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DICONO A ROVIGO

Parla Zambelli, a tutto campo su Campionato e franchigie

Il percorso verso Spagna e WXV

Giada Franco si racconta

182 Luglio/agosto 2023 ALLRUGBY RIVISTA MENSILE Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale –70% AUT. N° 070028 del 28/02/2007 DCB Modena . Prima immissione 01/02/2007 www.allrugby.it NORD
La sfida si avvicina. Dopo trent’anni gli equilibri sono cambiati
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Per informazioni: redazioneallrugby@alice.it

Ifatti. Maggio 2021: Franco Smith, allenatore della Nazionale, con almeno altri due anni di contratto, viene sollevato dall’incarico e “promosso” responsabile dell’alto livello italiano. Durerà nella nuova posizione non più di dodici mesi, durante i quali il suo obiettivo principale è stato il rilancio delle selezioni azzurre denominate “A” e Emergenti, scomparse immediatamente dai programmi ovali non appena Smith si è trasferito a Glasgow, allenatore capo dei Warriors scozzesi. Cassate subito anche le innovazioni da lui introdotte nel Top10, sul tempo effettivo, mischie e bonus-mete. Vabbè.

Dell’era Smith era rimasto in eredità nei ranghi azzurri solo il preparatore atletico, lui pure sudafricano: Quintin Kruger che, nelle scorse settimane, all’inizio della preparazione in vista della RWC, ha lasciato l’incarico per tornare in Sudafrica, agli Sharks. Al suo posto, per il Mondiale, arriverà George Petrakos. Un preparatore pret a porter.

In sostituzione di Smith, a capo della Nazionale era stato messo Kieran Crowley. Che, nei due anni avuti a disposizione, ha creato un gruppo e, al netto di qualche scivolone (uno per tutti quello con la Georgia a Batumi), ha dato all’Italia un gioco, pur vincendo poco.

Data l’età dei giocatori a disposizione, il ct azzurro auspicava di poter guidare l’Italia, fino ai Mondiali del 2027 in Australia. Ricevuta risposta negativa, ha optato per andarsene già il prossimo novembre invece che a giugno del 2024, come il contratto prevedeva.

“Oggi che abbiamo deciso di chiudere dopo il prossimo Mondiale il rapporto con Crowley è il momento dei bilanci. E quello di Kieran con il rugby italiano è molto positivo”, ha detto Marzio Innocenti in un comunicato.

Dunque l’Italia è l’unico Paese che stila il bilancio alla vigilia dei Mondiali. Lo giudica positivo, ma saluta l’allenatore, mentre annuncia con largo anticipo il nuovo, Gonzalo Quesada, primo Puma a guidare la Nazionale. Un argentino, peraltro bravo e con un bel cv, alla collezione mancava. Auguri.

Crowley ha investito in un gruppo giovane tutto proiettato verso il futuro, argomentava qualcuno, a proposito della decisione di non portare Parisse alla Coppa del Mondo. Ma Crowley quel futuro neanche lo vedrà. Altro vabbè.

Arriva la metà di giugno e le Zebre, che hanno vinto una sola partita nelle ultime due stagioni, annunciano la partenza di 13 giocatori, più quella dell’allenatore dell’attacco, il sudafricano David Williams, ingaggiato dodici mesi prima. Dei 13 partenti, 12 hanno resistito a Parma non più di due stagioni. In qualunque altra squadra probabilmente, prima di un repulisti tanto radicale, sarebbe stata messa in discussione la gestione sportiva. Qui ci mettiamo un “mah”, in attesa delle novità su quella amministrativa.

Nel frattempo a Treviso è stata ricostituita l’Accademia federale, che sostituisce quella della Marca allestita dal Benetton al proprio interno, dodici mesi fa (leggi le interviste a Amerino Zatta, in Allrugby 179, e a Antonio Pavanello, nel numero 181): un passo avanti, due indietro. Ma non si può dirlo in modo chiaro. Boh.

A Rovigo, intanto, il presidente del club campione d’Italia, Francesco Zambelli, uno dei pochi mecenati rimasti, insieme a Grassi e Banzato, si domanda a gran voce: dove andiamo?

Indietro non si può più tornare, è utopistico e irrazionale come a proposito di altre, più importanti questioni di politica territoriale, ha scritto su Repubblica, dopo l’alluvione in Romagna, Andrea Rinaldo, uno che, si dà il caso, capisca anche di rugby vero. E allora, cito ancora le parole dell’ex seconda linea della Nazionale, Nobel dell’acqua 2023: “serve conservare e innovare con attenzione”. Viceversa, rimarremo per sempre alle prese con uno stato di agitazione la cui gestione sfugge a ogni controllo, a partire da quello della comunicazione.

Gianluca Barca

direttore responsabile

Gianluca Barca gianluca.barca@allrugby.it

photo editor

Daniele Resini danieleresini64@gmail.com

redazione

Giacomo Bagnasco, Federico Meda, Stefano Semeraro. Collaboratori

Danny Arati, Felice Alborghetti, Alessio Argentieri, Sergio Bianco, Simone Battaggia, Andrea Buongiovanni, Enrico Capello, Alessandro Cecioni, Giorgio Cimbrico, Andrea Di Giandomenico, Mario Diani, Diego Forti, Andrea Fusco, Gianluca Galzerano, Christian Marchetti, Norberto “Cacho” Mastrocola, Paolo Mulazzi, Iain R. Morrison, Andrea Passerini, Walter Pozzebon, Luciano Ravagnani, Roberto “Willy” Roversi, Marco Terrestri, Maurizio Vancini, Valerio Vecchiarelli, Giancarlo Volpato, Francesco Volpe.

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In copertina, Shaun Stevenson, dei Chiefs, a sinistra, e Will Jordan dei Crusaders si contendono il pallone nel corso della finale del Super Rugby Pacific (Hannah Peters/Getty Images).

Fotosportit

Roberto Bregani, pag. 28; Daniele Resini, pagg. 15, 17, 18, 26, 27, 30, 38, 39, 40, 42, 43, 50, 51, 56, 59, 61, 65, 71; Ashley Western pag. 48.

Getty Images

Michael Bradley, pag. 44; David Davies, pag. 47; Tim Clayton, pag. 52; Federugby, pag. 41; Catherine Ivill, pag. 55; Christian Liewig, pag. 4; Harry Murphy, pag. 46; Hannah Peters, pagg. 6, 45; Print Collector, pag. 69; Tim Rogers, pag. 54; Stringer, pag. 73; Phil Walter, pagg. 7, 49.

Altri crediti

Giorgio Achilli, pagg. 10, 12, 14, 16, 19; Paola Ambrosetti, pag. 21; Daniele Goegan, pag. 33; Barbara Mattioli, pag.35; Samuel Schiavo, pagg. 22, 24, 25.

L’editore è a disposizione degli aventi diritto, con i quali non gli sia stato possibile comunicare, per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti dei brani e delle fotografie.

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Matteo Alemanno
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FLASH Stade Toulousain fait vingt-deux

Con una meta al 78’di Romain Ntamack lo Stade Toulousain ha negato nel finale a La Rochelle il sogno di centrare l’accoppiata, Champions CupTop14. 13-13 all’intervallo, i campioni d’Europa si sono portati sul 20-13 subito dopo il riposo, ma nonostante una punizione di Hastoy li abbia tenuti in vantaggio fino a due minuti dalla conclusione, nel finale hanno dovuto arrendersi al colpo di genio del mediano di apertura della Nazionale francese. Per lo Stade Toulousain è il ventiduesimo titolo di Francia. Per La Rochelle la seconda sconfitta in finale con lo stesso avversario del 2021.

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FLASH Settebello

Per Scott Robertson, qui impegnato nella tradizionale breakdance di “ringraziamento”, si tratta del settimo successo in altrettante stagioni alla guida della franchigia di Canterbury. In vantaggio 20-15 fino a sette minuti dalla fine, i Chiefs non hanno retto: dopo ripetuti falli in difesa, decisivo il cartellino giallo a Sam Cane, che li ha costretti a giocare in 14 le fasi decisive della partita. La meta in spinta di Taylor (due per lui nel match), trasformata da Mo’unga, e la successiva punizione di quest’ultimo, hanno sigillato il risultato negando ai Chiefs un successo che gli uomini di Waikato mancano dal 2013. Robertson, dopo i Mondiali, diventerà l’allenatore degli All Blacks.

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numero centoottantadue

CAMPIONATO TOP 10

Pag.10 Dicono a Rovigo

Dopo la conquista dello scudetto Francesco Zambelli confessa a Roversi tutti i suoi dubbi e le sue perplessità sul sistema. del rugby in Italia

Pag.16 Mister derby

Terzo scudetto per Albi Chillon, che ne ha vinti due con la maglia del Rovigo e uno con quella del Petrarca. Di Gianluca Barca.

Pag.20 Power Rangers

Andrea Cavinato racconta a Giacomo Bagnasco tutte le emozioni di una nuova promozione.

Pag.26 Piccolo era bello

Calvisano lascia il rugby d’élite. Gianluca Barca ripercorre tonfi e trionfi del club giallonero.

Pag.32 Colorno raddoppia

Dopo il titolo U19 dello scorso anno, Colorno ha fatto il bis battendo la Capitolina in finale. Stefano Romagnoli svela a Valerio Vecchiarelli il segreto del successo con gli juniores.

Pag.36 Il nido dell’Aquila

Andrea Fusco racconta i segni di risveglio del rugby a L’Aqulia. Rugby Experience proietta la città verso il domani.

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UNITED RUGBY CHAMPIONSHIP

Pag.38 Formare o allenare?

Fabio Ongaro dialoga con Federico Meda su formazione e crescita delle prime linee.

SUPER RUGBY PACIFIC

Pag.44 Giù al sud

Walter Pozzebon fa il punto sullo stato del rugby dell’Emisfero Sud.

RUGBY DONNE

Pag.50 Verso Spagna e WXV

Mario Diani analizza lo stato del rugby azzurro dopo la finale vinta dal Valsugana sul Villorba.

Pag.52 Dare tempo al tempo

Una conversazione tra Scott Bemand e Mario Diani su presente e futuro del rugby femminile.

Pag.58 Giada è “mille culure”

Giada Franco racconta a Gianluca Barca fatica e paure di una lunga riabilitazione per tornare a giocare nel prossimo Sei Nazioni.

Pag.64 Insieme diventiamo vittoria

A colloquio con lo sponsor della Nazionale. Bilanci e prospettive dopo la prima stagione di partnership. Di Giacomo Bagnasco.

Pag.66 Atlante ovale

Giorgio Cimbrico ci guida attraverso le nuove frontiere del rugby, un atlante di immagini che porta fino al recente ingresso del Nepal in World Rugby.

RUBRICHE

Pag.72 Lo spazio tecnico di Andrea Di Giandomenico

Pag.73 Mani in ruck di Maurizio Vancini

Pag.74 West end di Giorgio Cimbrico

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Dicono a ROVIGO

Dopo la conquista dello scudetto - ma l’aveva fatto anche prima - Francesco Zambelli torna a mettere in discussione il sistema di sviluppo basato su Franchigie e Nazionale. A che serve un campionato senza sbocco, dice?

“Un mostro a due teste”. Con questa definizione, magari piuttosto forte ma sicuramente efficace, il presidente della FemiCz Rovigo, Francesco Zambelli, ha definito l’attuale impianto sportivo di Federugby nel corso dell’assemblea dei soci del club rossoblù, svoltasi per il rinnovo delle cariche societarie dopo la ricostituzione del capitale sociale. Le due teste alle quali fa riferimento il patron dei bersaglieri sono la nazionale e le due franchigie che militano nell’URC. Non è la prima volta che Zambelli esprime la sua opinione su questo tema, però stavolta ha fatto più rumore del solito ponendo sul tavolo una questione sulla quale da tempo si dibatte nel piccolo mondo del rugby italiano: è stata una buona idea creare il sistema delle franchigie? Considerato che l’obiettivo per il quale nel 2011 si era adottato questo modello era quello di favorire la crescita della Nazionale bisogna dire che i risultati degli Azzurri sembrano smentire la validità di questa scelta. Basta guardare i risultati ottenuti dell’Italia nell’era del Sei Nazioni prima dell’arrivo delle franchigie e quelli conseguiti dopo, per rilevare che è cambiato poco o nulla. Anzi, a voler essere pignoli, negli ultimi dieci anni c’è stato qualche piccolo passo indietro. Tra la Nazionale espressione del campionato domestico e quella figlia del sistema delle franchigie, quindi, non si è visto quel salto di qualità che i fautori della

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Francesco Zambelli, 78 anni, è presidente del Rovigo da 12 stagioni.

scelta celtica auspicavano: l’Italia resta la cenerentola del Sei Nazioni, alla World Cup non passa mai il turno e naviga costantemente nelle posizioni di retrovia del ranking mondiale. È certo, invece, che quel passaggio abbia creato una divisione netta nel movimento rugbistico italiano con la presenza di un vertice, definito dalla stessa FIR come “alto livello”, e il resto, che a questo punto deve essere considerato il “basso livello” con l’aggiunta di un’anomalia tutta italiana che vede una franchigia di proprietà di un’azienda privata e un’altra, nei fatti di proprietà, gestita e finanziata direttamente dalla Federazione. Ed è su questa situazione che punta il dito il presidente Zambelli. “Oggi tutta l’attività del movimento è asservita alle esigenze delle due franchigie e della Nazionale – spiega il patron rossoblù – Sembra quasi che il campionato e le ambizioni di società storiche, come il Rovigo e il Petrarca ad

esempio, siano elementi di disturbo nel progetto della Federazione. Tanto che mi domando cosa serva essere affiliati alla FIR se non vengono tutelati gli interessi dei club.”

Di recente la Federugby ha annunciato una serie di modifiche del massimo campionato. Che ne pensa? “Queste decisioni non sono state discusse con le società però se il tutto fosse finalizzato alla crescita del campionato verso l’alto livello sarei anche d’accordo, ma temo non sarà così. Il torneo resterà fine a sé stesso senza nessun sbocco e saranno sempre le due franchigie e la Nazionale a dominare la scena. Con queste premesse, alcuni sponsor che, con passione, hanno investito molto negli ultimi anni potrebbero abbandonare o ridimensionare il loro impegno. È un rischio concreto. Personalmente posso dire che con questa situazione resterò sicuramente altri due/tre anni solo cercando di allestire

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Per Zambelli, festa dopo la vittoria, con i figli Antonio e Carolina.

“La riduzione del numero dei partecipanti al torneo non sarebbe in discussione, se fosse indirizzata, con adeguata attività, per creare un concreto supporto alla Nazionale. Poiché così non è, finisce con il rendere tale Élite fine a stessa e scarsamente impegnativa. Giocando meno partite di campionato c’è necessità di inserire altri impegni che non potranno essere solo l’eventuale Coppa Italia. Una competizione europea di terzo livello potrebbe essere una buona soluzione per assicurare ai club della futura Serie A Elite un numero di partite e una visibilità internazionale che giustifichino gli investimenti.”

una squadra competitiva e di avviare un percorso che porti al rinnovamento dello stadio Battaglini in modo da renderlo adeguato agli standard necessari per giocare e ospitare le partite internazionali.

Dopo, se non cambiano le cose, si vedrà.”

Ritiene che il passaggio in due stagioni dalle attuali 10 a 8 squadre possa favorire la crescita tecnica del campionato?

“La riduzione del numero dei partecipanti al torneo non sarebbe in discussione, se fosse indirizzata, con adeguata attività, per creare un concreto supporto alla Nazionale. Poiché così non è, finisce con il rendere tale Élite fine a stessa e scarsamente impegnativa. Giocando meno partite di campionato c’è necessità di inserire altri impegni che non potranno essere solo l’eventuale Coppa Italia. Una competizione europea di terzo livello potrebbe essere una buona soluzione per assicurare ai club della futura Serie A Elite un numero di partite e una visibilità internazionale che giustifichino gli investimenti. Non so, però, se questa ipotesi sia stata valutato o meno.”

Si è parlato anche di un protocollo al quale dovrebbero attenersi i club per partecipare al massimo campionato: stadi con capienza minima, strutture adeguate, risorse economiche garantite, ecc. È una strada percorribile?

“Anche qui partiamo da un presupposto condivisibile, ma non si tiene conto della nostra attuale realtà. Con questi criteri diverse società resterebbero tagliate fuori e allora sarebbe necessario ricorrere alle deroghe creando una situazione dove ci sarebbero figli e figliastri. Ci si potrebbe anche chiedere se la Federazione è disponibile a sostenere economicamente quei club che dovrebbero adeguarsi ai parametri richiesti. Dubito che ciò accada se già adesso quasi tutte le risorse a disposizione servono ad alimentare le due teste del mostro. C’è poi anche

la questione dell’obbligo della seconda squadra che non mi trova affatto d’accordo. Ripeto: dopo l’Elite abbiamo la Serie A nella quale devono giocare i nostri atleti con desiderano continuare con il rugby. Tempo fa a Rovigo abbiamo fatto una scelta che vuole favorire la filiera rugbistica della provincia. Conclusa l’attività giovanile i giocatori che non rientrano nei piani della prima squadra preferiscono continuare la loro attività negli altri club del territorio che partecipano ai campionati di Serie A e B piuttosto che militare precariamente in una squadra Riserve.”

In questo quadro si inserisce anche il rapporto tra le società del campionato e le due franchigie. Come lo giudica?

“Partiamo dalla questione dei “permit player”. Io sono contrario ad avere nella mia squadra giocatori che si allenano tutta la settimana con una franchigia per poi averli a disposizione solo in occasione delle partite. Non credo che questo sistema aiuti la crescita tecnica del singolo giocatore senza dimenticare le conseguenze di una situazione del genere negli equilibri del gruppo. Salvo la preparazione pre-season, ritengo molto più sensato l’utilizzo del “prestito stagionale” dei giocatori sotto contratto con le franchigie che restano così sempre a disposizione della squadra che disputa il campionato. A Rovigo l’anno scorso abbiamo avuto Tavuyara e per la prossima stagione dovremo formalizzare il prestito di due giocatori provenienti dal Benetton Treviso con il quale abbiamo una buona collaborazione. Non posso dire la stessa cosa delle Zebre visto che si sono accordati con due nostri atleti già a dicembre scorso senza nemmeno informare la società.”

Da tempo si parla di rimettere in piedi la Lega delle società di Serie A. A che punto siamo?

“In passato è stato perso tanto tempo. Con 10 società, ognuna con esigenze e realtà diverse, era difficile trovare dei punti in comune. Di recente si era quasi riusciti in questa impresa, ma è intervenuta la Federazione a sconvolgere le buone intenzioni, introducendo nuovi criteri e una nuova figura come quella del Direttore del Campionato. Magari con il torneo a 8 club ci saranno maggiori possibilità per far rinascere la Lega. Io mi chiedo, però, con quali obiettivi e con quali prospettive potrà muoversi se il ruolo del campionato resterà sempre subalterno alle franchigie e alla Nazionale.”

Cosa vede nel futuro del campionato?

“Devo ammettere che non sono molto ottimista. C’è una situazione nella quale sembra non esserci prospettive per il campionato e che non appare modificabile. Con la creazione delle franchigie abbiamo voluto in qualche modo scimmiottare altre nazioni rugbisticamente diverse dall’Italia. Credo, invece, che ognuno debba fare i conti con la propria real -

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tà. Dopo più di dieci anni questo modello non mi pare abbia prodotto grandi risultati. Forse tornare a un campionato nazionale forte e competitivo non sarebbe una cattiva idea. Le ultime finali-scudetto hanno dimostrato che ci sono delle potenzialità da sfruttare. La Federazione, però, va avanti per la sua strada. Davanti a questa chiusura, che in qualche modo non gratifica l’impegno di chi come me e i presidenti delle squadre che hanno disputato i play off, ma anche gli altri che hanno investito e stanno ancora investendo sul campionato, non mi resta che dedicarmi esclusivamente al Rovigo ancora per qualche anno. Senza un cambiamento di obiettivi ho già deciso che non mi interessa più partecipare alle prossime riunioni tra le società e la Federazione.” In effetti la Federazione non sembra aver intenzione di modificare i suoi programmi i quali prevedono che tutte le realtà del movimento italiano debbano operare con il solo scopo di sostenere l’attività dell’alto livello. Anzi con la riforma delle Accademie e dei Centri di Formazione potrà controllare e gestire, mettendoli direttamente sotto contratto, anche i migliori elementi che usciranno dai settori giovanili dei club. In questo modo il percorso delineato per “la meglio gioventù” del rugby italiano passerà esclusivamente per la filiera federale (Centri di Formazione, Accademie, Franchigie e Nazionale) escludendo di fatto i campionati seniores, dalla Serie C alla neo Serie A Elite, nei quali giocheranno solo gli atleti ritenuti non idonei al progetto federale. Il rischio potrebbe essere quello di avere tutta l’attività non funzionale alle franchigie e alla Nazionale relegata in un angolo come si fa con le cose che non servono. È vero che le risorse economiche di cui dispone attualmente la Federazione arrivano dall’attività di vertice, ma buttare a mare un patrimonio di un secolo di storia e di tradizione come quello rappresentato dalle società, con le loro naturali ambizioni e giuste esigenze, sarebbe un grave errore.

Gli scudetti vinti da presidente da Francesco Zambelli (2016, 2021, 2023) che eguaglia così il record di Lino Rizzieri, alla guida della squadra campione nel 1962, 1963 e 1964.

I titoli conquistati complessivamente dai Bersaglieri, il primo fu nel 1951, seguito da quelli del 1952, 1953 e 1954. Poi, ai tre degli anni Sessanta, e a quelli dell’era Zambelli, vanno aggiunti i due del 1976 e 1979, e quelli del 1988 e del 1990.

Alberto Chillon è uno dei due giocatori che hanno conquistato lo scudetto sia con la maglia del Petrarca (2011) che con quella del Rovigo (2016 e 2023). L’altro è Dino De Anna che, nel 1977, vinse il titolo a Padova, mentre l’anno prima aveva trionfato con quella rossoblù dei polesani.

Alessandro Lodi è solo il terzo allenatore italiano ad aver portato al successo in campionato Rovigo, i primi due erano stati Umberto Casellato (2021) e Giordano Campice (1962, 1963, 1964). Lo scudetto del 1976 i Bersaglieri lo conquistarono sotto la guida di Julien Saby, quello del 1979 con Carwyn James in panchina. Nel 1988 l’allenatore era Nelie Smith e nel 1990 Tito Lupini, azzurro ma di scuola sudafricana. Nel 2016 Joe Mc Donnell prese a metà dicembre il posto di Pippo Frati. Gli scudetti degli anni Cinquanta non annoverano ufficialmente un allenatore: Mario “Maci” Battaglini (1950-1953) e Aldo Milani (1954) svolgevano contemporaneamente il ruolo di giocatore e allenatore.

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Giovanni Montemauri, miglior marcatore del campionato 2023, con 233 punti. La prossima stagione giocherà nelle Zebre. A destra, il tifo delle Posse rossoblù al Battaglini.
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Terzo scudetto per Albi Chillon, che ne ha vinti due con la maglia del Rovigo e uno con quella del Petrarca

Dopo lo scudetto, la pesca con la mosca. Domenica 28 maggio, Alberto “Albi” Chillon ha conquistato a Parma il suo terzo titolo tricolore. Tutti e tre sono stati vinti sull’asse Padova-Rovigo. Il primo al Battaglini, con la maglia del Petrarca, gli altri due con quella rossoblù del club polesano, battendo entrambe le volte gli avversari padovani.

Archiviata la sesta finale, tre vinte (2011, 2016 e 2023) e tre perse (2017, 2019, tutte e due contro Calvisano, e 2022, contro Padova), Chillon può dedicarsi ora al suo hobby preferito: la pesca alla trota sul Brenta.

A Rovigo, Albi non è l’unico appassionato di ami ed esche: Davide Giazzon, l’allenatore della mischia del club, è il titolare di un negozio specializzato nel settore, Magic Angler, a Mogliano.

“Ma la sua è una pesca da uomo di prima linea (carpfishing, ndr) - lo prende in giro l’ex mediano di mischia delle Zebre -, io corro su e giù per i torrenti, lui se ne sta seduto sulla riva ad aspettare, magari con la birretta in mano…”.

Chiusa la diatriba tra pescatori, possiamo passare all’analisi della stagione del Rovigo, sfociata nel trionfo di Parma.

“Anche stavolta, come nel 2016, lungo la strada che ha portato allo scudetto c’è stato un cambio di allenatore in corsa. Allora, alla vigilia di Natale, il Rovigo esonerò Frati per mettere al suo posto Joe McDonald. Quest’anno, a novembre, al posto di Allister Coetzee è arrivato Alessandro Lodi…”

Coetzee non funzionava?

“Penso che questo ambiente non fosse il suo: aveva lavorato con gli Springboks, era abituato ad avere un staff di dieci persone… Faticava a calarsi nella nostra mentalità, nello spirito con cui qui si preparano e si vivono una partita, una trasferta, non coglieva gli umori della settimana. Tutto troppo distante dalla sua mentalità. Con Ale Lodi siamo ripartiti praticamente da zero, con più entusiasmo, insistendo su quel senso di appartenenza che a Rovigo è fondamentale e che lui ha saputo gestire molto bene”.

Perché Rovigo è un posto speciale?

“Perché qui quando vai in campo c’è tutta una città che aspetta, qui non giochi solo per te stesso, dietro c’è tutta una comunità che spinge, che tifa”.

Tu però il primo scudetto l’ha vinto con la maglia del Petrarca, battendo il Rovigo in finale proprio al Battaglini.

“Quello ancora me lo rinfacciano: nella regular season avevamo perso entrambi gli scontri diretti, in finale, dopo mezz’ora, eravamo sotto 3-14. Poi loro non hanno fatto più un punto e noi abbiamo vinto 18-14”.

Li hai ricompensati con due titoli, quello del 2016 e quello di quest’anno. Però ti sei perso quello del 2021, la vittoria rossoblù al Plebiscito.

“Nel 2019, la stagione del covid, ero rientrato a Padova. Con la mia compagna avevamo deciso di mettere su casa insieme, giocare nel Petrarca mi sembrava la soluzione migliore. Poi però le cose non sono andate come mi aspettavo, c’è stata l’interruzione per la pandemia, non si sapeva bene come sarebbe andata a finire, perciò quando Manghi mi ha fatto la proposta di trasferirmi al Valorugby ho accettato volentieri. Il campionato 2020/2021 l’ho disputato con la formazione emiliana, in semifinale abbiamo battuto il Petrarca in trasferta, ma non è bastato per guadagnarci la finale. Poi Rovigo ha conquistato lo scudetto con quella meta proprio alla fine”. Come mai sei stato a Reggio solo una stagione?

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Per Albi Chillon, quella appena conclusa è stata la sesta stagione con la maglia del Rovigo. Qui, con maglia del Petrarca, nel 2011, alla consegna dello Scudetto.

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