Sfoglio 180

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Il Benetton non passa a Tolone ma rimane la bandiera del nostro rugby di club: semifinale record in Challenge Cup e prestazioni in crescita nello Urc SEI NAZIONI DONNE Le Azzurre ci riprovano ma scontano i limiti del movimento italiano PLAY OFF TOP10 Il punto sulle quattro contendenti RUGBY200 1823-2023 180 Maggio 2023 ALLRUGBY RIVISTA MENSILE Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale –70% AUT. N° 070028 del 28/02/2007 DCB Modena . Prima immissione 01/02/2007 www.allrugby.it
TREVISO ITALIA

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La sconfitta, a zero, del Benetton a Tolone (in 15 vs 14, per quasi tutta la partita…) ha chiuso una stagione internazionale di complessivo discontento per il rugby italiano. Zero vittorie della Nazionale nel Sei Nazioni (pure in crescita di gioco e competitività), zero delle Zebre, una sola delle ragazze dopo il Mondiale, due dell’U20, gruppo promettente da diverse stagioni.

Tuttavia va detto onestamente: meno male che Treviso c’è. I tredici successi della formazione di Marco Bortolami rappresentano circa il 60% di tutte le vittorie conquistate dall’Italia (seniores + U20) nell’arco degli ultimi otto mesi.

E gli oltre quarantamila spettatori del Monigo, tra Challenge Cup e Urc, a loro volta, costituiscono, mal contati, un settimo di tutti gli spettatori della stagione domestica, compresi quelli del Top10.

Dunque Benetton. Che alla Nazionale ha dato in media ogni partita 15 giocatori dei 23 messi a referto nei test autunnali e nel Sei Nazioni. La cosa ovviamente ha avuto un prezzo: nello URC, Treviso ha perso alcune partite che non avrebbe dovuto perdere, precludendosi di fatto la possibilità di arrivare ai play off. Viceversa ha raggiunto le semifinali di Challenge Cup, un traguardo che nessuna squadra italiana aveva mai raggiunto prima.

Benetton in questo momento è l’Italia. Ha un progetto, ha stabilità, competenze e strutture. Ma avere un’altra franchigia che possa supportare la Nazionale per formare i giocatori per l’alto livello è una necessità da cui il movimento italiano non può prescindere. Della situazione delle Zebre, si parla all’intero di questo numero di Allrugby, senza entrare peraltro nel tema economico, la cui dimensione è spropositata per i risultati raggiunti, non solo da punto di vista agonistico, ma sul piano tecnico e formativo.

I buoni risultati della Nazionale U20 e la vittoria incoraggiante della U18 sul Galles al Six Nations Festival disputato a Dublino dicono che è urgente trovare un percorso per i giovani.

Al Benetton non si può chiedere di cantare e portare la croce, ovvero vincere, riempire le tribune, nobilitare l’audience televisiva e nel contempo formare anche i giovani. Cosa che alla Ghirada (Menoncello, Ale Garbisi, Lucchesi, Zuliani) riescono comunque a fare meglio che altrove. Urge un intervento serio sul Top10. Nella penultima giornata di campionato, lo scorso 15 aprile, circa un terzo del 230 giocatori messi a referto dai 10 club impegnati nel torneo proveniva da un paese straniero. Vuol dire che la nostra famosa “base” non produce talenti a sufficienza per alimentare un’Eccellenza a dieci squadre. Nella quale con difficoltà trovano posto gli Azzurri U20, molti dei quali giocano in Serie A, o per niente.

Nel contempo i club faticano a trovare i mezzi per il loro sostentamento: nulli gli incassi da botteghino, inesistenti i diritti televisivi. Un testacoda drammatico che ogni anno perde un pezzo, o quasi: soltanto nelle ultime stagioni, San Donà, Firenze, ora Calvisano. Si può dire che alcune di queste realtà non abbiano compiuto scelte oculate, che l’ambizione abbia travalicato i mezzi e le possibilità di ciascuno. Resta il fatto che il rugby vive di elargizioni individuali, mecenatismo, passione. Non solo in Italia si intende. Ma altrove restituisce almeno visibilità, entusiasmo, riconoscenza, reputazione.

Se il rugby nascesse oggi Italia, anziché il nome della cittadina dello Warwickshire, a cui vengono fatte risalire le sue origini, porterebbe quello di treviso (con la minuscola) o addirittura di benetton (idem). Ma agganciati alla locomotiva, per fare un treno, servono i vagoni. Servono un percorso chiaro e stazioni.

Gianluca Barca

direttore responsabile

Gianluca Barca gianluca.barca@allrugby.it

photo editor

Daniele Resini danieleresini64@gmail.com

redazione

Giacomo Bagnasco, Federico Meda, Stefano Semeraro. Collaboratori

Danny Arati, Felice Alborghetti, Alessio Argentieri, Sergio Bianco, Simone Battaggia, Enrico Capello, Alessandro

Cecioni, Giorgio Cimbrico, Andrea Di Giandomenico, Mario Diani, Diego Forti, Andrea Fusco, Gianluca Galzerano, Christian Marchetti, Norberto “Cacho” Mastrocola, Paolo Mulazzi, Iain R. Morrison, Andrea Passerini, Luciano Ravagnani, Roberto “Willy” Roversi Marco Terrestri, Maurizio Vancini, Valerio Vecchiarelli, Giancarlo Volpato, Francesco Volpe.

fotografie

In copertina, Michele Lamaro saluta il pubblico a fine match. (foto Daniele Resini/Fotosportit). Nel riquadro, Alyssa d’Incà con Veronica Madia in sostegno (Getty Images)

Fotosportit

Roberto Bregani, pag. 22, 29, 31b, 41; John Dickson pagg. 32, 33, 35a, 69; Gareth Everett pag. 10b; David Gibson, pagg. 11b, 13, 18, 24, 36b, 37a; Daniele Resini, pagg. 10a, 20, 21, 26, 27, 28, 30, 31a, 42, 47, 62b-c, 63.

Getty Images

Jane Barlow, pag. 36a; Ramsey Cardy, pag. 35b; Emmanuele Ciancaglini, pag. 9; Seb Daly, pag. 71; Alex Davidson, pag. 11a; Paul Ellis, pag. 55; Federugby, pag. 16, 12a; Keystone-France, pag. 58; Catherine Ivill pag. 15; Brendan Moran, pagg. 34, 37b; Dan Mullan, pagg. 12b, 49; Harry Murphy pag. 28; Valerio Pennicino pag. 4.

Altri crediti

Giorgio Achilli, pag. 40; Angelica Agosta, pagg. 50, 51; Bpe Foto, pag. 38; Daniel Cau, pagg. 44, 45, 46; Vito Ravo, pag. 43.

L’editore è a disposizione degli aventi diritto, con i quali non gli sia stato possibile comunicare, per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti dei brani e delle fotografie.

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Alemanno
Matteo

FLASH

L’ultimo break di Sara

Al Lanfranchi di Parma, Sara Barattin ha disputato contro il Galles la sua ultima partita con la maglia dell’Italia. 116 cap, una carriera in Azzurro durata 18 anni, dall’esordio contro la Germania, ad aprile 2005 a Amburgo, al Sei Nazioni 2023, in cui ha disputato tutte e cinque le partite del torneo.

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FLASH Inarrestabili

Matteo Minozzi (a destra) e Tomas Albornoz cercano di fermare il centro Duncan Paia’aua nella semifinale di Challenge Cup tra Tolone e Benetton disputata allo stadio Felix Mayol lo scorso 30 aprile. Innescato da uno splendido assist al piede di Sergio Parisse, Paia’aua ha messo a segno la prima meta di un match dominato dai francesi, 23-0, nonostante oltre settanta minuti di inferiorità numerica per l’espulsione (cartellino rosso) del numero sette transalpino Charles Ollivon al sesto minuto del primo tempo.

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numero centoottanta

SEI NAZIONI DONNE 2023

Pag.8 Italia, un passo indietro

Galles terza forza dietro Inghilterra e Francia

Pag.10 Il racconto del Torneo

Mario Diani racconta le 15 partite, il Grande Slam dell’Inghilterra, i tormenti dell’Italia.

SEI NAZIONI U20

Pag.16 A suon di jazz

Massimo Brunello confessa a Gianluca Barca sogni e ambizioni di un coach sulla cresta dell’onda da diverse stagioni.

UNITED RUGBY CHAMPIONSHIP

Pag.24 Attraversare sulle Zebre

Dieci anni dopo, le Zebre tornano a chiudere la stagione senza neppure una vittoria. Urge prendere una direzione chiara. Di Gianluca Barca.

Pag.32 Verde Irlanda

Walter Pozzebon analizza il gioco dei trequarti irlandesi e il ruolo di Garry Ringrose negli equilibri della squadra.

180 SOMMARIO

CAMPIONATO TOP 10

Pag.38 I verdetti del Top10

Più competizione, meno mete. La regular season proietta quattro squadre alle semifinali.

Pag.40 Quattro ai play off

Gianluca Guidi analizza la quattro candidate al titolo, i “più” e i “meno” di ciascuna squadra.

DINASTIE

Pag.44 Ritratto di famiglia

Piero e Thomas Dominguez raccontano a Andrea Fusco la loro storia di rugbisti “predestinati”. Papà Diego li incoraggia dall’Argentina.

Pag.48 Di Farrell in Farrell

Il rugby è sempre stato un affare di famiglia - scrive Giorgio Cimbrico -. Più raramente però su fronti opposti.

Pag.50 Pari o dispari

Alessandro Cecioni analizza pregi e difetti del ritorno nei campionati giovanili alle categorie di età basate sugli anni pari.

Pag.52 Le isole del tesoro

In mezzo al Pacifico, lontano da tutti e tutto, c’è una delle fucine di talenti più suggestive del rugby francese. Di Giorgio Cimbrico

RUGBY PRESS

Pag.56 Articolo 21

Luciano Ravagnani ripercorre settant’anni di giornalismo ovale in Italia. Tanti nomi, tante testate, trasferte, passione.

IN MEMORIA

Pag.64 In ricordo di Ennio Ponzi

A settantadue anni è scomparso Ennio Ponzi. Lo ricordano i compagni di squadra Fulvio Di Carlo, Massimo Mascioletti, Serafino Ghizzoni, Giorgio Morelli.

RUBRICHE

Pag.69 Lo spazio tecnico di Andrea Di Giandomenico

Pag.70 Un altro sguardo di Simone Battaggia

Pag.71 Mani in ruck di Maurizio Vancini

Pag.72 West end di Giorgio Cimbrico

SEI NAZIONI

Italia, un passo

Per l’Inghilterra ennesimo trionfo, cresce il Galles, la Francia regge il confronto con le inglesi. di Giacomo Bagnasco

Un quinto posto finale, come l’anno scorso, ma la qualità non è la stessa. Perché 12 mesi fa il piazzamento è arrivato dopo avere vinto due partite (contro il solitario successo sull’Irlanda del Sei Nazioni 2023) e perché le Azzurre ci avevano abituati a finali in crescendo, mentre stavolta il livello si è abbassato con l’andare delle giornate. Tanto è vero che la migliore prestazione delle ragazze del nuovo ct Nanni Raineri è stata quella del match di apertura, perso 22-12 contro una Francia che si è ampiamente confermata seconda forza europea.

Certo, per il quarto posto sarebbe bastato non incappare nella giornata meno brillante proprio in casa della Scozia, che non ci batteva dal 2017 e che, anche grazie al successo sul fanalino di turno Irlanda, ci ha superato in classifica e ha conquistato direttamente l’accesso alla seconda fascia della nuova competizione internazionale femminile, denominata WXV, mentre l’Italia potrà arrivarci solo se batterà in uno spareggio la Spagna, che ha vinto lo European Championship.

Resta il fatto che il numero di errori, anche banali, commessi dalle Azzurre durante il torneo è stato eccessivo e che la mischia ha sofferto in maniera evidente. Qui entrano in gioco pure l’indisponibilità di Arrighetti (già preventivata) e gli ulteriori infortuni nella fase iniziale del Sei Nazioni capitati a Sgorbini, Turani e Giordano. Quest’ultima, in particolare, era stata fino alla stagione scorsa uno dei due “poli” su cui si reg-

geva principalmente il buon rendimento della touche: lei comandava le giocate e Melissa Bettoni, che si è ritirata, metteva tutta la sua esperienza e la sua accuratezza nei lanci. Evidentemente il movimento, ora come ora, non può contare su una profondità tale da sopperire a un certo numero di defezioni. Si tratta sicuramente di continuare a lavorare su tutti gli aspetti del gioco, ma è anche vero che sotto il profilo tecnico il Galles sembra avere effettuato un sorpasso piuttosto deciso nei nostri confronti, non solo in termini di “fisicità”. Quel requisito che permette all’Inghilterra di staccarsi dalle altre, arrivando - tra l’altro - a conquistare il quinto torneo consecutivo con una striscia di sole vittorie.

Per fortuna che c’è la Francia, capace di mettere il pepe su una partita decisiva nella quale, fino al 40’, sembrava destinata a un massacro storico davanti ai quasi 60mila spettatori di Twickenham. Il risultato finale (38-33) è la prova di un confronto credibile, quello a cui non possono mai aspirare Italia, Galles, Scozia e Irlanda quando si trovano di fronte alle inglesi. Obiettivamente, questo è un grave problema: se il Sei Nazioni maschile deve molto del suo fascino ai cambiamenti di leadership che si verificano quasi ogni anno, il torneo al femminile ha troppe partite dall’esito scontato e, “al massimo”, solo due reali aspiranti alla vittoria. E all’orizzonte non si vedono possibilità di invertire la tendenza.

Squadra Vinte Perse Punti fatti Punti subiti Mete fatte Mete subite Punteggio 1 Inghilterra 5 0 271 48 45 7 28 2 Francia 4 1 202 67 32 10 21 3 Galles 3 2 118 135 17 20 15 4 Scozia 2 3 94 178 15 28 10 5 Italia 1 4 72 162 10 26 4 6 Irlanda 0 5 25 192 3 31 8

DONNE 2023 indietro

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Aura Muzzo in azione contro il Galles, a Parma, nell’ultima giornata del Sei Nazioni 2023.

Il racconto del

Prima giornata

Sabato 25 e domenica 26 marzo

Italia v Francia 12-22

Italia 2 mete (Franco, D’Incà), 1 tr (Sillari) Francia 3 mete (Verneir, Arbez, Boujard), 2 tr (Bourdon, Tremouliere), cp (Bourdon)

Cartellini Boujard (giallo)

Arbitra Cogger Orr (NZ)

L’Italia esordisce nel torneo schierando, contro una Francia fortemente rinnovata, una formazione di grande esperienza (oltre a Bettoni, Furlan e Magatti ritiratesi dalla scena internazionale, mancano soltanto, rispetto alla squadra del Mondiale, le infortunate Arrighetti e Veronese). Un’ottima prestazione al breakdown e la capacità di vincere le collisioni tengono l’Italia in partita sino alla fine. La Francia si stacca definitivamente soltanto al 74’ quando una meta trasformata fissa il punteggio sul 22-12. La partita evidenzia alcuni tratti che rimarranno costanti nel corso del torneo: in positivo, una notevole prestazione difensiva (88% di placcaggi riusciti) che priva la Francia del punto di bonus offensivo; in negativo, una grande difficoltà ad assicurarsi possessi di qualità in touche e in mischia chiusa, accentuata dal nubifragio scatenatosi su Parma nel secondo tempo. Rimane alla fine la sensazione che con una conquista di decente qualità la partita avrebbe potuto avere un esito molto diverso

Galles v Irlanda 31-5

Inghilterra v Scozia 58 -7

Negli altri incontri, un’Inghilterra con molte assenze tra infortuni, gravidanze e (rari) pensionamenti, saluta la sua leggendaria capitana Sarah Hunter con l’usuale nettissimo successo contro la Scozia. Scozia che peraltro mostra buone capacità di utilizzare i limitati possessi a disposizione, marcando una pregevole meta con l’estremo Chloe Rollie a fine gara e rendendosi più volte pericolosa.

A Cardiff il Galles supera nettamente l’Irlanda, grazie al dominio totale delle avanti soprattutto nella prima frazione, raggiungendo il bonus offensivo in meno di mezz’ora. La reazione irlandese porta a una segnatura nella ripresa ma non cancella l’impressione di una preoccupante sterilità offensiva delle ragazze in maglia verde.

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Dall’alto: un break di Francesca Sgorbini; l’urlo di Alex Callender per la prima meta del match tra Galles e Irlanda all’Arms Park di Cardiff.

Torneo

Seconda giornata

Sabato 1 e domenica 2 aprile

Inghilterra v Italia 68-5

Inghilterra 12 mete (Dow 4, Breach 3, McDonald 2, Packer 2. Heard), 4 tr (Aitchinson, Tuima, 2 Sing). Italia una meta (Tounesi)

Arbitra Roche (Usa)

A Northampton, l’Italia viene sottoposta all’usuale calvario contro la potentissima In ghilterra (5-68) ma la cronaca registra perlomeno la meta, segnata da Sara Tounesi, con cui si rompe un digiuno di cinque anni - l’ultima azzurra a varcare la linea bianca contro le inglesi era stata un’altra seconda linea, Valentina Ruzza, a Reggio Emilia nel 2018. Spesso accusata di dipendere in maniera monocorde dalla propria incontenibile rolling maul, l’Inghilterra risponde alla grande segnando dieci mete (sulle dodici complessive) con le trequarti. Tra queste si inserisce spesso con esiti devastanti il pilone Sarah Bern, che fornirà in questo torneo una perfetta illustrazione delle caratteristiche del pilone moderno: mobile e dotato di una tecnica degna delle linee arretrate.

L’Italia si batte come sempre al massimo, sviluppa di tanto in tanto manovre di pregevole fattura, ma la combinazione di tecnica e potenza fisica della squadra inglese si rivela ancora una volta irraggiungibile per le nostre ragazze.

Irlanda v Francia 3-53

Scozia v Galles 22 -34

A Cork, invece, la Francia demo lisce l’Irlanda 53-3, nonostante le transalpine giochino per un’ora in 14 a causa dell’espulsione del pilone Deshayes al 20’.

Colpisce che sei delle otto mete francesi siano arrivate dopo quell’episodio e che la mischia irlandese non sia riuscita minimamente ad imporsi contro un avversario in inferiorità numerica.

Infine, la Scozia lotta, rimane in partita sino a pochi minuti dalla fine, per poi cedere (22-34) alla fisicità del Galles.

La differenza la fanno le percussioni delle avanti che producono due mete a testa per i piloni Pyrs e Tuipolutu. Quest’ultima, diciannovenne, con la seconda nomina a player of the match si afferma come una delle stelle emergenti del torneo.

SEI NAZIONI DONNE 2023
Dall’alto: Vittoria Vecchini placcata da due inglesi al Franklin’s Garden di Northampton; una delle cinque mete del Galles alla Scozia, a Edimburgo.
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Terza giornata

Sabato 15 e domenica 16 aprile

Italia v Irlanda 24-7

Italia 3 mete (Stefan, 2 D’Incà), 3 tr (Sillari), un cp (Sillari).

Irlanda una meta di punizione

Arbitra Groizeleau (Fra)

L’Italia ottiene un dei rari successi contro l’Irlanda alternando giocate di altissima qualità - che portano alle mete di Stefan nel primo tempo e alle due di D’Incà nel secondo - a momenti di notevole sofferenza.

Se colpisce la grandissima solidità difensiva, con 94% di placcaggi riusciti (202 su 216), qualche preoccupazione deriva dal grande possesso concesso all’Irlanda (circa il 65%) e la persistente inaffidabilità della rimessa laterale. In questo caso, una touche irlandese altrettanto imprecisa e l’estrema affidabilità di Sillari dalla piazzola (4/4) sono sufficienti a portare a casa l’incontro.

Rimane il rammarico per non aver ottenuto un punto di bonus offensivo che sembrava alla portata, ma il bilancio, pur con luci e ombre, è senz’altro positivo.

Galles v Inghilterra 3-59

Francia v Scozia 55-0

Sugli a ltri campi si sviluppano due partite dal percorso identico, con la squadra favorita che fatica nel primo tempo (marcando comunque tre mete senza subirne alcuna) per poi dilagare nella ripresa con altre sei segnature. A Cardiff di fronte ad una folla record che sfiora le 9,000 presenze l’Inghilterra infligge al Galles una sconfitta pesante (59-3), vicina a quelle del passato, che però forse occulta la qualità della performance del pacchetto gallese nel primo tempo.

Anche a Vannes la Scozia mette in mostra buone trame di gioco nei primi 20 minuti ma si scioglie alla distanza. Da sottolineare in entrambe le partite il ruolo centrale dei trequarti nel finalizzare le azioni (in particolare Boulard e Vernier per la Francia, e la solita Abby Dow per l’Inghilterra).

Nel complesso la giornata suggerisce un “cauto ottimismo” circa le nostre prospettive nel torneo. Non andrà esattamente così purtroppo….

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Dall’alto: Alyssa D’Incà protagonista del match contro l’Irlanda al Lanfranchi di Parma; una devastante percussione di Sarah Beckett sulle gallesi Hannah e Kelsey Jones (a destra).

Quarta giornata

Sabato 22 e domenica 23 aprile

Scozia v Italia 29-21

Scozia 5 mete (Mc Millan, Skeldon 2, Bartlett 2), 2 tr (Nelson)

Italia 3 mete (Franco, Tounesi, Vecchini), 3 tr (Sillari)

Cartellini Duca (giallo), Seye (rosso)

Arbitra Groizeleau (Fra)

Il quarto turno riserva numerose sorprese. La più grossa riguarda purtroppo l’Italia, che a Edimburgo perde malamente una partita che era ampiamente alla sua portata. Un numero altissimo di in-avanti e alcuni falli scriteriati nei momenti più delicati permettono alla Scozia di restare a lungo nei nostri 22 innescando la sua migliore (e per certi versi unica) arma, la driving maul da rimessa laterale. Da questa originano, direttamente o indirettamente, tutte e cinque le mete delle nostre avversarie. Il ritorno imperioso delle Azzurre nel secondo tempo, quando due segnature in quattro minuti ci riportano sul 21-24, sembra riaprire la partita, ma viene vanificato subito con l’espulsione di Seye, che sigilla un pomeriggio da dimenticare. Preoccupano in particolare le difficoltà nelle fasi statiche contro un avversario ordinato e come sempre combattivo ma non trascendentale.

Irlanda v Inghilterra o-48

Francia v Galles 39-14

Le sorprese degli altri incontri non riguardano il risultato ma il modo in cui è maturato. A Cork l’Inghilterra fatica di più e segna meno del previsto contro un’Irlanda molto concentrata in difesa, anche se con i consueti limiti in attacco e in rimessa laterale. Finisce comunque 48-0 per le bianche, con otto mete all’attivo ma anche insolitamente a secco per un’intera mezz’ora. Di segno opposto la sorpresa a Grenoble, dove la Francia distrugge il Galles con maggiore facilità di quanto alcuni si aspettassero grazie a una prestazione maestosa nel primo tempo (29-0 con tanto di punto di bonus offensivo). Il nubifragio che colpisce lo Stade des Alpes rivitalizza le gallesi che nella ripresa segnano due mete al pari delle francesi, ma vedono rinviate al match con l’Italia le loro ambizioni di affermarsi come terza forza del torneo.

SEI NAZIONI DONNE 2023
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Sara Tounesi contende palla in touche a Louise McMillan, al Dam Health Stadium di Edimburgo contro la Scozia.

Quinta giornata

Sabato 29 aprile

Italia v Galles 10-36

Italia una meta (Madia), una tr. (Sillari), un cp (Sillari).

Galles 5 mete (Lewis, Tuipulotu, Harries, Callender, Lake), 4 tr (Bevan 3, Snowsill), un cp (Beven).

Arbitra Neville (Irl)

Nel giorno dell’addio di Sara Barattin, le Azzurre cedono nella ripresa contro un Galles ordinato, molto dinamico nei raggruppamenti e preciso al piede, ma non trascendentale nel gioco complessivo. La partita offre una sintesi di tutti i problemi che la squadra di Nanni Raineri ha evidenziato in questo Sei Nazioni: un possesso incerto e raramente in grado di offrire una piattaforma su cui impostare l’attacco, e molti errori di gestione (alla mano e al piede) che hanno affossato le manovre anche di pregio che le Azzurre sono riuscite a proporre. L’Italia ha dei momenti di qualità nel secondo quarto di gara e nel finale di partita ma non bastano a evitare un pesante passivo ed in maniera un po’ triste un 6 Nazioni da cui ci si aspettava onestamente qualcosa di più.

Inghilterra v Francia 38-33

Scozia v Irlanda 36-10

Nel primo incontro della giornata, oltre 50,000 persone assistono a Twickenham a un incredibile “game of two halves”. Le inglesi chiudono sul 33-0 il primo tempo (mete di Dow, Packer, Matthews e Aldcroft, più una meta di punizione), ma subiscono nel secondo un parziale di 5-33. Le francesi pagano pesantemente il crollo del secondo quarto di gara in cui, complici anche due cartellini gialli (Tremouliere e Bernadou), concedono cinque mete dopo aver portato quasi venti minuti di sterile pressione all’inizio del match. Nella ripresa invece, soltanto la solita meta da rolling maul (segnata al 59’ da Davies) permette alle Red Roses di portare a casa ancora una volta il risultato pieno.

Il Sei Nazioni si chiude con la Scozia che conferma il suo buon momento regolando alla distanza l’Irlanda. Le verdi conducono per larga parte del primo tempo grazie ad un solitario penalty, si riportano in parità al 55’ (10-10) ma poi cedono concedendo quattro segnature negli ultimi 20 minuti. Il quarto posto della Scozia rappresenta il miglior piazzamento dal 2017, mentre rimane il dubbio su quanto abbia contribuito al cucchiaio dell’Irlanda la rigida separazione tra 15 e 7 che ha tolto alle verdi l’intera linea arretrata.

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SEI NAZIONI DONNE 2023 15

A suon di jazz

Vicino ai 56 anni, Massimo Brunello sogna un ulteriore passo avanti nella sua carriera di allenatore. Facendo il punto sui risultati raggiunti, i tanti giocatori tenuti a battesimo, la passione, le ambizioni.

di Gianluca Barca

Competenza, passione, empatia. Ecco le tre caratteristiche principali di un buon allenatore secondo Massimo Brunello, il tecnico che da tre anni porta la Nazionale U20 a traguardi mai raggiunti prima. Brunello a giugno compirà 56 anni. A quell’età molti suoi colleghi hanno raggiunto il vertice già da un bel po’ di stagioni: Greg Townsend aveva 44 anni quando, nel 2017, prese la guida della Scozia, Andy Farrell a 37 era assistente di Lancaster in Inghilterra e a 45 head coach dell’Irlanda (che dall’estate 2022 ha portato al primo posto del ranking), Fabien Galthié comanda la Francia da quando ne ha 51. Massimo a 46 anni allenava ancora l’Italia U18, dopo aver portato il Badia dalla serie B alla A2 e il Rovigo alle semifinali del campionato nel 2009. La sua gavetta gli ha riservato anche sei stagioni tra le Nazionali U20, U17 e U18, prima dell’approdo a Calvisano, nel 2015, quattro finali e due scudetti. “Credo di aver scarpinato e dato tanto - riflette -. Nessuno mi ha regalato niente, ho passato cinque anni nelle accademie zonali di Mogliano e Rovigo, e questo mi ha permesso di conoscere a fondo tanti ragazzi che poi ho ritrovato ai livelli più alti nel corso della mia carriera. Tuttavia mi ritengo un privilegiato perché i veri sacrifici, nel rugby, li fanno altri: quel-

li che la sera, finito di lavorare, vanno ad allenare le giovanili, o le squadre delle serie inferiori, quelli che mettono il loro tempo libero a disposizione per preparare il campo o organizzare una trasferta. Io lo facevo al Badia. Quando dico che dedico a tutto il movimento i risultati che otteniamo con la U20 è perché ho in mente cosa c’è alla base della piramide che produce i giocatori che poi vediamo nelle varie selezioni, in maglia azzurra e nelle franchigie”. Kieran Crowley dovrebbe reggere il timone della Nazionale fino alla primavera del prossimo anno, per la sua successione si parla di una volata tra Brunello, Marco Bortolami (tredici anni più giovane) e il solito “guru” straniero (ancora da identificare, peraltro), l’uomo della provvidenza sempre necessario per fare da ombrello alle nostre insicurezze e ai nostri patemi.

“Onestamente, non ho ancora valutato quali siano le reali prospettive che mi aspettano nel prossimo futuro - dice Brunello -. Ammetto di avere una certa ambizione e che mi piacerebbe fare un passo avanti ulteriore, dopo la U20. Tornare al Top10 non la considererei una diminuzione di ruolo, però è un percorso che ho già fatto, vorrebbe dire andare a ripercorrere sentieri noti…”.

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Massimo Brunello guida la Nazionale U20 dalla stagione 2020/2021.

Quindi, per salire di grado, non restano che la Nazionale o una franchigia.

“Direi che è così, ma c’è ancora tempo e non mi voglio in alcun modo sbilanciare”.

Torniamo allora alle tre caratteristiche che un buon allenatore deve possedere per essere credibile e fare strada.

“La competenza è fuori discussione - osserva -. È il requisito minimo senza il quale non sei credibile in alcun ruolo. Poi ci vuole empatia. Se non sei in grado di creare con i giocatori il giusto rapporto, se non nasce rispetto reciproco, è difficile lavorare in gruppo tutti insieme. E poi metto la passione, per il gioco, per i suoi valori. Che è la molla che ti spinge a trasmettere agli altri le tue idee, la tua visione”. Brunello in quale ordine si riconosce rispetto a queste tre categorie?

“Il grado di competenza e di empatia è relativo, dipende con chi lo confronti, può essere alto o basso. Qualcuno può essere più competente, o più simpatico di te, qualcuno meno. Io credo di avere sia una certa competenza maturata negli anni, sia di possedere una certa empatia. Quella che in tanti mi riconoscono è una passione contagiosa. Nelle mie squadre sono quasi sempre riuscito a creare una buona armonia, un bell’affiatamento. Poi però se non conosci il gioco o se non hai feeling con i ragazzi è difficile lavorare”.

A Calvisano, che è stata la più vincente delle tue esperienze a livello seniores, nell’arco di quattro anni hai avuto a disposizione giocatori tecnicamente molto diversi, e ne sono scaturite squadre diverse anche come stile di gioco. Il che dimostra una certa tua flessibilità nell’utilizzare le caratteristiche dei ragazzi che hai a disposizione.

Brunello festeggiato dai giocatori dopo il trionfo sulla Scozia, nell’ultima partita del recente Sei Nazioni, quella che ha regalato all’Italia U20 un terzo posto mai raggiunto prima.

“Qualcuno può essere più competente, o più simpatico di te, qualcuno meno. Io credo di avere sia una certa competenza maturata negli anni, sia di possedere una certa empatia. Quella che in tanti mi riconoscono è una passione contagiosa.”
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“Quella con cui vincemmo lo scudetto del 2017 era una squadra forte in tanti ruoli, aveva gente come Novillo, Minozzi, Paz che ci permetteva di fare un gioco in velocità. Due anni dopo, nel 2019, era un gruppo più solido, con Pescetto all’apertura, la cui precisione dalla piazzola fu fondamentale, trequarti di peso come Mazza, Lucchin, Garrido-Panceyra, un pilone come Fischetti, Vunisa. Rovigo, nel 2008 e 2009, era una vera e propria multinazionale, con sudafricani, argentini, neozelandesi, giocatori molto diversi per origini e per cultura. Ma devo dire che un aiuto fondamentale nella mia formazione di tecnico è venuta dagli anni nelle accademie: ragazzi di 17 anni che lasciavano casa e le famiglie per il rugby, studiavano e ti mettevano davanti i loro problemi adolescenziali, una bella palestra quotidiana per uno che voleva fare l’allenatore”.

In quegli anni hai visto passare dalle tue squadre moltissimi giocatori che oggi fanno parte delle Nazionali, altri invece si sono persi.

“Alcuni li ho avuti in U18, altri nelle accademie. Qualcuno si vedeva subito che era un predestinato: Fischetti, Riccioni, Pettinelli, Giammarioli, per fare alcuni nomi. Poi ho visto crescere giocatori che all’inizio invece erano rimasti un po’ ai margini, come Bruno, Lucchin, Marco Manfredi. Ho intuito in loro un potenziale che ho ritenuto si potesse sviluppare dando loro fiducia. Bruno mi ha colpito per la determinazione e la volontà con cui piano piano ha costruito il suo percorso, per la volontà di migliorarsi. Altri ero convinto sarebbero arrivati, ma in alcuni casi subentrano altre scelte, altre priorità”.

Parliamo di queste ultime tre stagioni con la U20.

“Nel 2021 abbiamo vinto solo una partita, ma abbiamo giocato alla pari con tutte le avversarie, abbiamo

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perso di due punti con la Francia, di sette con l’Irlanda e di dieci con l’Inghilterra. Ma il dato più importante di quell’anno, nonostante non abbiamo potuto disporre di due giocatori come Favretto e Varney, è che in tutto il Sei Nazioni abbiamo subito solo 10 mete, che per noi rappresentano un record. L’anno dopo, senza Marin e Menoncello, due giocatori che avrebbero potuto darci molto in termini di gioco e di risultati, abbiamo vinto tre partite, compresa quella famosa con l’Inghilterra. E poi, con ulteriori assenze (Ferrari, Ale Garbisi e Odiase) abbiamo replicato nelle Summer Series, battendo di nuovo l’Inghilterra e poi la Scozia e la Georgia.

Questa del 2023 era la stagione con maggiori incognite, c’era stato il cambio dei percorsi formativi, con l’introduzione dei poli di sviluppo, era un torneo con molte incognite: è arrivato il terzo posto, con il rammarico della sconfitta di un punto con la Francia, ma prestazioni incoraggianti contro tutti gli avversari. Con Mattia Dolcetto, Roberto Santamaria e Massimo Zaghini (preparatore atletico, ndr), abbiamo lavorato molto bene. È uno staff che riesce a trarre il meglio dal gruppo. Abbiamo vinto due partite e sfiorato la terza”.

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Adesso, dopo quattro anni, torna il Mondiale U20, a fine giugno/inizio luglio in Sudafrica.

“Nella fase a gironi ci aspettano tre partite molto fisiche, con Argentina, Sudafrica e Georgia che per noi saranno un test molto importante per la solidità degli avanti. L’obiettivo prioritario ovviamente è restare nel gruppo di élite e poi vedere se magari siamo in grado di entrare fra le prime otto, che sarebbe un traguardo importante. Vogliamo confermare il potenziale mostrato nel Sei Nazioni ed eventualmente verificare qualche altro elemento”.

Torniamo alla tua ormai lunga carriera da allenatore: quali sono stati i momenti più difficili?

“Non ce ne sono stati tanti. Per chi mi conosce sa del dispiacere della sconfitta a Roma contro la Lazio, nel 2018, che costò al Calvisano il primo posto nella regular season e, di conseguenza, ci obbligò a giocare a Padova la finale (poi persa) contro il Petrarca. Della sconfitta mi sento responsabile, perché era un momento in cui a casa avevamo avuti dei problemi di salute e non era facile concentrarsi sulla squadra. L’anno dopo, a metà del girone di andata, avevamo perso quattro partite e cominciava a insinuarsi qualche dubbio anche sulla conduzione tecnica. La so -

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cietà mi disse di lavorare tranquillo: finimmo primi in classifica e vincemmo il Campionato grazie ad un gruppo granitico che formava lo zoccolo duro del club (Morelli, Cavalieri, Chiesa, Semenzato, Vunisa). Due anni prima, perdemmo la semifinale di andata a Viadana sotto il diluvio, ci fu la polemica per la sostituzione temporanea di Paz, insomma vivemmo qualche giorno di grande tensione, poi al ritorno vincemmo con trenta punti di vantaggio e in finale battemmo anche il Rovigo segnando sei mete. Tendo sempre a pensare che i momenti difficili si sono tramutati in una molla per reagire. Il primo anno con la U20, nel 2021, perdemmo le prime due partite, la seconda contro la Francia, di due punti, dopo aver mancato a un minuto dalla fine il calcio di punizione della possibile vittoria. La partita dopo rifilammo quaranta punti alla Scozia. Quest’anno, non ho dormito la notte dopo la sconfitta con la Francia… Quelli sono i momenti in cui pensi che con un errore butti al vento tanto lavoro”.

Quanto assorbe il rugby della tua vita?

“Tantissimo. Non credo di smettere di pensarci mai. Sono come quegli imprenditori che hanno la testa alla loro fabbrichetta giorno e notte, anche nei giorni di festa. Il rugby è la mia fabbrichetta”. Ti piace la piega che ha preso il gioco moderno?

“Mi piace studiarlo, analizzare come funziona. Forse, da appassionato, mi godevo di più il talento individuale nel gioco di una volta, i Blanco, i Sella, gente le cui caratteristiche fai fatica a ritrovare adesso che tutto si è fatto più fisico. Io, tanto per cominciare, oggi non potrei starci in questo

Nelle pagine precedenti,Mattia Dolcetto, con Roberto Santamaria (a destra), fa parte dello staff della Nazionale U20.

In basso, gli Azzurri schierati per l’inno prima di un match.

“...sposare la concretezza del Calvisano con cui vinsi lo scudetto del 2019 con la fantasia di quello del 2017. Mi piace l’assolo del solista in uno spartito ben definito. Non so se questo è il jazz, se lo è vorrei un rugby con quella sinfonia”.
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Sotto, festa a Calvisano per lo scudetto del 2017. Brunello, in basso al centro festeggia con il figlio Tommaso, ai suoi fianchi Costanzo, Luus e Riccioni (a sinistra) e Tuivaiti e Cavalieri (a destra). Dietro si riconoscono (da sinistra) Pettinelli (con la maglietta nera e il braccio alzato), Paz, Raffaele, Minozzi, Dal Zilio, Giammarioli, Archetti (parzialmente coperto), Rimpelli, Novillo e Chiesa.

rugby qui. Ma è l’evoluzione, c’è poco da fare”. Nessun rimpianto quindi, rispetto ai tuoi tempi?.

“Forse un po’ per la goliardia, lo spirito di amicizia che si creava in una squadra, gli scherzi. Oggi è cambiato tutto”.

Ma come ti trovi con i ragazzi di oggi, giocatori che hanno trentacinque anni meno di te?

“Bene, riesco a prenderli per quello che sono. Non faccio loro una colpa se li vedo chini sui telefonini, noi adulti a volte siamo anche peggio con in mano uno di quei dispositivi. Chiedo loro solo di avere rispetto per quello che fanno e per le situazioni in cui si trovano. Ecco, magari dico loro di non farsi i selfie allo stadio prima della sintesi…”.

La tua squadra perfetta?

“Quella capace di sposare la concretezza del Calvisano con cui vinsi lo scudetto del 2019 alla fantasia di quello del 2017. Mi piace l’assolo del solista in uno spartito ben definito. Non so se questo è il jazz, se lo è vorrei un rugby con quella sinfonia”.

Le partite dell’Italia

24 giugno Italia v Argentina Paarl Gymnasium

29 giugno Italia v Georgia Paarl Gymnasium

4 luglio Italia v Sudafrica Paarl Gymnasium

9 e 14 luglio Play off

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Attraversare sulle...

La crescita dei giovani passa anche dallo spazio che ottengono nelle franchigie. Ma il progetto Zebre resta ondivago e contraddittorio.

Per le ultime due partite dello scorso Sei Nazioni U20, Massimo Brunello aveva chiamato 27 giocatori: 9 erano tesserati per club di Top10 (Aminu, Battara, Bernardinello, Botturi, Bozzoni, Brisighella, Elettri, Lavorenti e Mattioli), 6 (Bozzo, Gasperini, Mey, Odiase, Sante e Turrisi) sono accasati all’estero, 10 giocano fra Serie A e Serie B. Passarella è l’unico legato a una franchigia (Benetton), con la quale alla data attuale ha disputato in questa stagione 14 minuti in totale.

Dei 9 tesserati in Top10, solo Battara (Mogliano), Botturi e Bozzoni (Calvisano), e Lavorenti (Cus Torino) alla data di inizio del Sei Nazioni U20 avevano acquisito in questa stagione un minutaggio superiore a 100 minuti ciascuno. Aminu (Mogliano), protagonista del torneo in prima linea, alla data del primo febbraio era fermo a 95 minuti, Mattioli (Colorno) a 75’, Elettri (Rovigo), complice un infortunio, ne aveva giocati solo 22, Brisighella (Viadana) e Bernardinello (Petrarca) nessuno.

Alla domanda se i dati sopra indicati rappresentino in modo più o meno adeguato il piano di formazione previsto dalla Fir per questa categoria di età, la risposta è stata che:

• pe r gli U20, tranne eccezioni, non è previsto che frequentino già una franchigia (risposta curiosa: nella Francia U20 che nella quarta giornata del Sei Nazioni ha affrontato l’Inghilterra, le presenze in Top14, o nelle coppe europee, erano complessivamente 108, nell’Inghilterra 8. Risultato del match 42-7 per la Francia… Nell’Italia, tra Coppe, Top14 e Urc, 2 presenze nell’arco dell’intero torneo, totale 35’);

• che il mi nutaggio in Top10 dipende esclusivamente dai club e dalla capacità di ciascun giocatore di meritarsi spazio nella formazione;

• che per quelli che vanno all’estero la scelta è individuale, può essere positiva, negativa, azzardata o congrua, ma questo non dipende dalla Fir. Se ne deduce che non esiste affatto un piano di formazione complessivo e che esso è lasciato, per così dire, all’intraprendenza individuale di ognuno dei giocatori indicati.

Un’espressione perplessa di Tommaso Boni, più di cento presenze con la maglia delle Zebre.

Nel riquadro, Enrico Lucchin, quest’anno in campo per oltre 1.000 minuti con la franchigia parmigiana.

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sulle... Zebre

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Nicola Bozzo, classe 2004, cresciuto nella Pro Recco, è poi passato al Verona, prima di approdare alla Sedbergh School, in Inghilterra, e infine agli Espoirs del Perpignan, in Francia. A destra, David Odiase, classe 2003, la scorsa estate si è trasferito dal Colorno al club francese di Oyonnax

François Carlo Mey, per esempio, si è già ritagliato una certa considerazione da parte del Clermont con la cui maglia ha esordito in Champions Cup, a gennaio, contro gli Stormers. Esordio replicato il 15 aprile in Top14 contro il Pau (31’).

David Odiase, invece è approdato in ProD2, a Oyonnax, dove però gioca negli Espoirs, come Sante a Montpellier. Bozzo, Gasperini (entrambi del 2004) e Turrisi sono, rispettivamente, a Perpignan, Stade Français e Racing. Gasperini dalla prossima stagione entrerà far parte dell’Accademia delle Zebre con un contratto federale.

Perché uno come Odiase non abbia potuto trovare posto nella franchigia federale è un mistero: nelle Zebre in terza linea ci sono tre stranieri, più Volpi, 27 anni, nato in Argentina, cresciuto in Galles, il cui apporto (cinque partite da titolare in tutta la stagione) è stato decisamente marginale. Giocare all’estero può essere un’ottima occasione formativa. È un peccato però che un campionato asfittico come il Top10, imbottito di giocatori nati e cresciuti altrove, perché in Italia non ci sono ragazzi abbastanza per dieci formazioni, debba privarsi dei suoi prospetti migliori. E questo, non per un malinteso senso di “sovranismo” ovale, ma semplicemente perché una competizione che ha l’ambizione di crescere e vorrebbe aumentare il proprio appeal verso sponsor e spettatori, se non riesce a proporsi nemmeno come territorio di sviluppo per i propri giovani, in parole povere, a cosa serve e che ci sta a fare?

Conor O’Shea (qualcuno ricorda questo nome?) ha detto di recente a proposito del sistema formativo inglese, che i giovani per crescere devono giocare tra le 20 e le 25 partite di un certo livello a stagione. Ci pare che in Italia nessuno si avvicini a questi numeri.

E qui si apre il capitolo Zebre

Tra U20 e Maggiore, le Zebre durante il Sei Nazioni hanno fornito complessivamente alla Nazionale

quattro giocatori: Bruno, Bigi, Fusco e, l’ultima giornata, l’esordiente Gesi. Lucchin, dopo l’esordio di novembre contro Samoa, non ha più trovato posto nei 23 in alcuna occasione. Della U20 si è scritto sopra. A occhio e croce in tutto questo quadro qualcosa non torna. O manca il progetto, o nel progetto c’è qualcosa che non funziona.

Alla Gazzetta di Parma, Franco Tonni ha detto a Paolo Mulazzi che “per ricostruire serve tempo. Abbiamo alcuni piloni con grandi potenzialità e sono convinto andranno lontano. Uno o due stranieri d’esperienza? Avrebbero giocato spesso loro perché avrebbero dato stabilità alla mischia, poi, però, avremmo avuto un drop. Il nostro obiettivo è far crescere i nostri. Devono giocare spesso loro”

“Abbiamo iniziato un percorso che ci deve portare alla stagione 2024/25 come piattaforma per il passo successivo - ha poi aggiunto il direttore sportivo della franchigia parmigiana -. Meno stranieri non eleggibili, allargare ulteriormente lo staff tecnico perché è da lì che si parte per crescere, nel lavorare le specificità. Io sono convinto che la prossima stagione non la chiuderemo all’ultimo posto”.

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Ottima analisi. Ma, a fine aprile 2021, quando Tonni (consigliere di amministrazione) e Michele Dalai (presidente) ereditarono la gestione del club, le Zebre avevano in rosa 9 stranieri, mentre, quest’anno, gli ineleggibili messi in campo dalla franchigia sono stati in tutto tredici, alcuni dei quali frutto di scelte decisamente incaute come l’ala tongana Latufonomanu Latunipulu, rispedita a casa dopo si è no tre mesi di permanenza in Italia. Da metà dicembre, la regola imposta dalla Federa -

zione vuole che Zebre e Treviso non possano inserire a lista gara più di sette giocatori non eleggibili per partita.

Ma il percorso delle Zebre, nelle ultime due stagioni è stato decisamente contraddittorio, perché il numero di giocatori chiamati in maglia azzurra è precipitato in modo verticale: nel 2015, fra i 31 convocati da Jacques Brunel per il Mondiale inglese i giocatori della franchigia parmigiana erano 9, per la Coppa del Mondo del 2019 in Giappone, furono 10.

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Il numero 8 neozelandese Taina Fox-Matamua, arrivato alle Zebre a gennaio del 2022. Un infortunio al ginocchio (ne aveva già subiti due in Nuova Zelanda) ha interrotto a gennaio la sua seconda stagione a Parma. In sostegno, il sudafricano Jan Uys.

Una cifra scesa a 8 (su 33 convocati) per il tour in Portogallo, Giappone e Romania della scorsa estate. Per finire con i soli quattro dell’ultimo Sei Nazioni. Per l’ennesima volta la squadra si sta rifondando. Ma qualche statistica aiuta a mettere i numeri in prospettiva, confrontandoli con quelli del passato. Dei diciassette U23 che componevano quest’anno la rosa delle Zebre (nati dopo il primo gennaio del 2000) 9 eleggibili hanno superato in stagione i 300 minuti totali di gioco, equivalenti a poco più di un sesto di tutto il minutaggio stagionale della franchigia: Andreani, Zambonin, Pani, Trulla, Gesi, Hasa, Ne -

culai, Rizzoli, Franco Smith jr, ai quali va aggiunto il sudafricano Kriel, a tutti gli effetti straniero. Di questi però soltanto Andreani, Zambonin, Pani, Trulla e Gesi hanno giocato per almeno un terzo del tempo totale, con Neculai fermo a sole cinque partite da titolare dopo aver disputato tre test con la Nazionale nell’estate del 2022.

Anche nella stagione 2018/2019, gli U23 (nati dopo il 1/1/1996) impiegati dalle Zebre per più di 300 minuti furono nove, compresi due piloni (Rimpelli e Zilocchi), due tallonatori (Luus e Ceciliani), due seconde (Ortis e Krumov) e tre terze linee (Giammarioli, Li-

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Il flanker sudafricano MJ Pelser, utilizzato quest’anno complessivamente in nove partite. Fabio Roselli, è stato allenatore della Nazionale U20 dal 2017 al 2020. Head coach delle Zebre dall’aprile 2022.
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A destra, in alto, Ion Neculai, pilone classe 2001, tre cap con la Nazionale maggiore nell’estate 2022; in basso, Zebre v Connacht sotto il diluvio, a settembre del 2016. Ceccarelli (a sinistra) e Padovani fermano un’incursione degli irlandesi.

cata e Bianchi). Ma le vittorie, in quel periodo, furono sei, il che dimostra che si può provare a inserire i giovani anche senza necessariamente perdere tutte le partite. Nel 2015/2016, addirittura otto vittorie, gli U23 utilizzati per almeno 300’ erano stati: Boni, Ruzza, Padovani, Violi e Meyer, poi equiparato nell’autunno del 2018. Insomma, volendo, si può fare…

Nell’ultimo anno e mezzo (dal primo settembre 2021) le Zebre, ahimè, hanno conquistato una sola vittoria in 44 incontri.Altre considerazioni: sui 1.760 minuti totali di quest’ultima stagione, Tiff Eden, inglese, 28 anni, è stato il numero 10 di gran lunga più usato: oltre un terzo del tempo complessivo. Nicolò Teneggi, classe 2002 apertura della Nazionale U20 nella stagione delle due vittorie sull’Inghilterra (2022), ha giocato soltanto 42 minuti.

Alla stessa età di Teneggi, a Treviso, Tommaso Menoncello ha già disputato più di 30 partite da titolare fra URC e coppe europee (e giocato due Sei Nazioni con la Nazionale maggiore), Alessandro Garbisi ha collezionato oltre venti match in maglia Benetton e Manuel Zuliani (classe 2000) si avvicina alla cinquantina.

In terza linea i due delle Zebre con il minutaggio maggiore quest’anno sono stati nell’ordine: Taine Fox-Matamua, sempre titolare fino all’infortunio di fine gennaio contro gli Ospreys che

Le statistiche

Altri tempi

La formazione delle Zebre che il 17 settembre 2016 affrontò in PRO12, il Connacht, campione in carica. Il match venne interrotto all’intervallo per il temporale, con la franchigia di Parma in vantaggio 29-12. Nel quindici titolare comparivano 14 giocatori italiani, più Geldenhuys, equiparato dal 2009. Otto avevano a quella data meno di 25 anni.

15 Edoardo Padovani (1993), 14 Gabriele Di Giulio (1994), 13 Giulio Bisegni (1992), 12 Tommaso Boni (1993), 11 Giovanbattista Venditti (1990), 10 Carlo Canna (1992), 9 Guglielmo Palazzani (1991), 8 Federico Ruzza (1994), 7 Maxime Mbandà (1993), 6 Jacopo Sarto (1990), 5 George Biagi (1985), 4 Quintin Geldenhuys (1981), 3 Pietro Ceccarelli (1992), 2 Oliviero Fabiani (1990), 1 Andrea De Marchi (1988).

ne ha chiuso anzitempo la stagione e Matt Kvesic, arrivato a metà novembre. MJ Pelser, a sua volta, ha giocato più di 600 minuti. Fra i centri, dopo Enrico Lucchin, il più utilizzato è stato Erich Cronje. Forse qualcosa va rivisto a livello di programmazione centrale.

Stagione Allenatore Partite Vinte Perse Pari 2012/2013 (Pro12 e Heineken Cup) Gajan 28 0 28 2013/2014 (Pro12 e Heineken Cup) Cavinato 28 5 21 2 2014/2015 (Pro12 e Challenge Cup) Cavinato (poi Jimenez) 28 5 23 2015/2016 (Pro12 e Challenge Cup) Guidi 28 8 20 2016/2017 (Pro12 e Heineken Cup) Guidi (poi Jimenez e De Marigny) 28 3 25 2017/2018 (Pro14 e Challenge Cup) Bradley 27 8 19 2018/2019 (Pro14 e Challenge Cup) Bradley 27 6 21 2019/2020 (Pro14 e Challenge Cup) Bradley 25 5 19 1 2020/2021 (Pro14, Rainbow cup e Challenge Cup) Bradley 19 5 13 1 2021/2022 (Urc e Challenge Cup) Bradley, poi Bergamaschi/ Roselli 22 1 21 2021/2022 (Urc e Challenge Cup) Roselli 22 0 22
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VERDE RUGBY

Alla base dei successi dell’Irlanda: disciplina, gioco al piede, mete, difesa, staff. La corazzata irlandese sembra inarrestabile. Da qui alla Coppa del Mondo può concentrarsi sui dettagli. di Walter Pozzebon

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Dopo aver scioccato il mondo vincendo la serie in Nuova Zelanda lo scorso giugno, dominato i test autunnali e portato a casa il Grande Slam al 6 Nazioni, la banda di Farrell è chiaramente in pole per la World Cup. Peter O’Mahony ha appena organizzato l’incursione mattutina a casa di Rngrose con mezza squadra per concludere i festeggiamenti a suon di birre e dichiarato che questo è stato “il mese più incredibile della sua carriera”. E vorrei ben vedere. Ma dopo che il polverone alzato dai tacchetti si è posato, rimane interessante analizzare cosa hanno combinato gli irlandesi. Provo allora a identificare quelle che, secondo me, sono le basi dei loro successi.

Disciplina

L’Irlanda è la sola squadra nel torneo a non aver rimediato nemmeno un cartellino, mentre le rivali ne hanno beccati almeno 2 ciascuna.

Non solo: sono 44 (9 a partita circa), le penalità concesse dai verdi in tutto il torneo. Poche.

E ancora più incredibile è il fatto che di queste 44 penalità solo 2 (!!!) sono per off-side, laddove la Francia, seconda, ne ha concesse 13.

Nemmeno una penalità da maul, solo la ruck è l’area dove gli irlandesi sono caduti più spesso in fallo (20). Va detto comunque che la ruck costituisce la maggior fonte di penalità per tutte le altre squadre. È chiaro inoltre che i giocatori sono stati “addestrati” a dovere, perché è evidente loro reattività agli ammonimenti live dell’arbitro. Molto spesso quindi nei breakdown, dove è massimo il caos e tremenda la pressione, gli irlandesi hanno preferito accontentarsi di rallentare il pallone, piuttosto che azzardare il turnover. Come ha dichiarato il buon Caelan Doris durante il torneo “Discipline is often about what you don’t do”.

Gioco al piede

Da almeno un paio di stagioni il gioco al piede dell’Irlanda è determinante.

Se la quantità totale dei calci tattici è simile alle altre squadre, l’Irlanda si è distinta per la quantità di calci in profondità. È qui che è emersa l’importanza di un piede sinistro potente ma “ben educato” come quello di James Lowe che, con i suoi 32 calci, ha guadagnato qualcosa come 1.000 metri di campo. Lowe

James Lowe: decisivo il suo apporto ai successi irlandesi, sia in attacco che in difesa. A sinistra, Jonny Sexton con O’Mahony in sostegno. Il mediano di apertura appenderà le scarpe al chiodo dopo il Mondiale. Nell’ultimo Sei Nazioni ha disputato quattro partite e messo a segno 35 punti.

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è sempre fondamentale nei ping pong tattici perché è molto intelligente nell’uso raffinato del piede. Sia contro il Galles che contro la Francia, vistosi soffocato tra la rimessa laterale e la difesa accorrente, ha piazzato un paio di pennellate in piena velocità proprio dietro ai capoccioni degli estremi difensori, costringendoli ad affannose retromarce e innestando, di fatto, due marcature irlandesi. È indubbio poi che l’Irlanda abbia sfruttato tatticamente il gioco aereo in modo perfetto. E ha fatto bene, perché ha in Hansen, Lowe e Keenan tre dei migliori cacciatori di palloni in aria. Grazie alla loro grandissima tecnica individuale nelle prese al volo l’Irlanda si è assicurata spesso un cospicuo guadagno territoriale se non addirittura, in qualche occasione, delle marcature pesanti. Retaggi del rugby gaelico o educazione precoce su questo fondamentale? Difficile dirlo, ma varrebbe la pena farne una riflessione anche da noi e non demonizzare il gioco al piede a partire dal minirugby.

Infine la varietà: confortevoli uscite dai 22, pazienti duelli a ping pong sul lato lungo del campo, giocate da fasi statiche pensate per creare spazio al piede,

calcetti dietro la linea difensiva in particolari situazioni.

Gli irlandesi hanno dispiegato un arsenale impressionante di opzioni balistiche.

Mete

Venti mete (dietro alla Francia con 21) sono un ottimo bottino in un 6 Nazioni.

Ma l’Irlanda ha staccato tutti per la quantità di clear line-breaks: quasi 8 a partita. La performance deriva chiaramente da una certa fluidità della manovra e dall’intesa fra avanti e trequarti. Questo ha permesso un ventaglio di opzioni offensive notevoli che hanno portato a qualunque tipo di marcatura. Non sono mancate quindi le mete “muscolari” a suon di pick and go a ridosso della meta avversaria, marchio di fabbrica e inno alla qualità del sostegno degli irlandesi (su tutte, la meta di Porter contro la Francia, con la vitale legatura di O’Mahony… si sempre lui). Sempre contro la Francia però l’Irlanda ha fatto vedere le notevoli abilità manuali con l’acrobatica meta in bandierina di Lowe: la palla sembra scottare e passa velocemente di mano in mano fra Sexton, O’Mahony, Keenan e Ringrose, che spara una fucilata di 30

Formidabile battaglia aerea tra Hugo Keenan e Liam Williams (numero 15) in Galles v Irlanda al Principality Stadium. A destra, in alto, la meta di James Lowe contro la Francia, a Dublino: abilità, estro e doti atletiche; in basso, Mack Hansen a segno contro l’Italia. L’ala, di origine australiana, con tre mete è stato uno dei protagonisti del Sei Nazioni.

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metri proprio a Lowe che finalizza tra finti penetranti (Ryan) e pod predisposti a distrarre i francesi. Marcature pesanti sono venute da rimessa laterale grazie a giocate innovative e imprevedibili, frutto inequivocabile della commistione del lavoro di Catt e O’Connell. Se è vero che 7 delle 20 mete hanno origine dalla rimessa laterale, va anche detto che altre 7 nascono da turnover o da contrattacco. Il mito dell’Irlanda che segna solo da fasi statiche è quindi tramontato definitivamente: questi segnano da dovunque.

Difesa

Ancora più dell’attacco la difesa è stata decisiva. Solo 6 mete concesse e un numero impressionante di turnover (35). Easterby ha messo in piedi una diga che non fa sconti a nessuno, pur ammettendo il rischio di trovarsi in inferiorità al largo: le ali salgono sparate verso il penultimo difensore, nel frattempo l’interno arrembante garantisce comunque la copertura.

Gli scenari che a questo punto si creano di solito sono due.

Sta per finire il primo tempo di Scozia v Irlanda (minuto 41’), gli scozzesi annusano la meta a pochi metri e muovono palla al largo dove sono in superiorità.

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Hansen, ultimo difensore, taglia la corsa e sale sparato sul penultimo attaccante, mettendolo a terra. La palla rimane comunque viva a arriva subito al largo nelle mani del tallonatore Turner, che vedo lo spiraglio a pochi centimetri dalla linea. Il problema è che dall’interno arriva una vagonata di trifogli imbufaliti che travolgono giocatore e bandierina.

Il secondo scenario è invece quello offerto da Lowe contro il Galles, dove il giocatore taglia la salita sul penultimo attaccante salendo sparato. Riesce però anche a leggere il passaggio di Biggar e intercetta volando in meta per 80 metri.

Quale preferite?

Staff

Andy Farrell ha il gran merito di aver creato un “clima di lavoro” nel quale i giocatori sembrano i primi a divertirsi, quasi consapevoli della loro impressionante evoluzione tecnica. Il capo allenatore in primis consente loro di esprimersi ad alto livello indicando semplicemente “to be themselves”. Parte del merito in questo aspetto va a quel geniaccio di Gary Keegan, l’High Performance Coach che proprio Farrell ha voluto fortemente nel suo staff prima di partire per la tournée in Nuova Zelanda. È addirittura Johnny Sexton ad ammettere la “significant influence” del suo apporto.

Paul O’Connell è invece entrato nello staff nel 2021 ed ha portato una cura maniacale nei dettagli. Se la rimessa laterale non è stata impeccabile durante il torneo (86% accuracy, ma va considerata la perdita

Lowe e Porter (a sinistra) bloccano, a pochi passi dalla linea, un’incursione dello scozzese George Turner, in Scozia v Irlanda a Murrayfield. Sotto, La difesa irlandese (Sheehan, a sinistra, O’Mahony a destra) serra le file su Finn Russell.

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di entrambi i tallonatori contro la Scozia, con Van Der Flier lanciatore semi-improvvisato), è stata l’area del break down quella dove l’Irlanda non ha avuto rivali. I raggruppamenti impostati dagli irlandesi sono durati meno di 3 secondi nel 65% dei casi, un dato notevolmente migliore di qualsiasi altra squadra del torneo. Con una velocità simile è più facile trovare le difese impreparate, soprattutto se attorno ai raggruppamenti si impostano giocate e movimenti innovativi e mai visti prima (basti vedere la meta di Keenan contro la Francia).

John Fogarty, dopo l’esperienza al Leinster, ha invece dipanato qualsiasi dubbio sulla solidità della mischia irlandese. L’Irlanda ha vinto il 91% delle proprie mischie e soprattutto non ha concesso un solo penalty da propria introduzione. Ha inoltre dato fiducia a volti nuovi come O’Toole e risolto alla grande il vuoto di Furlong con l’eccellente Belham. In sostanza, la corazzata irlandese sembra inarrestabile.

In vista del Mondiale, il focus di Farrell potrebbe quindi essere rivolto ad aspetti secondari, ma non meno importanti. In primis sulla capacità di essere ancora più cinici, visto che contro l’Inghilterra, per esempio, il match si poteva chiudere molto in anticipo.

Un altro aspetto su cui Farrell dovrà porre attenzione è il fatto che più della metà dei 72 punti subiti dall’Irlanda nel 6 Nazioni sono stati concessi nei primi 20’ delle partite (13 solo dalla Francia). Nelle partite dove la pressione sarà altissima e dove “o vinci o sei fuori” impostare la partita nei giusti binari fin da subito è fondamentale. Gli irlandesi hanno ancora qualche mese di tempo e ancora tante partite prima di volare in Francia per la World Cup, ma di sicuro non si faranno trovare impreparati.

O’Mahony infatti, posate le birre da qualche parte nel salotto di Ringrose, si è già recato in palestra.

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Paul O’Connell, 108 cap, parte dello staff irlandese da gennaio 2021. A destea, Gary Keegan, High Performance coach dell’Irlanda.

CAMPIONATO

A Rovigo la regular season. Colorno

Rovigo campione della regular season per la terza volta nelle ultime dieci edizioni del campionato.

In Polesine faranno gli scongiuri perché da quando la stagione regolare è tornata a disputarsi in un girone unico, ovvero dal 2001/2002, i rossoblù non si sono mai imposti in finale dopo aver concluso il torneo in testa alla classifica.

Solo nella stagione 1987/1988 il Rovigo fece l’en-plein superando il Treviso nel match per il titolo, 9-7, dopo essersi aggiudicato anche il primo posto in graduatoria.

Le novità

Due la novità di quest’anno: il Colorno per la prima volta ai play off, il Calvisano escluso dalle semifinali, per la prima volta, dal 2001, a parte le due stagioni di retrocessione volontaria, quelle del 2010 e del 2011.

I gialloneri bresciani peraltro hanno già annunciato da tempo la volontà di iscriversi al prossimo campionato in una categoria inferiore.

Il torneo più combattuto

Campionato quest’anno più combattuto rispetto alle precedenti edizioni: era dal 2010 che le prime quattro classificate non subivano, complessivamente, 19 sconfitte (quell’anno ne sommarono addirittura 23).

Ed era dal 2012 che la prima classificata non chiudeva il campionato con un punteggio così basso.

Ognuna delle squadre comprese tra il quarto e l’ottavo posto ha battuto almeno una delle quattro che hanno conquistato i playoff.

Il Rovigo, a ottobre, ha perso con il Viadana, che ha concluso al sesto posto, e con le FFOO, arrivate quinte. Poi, a gennaio, sconfitta per i rossoblù anche a Piacenza, contro i Lyons finiti ottavi.

Il Petrarca, a due giornate dalla fine ha perso a Calvisano, con i gialloneri classificati settimi.

A Rovigo e Valorugby la coppa disciplina

Rovigo e Valorugby appaiate in testa in una virtuale “coppa disciplina”: 13 cartellini gialli (più un rosso) a testa. Il Petrarca non

38

per la prima volta in semifinale.

ha subito cartellini rossi ma 19 gialli, il Colorno ne ha collezionati 22 (più tre rossi).

Viadana, ultima in questa graduatoria, con 28 espulsioni temporanee e 4 “rossi”.

Meno mete

Nelle 18 giornate si sono segnate complessivamente 574 mete, per una media di poco superiore (6,38) alle sei a partita.

La scorsa stagione le mete totali furono 611. Quest’anno pertanto il saldo è negativo di 37 unità, una media di 0,40 in meno a partita.

Viva la penal touche

Si è segnato tantissimo da penal touche e infatti in testa alla classifica dei marcatori, con 12 mete, insieme a Nicolas Sbrocco, flanker del Valorugby, c’è il tallonatore della squadra emiliana, Marco Silva, con un altro tallonatore, Tomas Montilla del Viadana, subito alle loro spalle (11 mete).

In pratica un quinto di tutte le mete del torneo sono state messe a segno dai numeri 2.

Montemauri top scorer

Giovanni Montemauri del Rovigo è stato invece il miglior realizzatore del Top10 con 207 punti, davanti a Ignacio Ceballos (Colorno) 173 e Carlo Canna (FFOO) 162.

Le semifinaliste

Petrarca vs Valorugby sarà la replica della semifinale del 2021, quando gli emiliani vennero sconfitti in casa, nella gara di andata (16-27), per rifarsi, ma solo parzialmente, 24-23, al ritorno. Colorno e Rovigo, invece, non si sono mai incontrate ai play off, tra di loro solo sette sfide in Top10, con i rossoblù sempre vittoriosi.

AMPIONATO TOP10
Il capitano del Petrarca Andrea Trotta alza la Coppa Italia conquistata lo scorso 8 aprile battendo in finale il Valorugby, 51-42, al Payanini Center di Verona.

Quattro ai play off

Il giudizio di Gianluca Guidi

Rovigo Delta

ALLENATORE

Alessandro Lodi

STAFF

Davide Giazzon

REGULAR SEASON Primo posto

PUNTEGGIO 71

PARTITE VINTE 14

PARTITE PERSE 4

PAREGGI 0

METE FATTE 80

METE SUBITE 38

CARTELLINI GIALLI 13

CARTELLINI ROSSI 1

ATTACCO

È la squadra più interessante, con una linea veloce capace di sfruttare al meglio le qualità degli avanti, con i quali Davide Giazzon ha fatto un grande lavoro. Van Reenen e Ferrario sono una combinazione molto interessante in mezzo al campo e Bazan Velez potrebbe tornare per i play off aggiungendo qualità in mediana.

DIFESA

Difendono bene l’uno contro uno, mentre quando subiscono lunghe sequenze perdono un po’ di organizzazione. Meglio l’attacco.

CONQUISTA

Molto efficace, sfrutta bene le caratteristiche dei giocatori che ha e le alterna bene nel turnover.

PROFONDITÀ DELLA ROSA

Non è così profonda come quella di Petrarca e Colorno, però Lodi e Giazzon hanno gestito molto bene il gruppo, le rotazioni hanno sfruttato benissimo le qualità dei singoli.

COACHING

Ottima capacità di gestione, nel match contro il Calvisano i cambi, all’ora di gioco hanno spostato l’equilibrio della gara.

SPIRITO VINCENTE

Squadra che sa come si vince, lo ha fatto all’ultimo minuto in finale, due anni fa. Nella seconda parte della stagione ha dimostrato di sapere vincere anche le partite più difficili, come quella con il Petrarca, nonostante la rimonta degli avversari e l’inferiorità numerica nel finale.

GIOCATORE DECISIVO

Montemauri e Van Reenen: grande intuizione farli giocare insieme, secondo la regola che i giocatori forti non vanno mai lasciati fuori. Ottime le combinazioni con le linee di corsa di Ratuva.

PIÙ La grande sintonia tra squadra, staff e città.

MENO La pressione che dalle aspettative dell’ambiente talvolta può derivare e che se le cose non si mettono subito bene ti potrebbe opprimere invece di aiutare.

40

Petrarca Padova

ALLENATORE

Andrea Marcato STAFF

Victor Jimenez

PUNTEGGIO 66

PARTITE VINTE 12

PARTITE PERSE 3

PAREGGI 3

METE FATTE 83

METE SUBITE 42

CARTELLINI GIALLI 18

CARTELLINI ROSSI 0

ATTACCO

Un po’ monodimensionale, maul e sequenze ravvicinate con i suoi giocatori più forti. Se trova una squadra capace di impattarne la fisicità può andare in difficoltà.

DIFESA

E la squadra che difende meglio. Molto forte nella difesa uno contro uno, ha in Spagnolo, Di Bartolomeo e Broggin i migliori nel placcaggio e recupero del pallone.

CONQUISTA

Victor Jimenez è il miglior tecnico degli avanti tra tutti quelli con i quali ho lavorato. Sa rendere logiche le cose con le caratteristiche dei giocatori a disposizione.

PROFONDITÀ DELLA ROSA

Una squadra che può permettersi di lasciare in tribuna gente come Manni, Cioffi, De Masi…Ha due/tre giocatori per ruolo.

COACHING

Andrea Marcato e Victor Jimenez lavorano molto bene insieme e la squadra va in campo facendo quello che è stato preparato durante la settimana. Se proprio devo fare un appunto, forse con il potenziale a disposizione potrebbero rischiare un gioco un poco più spregiudicato.

SPIRITO VINCENTE

Una squadra che vince la finale di Coppa Italia a quella maniera, segnando due mete nel finale, in 13 contro 15, non si può dire che non abbia spirito vincente. Quella partita può aver dato al gruppo molta fiducia e come si dice sempre: vincere aiuta a vincere…

GIOCATORE DECISIVO

Mirco Spagnolo. La squadra con lui è una cosa, senza un’altra. Pilone di valore internazionale, placca, porta la palla. Fondamentale.

PIÙ profondità della rosa, consistenza nell’arco della stagione, continuità di risultati e qualità complessiva.

MENO con i giocatori e la rosa che ha, forse potrebbe fare di più.

REGULAR SEASON Secondo posto
41

Quattro ai play off

Il giudizio di Gianluca Guidi

Valorugby Emilia

ALLENATORE

Roberto Manghi STAFF

Viliame Vaki, Jacques Brunel (consulente)

PUNTEGGIO 61

PARTITE VINTE 11

PARTITE PERSE 5

PAREGGI 2

METE FATTE 66

METE SUBITE 50

CARTELLINI GIALLI 13

CARTELLINI ROSSI 1

ATTACCO

Ottimo quando mette sul campo tutti i suoi giocatori più forti. Molto efficace l’avanzamento da maul, un po’ meno il resto.

DIFESA

Deve crescere a livello di organizzazione perché ha lasciato molti punti per strada. Buoni i singoli, penso a Sbrocco a Bertaccini, meno la capacità collettiva di riposizionamento.

CONQUISTA

Ottima la touche, la mischia chiusa dipende da chi viene schierato, in conseguenza del turnover imposto dall’utilizzo dei giocatori stranieri.

PROFONDITÀ DELLA ROSA

La rosa è decisamente buona, basti pensare che a numero 9 hanno la possibilità di scegliere tra giocatori come Violi, Renton e Thomas Dominguez. Poi ci sono Jimmy Tuivaiti, Sbrocco e tanti altri ancora.

COACHING

Si vede la mano di Jacques Brunel: la meta di Bertaccini nella finale di Coppa Italia, con un giocatore veloce messo a confronto con due piloni, è tipica dell’ex ct della Nazionale.

SPIRITO VINCENTE

Ha perso alcune partite nel finale, gli manca po’ l’abitudine di chiudere il match quando l’ha a portata di mano. Ai play off è un limite che può penalizzare molto.

GIOCATORE DECISIVO

Giulio Bertaccini, un trequarti moderno e totale dotato di appoggi di fuoco e qualità fisiche internazionali.

PIÙ Sicuramente la capacità di attaccare con la rolling maul. Da lì viene gran parte della loro produzione offensiva

MENO non hanno vinto molto e la sconfitta subita in rimonta nella finale di Coppa Italia (e in superiorità numerica) potrebbe minare un po’ le certezze della squadra.

REGULAR SEASON Terzo posto
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Colorno

ALLENATORE

Umberto Casellato

STAFF

Filippo Frati

Cristian Prestera

Ed Thrower

PUNTEGGIO 56

PARTITE VINTE 11

PARTITE PERSE 7

PAREGGI 0

METE FATTE 59

METE SUBITE 49

CARTELLINI GIALLI 23

CARTELLINI ROSSI 3

ATTACCO

Ha qualità, ma dopo la serie di sconfitte subite nel girone di ritorno (FFOO, Petrarca, Valorugby, Viadana) ha perso un po’ di fiducia per affidarsi quasi solo alla maul avanzante.

DIFESA

È cresciuta molto nel corso del torneo, soprattutto come organizzazione. È una squadra che ti attacca difendendo ma subisce pochissime mete.

CONQUISTA

In mischia ha subito veramente poco e in touche ha rubato tanti palloni a tutti. Una conquista di qualità.

PROFONDITÀ DELLA ROSA

Gruppo con molti giocatori importanti arrivati in estate dalle Zebre (Mbandà, Lovotti, Bisegni, che poi si è infortunato a inizio stagione, ndr), ai quali ha aggiunto in corso d’opera il tallonatore Adamson e il numero 8 Van Niekerk. Poi nelle ultime settimane sempre dalle Zebre è arrivato anche Casilio. Tanti giocatori per diversi ruoli.

COACHING

Umberto Casellato ha notevole esperienza di play off, ha giocato e vinto queste partite con diverse squadre. Lui e Pippo Frati hanno la personalità per compiere scelte imprevedibili e originali.

SPIRITO VINCENTE

Dipende un po’ dall’ambiente. Il club è ai play off per la prima volta e non ha tanta esperienza di come si vivono queste situazioni. Se si mettono a pensare troppo alla nuova realtà potrebbe essere un problema.

GIOCATORE DECISIVO

Van Tonder, giocatore molto solido, non ruba l’occhio dello spettatore, ma è affidabile e dà equilibrio alla squadra sia in attacco che in difesa.

PIÙ L’entusiasmo dell’ambiente.

MENO il rischio che l’entusiasmo e la novità della situazione condizioni un po’ la squadra a livello mentale.

REGULAR SEASON Quarto posto
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Ritratto di

Piero e Thomas Dominguez hanno trovato a Reggio Emilia l’occasione per giocare insieme. E per i play off avvertono: il Valorugby può giocarsela alla pari con qualunque avversaria

Indossare un cognome importante, a volte, può essere fonte di raffronti imbarazzanti, specie se in famiglia qualcuno è un vincente a livello internazionale.

Questa forma di complesso non ha mai sfiorato i fratelli Piero e Thomas Dominguez, figli di Diego che ha impresso per sempre il proprio nome nella storia del rugby mondiale. Piero, 27 anni, nato a Milano, e Thomas, 23, nato a Parigi, rappresentano già un punto di riferimento del Valorugby Emilia con uno sguardo a traguardi più ambiziosi. Per poterli conoscere meglio li abbiamo intervistati insieme.

E la prima domanda riguarda il possibile raffronto con Diego, quanto pesa su di loro un’eredità così importante.

Piero: “Lo so, la gente che non conosce la nostra storia fa il raffronto con nostro padre. Di solito, in questi casi, non viene mai visto il lato positivo, ma vengono alla mente solo paragoni assolutamente inopportuni e improponibili. Si dovrebbe imparare a separare ciò che siamo noi da nostro padre. Noi abbiamo e avremo una storia completamente diversa, anche perché il rugby, nel frattempo, è cambiato. Lui non ha mai tracciato una strada per noi, ci ha lasciati liberi nelle nostre scelte, ma ci ha sempre suggerito di farlo seriamente”.

Thomas (sorride): “Ma scherziamo? Nostro padre non ci ha influenzato in alcun modo. È vero, mi piaceva anche il calcio, ero bravo, ma dopo un viaggio in Nuova Zelanda a 15 anni ho capito che la palla ovale sarebbe stato il mio mondo. E quando ho intrapreso questa scelta papà mi ha semplicemente incoraggiato nei momenti difficili, che capitano a chiunque voglia spiccare in qualsiasi sport”.

Possibile che non vi abbia mai mosso un rimprovero, una critica?

Piero e Thomas, quasi in coro: “Certo, le sue osservazioni non sono mancate, ma mai con un atteggiamento negativo. Ci ha sempre spronati a dare il meglio. E la migliore dimostrazione è che ci ha sempre seguiti, anche partendo dall’Argentina”.

La vocazione di Piero è quella del mediano d’apertura.

“In realtà potevo giocare anche con la maglia numero nove, ma mi piace avere la responsabilità di orchestrare il gioco della squadra, ci

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famiglia

sono più libertà, più opzioni. Mi piace guardare il campo a testa alta”.

Per una volta Thomas si discosta dal fratello: “Sono nato con la vocazione di essere un mediano di mischia. Mi piace gestire tanti palloni, scegliere se avanzare con gli avanti o aprire sui trequarti. Potrei giocare anche estremo, ma in quel ruolo si tocca meno palloni e l’assetto tattico è completamente diverso”

Ma se non avessero indossato la maglia numero 10 e 9 quale ruolo avrebbero voluto rivestire i fratelli Dominguez?

Piero: “Se avessi avuto il fisico adatto mi sarebbe piaciuto essere un tallonatore. Con il gioco attuale la manovra del numero 2 è più ricca di creatività, si possono realizzare tante mete. Oppure il flanker: è il vero polmone della squadra, devi pulire le ruck, saper attaccare e difendere al momento giusto”.

Thomas: “Senza dubbio il tallonatore, anche se la responsabilità di lanciare il pallone in touche è davvero forte. La mischia m’impressiona un po’, ma se hai due piloni solidi (ride), puoi stare sicuro”.

Andiamo diretti in meta e cerchiamo di scoprire i loro difetti e i loro pregi.

Piero: “Mi accorgo a volte di essere eccessivamente ansioso e questo non mi aiuta né in campo né nella vita. Per fortuna questo capita solo in allenamento, in partita riesco ad essere freddo e lucido. Ma sono pignolo anche nelle cose semplici, devo avere sempre tutto e come dico io”.

Thomas: “Ecco, io sono l’esatto contrario nella vita normale. Sì, tendo a procrastinare le situazioni ‘normali’, e lì partono i litigi con la mia compagnia Manuela, argentina, che studia psicologia. In campo mi rendo conto di poter migliorar sulle mie scelte di gioco e potrei parlare di più con gli avanti. Ma so anche che questo è un processo che matura solo con l’esperienza”.

Su un punto i fratelli sono pienamente d’accordo: “Reggio Emilia è una città fantastica, abbiamo trovato un gruppo unito, che ci ha aiutato sempre, e non solo perché ci sono diversi compagni di squadra argentini. Non ci siamo mai sentiti gli ‘ultimi arrivati’. E poi il presidente Enrico Grassi è una persona unica, viene sempre a trovarci, nello spogliatoio, prima di una partita importante con le sue parole ci dà la giusta ca -

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di Andrea Fusco

DINASTIE

rica. Quando a volte il nostro tecnico era squalificato, è venuto lui a sedersi in panchina. Questi gesti, per un giocatore, contano davvero tanto”. La nota dolente è che il Top10 non riesce ancora a contribuire alla causa della Nazionale.

Anche in questo caso Thomas e Piero sono in sintonia: “Il salto per arrivare in azzurro è ancora troppo alto. In Italia c’è una franchigia che lavora bene e i risultati si vedono, l’altra dovrebbe essere molto più competitiva”.

Piero aggiunge: “Per essere competitivi devi saper investire, avere giocatori di livello. E questo Treviso lo sa fare molto bene”. E Thomas: “Bisogna alzare la qualità dei tecnici, fin dai primi passi, dalle giovanili. Ho visto aspiranti giocatori che non sanno ancora passare correttamente il pallone. In Argentina, fin dai giovanissimi, le basi sono il primo pilastro e quando trasmettono l’ovale lo fanno con intelligenza”. Il sogno di qualsiasi giocatore con una minima dose di ambizione è quello d’indossare la maglia della Nazionale.

Piero: “Per ora non voglio neanche pensarci. Ho subìto tre interventi alle anche e devo ritrovare piena fiducia in me stesso. Adesso tutta la mia attenzione è per il Valorugby”.

Thomas: “Il mio sogno è quello di far parte di una qualsiasi squadra del Top14. Quanto alla Nazionale, ne potrei scegliere addirittura tre: Italia, che mi sta entrando nel cuore, Francia (sono nato lì e ha una squadra fortissima) e Argentina, dove ho vissuto la maggior parte della mia vita. Ho tre passaporti, dovrei solo scegliere se mi chiamassero”.

Dai sogni alla brusca realtà. Chi vince lo scudetto?

Piero e Thomas non hanno dubbi: “Il Petrarca è una squadra che sa vincere, ha il successo nel

Nelle pagine precedenti, a sinistra Thomas Dominguez, 23 anni, mediano di mischia, prima di approdare in Italia ha giocato nel Club Atlético de San Isidro in Argentina; a destra Piero Dominguez, classe 1995. A sinistra, la tecnica passaggio di Piero. Sotto, Thomas in meta con la maglia del Valorugby. A destra, Piero, palla in mano, sotto l’occhio attento di papà Diego.

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sangue, è cinica al punto giusto ed è allenata bene. Ma in questo momento è il Rovigo la formazione più solida: in queste ultime settimane ha trovato il giusto equilibrio, hanno un ottimo gioco al piede, una mischia potente, trequarti agili e veloci e, elemento importante, una panchina lunga. Ma attenzione a non sottovalutare noi del Valorugby. Abbiamo dimostrato che ce la possiamo giocare alla pari sia con il Petrarca che con il Rovigo, per questo abbiamo molta fiducia”.

Tanto accordo fa nascere qualche lecito sospetto. Possibile che non litighiate mai?

“Sì - rispondono in coro Piero e Thomas - ma per vere stupidaggini. Forse anche perché non stiamo insieme nello stesso appartamento (Piero convive con Camilla, argentina, laureata in commercio estero, ndr). In campo, quando giochiamo insieme, ci basta uno sguardo per capire cosa fare e ci proteggiamo sempre, l’uno con l’altro quando gli animi si scaldano”.

Sì, Diego può davvero farsi un po’ da parte e lasciare che il cognome Dominguez possa essere portato avanti da due ragazzi che hanno l’entusiasmo dei giovani e la maturità dei veterani.

Impegno, rispetto e un po’ di fortuna. di Diego Dominguez

Ho sempre obbligato i miei fig li a fare sport, tante discipline diverse, ma certamente ho fatto un po’ di pressione perché alla fine scegliessero il rugby.

Quello che ho sempre ripetuto loro è che la costanza è la cosa più importante per fare bene nello sport, a maggior ragione ad alto livello. Ho insistito perché in campo mettessero sempre carattere, impegno, continuità nell’allenamento e rispetto per la maglia.

Sia Piero che Thomas sono due grandi agonisti, ai quali non piace assolutamente perdere, e questa è una cosa molto importante. Con lo sport si sono fatti molti amici.

Non ho mai messo loro pressione per arrivare. Semplicemente ho sempre insistito perché facciano le cose seriamente e si preparino bene per fare la differenza quando vanno in campo.

Ho anche insistito molto con la tecnica individuale, penso che tutti e due ce l’abbiano molto buona.

Ma alla fine per arrivare ad altissimo livello bisogna sempre avere sempre un po’ di fortuna sia fisica, che nei risultati.

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Di Farrell in Farrell

Padri e figli, fratelli e sorelle. Il rugby è sempre stato un affare di famiglia, più raramente però su fronti opposti. di

“…e Andy generò Owen e Owen generò Tommy”: in questo succedersi biblico, degno del Libro dei Profeti, trova spazio la saga dei Farrell che pochi giorni fa, a Dublino, in quello che un tempo era Lansdowne Road e ora si chiama Aviva Stadium (“i tempi stanno cambiando”, cantava Bob Dylan), ha vissuto un incontro

ravvicinato e un epilogo trionfante per l’uno, rassegnato per l’altro. Non ben cosciente per il terzo, troppo piccolo per capire cosa stava accadendo.

Andy Farrell, inglese con vecchie radici nell’isola color smeraldo, è il ct dell’Irlanda che ha vinto il 6 Nazioni con il Grande

DINASTIE 48
Giorgio Cimbrico

Nella pagina a fianco, Owen e Andy Farrell (a destra), su fronti contrapposti con le rispettive Nazionali.

Sotto, Tommy Farrell (a sinistra) figlio di Owen, con lo zio Gabriel Farrell, figlio di nonno Andy, sul prato dell’Aviva Stadium di Dublino dopo Irlanda v Inghilterra del Sei Nazioni.

Slam, il quarto della storia e il primo festeggiato sul prato di casa, per di più nel fine settimana di San Patrizio, e ha confermato di essere la prima forza del rugby mondiale: non si vince per caso una serie in Nuova Zelanda.

Owen Farrell è il capitano dell’Inghilterra che dopo la disfatta di Twickenham contro i francesi, è andata a battersi con orgoglio e dopo due calci a segno ha incrinato le sicurezze dell’Irlanda, una macchina perfetta nel possesso dell’ovale e nell’avanzamento. Un gioco spietato, triturante.

Il figlio che minacciava un padre singolare: Andy sta per compiere 48 anni. Owen, a settembre, ne farà 32. L’uno e l’altro sono nati a Wigan, città del circondario della Greater Manchester, culla della rugby league, come chiamano i francesi il gioco a XIII, l’avo del football americano, il rugby proletario nato per i proletari delle zone industriali, professionistico sin dalle sue origini, nell’ultima parte dell’età vittoriana. L’altro rugby era borghese, aristocratico, dilettantistico e guardava quel mondo con sussiego e con un certo disprezzo.

A 16 anni, nei Wigan Warriors, Farrell era già un professionista e un padre-fanciullo. Negli anni a venire i regali per il piccolo Owen sarebbero stati dei piccoli pali, delle piccole palle ovali. Nel 1993 Andy vince lo World Challenge che nel rugby a XIII è qualcosa di storico, un Graal: battere a casa loro gli australiani, in quel caso i Brisbane Broncos, è un’ìimpresa che rimane. A quel punto Farrell padre ha 18 anni, Farrell figlio 2.

Nella rugby league Andy segna più di 3000 punti, vince tutto quel che c’è da vincere, diventa nazionale dell’Inghilterra e della Gran Bretagna, i Lions del XIII. Quando il mondo cambia, il muro cade e anche il XV diventa professionistico, passa dall’altra parte e finisce per indossare anche la maglia dell’altra Inghilterra, quella con la Rosa. Quella della League ha i tre leoni.

Nella Rugby union Farrell padre non ha lasciato le stesse profonde tracce: la più rilevante è in una giornata nera, 0-36 contro il Sudafrica nella Coppa del Mondo 2007, da sostituto di Jonny Wilkinson. Nel 2009 lascia il campo, in tempo per veder arrivare il figlio sedicenne ai Saracens, il suo club. La precocità come segno distintivo.

Lavora nello staff tecnico dell’Inghilterra guidato da Stuart Lancaster, sino al disastro della Coppa del Mondo, quando i bianchi vengono eliminati nella fase a gironi facendo sciogliere, come un gelato al sole, le gigantesche ambizioni che erano state sbandierate.

È il momento per tornare nell’isola degli avi, da specialista della difesa, come capita per molti provenienti dalla League. In questo senso, il nome di riferimento è quello di Shaun Edwards, prima al Galles e ora alla Francia.

Quando l’architetto delle fortune irlandesi, il neozelandese Joe Schmidt, decide di tornare in patria, tocca a Andy assumerne la carica, con l’assistenza - di prima qualità - di Mike Catt e di Paul O’Connell.

Nel frattempo Owen vive l’ascesa e la caduta dei Saracens, spediti in Championship, la serie B, per problemi finanziari, si conferma punto fermo dell’Inghilterra, più spesso da numero 10, a volte da 12. Quasi sempre da capitano. Uno dei sei giocatori ad aver superato quota 1000 punti.

Nel frattempo Owen rende Andy nonno, a 45 anni. I Farrell vanno sempre di fretta.

Owen e Andy potrebbero trovarsi nuovamente di fronte il 21 ottobre a Parigi, nella seconda delle due semifinali della Coppa del Mondo 2023. Ma la strada per arrivarci è ancora lunga per entrambi.

Prima del faccia a faccia di Dublino Andy ha regalato a Tommy una maglia verde. Tra vent’anni, forse meno, Andy sarà bisnonno, Owen nonno e la saga dei Farrell andrà avanti.

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Pari o dispari

Dopo due anni di categorie juniores definite dagli anni dispari, la Fir torna a quelli pari. Criticità e motivi della decisione.

“Si torna alle categorie pari”. L’annuncio è del mese scorso, ma la decisione è stata presa due anni fa, il 13 marzo 2021, il giorno in cui ci sono state le elezioni federali. Fu all’inizio dell’assemblea elettiva della Fir che venne messa ai voti la proposta avanzata da Francesco (Franco) Ascione, in quel momento responsabile dell’Area tecnica della Federugby, per l’utilizzo delle categorie pari da lì al 2025. Proposta passata all’unanimità. “Solo che poi ci siamo resi conto di alcuni problemi che si sarebbero presentati con la ripresa degli allenamenti e delle partite dopo il lockdown - spiega Daniele Pacini, attuale direttore tecnico Fir - ci sarebbero stati ragazzi che si sarebbero trovati di colpo, dopo due anni praticamente senza mettere piede in campo, ad affrontare situazioni di gioco, per esempio le mischie, senza averle mai fatte prima. Quindi abbiamo fatto una delibera urgente in cui si passava alle categorie dispari. Ora che l’emergenza è finita è giusto tornare al progetto originario”.

Se fino all’Under 16 il cambiamento verrà assorbito bene, con i ragazzi e le ragazze che in pratica resteranno con i loro compagni dell’ultima stagione, per l’Under 18 si potrebbero presentare problemi, soprattutto per i nati nel 2004, 1.489 atleti in tutta Italia, che da anno medio della Under 19 si troveranno seniores a tutti gli effetti senza possibilità di scendere nella juniores come rientranti. Il rischio è quello dell’abbandono, del trovarsi impegnati in campionati più difficili, duri anche sotto il profilo fisico, o anche di non essere utilizzati per niente. “Il cambiamento porta per definizione a situazioni diverse e, sì, per i nati nel 2004 ci potrebbero essere delle criticità - osserva Pacini -. Ma sta alle società lavorare al meglio perché questo non accada. D’altra parte il passaggio all’Under 18 avrà dei benefici enormi proprio per i club. Analizzando i dati abbiamo calcolato che al prossimo campionato potrebbero iscriversi 40 squadre in più e questo soprattutto in aree più deboli. Creare maggiore densità nei

Tommaso

Victor

Ferrari, anche lui classe 2004, ha preso parte alla recente tournée della Nazionale U19 in Galles. Con il cambio delle categorie Gallorini e Ferrari passano direttamente ai seniores senza possibilità di rientro.

Ferrari, fratello del numero otto delle Zebre, Giacomo, con Augusto Coletti e (coperto) Galusca in sostegno.
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Marcos Gallorini, classe 2004, qui con la maglia della U19 della Capitolina. In azzurro ha già lasciato il segno fra gli U20.

campionati, soprattutto al Sud, permetterà risparmi ai club e meno frustrazione per i giocatori, più divertimento. Dove c’è maggiore densità di club nascono più società che dove ce ne sono poche. Sorpreso? Eppure accade anche nel commercio, si aprono negozi in strade dove ce ne sono altri, magari anche concorrenti, piuttosto che dove non ce ne sono e per questo nessuno le frequenta”. Il ragionamento parte dalla constatazione che in molte regioni le squadre partecipanti ai campionati erano così poche che in certi casi due società si sono incontrate quattro volte in una stagione o alcuni

club sono stati costretti a trasferte molto lunghe e dispendiose pur di poter giocare. “Senza contaredice ancora Pacini - gli aspetti sociali”. E qui si parla di gruppi squadra, di sviluppo mentale e fisico dei ragazzi, di lavoro, studio e pandemia. “Il prossimo anno dobbiamo considerarlo l’anno uno del dopo pandemia. I campionati che si stanno per concludere, i primi senza interruzioni dovute al Covid, li consideriamo il punto zero, la stagione in cui si sono riformati i gruppi squadra, si è tornati a giocare a pieno. I bambini che si sono ritrovati insieme quest’anno saranno insieme anche nel prossimo, questo è un elemento molto importante sia dal punto di vista tecnico che delle relazioni. Ogni volta che c’è il cambio di categoria ci sono rischi di abbandono, l’amico lasciato indietro, punti di riferimento che vengono meno. E nell’Under 14, si sana una piccola frattura che l’Under 15 creava: avere insieme ragazzi che frequentavano l’ultimo anno delle medie e il primo delle superiori. Due mondi completamente diversi, bambini grandi e giovani adulti, con differenze mentali e fisiche importanti. Un ragazzo che va alle superiori è completamente diverso da quello che va in terza media anche se fra loro corrono pochi mesi”. Andando alle categorie successive, ai ragazzi più grandi, quello che fa la differenza resta il passaggio da juniores a seniores. La categoria dispari aveva prolungato di un anno la permanenza anche per dare alle seniores due annualità in più per sopperire agli abbandoni che la pandemia aveva favorito.

“C’erano molti giocatori delle prime squadre che temendo il contagio, e conseguenti problemi sul posto di lavoro, si erano allontanati: i giovani, legati alla juniores ma già seniores, anagraficamente sono stati in molti casi una salvezza”.

Qualcuno avanza l’ipotesi che ci possano essere problemi di abbandono per i 2005, 1.706 atleti in tutta Italia: erano l’anno piccolo della Under 19, si trovano catapultati in seniores.

“Ma con la possibilità di rientrare in Under 18 come fuori quota, quindi di far parte ancora per un anno di quel gruppo squadra con i 2006 (2.114 tesserati) e il 2007 (2.450). Il cambiamento sarà più positivo che altro, sia per i ragazzi che per i club”.

E i centri di formazione? “Quelli restano Under 19 e con l’apertura di quello di Treviso in percentuale copriamo lo stesso numero di atleti di quando erano quattro. Anche questa è una novità importante”.

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Le isole

In mezzo al Pacifico, a due oceani di distanza dall’Europa, c’è una delle fucine di talenti più ricche e suggestive del rugby francese. Breve viaggio tra i campioni di Wallis e Futuna e della Nuova Caledonia.

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Peato Mauwaka (a sinistra) e Yoram Moefana, il primo è nato a Nouméa, in Nuova Caledonia, il secondo a Futuna. Entrambi hanno fatto parte della squadra della Francia che ha disputato l’ultimo Sei Nazioni.

del t esoro

Almeno vent’anni fa - ma è probabile siano di piùun titolo sull’Equipe che incuriosisce: “Grenoble, Pacifique”. C’è anche una foto, popolata di tipi strani, non alti, massicci, volti decisi, braccia tatuate. Metà della squadra della capitale del Delfinato, allora nel campionato più importante, era formata da giocatori di Wallis e Futuna. Di quella squadra il capitano era Willy Taofifenua, un nome da annotare. E’ passato molto tempo e ora quelle isole lontane hanno conquistato la fama di nursery ovale, La più fertile del mondo.

Wallis e Futuna, territorio d’oltremare francese, tra Fiji e Samoa, nome indigeno Uvea mo Fatuna sono piccole, 142 km quadrati. Malgrado la modestissima superficie sono divise in tre regni tradizionali. Il re di Uvea, che comprende l’isola di Wallis, è Patalione Kanimoa; quello di Alo (formato dalla parte est di Futuna e dall’isola di Alofi) è Lino Leleivai e quello di Sigave (che consiste nella porzione ovest di Futuna) è Eufenio Takala.

A Wallis abitano più o meno in 9.000, a Futuna poco più di 4.000, ad Alofi nessuno perché quelli di Futuna nel corso del XIX secolo se li sono mangiati. L’isoletta si sta lentamente ripopolando: all’ultimo censimento risulta la presenza di due persone. L’arrivo del rugby dovrebbe coincidere con il trattato con la Francia, firmato nel 1888. Per una dozzina d’anni, tra i Sessanta e i Settanta, Wallis e Futuna hanno avuto una loro selezione “territoriale”: hanno giocato una dozzina di match, ne hanno vinto uno (3-0 con Tahiti) e quando sono andati a misurarsi con le Fiji sono stati duramente puniti: 84-8.

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La miglior sconfitta (6-0) è venuta con Vanuatu, un tempo Nuove Ebridi, un ex-dominio franco-britannico. Altri avversari: Nuova Caledonia, Papua e Nuova Guinea (dove la league ha da tempo la meglio sull’union) e le Isole Cook che nell’unico contatto, nel luglio dell’80, batterono, 15-6, gli Azzurri di Villepreux.

Il fenomeno della presenza - e del livello - di questi cittadini francesi che abitano a un giorno d’aereo dal Charles de Gaulle, sia in campionato che tra i Bleus, ha portato, nel 2016, al parto di un film, “Mercenaire”, la storia di un giovane che, per rompere i cattivi rapporti che corrono con il padre, lascia Wallis e Futuna, raggiunge Agen e diventa un giocatore di rugby. Dalla finzione cinematografica alla realtà il passo è molto breve.

E così possono entrare in scena le storie recenti di due punti fermi dell’ambiziosa selection di Fabien

Galthiè: Yoram Moefana (centro del Bordeaux, 16 caps) e Peato Mauvaka (tallonatore del Tolosa, 20), due mete agli All Blacks a novembre. Peato è secondo cugino di Romain Taofifenua, figlio di Willy - pro -

prio lui, il capitano di quel Grenoble, una specie di fondatore della dinastia - e fratello di Sebastien che con la maglia del galletto Diomede ha giocato due test.

Taofifenua figlio (2,03 per 133, seconda linea del Tolone, 20 caps) è anche cugino di Christopher Tolofua, a sua volta fratello di Silevasio, del Tolosa. Complessi legami di parentela rivelano anche che Tapu Falatea, dell’Agen, e il fratello Sipili sono, oltre che gli ispiratori, anche gli zii di Mauvaka, pur essendo appena più anziani. In questi incroci famigliari i wallisiani possono reggere il confronto con una delle più solide (in tutti i sensi…) schiatte, quella dei samoani Tuilagi, attivi in Inghilterra, in Francia e in passato anche in Italia. Di recente si sta facendo largo anche un altro patronimico: Tuipulotu: lo portano uno scozzese e una gallese. La solidità e la forza sono alla base delle fortune degli oceanici: Yann David, quattro test nel 2008 e ancora in campo con il Bayonne, ha una mamma, Mika Fiafialoto, nata a Wallis, due volte campionessa di Francia nel giavellotto.

Non tutti sono nati in quelle isole. Romain Taaofifenua ha visto la luce a Mont de Marsan, una zona dove il jeu a XIII affianca quello a XV. Ad Angers è venuto al mondo Emerick Setiano, il pilone che Jacques Brunel provò nell’estate del 2019 per poi portarlo e utilizzarlo nella spedizione mondiale in Giappone.

Molti di questi francesi d’oltremare - pardon, lontani due oceani dal paese di Marianna - attivi nei vari campionati e con un passato e un presente in Nazionale, possono sembrare a prima vista originari di un altro territorio, la Nouvelle Caledonie. In realtà, hanno radici a Wallis e Futuna: l’80% dei tesserati del Dombea, il club di Noumea che ha stretti rapporti con il Tolosa, appartiene per stirpe a quei due puntolini persi in quello che Hugo Pratt chiamava il mare salato. Da quelle acque sbuca, legato a una zattera, Corto Maltese; da quell’infinito blu arrivano schiere di guerrieri.

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Romain Taofifenua svetta in touche contro l’Irlanda. Nel riquadro, Willy Taofifenua ha giocato nel Grenoble.

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I chilometri che separano Wallis e Fotuna dalle Fji (a sud ovest). Samoa dista circa 600 km a est. Wallis e Fotuna rappresentano una collettività francese d’oltremare, la Nuova Caledonia è una collettività sui generis. In entrambi casi il capo dello Stato è il presidente della Repubblica francese.

1998

L’anno dei pionieri. Tra i primi giocatori dei territori d’oltremare ad approdare al rugby francese di alto livello, oltre a Willy Taofifenua, va segnalato Abraham Tolofua, che vestì la maglia di Grenoble tra il 1998 e il 2000 e poi quella del Clermont nelle tre stagioni successive. I nipoti di Abraham, Cristopher e Selevasio Tolofua, hanno giocato entrambi per la Francia.

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Articolo

Guardo sorpreso una foto scattata a Murrayfield qualche anno fa, nella McLaren Room, la sala stampa stracolma di giornalisti italiani. Altri tempi…

La stampa e il rugby. Si è già scritto ampiamente di editoria, a partire dagli Anni Settanta e da All Rugby prima serie. Ora cerchiamo di illustrare il rapporto specifico tra stampa e Nazionale, partendo da ancor più lontano. Dalla prima partita della nostra Nazionale nel secondo Dopoguerra: 28 marzo 1948, contro la Francia B a Rovigo, persa 39-6. Che è stata anche la prima partita degli Azzurri alla quale ho presenziato. Non avevo ancora 11 anni.

A questo punto, si capirà e chiedo scusa, la “storia” diventa per qualche tempo molto personale. Mi ero già appassionato di rugby: un anno prima avevo assistito alla semifinale del risorto campionato italiano tra Rovigo e Ginnastica Torino (che avrebbe poi vinto il titolo), trascinato da vicini di casa, parenti del terza linea torinese Sili-

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quini. La battaglia fra Maci Battaglini, alla vigilia della sua emigrazione in Francia, e il mitico capitan Bertolotto mi aveva entusiasmato ben oltre il 3-3 finale. Dal giorno successivo cominciai a cercare sulla “Gazzetta dello Sport” di quel tempo, tutte le notizie del rugby. In fatto di sport sono stato un bambino fortunato. Mio padre era un appassionato a largo raggio e “La Gazzetta” cominciò a essere lettura quotidiana dal 20 marzo 1946. Ricordo benissimo la data perché il giorno prima Fausto Coppi aveva vinto la Milano-Sanremo con 14 minuti di distacco sul francese Lucien Tesseire, Sì, proprio il giorno in cui il radiocronista Niccolò Carosio (allora non c’era tv, ovviamente), dopo l’arrivo e i primi commenti su Coppi, pronunciò il famoso “… e ora, in attesa di altri arrivi un po’ di musica da ballo”.

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Com’era possibile, in quei tempi, non diventare “tifosi”? Coppi, Rovigo, la Nazionale di rugby, Adolfo Consolini e il quattro della Moto Guzzi (Moioli, Morille, Invernizzi, Faggi… quasi una litania) campioni olimpici. “Tifo” e tanta “Gazzetta”. E notizie di rugby, a volte addirittura in prima pagina, per seguire Nazionale e campionato.

Dopo la guerra anche i giornali sportivi avevano ripreso alla grande: il Corriere dello Sport, nato a Bologna nel 1924, diventato “Littoriale” durante il regime, poi sospeso, riprendeva nel giugno 1944 ancora in pieno conflitto ma con Roma liberata, voce sportiva del centro-sud. Intanto “Stadio”, che era stato una costola del “Corriere”, veniva rifondato come settimanale nel luglio 1945 e diventava quotidiano nel marzo 1948. Sempre a luglio 1945 nasceva bisettimanale “Tuttosport” a Torino, che diventerà quotidiano dal marzo 1951.

Con la “Gazzetta” che pur tra vicissitudini varie è sempre stata presente anche nei periodi delle due Guerre, sono - quindi - quattro i quotidiani sportivi che testimoniano Italia-Francia B a Rovigo, nel 1948. Si può tranquillamente affermare che in quel tempo il rugby che conta - la Nazionale non giocava da sei anni - è nelle mani informative dei 4 quotidiani sportivi, che costituiscono un primato mondiale dell’editoria sportiva.

I molti quotidiani locali seguono, dal canto loro, l’attività dei club della provincia, con scarse notizie generali. L’esempio più comprensibile è forse quello del “Gazzettino” e delle sue 13 (in quei tempi) edizioni provinciali: se Rovigo incontra Roma, il resoconto del match appare soltanto nell’edizione di Rovigo (i giornali romani si avvalgono di corrispondenti o

scarne notizie di agenzia); se - invece - Treviso incontra Padova, il resoconto appare soltanto nelle due edizioni locali. Bisogna sfogliare le cosiddette “pagine generali”, visibili a tutti i lettori, per trovare in un piccolo box, che riporta nudi e crudi i risultati e la classifica del campionato.

Tutto ciò accade, con logiche variazioni, per esempio anche a Brescia e a Parma; a Livorno e all’Aquila e in ogni altro luogo dove operano testate provinciali. Insomma il rugby di club è un’attività quasi irraggiungibile, molto carbonara (e i primi a rendersene conto sono gli arbitri, che soltanto “sul campo” comprendono la differenza di un arbitraggio nelle spesso turbolente Rovigo, L’Aquila o Livorno rispetto a Parma o Padova).

Dopo Italia-Francia B a Rovigo, i quattro quotidiani sportivi puntano molto sulla Nazionale che rinasce. Riferimento la Francia. I francesi sono stati riammessi al Cinque Nazioni dopo 16 anni di esclusione (Francia-Scozia, due mesi prima del match di Rovigo) e l’Italia punta a ritrovare la nobiltà del grande match, alla pari, proprio contro i francesi, dato che i britannici nemmeno ci “vedono”.

Sarà necessario attendere fino al 17 maggio 1952, più di 5 anni, prima di una vera Italia-Francia a Milano, dove i francesi (quarti nel Cinque Nazioni) superano 17-8 gli azzurri nella finale della rinata Coppa Fira. È questo il periodo nel quale sui 4 quotidiani sportivi si consolida un quartetto di firme storiche. È una vera e propria quadriga che trascina il cocchio azzurro, osservando quel che accade all’estero (per quanto si può sapere in tempi di diffusione delle no -

Nelle pagine precedenti, la folla straripante sulle strade per l’impresa di Fausto Coppi a Sanremo nel 1946 e, nel riquadro, una formazione della Ginnastica Torino campione d’Italia nel 1947. A destra, la squadra azzurra che il 17 maggio 1952 affrontò la Francia a Milano.

Sotto, una touche fra Francia e Galles a Colombes nel 1953.

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tizie molto complicati), ma con un’apertura necessaria verso le cose di casa. Sono gli anni in cui, da aspirante giornalista, compilo tabellini del campionato per Sportinformazioni, l’agenzia milanese che passerà alla storia per il nome di Beppe Viola tra i collaboratori.

La “quadriga” è formata da Franco Imbastaro, caporedattore della “Gazzetta”; da Alberto Manetti (ma anche Alberto Marchesi, grande firma) per il “Corriere dello Sport”; da Beppe Tognetti, collaboratore (nella vita fa il dentista), apprezzato scrittore, per

“Stadio”; da Onorato Cerne (Cernetich prima delle leggi fasciste sull’italianizzazione dei cognomi per gli istriani) per “Tuttosport”, che alterna il rugby allo sci e al tennis.

Li incrocio raramente, li leggo avidamente. Il rugby - in tempi di assenza radiofonica e televisiva - sono loro. I loro articoli, le loro osservazioni, i loro viaggi al seguito della Nazionale. La Fir ne sostiene l’impegno e qualche volta contribuisce alle spese. Imbastaro, da caporedattore “Gazzetta”, è il guru. Spesso il campionato di rugby viene annunciato e commentato in prima pagina. È pur vero che sono tempi in cui motori, basket, volley, gli stessi sport invernali praticamente non occupano spazi, ma per il rugby è un privilegio che, una volta mancato Imbastaro, perderà quasi del tutto, nonostante eredi appassionati quali saranno Pierluigi Fadda e Carlo Gobbi.

Quando gli Azzurri giocano in Italia, agli scritti della “quadriga” si aggiungono quelli dei giornali locali, che comunque hanno voce in capitolo solo episodica. Eppure - cito a memoria e mi scuso per le omissioni - esibiscono le firme di Ersilio Motta (Giornale di Brescia), Piero Saccenti (Unità e Gazzetta di Parma), Checco Valvassori (Padova), Teo Betti (Il Messaggero), Lino Tomiato (Il Gazzettino, con Comaschi e Manganiello dalla sede veneziana, dove si edita

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Un primo piano di Ersilio Motta, capostipite dei giornalisti bresciani.

A destra, 1968, Italia v Germania Ovest allo stadio di Sant’Elena di Venezia.

Sotto, una conferenza stampa a Rovigo, nel 1980. Si riconoscono, da sinistra, Tognetti, con gli occhiali, Baldo Moro, Alberto Manetti (in primo piano), al suo fianco, un giovanissimo Toni Liviero copre in parte Piergiorgio Callegari. Dietro di loro, Mirko Petternella, Mauro Alunni, il fotografo Luciano Diana, Massimo Selleri, di profilo con la barba, e Luciano Ravagnani, ultimo a destra.

anche un trisettimanale, “Ognisport”, nato soprattutto per il ciclismo); Franco Giancarli, Dante Capaldi e Bruno Vespa per i quotidiani in edicola all’Aquila; Carlo Bruzzone (giocatore, arbitro, giornalista) a Genova, da dove arriverà più avanti Giorgio Cimbrico.

La “quadriga” tiene per mano il rugby azzurro e di vertice (il vertice di quei tempi…) per una quindicina di anni, quasi in esclusiva. Poi anche la provincia, che praticamente ha scippato alle grandi città-guida il rugby e il potere mediatico (dallo scudetto 1949 a Roma passeranno 42 anni prima dello scudetto all’Amatori Mediolanum del 1991), si fa sotto con spiccato spirito campanilistico. La particolarità geografica in cui è diffuso “Il Gazzettino”, con le tre città più titolate Padova, Rovigo, Treviso (31 scudetti in 39 campionati, grazie anche alle Fiamme Oro stanziate a Padova), contribuisce a orientare un certo interesse verso il giornale triveneto, ben oltre il territorio di diffusione.

Nel 1966 a chi scrive queste note, redattore a Rovigo, viene affidata dalla redazione sportiva centrale la rubrica “Rugby” per la cosiddetta “parte generale”, cioè leggibile in tutte le edizioni. Si scrive di campionato, ma anche di Nazionale in tono a volte polemico, considerato che quasi tutti i tecnici che si susseguono alla guida dell’Italia continuano nel loro strabismo romano-milanese. Un “aiuto” arriva dal bresciano Ersilio Motta che entra addirittura in aperto conflitto con la FIR, lui che è tesserato, con seguito di squalifica.

Nel 1968 il “Gazzettino” esibisce spazi enormi, esagerati, per due partite giocate nel suo territorio: ItaliaGermania (22-14) a Venezia e Italia-Jugoslavia (22-3) a

San Donà di Piave. Ciò stupisce la FIR presieduta dal livornese Montano, forse il presidente che, con Aldo Invernici, più ha compreso l’importanza di un certo tipo di comunicazione a livello territoriale nel rugby. Nel febbraio 1969, la FIR tramite il tesoriere federale Aurelio Valchierotti di Rovigo e il consigliere federale Piero Sorteni di Venezia, invita il “Gazzettino” a seguire con un suo giornalista la partita Bulgaria-Italia di Coppa Europa B. Alla “quadriga” storica si aggiunge, così, un quinto elemento e la fortuna tocca a me. Rappresento, comunque, da quel momento la involontaria chiave che apre molte porte. Il nuovo quintetto resta compatto, ma di volta in volta, a seconda delle situazioni, si allarga il numero dei giornalisti al seguito della Nazionale. La Federazione è molto attenta, disponibile, ospitale.

Personalmente ho la fortuna, negli anni, di vedere ripagato l’impegno per il rugby (seguo anche il ciclismo e gli sport olimpici) con trasferte ampiamente supportate dalla redazione e agevolate dalla FIR. Fino a trovarmi unico “sopravvissuto” del quintetto. Ma raramente, a parte le numerose lunghe tournée solitarie (dal Sudafrica al Sud Pacifico), mi trovo senza un numero più o meno cospicuo di colleghi, dei quotidiani nazionali e dei quattro quotidiani sportivi che hanno rinnovato i ranghi, sostituendo per motivi diversi quelli della “quadriga”.

Pur nelle ristrettezze di bilancio (ancora non ci sono i fondi del Sei Nazioni), la Federazione - presidenti Invernici, Mondelli e Dondi - non lesina attenzioni per la stampa. Che l’Italia giochi a Buzau, Brasov, Braila o Costanza (Romania), Monastir o Menzel Bourghiba (Tunisia), Tarbes, Carcassonne, Chalon sur Saone o Annecy (Francia), Makarska, Spalato

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(Croazia), Apeldoorn (Olanda), Sochawecz (Polonia), Chisinau e Kiev in alternativa a Mosca (Urss), Belfast o Cork (Irlanda), oppure nelle piccole-medie tournée (Argentina, Canada-Usa, Zimbabwe, Namibia, Scozia, Irlanda ecc.), sempre un numero più o meno consistente di giornalisti segue gli Azzurri. Un segno di credibilità mediatica, sollecitata, indotta e sostenuta, che comunque lascia traccia e sollecita i cosiddetti mezzi audiovisivi (Rai e Tele Montecarlo in particolare) a mostrare e parlare di rugby.

Il rugby azzurro in quegli anni può contare su un

lungo elenco di ottimi professionisti e appassionati. Per chi fosse interessato ai nomi li cito, alla rinfusa e con scarso rispetto anagrafico e del passare del tempo, con la certezza - e conseguenti scuse - di dimenticarne molti. In ordine sparso: Alfio Caruso (Il Giornale), Lucio Pomicino (Il Mattino di Napoli), Fulvio Solms, Marco Evangelisti, Dario Torromeo e Francesco Volpe (Corriere dello Sport), Antonio Paolini (Messaggero), Paolo Pacitti (Rai), Giancarlo De Risio (Messaggero L’Aquila), Toni Grossi e Fabrizio Zupo (Mattino Pd), Giorgio Lo Giudice (Gazzetta Sport Roma), Alvaro Brini (Momento Sera), Mauro Alunni, Paolo Rosi, Mirko Petternella e poi Mimmo Marcozzi (Rai-Tv), Corrado Sannucci (La Repubblica), Sergio Rotondo, e poi Domenico Calcagno (Corriere della Sera), Alessandro Andriolli (Resto del Carlino), Massimo Selleri (Il Gazzettino), Baldo Moro (Il Tempo), Aldo

A sinistra, foto ricordo al Cremlino, per Urss v Italia del 1981. Da sinistra, in piedi: Teo Betti, Giorgio Lo Giudice, Alberto Marchesi, Luciano Ravagnani. In basso, da sinistra, Gianfranco Bellè, Giacomo Mazzocchi e un tifoso di Rovigo. Sotto, da sinistra Toni Grossi, Paolo Catella, Oscar Eleni e Carlo Bruzzone all’Eden Park di Auckland durante la Coppa del Mondo 1987. In basso, conferenza stampa di Brad Johnstone al Millennium Stadium di Cardiff nel 2002. Si riconoscono: Gianluca Barca, in piedi, alla sua destra, seduto, Paolo Ricci Bitti, con la mano sul viso Carlo Bruzzone. A destra, in piedi, taccuino in mano, Diego Forti.

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Foà (La Notte), Remo Musumeci (L’Unità), Roberto Calvetti (Messaggero Veneto), Riccardo Capasso (Paese Sera), Nando Aruffo (Stadio), Sante Rossetto (Tribuna Treviso); Giuliano Califano e Cristiano Chiavegato (La Stampa), Fabio Tracuzzi (La Sicilia). E ancora Paolo Catella (Tribuna Treviso), a lungo rappresentante della stampa italiana al Sei Nazioni. E Andrea Passerini, Paolo Ricci Bitti, Valerio Vecchiarelli, Giacomo Bagnasco: tutti ancora tanto presenti, quanto spesso trattati con sussiego.

Più tardi, diciamo negli anni che precedono Francia v Italia del trionfale successo di Grenoble nel marzo 1997, si afferma una nuova generazione (molti i nomi fra quelli già citati) che aveva cominciato a farsi le ossa durante le gestioni azzurre di Villepreux, Fourcade e Coste.

Una “scuola” preziosa che dà valore sia alla critica che al consenso. Tra i molti difetti del rugby italiano non è mai stato generalizzato il servile encomio. È con questa nuova generazione, che annovera il ricercatore storico e scrittore Elvis Lucchese (Corriere della Sera, edizione veneta), gli attivissimi Antonio Liviero e Ivan Malfatto (Il Gazzettino), Massimo Calandri (Repubblica), Simone Battaggia, Andrea Buongiovanni e Marco Pastonesi (Gazzetta), Stefano Semeraro (La Stampa), che arriva il Sei Nazioni. Ci sono anni di euforia, tribune stampa anche in trasferta con tanti giornalisti italiani. Addirittura piccoli pullman tutti per loro verso gli stadi.

Un capitolo a parte meriterebbero i fotografi, da Paolo Gioli a Daniele Resini, con Piero Rinaldi, Diego Forti, Gianpaolo Donzelli, Roberto Grillo ecc.. Poi un lento, inesorabile distacco. Chi lo addebita alle prorompenti nuove tecnologie dell’informazione, chi allo strapotere della televisione, chi al concretizzarsi di un certo fastidio, forse sempre coltivato ma ben nascosto, del potere federale, fatto è che - ora come ora - si è giunti all’ultimo

Scozia v Italia a Murrayfield, dove erano presenti soltanto tre giornalisti. Volontari e a totali proprie spese. Guardo sorpreso una foto scattata a Murrayfield qualche anno fa, nella McLaren Room, la sala stampa dedicata dagli scozzesi al loro indimenticabile telecronista: stracolma di giornalisti italiani. Altri tempi...

Ora tutto è cambiato ed è nelle mani e nella passione della nuova generazione di giornalisti, ignorati spesso e tenuti ai margini per rispetto delle nuove regole, ma anche per una certa spocchia, nascosta dai pomposi titoli di “Media Manager” affidati un po’ a tutti, filtro fastidioso tramite tecnologia, fra protagonisti e testimoni.

I nomi della nuova generazione li trovate nelle pagine di Allrugby. Nelle volenterose firme residue di “Gazzetta”, “Corriere dello Sport” e “Tuttosport”, in quel che resta de “Il Gazzettino” e nella quasi rabbia dei quotidiani provinciali, rappresentati per tutti da Gianluca Barca di Brescia, presenza costante da circa 30 anni, anima di Allrugby, ultimo bastione cartaceo di un giornalismo rugbistico che resiste all’usura dei tempi e delle difficoltà.

Conferenza stampa a Londra, in occasione di Inghilterra v Italia del 2009. Nick Mallet, a sinistra, spiega la scelta di schierare Mauro Bergamasco mediano di mischia. Di fianco a lui, nell’ordine, Sergio Parisse, Andrea Marcato, Carlo Checchinato. In piedi a destra Andrea Cimbrico, in primo piano, il taccuino degli appunti di un altro Cimbrico, Giorgio.

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Da sinistra, Marco Pastonesi, Carlo Gobbi, Diego Forti, Corrado Sannucci, al Millennium Stadium nel 2004. In primo piano, seduto, Paolo Ricci Bitti.
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Ricordo di Ennio Ponzi

Aveva vinto due scudetti con l’Aquila e indossato venti volte la maglia della Nazionale. Parlano i compagni di squadra.

Se n’è andato il gentleman del rugby, Ennio Ponzi.

Aveva da poco compiuto 72 anni e tra il 1973 e il 1977 aveva collezionato 20 presenze in Nazionale come mediano d’apertura.

Con la maglia neroverde dell’Aquila disputò 17 campionati, mettendo a segno in totale 1.423 punti e portando il club a due scudetti consecutivi,1981 e 1982.

Con la maglia azzurra aveva esordito contro la Cecoslovacchia a Rovigo, nel 1973 (3-3, suo il calcio di punizione per l’Italia). L’ultima sua partita internazionale, contro la Romania a Bucarest nel 1977.

Ponzi sapeva farsi amico il vento, facendo volare al centro dei pali quel pallone ovale, come un aquilone, da posizioni impossibili.

E come un refolo di vento brusco ed improvviso, Ennio ha sorpreso ancora una volta tutti, lasciando nello sgomento la moglie Donatella, il figlio Alessio (anch’egli rugbista, flanker nell’Avezzano) e i suoi ex compagni di squadra.

Le sue finte, i suoi improvvisi cambi di passo questa volta non hanno ingannato la malattia, di cui quasi nessuno sapeva e che alla fine lo ha placcato in modo feroce.

Questa volta le parole hanno un peso e sono quelle di chi lo ha affiancato in tante battaglie sul campo di rugby.

Fulvio di Carlo (pilone, seconda linea, due scudetti, due coppe Italia con l’Aquila, 14 presenze in Nazionale):

“Quella mattina maledetta sono stato svegliato da una telefonata di Piero Irti (ex estremo dell’Aquila) che mi ha detto che Ennio non c’era più. Non ci volevo credere. Ho cominciato ad urlare e mia moglie, dall’altra parte della casa, è corsa a vedere cosa fosse successo. Non ho perso solo un amico, ma una guida. Quando ho cominciato con l’Aquila avevo 16 anni, venivo da Roio, un paesino a pochi chilometri dal capoluogo, facevo fatica ad inserirmi. Ma lui, insieme con pochi altri, mi aiutò, capì le mie qualità tanto che quando Altigieri s’infortunò fece il mio nome all’allora tecnico della nazionale Roy Bish che, a 21 anni, mi fece debuttare in azzurro, saltando tutte le selezioni di categoria e di età.

Io in campo - prosegue Di Carlo - sono sempre stato impulsivo, passionale. A Rovigo, in una partita decisiva per lo scudetto l’arbitro aveva appena espulso Naudè, un gigante che da solo faceva mezza mischia. I miei compagni mi invitarono a stare calmo, la partita era

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di Andrea Fusco

nostra. Ma dopo neanche 5’ il loro mediano di mischia, Manni, mi rivolse un insulto insopportabile per me. Caddi nella provocazione e lo inseguii, dandogli un pugno. Cartellino rosso e ciao. Ero mortificato. Quasi tutti in campo mi rimproverarono per quel gesto. Ennio fu l’unico a tacere. Mi guardò e basta e quella per me fu una lezione importante. L’ultima volta che l’ho visto è stata in occasione del ritorno a l’Aquila di Rob Louw, lo scorso febbraio. Arrivai in ritardo, i posti erano già tutti presi. Ennio m’invitò a sedermi accanto a lui, insieme con Rob, ma non c’era spazio e per pudore andai in un altro tavolo. E adesso rimpiango di non averlo fatto, di non essergli andato vicino, di chiedergli come stava. Quando sono andato a trovarlo, nella camera ardente volevo accarezzarlo, toccarlo, ma non ci sono riuscito, come quando morì mio padre. Ora se potesse ascoltarmi gli direi solo “Ennio pensa più a te stesso’. Forse se l’avesse fatto sarebbe ancora con noi”.

Serafino Ghizzoni (ala, estremo, 60 presenze in Nazionale, 20 mete, 3 scudetti con l’Aquila, 450 partite e 170 mete):

“Ennio era un uomo affascinante. Lo chiamavano Marlon Brando. Era dotato di una classe rara, non solo nel gioco, ma nel modo di parlare e di comportarsi con gli altri. Apparentemente era riservato ma con gli amici dava il meglio.

Come carattere eravamo praticamente all’opposto, ma tra noi nacque un’amicizia profonda. Avevamo la passione delle motociclette e negli anni ‘70 lui aveva una Kawasaki 500, mai vista a l’Aquila. Era un centauro formidabile, un ottimo tennista. Pochi sanno, e adesso lo posso dire, che lo feci tesserare col Tempéra Calcio (Tempèra è una frazione di L’Aquila, ncr), insieme con Pierluigi Pacifici (ex estremo dell’Aquila e della Nazionale). Era una mezzala intelligente e potente. Spesso giocavamo il sabato a pallone, all’insaputa dei tecnici del rugby e la domenica scendevamo in campo al Fattori.Incuteva un rispetto incredibile. Nello spogliatoio, prima della partita, anche se non era il capita -

no, l’ultima parola era la sua e quando parlava non fiatava nessuno. Mai nervoso, mai sopra le righe. Mi è dispiaciuto non essermi accorto che stava male, forse avrei potuto fare qualcosa di più, magari vederci con maggiore frequenza. Sono le occasioni mancate della vita. Ai funerali mi sono sistemato dietro una colonna, ci sono andato per rispetto, ma non potevo pensare che Ennio era lì, chiuso in una bara. Con lui se ne va una parte di me”. Massimo Mascioletti (ala, 280 presenze, 227 mete con l’Aquila, giocatore dell’anno nel 1979 e nel 1982, 3 scudetti, 60 presenze in Nazionale e 20 mete): “Non era un semplice mediano d’apertura, era un direttore d’orchestra, ruotava tutto intorno a lui. Ho esordito in serie A a 15 anni ed il mio cammino lo devo soprattutto a lui, a Fulvio Di Carlo e ad Antonio Falancia (ex tallonatore e flanker) che mi hanno sempre protetto nella fase iniziale della carriera. Mi ha sempre trasmesso calma specie nelle situazioni più delicate. Anch’io ‘ho visto l’ultima volta alla cena in onore di Rob Louw, e dopo pochi giorni se n’è andato. Quando ho saputo della sua scomparsa è stato un fulmine a ciel sereno. Il primo pensiero è come avesse potuto quella sera essere così tranquillo, sorridente, sapendo che la malattia lo stava spegnendo. Sono andato al funerale, ma ho resistito un quarto d’ora, poi non ce l’ho fatta più. Per me Ennio era un immortale, un esempio per tutti. E se ora potessi gli direi semplicemente che gli ho voluto bene in modo infinito, un bene intriso di rispetto e di ammirazione”.

Giorgio Morelli (tallonatore, 2 scudetti e due coppe Italia con l’Aquila, 339 presenze e 220 punti con il club neroverde, 26 presenze e tre mete in Nazionale, ora vice-presidente federale):

“Ennio era il vero punto di riferimento della squadra perché in campo dava un senso logico

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a tutto il lavoro svolto in settimana. Sapeva fare tutto, non aveva un difetto come un giocatore, così come nella vita. La sua personalità si può riassumere con tre termini: signorilità, garbo ed impegno. E queste qualità, quando giocavamo, si traducevano in tranquillità. Paolo Rosi, quando Ennio era più giovane, amava spesso ricordare che era studente in medicina. E lui medico lo diventò davvero. Preparato e scrupoloso. È stato anche il nostro medico in famiglia. In tanti anni di rugby, vissuti dentro e fuori, è difficile trovare un giocatore che possa riassumere le sue qualità tecniche e morali. Facendo le dovute proporzioni forse ora Paolo Garbisi ha lo stesso atteggiamento. Non sapevo nulla della sua malattia e ora che non c’è più gli direi “non te ne andare, abbiamo ancora bisogno di te”.

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Sopra, Ponzi nel 1969, a 18 anni, durante il primo torneo giovanile Fira. A destra, con l’allenatore gallese Roy Bish.

Il futuro del rubgy parte dai bambini

Italian Classic XV, la società sportiva che dà vita alla squadra ad inviti degli ex giocatori della Nazionale Italiana di Rugby Over 30, promuove l’iniziativa Italian Classic Rugby Baby School per sostenere la crescita dei più piccoli e al contempo lo sviluppo del movimento rugbistico italiano Come sostenere lo sviluppo del movimento rugbistico in Italia? Una proposta arriva da Italian Classic XV, la società sportiva che dà vita alla squadra ad inviti degli ex giocatori della Nazionale Italiana di Rugby Over 30 e che vuole trasmettere ai bambini, in particolare a quelli di età pre-scolare, e alle loro famiglie i valori di questo sport. Con questa visione, Italian Classic XV ha costituito l’Italian Classic Rugby Baby School già nel 2018. Si tratta di una scuola di rugby rivolta a bambine e bambini dai 3 ai 6 anni, senza ambizioni di competizione ma con il solo intento di farli innamorare di questo sport. Attiva presso Castello Tolcinasco Golf Resort & Spa, dal 2021 ha iniziato a trasferire con successo la propria esperienza anche in altri contesti educativi di età prescolare.

Per dare impulso alle attività della Italian Classic Rugby Baby School, Italian Classic XV ha messo a punto anche il progetto “Una palla ovale per ogni bambino”. L’obiettivo è di offrire una formazione specifica agli istruttori che vogliano trasferire i benefici psico-fisici del rugby ai bambini e portare così il programma di motricità della Italian Classic Rugby Baby School nelle scuole

dell’infanzia, in circoli polisportivi e, potenzialmente, in qualunque contesto e organizzazione ove sia possibile intrattenere i bambini. Questa iniziativa è stata lanciata nell’autunno 2021 con l’Italian Classic Rugby Baby School Training Day, una giornata di formazione organizzata in collaborazione con Allianz, Campo dei Fiori, FOO’D, Macron e Plasmon, e che ha potuto contare sulle competenze diverse di tanti relatori d’eccezione: dal giornalista sportivo Massimo De Luca, conduttore della giornata, al rugbista Giovanbattista Venditti, dallo psicologo Riccardo Goldstein, alla nutrizionista Giulia Fiore, fino allo chef stellato Davide Oldani.

“Italian Classic Rugby Baby School è il modo con cui Italian Classic XV intende avvicinare i bambini e le loro famiglie al nostro sport, proprio nel momento in cui i più piccoli si aprono alla vita collettiva”, afferma Marcello Cuttitta, Presidente di Italian Classic XV. “La pratica di un’attività sportiva aiuta la crescita dell’apparato scheletrico e muscolare, stimolando il metabolismo dei bambini. E in particolare il nostro sport sostiene in modo positivo anche la formazione della loro personalità, aprendoli a valori quali cooperazione, spirito di squadra, abnegazione. Sono questi i valori del rugby che da sempre promuoviamo e che vogliamo trasmettere con tenacia alle nuove generazioni”.

Marcello Cuttitta, ultima a destra, con il team di Italian Classic XV. Da sinistra: Fausto Salierno, Ettore Monaco, Andrea Sturiale.

LO SPAZIO TECNICO LO SPAZIO TECNICO

PENSARE (ANCHE) CON I PIEDI

Non sono molti gli sport di squadra in cui è possibile utilizzare mani e piedi nella gestione dell’attrezzo. Nel rugby abbiamo sicuramente uno dei massimi esempi e, da sempre, il gioco al piede ha tenuto banco nella discussione legata all’utilità, all’efficacia e anche allo spettacolo che questo specifico ambito riesce ad offrire.

All’interno dell’evoluzione del gioco e del regolamento anche l’utilizzo del piede ha avuto un suo sviluppo: siamo in un range di 25-35 calci a partita per ogni squadra e, con le dovute eccezioni, un gioco al piede efficace corrisponde a squadre con modelli di gioco competitivi nei propri campionati: Montpellier, Leicester, Stormers, Crusaders, La Rochelle.

Se nel 1987 il calcio da box era solo il 5% del totale, ora siamo al 25%: dunque la sfida è sempre più nelle mani di numeri 9 di altissima qualità come Dupont, De Klerk, GibsonPark, il giovane Van Poortvliet.

La regola 50:22 ha offerto ulteriori opportunità all’uso del piede soprattutto nei momenti di transizione quando la copertura profonda del campo non è ancora organizzata.

Stessa cosa ha generato la regola denominata Goal Line Drop Out: annullare in area di meta porta le squadre a dover ripartire con un drop; quanti adattamenti e riflessioni su come coprire il campo dietro, sul calciare in mezzo o sui lati, per contendere o per guadagnare più terreno possibile, sull’annullare o contrattaccare. Sembra che il cambia-

mento di regole stia incoraggiando questo aspetto del gioco.

Nell’ultimo 6 Nazioni si è fatto riferimento, riguardo alla nostra Nazionale, alla necessità di avere all’interno del piano di gioco una più efficace organizzazione per quanto riguarda il gioco al piede; e ricordiamo la squadra delle Zebre sotto la gestione di Bradley dove si sceglieva di non utilizzare questa forma di gioco per non subire la pressione conseguente legata alla necessità poi di difendere il possesso concesso agli avversari. Nel primo caso ritengo sia un passaggio nella costruzione dell’identità della squadra e sono certo che alla Coppa del Mondo anche questo ambito troverà una sua attuazione, mentre quella che è stata una scelta deliberata nelle Zebre ci permette di riflettere sulla questione. Innanzi tutto non si tratta “solo” di capacità tecniche specifiche legate al gesto; questo non vuol dire che non sia fondamentale averne, anzi. Quello che voglio dire è che l’utilizzo del piede rientra, deve rientrare, in una consapevolezza molto più ampia legata al modello di gioco, alla filosofia degli allenatori. Se pensiamo “solamente” all’esito tecnico potrebbe bastare una misurazione oggettiva (metri, tempo di volo..); se riflettiamo invece sui cicli, intesi come concatenazioni di azioni collegate all’interno della gara (qui ho un debito con Fabio Roselli sull’argomento) riusciamo ad avere un quadro molto più complesso dell’ambito di cui stiamo discutendo. All’azione del calcio dobbiamo collegare, nel valutarne la reale

efficacia, la reazione portata dalla squadra avversaria: che può riguardare una difesa da touche, nel caso che il calcio vada direttamente in rimessa laterale; una difesa di un contrattacco se il calcio concede tempo per giocare; o una difesa profonda quando l’avversario sceglie la stessa forma per reagire all’attacco profondo; o, infine, una battaglia sulla contesa, o sul punto d’incontro immediatamente successivo alla ricezione. In una partita oggi il numero di contrattacchi risulta spesso superiore a quello delle mischie chiuse o rimesse laterali e quindi richiede una preparazione per l’attacco e per la difesa altrettanto efficace a quella che destiniamo ai lanci del gioco. Abbiamo visto l’aumento dei calci nel box contendibili che vengono utilizzati per creare situazioni di transizione atte a sfruttare uno squilibrio difensivo. E non abbiamo menzionato tutte le situazioni dove l’utilizzo del piede è finalizzato a marcare punti: dal calcio-passaggio, al grubber, al chip dietro la prima linea di difesa. “Infinite possibilità per esseri finiti” direbbe Giovanni Truppi!

Se guardiamo al nostro movimento credo che abbiamo le capacità tecniche per sviluppare queste tipologie di gioco (anche se dobbiamo sicuramente implementarle). La vera sfida ritengo sia aumentare la consapevolezza e di conseguenza la capacità di scegliere quando e quali utilizzare. Calciare per calciare può risultare noioso; ma, come sempre, quando viene svelato il piano completo lo spettacolo è assicurato.

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Calcio”nel box” di Stephen Varney ostacolato senza successo dal tallonatore irlandese Dan Sheehan.

TI ASPETTIAMO GIANCA

Per due mesi Allrugby non ha ospitato “Un altro sguardo”, la rubrica di Giancarlo Volpato. I numeri di marzo e di aprile sono stati pubblicati senza i suoi ritratti dei ragazzi che giocavano con lui nelle giovanili del Mirano, a inizio degli anni Novanta.

Chi conosce la storia di Gianca sa cosa ci sia dietro a quei ritratti. Per un ragazzo che a vent’anni ha lasciato la propria libertà in un campo da rugby e che nonostante tutto ha imparato a guardare in faccia la tetraplegia - «un destino che non si augura nemmeno al peggior nemico» -, ad affrontarla, a spremere comunque dalla vita il meglio che si può, ad adoperarsi e a testimoniare perché questi incidenti non debbano più succedere in un campo da rugby e perché chi si trova nella sua stessa situazione possa ricevere un’assistenza adeguata e anche sperare, grazie alla ricerca, in un futuro migliore, insomma per uno come Gianca, raccontare di quelle esperienze da ragazzo è un’esperienza incomparabilmente più intensa rispetto a ciò che possiamo provare tutti noi parlando della nostra gioventù. Perché per lui significa innanzitutto aver fatto pace con il rugby - anzi, nonostante tutto, confermare il proprio amore verso questo sport -, e poi

tirare fuori il fiato e la forza per risvegliare quei ricordi di felicità piena, dolcissima e allo stesso tempo dolorosa, provata prima che la vita cambiasse in modo così spietato. A marzo e ad aprile la rubrica non è uscita perché Gianca è stato male. L’equilibriodavvero miracoloso - che dal 1993, giorno per giorno, cerca di mantenere insieme ai suoi familiari, tra accortezze e attenzioni inimmaginabili, quell’equilibrio che gli permette di comunicare, di nutrirsi, di vivere, per alcune settimane si è spezzato. A febbraio si sentiva spossato, faticava a respirare e a parlare. Il 14 febbraio è stato ricoverato in rianimazione a Chioggia, qualche giorno più tardi è stato trasferito in quella di Mirano. È stato sedato e intubato. Gli è stata anche riaperta la tracheostomia di trent’anni fa, quell’apertura che, nei primi mesi dopo l’infortunio alla quarta e quinta vertebra cervicale subito il 21 novembre 1993 in BassanoMira, gli aveva permesso di respirare. Molto probabilmente non verrà più chiusa: sarà necessario tenere aperta una via d’accesso ai polmoni, se non altro per precauzione. La buona notizia è che Gianca ce l’ha fatta anche questa volta. Lunedì 17 aprile è stato dimesso dal reparto di Pneumologia di Dolo

ed è tornato a casa. Gli amici più stretti, le persone che lo conoscono e lo supportano da tanto tempo, in quelle settimane hanno cercato in tutti i modi di trasmettere a lui e alla famiglia vicinanza e sostegno, tutti consapevoli di come la sfida fosse difficile. Col suo spirito indomito lui ha stupito tutti, un’altra volta. Dovrà ripartire da capo, esercitarsi a rafforzare il respiro e a sincronizzarlo con la parola, dovrà affrontare esercizi di fisioterapia per tornare a sedersi, pian piano potrà di nuovo nutrirsi con un po’ di soddisfazione in più. E un “tappino” a chiusura della tracheostomia gli permetterà di far passare l’aria attraverso quel meraviglioso strumento che sono le corde vocali. Gianca potrà quindi tornare in comunicazione col mondo e a dare vita al suo, di mondo, ad iniziare da quella meravigliosa associazione - La Colonna -, che lui ha creato tanti anni fa e che ancora oggi dà forza e speranza a tante persone. E se vorrà, quando vorrà, Gianca potrà anche tornare a raccontare di sé, di Diego e Nicola, di Gorba e Ito e degli altri amici che nei mesi scorsi ci aveva presentato, ai quali ci siamo già affezionati. Ti aspettiamo, Gianca. Non vediamo l’ora di leggere di nuovo i tuoi racconti.

UN ALTRO SGUARDO UARDO UN ALTRO SGUARDO
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di Giancarlo Volpato

MANI IN RUCK

MANI IN RUCK

ARBITRARE AL VIDEO

Quattro i giocatori a processo nell’intero Sei Nazioni maschile, tre per cartellino rosso e uno, il pilone francese Atonio, citato per un placcaggio pericoloso con contatto testa a testa in Irlanda - Francia a Dublino.

La commissione giudicante, presieduta dal neozelandese Mike Mika, nel caso di Atonio ha deciso per uno stop di 3 settimane, con un livello di entrata medio che prevedeva una squalifica di 6 settimane, ridotte a metà per via dei vari fattori mitiganti. Stessa sorte per gli espulsi sul campo di Murrayfield – il capitano scozzese Grant Gilchrist ed il francese Mohamed Haouas. I due cartellini rossi sventolati sul prato di Edimburgo da Nika Amashukeli, l’arbitro georgiano che ormai è stabilmente inserito nei quartieri alti del panel arbitri internazionale, sono costate a entrambi una penadi tre settimane di stop. Tre sanzioni da ritenersi nella norma. Prese in linea con le direttive di World Rugby. La sinergia tra arbitro e TMO è stabile e proficua. Ma si sa, il fattaccio è destinato ad aspettarci dietro l’angolo, questa volta retto, ma acuto e ottuso allo stesso tempo. Nel triangolo Jaco Peyper, Freddie Steward e Hugo Keenan si va incontro ad una svolta epocale, quella di considerare

il “Dangerous play - Contact with head” non più meritevole di Red Card ma di un cartoncino di colore giallo sbiadito, come ha deciso il board nell’analisi successiva al match. Così il numero 15 inglese è stato “free to play” con le Tigri di Leicester già qualche giorno dopo l’espulsione. Fiumi d’inchiostro, miscellanee di colori tipici di un’alba o un di un tramonto, che fanno confusione tra il sorgere o il calare del sole. Nasce quindi il cartellino arancione in vista del mondiale di Francia? Scompare all’orizzonte la decisione sul campo di espellere direttamente un giocatore reo di un atto di antigioco? Prendiamo l’esempio dal Super Pacific e diamo l’incombenza al TMO? Passiamo la patata bollente all’arbitro alla moviola così ha tempo per riflettere?

Quante domande dopo il giudizio di un singolo episodio, che alla fine ha già fatto storia e giurisprudenza. Irlanda ed Inghilterra divise come contrade dove le bandiere hanno messo da parte il British aplomb. O con noi o contro di noi. Per contro, partecipando ad una call con una quarantina di profili della giustizia internazionale, gli invitati hanno espresso il loro punto di vista in merito all’episodio Steward. Il risultato praticamente un cin

quanta/cinquanta. Una metà ha valutato l’azione da rosso, l’altra da giallo. Insomma, non c’è pace, ma tanta confusione. Neppure King Nigel Owens, apparso nella circostanza in video dalla sua fattoria nel Galles, appoggiato ad un covone di fieno con uno dei suoi bovini alle spalle è stato capace di convincere il pubblico selezionato della corretta decisione d’espulsione dell’estremo della Rosa.

Owens ha ritenuto che la pressione di un AVIVA Stadium sia stata condizionante anche per un fischietto espertissimo come Peyper e che 8 minuti di riflessione, stile Emisfero Sud e problemi scaricati sul TMO, potrebbero essere la soluzione per prendere la miglior decisione.

A margine di questo meeting è stato mostrato anche il cartellino giallo comminato a Pierre Bruno in Italia v Galles. Per la maggior parte degli esperti l’episodio della mano sul collo del giocatore avversario era da cartellino rosso (Bruno è stato punito con il giallo).

Si preannuncia un’estate di fuoco e di meditazione, soprattutto per gli officials destinati a seguire le partite al video. Toccherà a loro dirimere le questioni più spinose. Intanto sul campo si continuerà a giocare.

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UARDO
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L’episodio in cui Freddie Steward colpisce in ritardo Hugo Keenan, sanzionato con un cartellino rosso.

WEST END WEST END

PROFEZIE OVALI

Escursione nella tana della Pizia ovale: non è in una caverna sui monti che sovrastano il santuario di Delfi, ma in un anfratto delle Ebridi. Vento, erica e un profumo permanente di whisky torbato.

La Pizia vive in vapori che non si capisce bene siano di sigaro o di ramoscelli odorosi e stordenti, e tossicchia. Quel che dice deve essere interpretato.

“Coff, coff… Non lontano da questo mio eremo è nata la potenza nel gioco che una volta essi odiavano. E il boreale tornerà ad aver la meglio sull’australe”.

Malgrado viva in quest’isola remota, non legga giornali, non sia collegata a internet e ignori – beata lei – cosa siano i social, sembra bene informata.

“Non sono informata, io sono la Pizia. Mi appaiono visioni e le trasformo in parole profetiche. I miei visitatori possono interpretarle alla lettera o, coff coff, dubitarne. Vedano loro. In questo momento ho un’altra visione: una cornucopia che butta monete e, un momento dopo, che interrompe il suo flusso. Abbondanza e miseria, ricchezza e povertà, potere e crisi, radici un tempo rigogliose e ora improduttive, uomini che varcheranno un

braccio d’acqua che chiamano il canale, altri che vengono da molto lontano e che propongono riforme”.

Per citare una vecchia battuta di “I soliti ignoti”, ogni parola una sentenza, la Pizia sa tutto, prevede tutto: la Premiership i suoi sbandamenti finanziari, il salary cap, i movimenti migratori verso la Francia, le proposte di riforme radicali formulate da Pat Lam che suggerisce un innalzarsi del monte stipendi e un modello di draft, stile basket americano, che riequilibri territorialmente la possibilità di metter le mani sui giovani più promettenti da avviare al professionismo.

La Pizia non emette giudizi, profetizza in forza delle visioni che le appaiono nei fumi che avvolgono la sua scarna figura e gli altri fumi, quelli mentali, ai quali può contribuire il contenuto puro malto della gran fiasca che sta ai suoi piedi e dalla quale spesso attinge. Bofonchia, tra un colpo di tosse e l’altro, che il denaro è un cibo demoniaco: porta cambiamento e abbondanza e materializza uno spirito sempre più lontano da quello delle origini, destinato a portare alla pazzia. Tutto questo – è bene precisarlo - è un’inter-

pretazione, ricostruita attraverso parole smozzicate. Poi va avanti.

“Vedo un delicato augello che spicca il volo tra una nuvola di corvi neri, li evita, trova in alto la corrente che lo spinge lontano. Lo stesso non capiterà quando dovrà affrontare bipedi da cortile, dalle creste imperiose e dagli speroni minacciosi”.

Ange Capuozzo semina gli All Blacks, l’Italia batte i neozelandesi e spalanca le sue giovani e frementi ali? Di chi sono gli speroni minacciosi, dei Coqs di Galthiè?. Inutile interrogarla. Ormai va avanti da sola, con una generosità che non le è abituale.

“Troverai quello che hai sempre cercato se il numero 8 verrà recuperato”. Ora si diverta a profetare usando anche rime baciate. Una visita fruttuosa.

“Tornerai tra gli uomini e userai quel che ti ho detto?”, dice all’improvviso, con voce diversa, abbandonando lo stato di trance e l’affacciarsi del catarro. “Ne sarei tentato”. “In questo caso, un’offerta sarebbe gradita. Accetto contanti, ma anche pagamenti con American Express, Visa. Prendo pure la Mastercard, pensa”.

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Passione per la meta

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