Sfoglia le pagine con l’intervista a Massimo Brunello da Allrugby 180

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Vicino ai 56 anni, Massimo Brunello sogna un ulteriore passo avanti nella sua carriera di allenatore. Facendo il punto sui risultati raggiunti, i tanti giocatori tenuti a battesimo, la passione, le ambizioni.
di Gianluca Barca
Competenza, passione, empatia. Ecco le tre caratteristiche principali di un buon allenatore secondo Massimo Brunello, il tecnico che da tre anni porta la Nazionale U20 a traguardi mai raggiunti prima. Brunello a giugno compirà 56 anni. A quell’età molti suoi colleghi hanno raggiunto il vertice già da un bel po’ di stagioni: Greg Townsend aveva 44 anni quando, nel 2017, prese la guida della Scozia, Andy Farrell a 37 era assistente di Lancaster in Inghilterra e a 45 head coach dell’Irlanda (che dall’estate 2022 ha portato al primo posto del ranking), Fabien Galthié comanda la Francia da quando ne ha 51. Massimo a 46 anni allenava ancora l’Italia U18, dopo aver portato il Badia dalla serie B alla A2 e il Rovigo alle semifinali del campionato nel 2009. La sua gavetta gli ha riservato anche sei stagioni tra le Nazionali U20, U17 e U18, prima dell’approdo a Calvisano, nel 2015, quattro finali e due scudetti. “Credo di aver scarpinato e dato tanto - riflette -. Nessuno mi ha regalato niente, ho passato cinque anni nelle accademie zonali di Mogliano e Rovigo, e questo mi ha permesso di conoscere a fondo tanti ragazzi che poi ho ritrovato ai livelli più alti nel corso della mia carriera. Tuttavia mi ritengo un privilegiato perché i veri sacrifici, nel rugby, li fanno altri: quel-
li che la sera, finito di lavorare, vanno ad allenare le giovanili, o le squadre delle serie inferiori, quelli che mettono il loro tempo libero a disposizione per preparare il campo o organizzare una trasferta. Io lo facevo al Badia. Quando dico che dedico a tutto il movimento i risultati che otteniamo con la U20 è perché ho in mente cosa c’è alla base della piramide che produce i giocatori che poi vediamo nelle varie selezioni, in maglia azzurra e nelle franchigie”. Kieran Crowley dovrebbe reggere il timone della Nazionale fino alla primavera del prossimo anno, per la sua successione si parla di una volata tra Brunello, Marco Bortolami (tredici anni più giovane) e il solito “guru” straniero (ancora da identificare, peraltro), l’uomo della provvidenza sempre necessario per fare da ombrello alle nostre insicurezze e ai nostri patemi.
“Onestamente, non ho ancora valutato quali siano le reali prospettive che mi aspettano nel prossimo futuro - dice Brunello -. Ammetto di avere una certa ambizione e che mi piacerebbe fare un passo avanti ulteriore, dopo la U20. Tornare al Top10 non la considererei una diminuzione di ruolo, però è un percorso che ho già fatto, vorrebbe dire andare a ripercorrere sentieri noti…”.
Quindi, per salire di grado, non restano che la Nazionale o una franchigia.
“Direi che è così, ma c’è ancora tempo e non mi voglio in alcun modo sbilanciare”.
Torniamo allora alle tre caratteristiche che un buon allenatore deve possedere per essere credibile e fare strada.
“La competenza è fuori discussione - osserva -. È il requisito minimo senza il quale non sei credibile in alcun ruolo. Poi ci vuole empatia. Se non sei in grado di creare con i giocatori il giusto rapporto, se non nasce rispetto reciproco, è difficile lavorare in gruppo tutti insieme. E poi metto la passione, per il gioco, per i suoi valori. Che è la molla che ti spinge a trasmettere agli altri le tue idee, la tua visione”. Brunello in quale ordine si riconosce rispetto a queste tre categorie?
“Il grado di competenza e di empatia è relativo, dipende con chi lo confronti, può essere alto o basso. Qualcuno può essere più competente, o più simpatico di te, qualcuno meno. Io credo di avere sia una certa competenza maturata negli anni, sia di possedere una certa empatia. Quella che in tanti mi riconoscono è una passione contagiosa. Nelle mie squadre sono quasi sempre riuscito a creare una buona armonia, un bell’affiatamento. Poi però se non conosci il gioco o se non hai feeling con i ragazzi è difficile lavorare”.
A Calvisano, che è stata la più vincente delle tue esperienze a livello seniores, nell’arco di quattro anni hai avuto a disposizione giocatori tecnicamente molto diversi, e ne sono scaturite squadre diverse anche come stile di gioco. Il che dimostra una certa tua flessibilità nell’utilizzare le caratteristiche dei ragazzi che hai a disposizione.
Brunello festeggiato dai giocatori dopo il trionfo sulla Scozia, nell’ultima partita del recente Sei Nazioni, quella che ha regalato all’Italia U20 un terzo posto mai raggiunto prima.
“Qualcuno può essere più competente, o più simpatico di te, qualcuno meno. Io credo di avere sia una certa competenza maturata negli anni, sia di possedere una certa empatia. Quella che in tanti mi riconoscono è una passione contagiosa.”
“Quella con cui vincemmo lo scudetto del 2017 era una squadra forte in tanti ruoli, aveva gente come Novillo, Minozzi, Paz che ci permetteva di fare un gioco in velocità. Due anni dopo, nel 2019, era un gruppo più solido, con Pescetto all’apertura, la cui precisione dalla piazzola fu fondamentale, trequarti di peso come Mazza, Lucchin, Garrido-Panceyra, un pilone come Fischetti, Vunisa. Rovigo, nel 2008 e 2009, era una vera e propria multinazionale, con sudafricani, argentini, neozelandesi, giocatori molto diversi per origini e per cultura. Ma devo dire che un aiuto fondamentale nella mia formazione di tecnico è venuta dagli anni nelle accademie: ragazzi di 17 anni che lasciavano casa e le famiglie per il rugby, studiavano e ti mettevano davanti i loro problemi adolescenziali, una bella palestra quotidiana per uno che voleva fare l’allenatore”.
In quegli anni hai visto passare dalle tue squadre moltissimi giocatori che oggi fanno parte delle Nazionali, altri invece si sono persi.
“Alcuni li ho avuti in U18, altri nelle accademie. Qualcuno si vedeva subito che era un predestinato: Fischetti, Riccioni, Pettinelli, Giammarioli, per fare alcuni nomi. Poi ho visto crescere giocatori che all’inizio invece erano rimasti un po’ ai margini, come Bruno, Lucchin, Marco Manfredi. Ho intuito in loro un potenziale che ho ritenuto si potesse sviluppare dando loro fiducia. Bruno mi ha colpito per la determinazione e la volontà con cui piano piano ha costruito il suo percorso, per la volontà di migliorarsi. Altri ero convinto sarebbero arrivati, ma in alcuni casi subentrano altre scelte, altre priorità”.
Parliamo di queste ultime tre stagioni con la U20.
“Nel 2021 abbiamo vinto solo una partita, ma abbiamo giocato alla pari con tutte le avversarie, abbiamo
perso di due punti con la Francia, di sette con l’Irlanda e di dieci con l’Inghilterra. Ma il dato più importante di quell’anno, nonostante non abbiamo potuto disporre di due giocatori come Favretto e Varney, è che in tutto il Sei Nazioni abbiamo subito solo 10 mete, che per noi rappresentano un record. L’anno dopo, senza Marin e Menoncello, due giocatori che avrebbero potuto darci molto in termini di gioco e di risultati, abbiamo vinto tre partite, compresa quella famosa con l’Inghilterra. E poi, con ulteriori assenze (Ferrari, Ale Garbisi e Odiase) abbiamo replicato nelle Summer Series, battendo di nuovo l’Inghilterra e poi la Scozia e la Georgia.
Questa del 2023 era la stagione con maggiori incognite, c’era stato il cambio dei percorsi formativi, con l’introduzione dei poli di sviluppo, era un torneo con molte incognite: è arrivato il terzo posto, con il rammarico della sconfitta di un punto con la Francia, ma prestazioni incoraggianti contro tutti gli avversari. Con Mattia Dolcetto, Roberto Santamaria e Massimo Zaghini (preparatore atletico, ndr), abbiamo lavorato molto bene. È uno staff che riesce a trarre il meglio dal gruppo. Abbiamo vinto due partite e sfiorato la terza”.
Adesso, dopo quattro anni, torna il Mondiale U20, a fine giugno/inizio luglio in Sudafrica.
“Nella fase a gironi ci aspettano tre partite molto fisiche, con Argentina, Sudafrica e Georgia che per noi saranno un test molto importante per la solidità degli avanti. L’obiettivo prioritario ovviamente è restare nel gruppo di élite e poi vedere se magari siamo in grado di entrare fra le prime otto, che sarebbe un traguardo importante. Vogliamo confermare il potenziale mostrato nel Sei Nazioni ed eventualmente verificare qualche altro elemento”.
Torniamo alla tua ormai lunga carriera da allenatore: quali sono stati i momenti più difficili?
“Non ce ne sono stati tanti. Per chi mi conosce sa del dispiacere della sconfitta a Roma contro la Lazio, nel 2018, che costò al Calvisano il primo posto nella regular season e, di conseguenza, ci obbligò a giocare a Padova la finale (poi persa) contro il Petrarca. Della sconfitta mi sento responsabile, perché era un momento in cui a casa avevamo avuti dei problemi di salute e non era facile concentrarsi sulla squadra. L’anno dopo, a metà del girone di andata, avevamo perso quattro partite e cominciava a insinuarsi qualche dubbio anche sulla conduzione tecnica. La so -
cietà mi disse di lavorare tranquillo: finimmo primi in classifica e vincemmo il Campionato grazie ad un gruppo granitico che formava lo zoccolo duro del club (Morelli, Cavalieri, Chiesa, Semenzato, Vunisa). Due anni prima, perdemmo la semifinale di andata a Viadana sotto il diluvio, ci fu la polemica per la sostituzione temporanea di Paz, insomma vivemmo qualche giorno di grande tensione, poi al ritorno vincemmo con trenta punti di vantaggio e in finale battemmo anche il Rovigo segnando sei mete. Tendo sempre a pensare che i momenti difficili si sono tramutati in una molla per reagire. Il primo anno con la U20, nel 2021, perdemmo le prime due partite, la seconda contro la Francia, di due punti, dopo aver mancato a un minuto dalla fine il calcio di punizione della possibile vittoria. La partita dopo rifilammo quaranta punti alla Scozia. Quest’anno, non ho dormito la notte dopo la sconfitta con la Francia… Quelli sono i momenti in cui pensi che con un errore butti al vento tanto lavoro”.
Quanto assorbe il rugby della tua vita?
“Tantissimo. Non credo di smettere di pensarci mai. Sono come quegli imprenditori che hanno la testa alla loro fabbrichetta giorno e notte, anche nei giorni di festa. Il rugby è la mia fabbrichetta”. Ti piace la piega che ha preso il gioco moderno?
“Mi piace studiarlo, analizzare come funziona. Forse, da appassionato, mi godevo di più il talento individuale nel gioco di una volta, i Blanco, i Sella, gente le cui caratteristiche fai fatica a ritrovare adesso che tutto si è fatto più fisico. Io, tanto per cominciare, oggi non potrei starci in questo
Nelle pagine precedenti,Mattia Dolcetto, con Roberto Santamaria (a destra), fa parte dello staff della Nazionale U20.
In basso, gli Azzurri schierati per l’inno prima di un match.
“...sposare la concretezza del Calvisano con cui vinsi lo scudetto del 2019 con la fantasia di quello del 2017. Mi piace l’assolo del solista in uno spartito ben definito. Non so se questo è il jazz, se lo è vorrei un rugby con quella sinfonia”.
Sotto, festa a Calvisano per lo scudetto del 2017. Brunello, in basso al centro festeggia con il figlio Tommaso, ai suoi fianchi Costanzo, Luus e Riccioni (a sinistra) e Tuivaiti e Cavalieri (a destra). Dietro si riconoscono (da sinistra) Pettinelli (con la maglietta nera e il braccio alzato), Paz, Raffaele, Minozzi, Dal Zilio, Giammarioli, Archetti (parzialmente coperto), Rimpelli, Novillo e Chiesa.
rugby qui. Ma è l’evoluzione, c’è poco da fare”. Nessun rimpianto quindi, rispetto ai tuoi tempi?.
“Forse un po’ per la goliardia, lo spirito di amicizia che si creava in una squadra, gli scherzi. Oggi è cambiato tutto”.
Ma come ti trovi con i ragazzi di oggi, giocatori che hanno trentacinque anni meno di te?
“Bene, riesco a prenderli per quello che sono. Non faccio loro una colpa se li vedo chini sui telefonini, noi adulti a volte siamo anche peggio con in mano uno di quei dispositivi. Chiedo loro solo di avere rispetto per quello che fanno e per le situazioni in cui si trovano. Ecco, magari dico loro di non farsi i selfie allo stadio prima della sintesi…”.
La tua squadra perfetta?
“Quella capace di sposare la concretezza del Calvisano con cui vinsi lo scudetto del 2019 alla fantasia di quello del 2017. Mi piace l’assolo del solista in uno spartito ben definito. Non so se questo è il jazz, se lo è vorrei un rugby con quella sinfonia”.
Le partite dell’Italia
24 giugno Italia v Argentina Paarl Gymnasium
29 giugno Italia v Georgia Paarl Gymnasium
4 luglio Italia v Sudafrica Paarl Gymnasium
9 e 14 luglio Play off
dal numero 180 di Allrugby
Fotografie:
Fotosportit
Roberto Bregani, pag. 8; David Gibson pag. 4; Daniele Resini, pagg. 1, 6, 7.
Getty Images Pag. 3.
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