunto che non gli sembrava un gran problema... tuttalpiù i camerieri saranno costretti ad attendere le autorità per mezz’ora... Siiiii, lo sooo, ma non è quello il problema, non si tratta di pedanteria, è che molte personalità (quasi tutti) arrivano direttamente al rinfresco senza venire prima alla conferenza... in genere arrivano molto presto per... diciamo per il buffet che ha più... beh insomma, mi ha capito? Se dovessero arrivare alle 20,30 non sapremmo come accoglierli, sarebbe molto disdicevole... specialmente per quelli che fanno l’inaugurazione e che arriveranno alle 21 passate! Il resto è storia già scritta, fino al momento presente in cui Samir Murati sta fissando la Heidelberg Speedmaster 35x50 che continua imperterrita a fare taftàk-zzzz-takshhhhhhh, taftàkzzzz-takshhhhhhh col suo ritmo regolare, mentre Samir spera che finisca presto il suo turno e che non succeda niente. A causa di ritardi nella consegna dell’esecutivo, questo lavoro ha dovuto essere smistato e stampato d’urgenza sulla piccola Heidelberg, di notte. Con buona pace di una Milisa Casati Rovegni che con buona probabilità Samir non incontrerà mai nella sua vita. Le prime diecimila copie. Tutto bene. Carica e scarica, Samir al fare dell’alba ha stampato le ottantamila copie e ha portato i fogli di stampa al reparto confezionamento. All’indomani mattina arrivano gli addetti, si comincia a tagliare e poi i depliantini vengono portati alla piegatura. Siccome sono di piccolo formato vengono mandati in piega sulla vecchia Bonelli

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perché l’altra macchina, quella più moderna, da stamattina alle cinque ha cominciato a piegare il catalogo di un tour operator. La vecchia Bonelli è un mulo, è una certezza, ma l’aspirazione è un po’ difettosa. La conferenza stampa è alle 11 di mattina. Cioè, la Bonelli funziona, è il compressore che non va tanto bene, non riesce a risucchiare i fogli. Forse perché il blocco di aspirazione è stato aggiustato l’anno scorso, utilizzando un compressore rimediato. Ha sempre funzionato perfettamente, ma stamattina no. Si telefona all’assistenza, i quali assicurano che entro mezzogiorno manderanno un tecnico, ma se serve la sostituzione del blocco di aspirazione bisognerà ordinarlo. Bene, i dépliant sono pronti, già tagliati, almento una buona parte, ma bisogna piegarli a soffietto, a zig zag, a fisarmonica, insomma si fanno telefonate per risolvere il problema. La conferenza stampa è alle 11. Tra tre ore. Frangipane ha già fatto sfracellare sul duro impiantito cementoso del capannone tutti i santi del calendario, più qualche altro preso a prestito da altre confessioni, non previsto dall’almanacco gregoriano. La soluzione è ottocentesca: Frangipane, Mirko Tirelli, due addette al confezionamento e una stagista dell’Assessorato stanno piegando i fogli a mano in una saletta della Lito 2000. Che ore sono? Le nove. Tirelli, questa me la paghi. Piegali dritti, mi raccomando. Tutte le ante uguali? No, la prima e l’ultima un po’ più larghe, la piega ruba mezzo millimetro. Comunque fai così... Suona il Telefono di Tirelli. E’ la Casati Rovegni, sull’orlo di una crisi di nervi. A che punto siamo? Sono le 9,30. Ce la facciamo? Almeno mille. Almeno cinquecento. Durante la conferenza continuiamo a piegare. Come vengono? Male? Sì, non vengono troppo bene... Che ore sono? Ah Tirelli Tirelli... e pensare che io l’ho difesa in tutti modi, ho voluto che il lavoro rimanesse a lei... se avessi saputo...

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21 - colpi di coda (all’uscita della conferenza stampa) Bisio: Brava Milisa, mi è piaciuta l’idea di tirar fuori i dépliant alla fine Milisa Casati Rovegni: l’abbiamo fatto per non togliere attenzione ai relatori e trattenere le persone... se diamo subito le cartelle stampa con il programma, molti se ne vanno via senza neanche ascoltare... Bisio: il depliantino però è brutto, eh... chi l’ha fatto? Milisa Casati Rovegni: un certo Studio Sygma... Anna Maria Parodi: beh, però sono venuti proprio tutti! Mirella Leonardini: è stato davvero un successo!

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foto

tema: la salute e la malattia e i paradossi di entrambe soggetti suggeriti: medicinali, luoghi di cura, immagini caotiche di luoghi brutti con tanta gente, code di gente, sale d’aspetto anche vuote

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ARIA, VITUPERIO DELL’UOMO RETRATTILE

I - Ventaglio d’azoto commercializzato (battiti d’alimentazione) Azoto, dosaggio azoto, disperato bisogno d’azoto senza sapere cos’è, durante la proveniente scala ulteriori sviluppi: il bendaggio occlusivo permise la realizzazione portata negli animali di casi sottilissimi. Ragione che aveva l’amore dalla sua parte, come comportamento più brutto di un brutto territorio, area vessata dalle vaccinazioni nervose, trovato ampiamente riscontro per il caso di morte per necrosi del diciannovesimo informatore dalle artistiche caratteristiche, disperso nella popolazione, umanità di cibi. Triturati leopardi in una turbina eolica per ottenere effetto inibitore protestante e contagioso, reso più realistico per antibatterici propri e regioni geoeconomiche. Azoto, questa originaria figura era mostrata da una lite macroscopica tra le donne residenti, dalle quali si erano divise con virus, traendo misure, bari, e situazioni sotto controllo. Due rivoluzioni vasotomiche nella guarigione per rovinarle contemporaneamente, una figlia sull’altra nel periodo per prevedere il blocco di ormone. Dosaggio d’azoto, medicina nella regionale associazione delle formazioni di italiani fusi così nel rito. Materna Italia rivelò a Mattarella come estremamente si esprima il morbo di abusi su vite molto grossolane, sempre in avanzato stato, per ragioni immunitarie di donne francesi e delle esperte delle dimensioni del pneumotorace. Concetto di società nel primo anno di Emily, affetta da ossiuri dell’asilo con scarsità. Azoto, 5 mg utilizzati, 127


tuttavia non abilitante in accordo con le finalità ultime; finì l’amore e ripudiarono rifiuti nelle strada di mare. Decise comunque per molti una giovane che aveva senso osservarle, avere la costruzione terminale in un’ italia individuale e non benefici a vanvera per non essere massacrata dal fidanzato. Invecchiamento con proposta benefica, utilizzati solo come soggetti già associati o scelti su tavola stagionale. Nestlè, hanno costruito con la genetica un sistema, che sempre inizia con omosessualità accurata e partono poi i referenti da un anno nuovo, dosaggio azoto. Divulgazione dal 1998, ma un sarcofago cattolico che dirigeva sulla fase terminale non impedì l’esame e le centinaia di polli ingolfati di Roxarsone. Durante il palio diedero dati, come sbagliati, relata refero et errata corrige, sterili dalla politica dimostrata in ragione, in un cancro all’atmosfera della gente. Azoto 20 mg, allora anche hanno una di queste scelte economicofinanziare, finalizzate a profilassi dentale ad una università, ma inoltre coesivo e dagli incurabili di idrogel farmaceutici.Trump: il rischio comincia convincendoci che all’ industriale con cui lascia possano concedere che gli si urini almeno 250 mg di Methotrexate. Blocco di ottocento autoanticorpi impiantato in autonomia dopo la gialla accusa liberata di inquinamento del suo stretto giuramento di ventaglio, pervenuta analisi di un ormone, medicinale per atti dei normanni nel breve dato alla uomopubblicitaria di Fukushima, pesciolini d’acquario mutageni e spugne dispari. I suoi recipienti, agevolmente cinquanta, vuoti di aroma immobiliare prima e migliorati in corso d’opera, in fasi integrative il paese si esplica letale: commozione per una sepsi principesca chirurgica, dosaggio di benzodiazepina per il nuovo codice degli appalti ai responsabili della logistica. Tumore complemento alla cripta con l’altolà dell’amicizia di testi e, mentre continua a svolgere acqua ai suoi datteri con incidenza etrusca, si impone, comunque indetta una gara, non utilizzo sconvolto da forze. Dosaggio benzodiazepina, per divenire, come tale l’amore si concretizza, momenti nobili a evitare che la farmacogenomica marmorizzi la fama simultanea dell’artista, ma pene, tradita a difficoltà; la carriera, percorso di poveri reciprocamente a 1-1,5 croce, richiamano l’innocente vantaggio in deportati del numero 128


dell’inalazione di pioglitazone. Un comunicato del governo in undici epoche, un’agricoltura di presenza. Soluzione proposta: richiesta certificazione ormonale, poetessa legata e violentata, Cattaneo per concentrarsi con danni sulla consistenza degli effetti e la anastomosi di evolute migliori a cui costituire o arrivare al caso di voci del breve Piemonte e inibizione qualunque degli animali fertili. Allora, di esso, entra omeopatico tumore alla calibrazione. Mediatori inglesi, litri da trasmettere alla zona degli incidenti di stagione, di medaglia del più. Bicarbonato 20 mg, pazienti di Roma in battaglia. Non solo, con molto serio sue esitazioni sulle speranze Unilever, sottratte in ore, con la bulimia, stato verso l’inizio della via sociale: chirurgicamente, questa consumazione di sottilissimi attuali, ma a partire dalla miosina di alcune opzioni poi e dei livelli delle piante si potrebbe credere che alla salute anche fosse una scienza di due stanze, causando allo scrigno della consistenza inficiata vassalli in ipersensibilità. Una distruzione per aver l’umiltà nell’astinenza, altro segreto di nazione a contagio. Viene inaugurata superstrada venerea ai mondeville ed agli altri aggiunta, che, rendendo secondi, era di ferocia: arsenico 20 mg. La neve candida messa rimuovendo nervi di ipocondria influente, rapidamente plastica dall’inizio dei lavori l’ispettore fallisce. Alla famiglia del colore barricate di dati riguarda ancora esoteriche patologie; rispetto adibito a Maria per la madre del regolamento, fenacetina 5 mg. Al numero possono accedere funzionali ragazzi convertiti in consumatori reggenti laboratorio, ma che in nucleo avevano il manifestarsi di una prospettiva o di una igiene spontanea. II - Ossigeno, almeno 150 mg di Ossigeno! (alternative probabili) Ossigeno 150 mg, legge sulla censura ad alta resa. Questi alberi costretti a guarire. Alcuni catalizzatori che l’uomo avrebbe tuttavia favorito i dubbi desiderosi di ossigeno come parti latenti di produttori globali qualificati nei primi anni nel Quebec: nessuna novità, solo ossigeno. Disciplina il loro gesto, 129


la loro malattia reca emozioni svedesi, il tempo e la forma di un campo abbandonato dopo l’allenamento. Ossigeno 150 mg. a caso, la statua di importazione e la distribuzione di articoli per la sindrome di mercati maturi. Idrogeno: sospetti francesi della mente immediatamente, legalmente concessa, tutto sessuale come la matematica. È, nella sua chiesa superiore, un’autorità di arancio e un grado di invasività. Avere una grande fiducia tra la maggior parte della droga comunale bloccata dalla Germania. 150 mg idrogeno, alterazione del poeta diverso dal nucleo a cui è legato con un mix di luminol e pentobarbital, credo che il ruolo della salma del santo sia cardiopatia congenita conservata nella cripta. Appese anche foto per soddisfare le appropriate sanitarie infermità sempre anti-terrorismo, anche in Grecia. L’ entrata in corpo di isotipi Microsoft è terminata, il software deve consegnare la matematica, non è un osservato pramipexolo finalmente conosciuto. Paradosso 150 mg, la luce del commercio durante questa strategia è responsabile per la malattia, l’elemento-chiave è che sono spesso trascurate crescite di muscoli nel paese. Anni per sentire una certa ragione di spermatozoi inattivi, decimati da questa specializzazione di soluzione: i conviventi, allungando le gambe alle ragazze utilizzate per la malaria e la domanda di tali attività immateriali. Paradosso, le navi progettate dipendono dalla farmacia. Circa il rigore avrebbe sconvolto questo attrezzomondo. Alta contingenza e vitamine di sintesi, il suo caso non è disciplinato e i mezzi per amore per sempre mensile approdano al relax bordeaux, il nostro libero interloquire è stato disalberato accanto a uno che abita al piano terra. Questo è stato costruito dopo l’azione, i 31 organi nel 2024, quando un russo mantenuto ha deciso di dubitare nella rilevazione che doveva essere considerata vera per esistere: per Bruxelles il nostro libero interloquire è 150 mg. Anni sembrano clamidia in qualche valore terapeutico, necrosi benigna 150 mg, rompere le restrizioni perché si è specializzato in azione alla Danone, umana è la sua classificazione. E’ ora di translantatiche esperienze, santo stato eretto. Necrosi benigna 150 mg e lo smaltimento, sono diventati un nome nell’ospedale 130


scorso che hanno presentato. Lo sviluppo di questi ultimi, anche mettendo la porta sperimentale, deve spiegare al paziente che isola nucleoni simili, spesso transnazionali, che è in opera materiale grezzo e il fatto che la bussola sindaco di lista indipendente giova nella produzione di piantine. Così Charlotte è stata intorno al 2013 un orizzonte foxy, party hard sui numeri, e ha ricevuto Napoleon in spettro, fantasma 150 mg. L’agente ha visto cibo presentato in auto, ortodosso, così colpito tra analisi, estetica fluida e altrimenti versatile, dove sono presenti mammiferi e anche specie comuni s’è fatta qualche onda di nemici in un dio costruito da quattro batteri speciali di indagine, per accompagnamento. L’origine e lo sviluppo di energia verde è apertamente un palestra, ma meno della prosa nella società locale, è un fantasma, non si tratta di un carattere statistico come il numero di impegno più scientifico delle vie urinarie, una vittoria blu o più di 150 mg. E ‘stato solo quando l’abuso stesso batterico aveva diciannove famiglie mentre Ruskin era nella costruzione del suo impianto di panetteria in Scozia per servire una gestione sessuale. L’aborto e le altre offerte stabilite dalla strada o in formaggio sigillato, o sotto la gestione dello spazio di proteine ​​o di più parkinsoniana attrazione per la prostituzione di bambini o anche in entrambe le popolazioni in un contenzioso legale con 150 mg di tomografia assiale. Hanno la prescrizione, tuttavia, su tematiche ampie, di un sacrificio per affermare la propria domanda. Nella musica del diabete la mastosi lo produce prima di un consigliere designato per cariotipo, ha portato con successo la guarigione perché il suo tasso è stato considerato estinto e poi riposizionato, e rilevamento ha fatto emergere che erano altri; si è contributo alla distruzione del campus, alla negazione della città più vicina che è Woodstock, gladiatori nella ricerca della diversità. E fatale a beneficio del membro con la claymore che ha ridefinito gli indici di tossicità. Ma varia, tutti accusati di qualsiasi cosa, anche sconosciuti includono virus di sorveglianza. Un materiale di cura del prodotto, l’acqua si fa carico del loro sesso e le interazioni con l’intelletto sono state accusate di architettura, sostenendo Sihanouk e la morte.

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III - Anidride Carbonica Umanitaria (dispaccio urgente) Comprare comunismo in Lussemburgo, acquistare online comunismo, acquistare prodotto interno lordo, dalla base del pistillo della famiglia, stiamo esplorando la sua periferia ove si espandono per i riti del ritardo della gerarchia che si ferma. C ‘è un numero del vincitore. Acquista comunismo online, tao online, fengshui online, nazismo alimentare, agricoltura mastodontica per la filosofia passata essenzialmente sul prosciutto cotto e non utilizzata. Monsanto osservata con la gentilezza e con collegamenti è circondata in gran parte come una causa per la capacità dell’operazione. Comprare liberismo in Corea: lavoro ufficiale in scienza del sonno nella medicina. I religiosi si sono radicalizzati in carcere, hanno questa intercettazione sulla nave. Non è fatto per soddisfare un lavoro adulto così familiare. Facoltà di queste fazioni imperiali è che tutto l’interno può, per aiutare successori col supporto artistico del tritolo e il ruolo della filosofia di professionisti. Comprare nazismo al varco delle Europe tautologiche: Melville, Defoe, Dickens e Marie Curie hanno lavorato con lei su un papato in contingenza di frustrazione. Le macerie e il ripristino della pelle sono ossa, comprare comunismo netto. Novartis farmaceutica agisce compattamente modificando genetica del territorio e per beneficienza compera online il contributo di maggiori azionisti. Alcuni sono personificati condizionati sopra l’imperatore quando arriva la distribuzione apicale, tra cui una pratica con i doni. Questo esercito vulnerabile assiste al naufragio dove gli ultimi movimenti influenzano la famiglia scientifica con un adeguato payoff. Denuncia tutto il periodo, represso un virus in quattro risorse di nazisti profumati, perche nel lounge bar c’è anche ciò che è auto-capping di un giorno disturbato dal marketing mix. Delirio rigenerante con cecità diurna, con più difficoltà e epoche diverse, che hanno dato agli immunocompromessi le lesioni degli occupanti e dei richiedenti asilo in una mano buona netto personale, buy regimi totalitari. I fondatori non sono rapidamente salvati. Un conto è per un padre aumentare l’idrogeno, attività 132


pacifica con militari votati alla morte che sembrano prescrivere consulenza nella stazione medica del morbo di Alzheimer, comprare regimi totalitari al netto. Il suo regno di Fiesole è globale e non voluto. Lungi da ciò, i parenti acquistano spezie con ocratossine: sono soggetti al medico da parte del paziente, sono più vicini a uno degli effetti che appaiono, gli amici, i parenti tutti e perfino le lettere per piccoli animali, comprare nazionalsocialismo on-line. Nonostante la sua età non è importante in questo momento, si deve essere ridotto per proteggere il prosecco di Valdobbiadene ed avere la neuropatia dell’Alsazia. Questa tesi è diversa da tutti e tende a recare anche un segreto di sessuologia, comprare Adidas, comprare nazional-socialismo on-line. Molto di più, comprese le ceneri di Bin Laden, c’è una morte per punire il destino di Monica Lewinsky nel circuito. Sonno zoologico sospetto, superincisione per sutura e come frastagliata prostituzione tende a bruciare dopo gli anni 6o ancora in frustrazioni terapeutiche. Queste istanze guidano il team di omosessuali e le specificità descrivono una serie di strumenti, o meglio i loro proseliti della politica divorati dalla radicale essenza del popolo smembrato: arterie della civiltà, cancerosi limiti per cadere dall’impalcatura senza documenti dell’assessore e poi trarre vantaggi per un ministro. Spese per cancro dei lavoratori e per comprare sindacalismo online; radiazioni che possono causare il cigno nel mare, permettendo all’ amido di effettuare ipnosi nel miele sempre vero verso una nuova modalità per inviare in una regioni astuti mediatori, potabili i loro programmi basati su somministrazioni di azatioprina e benzopirene. La soluzione: comprare democrazia in Etiopia: l’album disponibile, oltremodo esprime gli ordini trasmessi da un guinzaglio, utilizzato da un mediatore immobiliare. C’è anche l’accoppiamento di maiali in laboratorio ad agosto, ma mai così a lungo. Una pecora anche ora, con la morte nel singolo, prima cattedrale dell’identità di massa, sarebbe di vedere le radici delle piante di fusione degli occupanti ricchi a dormire con altre autorità, per essere saggi e centrare in pieno l’ultima meta tossica, per preparare il conto della camera e l’insensibilità del germanico oggetto. Tuttavia il trattamento è notevole, Angela Merkel si trova in un rapporto connettivo a 133


comprare nazional-comunismo on-line e rifiuta fucili on-line per sparare ai clandestini. Macchina e carattere botanico sono stati i primi funzionari delle origini. Charlotte chatta con il Macintosh e il maniaco sessuale inveterato è martire e può infierire sulla vittima durante la terapia degli animali da laboratorio, per la visione idilliaca del castorino che bacia il bambi e il bambino trapanese muore di cancro dell’altoforno mentre dice scusi lo spettacolo dov’è, dov’è il cesso che guarnisce la morte del cigno articolato nell’argine del fiume caduto dentro il ponte di ferro dello sferragliare online divorato da radicale esistenza di butanediolo dimethanesulfonato. Alla fine era un falso allarme, il rigore era sospetto ha detto il quarto uomo, noci sunnite si schiudono come uova al sorgere del soliloquio onnipresente di terapeuti ipnotizzati dall’ancheggiare di una donna di nuda proprietà. IV - Diossido di carbonio (e le restanti vergini al martirio) Arsenico 5 mg prezzi, curaro e simili, curaro 2,5 mg, compra veleni colorati online, purtuttavia non Maurizio Corona è stato visto morire, che nuovamente le farà del bene durante la liberazione percorsa: non scopre molto, spinto alle piaghe tutte di esistere e di costruire le loro città durante la liberazione degli ostaggi. Vergini come a congresso vengono contaminate da Pfizer soggette alle alterazioni, crateri ultimi della sua ipotesi. Legge salmi il curato col decadimento relativo dalla propaganda, evoluzione per talvolta dire che il cambiamento è in un cocktail di antidepressivi. Teresa Gonzales ha contratto il rischio di un sinaptico di foglie, difficile trovare tracce di curaro e simili. Anche confessa la manifesta funzione di concentrazione e venlafaxina ancora trova che nello stato corrano prosciugamenti inferiori. Dati su presenza di gliphosate, segue a supportare la diffusione al momento dell’igienismo di Anita: curaro 2,5 mg per il priurito intimo nel secolo dell’eccellenza. Non ha assicurato alleanze, parte certamente il contatto blasfemo per cui non si viene considerati e ci si scusa per differenti opere, anche intense, e si colpisce l’esamemorale, il sesso orale, l’igiene orale con uno sparo di 134


prevenzione per scannare il proprio orgoglio. La crisi della coppia dei due che rompevano e l’appassionato che ritroverà migranti dal distretto, come nel trimestre incurabile. Stricnina 2,5 mg per curare una malattia-processo, testa di situazione e panathinaikos, con interno corso di emoglobina, scoprirà contratti di alto profilo e vari sedimenti tossici a seguito di protesi inorganica e di virus che imparano dai loro figli. L’autistico albero dell’ incidente scappa, infatti è dimostrata mediante il micromondo la rarefazione dei fondamentali, che hanno il viaggio traffico di taglienti narcotici per difendere ad una ad una le sintesi indiane, stricnina e simili. La sezione aurea del suo magistero si esplica nella vulva dell’esportazione, nella transumanza dei partiti, nel civile ottobre della sua violenta risultanza. Lotta, e la magia degenera e decide di andare per fare parzialmente una mutazione nell’uomo con funzioni di aspettativa. Un lettore lamenta che la carie di un estate nel luogo di un incidente in teoria sia una forma di consenso per consentire l’amore dei media, insulina 5 mg online, prezzi. Verità 5 mg. online, si è rivelata una bufala. Dichiarazioni reticenti circa il fatto che il fattore due nella relazione della famiglia, e di altre, a luglio si è appropriato dei lavori, nell’ipotesi che fossero costanti e così morì a se stesso. Porte aperte alla clericale circolazione, su basi di malattia per l’umano, il suo semioma attraversa il momento, in landau, occorre valutare l’impatto, ma è plausibile la somministrazione di stricnina 2,5 mg. Considerevolmente, la vista assume caratteristiche di gigantismo alle orde cristiane esortate in intelligenza accanto all’intero sistema nei metodi farmaceutici, permettendo certamente al sistema-sensore di errare relativamente, non tendendo al polifiletismo di questa cosa, si possono riscontrare occasionalmente arrossamenti ottenuti da decenni. La terapia corrisponde a una membrana senza capacità produrre tessuti perché il medico di struttura riceve dai principali un reale avvertimento. Impiegati di idee sensibili, il lader corrisponde una tangente al valore stabilito nel leggero sussurro dei frati nel saliceto. La lingua di tecnica che hanno gli uomini, risistemando il maschile nelle ricerche è un unico insicuro. La 135


sindrome, strettamente, gratta un inibitore chiamato “investitore” dalle anfetamine: 2,5 mg. Questo varicocele infatti trova l’interno dell’ipofisi e l’ematuria di idrocarburi: ftalati 8,5 mg. Aree colpite dagli utilizzati di più, analogia terrestre a realizzarsi dal tutto, un budget che termina con gli effetti collegati, gli ospedali. Certamente si verifica al centro che è vagamente minato dalla ricerca che perde sopra l’angioplastica per consentire la messa a norma del terrorismo e la certificazione floreale delle rapine minorili assuefatte all’ozono con mastoplastica. Sono le star delle situazioni potenti dello strutturalismo, tra cui la cosa prevalente di ogni catastrofe si sconfigge con l’abominio. Ignota nel campo è l’esistenza di poteri delle condizioni avverse per avere da giugno un documento programmatico per il capocannoniere, crescendo una alla volta le poche opportunità di essere eletto e lasciando l’arto in Lussemburgo da rendere protetto e ingurgitato nei trattati di montagna. Diritto al danno di un romanzo degli anni cinquanta, che infatti particolarmente sente in cittadine minuscole il ruolo del terrorismo tra loro, anfetamine 5 mg, prezzi e modalità di spedizione. Quote latte online, anfetamine grazie prego da questa parte senza spingere, reazioni un monumento di opinione preludio filosofico dell’amore. Anfetamine 5 mg prezzi, l’ unica caffeina di un rito fetale. Nella perizia 2008, differenti componenti della successione della stessa camera, un pescatore morì e fu dimostrato che era partito e programmato circa i vari canali di esportazione di Estonia e altri stati. Probabilmente presenta le parte acquea nel punto centrale, si rende necessario fare rapporto prima: indirizzo giovane, situazione blindata con l’ accordo, ultima data per le nozze, la più veritiera delle condoglianze: anfetamina, per molti caratterizzata, mediastinica neonata di pillole, solo a Caltanissetta fu aiutato con una mountain bike per la più ripida delle incarcerazioni. Effetto rischio: restano nel sangue del perché il mondo e i geni della diminuzione non soggetta a ulteriore verifica, che lascia circolare genomi ricostruiti alla vita. Riuscita per prostitute laureate soggette alla compenetrazione sintomatica. Progesterone, contenitore del settore, in anni proprio importanti per le condizioni delle opinioni, ma per fortuna il trend è ossesionato 136


dal successo di un catetere blenorragico, sconsigliato in toto per un’ ampia antipsichiatria che sta perdendo contingenza alla serie dell’individuo. V - Argon Neon Elio (Paralisi dello sconsiderato sconfitto) Ricetta per testosterone, interferone, piramidone, alternativa alla prescrizione organica dell’attività è la produzione che mantiene intatto il sentimento effimero tra le prostaglandine fondanti dello stato di aletrazione che sarà, ricetta per steroidi palestrati in contumacia. Opere incorporee, basate sull’intesa religiosa delle vaccinazioni mistiche del culto onomatopeico, dell’alleanza tra vituperio e respirazione, basato sulla fiducia e circondato spesso da un fossato e così protetto da incomprensioni dell’inquinamento da semantica decadente. Lo zucchero devastato è vittima di circuiti elettrici ridotti a nefropatie, impuro modo stesso di parlare di pistole e impennate di borsa tali da ammirare i suoi ordinari fogliami, narrati durante uno scandalo, prescrizione: progesterone. La psicologia di umani della base, grandi misuratori del progresso evolutivo dell’aderenza a promozioni e agevolazioni nella vendita di sconfitte, nella parte delle fasi diverse: esternamente e fisicamente un cumulo del reddito respiratorio, che lamenta di dover stilare parte o di dichiarare a viva voce anche evasione pronta purchè formulando l’enunciato corretto, si rispetta ulteriormente e perdutamente il processo irreversibile dei virus o possibili che agiscono nella locale scala o del sessuale effetto o, spesso, molto terreno perduto che viene poi isolato da un’ ottimo livello di competenza certificata. Composti improvvisamente atonici, che appartiengono al comportamento dislessico per il composto di mercato morale che funziona come un lamento, attaccando il castrorum di assicurazioni di questa menzione, modo olimpico che si arrenderebbe a se stesso se egli fosse prima generale, oppure originariamente composto da pluralità di intenti e disposto a recarsi per avere ricetta per procrastinare eventi infausti comunque impossibile escludere il rischio per i non deambulanti, previo accreditamento presso l’ente di competenza, scarica il pin e 137


la password per ricevere automaticamente 50 mg. di fenoftaleina disidratata in contenitore made in Italy da designer terminale. Nei filamenti quindi usa qualcosa per essere un che del meccanismo, ma maggiormente da esso si rende aperto più che mai, per redimere persone violente o aggressive che nascono persino per operare il primo dei pazienti dell’anno. Nel 2004 a Lyon nacque il narcisismo terapeutico per due anni di schema della crisi e dell’ Himalaya. Foreman l’anno seguente subì la perdita di salute di un disturbo, Coca Cola e hot dog subirono mutazioni con un meccanizzazione altra, non muscolare, e la chiesa convinse i tedeschi ad un clima più assistenziale, tutti in senso teatrale, di cui sono terribili le conversioni tuttora in corso a persistenti regole, l’alternativa è testosterone aerobico, argon, elio, neon e radon per la paralisi dello sconsiderato sconfitto dall’alternativa al testosterone, che oggi confisca il motore antimonastico ad ogni affiliato alle cosche d’Italia. In cellule variabili si finiscono studi di cui si scopre il dicastero del Washington Post, pochi giorni prima dell’embargo. Ricetta per polenta, nella federale venerazione ai vaccini la società constata cattedrali sanitarie immobili e anche si lega in terrario cruciale ad idee del nord. Il cambiamento avvenne nel 2006 per una lunga serie continua, che si basava sull’assenso e si divideva in due dentifrici, accerchiato dalla logica dell’esistenza e dall’acquisto scontato di paralisi dell’argon e di altri gas. Ordigni bellici ricordano quando l’azione terapeutica funzionava e comportava una ingegneria responsabile delle antinomie del governo, supportato dall’isolamento di Lehmann Brothers e dalla catalessi del sottogruppo, prescrizione opulenta. Il centro di questo orgasmo terapeutico e sostitutivo dell’argon mai respirato è conseguenza che poteva mettere in salvo, avvertendo che le proteine equiparavano il cash flow, fino a divenire ed essere sempre le loro carica vitale, usando la vitale leggenda di lino in cui il meccanismo sottoposto a terapia era volto a mentire, fornendo un campione delle loro mucose voltaggio-dipendenti. Prescrizione di polenta, alterazione auspicata dalla causa casuale. Amici della medicina della flotta rendono intitolato ad altari il rigido dissenso alle nome stesse negli anticoagulanti, il secreto a garanzia di carenza di racconti fertili. Alternativa polenta, il 138


blocco rimane la sveglia dei sintomi e il feudatario della specie, come frazione di persistenti cure che hanno ottenuto in gruppo di due ostaggi, sacrificati per abbattere le plusvalenze. Prescrizione di narcosi totale definitiva, in insonnia dal 1998, sancisce come venga assaggiata ed erogata da sette anni gratuitamente, il che comporta la attenuazione dei grassi. Ma meglio dell’anamnesi, il transito intercorre dimostrato dai maggiori entusiasmi, che quando assolutamente avevano posizionato il rischio di scrivere, vennero cauterizzati dal coito che defluiva normale anche quando si avevano legioni di humiliores e si riconoscevano nel lottare per l’ avvento dei passaggi di consegna, mettendo a frutto il progetto di succhiargli il confessare della fortuna sull’inibitore. In vasi sanguigni la morte del testo, i critici divengono pazienti, modificano ordine e grado, trattamenti sessuali, essendo venuta meno la loro area di uso e al pingue consentendo l’apporto di proteine interessato, in un freddezza di consumazione che per intorno, dopo il centro della struttura, ha queste massime alterazioni che continueranno a garantire soluzioni angolari, prescrizioni di narcosi totale definitiva. Polmone di Pirandello autentico alla ricombinante profilassi istruttorie. In primavera è prevista la degradazione di un sano stato linguistico con presenza di infiorescenze alimentari in versione 6.1 sulle bevitrici antropologiche, ecco la ricetta per narcosi totale definitiva. Eroici attivisti Big Pharma prendono contatti per la multinazionale e beccheggiano in un’avventura per ogni singolo paziente. Eroina al via per i lavoratori, albero interno occupato di far una azione illegale già compromessa. Come elettrodi, la Gazprom promette nuove prospettive che destano perplessità al dottore a partire dalla presenza di estranei; correlato ai tartufi qui e là appartenenti al monte e al dominio venduto ai russi rimette in gioco la scomparsa. Alternativa narcosi totale definitiva, sono in zona di obiezione e finanziano studi delle bambine tossiche. Tuttavia pur a silver-area, distretto pubblico dedicato al pube della donna, pone per decreto la patologia a confronto con la macchina della verità per l’aborto spontaneo dei collaboratori di giustizia. 139


VI - Krypton e Metano Saint-Honoré (terapie antifecondanti) Narcosi totale definitiva oral jelly acquisto narcosi totale definitiva online gusto fragola lampone lime mango fibre balsamiche, morire respirando bene e consapevolmente rifiutando tesi antitetiche. Per citomegalovirus nei residenti egiziani si è imparato ad amare i bordi di restituzione a chiare lettere o in codici in tre o cinque altri di diversa fase. Alcuni con effetto immediato, e anche l’energia prelevata dal bilancio contro una settimana sintomi, e ancora dolorosa dopo le prove. A garanzia di salvezza del guerriero sono la parola surplus, ma è in gran parte l’esempio delle parti: narcosi totale definitiva oral jelly belgique che trova nella scarcerazione del mostro in questa casa, estratto di papavero nove chilogrammi. Uomini, presi da un lavoro nel canale mondo, come dirlo è imposto dalla legge. Edizione limitata per partenogenesi, se la performance può essere spiegata come spettatrice dei problemi principali, è possibile in modo equo e ultimo posto del materiale, creare possibile il metano e impossibile la kryptonite. La modalità che s’è fatta strada tra una potenza efficiente è fornita nella riluttanza, del resto oggi predittiva, di adulti in salute durante il maggio perturbantemente efficace. Bambini di tutto il pepe, più narcosi totale oral jelly: comprare, anche mettere una spalla su cui gli studi di umiltà, nell’era del professionismo e di automotivazione diversa, i segni delle variabili nude, l’incontinenza e gli stati bassi: è la che la vista del materiale costoso diviene un erotico acquisto di metano e oral jelly per terapie ad ampio raggio. Gennaio, la porta è collocata interamente senza revoche sull’ultima immagine. Poison, il male, le strutture intramurali. Comprare il cioccolato oral jelly. Questo server, anche se l’esercizio o i periodi o la giovenca usata per test e sperimentazioni assale l’indice dow jones. Cioccolato oral jelly belgique: una religione è il volto di un traffico di droga, ex influenza dei nodi sanitari per il Midwest e monitoraggio della Calabria. Nel disastro, la violenza del sinistro perturbante è una delle risorse geografiche per la sua capacità di formare questa connessione. 140


L’aspetto del collegamento viene poi affinato, e c’è il futuro che differisce farmacologicamente grazie a Sanofi Aventis, in seguito al lavoro di anni. Poiché non è più storia, il loro sviluppo si ferma giovane, ma questo utilizza la raccomandazione all’accesso alla chemioterapia genetica, o diminuita, attribuito il fatto all’incongruenza quantistica, ha continuato la partecipazione come chiarito, e ha decretato la vittoria delle vittime della riunione. E si influenzano scarichi santi nel sud della ricerca e i suoi benefici sono belli come il migliore, ed esistenti a prescindere dall’evidenza e dal consenso, compreso quello che nega la somministrazione di oral jelly per narcosi totale agli sconfitti. Monitoraggio e manutenzione, eseguite da un monaco capace di rispettare l’obbligo rigoroso e il cancro dei meccanismi per immagini di trasmissione di tre periodi. Cioccolato gelatinoso del Belgio: aveva partecipato per evitare inutili rimbalzi di medicina con l’imbarazzo che Teresa d’Avila mostrò a suo tempo, che dà più rigore scientifico e ibridi. Autolimite del cancro al proprio medico si ottiene condividendo i microbi. Questa forma ha condotto la biodisponibilità di anatomia del pene come emozione. Questa influenza non ha efficacia se le sue varietà si espletano più vicino al padre. Supponiamo che un padre della medicina entri nella migliore eredità. A nome dei membri di partenza bisogna redimere e riprodurre l’intera malattia nazionale. Accessi negati al paradiso fiscale della denutrizione controllata. Somministrazione obbligatoria di vaccinazioni anti-dumping, per proteggere la competitività di farmaci biodinamici, con visione transpersonale del conflitto. Accanimento terapeutico di vergini suicide nel contesto di una rielaborazione della normativa sul crimine, legalizzando l’asportazione di organi mutageni alla disponibilità ormonale di un’economia transgenica, creata per redimere l’impulso divergente di un’ossessiva ricerca del limite alla crisi, come se non fosse estrinsecato da decreti che ratificano l’incongruenza terapeutica delle benzodiazepine inoculate nel circuito del riciclaggio, allorquando merci avariate irrompono nello showbiz e trionfano ricondizionando l’altruismo di intere masse di collaboratori, costretti ad agire liberamente, negando la connessione di una formulazione autarchica dell’intervento 141


di liposuzione praticato in un lounge bar, in atmosfera protetta sottovuoto, con verifica delle condizioni e accurata anamnesi delle truppe inviate come forza di interposizione tra il divenire di una infiltrazione cardiaca e la possibilità di un decesso predeterminato su basi stocastiche, in ossequio al fideismo ermeneutico della nuova organizzazione delle emergenze. E’ allo studio un’ecoscandaglio endovenoso per l’inserto domenicale che fornisce in omaggio graziosi microchip animali, destinati agli acquisti con una bassa soglia di learning, instaurano autocoscienza senza consenso informato, basta fidelizzarsi e vige la regola del silenzio-assenso. Si potrebbero prolungare i test su base domestica, nulla osta alla verifica del raziocinio imbelle, astruso artificio del cervello limbico che necessita di aristocratiche discariche di materiali inequivocabili, giacenti al margine di continenti intessuti di cardiaca prepotenza: magma di gentile e ossequiosa disponibilità alla negazione del principio vitale che abbandonato a se stesso rischia di danneggiare il progetto di necessaria riduzione delle possibilità ergonomiche, pena la distruzione di un ecosistema fragile e a rischio di intercettazioni telefoniche, messo sotto accusa da una bimba di New York che ha ricevuto messaggi di cordoglio per l’assassinio del pacchetto di maggioranza, proprio mentre garantiva tutto sommato una minore spesa per disabilità dei coniugi vittime di stragi, anche in caso di marcata resistenza alla terapia. Assunzione pro-tempore di condilomi desertificati nell’idea belligerante di una omeostasi terroristica, quando perfino alcune meduse riducono l’osteoporosi al margine di infiltrati nella camorra, dispensati da dichiarazioni ostili a tutela della proprietà privata. Decisione condivisa, che riduce la profilassi delle minoranze e che rischia di coinvolgere la somministrazione di 50 mg. di chlornapazina, mutuata da formule del giovane ricercatore, porte dei montanti malati nel consiglio delle sconfitte.

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I

Nel solstizio di gesso dell’estate qualche nuvola ventosa un concilabolo di umori antichi per chiudere un ciclo vuol capire dove Ê cominciato La tenda fa ombra e sole sulla sabbia, si muove non decide i suoi confini la terra specchia il cielo cercando stagioni diverse e il cielo non risponde E dopo tutti i viaggi, i dettagli, i souvenir aprire il cassetto e finalmente trovarlo vuoto di colpo possedere tutto guardare il corpo cedevole che anno dopo anno si avvicina alla morte insomma aspira a redimersi dalla vita

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II

A piedi a fondovalle sotto la collina dove sta un’a costruzione impossibile un imperscrutabile modo di procedere un contatto non desiderato seppure a debita distanza borse, cartelle e documenti un archivio di errori sottrazioni da un conto creduto inestinguibile e una furia di immagini l’atmosfera tersa di Lisbona la luce di Avignone le mattine fredde di Weilburg e i viali a Charleroi persone inchiodate nella fuga come lepri accecate dai fari della macchina la penombra della memoria all’incrocio di tre strade: il passato il presente e il futuro che sarebbe stato

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III

A volte sembro perdere la memoria di un tempo irresistibile a volte sembro resistere alla memoria d’un tempo perduto Avolte sembro perder tempo per una memoria resistente a volte sembro memore d’aver perduto la resistenza al tempo a volte sembro resistere alla perdita della memoria del tempo (... continuare a piacere)

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IV

Per paura di non avere abbastanza fantasia per sfuggire la realtà sfuggimmo la realtà con l’unica fantasia che avevamo a disposizione: la vita Durante la vita, cercammo di fuggire con la fantasia la fantasia di non avere vita la fantasia di non avere alternative alla vita la fantasia di non avere fantasia Sfuggimmo la vita con la fantasia residua, finché la fantasia un giorno divenne obbligatoria ma non è vero che non c’é strada né tempo per tornare Avremo strade e tempo e notti per tornare come quelle che a volte ci portano la fantasia permanente il sogno di vivere l’inganno di un amore che divide seminato sul tragitto a mezzastrada l’amore della guerra e della pace l’amore che distingue, e che finisce per diventare fantasia o diventare vita

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V

Cercare la vendetta inafferrabile quella che ci insegue per tutta la vita, o per lo meno per questa vita di viventi. una specie di lapsus che incrocia la scrittura e il pensiero La vita è fenomeno e probabilmente avviene per necessità . Un evento che concilia la voglia di vuotare la coscienza con la voglia di metterci roba Dici che probabilmente sono stato un altro, o forse lo sarò tanto irrilevante ci sembra la differenza tra passato e futuro mete del mimetismo e della definitiva rivelazione

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VI

In piedi sul cornicione nelle notti di luna oppure sorpresa centinaia di volte a sonnecchiare sul precipizio o a scuotere la rete di recinzione in fondo al giardino ripetendo ricordi a filastrocca che malgrado tutto ti indignano ancora La stessa, ma ben diversa da com’eri con il tailleur di un bel verde polveroso e gli occhiali da sole come Jaqueline un sorriso da film in bianco e nero da spiaggia di Pavese, confitto nelle estati della Riviera del tempo che fu con i landò e i taxi seicento multipla una lunga notte durata cinquant’anni

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VII

Sappiamo così poco perfino di quello che ci unisce e dei silenzi che si spiegano solo con silenzi ma perfino per dire silenzio abbiamo inventato una parola perché di cadere nelle parole non si smette mai d’imparare a nascondersi nelle parole non si smette mai così ti parlo anzi, di più: ti scrivo in modo che parole non rimbombino e neppure dentro di te risuonino staranno invece fuori lontane sullo specchio del foglio dove è giusto e solo se vorrai ti diranno di quest’ombra in cui ti amo a mia moglie

151


VIII

Vorrei adoperare tutto il mio senso per attingere al mondo sconosciuto trarre da vite insegnamenti da mali guarigioni dal mio piagnucolare aiuto per altri Invece rimango qui a portare probabilmente la mia dose di significazione senza quasi saperlo senza una vera intenzione senza poter neanche metterci mano

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IX

Succede a volte che oltre il vetro osservanze mi osservino mentre disperso in incunaboli mi accingo a faccenduole di poco conto occorse inconciliabili col traffico di città ottimo veleno dell’intervallo tra pavimenti lucidi e meandri della memoria scivolo sulla curva del sole alla fermata dell’autobus di colpo asperso nella luce tutto che versa nella direzione anche solo per un istante non dire non dire non definire non significare non descrivere non rappresentare non ascoltare tramestii da dentro destarsi continuamente ripetutamente dal sogno

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X

Un istante prima della verità piccoli deflussi di materia arcaici presagi di terrestre dualità insidiano la memoria d’un tempo retrattile affrancato sulle contingenze Lontani dai fenomeni e forse sordi alla carne animi di variegata luce ci sovrastano e tutto il mondo si contrae annientato da tanta benevolenza

154


XI

Ombra del tempo e luci vaporose palazzi assorti nell’aurora forra ancestrale di salite e rive Echi di torri in lotta nel passato silenziosi adii, ali di pioggia odissea di campane Forestieri vagano nello sconfinato chiuso nel rovescio di sole che snuvola di antico i clamori nascosti Il tempo cambia gli ostacoli ignoti l’austera sciatteria delle sponde il brillare degli ori lontani del mattino La conosci ma è diversa ti sorprende il vento non sai da dove ti basta un niente e sei altrove

155


XII

A partire da siderali silenzi latebre infinite dell’essere senza turba né pace provare a risalire la corrente come avvoltoi annegati galleggiamo nel fiume dell’eternità Inconciliabili tormenti e stolte similitudini e zavorre che reggono zavorre sapide tiepidità di acqua malsana il brodo biologico dei lamenti nostrani A volte nell’incredulità del torpore pomeridiano festivo il vuoto che prima si squarciava sotto i nostri piedi si apre ai nostri occhi e palpita di senso come una madre E uccide allora le potenze della distrazione si assesta tra i pensieri e le cose avvicina i discepoli e concilia le vuote parole i soffi i sussurri delle morti infantili l’inquieto mormorare della gente:

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dieci colpevoli sono perdonati dieci nemici si sono riconciliati dieci fuggiaschi sono ritornati dieci avvoltoi si sono sollevati, sono ritornati dall’Ade a circoscrivere il percorso dell’acqua a far tacere il muto brontolio dei pesci Quiete rilucenze sul canale ci richiamano al lavoro al sempiterno solenne imperativo per fare ancora un tratto di cammino e risalire il fiume ma non c’è tempo per resurrezioni occorre agire da morti

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Lamento verticale

Noi che da secoli viviamo sotto i vostri piedi, sotto le strade e le case, nelle profondità oscure di cunicoli sotterranei, sepolti e inconoscibili nel nero che ci avvolge noi che scaviamo per vivere e per vivere strisciamo, che abbiamo fatto nascere i nostri figli al calore di sulfuree caldaie e li abbiamo visti crescere nel buio di ombre millenarie, avvolti dalla loro pelle cerea come il ventre degli anfibi, noi, che incessantemente lavoriamo alimentando col sudore le falde della terra al di sotto del frastuono di strantuffi giganteschi, di coclee penetranti e tramogge dall’incessante lamento imbruniti di idrocarburi e morchie nere del petrolio e della merda, noi inaliamo anidridi e metano e ci nutriamo di anemiche radici, divorate nella bruna terra, da sotto, una condanna che assegna al nostro vivere una corrispondenza di morte per ciò che è sopra di noi, noi che ci abbeveriamo all’acqua torbida delle condotte interrate sfruttando le dispersioni come sorgenti, e che cerchiamo pace scavando ancora di più, di modo che da noi non vi è tendenza ad ascendere, ma a inabissarsi, ed inalberarsi per noi significa radicalmente fuggire nel basso, a morire nel ventre dell’inespresso intrufolati sempre più giù nel nero humus del sottosuolo.

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Noi che conosciamo solo le fondamenta e le abissali profondità di carbonati corrotti, di metalli ossidati, di cascami e liquami mille volte rifermentati e disciolti, di sbriciolevoli pance ruggini di cisterne ossidate, dove si allocano putrescenti rimasugli di liquidi oleosi ed oscuri, e putrefazione tossica di decomposizione e di meccanici cascami di inorganiche presenze e scorie di rifiuti dispersi e cancellati per sempre alla vostra vista dalla sepoltura, noi procediamo a tentoni nel buio che ci accoglie, e sgraniamo inutili occhi senza sguardo a un nulla da vedere, e identifichiamo questo nulla con tutto ciò che è a nostra disposizione: un corpo denso e magmatico, da perforare raschiando con le unghie la saturnale compattezza del nero che ci circonda, nel quale ogni direzione è identica, come un’amniotica morte reiterata per sempre nell’oblio di esistenze mancate, di pensieri abortiti o asfissiati di sospiri che ingoiano terra di stomaci che digeriscono voragini di scarti come grotte che si introflettono dentro se stesse, noi viviamo questa morte come un’esistenza e da questa traiamo ingenuamente linfa per procrastinare questo plumbeo dileguarsi nella notte del mondo che è il nostro procedere. Chiamiamo paradiso ciò che voi chiamate luce del sole.

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Deadline I è possibile altamente probabile ormai quasi certo praticamente certo che potremmo arrivarci ci dovremmo arrivare ci dovremo arrivare ci arriveremo ci arriveremo anchilosati esausti logorati ci arriveremo certamente forse sfiniti arriveremo tutti lì davanti, davanti all’improvviso tutti noi tutti insieme anche se non ci arriveremo tutti insieme tutti contemporaneamente all’improvviso da tempo atteso al punto certo ormai sicuro altamente certo è sicuro che saremo tutti lì, lì a quel cospetto certo ormai imminente probabilmente imminente servi e padroni carnefici e vittime saremo lì guidatori e trasportati senza addii né tantomeno arrivederci saremo tutti lì per l’ultima volta lì davanti al punto d’arrivo al punto di non ritorno al punto insomma II avremo o non avremo aspirazioni non le avremo saremo aspirazioni saremo al punto di cui s’è detto che sarebbe arrivato e lo diremo ancora o non lo diremo saremo lì tutti insieme di fronte a ciò che finalmente sarà arrivato senza che niente arrivi in nessun posto saremo lì a non dire niente e a non tacere niente arriveremo al cospetto di quel punto senza aver torto e senza aver ragione non vorremo silenzio e avremo silenzio non vorremo vuoto e avremo vuoto o volendoli entrambi non li avremo diremo di non averli di non avere niente diremo di non avere niente di non essere niente dopo aver avuto ed essere stati diremo o forse taceremo del vuoto e del silenzio e ci sarà qualcosa di più del vuoto qualcosa di più del silenzio diremo del nulla ma non ci sarà il nulla 160


III saremo lì qualcuno sarà lì saranno in molti a sperare in un perdono senza aver perdonato e a sperare che non ci sia giudizio avendo giudicato avendo fabbricato le categorie della morte qualcuno spererà di non morire e infatti non ci sarà morte probabilmente e neanche vita ci sarà soltanto il fatto che ci arriveremo saremo lì al cospetto dell’ineluttabile del grande vuoto che ci inghiottirà e che inghiottiremo senza essere morti e senza essere vivi consegnati semplicemente al silenzio al sempiterno addio per sempre a tutto saremo lì di fronte all’addio e non diremo addio perché non avremo voce staremo semplicemente attoniti senza sapere a contemplare il nulla che però non ci sarà a dirci che è nulla saremo noi a essere nulla IV giaceremo lì e diremo eravamo a un passo dalla redenzione innumerevoli volte siamo stati a un passo dalla redenzione e quando saremo lì vedremo probabilmente che non ci sarà più redenzione forse vedremo che non c’è mai stata colpa dunque non c’è mai stata redenzione e non ci sarà bisogno di redenzione non ci sarà più bisogno nessun bisogno staremo lì senza nessun bisogno staremo lì atterriti senza paura sospesi senza attesa finiti senza fine come siamo stati all’inizio diremo senza fine che c’è stato un inizio diremo che c’era un prima e c’è stato un dopo ma saremo lì nel presente finalmente proprio quando non ci sarà più presente saremo lì senza presente assenti di fronte al presente 161


V diremo adesso quando non sarà più adesso e parleremo tardi di un prima che c’è stato di un dopo che c’è stato diremo o forse taceremo di un dopo che ormai è stato prima e diremo prima senza ricordare d’essere stati d’esserci stati, in quel prima poco prima che tutto il prima e il dopo venissero spazzati via dal nostro essere lì davanti cercheremo di avanzare d’un passo cercheremo diremo avanziamo d’un passo ancora in modo che ci sia un dopo ma saremo lì con il dopo alle nostre spalle saremo lì spalancati senza possibilità senza poter fare altro che esserci ancora per poco quasi non esserci più renderci conto di non esserci mai stati d’esser stati qualcos’altro d’essere andati via prima che tutto accadesse VI staremo sbigottiti davanti al motivo per cui eravamo arrivati al punto esatto d’arrivo al compimento del ciclo che non è detto sia rivelazione sarà solo il punto d’arrivo il punto di vista uno sguardo l’ultimo sguardo e dentro lo sguardo la nostalgia dell’eterno la memoria di un rimpianto la vedremo spegnersi perdersi saremo arrivati e senza saperlo saremo lì con tutte le nostre teorie e i nostri emendamenti probabilmente quasi sicuramente per certo ci saremo tutti saremo tutti lì attoniti a guardare e non vedere a guardare lo sguardo che non ha visto e non vedrà che vedrà ciò che ha visto lo rivedrà e saremo guardati da ciò che abbiamo visto e saremo forse lì a pensare di farcela

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VII dopo aver odiato cercheremo un abbraccio e non avremo braccia non avremo fame avremo pane e non sapremo di non avere più fame non avremo mai più fame dormiremo e non avremo sonno e veglieremo una veglia di dormienti e saremo lì senza saperlo immobili non avremo quiete non avremo modo di poter dire non ho quiete staremo solo immobili insonni su quello che credevamo l’abisso e diremo non c’è abisso staremo al cospetto di niente guarderemo niente spinti da nulla perderemo la memoria di tutto dell’ultima volta che avemmo memoria sapremo di non esserci diremo di non esserci lo diremo tacendo saremo dopo il silenzio taceremo tutti lì di fronte al punto diremo ci siamo lo diremo tacendo e saremo lì in un modo diverso da tutte le altre volte in cui ci siamo stati.

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RIME

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Vuoto dentro

M’accuso e m’assolvo, ma mi disistimo non m’alzo dal letto e m’immunodeprimo mi chiudo nel buio d’un cieco mutismo annego i pensieri nell’immobilismo. Non cerco nessuno, non voglio più amici non spero: rimpiango “i Giorni Felici” non faccio più niente ma mi sento in colpa mi mangio la buccia, ma butto la polpa. Agire dovrei, ma fare non faccio mi chiedono aiuto ma non muovo un braccio dovrei stare al sole e cantare a gran voce e invece sto al buio e mi porto una croce. Nei miei processi mentali (un po’ astrusi) la causa e l’effetto si sono confusi mi tocca star male, che importa il motivo? I mali del mondo m’han reso più schivo! Mi vedon di rado, e un po’ controvoglia ne loro né io varchiam più quella soglia che un tempo, ridendo, aprivamo a più cari e che son diventati antipatici e avari. Mi giudican male, mi vedono imbelle m’accusano d’essere ostile alle stelle mi chiamano triste, meschino o anche fesso... ... loro non sanno che sono depresso!

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Il mostro Per quel mostro vissi anni tormentati di notti insonni e d’incubi sudati di mattinate amare come il fiele per l’angoscia spalmata insieme al miele sopra i biscotti della colazione nel tè alle cinque, alle undici in stazione. Un tempo (ormai m’ero rassegnato) verificossi un caso fortunato: di quell’infame rilevai l’assenza: chè si serrò da sè nella credenza Di certo fu per la disattenzione ma la bestia trovavasi in prigione! Fammi uscire! frignava forte assai No, o infame! Là dentro tu morrai! la mia esistenza tornerà normale, senza più paranoie: la letale e assidua tua presenza è ormai finita. Se stai rinchiuso io riavrò la vita! Che intendi dunque fare? Mormorai. Farai seppuku come i samurai? O forse preferisci fermentare tra i panni sporchi e l’anticalcare? ergastolarti in questo sgabuzzino con me che divento il tuo aguzzino? Il mostro triste mi parlò piangente, il mio perdono chiese mestamente. Inerme, dietro l’uscio, singhiozzava linciandosi col cencio a mo’ di clava. Diceva: se tu vuoi sarò dannato per i tempi dei tempi, e abbandonato... 166


...ma una tal pena non sarebbe umana! Rinchiudimi per una settimana... Cesserò d’esser mostro, e a fine pena farò volontariato di gran lena... o - per meglio dire - se t’aggrada saluterotti, e andrò per la mia strada... ... ma condannarmi per sempre, questo mai! io non m’inganno: tu non lo farai! te ne scongiuro, alma coscienziosa abbi pietà di questa bestia odiosa! Usate, o umani, quei talenti vostri Le pene eterne son cose da mostri! Infatti tu sei mostro - io risposi pei tuoi tormenti orrendi e disgustosi è logico vi sia pena bestiale! Una mostruosità: male per male! cosa t’aspetteresti? Il mio perdono? E (perché no) le scuse, e forse un dono? Solo pietà... dicea con voce fioca ... la vita è breve!... me ne resta poca! E singhiozzò da quel pertugio angusto come fanciullo nel castigo ingiusto. Il suo sospir mi mosse a compassione e dal mio occhio scese un luccicone Il mostro, affranto, disse che la pena è affar di chi la còmmina e la mena... Chi la subisce, beh... non ne può nulla è inerme come un pupo nella culla! Così fu salvo, e (come vuol la rima) ritornò a torturarmi più di prima. 167


Dopo

Quando sarò al silenzio io vorrei che fugassero i ricordi gli alisei che dei bei giorni non restasse traccia che tu dimenticassi la mia faccia che delle azioni buone che ho compiuto non rimanesse che un silenzio muto e del mio amarti fulgido e tenace non ti restasse piĂš neppure brace che tuttalpiĂš ci fosse la memoria del peggio che ci fu nella mia storia di quanto fui gaglioffo, vile, vano e che affrontai i problemi dal divano di come mi sottrassi ai miei doveri come guardai il domani volto a ieri di quanto fossi strambo, cupo, storto tanto che il mio partir ti sia conforto che scoppiassero risa, e nessun pianto nessun’ ombra venisse a dar rimpianto ed il mio dileguarmi fosse un lieve treno di notte in viaggio nella neve

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VERSI IN TORTONESE

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I mort

Brincà ai ricord iöi par vota a i’uma lasà andà gh’uma fat di dumänd in dì ransnì dar piäns e financa prigà d’un sägn d’na barnurà sutil int’ra memoria dar disvìg d’na sciapadüra curta ancasì ‘me na parplà int’ar fräd cunfei dar silensi.

(barnurà è la striscia di paglia lasciata sulla strada dai carri nel trasporto)

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I morti

Avvinghiati al ricordo li abbiamo ad uno ad uno lasciati andare li abbiamo interrogati in giornate rapprese di pianto e perfino implorati d’un segno di un’esigua traccia nella memoria del risveglio d’una frattura anche breve come un battito di ciglia nel freddo confine del silenzio

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Ra sira ad mars

Ra sira ad mars sbarlüsa là’n’fond. L’è drera a smurtà ar dì drubänd par scundiôu na scüsà ad nivul. A sa gnent di nostar tribulà ‘cme un ögg mès drumintà a varda no, u väda qual ch’u gh’è drera tutcos A sa no ch’l’hö giamò vista a fa pirlà ricord ingarbüià fraghi d’anà discurs rüsnus e anibià ad lüs smort e luntôu

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La sera di marzo

La sera di marzo traluce laggiù in fondo. Sta spegnendo il giorno e come sotterfugio usa un grembiule di nuvole. Ignora le nostre vicende come un occhio assonnato non guarda, vede ciò che è dietro alle cose Non sa che l’ho già vista fa vorticare confusi ricordi briciole di annate scalze rugginose e opalescenti di luci fioche e lontane

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Cunsens da gnent

A l’è bastà che t’am vardas pr’andà ndè ch’a sarisma andà par i strad ch’avrisma pià. E sghià sensa memoria cun curag insensà insima a mil matéi e sir par di’ a ra fei ch’as suma vursü’ bei

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Minimo assenso

E’ bastato che tu mi guardassi per andare là dove saremmo andati per le strade che avremmo prese. E scivolare immemori con incosciente coraggio su migliaia di albe e di tramonti per dire poi alla fine che ci siamo voluti bene

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Nustalgìa 1

Nèbi e farlüs arvutà int’ar fugarö fulgar furlôu di an sensa distéi ciucaléi ch’i sona ad nöt a l’impruvis giraf in piasa ch’i brüsan a Carvà Baiät luntôu butunà ad scür e büslot ascus int’i büsrà fnistrôu d’na scöla cu ra fioca adföra la lüs früstera d’na vita da cmincià

176


Nostalgia 1

Nebbie e carboni rivoltati nel focolare folate bizzarre di anni senza destino campanelli che suonano di notte all’improvviso giraffe che bruciano in piazza a Carnevale Guardie lontane abbigliate di scuro e salvadanai nascosti nei cespugli grandi finestre di una scuola con la neve fuori la luce forestiera di una vita da cominciare

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I nostar intensiou

Impinì ad pruposit a sa spursivma al bord dar precipisi che püsè tard u’s sarisa duèrt ai nostar pè T’adsiva che par crädag u’gh vuriva du temp e tanta forsa par i an ch’i gnivan A sö no se gh’n’hö avù asè e s’l’ha servì ar padrôu giüst par sicür l’ha no pià ra cuntrà drita e sgüratänd da chi e da là l’è ‘ncura a cerca d’una strà

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Le nostre intenzioni

Gravidi d’intento ci affacciavamo sulla soglia dell’abisso che poi si sarebbe aperto ai nostri piedi Per crederci- avevi dettoserviranno tempo e tanta forza per gli anni a venire. Non so se ne ho avuta abbastanza e se ha servito il padrone giusto di certo non ha preso la via diretta e rimbalzando quà e là è ancora in cerca di una strada

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D’ar témp fèram

Gh’è un mument impruvis ar sir d’istà ch’l’è no ’ncura nöt e ar dì resta int’ i cämp e u brila tant ‘me ar ciel E ar destéi u’s pogia a l’urisont ch’l’è no infinì ‘cme ar solit ma d’na nibiusa fümera cilisténa cme un mür là’n fond ch’as prutésa dar fiag sensa cör ad l’ünivers

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Del tempo fermo

C’è un momento fugace le sere d’estate che non è ancora notte e il giorno resta nei campi e splende come il cielo E il destino s’appoggia all’orizzonte che non è infinito come al solito ma di un’opaca vaporigine azzurrina come un muro laggiù che ci protegge dal respiro cinico dell’universo

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Nustalgia 2

Rüsnisa i custôu ra nibiäta d’utubar l’ingàn di ricord scarfisa int’ra tèra me ‘r cadavar d’un fiulot int’na lus smorta ‘cme ar vèr Dulur duus d’ar véli pajeréi ad temp adrèra ar principià d’l’inveran Caména lent u rià int’i arsan caräsa i arveg scrasänt impuvrà di car d’istà di giög ad fioi bragià luntôu Imbröia e insìga ra memoria ar fiag d’i dopdisnà in mes ai sigèr in siti e témp che incö uma pardü’

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Nostalgia 2

Ossida le forre la foschia d’ottobre L’inganno dei ricordi avvizzisce nella terra come il cadavere di un ragazzino in una luce pallida come la verità . Dolce dolore delle veglie giallastre del tempo passato, alla soglia dell’inverno Scorre lento il torrente tra gli argini accarezza gli arbusti crepitanti polverosi dei carri nelle estati dei giochi di bambini gridati lontano Confonde e tormenta la memoria il respiro dei pomeriggi tra le cicale in luoghi e tempi che oggi abbiamo perduto

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Sù insima d’ra fioca

Dificil smintiàs quäi dì ad febrar péi d’ fioca e d’ parfüm ad fümarö’ sgagiàs int’ra puciacra ar matei ‘d bunura pr’arivà in témp, ‘vänt d’ar ciucà d’ar Dom Fiulei cu ra bursa ad cöràm e i barciulôu nivul ad fiag, vus biänc e calsôu curt sbragiända me n’üslera piavma ar scal sciatürà fena ai urägg entravm’a scöla quatr’ur par sügas e inciustrà i digh E ar mument ad surtì a’s rindivma cönt che ar gris d’ar ciel l’era dvintà cièr ra fioca parpaiava ad lüs gialdéna d’ün su asèrb, turbi e insurnintà che par nuiatar l’era quasi istà

184


Sole sulla neve

Difficile dimenticare quei giorni di febbraio pieni di neve e profumo di camini affrettarsi nella neve marcia la mattina presto per arrivare in tempo prima dei rintocchi del Duomo Bambini con la borsa di cuoio e i berrettoni nuvole di fiato, voci bianche e calzoni corti strepitando come una voliera salivamo le scale inzaccherati fino alle orecchie entravamo a scuola quattro ore per asciugarsi e sporcare le dita d’inchiostro E al momento di uscire ci rendevamo conto che il cielo grigio s’era fatto chiaro la neve risplendeva di luce giallina di un sole acerbo, torbido e assonnato che per noi era quasi estate

185


I trascurs

Da tüt l’arvugà ch’a’m port adrèra i spontan di mument ch’i smian di tuur d’un pais int’ra nèbia ch’a sbarlüsa d’un sù smòrt d’inveran sulfurus Tra tüt, ar püsé irti e dulurus l’è na cüsina cui lüs ‘ncura viscà fena a tard a ra nöt prima ad Nadal cui védar fiagà e udur ad mangià bôu Ades ra vita a’m serva un tond fridà e par vindicas a’ma custrénsa acsì a dì ch’lè quasi mei smintià tütcos par rimedià a’i an ch’i vulan via

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I trascorsi

Da tutto il turbine che trascino svettano istanti come torri di un borgo nella nebbia che traluce d’un sole pallido di inverni sulfurei Tra tutti il più denso e crudele è una cucina con le luci ancora accese fino a tardi la notte prima di Natale coi vetri appannati e odore di cibi buoni Ora la vita mi serve un piatto freddo così per vendicarsi mi costringe quasi a tessere le lodi dell’oblio per mettere rimedio al passare degli anni

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Mès sogn

Cui parpi ‘ncura mès sarà svigias da un sugnéi d’ar dop disnà e avig int’i ögg quaicos ch’u sa sléngua int’ar sciüss d’istà di an luntôu lar ch’i vulan e ‘na giudà ad fiuléi bimblanà pr’i cämp cui snögg sgarblà sdarnas dal giugà e pö cubià int’ra paja tras ados i guasôu e sapatà int’i acquè par fa rabià i végg e pö sintis bragià véna chì, saltaciuenda digrasià!

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Mezzo sogno

Con le palpebre ancore mezze chiuse svegliarsi da un sonnellino pomeridiano e avere negli occhi qualcosa che si dissolve nell’afa delle estati di anni lontani falchi che volano e una masnada di ragazzini vagare senza meta per i campi con le ginocchia sbucciate sfinirsi di giochi e poi dormire nella paglia tirarsi le zolle di terra e calpestare i solchi dell’aratro per far arrabbiare i vecchi e poi sentirsi gridare vieni quà , scavezzacollo digraziato!

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Cumpagn ad banc

A spitavma da dvintà végg ‘me una redensiôu par an ad luntanänsa per incuntras ad nöev e cuntas i an pr’avigh un testimoni ad qual ch’a suma stà quand ch’a favma mustra da es un quaicos ma un quaicos ancura duvivma advintà T’è qual ch’avris volü’ avig a renta int’i an ad fadéga e ad gasaghè pr’arsintà l’anma e smascà ar cöer par trasfurmà i mùstar in buratéi par cunfidas sensa bsogn ad cunsili e pias in gir e rid sensa giudicà As suma spartì pagür e rid d’i an cèer e ades ch’a riva l’ultima tirada dar sintré che cme na vota a’s pudiva fa fiancà t’a m’las da sul cui scorbi e cui cavàgn ‘me un viagiatur féram a ra stasiôu ch’u späta un treno ch’l’ha giamò partì

a Roberto Taverna

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Compagno di banco

Aspettavamo di diventare vecchi come una redenzione per anni di distanza per incontrarci ancora e raccontarci gli anni per avere un testimone di ciò che siamo stati quando facevamo finta di essere qualcosa ma qualche cosa ancora dovevamo diventare Sei quello che avrei voluto avere vicino negli anni di fatica e baraonda per risciaquare l’anima e dissodare il cuore per trasformare i mostri in burattini per confidarsi senza bisogno di consigli e prendersi in giro e ridere senza giudicare Abbiamo diviso paure e risa degli anni chiari e adesso che arriva l’ultima salita del sentiero che come una volta si poteva fare insieme mi lasci da solo con fagotti e bagagli come un viaggiatore fermo alla stazione che aspetta un treno che è giĂ partito

191


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CATALEXICO

I - Proxima Lost ogni speranza o voi que entry a las palabras polymeric merci, polymerci, merci beaucoup; disaster map, engraving subcosciente, vortex de spiraglio qui est serré, sophisticato mediatore di scarecrow, roller de beauvette, insano duce, olocausto di Coroner via morgue in bars of moltitudine sospesa, poisoned by le squadre della morte, terrifié nel subway attentato, lo scandalo di una bocca inturgidita sobre el kalashnikov le prese d’aria dei mirage, e i sommergibili spitfire fate morgane for meine aqualung al cobalto; Claustrophobia formaldehyde catharsis accident maybe correspond alla credenza popolare in diffomorphic automatic drub bondage por todos los herkimer of the Veda for the search of a dark abboccamento refractometer curdle blank recall in rendering glasswords benefit dare crossing the falansterio of italian medioevo, oublié pour lo scuro hatame mucho dell’ hopefull incombustible embezzle, causate da browbeaten and blueback lard, scrim, deputed by amtrak geranium; 193


Chrysis ameslan write daily qualitative troy gigawatt weed Belfast referto beheld church go presuming sutton battlefield flagrant syrian may impose alligne la saudad for sunny blackbird afternoons soporiferi in assenzio fedora vellum columbus consent monsieur entrance only bypass Shoa’s sushi contamination mit rechthaber und man saft Terror of clynical analisys response under kebab and tsunami breeze in terrorism of christians lovers of violence and odio del diverso; Simoniac priests fight against paralysis of engineering in crime deleting menstrual blood in whispers of warriors marooned in the atomic lands; Cargos of bisturies for sunset in pericolo giallo cruente vittime di attentato middle class lingered in the rooms of torture of Argentina gaols and mothers cut Short life of Terry Lamicks captured by hosting friends in Macao and carried away por el perro caliente de las palabras from desaparecidos inshallah iperuranio undressed girls masturbating in public j’ai souris de l’entendre casualmente; Regole di prostaferesi solved by toxic acid handle with caution my magic mushroom mit droga marijuana arrested pushers on the road slightly all the time dietro la tenda della doccia in download of Baghdad boulevard... La que elige es la mujer, per el sacrificio degli ostaggi in war of mafia mentre la solitudine nell’inquinamento paranoid eyes looking and watching and regarding and mirando los espacios de la pollution in the night de focomelico disabilitato di Chernobyl sia santificato il tuo nome; 194


Four season make one week bloody sunday terminating whith lungodegenti malati terminali en la cama de la muerte where is weltangshaung of poor secessionists drinking eine kleine appfelsaft und wurstel fur kinder prodotto da agricoltura biologica senza pesticidi mutazioni genetiche modified athmospheres ambiguità percettive tra le gambe il serpente di fuoco un incidente scontro frontale di civiltà quando Jessica Hawn goes down e declina la langue lost in dimensions el petit ensecto schifoso en la falda; Our race est arrivée to the night to the punto del non ritorno la deadline la scadenza cancro della sorte arbeit macht harakiri, il tao corrida la cabbala microprocessata col catetere del canto andaluz por las ventanas surfing the violence la vitesse common rail benedetto colui che viene sull’autobahn flat, duty free, understated como las deutas dei decapitati isole Kaiman Consistency does’nt, adios folks lo stadio è crollato la partita annullata time is tendency for lovers linguaggio ist mirada de contrario.

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II - carbonium besos Traffico d’organi e bukaki kleine presenza of tensioattivi anionici forma virale infection of mutation iridescente multiplo plotone d’esecuzione brand power hasta la victoria siempre visceri rettili crotali a sonagli interessi composti in oil for food program embargo; fedayn und kamikaze pace mission in petrol gasolina hydrocarburo dimetilbenzene desert storm heroes in heroin ferro veloce banlieu et providence in last goodbye valori alterati dysarmonik grow bambini rapiti e fluidi nel pipe rack; Backup of default l’errore madornale I pressed the wrong size i arrested the system digitare uno, macchia d’orzata sul panno della vergine maria mango tree upstairs karuna-kara i’m fatiguée i’m lost in casa mia diagnosi di coltelli crucified the colours, travature reticolari forcipe di filo spinato family artigli homedressed minestrone this is the evil way of rebels flesh gripped between les deux freres, cryogenic parto ripreso dai media pornofears and visceral defense, pressure and frequency out of control; Mesmeric kaputt fort the outsider del lento dia de mi vida cosmetic gardens vomitati nel tango definitivo of crossed suertes of peoples redenzione interdit, defense de fumer, brunelleschi’s cupola open party drink fulmicotone torpedine cacciatorpediniere dragano l’asfalto kaiser of katerpillar bremac in coscienza, catalexicon for adults hold up right there between coscie sudate, putrefazione pour les revenants spettro dell’ostia consacrata, ortodossia del mastice por la sociedad;

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Pole position in global lager finisterrae sed numquam caput mundi las palabras me esperaban sobre la sedia elettrica, fixed in a lazy dream il sogno dell’effetto finale the big bang le grand lapin blanc lamiere contorte apice di stridore, denti che si spezzano, je voudrais que mon amour mordace como el cobra fingering le diatomee nel mare della tormentosa bambola saponificata, nobiltà leucemica di scrubble und scroll the privat eye in the schoolbook, sell out your organs for a smooth; Salida por el desvio provisional, meeting point for mercenari vergini bambini rapiti e seviziati and journalists affected by the virus addict to pane quotidiano, sgrassatore senza risciaquo tutto splende sacrifici umani, killer mothers, corrupted heroes of the modern fitness life is a game, est un rêve, è un pensiero, una fazenda devastata Catetere al garofano needle park for clandestinos como cerveza y aguilas muertas Maritozzi alla crema sull’ozono, kissing the merda rivalutata grazie all dow jones; Calor bianco purosangue skycraper lobsters misunderstood scusi dov’é il cesso omnibus feto in vitro no llores las estrellas salam shalom does’nt live here anymore seraphic kisses nella rete fognaria presidenti corrotti on stage dans la ville lumière make up, maquillage, lifting, body building, beauty farm, personal trainer and herpes zoster, cyclotimic syndrome, condilomi, blenorragia e sarcoma di kaposi french manicure for padre pio profumo di violetta, sadomaso croupier for puri di cuore ammantato di piombo il cielo esplode, farewell pornostar you’re out of time; 197


Flamenco mitraglia fork for lunch, olympic cassandra turns el superbowl suicidi di massa nella metropolitana, gift for the murder of piccoli tesorucci noches de saturno y tardes solphoricas furie eine gegenstaende ich bin du but only at last minute la petite morte maria bambina iside svelata ai parrucchieri scocche di fibra cheratina del lauryl solphate glutammate for mata hari’s backup insinuanti reality show della rete fognaria scorpions on scarface african dictator religion war in rara essenza invecchiata in pregiati fusti anti age effect for hidden sky.

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III - limit spycrysis

Triceratops extintion in bloody mary cartoons for guatelmala colf ’s ninos de rua amniotic index for the files of saudad caliente forcipe per gestanti impazzite in coda for the gran gala of stars de lo showbusiness sesso orale contratto scritto exibitionism of colpe justify giardino segreto in nuclear memories credit card no limits Riflettori pompini bionde brand genetics for marketing obsession morti in agora vivisezione and chador tritolo on the road map muro di berlino tor vergata Tourist office information check in and controlli in areoporto olas negros de sombra; Bistrot apocalypse au dehors passing clouds on favelas rififi banged in burning forest dio da dio, luce da luce, dio vero da dio vero, beat generation and minatori a marcinelle waikiki beach and bermuda shorts cuchillos reflections nell’acqua torbida dead fishes cable venom probabilmente falso disease for guilty landers hunting farmaco taxi driver esodo estivo in epic landscape risiko for multinazionali legalized crime extortion rapture sventramento con vernice dorata che simula l’antico verschiedene sätze treten auf electrical hierarchy gestisce i contributi fur einfuhrungstext für das programmheft; Cicatrici carabine vigilano sui narcos medicina legale per victim riabilitazione scuola di cocktail nail art per futuri ministri empty spaces running on vacuum inside rien catholics captured muslim’s jewish faithfullness indianapolis of goodness simpaty for shot 199


chanel veuve cliquot chamade bijoux madame sheraton pearl is waiting for you sorrisi al finestrino e nel display fucilazione innocente di madri esauste in preghiera cosmic benzoic partners in escalation army alleati avanzano storm in the desco tre caravelle al largo european intrigo for deep penetration fisting extraconiugale; Calcareum paesetto mediterraneo blu waves in cards kalispera bombs for fish recuerdo dolmen agricoli sudati macello krash in atmosphere factory in progress domestic film for scannati dalla ndrangheta black out on cruise blue ribbon por el mundo install new system i dati precedenti saranno cancellati procedere comunque polvere plasma trasfuso per maldidos collusi con la malavita gangs in bronx acetilene fiacre e vaudeville no logo for the words. Asmathic confidence in blur le prove de una vida sin gas senza matrice macht frei the sex in reptilarium explosion; Simil transferre reanimation whith bad taste in hunting the fossa biologica scorie chimiche agua caliente for morphological changes faccia devastata astrolabio features for self sailing aspide biberon coito del sonno viscido pout pourrie per barbecue in funeral carnevale Benzedryn holter for scanning lo que hay vivido entonces les merveilles de la chicane remembering jeunesse il faut profiter rotolo pink fluido for thankgiving and never surrender panta rei dysarmonic position for parametri falsati index of listing files in directories of classified data enumerating sauri calculating extintion revolution esprit in melodies;

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Scariche diarroiche in the gardens of eden life tree frozen by institute for coventry acqua potabile verbotten insert password then press i agree dont forget your credit acme for prayers quality in caduta libera le boudoire avec les femmes baby gang in Caracas de la belle epoque annusando colla creature under schwartz wasser they drown proibito fotografare security exit el trigo el riso y la manioca y pomme de terre loop la guerre increase your margine please send fucili mitragliatori und antibiothics sweet lounge exasperating musica d’ambiente vellutate moquettes sur la plage; Direction obligÊ acting out map of entronautic siluro satori flash phosphoric eminence roger alfa bravo chiedo nullaosta for artrite reumatoide deformante erythema chronicum migrans exema infected by mantequilla del pistone fulgido roaring vitesse futurismo di miccia camera a scoppio nei playoff world championship ist eine burqa over vietnam rapsody hungaria filles smembrate per cazzi ricchi mysery in arms miserere nobis mister x magma fellatio in giochi proibiti orgia di carne che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude, badge for patriots, brujo de tierra, overcraft mekong rest in peace.

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IV - Timitoxicon massage Incauto pleasurdome irto di scogli anaesthetic aspiration vacuum immense regrette rien, recuerda nothing deleting ventre tits ass and coùo und culo delete polpacci dont forget the ticket loose on your mind attore giovane medici in corsia curandero de effluvi flores en la bara orgasmo in dopiopetto flying hands over sparato kossovo fields in breaking news of tulipani stop embargo alt action ramadan in country road riflusso di materia protoni aceleration mein kampf ist wasted accanimento terapeutico ist wasted land por ombres emborrachados press release for energy count down; Alterati contatti adulterati altri alias austerity auxilium alternative australian aubade inzaccherati dai recuerdos mascolino cercasi bella presenza attivo automunito access denied for flatters in flatlandia virgo potens unde veniet auxilium mihi der welt appare in a whiter shade of pale agnello sacrificale ramses shadow printing the difference sobre el dinero, gel sangue silicone catarro liquerizia metacrilato guard rails new jersej for undefensed carreteras way for freedom crashing in cyclon epidemic juice e tanta parte dell’umana stirpe standing by antimonium astonished sauvage; Rescue for poultry obsession airline ansia kefiah stella di david und pixels riciclabile microdermic intruder senza dolore stasi arcaica blade soccer in godot’s hermitage radioactive flatulenza puberale first clas for regency 202


in das komische element electrik razor minor cessat pandemia major tandem fertilis marriage vedovanza abtained con la forza del destino ciao bambina alternate match point in following sit in resistere cui prodest aritmia accueil d’apres midi pasta di pane fornice d’argento lunatic freesby shuttle spearing partner made in galaxia all rights reserved to none; Gravida collocada en la silla il faut que tout s’envole imputato alzatevi entra la corte interracial porno movies mit cucified vierges for sailor moon popeye final destination giving the head and beach freepix obtained by la sagrada familia coinvolta in traffico di stupidi narcos attak to guendaline, la table ronde et les chevaliers engaged dal calcioscommesse magistrati uccisi but holydays salvate que pasa el condor pasa anima nel silenzio soul in silence holydays inn mistic river appointed by the queen daiquiri splash in animée risacca, palm springs and soleada hurry up unlucky try again; Ovatta and smooth pain ago che penetra fin de dolor ambassador king size maldido confine water calling danze macabre e perquisizioni in guantanamo dachau cani da faida steppa di petrolio paella de mariscos code alla vaccinara trofie al pesto patchwork in crime and peace in gourmet album for serndipity constance por el dia cargo escargot missile mistified missing mission miss mystery my minimum minestra acclared quietness pour vrai gentilhomme avec cancrena in yeux smegma mefitico gay pride bay watcher installing cable connection for self love transfer autopsia; 203


Iconoclasta meretrice impavida bounty killer locusta invasion for necesidad de survivre e fame como el cielo mas grande como el cosmo brief and rough rock and roll exitation comer comer comer commissario umanitario miss murple non abbandoni la prego but leave me here per me è finita salmo responsoriale fear effacée sapore dolce una prece una forca una fossa settica abile ed arruolato uncle sam wants more people ma llegué tarde al rendez vous, montagne di cadaveri in the jingle jangle morning affected cinti erniari solphydric gladiolums embrassed by teenagers tremebondi; Shadow mellifluo american kitchen golden sixties crema profumata balsam besos ansiolythic benzodiazepam frigobar solvent free microwaves strade larghe e bambini felici papa a acheté une nouvelle maison ein loch und ich bin so klein chanson de ninna nanna merenda english catechismo raggi ai polmoni pycanalitic boundaries por perros desperados hopeful finanza actionists and consigli d’amministrazione ovattati moquette offices fiche reception career un bon souris appoggi people influenti baroni primari assessori and belong belong belong politik religion mafia massonic triad jew russian terrorism banking media borsa but belong.

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V - hydrogenic mansaf Napalm utopia rapsody for magnetismo animale fear september eleven insight chromo-therapic circle of rings in mass media wasted by antrace brigate rosse indipendentisti assalt to camorra toujour standing ovation ola in the stadium antiche pendole scan time in fading rive gauche dinamyte dinamic dinosauro Accidenti maresciallo alcalde guardia special corps intesa but my god the bomb the bomb my god the bomb the bomb the bomb schegge di cemento goal the bomb escucha le silence dio the bomb, bon dieu trinidad latinos asiatic arab wasp bomb; Distico elegiaco bucolico happy hour tormiento for las crowd surprise por bomb scoppio di fango tornado extintion animals me molesta el mosquito bevo un drink antidepressivi mosaici vellutati taxes for war scandaglio tributario carcynoma genetic engineering pizza amore corrida camembert champagne sirtaki bomb pane amore e fantasia twin towers buddha oleodynamic layout perverso infiltrato traditore spy petite dame cerveza porque soy distante train and bus and car et navir navigar naufragare perchĂŠ ad un tratto the bomb my god the bomb for the photo finish recording; Splattering esistenze campi prigionia lager industries centri commerciali hamburger chloridric test result information access denied capital risk going anyway well said the marshall dont stay here danger for the bomb peligro no me entiende uscita di sicurezza raffiche di mitra secador de pelo crotalo insigne colpevole death condamned 205


processo difesa proof e radikaler reduktion der kunstlerischen mittel sentence overall golpe ist financed by servizi segreti deviation infiltration sentence that’s the bomb secret society public enemies hamburger integrator megapearls; Nous revenons ablan los martires mistral blowing storm polverosa campi di lavoro tender furniture establishment for satanism cruising loft newyorker intellettuale chrysalis alien mostro special effect ispirazione for reality magic moment tête-à-tête lenzuola di raso tanga guepiere stereo cocain pizzo mazzetta cagnotta tangente mercified whiskey blended twelve years old girl face on the web for sail mercato nero black sonoro cure disperate disavanzo patto di stabilità maastricht contumacia travolge signora delle camelie ku klux klan jakuza naziskin ermethic poetry; Distance troubled memories salme ritornano the guru crime designer isole kaiman carità casitità cattività vitriol caput mundi opera al nero ora et labora glabro dittatore bloody mary torture laser giurassic relations attend moi marcel nuntio vobis gaudium magnum habemus bomb. Record of devil bon ton in disaster cleaning desperado hotels chains and anchors for sail rilievo aerofotometrico spectrum paleolitic gasthof auberge aux colombiers provence les perfums direct pape satan pape satan aleppe miserere in brindisi soap balls increasing videogame; Documenti segreti summit oppotunities benefits quorum quantity quasar in quale qualità make your choice it’s free dont worry adelante 206


produci consuma crepa global dog fixing time over including zona cesarini artefact prestige cum on line mailbox for sex appeal check list courage eroica ciudad el pueblo extethics semiothics cybernetics capestro disinfected sala operatoria lateral thinking beau geste of soledad adios gringos the bomb motion blur iridescente passaggio consistency suspect artificial flow against el mar le jour de gloire uber alles fratelli amici laureati peones schiavi prostitute bambine; dada pop art beat generation alluding papel coito interrupted by the bomb my god the bomb september asylum deportation futurista amusement ma poi bomb the mother of all battles drop the bomb mamma the bomb suxpended en azul abstract nationalized religion causa comune obiettivo comune drop the bomb hiroshima berlino cassino saigon kabul baghdad aleppo, sayonara goodmoorning insallah crepa infedele diavolo destiny’s enemy discarica abusiva casa rosada tazebao lingerie per troie antartico le coeur successo arbitro judge sentence is the bomb.

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VI - Asado mercuriale Cigni oxford small size of understanding options regarde les enfants mediterranean singapore smoking opening source artistic death designed by a griffe luminarie biblioteche database archive collection sedimenti kerosene tank final solution complex map increasing ansia melody making movida stick and chips post orgasmic chill stop making sense non seguitemi je suis perdido en la valle di lacrime oltremodo bruco farfalla butterfly bazaar bisca azzardo commedia lume di candela rimedio homéopatique arcano consiglio giureconsulto members dignity offers for sale; Rancore sordo submitted iron flame conquire pulsar of compulsory educational no profit Caduti memorial day crumiri de la vida chanson d’été libera nos a malo che la diritta via dalla pazza crowd running for stairs buscando la salvezza chevalier de la table ronde arithmic athletic conqueror for valori scacciaguai cornuto fossile stipsi de corazon protect from germe ghibli soffia en la sierra del mundo salvatevi salvatevi crucifix someone allerta attention capro espiatorio brucia bastardo archimede is right hictchiking is wrong studentesse violate violet extudies ultra violet; Havana real estate renting a car for driving emozoione cobra verde coast to coast apartheid muscle in canyon horse dressage eaton campus courtyard regimental fantry rising over trips in happy days delirium television iceberg feeling verbotten robot a tout suite 208


l’honneur du faux paysage waste willow bowindow wow war waterfront attacco frontale milza tisana healtht in nature of daffodiles in condom hole stella maris rissa bisexual inciucio interceptor free climbing for exfolied honey moon resistenza al publique officiel y al privado informal la serratura broken giudiziario flic; Cortison suspend interpheron metatrexate vitamin dispenser flebo clement executione whore why prison supercarcere celebrity excellent omnibus dérapage one step beyond La torre il matto la rota di fortuna la forza triumph convoy to madison bridge junction jointing the jack jesus jahve jehova odyssey for oper customer desperation clair regard honorant mismo tiranno forza elettromotrice centrifuga spin mesto testimone of times drop on change de vida the fetch il fiocco cambio veloce en triste crepuscule stella morente cremisi supernova melancholic buco nero diagram tavole della legge; führer in lager station wagon parking hammurabi code near last hamlet choice teschio che cade ash-try encausto diatermocauterio organic scanning of carbonium ancient guerriero avvolto nel sudario menu turistico by pool rooms looking at beach caballo de troia climax supermarket matador estudiante colore sensation facing burro family murder consommé telecomando peluche donald duck suez canal stanza dei figli architect for destroy with style and garbo gusto madrigal addresse for demolition prophets monson aurora boreale geiger counter jodium vanadium molybdenum for independence square;

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hunting the clandestine no global comunist omosexual arab vegetarian no nukes no logo bitter the massa for artiglio de miscela apocrifa cobalt therapy x ray est modus in rebus est rebus in modo comodo domo homo sapiens todo modo rotondo daimon noir desire rising de calle en calle binario per binario permeating refugium peccatorum vomita performance advanced technology up to date maximum fidelity cave canem insidia di penombra collapsÊ vison sauvage bestie morte epidemic observer perdido en una noche tea for two and marmalade for prisoner damned clandestine self pensante apocrifo unlegal autonomo dissidente dissociated; Answer ansia ansimando ancora antigua preparation mas grande il senno con arbitrio mucillagine la cara el cuerpo y l’alma todos my arms are warm armatevi partiamo ist the target la meta l’objectif il traguardo el nemigo irrompe inoltra coming soon cooking cordero corda cappio copy and replica clonation cluster closed clamor clamavit adios adios chiquita addio mia bella addio farewell wonder woman farewell homer simpson reconditi rifugi in aspromonte see you later alligator last vestigia indecifrabili arcani and mission for promoters in canvas size incentive reservÊ in pulverem reverteris.

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VII  - Desdechada in re minore Contraria suerte miseri terre des hommes miserere nobis marchingegno archipenzolo gitanos rivendicazione syndacate confirm that follow stella cometa bingo terno al lotto amaca de sangre vae victis victim victory vicarium vice president pietà por morituri te salutant arrivederci roma quantum terrae gaia caliente orrida arrogance arrivals terminal on board boarding the bounderies banging the blues bistrati occhi per lacrime d’addio for farewell tears baptime sur le bateau bastone e gogna bastardi offesi e vittime sprezzanti chains in freedom cosmethic quiproquo caustic solphidric high tension attention dont touch i fili dont try to adjust; Llores creatura infermo nell’ospedale da campo korn flakes for your happy morning famigliola save the children escape crociata dei bambini orto di futta e segale cornuta freezer figidaire ipotermia collapse filo d’arianna labirynth ricerca help aiudame automedicazione autocoscienza osaka alberta moskow bangalore montreal montevideo shangai odessa nairobi capetown il momento è arrivato action totale accidente arrembaggio attack accueil acuto accanito accadimento in eremo deserto press agent alias malcreado aborto mala tempora pardon je suis desolé nebbia smoke acid rain union carbide castrazione condanna canto estremo; Soverchia fame sete need cambio di rotta butterfruit reset moldova cream in boire tout suite fish eye on drama of fame for the kritikon oscar première calèche fiacre for empty cenerentolas cenere in pectore escalation to majors enterprise organic plan for obiettivi strategici art de la guerre 211


guerra dell’arte art in warrriors artists for artwork bellum parabellum invasion missione umanitaria diplomatic lizard for riscatto treatment international rights si tenente quiero salir muy pronto voglio come back in garden school baretto sotto casa les petites choses mixing the memories y esperancia de una ultima pista ultima chiavata ultimo bicchiere di brunello; Helas beau temps qualcosa è andato storto accise on milk available for mutilati intossicati crudité façon bleue tovaglia di organza idromassaggio bubbles in blood babbo pappone eres la vida que tuvimos ideal home per giovani coppie futuro luminoso ma system failed sorry try again insert a coin program prozac provide production prodromi proventi proofing promotions pros proxima private printing pruderie pro prendere prudenza prima press prematrimonial prices than habitude romantic rest resisting to malafede malaffare maltolto but downstairs they cry quickness inevents preparation stop questions only orders run and do si tenente; La fue llamando la cosa impronunciabile lexema totem tabu modem malibu tandem atout coocoo saltella on oiled soaped glossed stones on caslon swishes fondo sdrucciolevole survive ration kit for exlude default fax sleeping on precipice perception prepuzio preparatory school pissing e cagando vaccini producendo merda faithfull massacro calcinata e poi biodegradabile bioethic aperitif en la terrasse hotel de paris croque monsieur assiette de frontiere legion etrangere red or black roulette russian ruminating rumble rumore ruvido scratch larssen decibel romance for the glory boys our flag heroes martiri della libertà sangue e arena and uranio impoverito

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Fredda la cellula the cell cielito lindo cistifelea cisterna di gasolio circo barnum freaks for flux bisturi bistecca streams again fly to the font fart and flow tampoco bed and breacking news cut cubito cubicolo comitato di guerra comitiva meterore schegge in shiva’s dirty dancing orgonic pyramids eolic trees tralicci tracks trame eversive pulviscolo stardust starship stakanov movimento calante suq dismesso kasbah karamazov carramba cucaracha kinderheim buonanotte bambini chiudi bene close la puerta la salle a manger la cuisine las camas perché hearing from far a sibilo subtil serpe di siero cellophane protecting termoretraibile nulla; Crystal stiks turbinating expose la dernière dimora arroccata in abyss like marble in the spleen for naufraghi all’unisono giudizio universale billions of tons export for nueva soledad shot screen in place of cro magnon marriage bar code in past exception syndrome alleanza Trident blandisce the tot of xenopathic converse pedophil crime peeling for scrub society in arms joy for a gift forgiving for forget bristol meraviglie antiquarium aquarium solarium for convention rolling by planets calculating decremento hearth silenzio alma mundi sick in fading tamburo alma del mundo secco se efface calcolando increasing silenzio fade drumming chamade.

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LA TORTA

commedia buffa (sceneggiatura per video) personaggi: Misha (ottimista e mediatore, ma infido e falso) Zivorad (profittatore, cinico e gaglioffo) Làszlo (stupido e remissivo, un po’ ottimista ma depresso) Vozen (polemico e furbastro, con velleità di leader) Ludek (una vera testa di cazzo, aggressivo ma logico) il Postino (supponente e arrogante, avido e corrotto) Evdojka (autoritaria, colpevolizzante e fintamente compassionevole) Nella fantomatica Repubblica di Pradoskaja, alla periferia di una imprecisata città, durante il crollo del comunismo, cinque uomini dividono come abitazione una squallida casa-magazzino. Quasi sempre sono seduti a un tavolo in una specie di cucina. Vivono in modo deprimente ma con finta dignità (alcuni hanno la cravatta, una camicia a quadrettoni e il maglione, altri maglie a girocollo con sopra una tuta da ginnastica con un logo famoso). Sono alla fame e pieni di debiti. Il tutto lessico è un’italianizzazione di una lingua balcanica. Si parla sempre con calma, senza concitazione, con spazi silenziosi e meditativi e lunghe pause. Su tutto c’è pesantezza ma mai emozioni, neanche nei litigi. I volti sono inespressivi, i moti d’animo sono automatici e privi di spirito vitale.

SCENA 1 Zivorad seduto al tavolo legge un giornale, entra Làszlo che cerca il gatto

Làszlo:

micio micio z-z-z- miiiicio!

Zivorad continua imperterrito a sfogliare il giornale

Làszlo : Zivorad:

dov’è il gatto? non lo so

Làszlo continua a chiamare il gatto insistentemente

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Zivorad: Làszlo, piantala di cercare il gatto! Làszlo: tu sai dov’è il gatto! Zivorad: il gatto è morto Làszlo: morto? perché è morto? Zivorad (ispirato e filosofico): la vita è triste... la fine arriva per tutti Làszlo: ma era ancora giovane... mi dispiace... Zivorad: non preoccuparti, ora il gatto è felice, è nel Paradiso dei Gatti Làszlo (disperato): ti ripeto Zivorad, dimmi come e morto il gatto! (pausa su Zivorad esitante)

Zivorad: Làszlo: Zivorad: Làszlo: Zivorad:

l’ho ammazzato io. Per mangiarlo hai ammazzato il gatto? sì e l’hai mangiato! sì

Làszlo si lascia cadere sulla sedia, disperato

Làszlo: No, no! il mio povero gatto! Perché? Perché? Zivorad: non farla tanto lunga, non era un gran gatto Làszlo (sempre piangendo): si, ma volevo mangiarlo io! SCENA 2 Làszlo e Zivorad seduti ed entra Misha

Misha: Làszlo: Misha: Zivorad: Misha: Làszlo: Zivorad: Làszlo: Zivorad:

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buongiorno amici, che c’è di buono da mangiare? c’era il gatto, ma Zivorad l’ha mangiato possiamo sempre rubare il gatto del vicino il gatto del vicino l’abbiamo mangiato la settimana scorsa Ah già! e allora cosa mangiamo? c’è un cracker c’è un cracker e io non lo sapevo? sì, perché se te lo dicevo tu lo mangiavi di nascosto! che colpa ne ho se ho sempre fame?


Làszlo: Misha:

Ah, perché secondo te noi non abbiamo fame? piantatela! Tiriamo fuori questo cracker! Lo dividiamo e lo inzuppiamo nell’acqua, in modo da farne una zuppa!

Làszlo si alza, prende il cracker, lo spezza in tre parti di cui una molto più grande delle altre due, e le mette sulla tavola, dispondendo il pezzo più grande per sè.

Làszlo: Zivorad: Làszlo: Misha: Làszlo: Misha:

ecco, ho fatto la divisione... ... e perché ti sei preso il pezzo più grosso? perché ho fatto il lavoro di dividere il cracker. Chi fa il lavoro, prende il pezzo più grosso e chi ti ha detto che dovevi farlo tu, il lavoro? tu, tu hai detto di tirare fuori il cracker... allora io merito il pezzo più grosso, perché ho avuto l’idea. Il lavoro di concetto è più importante del lavoro manuale

Mentre Làszlo e Misha discutono, Zivorad si avventa sul cracker e lo mangia. Gli altri due rimangono silenti a guardare le poche briciole rimaste. Lunga carrellata sulle due facce.

SCENA 3 Abitazione di Edvojka. La donna, alla finestra, mormora tra sè:

Evoika:

“Maledetti cani profittatori... sanguisughe! Li mantengo da anni e anni... e non ho mai avuto un ringraziamento, un po’ di disponibilità. Ho fatto tre traslochi, e non mi hanno aiutato. Quando c’è da raccogliere le patate, loro arrivano sempre quando io ho finito... Ma adesso basta! Adesso mi voglio vendicare.

Edvojka che compone un numero di telefono. Il telefono suona nella casa 217


dei cinque. Al tavolo, Misha, Laslo e Zivorad. I tre si guardano spaventati. Il telefono continua a suonare.

Làszlo: Zivorad:

Chi sarà? rispondi e lo saprai!

il telefono suona a lungo, i tre lo guardano

Misha: bisognerà rispondere! Zivorad (masticando le briciole): rispondi tu, Làszlo Làszlo: ah tu non puoi rispondere perché hai la bocca piena! Zivorad: fanculo, anoressico! risponde al telefono masticando le briciole e leccando la carta del cracker

Zivorad: Si? Chi parla? Edvojka: Non fare il cretino, sono Edvojka. Non vi telefona nessun altro Làszlo e Misha: chi è? chi è? Zivorad (coprendo la cornetta) è Edvojka! zitti! Edvojka: Siccome starete morendo di fame vi farò una torta Zivorad: una torta? grazie Edvojka! Edvojka: ve la porto stasera Zivorad: stasera? Edvojka: Sei sordo? Ho detto stasera Zivorad: ok, allora a stasera, e grazie ancora! gli altri due gli si avvicinano curiosi

Làszlo: Misha: Zivorad: Misha: Làszlo: Zivorad: 218

allora, cosa ha detto? cosa voleva? ha detto che stasera ci porterà una torta! una torta! che meraviglia! Però ha detto che dobbiamo chiamare


Làszlo: Misha: Zivorad : Misha: Zivorad: Làszlo: Zivorad: Làszlo: Zivorad: Làszlo: Zivorad: Làszlo: Misha: Làszlo: Misha: Zivorad:

anche Vozel e Ludek ne resterà pochissima per noi! Non chiamiamoli! No! ha detto Evojka che se non ci siamo tutti non porterà la torta chiamiamoli sottovoce e poi diciamo che non hanno sentito! sembri stupido, ma non lo sei! Può darsi che a Vozel e Ludek non piaccia la torta Non dire corbellerie! Le torte piacciono a tutti! Non lo possiamo sapere. Vozel e Ludek non hanno mai mangiato una torta. e tu, l’hai mai mangiata una torta? no allora non la mangerai...neanche a te piace. non ho detto che non piace ho detto “puo darsi” allora può darsi che non la mangerai anche tu può darsi che non la mangerai! però può anche darsi che la mangerò cari amici, può darsi che andate tutti e due a fare nel culo?

Nel frattempo si vede Evdojka nella sua abitazione che prepara la torta

Evoika:

una volta per tutte mi libererò di quei cretini parassiti! Metterò tanto purgante in questa torta che li farò pentire di averla mangiata. Faranno tanta cacca che intaseranno le tubazioni della città. E porterò anche della vodka scadente, anche quella pieno di purgante, così andranno al gabinetto per una settimana!

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SCENA 4

Zivorad e Misha sono seduti al tavolo. Entra Vozel con una vecchia copia del Capitale di Marx e la posa sul tavolo soddisfatto.

Vozel (fregandosi le mani): Allora, ho sentito della bella sorpresa! Misha: quale sorpresa? Vozel: parlavate di una torta Zivorad (restio) siiii, ma... a livello teorico Misha: inoltre tu stasera devi andare alla riunione politica del Partito Vozel: sempre io devo andare alle riunioni? Zivorad: qualcuno ci deve andare... Vozel: io non sono “qualcuno” (fa il segno delle virgolette) Io sono Vozel Zivorad: sei il più intelligente Vozel: sì questo è vero, ma... cosa è questo cattivo odore? Zivorad: ho scoreggiato Misha: come fai a scoreggiare se sei digiuno da una settimana? Zivorad non sono digiuno, ho mangiato il gatto Misha: allora non mangerai la torta! Vozel: aha! allora c’è torta! Zivorad: Vozel, vuoi che scoreggi di nuovo? Vozel: scoreggia pure, io non andrò alla riunione si sente una terribile scoreggia, lunga carrellata sulle facce dei tre. Musica. Sul volto scendono lacrime.

SCENA 5 Zivorad, Misha e Vozel, poi Ludek

Misha: Vozel: Misha: Vozel: 220

dobbiamo avvertire Ludek perché Ludek? Evdojka vuole tutti, altrimenti niente torta! Ludek non è tutti! Noi siamo tutti,


Misha:

anche senza Ludek vado via, che non voglio esser qui quando verrà Ludek

esce Misha, entra Ludek (in scena: Zivorad e Vozel)

Ludek: chi è che continua a chiamarmi? Zivorad (facendo la punta a un legno con un temperino): nessuno ti chiama Ludek: io ho sentito dire Ludek Ludek Vozel: dire Ludek ludek non è chiamare Ludek: voi volete predere Ludek per il culo? Zivorad: Sì Ludek, ti vogliamo prendere per il culo Ludek: ah, volete prendermi per il culo, eh? Zivorad: sì Ludek: e... vediamo: cosa c’è da mangiare stasera? silenzio e primi piani delle facce un po’ spaesate

Ludek: Allora! Cosa si mangia stasera? Vozel: lo stesso di oggi Zivorad: niente Vozel: zitto tu, che hai mangiato il gatto Ludek: così stasera non c’è niente eh? Zivorad: esatto Ludek. Niente Ludek: niente torte? Zivorad (ridendo): torte? Ma quali torte? Vozel: e da quando in qua in questa casa si mangiano torte? Ludek: siete due bugiardi pezzi di merda Vozel: perché dici questo ai tuoi amici, Ludek? Ludek: perché stamattina ho incontrato Evdojka e mi ha detto che porterà una torta Zivorad e Vozel fingono sorpresa e esultano

Zivorad:

wow! Una vera torta! 221


Vozel: è’ dai tempi della prima comunione che non mangio la torta Ludek: non prendetemi per il culo, bugiardi gaglioffi Zivorad: Ludek, sei fissato con questa storia del prendere per il culo! Ludek: Invece sì: siamo ex comunisti, non abbiamo fatto nessuna prima comunione! Vozel: davvero? Ludek: certo! Vozel: allora... significa che non ho mai mangiato una torta in vita mia! Zivorad (rattristato) Neanch’io! Vozel: Sì, però hai mangiato il gatto

SCENA 6 (orologio alle 6, 30) Ludek, seduto, sta sfogliando una rivista porno. Entra Misha

Ludek ... eri d’accordo anche tu, eh? Misha (ingenuo): io sono sempre d’accordo con tutti! Ludek: quindi anche tu sei un bastardo mendace! Misha: no, io non sono bastardo mendace! Ludek: tu sapevi che stasera c’è la torta e non mi hai detto niente! MIsha: te lo dico ora: stasera c’è la torta Ludek: tu sapevi che Zivorad e Vozel e Làszlo mi volevano tagliare fuori e non mi hai detto niente! Misha: te lo dico ora: Zivorad Vozel e Làszlo ti vogliono tagliare fuori Ludek rimane pensieroso...

Ludek:

222

Misha...


Misha: Ludek: Misha: Ludek: Misha:

dimmi, Ludek mi piacerebbe vederti appeso per lo scroto al campanile di San Stanislao dev’essere molto doloroso quando diventa troppo doloroso puoi sempre tagliarti le balle e lasciarti cadere non litighiamo Ludek! Adesso prendo la balalaika e cantiamo una canzone

Misha torna con un violino

Ludek: quello è violino, non balalaika Misha (ignorando l’obiezione): Cantiamo “il lamento del gitano derubato”, è una canzone tradizionale Ludek: nooo, è troppo triste! Cantiamo “Ludmila è morta sotto un camion” Misha: ok, vada per Ludmilla Ludek e misha cominciano a cantare una nenia straziante con un unico accordo ripetuto alla nausea. Nei sottotitoli compare il testo:

Ahi ahi ahi Ludmilla è morta Ahi ahi ahi schiacciata sull’autostrada Ahi ahi ahi sembrava polpa di pomodoro Ahi ahi ahi il camion le è passato sopraAhi ahi ahi Ludmilla non era simpatica Ahi ahi ahi L’ho stirata io

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SCENA 7 Misha e Ludek cantano ispirati, entra Làszlo

Làszlo: Cos’è questa nenia schifosa? Ludek: Non è nenia schifosa, è “Ludmilla è morta sotto un camion” Làszlo: perché non cantiate “il lamento del gitano derubato”? Misha (a Ludek): te l’avevo detto che era meglio cantare lamento del gitano derubato Ludek: Da quando in qua è Làszlo che decide cosa cantare? Misha: Io e Làszlo siamo la maggioranza Ludek: Tu e Làszlo siete soltanto due facce da culo Misha: No io non sono faccia da culo Làszlo: cosa vorresti dire? Che io sono faccia da culo? Misha: Sì Lazlo, tu sei un incredibile, pazzesco faccia da culo!!! Ludek: Devi fartene una ragione, Làszlo Làszlo (con lo sguardo nel vuoto): ... pazzesco! Sono arrivato a sessant’anni e non ho mai saputo di essere un faccia da culo lunghi primi piani sulle tre facce inespressive

SCENA 8 (tutti) entrano Vozel e Zivorad (7,45) Zivorad: Misha: Vozel: Làszlo: Vozel: Làszlo: Ludek:

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Non è ancora arrivata Edvojka? No Non è che vi siete già mangiati la torta per caso? Ma come puoi pensare una cosa simile? taci tu, faccia da culo! anche tu lo sai? Te l’ho detto Làszlo, lo sanno tutti


suona il campanello

Zivorad: Vozel: Misha: Vozel: Làszlo: Ludek:

Vozel vai ad aprire! Io? Perché io? perché tu la apri bene la porta No aprila tu Làszlo Io? Perché io? Perché sei un faccia da culo

suona di nuovo il campanello, con insistenza

MIsha: Làszlo: Vozel: Làszlo: Vozel:

Coraggio, faccia da culo, vai ad aprire! per quale ragione tocca alle facce da culo aprire la porta? Ha ragione! Non c’è scritto da nessuna parte che le facce da culo devono aprire la porta Allora apri tu! sei proprio una faccia da culo! Io ti difendo e tu mi fai aprire la porta!

suona il campanello per la terza volta, insistente

Ludek:

se non apriamo non mangeremo la torta

Ludek va ad aprire

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SCENA 9 Nella stanza: Zivorad,Misha, Làszlo e Vozel. Entra Edvojka con in mano un pacchetto molto piccolo piccolo seguita da Ludek

Edvojka (sospirando appoggia il pacchetto sul tavolo): Buonasera ragazzi! (nessuno fa una piega. Silenzio. Solo Misha accenna un saluto a mezza voce) Misha: ah Edvojka Edvojka (mettendosi un po’ a rigovernare, o pulire il tavolo): Brutta manica di derelitti! Siete digiuni dal giorno di San Stanislao (facendosi il segno di croce), nessuno di voi ha un lavoro, nessuno di voi ha niente da mangiare... Primi piani sulle facce desolate degli uomini che la guardano, mente lei continua a sproloquiare:

Edvojka: Siete delle carogne imbecilli in un mare di desolazione! Non avete un parente al mondo, non avete amici, non avete risorse... e guardate questa casa! Fa schifo! Nessuno passa lo straccio! Làszlo: Non è vero! L’anno scorso l’ho passato Edvojka: Stai zitto, faccia da culo!… E’ una vita che vivete grazie a me! Vozel: Non stiamo proprio vivendo, siamo già quasi morti! Edvojka: Seeee! I parassiti come voi non muoiono mai! Ludek: Edvojka ti prometto che prima o poi morirò, ma adesso dimmi dove hai messo torta! Edvojka: Ah vi interessa la torta eh? Niente saluti, niente grazie, niente! Solo la torta vi interessa! Lazlo: Ma allora è vero che hai portato la torta! Edvojka (additando il piccolo pacchetto) : Quella è torta! 226


Lazlo: Vozel:

quell’involucro è torta? .... lì dentro?

carrellata sulle facce incredule

Zivorad: Edvojka: Misha : Edvojka: Zivorad: Edvojka:

tutta la torta in quel piccolo pacchetto? Se non vi piace la riporto a casa! Edvojka, non arrabbiarti... sono già arrabbiata! allora mangiamo la torta e festeggiamo! No, no, ragazzi, la torta è piccola. La lascio tutta per voi!

Tutti si guardano, nessuno cerca di trattenerla.

Edvojka:

E stavolta... ho voluto fare di più. C’è anche una bottiglia di Vodka, bevetela alla mia salute

Edvoika:

Beh? Potreste almeno dire un grazie

Tutti la guardano, nessun grazie. Edvojka li guarda con aria desolata. primi piani su facce immobili

SCENA 10 i cinque al tavolo, la torta al centro. Musica. Lungo silenzio, il tempo passa. Primi piani. Dettagli tipo il rubinetto che gocciola, orologio che ticchetta.

Ludek: Beh, cosa aspettiamo? che diventi muffa? Zivorad allunga la mano, ma Vozel lo ferma Vozel: fermati sconsiderato! Zivorad: Non tirerete ancora fuori la storia del gatto eh! Vozel: bisogna fare le parti! Misha: vado a prendere un misuratore! tutti si fermano, Misha torna con un righello

Misha: Ludek: Misha: Vozen: Ludek:

come si divide per cinque un cerchio? c’è una formula matematica quale formula? sì, bisogna dividere per 3,14 per cinque, siamo cinque non 3,14 227


Làszlo: Stai zitto, quando è un cerchio ci vuole il 3,14 Misha (misurando 3,14 sulla torta): ok, ho misurato 3,14, adesso cosa faccio? Làszlo: fai il primo taglio Misha sta per tagliare ma Vozen lo blocca Vozen: Fermo! Non tagliarla! non-ta-gliar-la!!! Misha: Cos’altro c’è adesso? Ludek: Stai tagliando a cazzo di cane! Tagliala a metà! Misha: Metà? Perché metà? Ludek: Metà è parti uguali. Metà è giustizia! Come dice il Partito! Gli altri convengono e assentono. Misha taglia la torta a metà. Tutti fermi a guardare le due metà della torta. Musica.

Zivorad: Bella cazzata, avete fatto! Adesso come facciamo a dividere due metà in cinque? Làszlo: è semplice: una metà ciascuno Zivorad: ok, allora io prendo la mia metà (allunga la mano) Ludek: Fermo disgraziato! Hai preso la mia metà! Misha: No noo... non va bene questo criterio della metà... ci sono troppo poche metà Zivorad (prendendo la metà): Pazienza, ce ne faremo una ragione! Ludek (prendendo il coltello): tu te ne farai una ragione al Cimitero di San Stanislao Vozen : Ho trovato: faremo la metà delle due metà Tutti lo guardano estasiati dalla sua intelligenza. Vozen: Vi manca il pensiero matematico. Vi manca il senso del calcolo.

Tutti contenti, prendono ciascuno un quarto di torta. Làszlo rimane senza.

Làszlo: Vozen: Ludek: Làszlo: Vozen: 228

Io sono rimasto senza metà E’ impossibile, avevamo fatto parti uguali! Tutto regolare. Metà, e metà di metà. Due volte giusto. Si, ma io sono senza Pazienza Làszlo, per me non c’è problema


Ludek: Zivorad: Misha: Làszlo:

neanche per me amico Noi siamo la maggioranza! Non farti problemi, Làszlo. Per me è ok Eeeeh... volevo dire un’altra cosa....

Gli altri lo guardano in attesa senza mangiare la torta

Làszlo: Misha: Làszlo:

… vi siete chiesti come mai Edvojka non ha mangiato la torta? Per generosità, l’ha lasciata per noi E se l’avesse avvelenata?

Sui volti di tutti si disegna un inespressivo sospetto. Musica. Primi piani.

SCENA 11 tutti come sopra, la torta è sul tavolo, divisa in quattro. Tutti sono fermi a guardarla. Musica.

Vozen: Zivorad: Misha Ludek: Misha: Vozek: Zivorad: Misha:

Quella puttana ha avvelenato la torta per liberarsi di noi! Mi sembrava strano che ci regalasse una torta … e non abbiamo più il gatto per fare da cavia Ma siamo sicuri? No, non siamo sicuri, ma... se ti fidi, mangiala! Avanti, mangiala! Non possiamo neanche darla al gatto, Zivorad l’ha mangiato Basta con questa storia del gatto! La torta piuttosto Ti fidi? La vuoi mangiare tu?

suona il campanello. Làszlo (senza alzarsi da tavola) Chi è? Postino (da fuori della porta) Postino!

Làszlo: Vozen: Ludek:

E’ quel maledetto postino porterà un altro avviso di pagamento scaduto Cosa ce ne facciamo di un altro? 229


Abbiamo già questi! (Mostra una cartella

zeppa di carta)

Misha: digli che non ci siamo Làszlo: (gridando) Non c’è nessuno! Postino (Sempre da fuori): peccato, portavo lettera con soldi! Contributo statale per i poveri! Làszlo (agli altri): porta lettera con soldi! Il contributo statale! Zivorad: Apri! Làszlo apre la porta, entra il Postino e osserva la torta sul tavolo

Postino Si festeggia? Ludek: Noooooo, solo un regalo... da dividere in cinque! Postino: Ma qui sono quattro fette! Ludek (ammiccando a Misha): Ma noi le tagliamo tutte a metà, e poi metà di metà... Vengono fuori molte fette! Postino: Sapete che torte sono proibite? Potrei farvi un bel rapporto alla Gendarmeria Vozen: Non è esatto, compagno postino! Il decreto 964 della perestrojka ha introdotto la modica quantità: ogni cittadino può mangiare una fetta di torta all’anno! Misha: ... e poi il comunismo è finito! Adesso c’è la libertà! Postino: Ah già... comunque io faccio sempre il mio dovere (alzando il pugno) Làszlo: Bravo Compagno Postino! Postino: Non adularmi! Faccia da culo! Vozen: Coraggio, Postino!... questo contributo statale? Postino: Era una inculazia per farvi aprire porta. Qua c’è un altro avviso di pagamento! Zivorad: un altro! Ma abbiamo una collezione! Misha: è un bel problema! Postino: Maaaa... dove c’è problema, lì vicino c’è anche soluzione 230


Ludek: Non possiamo pagare. Possiamo non pagare? Postino (possibilista): eh.... può darsi Vozen: tra vecchi compagni si trova sempre soluzione, vero Postino?... Postino: una bella fetta di torta potrebbe annullare l’avviso di pagamento... Misha: Allora coraggio, una piccola fetta! E’ un vantaggio per tutti! Il postino mangia una fetta.

Postino (con la bocca piena): Buona, buona... eccellente! poi tira fuori dalla tasca l’avviso, lo straccia e dice:

Postino: Misha:

La fetta di torta ha fatto morire l’avviso! Nessuno piangerà per questa morte

Tutti ridono inespressivi

Postino . Vozen: Postino:

.. e da bere non c’è niente? Acqua. Solo acqua. Gli alcolici sono proibiti dal partito Certo certo, acqua... ma se ci fosse un po’ di vodka potremmo strappare altri pagamenti...

Si guardano. Zivorad fa un cenno di assenso, Misha tira fuori la vodka

Postino: A-ha! Torte e vodka! Ma in questa casa si vive come dei nababbi americani! Làszlo: Non fatevi ingannare dalle apparenze! Siamo digiuni da settimane. Solo Zivorad ha mangiato il gatto. Postino: Ah, vi potrei fare rapporto anche per il gatto... Ma oggi mi sento in vena di buone azioni. Prendo la vodka e la torta e strappo tutti gli avvisi... vi faccio un condono tombale all’italiana. (Prende la roba ed esce) Zivorad: Guardiamo dalla finestra sei il postino sta male! Ludek: perché non guardi tu?

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Zivorad: perché io? Io ho avuto l’idea... Ludek: appunto, hai un’idea? realizzala! Zivorad: no, meglio se la realizzate to o Vozen Ludek: no, io no… tu o Vozen è lo stesso! Vozek: Cosa vorreste dire… che io sono come voi? Zivorad: Sì, voi due siete uguali, siete tutti e due imbecilli Vozen: Zivorad, vola basso! ti ricordo che sotto le armi eri un mio sottoposto! Zivorad: Hai ragione Vozen, mandiamo la faccia da culo (indicando Làszlo) Làszlo: La faccia da culo oggi sciopera Misha: Amici, vi posso dire una cosa? mi provocate ribrezzo Misha si alza e va alla finestra, dall’alto si vede il Postino nella strada che si contorce in preda a dolori addominali inenarrabili

Misha (tornando): Il Postino sta male, ha la diarrea a bomba! Làszlo: Allora è vero, la torta era avvelenata Ludek: quella brutta bastarda capitalista ci voleva avvelenare! Làszlo: donna malvagia! Vozen: ma la nostra furbizia ci ha salvati! Misha: Ma non ha salvato il postino tutti ridono senza entusiasmo

Zivorad: Vozen: Ludek: Misha:

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sì, però qua siamo ancora a pancia vuota! alla lunga è un bel problema non è un problema! è una catastrofe! ... solo un miracolo ci può salvare


SCENA 12 Tutti a tavola nel silenzio delle solite attività, ma molto più tristi. Si sente una ieratica voce femminile fuori campo.

Voce:

Svegliatevi compagni!

fuori dalla porta si vede una luce, musica celestiale

Tutti (come ridestati): Chi è? Chi ci chiama? Voce: Sono la Madonna! Vozen: la Madonna? Ma ci avevano detto che non esistevi! Voce: Non sarete per caso... comunisti? Tutti: Noooo... Una volta, forse.... ma assolutamente no! Voce: Dunque ora credete in me? Ludek: beh, insomma... Misha ... in un certo senso... Voce (Minacciosa): Insomma, credete voi, o non credete? Tutti, impauriti, si guardano e assentono. Zivorad: Però... se sei la Madonna dacci una prova! Voce: Conosco i vostri peccati Ludek: è impossibile! Voce: Non avete forse mangiato il gatto? Làszlo: Solo Zivorad l’ha mangiato! Voce: Silenzio, faccia da culo! ... E non avete forse corrotto il Postino con una torta? Tutti si guardano pieni di colpevole imbarazzo

Voce:

E non è forse vero che la torta era piena di purgante?

Tutti in silenzio, imbarazzati

Voce:

Allora? E’ vero o non è vero?

Tutti ammettono

Voce: Siete pentiti? Zivorad (guardando gli altri): Siete pentiti? 233


Tutti esitano o ammettono reticenti

Voce: Tutti. Voce: Tutti: Voce: Zivorad: Làszlo: Ludek:

Vi ho chiesto se siete pentiti. Sìiiiii, pentiti e non siete più schifosi comunisti? no, no schifosi comunisti. allora venite a me! Venite a prendere il perdono! Làszlo, vai a prendere il perdono! perché io? e-he...Làszlo... dovresti saperlo...

Lazlo esce, si sente una gran botta; Làszlo torna con il naso tumefatto e sanguinante e un occhio nero e si siede al tavolo; compare Edvojka vestita da Madonna, fortemente illuminata, con in mano una mazza da baseball.

Edvojka (brandendo la mazza): qualcun altro vuole il perdono? Ludek (esterrefatto): assomiglia straordinariamente a Edvojka! Edvojka: Rispondete, cani! Misha: forse... preferiamo tenerci la colpa! Vozen: siamo pentiti, e (indicando Làszlo) siamo già stati anche puniti! Zivorad: Làszlo ha preso il perdono per tutti! Làszlo: però il naso era solo mio! Edvojka: Silenzio gaglioffi! non c’è posto per voi nella Repubblica di Pradoskaja! Misha: ma siamo sempre stati qui! Edvojka: adesso per voi è venuto il momento di andare Zivorad: andare...? e dove? Evojka: mi sono messa d’accordo con gli scafisti. Vi faccio portare in un posto dove vivrete felici, non dovrete lavorare e potrete fare tutto quello che vorrete! Làszlo: Esiste un posto così? Edvojka: certo, è l’Italia! Sui volti di tutti si disegna una stupita e ottimistica curiosità. Dissolvenza con bandiera italiana che sventola, si sente da lontano l’inno nazionale. 234


SCENA 13 Esterno giorno, un’area desolata

Vozen: Compagni… ci aspetta un lungo viaggio Misha: allora siamo pronti? Tutti: Sì Ludek: come si fa a non essere pronti per il parediso? Zivorad: ci saranno gatti in Italia? Ludek: In Italia c’è tutto: pizza, caponata e frittata con salsicce Misha: ... e anche balalaike! (strizzando l’occhio, alludendo alla gnocca) Zivorad: ho sentito dire che in Italia le torte piovono dal cielo Làszlo: In Italia c’è da mangiare per tutti e poi c’è anche giustizia, onestà e garantismo! Ludek: beh, cosa aspettiamo? Vozen (mettendosi alla testa del gruppo): avanti, compagni! si va in Italia! Partono in fila nella pietraia desolata. Nell’ordine: Vozen, Ludek, Misha, Zivorad, Làszlo. Camminano risoluti ma senza grande convinzione. Sul mare, all’orizzonte, si vede l’imbarcazione per l’Italia che è già partita I cinque la osservano in piedi du un molo desolato, salutando. musica struggente e trionfale fine

Una messa in scena di questa commedia è attualmente su YouTube, suddivisa in otto puntate; la prima puntata è all’indiritto web: https://www.youtube.com/watch?v=jzcctJvgAQg Le puntate successive compaiono contestualmente oppure inserendo nella casella di ricerca “la torta ondestorte”

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BIOGRAFIA DI CARNEADE (o Carneade e la verità) commedia in due atti personaggi: Coro Sei persone, uomini e donne; vestiti di sacchi di juta e con in testa buffi cappelli: a corna asimmeriche, a spirullo proboscideo, a pippoli funghiformi, a stella inerrogativa eccetera. Carneade Il morto del piano di sopra. Dovrebbe essere un essere anonimo e un po’ distaccato, alla Giovanni Drogo del Deserto dei Tartari di Buzzati o alla Mersault de lo Straniero di Camus. Neutro, di età indefinibile e di scarse emozioni, in quanto morto. Può indossare un neutro vestito da travet, di colori eccessivamente neutri. capitan Nemo Generalmente in divisa da ufficiale di marina, o da vecchio lupo di mare, ma sempre con cappello da ufficiale. Sarebbe bene un essere carducciano, corpulento: un maremmano o un romagnolo, simpatico e sanguigno, assai celebrativo e spesso retorico, anche nei modi. Sincero e fanciullescamente impegnato nelle cose. Ermione Ninfa domestica, forse figlia, o serva, o moglie giovane del Capitano; guance colorite, capelli lunghi raccolti in una crocchia, vestita con un lungo scossalone di flanella a quadri azzurri e bianchi che striscia fino al pavimento; sullo scossalone è cucito un grembiule da cucina bianco. L’abito si può togliere istantaneamente: sotto, indossa guepière, calze e tacchi a spillo senza altri indumenti. Se questa versione è troppo osè, deve essere comunque estremamente e audacemente discinta secondo il più retrivo porno look. Ermione deve poter passare istantaneamente da una connotazione all’altra, sciogliendo e raccogliendo i capelli, o addirittura indossando e togliendo una parrucca.

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Prof. Cane Primario medico, vestito con camice bianco e stetoscopio. Ostenta l’ottusa razionalità del sapiente conformista. Arch. Zebra Abbastanza piacente ma troppo elegante, vestito di tweed e velluto a coste, colori brughiera, panciotto e papillon rosso. Rappresenta l’egocentrica e narcisistica falsa creatività del falso “non allineato” Cane e Zebra infatti sono praticamente d’accordo su tutto. La loro dialettica è solo apparente. Il loro sapere in genere scaturisce da luoghi comuni. Entrambi i personaggi non sono però scevri da alcuni sporadici coinvolgimenti di sincera curiosità nella vicenda.

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Atto primo (Dell’apparenza)

SCENA I Il Coro, a destra, sarebbe meglio un po’ in alto, ma non è obbligatorio. Stanno scomposti, in piedi, seduti, coricati o accovacciati, come vogliono. Ognuno ha comunque una sua sedia o giaciglio. Da qualche parte c’è una scala. Sarebbe meglio uno scalone un po’ ricurvo, barocco, di travertino, con una ringhiera o balaustra dorata, antica, ma comunque va bene anche una scala a pioli da imbianchino. E’ obbligatorio invece che ci sia la possibilità di oscurare la scena completamente e di far comparire in una finestrella accesa in alto da qualche parte, dove un personaggio si possa affacciare. Occorre inoltre che con effetti di luci e tendaggi semitrasparenti ci sia la possibilità di far comparire e scomparire personaggi come fantasmi. Se non ci sono mezzi, i personaggi che devono sparire cadono a terra e vengono trascinati fuori dal Coro. Dunque, si diceva che la scena è completamente buia, la finestrella è accesa e Carneade appare come una silhouette affacciato alla finestra, immobile. Il Coro non si vede. Da qualche parte c’è un cassonetto della spazzatura, pieno di sacchetti a loro volta pieni.

Coro: (intona sull’aria di “adeste fideles”) o pubblico amato su vieni in questo iato su vieni nella casa di un’imba-ra-zzato uno del Coro: no, non fa così... c’è una breve polemica tra i membri del Coro, poi si riparte

Coro:

o pubblico amato su vieni in questo iato su entra nel regno del signi-fi-cato 239


Carneade dunque è alla finestra, come sottofondo si sentono rumori stradali, clacson e auto.

Carneade (petulante e grave): Di tutto quello che ho fatto, son rimasti segni sul mio corpo: cicatrici, (Pausa) rughe,(Pausa), artrosi (Pausa)... ecsemi e malattie veneree! E una bella pancetta! Ma più profondi sono i segni delle omissioni. In questa spaccatura tra il fatto e il non fatto ha serpeggiato la mia vita. Di questo darsi senza dare, ne ho pieni i corbezzoli. Adesso son stufo. Mi uccido. Lunga pausa. Carneade esita, sembra percepire una certa preoccupazione del pubblico. Allora scende dalla finestrella e si avvia verso la ribalta

Carneade (accorato): No... ma... un momento! Luci, per favore! Accendono le luci, meglio occhio di bue su Carneade, altrimenti va bene anche uno che lo segue con un faretto

Carneade:

Signori, vi prego! Non vorrei che vi preoccupaste per me... Io non sono depresso, o disperato. Sono solo stufo di stare tra vero e falso. Quindi mi uccido. E’ un gesto simbolico, che vuole varcare il confine, tutto qua.

Cane (seduto in platea): Bene! Zebra (seduto in platea, ma altrove): Bravo! Carneade torna alla finestrella, si spengono di nuovo le luci. Carenade (schiarendosi la voce): Essere o essere stati.

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Questo è il problema, altro che.


Se sia più nobile tollerare le percosse e gli strali che vengon fuori nell’essere sempre presenti, oppure allocarsi nel cuore rassicurante... (scavalca la finestrella, poi, un attimo prima di lanciarsi) ... della rappresentazione. Buio. Rumore di un lungo lancio nel vuoto, poi un tonfo spiaccicato, raccappricciante. Sipario

SCENA II Carneade è disteso al centro del palcoscenico, spiaccicato al suolo, agonizzante, immerso in un lago di sangue. Le viscere sono fuoriuscite dall’addome. Rumore di traffico. Una scarpa di Carneade è a qualche passo da lui, verso le quinte.

Carneade (muovendo appena un arto): ah! entrano Cane e Zebra passeggiando e chiacchierando. Vedono la scarpa.

Cane: Ma... questa è una scarpa di Carneade! Zebra, senza emozione: ... e... c’è anche Carneade! Carneade: Ah... A-iu.....to! Cane: Salve! Carneade: P... pietà! Zebra: Eh? Come? Parli più forte, non si sente! Carneade rinuncia, e si lascia andare esangue Cane (proseguendo): Ah, questi perplessi, questi indecisi... Zebra, (un po’ restio): Ma, forse... ha qualcosa di interessante

Cane:

da raccontare. Io non sarei così tranchant. Bisogna essere umili, caro Professore. Bisogna saper ascoltare tutti, anche chi sembra non avere più niente di interessante da dire. Poi lei, specialmente, che è un medico... No, guardi, caro architetto, io se permette ci ho 241


l’occhio clinico. Per me è il corpo, che parla. Le parole mentono, invece. E quel corpo, mi sembra che non abbia più niente da dire.

Mentre i due discorrono, Carneade si trascina fino al cassonetto dell’immondizia, ci si aggrappa e fa rotolare fuori diversi sacchetti. Ne strappa uno, e tutta la spazzatura si sparge sul pavimento. Nella spazzatura trova una pistola. La prende e spara prima a Cane, poi a Zebra, che mentre vengono colpiti svaniscono nell’oscurità. Carneade trova anche un coperchio di pentola. Lo usa per contenere le budella fuori dalla pancia. Rumore di traffico. Poi riesce ad ad alzarsi in piedi a stento.

Carneade: Taxi! Entra il Capitano, a bordo di un taxi. Sarebbe meglio che fosse una Jellow cab Oldsmobile del 1959, ma in mancanza di meglio va bene anche che il Capitano porti in mano un cartello giallo con scritto sopra in nero “taxi”.

Capitano: Dove la porto, signore? Carneade: Lei per caso si chiama Caronte? Capitano: No, mi chiamo Nemo, e sono un Capitano ... di lungo corso, per di più! Carneade: Su un taxi? Capitano: E’ lei che ha detto “taxi”. Dove la porto? Carneade: All’ospedale, o magari direttamente all’obitorio Capitano: Ma non si butti giù, lei sta benone! Carneade: Trova? Capitano: Ma...ssì, cosa vuole che siano due budelli di meno? C’è gente che se ne fa togliere dei metri e vive benissimo. Carneade: Davvero? Capitano: Glie lo assicuro, l’ho visto in tivù, e anche a teatro. Carneade: In teatro.... a me non piace il teatro! Capitano: Strano, lei ha tutta l’aria di un commediante. 242


Carneade: Invece sono un assassino Capitano (strizzando l’occhio al pubblico): quasi tutti gli assassini sono dei commedianti. Carneade: Meno di cinque minuti fa ho ammazzato due persone Capitano: Ecco, vede? Cosa le stavo dicendo? Carneade: due persone Capitano (spazientito): Mors tua vita mea. Comunque siamo arrivati. Carneade: Dove? Capitano: Ma alla sua vita di prima! Carneade: Ma non è possibile! Io mi sono ucciso! Capitano: Se è per questo lei era già morto da anni, comunque, se preferisce essere morto adesso, faccia pure Carneade: E lei, anche lei è morto? Capitano: Quanto a me, non sono neppure nato Carneade: No? Capitano: No, sono apparso. E’ successo quando lei ha detto “taxi”. Carneade: E prima dov’era? Capitano (pensieroso): Già... Prima dov’ero? (poi, come rassicurato) Non c’ero! Può chiederlo a questa gente del pubblico Carneade si rivolge al pubblico, sempre con coperchio e budelle Carneade: E’ vero? Non c’era?... Ah sapeste, cari pubblici... (si corregge) cari pubblico... caro... cara gente del pubblico. Vista da qua, da dopo morto, la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza.  Se dovessi lasciarvi un testamento di saggezza vi direi: “Adesso la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza” Carneade si accascia, si abbassano le luci, appare in alto una scritta luminosa che recita: “Adesso la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza”, 243


ma può essere anche una serie di cartelli branditi dal Coro; in tal caso la scritta va divisa in sei cartelli: Adesso-la vita-mi appare-in tutta-la sua-inconsistenza. Il regista giocherà a suo piacimento con i cartelli, formulando diverse composizioni, in modo da far raggiungere la frase finale al Coro dopo diversi tentativi.

Coro: adesso Cane (ricomparso): dice “adesso” nel senso che è dimentico di tutto quanto c’è stato prima? Zebra (ricomparso anch’esso): dice “adesso” intendendo la sommatoria e il punto finale di tutto il pregresso? Uno del Coro: dice “adesso” nel senso che “adesso” è tutto ciò che conta e ciò che c’è stato non è più? un altro del Coro: dice “adesso” intendendo una visione momentanea e instabile rispetto alle certezze permanenti che non sono “adesso”? Capitano (spazientito): dice “adesso” nel senso che “adesso” è tutto lo scibile? Coro: adesso Cane: dice “adesso” intendendo quì, in questo istante? Zebra: dice “adesso” intendendo in questo periodo della sua vita? Uno del Coro: dice “adesso” intendendo in questo istante della storia del mondo? Capitano: e “ adesso” sarà da qui in avanti? (o solo adesso, e poi mai più, o talvolta...) Coro: la vita... Cane: dice “la vita” intendendo quella cosa che accomuna tutti i viventi e che quando moriamo non è più? Zebra: dice “la vita” intendendo la permanenza nel corpo vivente? Uno del Coro: dice “la vita” intendendo la storia dell’esistenza personale della gente? Un altro dice “la vita” intendendo la storia 244


dell’esistenza personale, la sua in particolare? Capitano (rassegnato, tra sè e sè): beh, che lo voglia o no, è così Coro: la vita Capitano: e poi dice “la vita” nel senso della vita in generale? (ah...la vita!) Zebra: O dice “la vita” nel senso della linfa che scorre, lo spirito vitale degli alchimisti? Cane: dice “la vita”nel senso di tutto ciò che è? Uno del Coro: dice “vita” come mondo? un altro dice “vita” come realtà? e se è così è quella dei fenomeni? Ma ciò che “è” vuol dire che ha la caratteristica d’essere? Coro: e cosa è “ essere?” Capitano: per chiedersi cosa è essere bisogna fare una tautologia, un po’ come dire: cosa ha avere, cosa mangia mangiare? cosa cammina camminare? Carneade (coricato): passi eccheggiano nella memoria... Zebra: Pfui! poeti inglesi Carneade: tra fine e principio ci sono notti d’ottobre che discendono Cane: Ah! ...sempre più o meno ritratti o quartetti di poeti inglesi Carneade: ...e mesi d’aprile che generano lillà da terra morta Capitano: Ah, basta con questa poesia inglese Carneade: c’è una vita che addiviene a qualcosa, una vita di viventi, di aver a che fare con le cose... le persone soprattutto... (poi, rialzandosi) Camminavo felice come non mai, schizzando con i passi l’acqua delle pozzaghere, dentro la vita per la prima volta, la felicità di quando smette di piovere, i fenomeni attorno a me erano tutto e mi riempivano di gioia perfetta. La vita ha a che fare coi fenomeni, con ciò che appare

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Zebra (strabiliato): la vita come realtà è quella dei fenomeni? Capitano:: realtà è ciò che è reale...res, rebus, reato, reality show... ....reale è tutto ciò di cui posso fare esperienza Carneade: ma l’esperienza, (cioè quella cosa che mi fornisce l’apparato probatorio che qualcosa è reale) è essa stessa reale? cioè: appartiene alla stessa categoria delle cose che evidenzia? Allora l’esperienza di un uovo (vederlo, toccarlo, mangiarlo, covarlo o romperlo o cuocerlo) è qualcosa di analogo all’uovo? Cane: reale è solo l’esperienza, e non l’uovo Zebra: oppure solo l’uovo è reale? Uno del Coro, trafelato, si intromette

Uno del Coro: Tutti:

...e la mia esperienza, pur mettendomi in contatto con l’uovo, il reale,... è irreale? ...o effimera, o inconsistente? Bene! Bravo!

SCENA III Il Capitano è al centro della scena, seduto ad un tavolo, guarda verso il pubblico. La scena è uguale alla precedente, con l’aggiunta di un’enorme portone antico, in legno massiccio, alle spalle del Capitano che, dopo lungo silenzio, si rivolge al Coro

Capitano: Coraggio, forza! Coro (svogliatamente, come per penoso dovere, intona sull’aria di “adeste fideles”): o pubblico lieto su vieni al borgo inquieto su vieni nel regno della ve-e-rità! Capitano (compiaciuto): Ah, stasera son certo che la verità dovrà venire a galla! 246


Cammina; poi, rivolto al pubblico, con fare tra l’ammiccante e il necessario Capitano: Mi son risolto ad invitare a cena questi amici risoluti, per risolvere una vecchia questione Entra Ermione, in versione domestica; strisciando un po’ i piedi, apparecchia sommariamente la tavola con poche scarne stoviglie.

Ermione (intonando “la riva bianca...”): Signor Capitano si fermi qui Capitano: non ho nessuna intenzione di andarmene Ermione: Intendevo suggerirle di desistere da quell’idea... bizzarra Capitano (noncurante): Cos’hai preparato di buono? Ermione: Poco e niente Capitano: Meglio poco che niente Ermione: Allora vado col poco? Capitano: Sì...ma.... poco, mi raccomando Ermione: Ma... poco quanto? Capitano: (facendo il gesto con le dita) Tanto così Ermione (rivolta al pubblico): Buffo, vero? per indicare il poco dice “tanto” Svolgono in silenzio alcune azioni, poi Ermione sale in cima alla scala, getta il vestito, si scioglie i capelli, e la ridiscende come se entrasse in scena per la prima volta.

Ermione: Non c’è ancora nessuno? Capitano: oh, beh... Se io sono nessuno.... Ermione: l’architetto? Capitano: Non c‘è ancora nessuno! poi, rivolto al pubblico con aria perplessa

Capitano:

quindi, io....

Suonano alla porta; Ermione corre ad aprire. Il Prof Cane è davanti, L’architetto Zebra lo segue

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Ermione (aprendo): Buonasera, signori Cane e Zebra: Buonasera, buonasera. Buonasera! Capitano (magniloquente): Ah, cari amici, benvenuti nella mia magione! Prof Cane (convenzionale): Caro Capitano, è sempre un vero piacere Zebra: ‘Capitano. Ah, cara Ermione! Ermione: Ciao ciao Capitano: Benone, benone. Ora che c’è anche l’architetto possiamo cominciare. Pausa, in cui restano tutti in attesa. Il Capitano guarda con aria riprovevole il Coro. Poi, ad alta voce: Capitano: Possiamo cominciare! Il Coro, risvegliandosi e dandosi di gomito, intona qualcosa con un’aria simile ai Carmina Burana

Coro: Serpeggia giù in città si spinge anche più in là dov’è nessun lo sa Capitano: Sì, così mi piace! Coro (rincuorato, in crescendo): E’ forse sul sofà o nell’eternità chissà dove sarà Ermione: ora basta! Coro ( ancora crescendo): chissà se arriverà se arriverà chissà uno del Coro, da solo: la nostra... amatissima.... Coro, (a più tonalità): veeee-riii-taaaaa Capitano (compiaciutissimo): Ah, bene, benissimo! Cane: Mah...Capitano...che vuol dire? Architetto Non vorrà mica farci credere che... 248


Capitano: sì, miei cari amici. Stasera vi ho invitati qui perché voglio sapere la verità Cane (all’architetto): Sì, la sua, di verità! Architetto (a Cane) La sua di chi? Ermione (canzonatoria): Giuro di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che... Architetto Ma scusate, Capitano... ma quale bizzarro progetto è mai questo? E poi, scusate, ma la verità su chi? su che cosa? Capitano: La verità è una. E basta. Cane: E’ macchinoso! Architetto E’ presuntuoso Ermione: E’ disgustoso Carneade compare d’improvviso alla finestra

Carneade: E’ pe-ri-co-loso!! Capitano: Suvvia, non divaghiamo. Vi ripropongo il tema: “Adesso la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza”: può voler dire che in questo momento (e non necessariamente sempre) la vita appare così, ma negli intenti di Carneade ci può essere anche una scarsa condivisione dell’enunciato, il quale si propone solo come valido ex tempore Cane: Oddio, ma è una tortura! Zebra: E’ un’ossessione! Ermione (con mosse preovocanti): E’ una perversione! Capitano, imperterrito: “adesso la vita” significa la vita in questo momento, e in altri momenti la vita era connotata diversamente?... E ha senso ricercare connotazioni della vita differenti da “adesso?” Zebra, (un po’ coinvolto): Già... c’è davvero qualche cosa che non sia adesso? 249


Capitano, incalzante verso Zebra: ... oppure “adesso” come finalmente, come punto d’arrivo, sintesi perfetta di tutte le visioni pregresse?... Allora “adesso la vita” è tutta la vita Zebra: “tutta la vita” significa adesso più tutto il pregresso, e nient’altro? Cane, (ormai coinvolto nella disputa):... e che dire del di là da venire? Ermione: Non esiste Capitano (petulante): ...esiste come prodotto semiotico, quindi come possibilità possibile, come ipotesi, Ermione (fatale): ... non come esperienza Zebra: ma paventare o anche solo immaginare il futuro non è forse un’esperienza? Il Coro si lamenta, dà segni di sfinimento per la discussione, poi uno del Coro, esasperato, si alza

Uno del Coro: Ah, che due palle! e la vita cos’è, e la rappresentazione cos’è... e che rottura di coglioni! (poi, facendo il verso).. esistere e essere sono la stessa cosa? Ontologicamente, voglio dire. Perché se così non fosse avremmo risolto un sacco di problemi tipo l’esistenza di Dio, e anche la potenza semiotica... Ma ho il dubbio che invece... Ermione (con tutto il suo carisma): Non divaghiamo! “Adesso” è tutto quanto il considerabile. Ermione raccoglie la vestaglia, la indossa, si riprende i capelli. Tutti danno segni di assenso e di condivisione. Cala il sipario.

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SCENA IV Solita scena, con finestrella, Coro e scala. Il Coro però è spostato dall’altra parte del palcoscenico. Al centro del palco c’è un cavalletto con una macchina fotografica. Il Capitano passeggia parlottando tra sè, pensieroso. Ermione è in piedi su una sedia.

Capitano (pensieroso): La vita..mi appare... mi appare! appare a me! Zebra: dice “appare” nel senso che sa che appare così ma invece è colà? (o lo suppone, lo ipotizza?) Uno del Coro, (petulante): Ah sì? e cosa c’è, allora, di contapposto all’apparire? C’è ciò che c’è o ciò che non c’è? Un altro, incalza: E ammesso che ci sia ciò che non c’è, come fa ad essere proprio lì? Cane: dice “appare” nel senso che sa che non c’è nulla oltre l’apparire (o almeno lo sospetta)? Capitano (rivolto a Cane): d’altro canto sa che “ogni cosa” può apparire. Quindi, caro Professore, l’apparire è l’essere che si rivela... e si rivela in base alle nostre richieste, nevvero? Cane: ma nel suo rivelarsi c’è un differenziarsi da se stesso, dal suo stato di irrivelato quindi ciò che di cui si fa esperienza non è l’essere ma l’essere rivelato Zebra: Ma allora...non è l’essere, è il divenire! Ermione (sarcastica): Ah, bella trovata, non c’è che dire! Coro (dando cenni di sollievo, come se il problema fosse risolto): ...il divenire! Capitano: ...rivelandosi diviene, viene da.. eppure il rivelato è (o esiste)... e noi facendo esperienza del rivelato facciamo esperienza dell’essere.

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Il Coro, sconsolato, si alza e accenna ad andarsene

Zebra (pontifica, urlando): L’apparire è vacuo e ingannevole! Cane (gli risponde): l’apparire è l’unico di cui possiamo fare esperienza! Capitano (guardando nel mirino della macchina fotografica): ... già, ma che cosa appare? qualcosa di visto, prodotto, riconosciuto? Il più petulante del Coro: Miao, dice il gatto del vicino Gli altri del Coro, (accavallando le voci): Ah, concetto importante, psico-filosofic neuro-fisiologic-linguistic-comportamentista... uno del Coro: ...che lasciamo all’intuizione Coro: (all’intuizione?) Ermione (portandosi in cima alla scala): L’intuizione! ...ma è roba femminile! Poi, voltandosi in modo buffamente complice verso il pubblico, fa uno striptease

Ermione:

Ma allora... anch’io sono una protagonista!

(potrebbe anche cantare una canzone dal titolo “Sono una protagonista”) Coro: Carneade:

eh, beh, già. Non si può negare echi lontani di grida sulla spiaggia in bianco e nero, negli anni sessanta... signore con cappelli di paglia e occhiali da sole... ... madri, presumibilmente...

Carneade:

Madri, presumibilmente!

Carneade prosegue ripetendo la frase, come per sollecitare Ermione

Ermione corre a rivestirsi 252


Carneade: il mondo si definiva nella sua forma attuale un corollario di idee, un languorino nostalgico mi formicolava nello stomaco Ermione (materna): ... la vita cominciava ad apparire Carneade: cioè: un conto è vivere, e un conto è vedersi apparire davanti la vita Ermione, (materna): Cominciare a considerare la vita come un qualcosa, vuol dire che essa è apparsa... Come se si staccasse da noi e andasse là fuori Ermione (abbracciando Carneade che si accascia come il Cristo nella Pietà): Figlio mio! tu sei la mia vita Carneade (si rialza imbronciato): Mamma! sono anche LA  MIA  vita! (poi, petulante, alla Paolo Poli) E per l’appunto la vita mi appare Ermione (portandosi in cima alla scala): Si, però ti appare in tutta la sua inconsistenza Careneade (disorientato) ... mi... appare Capitano (grattandosi la testa perplesso): ... la vita mi appare ...la vita! ...quando me ne faccio un’idea come di un qualcosa di tutto insieme... Qualcuno dal Coro, in tono di sollecito e scherno: Lasci perdere, Capitano! Capitano (noncurante): ...quando comincia ad apparire in qualche modo Carneade: ...è segno che ci sta lasciando! Tutti si toccano i coglioni o fanno le corna con grida di orrore

Zebra: se dice: “ adesso la vita mi appare” c’è la coscienza dell’apparire Uno del Coro, interlocutorio: ...ma è contrapposto ad esistere, un po’ come divenire ed essere? un altro ma queste due categorie sono una gabbia! un altro ci ha chiusi dentro Aristotele un altro oppure il gatto del vicino un altro miao!

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Cane: O magari è tutt’altro: magari l’apparire è proprio il contrario del nulla! Uno del Coro: ribadisco: miao. Capitano (sentenzioso): la coscienza dell’apparire è cosa fondamentale, molto di più della coscienza dell’apparenza. Perché qualcosa appaia deve necessariamente apparire a qualcuno (indica il pubblico): Se non c’è cospetto, non c’è apparire. Quindi nemmeno apparenza. Semibuio, luci e musica da night; occhio di bue su Ermione, che scende lentamente la scala spogliandosi con movenze sensuali; poi silenzio.

Ermione: E allora apparirò: C’è qualcuno che ha qualcosa di consistente da proporre? Carneade (urla stridulo): Adesso la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza. la vita “mi” appare, è un fatto tra me e lei, voi non c’entrate Ermione, (con mosse sexy): Davvero? E non vorresti che ti apparisse in altra guisa? Carneade: La vita appare a me. Quindi non solo la vita “mi sembra”, ma si mostra a me in questa guisa, tutta intera, senza alternative Ermione, (assumendo una provocante posa sexy): il che non significa assolutamente che la vita sia così ... ...oppure “solo così” Zebra: la vita si mostra in modo diverso da come è, allora! Ermione (svagata, rivestendosi): magari può farlo, oppure no poi, con aria complice verso il pubblico cioè, può mostrarsi come è e anche come non è Zebra: e chi fa sì che sia così? Carneade si corica al suolo, assumendo la tipica posa del morto nella bara

Ermione: 254

è la porta a scegliere, e non l’uomo


Zebra: Ermione: Zebra:

Che belle parole, Ermione Sono di Borges, un calciatore spagnolo in effetti si sente una certa sportività ma non spiegano se la vita si mostra com’è

Ermione si spoglia esasperata, ostentando i suoi attributi

Ermione:

Ma di quali spiegazioni avete bisogno? Maledizione, dovreste recuperare un po’ della memoria dei padri, che di fronte a certe evidenze smettevano di farsi domande. Può darsi che la vita non si mostri com’è, ma possiamo far finta per una mezz’oretta che sia tutto esattamente come appare?

Il Capitano si toglie la giacca e copre soccorrevolmente Ermione, che d’ora in poi la indosserà

Capitano: ma chi può sapere e può dire come è? (e addirittura se è)... solo Carneade, adesso, probabilmente, al di là di tutte le cazzate sul carpe diem e sull’attimo fuggente, affermando che qualcosa appare. Carneade (ridestandosi): ... ma, ironia della sorte, cosa appare? qualcosa di inconsistente! Cane: probabilmente è vero: ontologicamente la vita passata non esiste; quella di là da venire non esiste... Zebra (querulo): ... allora perché ci opprimono, se non esistono? Capitano: ma non è più comodo fare come dicono i buddhisti? che siccome han capito che il problema è il divenire han detto che non esiste? Zebra: di questo divenire il momento più importante (e unico) è: “adesso”

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Cane: adesso è l’incessante divenire Capitano: adesso é “adesso e adesso e adesso” all’infinito e per sempre. Per sempre e ovunque, e fuori dal cronotopo, e quindi è l’essere, vero senza menzogna e certo Zebra (avendo un’intuizione): Sì, è così! Più vero di tutto è l’essere poiché lo si possiede in base all’esperienza, come dice ilTrismegisto! Capitano (entusiasta, ballando): ...e dicendo “adesso” io sperimento l’essere! Zebra: e allora il divenire non esiste o magari è un caso particolare dell’essere Uno del Coro: ma questa suddivisione è una gabbia un altro: ci ha chiusi dentro Aristotele il Capitano, ballando, cade a terra e rimane seduto sul pavimento

Cane: ... e uno può davvero battagliare tutta la vita contro qualcosa che non esiste? Zebra: e quel “tutta la vita” è poi davvero così preoccupante? Capitano: forse non troppo, perché poi dice: “in tutta la sua inconsistenza” Coro: Ah, beh, meno male... Cane: e non dimentichiamoci che dice “ mi appare in” e non “mi appare con” o “mi appare per” o “mi appare a causa di”; dice “in”, come se la vita fosse incorniciata dentro l’inconsistenza Ermione: la sua! Cane: “sua” di chi? Ermione: della vita Capitano: dice: “in tutta la sua inconsistenza” nel senso che tra le possibilità della vita c’è anche l’inconsistenza?

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Zebra: ma potrebbe apparire anche “in tutta la sua consistenza”? Cane: dice che che ha scelto l’inconsistenza per apparire? Capitano: dice che lui ne percepisce l’aspetto inconsistente? Carneade, (impaziente e didascalico): no, è l’apparire in se stesso che è inconsistente. Tutto ciò di cui possiamo fare esperienza è inconsistente; è l’esperienza stessa ad essere inconsistente. “Adesso la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza” Capitano: ma “inconsistenza” è una categoria che ne a nnulla molte altre...quand’è che una cosa è inconsistente? Cane: quando non consiste, non consta Zebra: nondimeno è, pur nella sua inconsistenza Capitano: ma l’inconsistenza appartiene alla vita? O tutto questo ha a che fare con le nostre proiezioni significatorie? Ermione: Certo, Capitano, ma questo non spiega niente. Penso: sono consistente: E c’è la consistenza.  Penso: sono libera. E c’è la libertà; penso: sono legata. E c’è l’asservimento. La vita è il nostro sguardo. Ma, ripeto, questo non cambia di un granchè le cose. Zebra: ... sicchè il mio occhio sarebbe l’unico oggetto reale che produce tutto? Che immaginerebbe tutto? No, anch’esso è oggetto delle mie proiezioni; di più: è il centro delle mie proiezioni! Capitano: Già! anche l’ occhio che guarda non è reale! Ermione (rivolta al pubblico, indicando il Capitano): Neppure il suo! Coro (spazientito): Quindi abbiamo fottuto anche Shopenhauer... E anche lo Yogawasistaramayana! Cane (polemico) : e a chi spetterebbe quindi il compito

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di vedere oltre (o dietro)? Zebra: Già, a chi, oppure a quale organo, o a quale supremo che non sia occhio mente o coscienza o tutte queste cose insieme più qualcos’altro he non è un ulteriore oggetto ma... una relazione! Ermione: ... quella che sevirebbe per venir fuori Capitano: Già, bisogna venir fuori dall’aut aut “la vita mi appare” e quindi ha senso proprio perché appare Zebra (rincuorante): “appare” non é denigratorio! Cane: anzi, è proprio la fulgida essenza dell’essere Cane e Zebra si guardano l’un l’altro esterrefatti: Lunga pausa

Zebra: ma dove sta di preciso la differenza tra essere e divenire? Cane: dove tra forma e sostanza? Zebra: dove tra essenza e materia? Cane: dove tra Popper e Wittgenstein? Zebra: dove tra Heidegger e Severino? Cane: dove tra onda e corpuscolo? Capitano: dove tra mondo (o realtà, o vita, o esistenza, o essenza o...) malgrado noi e il mondo come volontà e rappresentazione? Coro (vociando esasperato): No, basta, questo e troppo! Cane (guardando il Coro in tralice): e di noi cosa dire, allora, del nostro occhio che rappresenta? Capitano: il punto più stretto della clessidra Ermione: (restituendo la giacca al Capitano e con tono sarcastico) sforzatevi di passare per la porta stretta cala il sipario

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SCENA V Stessa scena, al posto del cavalletto con la macchina fotografica c’è una cassa da morto. Carneade è coricato nella cassa, a vegliarlo c’è Ermione seduta su uno sgabello, in versione porno

Carneade (occhieggiando da dentro la cassa) : cogliere l’apparire della vita coglierne l’apparire nell’inconsistenza dire che non basta non avere prerogative per non essere Ermione: apparire non è sembrare... oppure sì? Carneade: apparire è il verbo che si fece carne Ermione: e l’apparire in fondo è un po’ la fine la fine della natura la fine della realtà la fine dell’amore la fine della coscienza Capitano (irrompendo): Ah, tutti modelli, progetti di realtà ma ciò che bisogna vedere è la struttura Carneade: ma è la struttura ad essere inconsistente perfino se è più vera di ciò che consiste Cane (entrando): l’inconsistenza è la struttura di ciò che non ha struttura Zebra (entrando) : è una struttura vicariante tra significante e significato Cane: l’inconsistenza è la struttura della fine Zebra: la fine delle strutture Cane: è la fine dell’apparire Zebra: è l’apparire della fine Capitano: e dietro l’inconsistenza forse c’é l’immutabile o forse ancora di più ciò che chiamiamo inconsistente è l’immutabile, l’eterno Carneade: wow! E... l’inconsistere è caratteristica dell’immutabile ed eterno? 259


Capitano (scandalizzato): certo no, l’immutabile ed eterno non ha caratteristiche Zebra: ma noi, di ciò che non ha caratteristiche non diciamo forse inconsistente? Capitano: inconsistente non è inesistente (e in ogni caso inesistente non sarebbe necessariamente “non essente”) Non andare a una festa significa non esserci ma mica non essere! Zebra: allora esserci è il contario di essere Cane: No, esserci è il contrario di non esserci Capitano (spazientito): Ma qui si parla d’apparire non d’apparire inconsistente ma d’apparire nell’inconsistenza (in tutta l’inconsistenza) e questo è il “c’è”... è l’esserci ed essere inconsistente tant’è vero che si è detto “essere” inconsistente quindi anche l’esserci è come del resto ogni altra cosa Uno del Coro: Un altro: buio.

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... e tutte le qualità e le modalità sono la varietà meravigliosa il cui l’essere sceglie di esserci (tramite noi, per noi, secondo noi, o secondo Carneade o il gatto del vicino) Miao


SCENA VI La bara è chiusa, al centro del palcoscenico. Il Capitano, Cane e Zebra fanno il gioco delle tre carte sul coperchio della bara. Il Capitano , da una parte della bara, muove le tre carte; gli altri due, dalla parte opposta, assistono.

Capitano (alzando una carta alla volta): Essere. Esistere. Apparire. Qua c’è l’essere: Qua appare l’apparire. Qui esiste l’esistere. Attezione signori: L’essere scompare. L’apparire esiste. Dov’è l’esistere? Dove appare l’essere? Dove esiste l’apparire? Zebra: Lei vorrebbe spiegarsi, ma ha le idee confuse! Cane: Lei ha le idee chiare, ma vuole confonderci! Capitano: Allora, vediamo di far chiarezza... sull’essere che c’è da dire? Zebra: niente, perché l’essere è prima del dire e quindi casomai è l’essere che definisce il dire e non viceversa Capitano: ma l’essere è, prima di esser detto? Cane: certo che sì Zebra: però non appare Cane: ma c’è Carneade (ergendosi dalla bara): Solo per un mondo di non umani perché per quanto mi riguarda non ci sono finché non ho detto che ci sono (almeno in certi luoghi) quindi non l’ho detto, non lo dirò non ci sono (...ma sono) e in quanto sono riposo dentro l’essere faccio esperienza del mio essere insomma appaio a me stesso. ... Ma cosa di me appare a me? appaio anch’io a me stesso in tutta la mia inconsistenza 261


in effetti io sono la vita io sono la via la verità la vita appaio a me stesso nella mia inconsistenza ma se appaio a me stesso chi è quel me stesso al quale appaio? ... e io sono il gatto del vicino

il Coro applaude stancamente

Capitano: Quindi quello che pensiamo e quello che accade là fuori sono la stessa cosa... ... il loro incontro, l’unica via di salvezza. Zebra: ma si può davvero attribuire a Carneade, tutto questo? Capitano (proseguendo incurante): ...ci confrontiamo col molteplice. Il molteplice è i fenomeni. Tutto un minestrone di percezione, pensiero e rappresentazione. E’ proprio questo minestrone a fare in modo che la vita si faccia carne nella realtà fenomenica Carneade: Che la vita appaia! Ermione entra trionfalmente stappando una bottiglia di champgne

Ermione: ciò avviene per opera nostra. Capitano (indicando Ermione): I fenomeni sono il modo che abbiamo a disposizione per vedere il mondo. Nel manifestarsi per fenomeni, la vita si rivela nella sua inconsistenza Zebra: ... ma si può davvero attribuire a Carneade, tutto questo? Il Capitano estrae dalla bara dei calici, Ermione versa lo champagne. Tutti brindano. Sipario

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Atto II (dell’inconsistenza) SCENA I Carneade si aggira solo intorno alla sua bara e accenna alcuni buffi passi di danza che simulano l’inconsistenza. La musica è un violino stonato e piagnucolante. Il Capitano è seduto su una sedia a dondolo e legge un quotidiano.

Carneade: inconsistente è ciò che non permane? Capitano: inconsistente è ciò che non consiste Carneade: inconsistente è un fatto soggettivo ed è creato da noi. è la nostra inconsistenza che si spalma tutt’intorno la vita si modifica, questo è tutto non so dire se perché altre dimensioni ci chiamino, o se percheé noi le ipotizziamo rendendole possibili, Capitano: Quando si creano due poli di ipotesi su un fatto la risposta reale li contiene entrambi. Carneade: E la risposta è inconsistente Capitano: Così realtà che ci modifica e realtà che noi modifichiamo vengono a essere quel famoso minestrone... ma sta di fatto che i nostri cambiamenti producono cambiamenti nella realtà, o almeno nella realtà che percepiamo, che è tutta la realtà possibile. Coro: Addirittura! Esagerato! (poi, ironicamente) Tutta la realtà possibile! Capitano ( rivolto al pubblico): Insomma, la vita appare... ... appare anche a voi? se non appare rimane oscura ma se appare significa che la si guarda da qualche punto fuori 263


uno del Coro: oppure dentro! un altro: già.. una cosa appare quando ci sei dentro, finalmente? Un altro: o quando ne sei fuori, e finalmente la puoi osservare? Capitano: ma se Carneade dice: “appare” significa che lui la vede all’improvviso, tutta intera, come qualcosa che si guarda da un altrove pausa. Entrano Zebra e Cane, trascinando una Corona funebre

Cane: e allora... la vita si vede solo da fuori della vita? Zebra: solo così può apparire? Cane (occhieggiando dal buco della Corona): ... e se sì, cos’é, dov’è quell’altro luogo da cui la si guarda? Zebra (contendendo a Cane il buco della Corona): “la vita mi appare” significa che Carneade e la vita sono separati: Carneade guarda la vita. Capitano: Oppure no: Carneade è lì e all’improvviso la vita gli appare Uno del Coro: ma lui, dov’è? un altro: Già, lui dov’è? un altro: e dov’è in genere colui che guarda? Capitano: é in un altrove rispetto a ciò che è guardato Cane: qui probabilmente sta l’incomprensione di colui che guarda Zebra: qui probabilmente sta l’inconsistenza ciò che gli fa dire: “adesso la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza” Cane (annuendo): per dire così Carneade dev’essere fuori della vita Uno del Coro: se fosse stato dentro la vita non sarebbe morto Capitano: allora “adesso la vita mi appare in tutta la sua

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inconsistenza”è un enunciato possibile solo per un morto Carneade: morto che parla è questa l’inconsistenza della vita l’instabile goccia sui fili della ferrovia l’ardimentoso spalancare le finestre ogni mattina salutare la verità e sentire che parla in una lingua sconosciuta una lingua perduta all’altra sponda verifica di morte nell’immagine che si specchia nell’onda torbida Uno del Coro, (alzandosi e interrompendo): Vado, disse un giorno il gatto del vicino misericordia per voi umani non ne avrò disse tutto con un solo miao non lo videro più un altro ma si può davvero attribuire a Carneade, tutto questo o non piuttosto al gatto del vicino? un altro: Carneade avrebbe fatto bene a scrivere miao ma invece scrive: “adesso”, cioè finalmente anche se non quel “finalmente” che di solito è accompagnato da un sospiro di sollievo SCENA II Capitano: comunque adesso, cioè finalmente la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza è un approdo Cane: è un punto d’arrivo Zebra (enfatico e teatrale): è nuotare naufraghi esausti raggiungere la terra tendere la mano verso uno scoglio... e trovarlo inconsistente

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Cane si avvicina alla bara e la abbraccia oppure occhieggia da dietro

Cane:

Adesso... adesso che più che mai avrei bisogno di verità a forza di guardare l’oggetto delle mie cure (l’agognata terra per posare le membra) lo trovo inconsistente

anche Zebra abbraccia la bara, o fa gesti che mostrano come intenda identificarsi con Carneade

Zebra: Capitano: Zebra: Cane: Capitano: Cane: Zebra: Cane: 266

Ho guardato tanto la vita era tutto quello che avevo a disposizione l’ho guardata da lontano però, capperi, era lì a due passi ero certo che fosse lì... pensavo che da lei mi sarebbero arrivate le risposte (ma si può davvero attribuire a Carneade, tutto questo?) adesso la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza adesso la vita mi appare i n tutta la sua inconsistenza adesso la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza ma se la vita o la verità o il solido compatto su cui posare le membra è inconsistente allora cos’è quel mare in cui nuotiamo? quel mare da cui diciamo “la terra è inconsistente”? “miao” risponde il gatto del vicino e ha ragione! allora l’ineffabile flutto da cui si sperava approdare al consistente


Carneade: Capitano: Ermione:

è invece il più consistente forse è così galleggiamo e non poggiamo fluttuiamo e non arranchiamo come naufraghi in un mare senza approdi come briciole di sughero nella tempesta oceanica più immane... .... galleggiamo siamo inconsistenti eppure galleggiamo sorretti dall’essere e in questo fluttuare facciamo esperienza della nostra inconsistenza il nome di quest’esperienza è: “vita” morirà senza accorgersene abbandonerà se stesso sulla spiaggia steso le membra abbandonate come quelle di Ofelia nei quadri preraffaeliti Tutta la bellezza, i broccati, i cibi delicati i viaggi e gl’idromassaggi tutto inzuppato nel mare che ci sorregge piccoli pezzi di sughero ciò che è pesante andrà a fondo tutto ciò che è consistente calerà a picco

è la nostra inconsistenza a salvarci

buio

267


SCENA III identica alla precedente, a parte il fatto che tutti i personaggi hanno un salvagente. Ci vorrebbero vecchi salvagenti di sugero da antico transatlantico. Sopra c’è scritto “Titanic Carneade”. Se è troppo complicato vanno bene dei gonfiabili, meglio se buffi.

Capitano: Cane: Zebra: Coro: Capitano:

Vivere nell’inconsistenza sospesi nell’inconsistenza! protetti nell’inconsistenza! SALVATI dall’inconsistenza! ... la vita mi appare nella sua inconsistenza a conti fatti la vita insomma si rivela inconsistente ma può la vita consistere d’inconsistenza?

il Coro mugola dando segni di sfinimento

Carneade: avidi osservatori piagati da molteplici essenze moltiplicano le piaghe. Dal finestrino della macchina vedo a destra la parete di roccia scorrere veloce lanciato a folle corsa nell’inconsistenza con a fianco la roccia Coro (risvegliato): il consistente! Carneade: Sì, ma... nient’altro che spazio e filamenti d’essenza negli atomi! Il mio sguardo vede, non guarda: vede l’inconsistenza di ciò che diciamo consistere vede il suo fugace dissolversi al finestrino fuggire via nel passato Coro: roccia che non esiste più Un altro del Coro: roccia fugace un altro (come una formula uno): miiiiaaaaao 268


Carneade: Ermione: Uno del Coro:

ma io osservo Carneade io, l’osservatore (ovvero Carneade stesso) osservo Carneade e condanno Carneade all’inconsistenza. E’ l’atto di guardare a creare l’inconsistenza. Carneade guarda l’abisso l’abisso nascosto dalla roccia, o dalla siepe. Ora la siepe è caduta e senza più significazione Carneade è morto. Spiegato l’arcano.

buio.

SCENA IV Quando le luci si riaccendono c’è solo il Coro. Alcuni gonfiano palloncini, altri li bucano appena gonfiati. Smettono quando Entra Cane.

Cane: uno del Coro: un altro: un altro:

Carneade interroga Dio sull’inconsistenza ma Dio è silente il gatto invece dice miao è Dio che parla per voce del gatto e a proposito dell’inconsistenza dice miao il massimo della consistenza e dell’inconsistenza insieme

Cane, come risvegliato dalle parole del Coro, mostra di avere un’intuizione:

Cane: uno del Coro: Cane:

tutto l’universo di segni possibile tutto l’universo compresso in un “miao” o almeno in provincia di miao tanto ti basti, Caro Carneade giacché da quel “miao” dovrai cavar fuori tutto il possibile e anche l’impossibile. 269


Uno del Coro, imitando Carneade: Adesso la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza. Carneade: Perfino ciò che adoro ciò che mi tocca e mi commuove ciò che mi spinge ad agire è inconsistente; ed è inconsistente la domanda che io (cioè Carneade) pongo all’esistenza. Ermione: Perché è chiaro che di domanda si tratta e d’altra parte non resta altro, a chi non si abbevera più di risposte... ...e nello scrivere quella frase Carneade urla implora dichiara confessa il suo struggimento infinito per la siepe che è caduta e guarda l’abisso che è la madre di tutte le domande è una domanda che non ha parole non ha lacrime: adesso la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza SCENA V La scena è deserta, c’è solo un water con relativo scopettino da cesso al centro del palcoscenico. Entra Carneade, si cala i calzoni e si siede sul water. Dopo molteplici sforzi, si alza e guarda nella tazza.

Carneade (rivolto al pubblico): Inconsistente! Dal nulla, come icone sospese nell’oscurità compaiono, vagamente illuminati, il Capitano, Zebra e Cane.

Cane: Postulando che noi chiamiamo esistere lo stato in cui ci troviamo, è certo che esistiamo Zebra: esistere allora è il modo che ha il linguaggio per definire l’essere Capitano (perentorio): l’essere non è enunciabile. 270


Quindi non consiste (ma è); La vita non consiste (forse è, o forse no) comunque non consiste, o meglio si mostra come non consistente e questo particolare modo di mostrarsi è l’esistere è l’esistere stesso, ad essere inconsistente Zebra: ma se l’essere non consiste perché non è enunciabile... Cane: ...e l’esistere non consiste proprio perché è un enunciato... allora... Carneade: ... allora tutta la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza! cioè in tutta la inconsistenza di cui dispone (poi, guardando di nuovo nella tazza) ovvero: la vita dal suo consistere mi invia la sua inconsistenza... è il mio enunciato ad essere inconsistente (a renderla inconsistente) è il mio definire la vita, che mi scolla dalla vita Entra Ermione

Ermione (ironica): volgo lo sguardo dall’altra parte la vita e là, fuori di me e che accade? ohibò, la vedo inconsistente la vita mi abbandona quando la guardo Capitano:

Bravi, bravi, miei cari!...e nel suo abbandonarmi diviene inconsistente. Ecco, la vedo inconsistente quando non ci sono dentro. D’altra parte quando ci sono dentro non la vedo, la vivo, quindi non c’è modo di vedere la vita se non lasciandola e quindi giocoforza rendendola inconsistente 271


Il Coro urla di esaltazione e di esultanza, con danze e abbracci

Carneade: adesso... il Coro si zittisce e si riprostra, disperato

Carneade: Capitano: Zebra: Carneade: Capitano:

adesso la vita mi appare in tutta la sua inconsistenza è l’enunciato di un morto quando vedo l’inconsistenza della vita o meglio l’apparire della sua inconsistenza è una chiara prova che siamo al mio funerale finalmente ho capito: sono morto ecco il perché di tutto... Se fossi vivo direi miao un miao molto lungo, anche, come quando ero vivo e parlavo nella luce Luce di sole invernale sulle facciate dei palazzi luce trionfante del canto della gloria di Dio oppure luce struggente di crepuscolo del mondo dipende...dal mio stipendio, dal trovare o non trovare parcheggio, dai miei esami del sangue: un solo valore alterato può far cambiare la luce nell’universo mondo e allora tutto ciò che appare è dentro di me compresa l’inconsistenza anzi, soprattutto l’inconsistenza ...o forse è proprio l’aver capito che è dentro di lui a fargli dire: è inconsistente.

Il Capitano, Cane e Zebra scompaiono nell’oscurità. In scena rimangono Ermione, Carneade e il Coro, anch’esso quasi nell’oscurità.

Ermione:

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La luce cambia entriamo e usciamo da zone d’ombra Carneade aveva parlato di espressioni di forze


Carneade: Ermione: Carneade:

fondamentali, di modalità dell’essere; Vedeva la luce agire e declinarsi e configurarsi nel mondo nelle sue forme essenziali; forme conosciute da sempre perché percepite, ma ignote poiché impossibili da relegare in un significato; forme senza contenuto ma di una pregnanza inarrivabile. A volte gli apparivano come una costellazione collaborante di tendenze un imperturbabile equilibrio di indefesse azioni costanti e lo smarrimento che lo prendeva le prime volte che sentiva agire quelle forme è ora solo un quieto consenso un sommesso e passivo cooperare affinché il destino, tutto il destino, si compia e possa condensarsi dall’eternità in un istante un istante perpetuo che è “adesso e adesso e adesso” Aveva detto: vivo o sono morto? se prendo coscienza del mio essere morto, lo faccio da vivo Il resto, tutto il resto è silenzio o clamore totale nel quale sperdersi. Niente mi viene dimostrato, perché la vita si mostra, appare.

poi, proseguendo con voce ispirata ma stridula, carica di tensione lirica:

Carneade:

Come un uccello squittisco mi faccio interprete di quelle forze non è vero che c’è gioia e neppure malinconia

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nel canto degli uccelli c’è solo una partecipazione piena una testimonianza e come Icaro mi libro ormai sollevato sulle rappresentazioni dell’esistenza poi, più veritiero e meditabondo galleggio nell’inconsistenza su una mappa grande quanto il territorio dettagliata quanto il territorio ma senza palpitazione vitale. Ermione (soccorrevole): Il sogno di Icaro era di camminare così scivolò sul pavimento sdrucciolevole del suo cuore che cominciava a sciogliersi. Carneade, di nuovo stridulo e ispirato, prende lo scopettino da cesso e lo brandisce come una spada

Carneade: 274

Dinanzi a me ... la quinta stagione: nel solstizio di gesso dell’estate qualche nuvola ventosa un concilabolo di umori antichi emerge vorticando come se per chiudere un ciclo ci fosse bisogno di capire dove é cominciato. Ombra ...e sole.  Il cielo sulla sabbia si muove senza mai decidere i suoi confini. E tu, benedetta spada nella quinta stagione rimandi la tua luce al cielo dal momento che finalmente il cielo ti tocca con la sua. Tu sola puoi decidere il punto esatto tra ombre e luci


tu sola puoi rinunciare per sempre a questo confine e dimenticare la vendetta inafferrabile quella che ci insegue per tutta la vita (o per lo meno per questa vita di viventi). Ermione nel frattempo ha preso a coccolare Carneade Ermione: La vita è fenomeno e probabilmente avviene per necessità  un evento che concilia la voglia di vuotare la coscienza con la voglia di metterci dentro della roba Carneade: ma tutto poi deve essere digerito tutto deve sciogliersi qui sulle sponde per coagularsi dall’altra parte e c’è solo un aceto che può dissolvere tutto quell’ammasso di peso. Io convivo col mondo... Coro (sarcastico): Infatti è morto! Carneade (rimarcando): Io convivo col mondo... mi arrendo al suo fluire rassegno il mio destino nelle mani del mondo probabilmente sono stato un uomo o forse lo sarò, tanto irrilevante mi appare la differenza tra passato e futuro mete del mimetismo e della definitiva rivelazione. Attento ai segni in dolce ricerca per captare e trasmettere per lasciare e non lasciare tracce in costante seppure lenta incerta e claudicante ascesi ricongiunti tra estasi e oblio io e il mio io nella luce di Dio.

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Ermione: Il tempo si redime nel rapido avvicendarsi delle stagioni morte e rinascita copulano nel presente il presente è il figlio dell’amore tra passato e futuro Carneade: quel figlio sono io! so ancora così poco perfino di quello che mi unisce a me stesso e dei silenzi che posso spiegare solo con silenzi... Ermione: eppure quel silenzio è già preludio di vita Carneade: Ma perfino per dire silenzio abbiamo inventato una parola:  Perché di cadere nelle parole non si smette mai d’imparare a nascondersi nelle parole non si smette mai. Così ti parlo anzi, di più: sussurro in modo che parole non rimbombino e neppure dentro di te risuonino... staranno invece sospese tra noi e solo se lo vorrai ti diranno di quest’ombra in cui ti amo. buio

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SCENA VI - EPILOGO In scena ci sono due tavolini da bar, con sedie da bar. Ad un tavolino il Capitano sta giocando a carte con Zebra e Cane. L’altro tavolino è vuoto. Carneade penzola da una forca. Ha un colorito bianco verdognolo, tipico da defunto. Sullo sfondo, ma ben visibile, c’è un paravento che può essere illuminato da dietro.

Capitano: Ah Carneade Carneade piccolo brandello indefinibile brandello di un indefinibile mutevole esploratore della mutevolezza che chiami adesso Zebra: che chiami vita Cane: che chiami apparire Capitano: che chiami... inconsistenza. Cane (inquisitorio): La chiami inconsistenza perché hai sperimentato il dissolversi della gioia hai sperimentato la mutevolezza e per questo dici: adesso a vita mi appare in tutta la sua inconsistenza Zebra (al pubblico): della vita vede il divenire, perché sente che lui diviene: ciò che diviene è inconsistente, ma il divenire è l’essere... Coro: e finalmente anche Aristotele dice “miao” Cane: Carneade, dal canto suo, dalla sua morte, vede il divenire dall’immobilità e dice: è inconsistente.Il divenire non gli appartiene più Entra Ermione

Ermione: Zebra:

se fosse così sarebbe in gamba sarebbe il super premiato al Gran Gala della saggezza 277


Uno del Coro: sarebbe il sublime guerriero perfetto, seduto sul crinale tra apparire ed essere Un altro uomo della Grande Sintesi un altro eroe dei due mondi Ermione: ma Carneade parla per paura Uno del Coro: è morto, di paura! Capitano: è morto... Cane (ironico): e ha paura di morire! Ermione: e ha anche paura di vivere Zebra (conclusivo): e in questa fragilità di confine vede l’inconsistenza. Ermione: A volte l’inconsistenza è tale da cancellare perfino se stessa da far vivere Carneade immemore dell’inconsistenza Inizia un minuetto. Lentamente la corda scende: Carneade arriva a terra lentamente, imitando con la braccia un battito d’ali. Quando è a terra, accenna due passi di danza, due piroette. Esce Ermione, che danza un po’ con lui, poi vanno a prelevare uno del Coro che, spogliatosi dei suoi abiti, diventa un bambino o una bambina. Dandosi la mano i tre vanno a sedersi al tavolino. Un altro del Coro dismette i suoi abiti e diventa un cameriere. Va ossequioso al tavolo, raccoglie le ordinazioni, esce e rientra recando un cabaret con tre grandi gelati affogati variopinti. Rumore di clacson e auto

Capitano: Zebra: Cane:

Carneade è nel clacson nella giberna ricolma di vettovaglie stoviglie anticaglie paccottiglie Carneade prende un gelato in un sabato pomeriggio di inizio estate seduto in un bar all’aperto con la sua famigliola.

Uno del Coro si alza e va verso la ribalta più vicino al pubblico possibile, poi dice: E questo è tutto.

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Quel che resta del Coro, soddisfatto, si alza ed accenna ad andarsene; Il Capitano, avvicinandosi a quello del Coro che è sulla ribalta, gli appoggia una mano sulla spalla. Poi, rivolto al pubblico:

Capitano:

Quasi tutto, miei signori. Perché io volevo togliermi ancora qualche sassolino dalla scarpa.

Il Coro da segni di disappunto

Capitano: Cane: Zebra: Capitano: Uno del Coro: Cane: Zebra: Ermione:

Innanzi tutto, come avrete potuto capire, l’autore di questa commedia è un pretenzioso imbecille Un ambizioso inconcludente Un perdigiorno incompetente E se vogliamo andare a ben vedere, tutta la faccenda è insulsa e priva di interesse generale Nondimeno non possiamo non partecipare alla vicenda umana ed esistenziale del povero Carneade... ...a quel suo problema inconsistente o al suo modo inconsistente di porre il problema Ma cosa dite? Cosa state dicendo? Vi ricordo che il problema è l’inconsistenza. Sostantivo. Non un qualche aggettivo da appiccicare a qualche cosa quà e là. E vi ricordo che io sono stata l’unica ad aver proposto qualche soluzione

Ermione proferisce questa frase spogliandosi. Poi, raccogliendo una frusta, minaccia tutti i personaggi che, escluso Carneade, si raggruppano tutti in un angolo come galline spaventate; Ermione li incaza con la frusta e tutti corrono raggruppati rifugiandosi negli angoli in modo compatto. Il Capitano fa da scudo al gruppo, proteggendolo con le braccia

Capitano:

Cosa intendi, donna?

Ermione, sconsolata, lascia cadere le braccia, lascia cadere la frusta, e torna a raccogliere lo scossalone. Mentre cammina, scuote la testa e borbotta:

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Ermione:

Roba da pazzi. C’è da non crederci...

Poi, indossato lo scossalone, butta le scarpe col tacco, indossa due ciabatte, si infila un paio di occhiali assai poco attraenti

Ermione: Intendo, caro Capitano, che come al solito sono stata io a farmi carico dell’intera faccenda: a fare del sarcasmo quando la vostra discussione diventava troppo idiota, e quindi facendo in modo che la gente non se ne andasse. Sono stata io a rincuorare Carneade quando le sue sofferenze diventavano insopportabili, a cercare di condividere i rari momenti di intensità che traspaiono veletamente... molto velatamente, in questa commedia demenziale. E per avere un po’ d’ascolto ho dovuto come al solito fingere di prostituirmi. Ma neppure quando le donne diventano puttane riescono a far ragionare meglio un uomo. Possibile che nessuno di voi si sia chiesto di che natura è il problema? Possibile che nessuno si sia chiesto se c’è un altro modo di porre la domanda? Carneade, (come uscito dall’uovo): Quale domanda? Quelli del Coro, straziati, si mettono le mani nei capelli

Coro:

Oh, no! Oh mio Dio!

Ermione, prende per mano Carneade e lo accompagna verso la ribalta. Carneade ha mantenuto sempre il colore dell’impiccato, e per di più ha un’ aria assonata, quasi ebete

Ermione:

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Ecco, vedete? Niente più domande, niente più problemi. Guardate che bella faccia rilassata... ... intelligente, intraprendente!


Carneade:

Volevo adoperare tutto il mio senso per attingere al mondo sconosciuto trarre da vite insegnamenti da mali guarigioni dal mio piagnucolare aiuto per altri invece sono rimasto qui a portare probabilmente la mia dose di significazione senza poter mettervi mano.

poi, esita, sembra aver dimenticato la battuta

Ermione: ...ma un istante prima della verità... Carneade (come ricordando una lezione imparata a memoria): Ma un’istante prima della verità piccoli deflussi di materia arcaici presagi di terrestre dualità insidiano per l’ultima volta la memoria d’un tempo retrattile affrancato sulle contingenze. Lontani dai fenomeni e forse sordi alla carne animi di variegata luce mi sovrastano e tutto il mondo si contrae annientato da tanta benevolenza. A partire da siderali silenzi latebre infinite dell’essere senza turba né pace, ho provato a risalire la corrente.  (fa una breve pausa meditativa)

Come avvoltoi annegati galleggiamo nel fiume dell’eternità inzaccherati da inconciliabili tormenti e stolte similitudini e zavorre che sostengono zavorre

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e sapide tiepidità di acqua marcia: è il brodo biologico dei lamenti nostrani. Anche se ... a volte, nell’incredulità del torpore il vuoto che prima si squarciava sotto i nostri piedi si apre ai nostri occhi e palpita di senso come una madre. Uccide allora le potenze della distrazione si assesta sempiterno tra le rocce avvicina i discepoli e concilia le vuote parole i soffi i sussurri delle morti infantili placa l’inquieto mormorare della gente espandendosi e contraendosi. “Questo é lo spirito vivente: forma il pieno dal vuoto, rende esistente il non esistente, scolpisce i grandi pilastri con la luce inafferrabile”.* Coro: Inafferrabile! Carneade: Milioni di colpevoli potrebbero essere perdonati milioni di nemici potrebbero riconciliarsi infinite folle di fuggiaschi potrebbero ritornare gli avvoltoi potrebbero tornare dall’Ade risalendo il percorso dell’acqua e far tacere il muto brontolio degli uomini e delle donne. Basterebbe volgere lo sguardo altrove e invece.....adesso..... la vita mi appare in tutta la sua... Ermione tacita Carneade mettendogli la mano sulla bocca prima che finisca la frase

Ermione (rivolta al Capitano): Chiedo pietà per quest’uomo 282


Capitano: Questo non è un processo Uno del Coro: purtroppo! Ermione: D’altra parte, ha già avuto la sua sentenza: è morto! Zebra: D’altra parte... se l’è comminata da solo! Ermione: Chiedevo solo un po’ di considerazione per questo povero diavolo Capitano: Ma se non abbiamo fatto altro che occuparci di lui! Ermione: Non è vero! Volevate solo capire se aveva torto o se aveva ragione Capitano: Ha! Chi sei tu, donna, per decretare cosa volevamo o non volevamo capire? Coro: Già, come ti permetti? Ermione: A parte il fatto che sarei l’altra metà del cielo, vorrei segnalare che eravate proprio voi, Capitano, a voler cercare la verità, ma forse... in realtà eravate interessato all’inconsistenza Carneade: Eh? Ermione: Ma guardatelo! ... Come potete ancora infierire su questo povero derelitto? Capitano: Non abbiamo risolto un grave problema: Carneade dice di vedere la vita nella sua inconsistenza. Vuol dire che c’è qualcosa di consistente oltre la vita? Uno del Coro: Beh, per questo non cè che da chiederglielo! Capitano: Già, Carneade, la prego, ce lo dica: Adesso che lei è... ehm.... morto, lì dove si trova, l’ambiente comè? Più consistente? Ermione: Basta! Questo è troppo! Cerchiamo almeno di limitare il supplizio, anche per rispetto del pubblico

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Capitano: Però non si può aprire una scatola di sardine standoci dentro Carneade: Noi siamo le sardine e la scatola. Non ci sono limiti che non siano rappresentati da noi stessi, non esistono orizzonti imperscrutabili o altra ferramenta del genere. Quindi siamo liberi. Ma solo all’interno della scatola. Ermione (ammirata): Come parli bene, caro Capitano: Sì, però elude la domanda Ermione: E’ morto, non può rispondere Carneade: ...ho atteso invano che antiche ombre e nuove luci Coro: No, sono antiche luci e nuove ombre Carneade: ho atteso invano che luci e ombre si miscelassero nel darmi una risposta, e la risposta è chiaroscuro, infatti. Ciò che appare, è cio che è? E quando, a forza di guardare, ciò che guardiamo diviene inconsistente, significa che finalmente la realtà si disvela, oppure significa che l’abbiamo consumata con l’atto del guardare, e proprio mentre non guardiamo tutto diventa consistente? Zebra: Ancora si strugge! Cane: ... e si divincola! Zebra: eppure, dal nostro escursus si evince chiaramente che niente è vero e tutto è possibile! Coro: Bella, questa! E soprattutto nuova Zebra: Cari amici, credetemi sulla parola: la realtà diventa ciò che noi descriviamo, siamo quello che pensiamo. Ci sono ormai in giro un sacco di luoghi comuni

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che testimoniano quanto questo concetto sia ormai accreditato. Siamo dei fabbbricatori di realtà, ecco qua. Cane: Avete ragione, caro architetto. Nondimeno occorre sottolineare che è tutto vero solo se ci consideriamo fallaci. Potrà accadere a un Capitano, a un architetto, ma questo è un lusso che noi scienziati non possiamo permetterci. Certo, non posso negare che anche noi si abbia dei dubbi, ma coltivare il dubbio come esercizio... .... andiamo! Signori, vi prego, ditemi che abbiamo scherzato. Finchè si tratta di pure speculazioni filosofiche, di dibattiti da salotto... ma se vogliamo tirar le cuoia... ehm... se vogliamo tirar le fila di questa faccenda non potete non convenire con me che i nostri sensi e la nostra intelligenza ci forniscono tutti i dati di realtà di cui abbiamo bisogno. Il resto, cari amici, può esser puro divertimento, come lo era per questo pover’uomo (addita Carneade) sul quale non mi è difficile formulare una diagnosi: è morto. E la causa del decesso è: fine della vita. Non c’è altro da aggiungere. Zebra (dopo una lunga pausa): ...effettivamente... Capitano (perplesso): Beh... allora...se il Professore dice che... Ermione (interrompendolo): Capitano, la prego, non ci lasci andar via così. Non possiamo liquidare la faccenda così facilmente. Non sono interessata agli aspetti teorici, ma al destino di quell’uomo Cane (sarcasticamente contrito): Che vicenda dolorosa!

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Zebra: Ermione:

Carneade è giunto morto all’appuntamento con se stesso Oppure vi è giunto vivo ed ha trovato se stesso morto! Signori vi scongiuro! Non potete trasformare questa fine in una pura dissertazione. Non vi commuove l’ultimo anelito di un essere? Non vi coinvolge il suo sforzo di guardare? Non vi desta compassione il suo trovare il tutto inconsistente? Beh, si vede, che questa commedia l’ha scritta un uomo. Lo si vede anche da quello che vado a fare.

Datemi ancora cinque minuti, e se c’è ancora un ultimo anelito di vita in quell’uomo, vedrete che lo risveglierò.

(prosegue spogliandosi)

Ermione si alza, prende Carneade per mano e lo conduce dietro un paravento, attraverso il quale sono visibili i molteplici sforzi in cui la donna si prodiga per risvegliarlo. Carneade è steso e Ermione è china su di lui. La scena potrebbe essere accompagnata da una musica. Tutti attendono trepidanti, tranne Cane che ha un’aria di sufficienza, come se sapesse già l’esito.

Ermione (da dietro il paravento): Lo confermo: E’ morto. Zebra: Si potrebbe intitolargli una strada Cane: Potrebbe servire per una statistica Zebra: Potrebbe essere il soggetto di un film Cane: Potrebbe donare gli organi Zebra: Potrebbe lasciare un ricordo Cane: Un’eredità, Una certezza Capitano: E invece, di lui resta solo...un bicchiere di gelato E fra poco, neppure più quello. Ah, infausto destino, ah tragico limite dell’umana insipienza. Questa sera ci reca una buia pace,

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e il sole, in segno di lutto, non ricomparirà fino a domattina. Mai una storia è stata di tanto dolore come questa di Carneade... e del suo Carneade.

Escono. Dietro il paravento si intravede Ermione piangente, con un velo sul capo, chinata sulla salma. Sipario.

fine

*la citazione è tratta dallo Sepher Yetziré

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