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6 Nazioni L’ITALIA MIGLIORA

Gioco e spettacolo per una squadra in crescita

ARIA NUOVA

Parlano due protagonisti:

Danilo Fischetti

Neil Barnes

SEI NAZIONI

DONNE AL VIA

L’Italia rinnovata dopo il Mondiale Squadre a confronto

RUGBY
178 Marzo 2023 ALLRUGBY RIVISTA MENSILE Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale –70% AUT. N° 070028 del 28/02/2007 DCB Modena . Prima immissione 01/02/2007 www.allrugby.it
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Ci dicono, ci scrivono alcuni lettori che talvolta Allrugby sembra pervaso da un sottile senso di nostalgia per i bei tempi andati, quelli del rugby amatoriale. Un mondo ideale, in cui tutto era più spontaneo. Non è così, ma l’osservazione merita qualche chiarimento.

Il compito del giornalista è analizzare, scavare, leggere il presente alla luce del passato, metterne in risalto la storia e le contraddizioni. Il che non vuol dire che l’occasionale neofita non si possa appassionare al gioco se non conosce Gareth Edwards, Carwyn James o Pierre Villepreux. Semplicemente Allrugby è una pubblicazione che ambisce a diffondere la cultura del rugby. E non c’è cultura senza critica del presente e conoscenza del passato.

Ci poniamo domande, spesso purtroppo senza risposte facili. Perché nel 1977, quando l’ovale apparteneva a quel “piccolo mondo antico” in cui in touche si saltava senza ascensore, gli arbitri dirigevano le gare senza la scienza esatta del TMO, e sette fasi di gioco erano un miracolo, si radunarono all’Appiani per Petrarca-Rovigo 18 mila spettatori, mentre oggi sulle tribune del Plebiscito ce ne sono 87 contati per la squadra campione d’Italia?

Perché il record di pubblico per un match del Sei Nazioni appartiene a un’epoca in cui nessuno pretendeva che il rugby fosse uno spettacolo: 105mila spettatori a Murrayfield per Scozia-Galles, 12-10, una sola meta e neppure segnata dai vincitori?

Da qui: perché oggi si introducono continue modifiche di regolamento per far sì che di mete ce ne siano a grappoli, come i canestri in una partita di basket? Erano incolti, ingenui, incapaci di giudicare quei 105 mila che a Murrayfield si divertirono con una meta sola?

Parliamo, più in generale, di una deriva dello sport moderno (tutti gli sport eh…), in cui il lato estetico, commerciale, la sua vendibilità televisiva, hanno preso il sopravvento sull’anima più profonda che stava all’origine di tante discipline. È una colpa paragonare l’allegro istinto di Pelè all’attenzione maniacale di Ronaldo per gli sponsor, i contratti e l’immagine di sé?

Galles-Inghilterra era una sfida epocale, quest’anno è stata in dubbio fino all’ultimo per il minacciato, e probabilmente giusto, sciopero dei giocatori. Lungi da noi rimpiangere quando i gallesi erano minatori, ma se Wasps (club fondato nel 1867) e Worcester (1871) vanno in malora, se L’Aquila (L’Aquila!! cinque scudetti…) non c’è più, se un centinaio di atleti fanno causa a World Rugby per il loro stato di salute, forse qualche problema esiste e ne dobbiamo parlare.

Poi certo nessuno nega che adesso le tecniche di allenamento producono magnifici atleti, con caratteristiche impensabili un tempo e capaci di gesti che una volta si vedevano (quasi) solo nell’NBA. Ma queste caratteristiche pongono al rugby moderno gli stessi problemi che i suv creano nei centri abitati di un borgo medievale, dove la mobilità si svolge in un reticolo di vicoli e non in autostrade a sei corsie. Che fare se la mischia dell’Italia, in Sudafrica nel 1973 arrivava tutta insieme, come scrive Luciano Ravagnani, a 740 chili, mentre oggi ce ne sono che pesano 200 chili di più? Deleghiamo agli arbitri la tutela dei giocatori?

Nei libri di Roald Dahl, la notizia è di questi giorni, sono stati aboliti i termini “grasso”, “brutto”, “nano”. Termini non inclusivi. Il rugby inclusivo, ahimè, non lo è per la sua stessa natura.

A meno che non abolisca il placcaggio, a qualunque altezza venga effettuato, perché, alle velocità attuali, spesso si fa più male del placcato il placcatore.

E poi dovremo abolire le mischie, perché la loro tecnica è incomprensibile per la maggior parte degli arbitri, oltre che per gli spettatori. La nostalgia non è per il passato, ma per un mondo senza ossessione di dover compiacere i più.

Gianluca Barca

direttore responsabile

Gianluca Barca gianluca.barca@allrugby.it

photo editor

Daniele Resini danieleresini64@gmail.com

redazione

Giacomo Bagnasco, Federico Meda, Stefano Semeraro. Collaboratori

Danny Arati, Felice Alborghetti, Alessio Argentieri, Sergio Bianco, Simone Battaggia, Enrico Capello, Alessandro

Cecioni, Giorgio Cimbrico, Andrea Di Giandomenico, Mario Diani, Diego Forti, Andrea Fusco, Gianluca Galzerano, Christian Marchetti, Norberto “Cacho” Mastrocola, Paolo Mulazzi, Iain R. Morrison, Andrea Passerini, Luciano Ravagnani, Roberto “Willy” Roversi Marco Terrestri, Maurizio Vancini, Valerio Vecchiarelli, Giancarlo Volpato, Francesco Volpe.

fotografie

In copertina, Lorenzo Cannone travolge Caelan Doris in Italia v Irlanda (foto Daniele Resini/Fotosportit).

Fotosportit

Roberto Bregani, pag. 35; John Dickson pagg. 4, 18; David Gibson, pagg. 15, 19, 54, 55b; Diego Forti, pag. 10; Daniele Resini, pagg. 6, 11, 12, 20, 21, 24/28, 34, 38/49, 65, 71, 73.

Getty Images ANP, pag. 23; Franco Arland, pag. 17; Greg Bowker, pag. 50; Ramsey Cardy, pag. 55a; Ian Cook, pag. 22; Seb Daly, pag. 72; Mike Egerton, pag. 52; Stu Forster, pag. 14; Craig Mercer pagg.16, 32; Dan Mullan pag. 36; Hannah Peters pag. 56; Altri crediti

Giorgio Achilli, pag. 58; Daniel Cau, pagg. 61, 67, 68.

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stampa

L’Artegrafica

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Matteo Alemanno
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FLASH Colpo d’ala

La meta in splendida acrobazia di James Lowe, in Irlanda v Francia a Dublino. Per Lowe si è trattato dell’ottava in 17 partite con la maglia dell’Irlanda. In precedenza ne aveva messe a segno tre, in quattro partite, con i colori dei New Zealand Maori.

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FLASH

Mischia chiusa

Finlay Bealham, in primo piano con la testa sul prato, si schianta sotto la pressione di Danilo Fischetti, in Italia v Irlanda all’Olimpico. Il pilone azzurro rimane più raccolto nella spinta, mente quello irlandese perde gli appoggi, allungandosi troppo rispetto al punto di ingaggio. È calcio di punizione a favore degli Azzurri che, però, nel corso del match ne concederanno a loro volta tre in mischia chiusa.

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www.bancavalsabbina.com

numero centosettantotto

SEI NAZIONI 2023

Pag.10 Bell’Italia

Il punto dopo le prime tre giornate del Sei Nazioni.

Pag.12 Round 1

L’Italia costringe agli straordinari la Francia. L’Irlanda zittisce Cardiff. Alla Scozia la Calcutta Cup.

Pag.16 Round 2

Gli Azzurri non espugnano Twickenham. Francia sconfitta a Dublino. La Scozia travolge il Galles a Murrayfield.

Pag.20 Round 3

Brava Italia, ma è ancora troppa Irlanda. L’Inghilterra batte il Galles, la Francia resiste al ritorno della Scozia.

Pag.24 Cubo Medusa non perdona

Danilo Fischetti si racconta a Gianluca Barca.

Pag.30 L’amico neozelandese

Federico Meda va alla scoperta di Neil Barnes, consulente tuttofare dell’Italia.

Pag.36 Ahi serva Italia

Luciano Ravagnani sottolinea la minorità culturale del rugby nel nostro Paese.

Pag.40 Uno sguardo al rugby del futuro

Pag.42 Il comandante Marcos

Chi è Marcos Gallorini, pilone azzurro di grandi speranze, di Valerio Vecchiarelli.

NAZIONALE DONNE

Pag.46 Anno nuovo

Pag.48 Veronica 10 e lode

Giacomo Bagnasco a colloquio con Veronica Madia, numero 10 dell’Italia.

Pag.52 Dopo il Mondiale

Mario Diani fa il punto sullo stato delle squadre alla vigilia del Sei Nazioni.

CAMPIONATO TOP10

Pag.58 Il capitano tiberino

L’analisi del torneo a sei giornate dalla fine della regular season. I pronostici dei dieci allenatori.

Pag.66 Se potessi avere... mille giocatori

Enrico

RUBRICHE

Pag.72 Lo spazio tecnico di Andrea Di Giandomenico

Pag.73 Mani in ruck di Maurizio Vancini

Pag.74 West end di Giorgio Cimbrico

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178 SOMMARIO
Grassi, gran patron del Valorugby, si racconta a Andrea Fusco. Pag.70 An Englishman in Italia A colloquio con Scott Lyle, estremo del Petrarca campione in carica. Di Gianluca Barca. nuove frontiere Dopo il Mondiale in Nuova Zelanda, la Nazionale azzurra a un nuovo esame. SEI NAZIONI U20

Bell’Italia

Nelle prime tre giornate del Sei Nazioni, gli Azzurri hanno impressionato per coraggio, intraprendenza, inventiva. Eppure non è arrivata nemmeno una vittoria

“Vedrai, vedrai, vedrai che cambierà, forse non sarà domani ma un bel giorno cambierà”, cantava Luigi Tenco tanti anni fa. E se l’Italia continua così quel giorno arriverà presto, potete starne sicuri.

Perché il cambiamento è già avvenuto: gli Azzurri giocano bene, anche se ne nelle prime tre giornate non hanno vinto nemmeno una partita.

Le sei mete messe a segno contro Francia, Inghilterra e Irlanda superano il bottino dell’intero torneo 2022, quando la formazione di Kieran Crowley ne marcò complessivamente 5, ed eguagliano, in sole tre partite, il totale del 2020 e del 2021. Adesso si gioca.

All’Italia serviva togliere le briglie che per alcune stagioni ne avevano limitato l’inventiva.

Ora con il pallone che esce rapido da maul e ruck, la squadra è molto più imprevedibile, spavalda, sicura di sé. Certo, le gambe di Capuozzo, ma anche quelle di Pierre Bruno, la potenza esplosiva di Lorenzo Cannone, il dinamismo di Fischetti, l’abilità pallone in mano di Ruzza, le percussioni di Negri… Dopo tre giornate, l’Italia è seconda per metri percorsi palla in mano (2.408), dietro all’Irlanda (2.600), ma davanti all’Inghilterra (2.232), alla Francia (2.164), alla Scozia (2.150) e al Galles (2.073).

In compenso gli Azzurri hanno calciato molto meno, coprendo una distanza al piede di circa 1.700 metri, contro gli oltre tremila dell’Inghilterra, i 2.900 dell’Irlanda, i 2.800 circa di Scozia e Francia. Il Galles si è fermato a 2.270 metri. L’Irlanda si conferma per ora la squadra più solida, più efficace, non ha caso è anche quella che è stata costretta a placcare meno (411 placcaggi in totale), ma l’Italia, giocando palla in mano, ha invertito la tendenza che la voleva destinata a subire a lungo la pressione degli avversari. E infatti gli Azzurri hanno dovuto effettuare solo 418 placcaggi nelle tre partite, contro i 550 della Francia.

Gli irlandesi però (l’avreste mai detto?) sono quelli che in difesa hanno la più alta percentuale di errori, oltre il 19%, mentre Francia e Scozia, hanno sbagliato solo il 10% dei placcaggi finora. Galles, Italia e Inghilterra sono intorno al 18%.

In compenso l’Italia è la squadra che ha effettuato il più alto numero di placcaggi dominanti (39, uno più del Galles), ma anche quella che ha commesso più errori di “handling”, inevitabile conseguenza del fatto che gli Azzurri sono la formazione che ha passato più palloni, 584, contro i 555 dell’Irlanda. La Francia, altra sorpresa, è quella che ne ha passati meno, 412, segno che con Galthiè, e in vista del Mondiale, i Coqs cercano di praticare un gioco meno complicato e più verticale.

A due giornate dalla fine solo l’Irlanda è ancora in corsa per il Grande Slam, Inghilterra, Francia e Scozia, dieci punti ciascuna, possono ancora vincere il torneo.

Ci aspetta un bel finale, con l’Italia contro il Galles e, l’ultima giornata, a Murrayfield

SEI NAZIONI
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NAZIONI 2023

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Il tuffo in meta di Stephen Varney.

ROUND 1

Francia v Italia

Domenica 5 febbraio, Roma, Stadio Olimpico

Italia v Francia 24-29

Francia 4 mete (Flament, Ramos, Dumortier, Jalibert), 3 tr. e 1 cp (Ramos).

Italia 2 mete (Capuozzo, meta di punizione), 4 cp (Allan)

Cartellini Ollivon (giallo)

Arbitro Carley (Ing)

Italia davanti a sorpresa fin oltre la mezzora. Poi la Francia ha lentaGli Azzurri avevano promesso di voler affrontare il Sei Nazioni giocando con la palla in mano, rapide incursioni per mettere in difficoltà gli avversari. Una tattica dispendiosa e a tratti pericolosa che nei primi minuti ha regalato possesso e opportunità alla Francia, in meta dopo soli 5’ con Flament, che si è trovato in mano un calcio di liberazione di Varney. Poi Ollivon si è visto annullare una marcatura dall’esame attento della moviola, ma subito dopo l’estremo Ramos e l’ala Dumortier hanno approfittato di due cross perfetti del numero 10 Ntamack per punire in rapida sequenza gli avversari. Che, piano piano, hanno recuperato fiducia e punti, prima con due punizioni di Allan, poi con la bella marcatura di Capuozzo. Nel secondo tempo, la meta di punizione (con giallo a Ollivon) assegnata dall’arbitro al 51’ dopo una spinta da touche era il preludio al vantaggio padroni di casa, 24-22, all’ora di gioco (altro penalty di Allan). Forse è stato quello il momento in cui l’Italia avrebbe potuto (dovuto?) chiudere il match, prima che Jalibert alla fine di una lunga sequenza di fasi ristabilisse le gerarchie, per la quattordicesima vittoria consecutiva della Francia.

Una carica di Lorenzo Cannone, placcato da un francese, con Allan e Capuozzo in sostegno. Nella foto piccola, Capuozzo in meta nonostante il placcaggio di Aldritt.

5 Nel primo tempo i francesi sono stati nei 22 metri avversari il doppio del tempo degli azzurri (sei minuti contro poco più di tre) ma hanno segnato solo cinque punti in più dei padroni di casa (19-14) che, in 40’, hanno concesso soltanto due calci di punizione contro i 9 degli indisciplinati avversari (alla fine il conto è stato 7-18).

37 I placcaggi mancati dagli Azzurri, il numero più alto, fra tutte le squadre, nella prima giornata.

27I placcaggi effettuati dai due Cannone, 15 Niccolò, 12 Lorenzo. Ne hanno mancato uno ciascuno

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Galles v Irlanda

Sabato 4 febbraio, Cardiff, Principality Stadium

Galles v Irlanda 10-34

Galles Galles: 1 meta (L. Williams), 1 tr. (Biggar), 1 cp (Biggar).

Irlanda 4 mete (Doris, Ryan, Lowe, van der Flier); 4 tr (Sexton 3, Byrne), 2 cp (Sexton)

Cartellini L. Williams (giallo)

Arbitro Dickson (Ing)

In venti minuti l’Irlanda ha chiuso la pratica e zittito il Principality Stadium, che il ritorno di Warren Gatland alla guida della nazionale gallese aveva acceso di speranze dopo mesi bui.

L’indisciplina dei padroni di casa ha regalato subito agli irlandesi un dominio territoriale che la squadra di Farrell ha capitalizzato con le due mete di Doris e Ryan da distanza ravvicinata.

Il colpo di grazie è arrivato con la meta di intercetto di Lowe quando il Galles sembrava poter rialzare la testa rimettere la partita in discussione.

Acquisito un margine di oltre venti punti, gli irlandesi hanno un po’ rallentato permettendo al Galles di marcare con Liam Williams subito dopo il riposo. Il problema maggiore dei Dragoni è emerso quando la squadra ha avuto la palla in mano, costruendo anche svariate occasioni: per i padroni di casa meno di un punto per ogni visita ai 22 avversari, mentre l’Irlanda, cinica ed efficace, ne ha raccolti in media più di tre ogni volta che si è affacciata sotto i pali irlandesi.

La grinta di Dan Sheehan, tallonatore irlandese. Jac Morgan non riesce a fermarlo.

Inghilterra v Scozia

Sabato 4 febbraio, Londra, Twickenham

Inghilterra v Scozia 23-29

Inghilterra 3 mete (2 Malins, Genge), 1 tr. (Farrell), 2 cp (Farrell).

Scozia 4 mete (Jones, 2 van der Merwe, White), 3 tr. e 1 cp (Russell).

Cartellini L. Williams (giallo)

Arbitro Williams (NZ)

Dopo la sconfitta, l’analisi di Steve Borthwick è stata senza pietà: “ho ereditato una squadra che l’anno scorso era stata la peggiore in mischia fra quelle di prima fascia (Tier 1) e una delle più lente a far uscire la palla dalle ruck, abbiamo molto lavoro da fare in tutte le aree del gioco”. In realtà, al cospetto della Scozia, l’Inghilterra si era costruita un vantaggio cospicuo, 2012, che non è stata poi capace di difendere quando la partita è arrivata al rettilineo finale.

La prima meta di van der Merwe, una delle più spettacolari in assoluto, ha tratto vantaggio da non meno di cinque placcaggi mancati da parte degli inglesi e quella del mediano di mischia White, al 50’, è stata frutto di un gesto di opportunismo assoluto.

La Scozia per tre quarti del tempo ha giocato nel proprio territorio (70%), ma ha saputo sfruttare al meglio tutte le occasioni. L’Inghilterra, per contro, non ha capitalizzato un possesso superiore al 57% e un volume di gioco che l’ha vista per oltre il 70% accampata nella metà campo avversaria.

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Duhan van der Merwe protagonista assoluto, con due mete, della vittoria della Scozia a Twickenham.

ROUND 2

Inghilterra v Italia

Domenica 12 febbraio, Londra, Twickenham

Inghilterra v Italia 31-14

Inghilterra 5 mete (Willis, Chessum, George, Penalty Try, Arundell), 2 tr. (Farrell 2).

Italia 2 mete (Riccioni, Fusco), 2 tr (Allan). Cartellini L.Cannone (giallo).

Arbitro Doleman (NZ)

Dare a Twickenham quel che è di Twickenham. Steve Borthwick, dopo la sconfitta con la Scozia, nel suo match di esordio sulla panchina dell’Inghilterra, ha affrontato l’Italia basandosi sui princìpi più elementari del gioco: possesso, dominio delle fasi statiche, territorio.

Ne è scaturita una partita che gli inglesi hanno messo subito sul confronto muscolare; risultato: l’Italia si è trovata spesso a giocare nella propria metà campo. Ciò ha permesso ai padroni di casa di sfruttare a dovere la spinta da touche, dalla quale sono arrivate tre mete su cinque, mentre le imprevedibili accelerazioni di Capuozzo si spegnevano spesso lontano dalla linea di meta avversaria. Azzurri più convinti nella ripresa, il cui parziale è stato di 14-12 per la formazione di Crowley. Riccioni ha sfondato subito dopo il riposo, al termine di un lungo possesso nei 22 dell’Inghilterra. E, poco dopo, Fusco è stato bravo a sfruttare in velocità un’incursione di Menoncello. Due delle tre mete inglesi del primo tempo sono state realizzate in superiorità numerica durante l’espulsione temporanea di Lorenzo Cannone.

Ange Capuozzo lascia a terra Lewis Ludlam e cerca di sfuggire a Max Malins. Nella foto piccola la meta di Marco Riccioni, la prima del pilone dei Saracens in maglia azzurra.

14 I falli fischiati contro l’Italia dall’arbitro neozelandese Doleman, contro i 7 dell’Inghilterra. Solo il Galles (17) ne ha concessi di più nella seconda giornata.

127 I metri percorsi palla in mano da Ange Capuozzo. Nessun inglese ne ha percorsi più di 85 (83 Ollie Lawrence), a dimostrazione della tattica scelta dall’Inghilterra: rischiare il meno possibile con la palla in mano.

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Irlanda v Francia

Sabato 11 febbraio, Dublino, Aviva Stadium

Irlanda v Francia 32-19

Irlanda 4 mete (Keenan, Lowe, Porter, Ringrose), 3 tr. (Sexton 2, Byrne), 2 cp (Sexton, Byrne).

Francia 1 meta (Penaud), 1 tr. (Ramos), 3 cp (Ramos), 1 drop (Ramos).

Cartellini Atonio (giallo).

Arbitro Barnes (Ing)

Uno schiaffetto di Ramos per far vivere un pallone giocato avventurosamente da Ntamack ha aperto le porte all’azione di Penaud che la stessa ala del Clermont ha concluso dall’altra parte del campo. Una meta “alla francese” si sarebbe detto una volta. Al cospetto di un’Irlanda tetragona, disciplinata, organizzatissima nel gioco e solida nelle fasi statiche, il breve momento di magia dei Coqs non è bastato per vincere a Dublino e far deragliare il treno irlandese lanciato probabilmente verso la vittoria nel torneo.

L’Irlanda ha segnato con l’intuizione di Keenan, la cui linea di corsa è stata più precisa di un laser sparato nel buio, con l’estro di Lowe, la potenza di Porter e la determinazione unita al grande talento di Ringrose, capace di rompere due placcaggi dopo 19 fasi di spaventosa potenza e precisione.

L’Irlanda ha unito pazienza, capacità di avanzamento, potenza fisica e abilità nel muovere il pallone. La Francia è rimasta appesa al match con il piede di Ramos. Resta un dubbio: Galthiè ci nasconde qualcosa in vista del Mondiale?

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L’accelerazione di Hugo Keenan autore della prima meta dell’Irlanda.

Scozia v Galles

Sabato 11 febbraio, Edimburgo, Murrayfield

Scozia v Galles 35-7

Scozia 5 mete (Turner, Steyn 2, Kinghorn, M. Fagerson), 2 tr. E 2 cp (Russell).

Galles 1 meta (Owens), 1 tr. (Biggar).

Cartellini Turner, L. Williams, Webb (gialli)

Arbitro Brace (Irl)

Sconfitta record per il Galles a Murrayfield: in 140 anni di sfide, i gallesi non avevano mai ceduto alla Scozia con un passivo così pesante. Il problema più grande per la squadra di Gatland è la totale incapacità di convertire il possesso in

punti: solo sette in 14 visite ai 22 scozzesi, con il 61% di dominio territoriale reso inutile daila sterilità di un gioco che non riesce a bucare le difese avversarie. Eppure i Dragoni avrebbero potuto andare in vantaggio al riposo, se solo Dyer fosse riuscito a catturare il pallone che Biggar gli aveva offerto per tuffarsi alla bandierina, dopo una lunga serie di fasi sotto i pali dei padroni di casa. 13-7 al riposo la Scozia ha dilagato nella ripresa con Steyn autore di una doppietta, la prima meta su uno splendido off load di Russell (nella foto). La seconda è arrivata con i gallesi in 14 per il giallo a Liam Williams, il secondo in due partite. Galles, i17 falli nell’arco degli 80 minuti, ancora penalizzato dalla disciplina, come era accaduto nella prima giornata.

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ROUND 3

Italia v Irlanda

Sabato 25 febbraio, Roma, stadio Olimpico

Italia v Irlanda 20-34

Italia 2 mete (Varney, Bruno), 2 tr. e 2 cp (Garbisi).

Irlanda 5 mete (Ryan, Keenan, Aki, 2 Hansen), 3 tr. e 1 cp (Byrne).

Arbitro Adamson (Sco)

L’Irlanda ha vinto una partita che a un quarto d’ora dalla fine ha avuto paura di perdere. Nonostante gli irlandesi avessero conquistato il bonus già dopo mezzora, gli Azzurri al 64’ erano distanti ancora solo quattro punti dagli avversari. Al 50’ la squadra in maglia verde si era ostinata a provare a sfondare di forza invece che calciare verso i pali una serie di punizioni fischiate dall’arbitro Adamson in suo favore. Alla fine, sotto la pressione dell’Italia è arrivato l’errore. Così, all’occasione successiva, Byrne ha optato per aggiungere 3 punti al bottino irlandese. Con gli ospiti in vantaggio di 7, l’Italia ha avuto la sua ultima occasione quando Brex ha cercato di raggiungere Ruzza con un cross, dopo una serie di attacchi nella metà campo irlandese. Su quel pallone finito oltre la linea laterale si sono spente le speranze azzurre di tenere aperta la partita fino alla fine. La seconda meta di Hansen ha solo reso il divario più amaro.

102 I metri percorsi palla in mano da Lorenzo Cannone, cui vanno aggiunti 15 placcaggi senza errori. Spettacolare la sua percussione che ha innescato la meta di Varney.

27 I placcaggi mancati dall’Irlanda, su 167 tentativi (83% di successo), il dato è la fotografia delle difficoltà che l’attacco degli Azzurri ha creato agli Irlandesi. Su 192 placcaggi, l’Italia ha commesso solo 18 errori, ma alcuni sono stati letali.

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La fuga verso la meta di Pierre Bruno, inutilmente rincorso da van der Flyer. Nella foto piccola, la corsa di Lorenzo Cannone, da cui è scaturita la meta di Varney all’inizio della partita.
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Galles v Inghilterra

Sabato 25 febbraio, Cardiff, Principality Stadium

Galles v Inghilterra 10-20

Galles 1 meta (Rees-Zammit), 1 tr. e 1 cp. (Halfpenny). Inghilterra 1 meta (Dombrandt), 6 cp (Smith).

Arbitro Raynal (Fra)

Il Galles ha avuto maggiore possesso (51%) ma l’Inghilterra ha giocato la maggior parte del tempo (55%) nella metà campo avversaria. Il merito è stato in gran parte del gioco al piede di Farrell e Van Portvliet che insieme hanno guadagnato oltre 770 metri con i loro calci di spostamento, oltre un centinaio di metri in più rispetto alla mediana gallese. Decisiva anche la sicurezza di Freddie Steward nelle prese aeree, mentre il triangolo allargato gallese ha commesso più di un errore.

Nel complesso un duro confronto muscolare interrotto solo occasionalmente da rari sprazzi di fantasia: l’accelerazione di Max Malins nell’azione conclusa da Watson con il tuffo vincente alla bandierina, in occasione della prima meta dell’Inghilterra, l’Intercetto di Rees-Zammit in occasione della marcatura gallese.

Il Galles fatica a dare ritmo al suo gioco, solo il 42% dei suoi palloni è uscito dai raggruppamenti in meno di 3” (53% per gli inglesi che hanno bucato la difesa gallese 6 volte contro le 3 degli avversari).

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Francia v Scozia

Domenica 26 febbraio, Parigi, Stade de France

Francia v Scozia 32-21

Francia 4 mete (Ntamack, Dumortier, Ramos, Fickou), 3 tr. e 2 cp (Ramos).

Scozia 3 mete (Jones 2, Russell), 3 tr (Russell).

Arbitro Amashukeli (Geo).

Francia davanti 19-0 dopo un inizio in cui è successo di tutto: al 4’ la meta di Ntamack, al 6’ il cartellino rosso a Gilchrist (placcaggio alto con spallata), al 7’ la meta di Dumortier, poi il “rosso” a Haouas (al 10’, testata a Ben White) e al 18’ l’intercetto di Ramos.

I due cartellini rossi hanno di fatto tolto dalla partita

quattro protagonisti assoluti, perché le due espulsioni hanno comportato anche le sostituzioni di Watson e di Aldritt. Scozia che, assorbito lo shock dello svantaggio iniziale e ristabilita la parità, ha cominciato a macinare gioco, con Finn Russell maestro nel dettare i tempi e gestire le azioni della squadra. Le due mete di Huw Jones, imprendibile per la difesa di casa, hanno riacceso la partita, e quando Russell, al 68’, ha schiacciato al termine di una bella intuizione individuale, molti si sono illusi che la Scozia avrebbe potuto vincere la partita. Brava la Francia e non perdersi d’animo, riuscire a controllare il finale e segnare con Fickou la meta del bonus. Gli scozzesi hanno dominato possesso e territorio. Una prova da grande squadra che la dice lunga sulla solidità mentale della Francia di Galthiè.

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Cubomedusa non perdona

Danilo Fischetti

Piccolo e dall’aspetto stravagante. Vi sembra questa la descrizione adatta per un giocatore di prima linea di livello internazionale? No di certo. Eppure è così che viene rappresentata la cubomedusa, una delle creature più pericolose del mondo. E cubo_ medusa è il soprannome con cui si presenta sui social Danilo Fischetti, pilone della Nazionale azzurra, dalla scorsa estate ai London Irish, in Inghilterra. Fischetti, classe 1998, da qualche stagione è il primo nome ad essere messo nero su bianco quando gli allenatori dell’Italia cominciano a pensare alla squadra da schierare nel prossimo test. Il numero uno certamente lo aiuta ad aprire l’elenco, ma il resto lo fanno la sua aggressività, la sua energia, l’intensità del suo apporto al gioco. Flashback. È l’inizio di ottobre del 2017, il Calvisano sfida a Roma le Fiamme Oro. Danilo, non ancora cubo_medusa (sul soprannome ci torneremo), entra nella ripresa al posto di Rimpelli. E poco dopo aver fatto il suo ingresso in campo, abbatte con un placcaggio devastante Edwardson, neozelandese della formazione della Polizia, innescando sul pallone di recupero la sesta meta dei gialloneri. È lo squillo di tromba che annuncia il suo arrivo fra gli aspiranti “pro”. La giornata successiva, contro il Petrarca, Massimo Brunello lo schiererà titolare per la prima volta in Top10.

“Ero così - ride Fischetti -, a diciotto/diciannove anni ero pieno di energia, aggressivo, rugbisticamente cattivo. Ero tutto istinto ma mi piaceva farmi valere. Magari ogni tanto facevo una cavolata, un errore stupido, un fallo inutile, ma di sicuro non mi tiravo mai indietro”.

Invece adesso?

“Credo di aver imparato a gestire meglio i momenti,

Danilo Fischetti ball carrier contro la Francia all’Olimpico, sotto gli occhi di Ntamack e Capuozzo. In primo piano, Anthony Jelonch.

numero 1 azzurro, dopo il match con la Francia è entrato di diritto nel primo XV ideale del torneo. Qui parla della Nazionale, dei London Irish e della vita in Inghilterra.
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a conservare lucidità anche nelle situazioni di difficoltà, ho accresciuto la mia conoscenza del ruolo”.

Torniamo a cubomedusa.

“È stato Giulio Bisegni, alle Zebre, ad affibbiarmi quel soprannome”.

“Quando è arrivato a Parma - racconta Bisegni, allora uno dei senatori della franchigia del Nord Ovest - Danilo, pur non avendo un fisico imponente, mostrava già però delle doti eccezionali di manualità, di off load, di placcaggio, si vedeva che sarebbe diventato un pilone internazionale. E vista la statura (1.81) lo chiamavamo ‘Cubomedusa’, che è una delle creature più letali tra quelle esistono, soprattutto in rapporto alle dimensioni, un essere piccolo ma micidiale”.

Oggi Fischetti, raggiunti i 110 chili, ha superato anche l’handicap del peso, considerato un po’ troppo leggero per un pilone, tanto che dopo la prima giornata del Sei Nazioni si è meritato il posto nel XV ideale del torneo, pur avendo affrontato in prima linea un colosso del calibro di Atonio.

“Sì certo, il peso (145 kg, ndr) di uno così lo senti, ma ci sono avversari molto più difficili di lui da contrastare”.

Un nome?

“Furlong, il numero 3 dell’Irlanda, veramente un osso duro”.

Parliamo dell’Inghilterra, dove tu, Morisi e Zilocchi vi siete trasferiti quest’estate ai London Irish.

Come ti trovi lassù?

“A parte il tempo, un po’ troppo grigio per i miei gusti, veramente molto bene. Io e “Zilo” abitiamo a Shepperton nel Surrey, Morisi ha scelto Twickenham. Quindi, come ha detto anche lui (nel numero 177 di Allrugby, ndr) non è che ci vediamo ogni momento, perché a fine giornata, dopo esserci allenati, non sempre abbiamo voglia di farci mezzora di spostamento. Piuttosto andiamo a Londra, che è una grande città, piena di cose interessanti da fare e da vedere. Mi piace molto. Con Luca magari tante volte ci troviamo per guardare insieme le partite delle Zebre e di Treviso”.

A proposito di Zebre, che effetto vi fa da lì osservare le inevitabili difficoltà dei vostri vecchi compagni?

“Quando vedo sfuggire certi risultati nel finale mi piange il cuore… ma dopo la rivoluzione della scorsa stagione, i problemi che ci sono stati, vanno ricostruite gerarchie, organizzazione, non è facile, ci vuole tempo”.

E invece ai London Irish l’organizzazione di certo non manca…

“Qui abbiamo troviamo la versione più estrema del professionismo, la cura dei dettagli in ogni aspetto della giornata, da come mangi a come ti alleni a come riposi. C’è un numero smisurato di allenatori, uno per ogni fase di gioco, la touche, il lancio, i bre -

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akdown, la mischia, l’attacco, la difesa… Benetton si è avviato già da qualche stagione su questa strada. Le Zebre ci stanno provando, ma non è facile”. Qual è la cosa che più ti ha colpito agli Irish, da quando sei arrivato?

“La competizione all’interno del gruppo, che ti spinge sempre a dare il massimo in ogni momento. Sotto questo punto di vista non posso lamentarmi. Ho giocato praticamente tutte le partite finora, meno tre. E anche quando sono entrato dalla panchina, spesso ho giocato più di quaranta minuti. Sono assolutamente soddisfatto di come sono andate fin qui le cose“.

Raccontaci l’ambiente, la partecipazione del pubblico.

“Beh, di sicuro giocare davanti a stadi pieni, nei quali minimo ci sono 10.000 persone, fa una certa differenza, ti da una bella carica. Quando siamo andati a Montpellier, per la Champions Cup, siamo stati accompagnati da un bel gruppo di supporter, i Wolfhounds, e a parte il tifo, anche tu ti senti in dovere di restituire loro qualcosa, ti sostengono ma esigono uno standard alto, il che impone una responsabilità di cui da giocatore sei partecipe”.

Titolare in maglia azzurra in nove delle ultime undici partite, Danilo Fischetti è uno dei protagonisti del nuovo corso azzurro, quello che si è avviato un anno fa con la vittoria in Galles, è proseguito con i successi autunnali su Australia e Samoa e, nella partita inaugurale di questo Sei Nazioni, ha costretto la Francia a battersi con tutte le sue energie fino alla fine. “Il nostro processo di crescita, se vi ricordate, era cominciato già con gli All Blacks un anno e mezzo fa a Roma, quando li abbiamo messi in difficoltà almeno fino al quarantesimo. Oggi ci sentiamo più sicuri, abbiamo la convinzione di potercela giocare con tutti. Con la Francia, onestamente, è stata un’occasione persa, perché potevamo veramente vincere e anche a Twickenham, se togliamo un po’ di sofferenza nelle fasi statiche e il problema che non abbiamo trovato velocemente le contromisure alla loro tecnica di spinta da touche, credo di poter dire che nel gioco abbiamo fatto più di loro.

La meta di “Riccio” (Marco Riccioni, ndr) è arrivata dopo 16/17 fasi durante le quali abbiamo conservato il possesso, avuto pazienza. Non credo che siamo mancati nel gioco. L’Inghilterra ha sfruttato il nostro lato debole in touche. Noi dobbiamo crescere nella gestione dei momenti, stiamo facendo un passo alla volta, ma piano piano stiamo colmando il gap, non lo abbiamo ancora chiuso, ma non è più come una volta, almeno non è stato così in queste prime partite del torneo”.

Quali sono i meriti di Crowley in questa crescita?

“Lui ha portato molta tranquillità, ma anche questo nuovo metodo di gioco, che a qualcuno sembra basato sull’improvvisazione, sull’istinto, ma vi assicuro

Danilo Fischetti è nato a Genzano il 26 gennaio del 1998. Prima di approdare alle Zebre, nella stagione 2019/2020, aveva disputato due campionati nel Calvisano, vincendo lo scudetto nel 2019. Quell’anno fu votato come miglior giocatore del Top10. Con la maglia dell’Italia Fischetti ha debuttato contro il Galles nel febbraio del 2020. A sinistra, precede Pierre Bruno e Lorenzo Cannone nell’ingresso in campo contro l’Australia, lo scorso novembre.

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“... Oggi ci sentiamo più sicuri, abbiamo la convinzione di potercela giocare con tutti. Con la Francia, onestamente, è stata un’occasione persa, perché potevamo veramente vincere e anche a Twickenham, se togliamo un po’ di sofferenza nelle fasi statiche e il problema che non abbiamo trovato velocemente le contromisure alla loro tecnica di spinta da touche.”

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che dietro c’è tanta organizzazione, tanto lavoro”. Una specie di “caos organizzato”, come lo chiama Andrea Di Giandomenico, più avanti in questo numero della rivista.

“Sì, se vi piace la definizione, un’imprevedibilità studiata, non legata al caso”.

In passato colpivano i numeri dei tuoi turnover, la tua capacità di andare a caccia di palloni. In questo Sei Nazioni questa dote si è vista meno.

“A riprova di quanto ho appena detto, faccio un lavoro diverso, non mi è più richiesto di andare a contestare i palloni a terra, non sempre almeno”.

A Murrayfield ti troverai contro Ben White, tuo compagno di squadra agli Irish, che con la Scozia in questo torneo si è guadagnato la maglia di titolare numero 9. Vi siete visti, nella pausa successiva alle prime due partite?

“Sì, e mi è sembrato molto convinto di poter vincere il Sei Nazioni. Gli ho detto ‘occhio che l’ultima giornata ve lo facciamo noi lo scherzetto’…”.

E le unghie dipinte con la bandiera inglese di Ollie Hassel-Collins, altro tuo compagno di club, che effetto ti hanno fatto quando l’hai visto a Twickenham?

“Onestamente non mi dispiacciono, quello di laccarsi le unghie mi sembra diventato un gesto abbastanza comune anche fra gli uomini e comunque ormai è più che accettato. Detto questo, se mi chiedi se lo farei anch’io dico no. Ma non per motivi particolari, semplicemente non mi ci vedo con le unghie colorate”.

E poi le meduse non hanno unghie, ma tentacoli pericolosissimi per chi li sfiora. Non si scherza con Cubomedusa.

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Neil Barnes, 65 anni, è stato anche allenatore degli avanti del Canada alla Coppa del Mondo del 2015.

L’amico neozelandese

Neil Barnes dispensa consigli, considerazioni e trasmette un vissuto di rugby che l’ha portato ai Chiefs con Dave Rennie ma in realtà quello di cui va più orgoglioso sono le sue origini: la storia del farmer di Taranaki che dapprima ha sigillato la maul azzurra poi, nell’ombra, ha reso grandi servigi alla coppia Crowley-Moretti di Federico Meda

Hawera, in lingua maori, si può parafrasare come “piana in fiamme” o “luogo bruciato”, il tutto per via di un’antichissima faida tra tribù locali, culminata con l’incendio delle wharepuni, le tradizionali abitazioni dei primi abitanti di Aotearoa. Hawera è una cittadina a sud del Monte Egmont e il suo corrispettivo settentrionale è New Plymouth, il centro più grande della regione di Taranaki, toponimo che dal 1889 è parte integrante dell’epica del rugby. La prendiamo volutamente larga ma dovete sapere che tra Hawera e New Plymouth sorge Kaponga. Questo triangolo, allargato senza dubbio, mette insieme due dei responsabili del ritrovato orgogliononché di difesa e attacco - del nostro rugby: Kieran Crowley e Neil Barnes. Del primo sappiamo tutto, a partire dal luogo di nascita (Kaponga) del secondo, ruolo di consulente del primo a parte, non sapevamo nulla. Infatti siamo partiti dalle basi: “Where I was born? Hawera”. Il pensiero è andato subito a Jayden Hayward, anche lui nato nella “piana in fiamme”, ma ci siamo dovuti spostare subito 57 km a nord, ovvero a New Plymouth perché è lì che Neil ha giocato 20 anni di club rugby, togliendosi diverse soddisfazioni. Ed è lì che si sono conosciuti lui e Kieran, più nella veste di avversari che di compagni di squadra, perché se Crowley detiene tuttora

il record di presenze (199), di punti (1723) e di mete (64) nella selezione provinciale dell’Isola del Nord, a Neil è capitato solo due volte di vestire la maglia a strisce giallo e nere del Taranaki: “È vero, e solo grazie a diversi infortunati in seconda linea. Con Kieran ci siamo scontrati tantissime volte, sia da giocatori che da allenatori quando ero a New Plymouth. Poi abbiamo fatto coppia nel Taranaki B e da lì è iniziato tutto”.

Quando Neil intende tutto si riferisce al suo percorso professionale. Lui in realtà è un orgoglioso farmer e solo da poco ha iniziato a rispondere “coach” alla domanda su cosa fa nella vita. “Io sono un appassionato, un passionale forse, non ho mai pensato al rugby come un full time job. Io sono e sarò sempre un farmer. Mi manca la fattoria? Certamente. Al 100%. Ma non puoi avere tutto. Il Sei Nazioni è una bella esperienza, un highlight, me lo godo e poi tornerò alla mia realtà”.

A dicembre ha firmato per due anni con gli amati Taranaki Bulls in NPC come head coach, lasciando così pochi spiragli a una sua presenza in autunno in Francia (“Non penso di venire al Mondiale perché è in contemporanea con il torneo downunder, però non so onestamente del mio futuro, vedremo”). Ha scelto la sua gente, la sua realtà, anteponendo il

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benessere di una comunità ai risultati e al professionismo. Non è la prima volta: nel 2021 ha smesso di lavorare ai Chiefs dopo anni molto proficui con Dave Rennie (che lo aveva voluto) e Warren Gatland, lasciando un ottimo ricordo di sé, soprattutto per il suo approccio umano al rugby: “Se costruisci un buon rapporto con i tuoi giocatori, saranno disposti a imparare da te - spiegava a Rugbypass tempo fa -. Nel tempo ho scoperto che se sei troppo distante e predichi tutto il tempo, i messaggi non arrivano. Non sono lì per essere il migliore amico di tutti, ma cerco di mettermi al fianco dei giocatori per dimostrargli che mi sto impegnando per loro. Con la maggior parte funziona e poi ti seguono. È fantastico vedere i ragazzi raggiungere il loro potenziale e osservare come da giovani diventano adulti”.

Essere consulente di Kieran Crowley non è una novità, Neil aveva già ricoperto questo ruolo con i Canucks (la Nazionale canadese). È stato chiamato l’anno scorso, prima del Sei Nazioni 2022, con l’obiettivo di risolvere i problemi in maul, trasformatosi da punto di forza a punto debole, in attacco

ma soprattutto in difesa. Le cose sono andate molto bene e Neil è stato aggregato anche per i test di novembre e il Championship in corso. “Perché gli Azzurri? Quando Kieran è andato in Canada la cosa ha funzionato. Così mi ha chiesto di dare una mano anche quando ha iniziato ad allenare l’Italia. Poi siccome l’anno scorso abbiamo risolto i problemi in maul, a novembre mi sono occupato di altro. Cioè? Un po’ del gioco, non per forza della difesa. Do i miei consigli”.

La spinta della maul inglese ha messo in difficoltà l’Italia a Twickenham. Dombrandt apre la strada per Jamie George, con Ludlam, Sinckler e Itoje coinvolti in evidenza.

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Dopo due anni ai Chiefs, Barnes aveva ricevuto il compito di ristrutturare l’intero sistema difensivo e per farlo aveva deciso di introdurre una variante sviluppata all’estero, non in Nuova Zelanda. La sua idea era di sparigliare le carte ma siccome la franchigia perse le prime quattro partite, la sua autorevolezza - di Neil e del sistema - era stata messa in discussione. “Con alcuni giocatori come Anton (Lienert-Brown, ndr) c’erano stati degli scontri - ricorda -. È stato un momento difficile ma, come allenatore, devi lavorare su questo e credere che quello che stai facendo sia giusto perché se hai qualche dubbio nella tua testa, allora sei in un sacco di guai. Anton e io siamo ottimi amici, ma non avremmo potuto farcela senza una relazione solida e in que -

sto momento molti team neozelandesi sono passati a quel sistema”.

Alla fine nella tua storia affiorano sempre i 20 anni di club rugby. L’Italia non è simile come scelta. A te piacciono gli underdog?

“Sì, può essere. Ma in realtà la scelta non è intenzionale. In effetti anche i Chiefs erano forti ma non erano i favoriti. A me piace lavorare con i ragazzi, dare una struttura, un game plan, vedere che lo rispettano e che migliorano. E non avete idea di quanto sono orgoglioso di vedere quanto stanno migliorando i ragazzi italiani”.

Quando è contato Kieran in questo processo?

“Lui è cresciuto dentro alla squadra, a sua volta più grande di qualsiasi altra cosa. Hanno celebrato dei successi, il lavoro sul campo porta divertimento, il gruppo è fortissimo perché enjoy what is doing, si gode quello che fa”.

I ragazzi parlano di te nelle interviste, dicendo che gli fai fare degli esercizi. Di preciso cosa fai?

“Io sono l’hangaround mate (quello che fa un po’ di tutto, ndr), il mio compito è aiutare gli allenatori, poi faccio comunque lavori individuali con i ragazzi, sì.

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C’è ovviamente il problema della barriera linguistica ma il mio mestiere è supportare i ragazzi, creare l’environment giusto”.

Nel nuovo corso di Kieran Crowley sono rimasti alcuni numeri di quello passato: concediamo tanti turnover e ne vinciamo sempre pochi. Una statistica è cambiata moltissimo invece: siamo l’unica nazione che nel 2022 ha concesso meno di 10 punizioni a partita (e nonostante le 14 a Twickenham, siamo a 10,5 nel 2023).

C’è sempre il tuo zampino?

“Io alla fine sono venuto per risolvere certe problematiche ma quella delle punizioni è più una cosa di Kieran. Abbiamo deciso di non mettere tante persone nei breakdown perché prendevamo troppi calci. Meno persone, meno rischi. Idem sulla mischia: facciamo le cose pulite, cerchiamo di non fare fallo e così avremo un arbitro che ci considera puliti e ci darà meno punizioni contro. Non concedere falli è fondamentale”.

Contro l’Inghilterra però ne abbiamo concesso troppi, ma anche tre mete in drive. Come te lo spieghi?

“Semplice: abbiamo sbagliato i posizionamenti a livello di ruoli, poi l’arbitro non ha aiutato con le sue decisioni, dando quindi l’opportunità a loro di giocare in zona rossa”.

Nonostante la sconfitta, l’Inghilterra è entrata nei 22 italiani 13 volte, con una media punti di 2,4 per visita. La Francia la settimana prima 12 volte per 2,2. Sei orgoglioso di queste statistiche? Anche alla luce del fatto che noi

“Abbiamo deciso di non mettere tante persone nei breakdown perché prendevamo troppi calci. Meno persone, meno rischi. Idem sulla mischia: facciamo le cose pulite, cerchiamo di non far fallo e così avremo un arbitro che ci considera puliti e ci darà meno falli. Non concedere falli è fondamentale”.
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In Nuova Zelanda, Barnes è stato assistente dei Chiefs con Warren Gatland come capo allenatore. A destra, Michele Lamaro, capitano della Nazionale dopo esserlo stato di quella U20.

con entrambe le squadre abbiamo fatto meglio: 7 visite ai 22 per una media 2,6 punti con i galletti, 6 per 2,3 a Londra.

“Sì, anche se le decisioni arbitrali li hanno fatti arrivare troppo spesso a giocare a ridosso della nostra linea di meta. Adesso dobbiamo lavorarci a bocce ferme, l’allenamento aiuta. Comunque grande rammarico. A Twickenham, nonostante due gialli e un inizio di 19 punti a zero per loro, abbiamo rialzato la testa e nel secondo tempo il parziale è stato 14-12 per noi”. Mancava un Piano B con l’Inghilterra?

“Assolutamente sì. Eravamo knock out e non sapevamo come risalire. Sotto pressione, distrutti in difesa, con l’arbitro che concede quel tipo di gioco in maul… Comunque errori nostri al 100% sulle maul, siamo consapevoli di questo e che può costarci il risultato. Però abbiamo dimostrato grande challenge and fight, non è poco. Una partita che alla fine potevamo portare a casa, come quella con la Francia”.

Appunto la Francia?

“Errori di skills all’inizio, regalato punti, se guardiamo al risultato finale, avremmo dovuto vincere. Tante le occasioni per segnare, abbiamo difettato nell’esecuzione. Sull’azione finale abbiamo fatto uno “special play” ma chi doveva ricevere la palla e segnare era ancora a terra. Possiamo essere molto felici di come abbiamo affrontato la Francia, di come siamo riusciti a rientrare in partita dopo quei drammatici venti minuti ma anche annoyed per come non siamo riusciti a portarla a casa”.

Qual è il tuo giudizio sull’Italia dopo un anno che frequenti il gruppo?

“Non vedo ragioni perché gli Azzurri non possano diventare una squadra di Top Tier. Adesso ci sono giovani che sono solo al secondo anno di rugby di questo livello. In 4-5 anni possono arrivare a essere tra i migliori. Mi piace l’aria che si respira nel gruppo. Il capitano è un leader pazzesco, è giovanissimo e dietro, nell’Under 20, si sta creando un serbatoio di talenti che sarà molto utile. Cosa serve all’Italia per continuare a migliorare? Stabilità, consistenza, mettere le fondamenta. A livello sportivo ma anche di amministrazione, di management. Bring stability”.

Hai parlato di Michele come leader. Ma sappiamo che nel rugby moderno la leadership non è mai abbastanza. Gli Azzurri ne hanno a sufficienza?

“Ne vedo molta, ma è Kieran che la sa sviluppare. Ma soprattutto abbiamo un healthy space at the moment, un ambiente sano. Questo fa sì che Michele Lamaro, Tommaso Allan e tutti gli altri si possano esprimere al meglio”.

Cosa manca, quali sono i nostri punti di debolezza?  “Depth. Profondità. Solo due squadre ad alto livello, Treviso e Zebre, garantiscono poco minutaggio ai giocatori perché solo 23, quindi 46, possono giocare. Ma dovremmo arrivare a 60. Non abbiamo 2 giocatori dello stesso livello in ciascun ruolo. Un po’ stanno

aiutando gli overseas (per i neozelandesi tutto l’estero è overseas…, ma i nostri sono per lo più in Francia e Inghilterra, ndr) ma non sempre giocano nei ruoli che ci servono. Il discorso è che dobbiamo avere più giocatori al top level. Altrimenti siamo fractured”. Dopoil 20-34 con l’Irlanda ci aspettano Galles e Scozia.

Potevamo vincere tutte le partite sin qui disputate. Sono entrambe grandi opportunità di scontro, una in grande spolvero, l’altra meno. Giochiamocela.

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Ahi serva ITALIA

Gli Azzurri, nella loro storia, hanno battuto praticamente tutti, fuorché la Nuova Zelanda e l’Inghilterra. Tuttavia il rugby resta marginale nella nostra cultura sportiva. Perché?

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Stephen Varney al piede contro l’Inghilterra a Twickenham. Nelle pagine seguenti, una partenza da mischia di Renato Giammarioli contro gli All Blacks a novembre del 2022 a Roma.

Interessante una trasmissione proposta da Sky Sport: un poker di responsabili tecnici di altrettante Nazionali a confronto per illustrare metodi e problemi di lavoro, individuali e di staff. Ci sono: Roberto Mancini (calcio), Fefè De Giorgi (volley), Alessandro Campagna (pallanuoto), Gianmarco Pozzecco (basket). Discipline di squadra più giocate in Italia o – quanto meno – fra le più medagliate olimpiche. Sport molto presenti all’estero con tecnici nostrani. Sono quattro tecnici italiani che rendono il confronto attraente e comprensibile, soprattutto quando si parla degli staff di sostegno al lavoro dei responsabili (emerge l’importanza dei fisioterapisti). Una bella e costruttiva trasmissione.

Ho pensato se avrebbe potuto trovarvi posto il rugby, seppure sport di curriculum non così ricco come le quattro discipline proposte. Poteva, certo; primo, per la sua specificità di sport unico al mondo; secondo per gli impegni internazionali di alto livello (Sei Nazioni e – quest’anno – World Cup, ma anche Olimpiadi con il Seven) ai quali partecipa. Ora anche con la nazionale femminile e quelle giovanili. Ma il rugby italiano è da anni (praticamente da subito dopo il primo mondiale 1987) in mani straniere: Nuova Zelanda, Francia, Sudafrica, Irlanda. Idem nella maggioranza dei ruoli di staff o – addirittura di coordinamento federale al quale è stata aggiunta l’Argentina (en

passant, ricordiamo che a livello di club ci sono stati Galles, Scozia, Inghilterra, Romania ecc…).

Il confronto, probabilmente interessante sul piano tecnico, si sarebbe rivelato stridente a livello di propensione all’educazione sportiva e nell’approccio alla competizione. A duecento anni dalla “invenzione” di William Webb Ellis, il rugby nella sua evoluzione è sempre stato uno sport “unico”, che si è spesso mescolato o sovrapposto all’educazione, allo stato sociale, alla politica e perfino alla religione. Certo si esagera affermando che rugbisti “si nasce”, ma non si è molto lontani dal vero. Rileggendo la storia dello sport è facile trovare l’Italia a livelli altissimi, praticamente in ogni disciplina.

Perché manca il rugby? Bene o male è pur vero che le uniche squadre mai battute dagli Azzurri sono Nuova Zelanda e Inghilterra, il che significa che in molte circostanze l’Italia è stata “vero rugby”, in linea con il pregio nazionale che siamo capaci di tutto, in ogni sport. Ma anche del contrario, magari proprio nel momento che sembra il più favorevole. Questione di mentalità, di approccio. “Cazzimma” la chiamano a Napoli, “garra” nell’America latina che è tanto italiana di origine.

Non sono pochi coloro che si infastidiscono soltanto a sentire citato il “rugby di una volta”, ma è evidente che se limitiamo la nostra storia ovale sempre agli ul-

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timi 3-4 anni, non usciremo mai dagli equivoci e dalle speranze. Se dopo anni di zero successi nel Sei Nazioni, accade di battere il Galles per la fenomenale intuizione di un italiano cresciuto in Francia e poco dopo di battere per un punto la forte Australia che sbaglia la trasformazione decisiva per il risultato finale, perché non soffermarsi a valutarne le circostanze e di comprendere a fondo il motivo del ko contro la Georgia o mettere nel giusto contesto la partita contro Samoa, difficilmente giudicabile (risultato a parte), per l’approccio dei nostri avversari.

Ma chi ha il coraggio della critica, ormai? Può finire tutto nelle ritrite conferenze stampa? Possono bastare telecronache enfatizzate da (necessari) motivi di illustrazione di testata, dove tutto va bene perché “deve” andare bene?

Il rugby globalizzato dal super potere “neozelandsudafricano”, passato attraverso secoli di regolamenti sempre nuovi (nel rugby l’evoluzione precede sempre la regola) ha ormai creato un gioco standardizzato sulla potenza fisica.

Per restare all’Italia il pack di Bollesan e C. nel tour sudafricano 1973 del quale ricorre il cinquantenario, si collocava attorno ai 740 kg; ora l’Italia si presenta spesso sugli 890 kg, cioè quasi 20 kg in più per ogni giocatore. E gli avversari a volte “viaggiano” attorno ai 930-940 kg. Non è agevole assorbire una decina di kg a giocatore. Tanto più che il problema si è esteso ai trequarti. Se l’avanzamento dipende molto dal peso non resta che la tecnica che farà sempre la differenza, ma che non basta. La tecnica deve essere sostenuta dal fisico, dalla preparazione e dall’approccio (più chiaramente: mentalità).

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Un circolo vizioso. Certo, ci sarà sempre un giocatore più tecnico e dotato di altri a fare la differenza e allora diventa questione di cadenza, di ritmo. Quante squadre possono reggere alla prima mezz’ora dell’Irlanda vista nel recente Irlanda-Francia del Sei Nazioni? O al Sudafrica o agli All Blacks in giornata di grazia?

Gli Azzurri in fatto di mentalità hanno progredito, ma non tanto da imporsi con continuità. Sarà per sempre il decimo posto nel ranking il nostro limite? Dovremo sempre chiederci, per definire il nostro valore, quanti sarebbero gli Azzurri titolari nelle altre cinque del Sei Nazioni? Se saranno pochissimi (o nessuno) perché progettare risultati fantasmagorici? E le franchigie imbottite di stranieri costosi e perdenti? Che gli Azzurri sappiano giocare è fuor di dubbio. Vale concentrarsi sull’approccio e la strategia,

cioè sulla mentalità necessaria in un gioco che non fa parte della nostra cultura sportiva generale.

E soprattutto entusiasmo, non quello ritrito delle conferenze stampa prima del match (basta entrare in un sito di scommesse per vedere le quotazioni), ma quello dei primi anni del Sei Nazioni. Nel libro “Inseguendo il paradiso del rugby” del collega Fabrizio Zupo, riletto in questi giorni, ho trovato un entusiasmo di giocatori e pubblico che sembra smarrito. Un entusiasmo che rendeva “piccolo” il Flaminio. Passati all’Olimpico, appreso tutto il rugby possibile, ci siamo fermati. E ora Mourinho o Sarri, allenatori di Roma e Lazio, quando l’Olimpico è occupato dagli Azzurri si limitano a dire “occupato dal rugby”. Non dall’Italia, non dal Sei Nazioni.

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SEI NAZIONI

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François Carlo Mey, vent’anni il prossimo 1 luglio, è uno dei punti di forza dell’U20 azzurra. A gennaio ha esordito in Champions Cup contro gli Stormers con la maglia del Clermont.

Il rugby del futuro

Nelle prime due giornate del Sei Nazioni U20, cinque partite su sei sono finite entro distacchi di sette punti. Segno che il gap fra le varie contendenti, almeno all’inizio del torneo, era ridotto al minimo. Nella terza, viceversa, le distanze si sono di nuovo allargate.

Alla lunga probabilmente emergono le squadre con le rose più profonde.

L’Italia ha conquistato cinque punti senza vincere nemmeno una partita, un piccolo record. Ha segnato tredici mete in tre match, vuol dire che l’attacco funziona.

Ci sono ragazzi già maturi, altri meno. Per alcuni il vissuto quotidiano è tuttora da inventare, giocano poco e, spesso, non al livello necessario. Per questo vanno in confusione quando la partita è da amministrare.

Di Gallorini, pilone dal grande futuro, si parla in questo numero. Di Quattrini abbiamo scritto il mese scorso. In passato abbiamo parlato di Neculai, di Genovese, di Rizzoli, tutti ragazzi che oggi hanno bisogno di un percorso adeguato per farsi le ossa fra i seniores, soprattutto in prima linea.

David Odiase è già un giocatore vero. Ed è un peccato, e un fatto che pone domande serie, che abbia scelto Oyonnax, in ProD2, invece di una franchigia italiana, per la sua crescita e la sua formazione.

Le prima tre giornate dell’Italia

Monigo, 3 febbraio

Italia v Francia 27-28

Italia: 5 mete (Berlese, Gallorini, Rubinato, Mey, Douglas), 1 tr. (Sante)

Gloucester, 10 febbraio

Inghilterra v Italia 32-25

Italia: 4 mete (Aminu 2, Gallorini, Bozzoni), 1 tr. (Bruniera), 1 cp (Sante)

Monigo, 24 febbraio

Italia v Irlanda 27 -44

Italia: 4 mete (Quattrini, Botturi, Mey, Gasperini), 1 tr. e 1 cp (Sante)

François Mey sta dimostrando che avremo presto un atleta di grande qualità anche fra i seniores, Sante è uno di quelli che ha bisogno di giocare stabilmente in un contesto che gli dia responsabilità e possibilità di maturare. Lo stesso vale per Passarella, trequarti centro del Treviso.

Nel complesso la stoffa collettiva è buona: una parte significativa di questa squadra è formata di ragazzi che ad agosto del 2021, giocando con la Nazionale U18, misero le basi per il domani battendo l’Inghilterra a Street, 27-17.

Questa era la formazione che scese in campo quel giorno: All. Gesi; Tani, Mey (66’ Zulian), Bozzo (66’ Nanni), Sodo (58’ Bruniera); Sante, Battara (38’ Bozzoni); Odiase, Esposito (38’ Mattioli), Rubinato (62’ Scattolin); Berlese (44’ Lavorenti), Filoni (57’ Turrisi); Bernardinello (58’ Corcelli), Quattrini (53’ Calabrò), Moscioni (49’ Bartolini).

Quasi tutti oggi fanno parte della U20 di Brunello, nella quale Roberto Santamaria, che li guidò nella U18, è oggi il tecnico degli avanti. Come si vede, dietro al presente c’è sempre un lavoro che viene da lontano.

Galles e Scozia, l’ultima giornata, due squadre che gli U20 hanno battuto nelle passate stagioni, saranno un banco di prova importante per la crescita di questo gruppo, il quale merita più di una chance in vista del futuro.

Gli altri risultati

I giornata

Galles v Irlanda 27-44

Inghilterra v Scozia 41-36

II giornata

Scozia v Galles 18-17

Irlanda v Francia 33-31

III giornata

Galles v Inghilterra 21-37

Francia v Scozia 54-12

NAZIONI U20 2023
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Il comandante MARCOS

Negli ultimi anni la Nazionale U20 ha proposto piloni di grande stazza e valore. Conosciamo da vicino Marcos Gallorini che nelle prime giornate del nuovo torneo ha messo spesso in crisi il suo diretto avversario.

Quella faccia da bambino buono Hugo Parrou, pilone sinistro della Francia Under 20, la ricorderà a lungo. È durato appena 27 minuti il suo supplizio sul prato di Monigo nel giorno dell’esordio del Sei Nazioni dei giovani, martoriato a ogni mischia da Marcos Francesco Gallorini, 18 anni e 133 chili, il volto nuovo che si infila di diritto nella tradizione delle grandi prime linee italiane. Dopo Ion Neculai, dopo Riccardo Genovese, piloni, sotto con un altro crack, le premesse ci sono tutte per avere il futuro garantito.

In mischia chiusa il piloncino a due piazze si esalta, chiedere al collega dell’under 18 inglese che lo scorso anno fece la stessa fine di Parrou. Ma quello è il lavoro da fare, lo svago arriva quando si può correre palla in mano: “Eh sì - racconta Marcos dalla sua stanza della foresteria del centro Giulio Onesti dell’Acquacetosa - adoro fare il ball carrier, mi fa sentire bene”. Fine dell’attualità, andiamo alla scoperta del futuro: “Sono di Arezzo e il rugby l’ho conosciuto grazie alla scuola, quando alle elementari arrivò Mariella e ci invitò a fare una prova insieme con il settore minirugby del Vasari. Credo che per mamma fu una salvezza: a casa ero un demonio, quei bambini iperattivi che non trovano pace e così lei mi portava a basket, volley, calcio, nuoto, ma non c’era modo per farmi stancare. Se poi consideriamo che quando sono nato pesavo 5 chili e mezzo, credo di averle dato sempre tanto da fare. E invece quando tornavo dal campo di rugby crollavo, avevano trovato un modo per farmi addormentare la sera! Così è iniziato tutto”.

Andiamo avanti: “Devo moltissimo a “Chico” Francesco Roselli, il mio allenatore che dall’U12 all’esordio in prima squadra ha indirizzato il mio percorso tecnico, mi ha seguito e ancora oggi continua a darmi consigli”.

Un passo indietro, perché questo nome esotico? “Mi chiamo Marcos Francesco perché mamma Adelaide del Carmen è dell’Ecuador e nella loro famiglia il doppio nome è d’obbligo. Marcos era mio nonno e della cosa vado fiero. Adoro le tradizioni del Sudamerica, appena posso mi piace entrarci in contatto, vorrei prendere il meglio dalla cultura italiana e da quella ecuadoregna. Un mix stupendo”.

Torniamo sul campo di gioco: “Fisicamente, a scuola, in squadra, sono sempre stato un po’ sovradimensionato e questa cosa, che nella vita di tutti i giorni può essere un po’ fastidiosa, nel rugby si è rivelato un vantaggio. Grazie a un premio che mi hanno dato al Vasari per il mio impegno e a una borsa di studio per essere l’”Orgoglio della Regione Toscana” ho capito che il rugby poteva diventare parte della mia vita. Finito il percorso formativo all’Accademia a Prato ho scelto di continuare a crescere e così sono arrivato a Roma all’Unione Rugby Capitolina. Vivo qui all’Acquacetosa, studio all’Istituto tecnico turistico e quest’anno arriverà il diploma di maturità. Poi di sicuro continuerò a studiare, devo scegliere tra una laurea in una specializzazione turistica, oppure Lingue o Economia, facoltà che sono legate al mio attuale percorso di studi. E parallelamente continuare a crescere

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Marcos Gallorini, in piena spinta in un drive contro la Francia al Monigo, con Alex Mattioli e David Odiase in sostegno.

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come giocatore, di strada ne devo fare ancora tantissima”.

Neculai, Genovese, Rizzoli e adesso Aminu e Gallorini. È un caso che siano anni fiorenti per i piloni italiani?

“Niente avviene per caso. Io e Ion, per esempio, arriviamo dalla stessa formazione, abbiamo avuto la stessa scuola di Carlo Pratichetti e, vi assicuro, è una scuola di eccellenza. Poi adesso ho in Alessandro Castagna un grande maestro, non dobbiamo guardare sempre lontano per cercare buoni tecnici…”.

Nelle due partite di esordio del Sei Nazioni in mischia chiusa è stato dominio assoluto.

“La mischia non è una guerra personale, è un meccanismo collettivo. Però non nego che mettere sotto il mio diretto concorrente sia molto piacevole, ti dà una certa soddisfazione. Io so che devo molto migliorare i miei movimenti in campo, sono un pilone che ama il gioco aperto, ma troppo spesso non mi sposto con intelligenza e allora faccio troppa strada inutile e spreco energie. Però quando da ball carrier prendi il vantaggio è una goduria”. Questo Sei Nazioni è iniziato con due sconfitte e tanti, troppi, rimpianti.

“Anche quelle sono esperienza e non svelo un segreto se dico che ci hanno scosso a livello personale. Ma l’obiettivo resta sempre lo stesso: vincere e superare a ogni partita i nostri limiti. Siamo una vera squadra e tra noi ci sono delle figure di spicco per carisma e leadership: Odiase, Mey, Passarella, sono l’anello di congiunzione con la grande Nazionale dello scorso anno e interpretano alla perfezione il ruolo. Mi piacerebbe imitare David Odiase, con lui in campo non ti senti mai solo, è davvero l’esempio di quello che chiamiamo squadra”.

Un riferimento, un idolo, un giocatore da imitare: “Sono cresciuto sperando un giorno di diventare come Logovi’i Mulipola, pilone samoano per anni ai Leicester Tigers (cognato di Martin Castrogiovanni e padre di due gemelli, ndr). Mi piace il suo modo di interpretare il gioco aperto. Mi sembrava irraggiungibile, oggi almeno fisicamente - e qui parte una risata travolgente - l’ho raggiunto. Poi Uini Atonio, il francese, è un gigante e in mischia chiusa un maestro”.

A 18 anni non può esserci solo rugby nella vita… “Sono 3 anni che ho intrapreso questo percorso, mi piace e mi soddisfa. Di sicuro, però, non potrebbe esserci un Marcos Gallorini senza musica, una presenza costante nelle mie giornate: rock, classica, pop, adoro Notorius Big, il rap moderno di Nitro, Laza, Izi… poi i documentari o i film su base storica: ultimamente ho visto Niente di nuovo sul fronte occidentale. Bello quasi come una partita di rugby!”.

La prima linea della U20 azzurra con Aminu, Quattrini e Gallorini.

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SEI NAZIONI

Anno nuovo nuove

L’Italia affronta il Sei Nazioni partendo dal quinto posto nel Ranking, alle spalle di Inghilterra, Nuova Zelanda, Francia e Canada.

L’Irlanda e ottava, il Galles nono, la Scozia decima. La recente Coppa del Mondo, di conseguenza, ha lasciato un’eredità importante sulle spalle delle Azzurre che devono confermare la loro posizione in Europa, davanti alle tre rivali celtiche. Sarà la terza edizione del Torneo disputata in primavera e non più in concomitanza con il Sei Nazioni maschile e quello U20, che una volta si pensavano traino di quello femminile. In Nuova Zelanda, lo scorso autunno, il rugby delle ragazze ha dimostrato di avere ormai una sua identità perfettamente autonoma, che gli permette di raccogliere seguito e interesse, oltre 40 mila per la finale all’Eden Park di Auckland, senza bisogno di legarsi al calendario degli uomini.

Per l’Italia, si sa, è stato scritto, la novità maggiore sarà quella di un allenatore nuovo, dopo le tredici stagioni di Andrea Di Giandomemico, sportivamente parlando, un’eternità.

Per Nanni Raineri (vedi l’intervista su Allrugby numero 177) si tratta della scoperta di un mondo nuovo. Per le ragazze, come spiega più avanti Veronica Madia, si tratta di familiarizzare con un diverso modo di interagire. In poche parole è un nuovo rapporto umano e di lavoro del quale siamo curiosi tutti di vedere i risultati dopo che, con Andrea Di Giandomenico (ora alla U18 maschile), sono stati battuti tutti i record: prima squadra italiana a conquistare tre successi nel Sei Nazioni (2015) e prima a raggiungere i quarti di finale al Mondiale, lo scorso ottobre battendo Usa e Giappone. Gennaio e febbraio hanno visto il lancio della nuova Celtic Challenge, con le formazioni di Irlanda, Scozia e Galles, impegnate in quattro partite a testa. Un potenziale importante banco di prova, al cospetto del quale l’Italia deve dimostrare di poter reggere il confronto facendo leva esclusivamente sul proprio campionato nazionale, come fanno Inghilterra e Francia.

È un altro gradino della sfida che il professionismo propone a livello internazionale.

25/o3/2023 Galles v Irlanda Arms Park, Cardiff Amber McLachlan (RA) Inghilterra v Scozia Kingston Park, Newcastle Aimee Barrett-Theron (SARU)

26/3/2023 Italia v Francia Stadio Lanfranchi, Parma

01/04 2023

Irlanda v Francia Musgrave Park, Cork

Maggie Cogger-Orr (NZR)

Hollie Davidson (SRU)

Scozia v Galles DAM Health Stadium, Edimburgo Maggie Cogger-Orr (NZR) 02/04/2023 Inghilterra v Italia Franklin’s Gardens, Northampton Kat Roche (USA)

15/04/2023

16/04/2023

22/04/2023

23/04/2023

29/04/2023

Galles v Inghilterra Arms Park, Cardiff Joy Neville (IRFU)

Italia v Irlanda Stadio Lanfranchi, Parma

Francia v Scozia Stade de la Rabine, Vannes

Irlanda v Inghilterra Musgrave Park, Cork

Aurélie Groizeleau (FFR)

Lauren Jenner (FIR)

Lauren Jenner (FIR)

Scozia v Italia DAM Health Stadium, Edimburgo Aurélie Groizeleau (FFR)

Francia v Galles Stade des Alpes, Grenoble

Inghilterra v Francia

Italia v Galles

Scozia v Irlanda

Twickenham

Stadio Sergio Lanfranchi, Parma

DAM Health Stadium, Edimburgo

Clara Munarini (FIR)

Aimee Barrett-Theron (SARU)

Joy Neville (IRFU)

Sara Cox (RFU)

Partita Luogo Arbitra
Data
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DONNE 2023 frontiere

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Sara Tounesi si fa largo di forza nella difesa inglese, in sostegno, con il caschetto rosso e bianco, Beatrice Veronese.

Veronica 10 e lode

Ha i capelli biondi, è una Furia Rossa ed è titolare della maglia azzurra. Indovinello facile, ma solo per chi segue il rugby femminile.

Ecco Veronica Madia, 28 anni appena compiuti, maglia n. 10 nel Colorno e in Nazionale, dove ha raccolto finora 36 presenze e una meta... oppure due? Altro indovinello, con risposta “articolata”. “In realtà - spiega lei - le mete sarebbero due, ma la seconda, poche settimane fa, è venuta nella partita amichevole con la Spagna, che non era riconosciuta come test match. Quindi, ufficialmente la meta è una. La cosa curiosa è che pure quella l’ho segnata alle spagnole”. E in quel caso i crismi dell’ufficialità c’erano tutti. Si è trattato proprio di una marcatura importantissima, la quarta meta portatrice del bonus in un confronto decisivo per l’esito del torneo di qualificazione ai Mondiali 2022, giocato a Parma.

“Comunque - osserva Veronica - con la Nazionale non segno quasi mai e sicuramente a livello internazionale ci sono mediane di apertura che hanno degli score migliori del mio, ma mi piace dire che io le mete le faccio segnare alle mie compagne. E sono contenta così”. Contenta, anche, di essere una giocatrice di rugby fin da bambina...

“Certo. Ho iniziato a sette anni, proprio a Colorno, il mio paese. È venuto un istruttore del club locale a farci conoscere il gioco a scuola, e mi è piaciuto talmente tanto che ho chiesto a mia mamma di portarmi al campo. Altra cosa curiosa: quell’istruttore era Michele Mordacci, il mio attuale allenatore nel club”.

Da allora solo rugby?

“Tutt’altro. Ho sempre fatto anche altri sport, e il rugby ho addirittura dovuto lasciarlo per quattro anni, dagli

11 ai 15, perché a Colorno non c’era la squadra femminile per quella categoria di età. In questa pausa ho giocato a pallavolo e mi piaceva anche. Diciamo che il volley ha messo un bel cerotto al mio dispiacere per non poter giocare con la palla ovale, ma appena son potuta tornare al rugby non ci ho pensato un secondo. Tra le altre cose ho fatto anche danza classica per otto anni, il che faceva molto piacere a mia mamma. Quando ero ragazzina, lei era “perplessa” nei confronti del rugby. Adesso, invece, mi vede felice e non si perde le partite in casa del club, le Furie Rosse, e nemmeno quelle della Nazionale, quando giochiamo a Parma. Però del gioco continua a non capire niente!”.

“Il Colorno - aggiunge - è la mia famiglia, da bambina nel club ci passavo le giornate. Non ho mai pensato di spostarmi, neanche ora che sarebbe più facile trovare un’altra sistemazione in Italia e anche all’estero. Sto bene qui, oltretutto posso continuare a fare il mio lavoro di educatrice in una cooperativa sociale, che mi piace, perché mi dà modo di aiutare le persone meno fortunate”.

E intanto, senza doversi spostare, nel 2018 è arrivato anche uno scudetto. Mentre ora c’è da fare i conti con la supremazia veneta di Villorba e Valsugana. “Ma non vedo tutto questo squilibrio a loro favore. Nella lotta per il titolo ci siamo anche noi, piuttosto un certo divario esiste fra le prime tre e tutte le altre”. Tra le rivali ci sono molte amiche, e da qualche anno i successi delle ragazze azzurre hanno portato anche qualche riconoscimento economico, sotto forma di borse di studio o (ultimamente) di contratti con la Fir. “Sì, il rugby è diventato un secondo lavoro. Ho chiesto alla cooperativa di fare una specie di part time e que -

Nelle ultime due stagioni Veronica Madia è diventata l’apertura titolare della Nazionale. E ora si prepara al nuovo ciclo, con l’obiettivo di arrivare al 2025, ai prossimi Mondiali.
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Veronica Madia è nata Casalmaggiore il 16 gennaio 1995. Ha debuttato in Nazionale contro la Scozia nel 2016. Ai Mondiali in Nuova Zelanda ha giocato titolare numero 10 tutte e cinque le partite del torneo. Nel 2018 ha vinto lo scudetto con il Colorno battendo in finale il Valsugana 29-20.

ma è giusto avere un riconoscimento economico per i sacrifici che facciamo. Non siamo professioniste sulla carta, però lo siamo nello stile di vita. Da sempre. Personalmente, vorrei tenere questo ritmo fino ai Mondiali 2025. È dura, ma mi piace troppo.”

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sto aiuta: mi allenavo tanto pure prima, ma ora ci riesco anche due volte al giorno. Alla preparazione con la squadra di club si aggiunge sempre di più quella a livello individuale, in palestra e sul campo. Combino meglio il primo lavoro e lo sport, concentrandomi su tutte e due le cose. Tornando al contratto, nessuna di noi ha mai giocato per i soldi ma è giusto avere un riconoscimento economico per i sacrifici che facciamo. Non siamo professioniste sulla carta, però lo siamo nello stile di vita. Da sempre. Personalmente, vorrei tenere questo ritmo fino ai Mondiali 2025. È dura, ma mi piace troppo”.

L’esordio in Nazionale nel 2016, un Mondiale 2017 da rincalzo e poi quasi sempre un ruolo da titolare. Magari con la formula del doppio playmaker…

“Da qualche anno è questa la strategia impostata con l’Italia. Ed è una cosa molto positiva: Beatrice Rigoni, che prima giocava all’apertura, si è spostata a primo centro, ma ha la visione di gioco e le qualità fisiche per essere una n. 10 aggiunta”.

Questioni tecniche da passare al vaglio del nuovo commissario tecnico. Prime impressioni su Nanni Raineri?

“Sicuramente è diverso da Andrea Di Giandomenico, che per noi è stato un grande punto di riferimento. Dobbiamo ancora conoscerci bene reciprocamente. Ha un modo diverso di interagire con noi, mentre non ha stravolto il tipo di gioco. Cura molto il dettaglio e vuole aggiungere qualcosa in più, ad esempio, nel gioco al piede”.

Parliamone…

“Sappiamo di avere difficoltà nei calci di lunga gittata e ci stiamo lavorando da tanto tempo. Negli ultimi

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“...nessuna di noi ha mai giocato per
soldi

raduni abbiamo avuto la presenza di Corrado Pilat, che è uno specialista. A livello strategico quella di affidarci più spesso ai calci sarebbe una soluzione da usare spesso e volentieri, d’altronde anche le altre Nazionali ci ricorrono più di prima. Se poi parliamo dei piazzati, è sempre Michela Sillari la nostra calciatrice numero uno, poi viene Rigoni e poi ci sarei io, che però di fatto piazzo solo quando gioco nel club. Sui calci di spostamento non ho tutta questa potenza nelle gambe, è anche una questione di tecnica e di fluidità. Però, è vero: Beatrice è destra e io mancina, questo può essere un punto a favore della squadra”.

Il Sei Nazioni 2023 è alle porte…

“La partita di preparazione con la Spagna, in casa loro, l’abbiamo vinta (22-5, ndr) ma non è stata la nostra migliore prestazione. Tra nuove compagne e qualche infortunio, abbiamo avuto bisogno di ritrovarci un attimo. Il Sei Nazioni è la prima vetrina di questo nuovo ciclo. Avremo subito Francia e Inghilterra, con loro troveremo difficoltà soprattutto nell’esprimere il nostro gioco in attacco. Però sappiamo che ci aiuterà lo stare insieme, e che con il progredire del torneo aumenterà la sintonia tra di noi. Abbiamo visto quanto ci è servito tutto il lavoro fatto prima dei Mondiali, puntiamo a crescere e a trarre forza da un gruppo che le altre federazioni ci invidiano: siamo molto unite”.

Veronica Madia muove la palla, durante la recente Coppa del Mondo, con tutto l’attacco azzurro in sostegno, da sinistra: Bettoni, Fedrighi (con la fascia; alle sue spalle, seminascosta, Tounesi), Gai, Stefan, Giordano, Magatti (pronta per la ricezione) e Turani.

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Le più giovani si stanno inserendo…

“Alcune, come D’Incà, Granzotto e Seye, erano già nella rosa, poi ci sono quelle nuove del tutto, come la mia compagna di squadra Alissa Ranuccini. Tra le altre c’è Alessia Gronda, del Cus Torino, che può giocare sia estremo che apertura. Ma già da un paio di anni la seconda apertura in Nazionale è Emma Stevanin, del Valsugana. Rivalità è un parolone, ma un po’ di competizione esiste, ed è un bene che sia così”.

Ancora una volta, Parma sarà l’epicentro del Sei Nazioni delle Azzurre.

“A me fa particolarmente piacere, è ovvio. Ma tra

raduni, qualificazioni ai Mondiali e altro, Parma è diventata casa per tutte. L’impianto è molto comodo, c’è una buona palestra a disposizione, l’albergo è a un minuto a piedi dal campo ed è il nostro nido: con il personale che ci coccola e fa il tifo per noi”.

Tra le parmigiane impegnate nel Sei Nazioni, poi, c’è pure l’arbitra Clara Munarini.

“E’ sempre stata molto disponibile a venire ad ‘allenarci’, a scendere in campo con noi per spiegarci qualche aspetto del regolamento. E visto che anche lei ha fatto il Mondiale in Nuova Zelanda, prima di partire ci ha aggiornato sulle ultime novità. Una bella persona”.

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Dopo il Mondiale

La Coppa del Mondo in Nuova Zelanda ha chiuso in autunno, con un anno di ritardo, il ciclo quadriennale 2017-2021. La prossima Rwc è in programma in Francia nel 2025. Cominciano con questo Sei Nazioni le manovre per arrivare a quella data.

di Mario Diani

Il Sei Nazioni che segue una Coppa del Mondo è solitamente un torneo di transizione. Si rinnovano gli organici e si fanno esperimenti, spesso sotto la guida di un nuovo staff tecnico, e s’imposta con relativa calma il nuovo ciclo finalizzato alla prossima competizione mondiale. Quest’anno la situazione è diversa, per varie ragioni. In primo luogo, lo slittamento di un anno dell’edizione neozelandese fa sì che gli spazi di sperimentazione siano meno ampi del solito: alla fine del 6 Nazioni di quest’anno mancheranno soltanto due anni o poco più alla Coppa del Mondo 2025, che si svolgerà in Inghilterra. Bisogna poi considerare che la classifica del 6 Nazioni di quest’anno definirà la posizione con cui le varie squadre parteciperanno alla nuova competizione WXV, promossa da World Rugby, che inizierà in autunno. Le prime tre classificate nel 6 Nazioni faranno parte del gruppo WXV 1 insieme alle prime tre classificate del Pacific Four, che comprende Nuova Zelanda, Canada, Australia e USA. I gruppi WXV 2 e WXV 3 includeranno ciascuno altre due squadre europee (ci sarà cioè spazio anche per la Spagna). Un buon piazzamento quest’anno garantirebbe maggiori opportunità di incontrare ogni anno avversarie di qualità anche al di fuori del 6 Nazioni (la qualificazione a RWC 2025, che dipenderà anche dalle prestazioni nel WXV, dovrebbe arrivare comunque, visto l’allargamento del torneo a 16 squadre).

Terzo elemento di complicazione sarà rappresenta-

to dalla rilevanza del rugby a 7 in un anno che deciderà dell’ammissione alle Olimpiadi 2024. Il torneo di Hong Kong, previsto per il 31 marzo-2 aprile, interferirà con le prime due giornate del Sei Nazioni, poi non dovrebbero più esserci altre sovrapposizioni di calendario. Si tratta di vedere che risposta daranno le varie federazioni alla questione se riservare alcune loro giocatrici esclusivamente alla versione ridotta del gioco, oppure utilizzare i migliori talenti anche per il 15. Non sarà un dilemma rilevante per l’Italia ma potrebbe essere più significativo per alcune delle nostre avversarie. Infine, bisogna considerare i movimenti in corso nelle nazioni celtiche, che sono il maggior punto di riferimento dell’Italia. In primo luogo, il mondiale neozelandese ha stimolato anche in quei Paesi un’ulteriore accelerazione verso la professionalizzazione delle giocatrici. Va segnalata inoltre la prima edizione della Celtic Challenge, svoltasi tra gennaio e febbraio 2023 con la partecipazione di tre selezioni (Thistles XV per la Scozia, WRU Development XV per il Galles e Combined Provinces per l’Irlanda). La competizione dovrebbe garantire alle nostre competitrici principali una base più ampia di reclutamento per le nazionali maggiori. La Scozia inoltre ha utilizzato in quel contesto anche giocatrici che hanno già esperienze con la prima squadra ma sono basate in patria, e quindi si trovano a corto di ritmo rispetto a chi invece gioca in Inghilterra.

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Rosie Galligan, seconda linea inglese, placcata dall’irlandese Katie O’Dwyer nel match del Sei Nazioni 2022.
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Nel complesso sembra allora lecito aspettarsi un torneo in cui la posta in gioco sarà più elevata rispetto al solito anno post-mondiale, e in cui gli esiti di molte partite (anche se non di tutte) potrebbero essere ancora meno prevedibili che nel recente passato. Vediamo come arrivano le varie squadre all’appuntamento (ovviamente con la cautela dovuta al fatto che la composizione finale delle rose non era ancora stata annunciata al momento di stendere queste note).

Inghilterra

La struttura della squadra rimane sostanzialmente quella che ha dominato la scena europea e mondiale negli ultimi anni (soltanto il pilone Shanaugh Brown ha lasciato il rugby internazionale, per un ruolo di allenatrice alle Cayman Islands). Immutato per il momento anche lo staff tecnico, con Simon Middleton che si congederà dopo la fine del 6 Nazioni. Si potrebbe pensare a una squadra in cerca di motivazioni dopo lo shock della sconfitta nella finale mondiale. E sicuramente non sarà semplice la scelta del rimpiazzo di Middleton, decisione che sarà presa più avanti, ma di cui inevitabilmente si parlerà anche durante il torneo. L’attuale tecnico della mischia Louis Deacon sembra aspirare alla posizione ma sono molto forti anche gli orientamenti favorevoli ad avere per la prima volta una head coach donna. Nonostante qualche possibile tensione, l’Inghilterra rimane comunque chiaramente favorita per un ulteriore Gran Slam, tra l’altro da celebrare in uno stadio di Twickenham gremito di spettatori (33.000 biglietti già venduti al 15 febbraio per lo scontro con la Francia che chiuderà il torneo).

Francia

Le transalpine, peraltro, non arriveranno certamente a Twickenham con spirito celebrativo, confortate anche dal fatto che negli ultimi incontri sono state più vicine a battere le inglesi proprio giocando fuori casa. Dovranno però faticare più di loro a trovare un nuovo assetto. Anche in questo caso il clima postRWC è stato tutt’altro che sereno. Le forti tensioni tra lo staff tecnico e le giocatrici, di cui già si sussurrava durante il torneo, hanno infine portato alle dimissioni dell’head coach Thomas Darracq (ufficialmente per “motivi famigliari”) e della team manager Annick Hayraud, con la squadra ora affidata a Gaelle Mignot e David Ortiz. Inoltre, la squadra si presenta al 6 Nazioni 2023 con numerose assenze di rilievo rispetto al recente passato. Hanno annunciato il loro ritiro dalla nazionale avanti di grande esperienza come Safi N’Diaye, Céline Ferer e Marjorie Mayans, e soprattutto Laure Sansus, probabilmente il miglior mediano di mischia del mondo degli ultimi anni. Si aggiunga a questo il fatto che tra le linee arretrate l’apertura Droin, l’ala Grisez e l’estremo Jacquet non figurano nell’organico 2023, avendo dato priorità alla nazionale Seven. Il potenziale rimane altissimo,

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Julien Annery salta in touche per la Francia contro la Scozia.

si tratta di vedere che tipo di equilibrio riusciranno a raggiungere sotto una nuova guida tecnica, che peraltro è stata almeno in parte coinvolta nelle recenti controversie tempi (sia Mignot che Ortiz erano in Nuova Zelanda come assistenti). Irlanda.

Non essendosi qualificata al mondiale neozelandese, l’Irlanda ha avviato il processo di rinnovamento dei ranghi già nella stagione 2021-2022, con l’addio alla nazionale di giocatrici come Ciara Griffin, Sene Naoupu o Lindsay Peat. In totale 15 giocatrici hanno ottenuto il primo cap durante il 2022, un anno che ha visto risultati altalenanti, con sconfitte inattese - in casa con il Galles nel 6 Nazioni e in trasferta con il Giappone in un match prima dei Mondiali. Le Verdi non hanno un calendario favorevole, ricevendo a Cork Inghilterra e Francia. Anche qui un punto di domanda riguarda l’impegno delle giocatrici che giocano anche a 7. Nella scorsa stagione Parsons, Murphy Crowe, Flood e Higgins hanno fatto la differenza quando erano in campo - soprattutto contro l’Italia, purtroppo - e l’indicazione chiara che emerge da IRFU è di impegnarle anche nella selezione a 15 quando non c’è sovrapposizione di date. I rapporti con la federazione sono stati negli ultimi anni alquanto tesi, si tratta di vedere se l’attivazione di una trentina di contratti professionistici sarà sufficiente a riportare il sereno all’interno di un team che ha comunque molta qualità.

Galles

I cambiamenti dovrebbero essere in questo caso relativamente limitati. La capitana Siwan Lillicrap è passata dal rugby giocato a quello commentato, ma non dovrebbero esserci altre defezioni di rilievo. L’eccezione - importante, se confermata - potrebbe essere l’indisponibilità di due forti trequarti come Jasmine Joyce e Kayleigh Powell, che sono state selezionate per il team Great Britain 7 in vista delle Olimpiadi 2024. Nel complesso il Galles potrebbe faticare a ripetere il terzo posto ottenuto lo scorso anno: ha due sole partite in casa, di cui una contro l’Inghilterra, e una trasferta a Edimburgo dove la Scozia tenterà disperatamente di vendicare la rocambolesca sconfitta rimediata al mondiale, grazie al disastroso - e inusuale - 0/5 al piede dell’apertura Nelson.

Scozia

Tendenziale continuità anche nella selezione scozzese, dove soltanto le trequarti Hannah Smith e Megan Gaffney hanno annunciato il loro ritiro dalla scena internazionale. Confermato anche lo staff tecnico, salvo l’arrivo come allenatore delle avanti di Martin Haag (già coach dell’Inghilterra che vinse il titolo mondiale U20 nel 2016 e reduce, più di recente, da un’esperienza con USA Women). L’attivazione di 25 contratti e il coinvolgimento delle giocatrici basate in Scozia nel nuovo torneo celtico dovrebbe -

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ro rendere la squadra più competitiva rispetto al recente passato. Anche il calendario pare favorevole, con soli due incontri in trasferta, contro Francia e Inghilterra, e tutti gli incontri sulla carta più accessibili in programma ad Edimburgo. Si tratta di vedere se riusciranno a scrollarsi di dosso l’immagine di squadra abilissima a perdere incontri che paiono già vinti (“snatching defeat from the jaws of victory”, direbbero i britannici).

Infine, l’Italia si presenta al via con importanti novità. La principale riguarda ovviamente l’arrivo sulla panchina di Nanni Raineri al posto di Andrea Di Giandomenico (vedi Allrugby n. 177). In attesa che il nuovo allenatore trasmetta alla squadra la propria filosofia di gioco, la questione immediata riguarda le possibili conseguenze derivanti dal ritiro dalla scena internazionale di giocatrici carismatiche come Furlan, Barattin, Bettoni e Magatti.

La prima uscita della nuova gestione, l’amichevole dell’11 febbraio contro la Spagna, ha peraltro dato indicazioni molto positive su diversi piani, primo tra tutti quello della tenuta mentale. Nonostante un inizio di grande sofferenza in mischia chiusa, la squadra non ha subìto punti grazie a un eccellente lavoro difensivo e ha finito per assumere progressivamente il controllo della partita. Il punteggio finale di 22-5 è largamente imputabile alla girandola di cambi messi in atto da Raineri (nove, per lo più riguardanti giocatrici esordienti), altrimenti sarebbe stato molto più ampio.

Buone indicazioni sono venute anche dalla rimessa laterale, un’area dove l’assenza di Melissa Bettoni poteva farsi sentire, ma dove invece ha funzionato quasi tutto, nonostante un’opposizione esperta come quella rappresentata da Anna Puig e Carmen Castellucci. Con i recuperi attesi di avanti di qualità come le infortunate Fedrighi e Veronese e la squalificata Tounesi, anche l’assenza di Ilaria Arrighetti (indisponibile sino all’estate visto il grave incidente sostenuto contro gli Stati Uniti in Nuova Zelanda) non dovrebbe porre difficoltà insormontabili al pacchetto di mischia. Avanti a parte, tra le nuove arrivate Francesca Granzotto si è fatta notare per la versatilità del proprio contributo, disputando un ottimo incontro sia dalla posizione iniziale di estremo che da quella di mediano di mischia. Comunque, tenendo conto degli altri inserimenti recenti nel gruppo, e di alcune buone individualità messesi in luce durante l’incontro perso di poco dalla neo-costituita U20 sempre contro la Spagna (5-10), l’Italia dovrebbe essere in grado di affrontare il 6 Nazioni contando su una discreta profondità di rosa. Anche il calendario sembra relativamente favorevole, prevedendo tre partite in casa contro avversarie abbordabili (la stessa Francia, come abbiamo visto in profondo rinnovamento, ha perso tre delle ultime quattro partite del 6 Nazioni giocate in Italia). Insomma, in assenza di infortuni a giocatrici chiave, le chance di giocarsi il terzo posto potrebbero non essere irrilevanti.

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Nella pagina precedente, Jasmine Joyce ala del Galles, placcata da Aoife McDermott (a sinistra) e Lindsay Peat, durante il match del Sei Nazioni disputato a Dublino nel 2022 Un’apertura del mediano di mischia scozzese Jenny Maxwell Qui, Aura Muzzo, 31 cap, placcata da un’avversaria. Ai Mondiali in Nuova Zelanda, la Muzzo ha messo a segno due mete.

Il Top10 alla volata

A sei giornate dalla fine della regular season, sei squadre sono ancora teoricamente in lizza per i play off. Si deciderà tutto tra marzo e aprile. E anche per la retrocessione è ancora tutto in discussione

A marzo e ad aprile, nel giro di otto settimane, sono in programma le ultime sei giornate del Top10. I due week end di pausa saranno quelli del 19 marzo (ultimo del Sei Nazioni) e dell’8 aprile (Pasqua).

L’anno scorso, per raggiungere i play off bastarono 55 punti (Calvisano quarto classificato), la stagione precedente (quarto il Valorugby) ne servirono 60. Su questa base puramente statistica, al Petrarca dovrebbero essere sufficienti un paio

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volata finale

di vittorie, magari col bonus, per la sicurezza di raggiungere almeno le semifinali. Anche se è ovvio che a Padova si punta molto più in alto.

Il Rovigo, viceversa, riprenderà la corsa dopo la pausa di febbraio con tre scontri diretti, di cui due in trasferta, più il derby d’Italia al Battaglini. Se i risultati di queste tre partite dovessero punire i polesani, la volata con Colorno (che l’ultima giornata sarà ospite dei Bersaglieri), Valorugby e

FFOO potrebbe diventare incandescente per la squadra di Alessandro Lodi.

I poliziotti, di tre scontri diretti, due (quelli con Calvisano e Petrarca) li disputeranno al Gelsomini, ma la trasferta in Emilia (Valorugby) potrebbe essere ugualmente decisiva per le posizioni finali.

Il dato di fatto, basato sui numeri, è che Colorno e Valorugby devono vincere almeno quattro partite, mentre alle FFOO ne serve probabilmente una di più, a meno che non ne vinca quattro tutte con il bonus.

il Calvisano, attualmente sesto, con 34 punti, dovrebbe raccoglierne invece almeno 20/25 per evitare di essere escluso dalle semifinali, per la prima volta dal 2000 (a parte le due stagioni di esilio volontario in A2). Per i gialloneri vorrebbe dire vincere almeno cinque delle restanti sei partite, cercando di raccogliere almeno un paio di bonus. L’impresa non è impossibile ma francamente molto, molto difficile, visto che quattro dei sei match saranno scontri diretti, due dei quali (FFOO e Colorno) in trasferta.

Infine la lotta per la retrocessione. Che al momento sembra circoscritta a Mogliano e Cus Torino.

Gli universitari, a ottobre, avevano vinto lo scontro diretto in Veneto, e attendono la formazione di Costanzo a fine marzo all’Albonico. Grazie anche ai rinforzi arrivati dal Benetton prima di Natale, però, il Mogliano non è più la squadra del girone di andata: nelle prime sette giornate del torneo, il club del Terraglio aveva subito una media di oltre cinque mete a partita. Dall’ottava giornata in poi ne ha concesse al massimo tre. Nella porzione di campionato disputata finora il Petrarca è stato la squadra con la miglior difesa (meno di due mete a partita) e il secondo miglior attacco (49 mete in totale). Le FFOO ne hanno messe a segno 52, raccogliendo il bonus in attacco in sette partite su dodici. Un volume di fuoco che potrebbe tornare utile nella fase decisiva del torneo.

Gli uomini

Ratuva Tavuyara game breaker di recente acquisizione per Rovigo, Carlo Canna direttore d’orchestra alle FFOO, Nicolas Sbrocco, metaman del Valorugby, Cameron Lyle del Petrarca, Ignacio Ceballos del Colorno, calciatore con una percentuale di successo superiore all’80% nelle prime dodici giornate. Ci aggiungiamo Spagnolo e Di Bartolomeo, prime linee della squadra di Marcato, il ritorno, sempre a Padova, di Matteo Canali. E ancora Vunisa e Palazzani a Calvisano e Stavile a Rovigo.

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Un tuffo in meta di Iliesa Ratuva Tavuyara contro il Viadana. Il figiano è arrivato a Rovigo lo scorso dicembre, dopo quattro stagioni a Treviso. Al Benetton aveva segnato 15 mete in 56 partite.

La classifica

Gli scontri che decideranno l’accesso ai play off (in rosso e grassetto le partite in trasferta)

I metamen delle prime dodici giornate

Squadra XIII XIV XV XVI XVII XVIII Petrarca Cus Torino ROVIGO Lyons CALVISANO Viadana FIAMME ORO Rovigo CALVISANO Petrarca VALORUGBY Cus Torino MOGLIANO Colorno Colorno VALORUGBY CUS TORINO Viadana MOGLIANO Calvisano ROVIGO Valorugby Colorno MOGLIANO Rovigo LYONS Fiamme Oro VIADANA FFOO Mogliano LYONS Calvisano VIADANA VALORUGBY Petrarca Calvisano Rovigo  Viadana FIAMME ORO Petrarca  COLORNO CUS TORINO
Giocatore Mete Ruolo Nicolas Sbrocco (Valorugby) 8 Terza linea Pama Fou (Petrarca) 7 Ala Giovanni D’Onofrio (FFOO) 7 Ala Marco Silva (Valorugby) 7 Tallonatore Francesco Ferrara (Colorno) 6 Flavio Pio Vaccari (Calvisano) 6 Ala Luhandre Luus (Valorugby) 5 Tallonatore
Squadra punti vinte pari perse mete fatte subite punti fatti subiti diff. Petrarca 46 9 2 1 49 22 408 213 195 Rovigo 41 8 0 4 41 23 351 208 143 Colorno 39 8 0 4 37 27 333 260 73 Valorugby 39 7 2 3 43 33 330 270 60 FFOO 37 7 0 5 52 39 386 313 73 Calvisano 34 7 1 4 27 26 253 231 22 Viadana 29 5 0 7 39 31 299 310 -11 Lyons 18 3 0 9 23 36 215 317 -102 Mogliano 11 2 1 9 22 50 206 390 -184 Cus Torino 9 1 0 11 25 71 217 486 -269
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Nicolas Sbrocco, 28 anni, tucumano, è il miglior marcatore di mete del Top10.
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La parola agli allenatori

Posizione dopo 12 giornate: primo posto 46 punti

La favorita per il titolo?

Troppo difficile rispondere ora, vincerà chi arriverà meglio dal punto di vista mentale, ma soprattutto fisico, ai play off di maggio.

Chi va ai play-off?

Vedo Valorugby e Rovigo sicuramente nelle prime quattro, per Padova sarebbe ovviamente un insuccesso enorme non accedere alla post season. Per l’ultimo posto disponibile una bella lotta tra Colorno, Calvisano e Fiamme Oro.

Quale giocatore sarà decisivo in questo finale di stagione?

Il Top10 è condizionato dai valori in mischia chiusa e nel drive, perciò saranno i piloni a fare da padroni. Penso anche che con i campi asciutti i giocatori da tener d’occhio saranno “gli isolani”: Tavuyara, Waqanibau e Fou. Un pensiero da ex 10: Giovanni Montemauri e Carlo Canna potrebbero cambiare gli equilibri nelle partite di cartello.

Cosa ha detto il Top10 in questa prima fase?

Un Top10 molto più equilibrato, dove ogni risultato può stravolgere l’equilibrio sia per i playoff che per la zona retrocessione. Squadre competitive con rosters più profondi e giocatori ben preparati soprattutto da un punto di vista fisico.

Un campionato, che a livello di gioco, è ancora troppo determinato da mischie e drive, con partite che portano a referto un numero molto alto di penalità.

Posizione dopo 12 giornate: secondo posto, 41 punti

La favorita per il titolo?

Petrarca, è in testa alla classifica, ha cambiato poco rispetto alla scorsa stagione ed è un gruppo che lavora assieme da tempo, ha mostrato solidità in ogni area del gioco.

Chi va ai play-off?

1 Petrarca, 2 Colorno, 3 Valorugby, 4 Rovigo.

Quale giocatore sarà decisivo in questo finale di stagione?

Dico quattro nomi: Faiva del Petrarca, Ceballos del Colorno, Sbrocco del Valorugby e Ferro di Rovigo.

Il ritorno di Faiva può aggiungere qualcosa in più al Petrarca nel gioco d’attacco. La precisione di Ceballos come calciatore sarà invece determinante, per me, negli scontri diretti. Sbrocco è uno dei migliori stranieri del Top 10 e, per noi, il rientro dopo diverso tempo di Ferro, il nostro capitano, può essere determinante per l’esperienza che porta nella parte finale di stagione.

Cosa ha detto il Top10 in questa prima fase?

Abbiamo visto un campionato con meno certezze per l’accesso ai primi quattro posti, con sei squadre che sono ancora tutte in corsa, rendendo più avvincente, ogni settimana, la lotta per arrivare ai play off

Posizione dopo 12 giornate: terzo posto, 39 punti

La favorita per il titolo?

Per me ancora Padova anche se Rovigo con il cambio di allenatore è diventato molto più insidioso.

Chi va ai play-off?

Padova, Rovigo, Valorugy, poi spero ovviamente Colorno ma sarà lotta fino alla fine con Fiamme Oro e Calvisano.

Quale giocatore sarà decisivo in questo finale di stagione? Indico le squadre in lotta per i play off: a Padova Tebaldi e Lyle, a Rovigo il ritorno di Ferro, per le Fiamme Oro il solito Canna, che è di un’altra categoria (e forse ci stava ancora a un livello superiore), a Reggio Violi e la terza linea Sbrocco, a Calvisano Palazzani e se starà bene Vunisa, mentre per noi voglio indicare la forza del collettivo Cosa ha detto il Top10 in questa prima fase?

Molto equilibrio e risultati mai scontati.

Dal punto di vista del gioco invece resta sempre importante la conquista (mischie e touche) spesso più per guadagnare una penalità che per creare una piattaforma d’attacco, e poi il gioco al piede rimane sempre determinante, e in questo Padova è maestra.

Posizione dopo 12 giornate: quarto posto, 39 punti

La favorita per il titolo?

Penso Padova: bella rosa, bella struttura, negli ultimi anni ha consolidato il suo gioco. Per me è ancora la formazione favorita. Chi va ai play-off?

1) Petrarca 2) Rovigo 3) Valorugby e Calvisano, che ha avuto un sacco di guai, ma se sta bene e trova un po’ di continuità può ancora farcela.

Quale giocatore sarà decisivo in questo finale di stagione?

Io dico il capitano del Petrarca, Trotta, un uomo che ha sempre in mano la squadra, un leader che sa tenere insieme il gruppo e questa, alla fine, è la forza dei campioni d’Italia. E poi, se sta bene, Vunisa, un giocatore importantissimo per il Calvisano e che può determinarne le sorti nel finale di stagione.

Cosa ha detto il Top10 in questa prima fase?

Nessuna delle partite finora è stata scontata. Questo campionato impone grande concentrazione e attenzione ai dettagli perché se vengono meno questi due elementi si finisce per compromettere immediatamente il risultato. E poi l’importanza in ogni squadra dei giocatori di passaporto italiano, ma di formazione straniera: tutti ne hanno almeno due o tre decisivi, che hanno dato profondità alle rose sopperendo alla mancanza di ricambi dal basso e al fatto che molti giovani, invece di approdare al Top10, sono passato alle accademie delle due franchigie.

Andrea Marcato Petrarca Padova Alessandro Lodi Rovigo Delta Umberto Casellato Colorno
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Roberto Manghi Valorugby

Posizione dopo 12 giornate: quinto posto, 37 punti La favorita per il titolo?

Per me il Rovigo. È una squadra consistente, con una conquista forte, degli ottimi trequarti e che riesce ad esprimere anche un gioco d’attacco bello e produttivo. Ha inoltre delle individualità che possono fare la differenza Chi va ai play-off?

1 Petrarca, 2 Rovigo, 3 Colorno, lascio in sospeso la quarta…. Quale giocatore sarà decisivo in questo finale di stagione?

Dico Carlo Canna. È tecnicamente un vero talento ma soprattutto è una persona umile e disponibile a mettersi in gioco. Se la squadra lo supporterà può fare veramente la differenza. Un altro è sicuramente Ratuva Tavuyara, un giocatore di una classe superiore, doti fisiche eccezionali, tecnicamente valido, riesce sempre ad essere avanzante, imprevedibile, sa dare continuità all’azione, viene da un campionato di livello più alto dove ultimamente giocava poco. Anche lui per me potrà fare la differenza.

Cosa ha detto il Top10 in questa prima fase?

Finora è stato un campionato molto combattuto. Tutte le squadre sono competitive e, come dimostrato dai risultati, non ci sono mai partite facili.

Bisogna mantenere un’attenzione sempre massima e sono richieste una qualità di prestazione e una cura dei dettagli sempre maggiori.

Posizione dopo 12 giornate: sesto posto, 34 punti

La favorita per il titolo?

Per me il Petrarca. Potrebbe allestire tre squadre. Come si fa a non considerare favorito un club che può permettersi di lasciare in tribuna gente come Cioffi, Chistolini e Manni?

Chi va ai play-off?

Petrarca, Rovigo, Colorno e Valorugby.

Quale giocatore sarà decisivo in questo finale di stagione?

Per me Carlo Canna resta un giocatore di un altro livello e, infatti, non è un caso che per le Fiamme Oro faccia molta differenza averlo in campo o meno.

Poi dico Mirco Spagnolo, pilone del Petrarca, Jimmy Tuivaiti del Valorugby, che vince sempre gli impatti, sia in attacco che in difesa. E Ratuva Tavuyara, che, se viene innescato adeguatamente, può fare certamente la differenza.

Cosa ha detto il Top10 in questa prima fase?

Il campionato ha detto che per mantenere un’intensità nell’arco di tutta la stagione ci vuole una rosa di 40 giocatori e che si tratta di una competizione tuttora probante per formare i giovani. Soprattutto per gli avanti questo è un torneo che può dare minutaggio importante ed esperienza in vista del passaggio a una categoria superiore. Per certi versi resta un passaggio fondamentale per la formazione

Posizione dopo 12 giornate: settimo posto, 29 punti

La favorita per il titolo?

Non voglio sembrare originale a tutti costi, ma dico quello che sento nel cuore: per me la favorita è il Viadana. Non so se alla fine vinceremo, ma sarebbe veramente un film, una bella storia. Chi va ai play-off?

Non me la sento di fare un pronostico sulle altre squadre, dico Petrarca, perché è primo in classifica e Viadana: come faremmo a vincere il titolo senza andare ai playoff?

Quale giocatore sarà decisivo in questo finale di stagione? Come ho già detto, non mi piace dare giudizi sui ragazzi delle altre squadre: ce ne sono tantissimi molto bravi. Anche io ho giocatori molto forti. Non conoscevo Samuele Locatelli, il nostro capitano, avevo visto qualche video prima di venire in Italia: è un riferimento importantissimo per tutta il Viadana. Alessio Crea (2002) è un giovane molto interessante. E poi Matias Sauze, Tejerizo, Pietro Gregorio, Patricio Baronio, tutti giocatori che possono essere determinanti.

Cosa ha detto il Top10 in questa prima fase?

È un torneo molto buono per quanto riguarda i princìpi del gioco, innanzitutto l’attenzione. E più c’è attenzione più migliora il livello. Vedo molte squadre con l’ambizione di giocare un rugby migliore e spero che questa non venga meno adesso che le partite saranno tutte decisive per i playoff e la retrocessione.

Posizione dopo 12 giornate: ottavo posto, 18 punti

La favorita per il titolo?

“Rovigo. Quando può disporre dei giocatori migliori e riesce a giocare come sa, è in grado di fare la differenza sia in attacco che in difesa. Anche calcolando il valore dei suoi stranieri, se trova l’alchimia giusta ha le carte per arrivare al successo”.

Chi va ai play-off?

“Rovigo e Petrarca, poi prevedo una bella guerra, con Reggio e Colorno un po’ avvantaggiate sulle Fiamme Oro”.

Quale giocatore sarà decisivo in questo finale di stagione?

“Dico Giovanni Montemauri, del Rovigo. Un ottimo profilo, può essere un’arma importante. L’avevamo seguito e corteggiato anche noi Lyons, quando era alla Lazio... Lavora seriamente, spero possa arrivare veramente in alto”.

Cosa ha detto il Top10 in questa prima fase?

“Mischie e rimesse laterali sono sfruttate più ottenere un calcio di punizione, e magari la meta da penaltouche, che per lanciare il gioco. Non è molto bello ma è lecito farlo. Può servire contro difese che mediamente hanno più qualità degli attacchi, sono preparate bene e, forse, sono anche più tutelate dagli standard arbitrali. D’altronde il gioco d’attacco esige maggiore applicazione. Parlo anche per la mia squadra: si può prendere qualche rischio in più, considerando che anche il rischio può essere allenato e ridotto. Si vedono meno giovani e più giocatori di formazione straniera; se questa tendenza proseguirà, a lungo andare la pagheremo”.

Bernardo Urdaneta Viadana Gianluca Guidi Calvisano Carlo Orlandi Lyons Piacenza
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Alessandro Castagna Fiamme Oro

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Posizione dopo 12 giornate: nono posto, 11 punti La favorita per il titolo?

Padova è la realtà più solida e per me resta la favorita. Ha una rosa estremamente larga che negli anni è cresciuta molto e ultimamente ha imparato anche a vincere le partite all’ultimo minuto, come con Calvisano e FFOO.

Chi va ai play-off?

Padova, Colorno, Rovigo e una fra Valorugby e FFOO. Le FFOO possono farcela ma il Valorugby è una gran bella squadra e tutto dipende da come affronterà questo ultimo periodo

Quale giocatore sarà decisivo in questo finale di stagione?

Ci sono diversi che possono rompere gli equilibri. Uno secondo me e Lyle anche se non ha avuto un inizio di stagione strabiliante. Se sta bene però, soprattutto nelle partite che contano, può fare ancora la differenza. A Colorno dico Antl, Koffi e Pescetto. Ma soprattutto penso a Tavuyara del Rovigo che se ingrana e capisce com’è il campionato può veramente ogni volta far saltare il banco.

Cosa ha detto il Top10 in questa prima fase?

Campionato più competitivo rispetto al solito, un bel campionato. Oltre alle solite quattro squadre, si sono aggiunte le FFOO, poi il Calvisano, ma ha avuto qualche difficoltà. Occhio però perché si sta risollevando... e anche Viadana sta facendo una buona stagione.

Ci sono state soprese e adesso che le partite cominciano a contare potrebbero essercene altre: chi lotta per i playoff, chi, come noi, per non retrocedere, i punti ora pesano tantissimo e ne vedremo delle belle.

Posizione dopo 12 giornate: decimo posto, 9 punti

La favorita per il titolo?

Credo che la favorita sia il Petrarca, la vedo molto quadrata, sa fare molto bene le cose che fa, ed è una squadra molto difficile da affrontare quando mette la partita nel suo territorio.

Chi va ai play-off?

Petrarca, Rovigo, Valorugby e Colorno. Mi piace molto anche come giocano le FFOO, ma le vedo in flessione in questo momento.

Quale giocatore sarà decisivo in questo finale di stagione?

Dico Montemauri, che è stato convocato per i raduni della Nazionale durante il Sei Nazioni e penso che questo possa dargli una carica in più, un livello in più, una velocità in più rispetto alle qualità che ha già di base. Credo tutto questo possa essere molto interessante per lui.

Cosa ha detto il Top10 in questa prima fase?

Il campionato è più interessante rispetto alle passate stagioni, con più squadre che possono competere per il titolo. Un’altra cosa importante è che le squadre hanno bisogno di una rosa molto numerosa per poter lottare per tutta la stagione: vedi per esempio Calvisano che ha fatto ottime prestazioni ma con pochi giocatori non riesce sempre a mantenere lo stesso livello di prestazione. Reggio Emilia, Colorno, Padova, Rovigo hanno tutte una quarantina di giocatori, se non di più, e questo fa una bella differenza rispetto a chi come noi non li ha.

Andrea Trotta, capitano del Petrarca, conquista touche.
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Salvatore Costanzo Mogliano Lucas D’Angelo Cus Torino

Se potessi avere ... 1000 giocatori

Imprenditore di successo, Enrico Grassi è cresciuto calciatore prima di innamorarsi del rugby. E ha raccontato a Allrugby il suo percorso, i suoi sogni le sue ambizioni

“Ho avuto un’adolescenza molto ‘contadina’. Giocavamo a pallone sui campi di grano, appena finita la mietitura. È proprio in questo ambiente che sono maturati quei valori che mi accompagnano e mi accompagneranno per tutta la vita e che cerco ogni giorno di trasmettere ai giovani che praticano sport”. Ma che il futuro di Enrico Grassi, imprenditore di successo e presidente del Valorugby, non poteva fermarsi su un campo seminato, lo si capì ben presto: “Era il 1972, mio padre arrivò a casa tutto orgoglioso con un televisore nuovo di pacca. Aspettai che si allontanasse e con calma smontai il televisore pezzo per pezzo. Mi ricordo che, quando se ne accorse, mi sgridò; si calmò solo quando ricomposi il televisore, perfettamente funzionante e gli dissi: ‘Lo vedi, adesso sai che quando si romperà non dovrai chiamare un tecnico’”.

Nel ragazzo Enrico, però, non stavano spuntando solo i primi germogli da imprenditore. Anche su un campo di calcio sapeva farsi rispettare: “Ero un terzino, e inoltre segnavo anche spesso”. Ma la realtà lo condusse presto verso altre strade: “A 14 anni già lavoravo. Lavoravo e studiavo. Non c’era troppo tempo per le distrazioni”.

Dopo il diploma in indirizzo elettronico, Enrico capisce che il mondo gli offre diverse opportunità, e non se le lascia sfuggire.

“A 21 anni, era il 1980, fondai la mia prima azienda. Ma il primo grande traguardo arrivò agli inizi degli anni ‘90. Quando inventammo un prodotto rivoluzionario: il primo sistema al mondo a guida laser, capace di unire i processi intralogistici all’interno delle fabbriche, dalla produzione ai magazzini fino alle spedizioni”.

Ci stiamo allontanando dal campo di rugby...

“In realtà sapevo poco di questo sport. Ma quando mi sono avvicinato ho intuito i grandi valori che trasmette: lealtà, fiducia nel prossimo, rispetto. Sì, trovo che ci sia molto rispetto tra giocatori, arbitri e pubblico. Ecco perché ho deciso d’investire sul progetto Valorugby”.

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Staff e giocatori del Valorugby. Grassi è in primo piano con il cappello da cow boy, dietro di lui con la giacca chiara, Roberto Manghi. Franchino Properzi, a destra nella foto, ha lasciato la guida della squadra a dicembre.

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Ma dietro questa scelta c’è di più…

“Io ritengo che i sacrifici portino alla vittoria delle battaglie o ad imparare dagli errori, e desidero che anche il Valorugby percorra questa strada. Abbiamo tutte le armi per credere nello scudetto. A volte manca la continuità dei successi, anche quando abbiamo di fronte squadre avversarie alla nostra portata e così perdiamo punti preziosi”.

La squadra da battere?

“Nessun dubbio, il Petrarca, vanta un gioco classico ma ben strutturato, sbaglia pochissimo e sa sfruttare gli errori altrui. Quanto alle altre, più ancora delle Fiamme Oro, mi ha sorpreso il Colorno, davvero un campionato eccellente. Per i play-off, oltre a noi e al Rovigo, possono recuperare il Colorno appunto, le Fiamme Oro e il Calvisano, che ha un ottimo tecnico”.

A proposito di tecnici, dopo l’arrivederci di Franco Properzi Curti avete chiamato Roberto Manghi.

“Mi è dispiaciuto moltissimo dover rinunciare a Franco, ma di fronte a determinati problemi personali bisogna alzare le braccia. E così abbiamo chiesto a Roberto Manghi di dare continuità per terminare il campionato. In Italia ci sono tecnici preparati e ho chiesto a Manghi di guardare anche all’estero, in Francia, per esempio”.

Che strategia bisogna attuare per far crescere il Top Ten?

“Intanto ripenserei il progetto franchigie: si spendono ogni anno 8 milioni di euro, sono tanti. Con quei soldi si potrebbero realizzare progetti ben più ambiziosi, come far rinascere società che hanno plasmato la storia del rugby in Italia: penso a L’Aquila, Napoli, Catania, Firenze, solo per fare qualche esempio. Il mio sogno? Un campionato con 10 squadre del Nord e 10 del Sud”.

Eppure, il Benetton sta ottenendo una certa continuità di risultati...

“Non lo seguo, così come non segue l’URC. Non crea la cultura di un campionato italiano; è una sola squadra, non un campionato che tocca tutto il paese, tutte le settimane. Bisogna capire che se si vuole avere un futuro rassicurante bisogna partire dai giovani, farli crescere. E farli studiare. Noi del Valorugby pretendiamo che tutti i ragazzi, dalle giovanili alla prima squadra, studino. E li seguiamo, vogliamo sapere come procede il loro cammino scolastico, universitario. Non basta essere giocatori di alto livello. Ora possiamo vantare 300 ragazzi dai 5 ai 18 anni, più i 40 della prima squadra. Un sogno fino a poco tempo fa”. Se potesse dare un consiglio al presidente federale Marzio Innocenti?

“Gli direi di sfruttare il più possibile la carta della visibilità. Bisogna investire maggiormente nel mondo mediatico e nella comunicazione, come fanno Francia o Inghilterra”.

Presidente, è inevitabile una domanda sul suo cappello e il suo abbigliamento da Far West. Quando cambierà stile?

“Mai! Ricordo ancora quando un imprenditore mi volle presentare al suo staff. Mi vestii in borghese e subii subito il rimprovero da colui che mi invitò e mi disse di andarmi a cambiare, perché dovevo essere solo me stesso”.

Però c’è qualcosa che potrebbe farla vacillare nella sua decisione...

Il presidente si concede alcuni secondi di silenzio. Poi alla fine svela: “Ebbene sì, se tocchiamo quota mille giovani con il Valorugby sono pronto a togliermi il cappello e la giacca a frange. E potrei anche rinunciare allo scudetto, dovessimo raggiungere questo obiettivo!”

Carta canta, presidente. Se continua così prepari giacca e cravatta...

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Grassi racconta il Gruppo E80

La nostra azienda è frutto di un sogno che io e Vittorio Cavirani, rispettivamente Presidente e Vicepresidente del Gruppo, abbiamo avuto 40 anni fa, quando abbiamo scelto di investire sul futuro, un futuro fatto di interconnessione, sostenibilità e digitalizzazione dei processi intralogistici di fabbriche e centri di distribuzione.

Elettric80 è stata fondata a Viano, in provincia di Reggio Emilia nel 1980; all’epoca eravamo solo cinque persone e lavoravano per conto terzi; poi nel 1992 è stata fondata Bema, azienda che sviluppava sistemi sinergici con quelli di Elettric80; oggi entrambe le aziende sono confluite in E80 Group.

Il primo grande salto è stato fatto negli anni ’90, quando abbiamo deciso di puntare sulla meccatronica e realizzare un nostro prodotto: i Laser Guided Vehicles. Veicoli automatici a guida laser capaci di movimentare in modo integrato, in totale sicurezza e senza errori materie prime e prodotti finiti all’interno degli impianti, connettendo flussi e sistemi.

Grazie al lavoro di squadra e ad una visione lungimirante, abbiamo trasformato un sogno in realtà, anticipando il concetto di Industry 4.0 nel lontano 1992: abbiamo infatti realizzato la prima Smart Factory a Caldonazzo di Trento per la Costerplast. Nel corso del tempo, questa tecnologia è stata costantemente innovata per essere impiegata in tutti gli altri stabilimenti Coster. Da allora, il nostro Gruppo non si è mai fermato ed è diventato uno dei leader mondiali nell’implementazione di soluzioni intralogistiche tailor-made automatizzate ed integrate per aziende produttrici di beni di largo consumo nei settori food, beverage e tissue, ma anche in ambiti diversificati.

Realizziamo soluzioni integrate sempre più evolute - capaci di rispondere ed anticipare le esigenze di mercato. Tutto il flusso logistico è gestito centralmente da un’unica piattaforma software, SM.I.LE80 (Smart Integrated Logistics): il “direttore d’orchestra” che garantisce la conduzione ottimale di tutte le operazioni, dall’ingresso delle materie prime allo stoccaggio, fino alle spedizioni, assicurando la totale tracciabilità dei prodotti movimentati e l’integrazione tra i vari sistemi.

Ad oggi abbiamo realizzato 350 Smart Factory in diversi continenti, installando oltre 2500 sistemi robotizzati, più di 6.500 veicoli a guida laser e 40 magazzini automatici ad alta densità. Non solo, il nostro Gruppo, che conta 1200 persone, vanta una presenza internazionale nel mondo, con 14 filiali e una precisa missione: essere sempre vicini ai nostri clienti. (An. F.)

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Jimmy Tuivaiti, 35 anni, 6 presenze con la Nazionale italiana, è arrivato al Valorugby quest’estate dalle Zebre.

An Englishman in Italia

A colloquio con Scott Lyle, uno dei protagonisti del Top10, estremo del Petrarca campione in carica.

“I am a proper Englishman - Sono un inglese fatto e finito - spiega Scott Cameron Lyle all’inizio di questa conversazione -, molti pensano che sia scozzese perché quando sono sbarcato a San Donà, a gennaio del 2019, arrivavo dalla Scozia, da Ayr, e questo ha creato un po’ di confusione. Mio padre è scozzese, ma io sono nato a Norwich, nel Norfolk”.

La data del suo arrivo in Italia è importante perché per poche settimane (la scadenza era quella del 31 dicembre 2018) è uscito dalla fascia che prevedeva tre anni di residenza per vestire la maglia della Nazionale di un nuovo Paese. Dal primo gennaio 2019 gli anni sono diventati cinque. Di conseguenza Scott Lyle potrebbe diventare eleggibile per giocare per l’Italia alla vigilia del prossimo Sei Nazioni, nel 2024. Non è un’eventualità remota perché di questa possibilità si era parlato nelle scorse stagioni in virtù della sua consistenza a numero 15 e per l’affidabilità del suo gioco al piede.

“Certo che mi piacerebbe giocare per l’Italia, eccome - dice -. Ma per quanto riguarda il gioco al piede credo che qualche volta sia diventato la mia gabbia. Nel senso che preferirei poter essere coinvolto di più in attacco, amo il gioco dell’emisfero sud, la capacità di alternare il kicking game al running rugby. Fino a 16/17 anni giocavo apertura, solo dopo ho cominciato a essere schierato estremo. Morale, mi considerano affidabile nei calci, nel gioco di spostamento e quando analizziamo le partite, molte volte emerge che un pallone lungo ci ha permesso un ottimo guadagno territoriale. E così torniamo sempre al punto: Lyle gioca bene di piede e questo è il mio marchio di fabbrica”. Come è nato?

“Mio padre era coinvolto nel club locale, in Inghilterra, io andavo con lui e ci passavo tutta la giornata. A volte mi mischiavo ai più grandi, ma spesso, se ad allenarsi erano gli adulti, prendevo una sacca di palloni e stavo per ore a calciare”.

Un esercizio che ti ha reso uno dei giocatori più efficaci del Top10, protagonista dello scudetto l’anno scorso con il Petrarca (14 punti in finale), ma anche della sta-

gione precedente (246 punti), quella culminata con la sconfitta contro il Rovigo al Plebiscito.

“Di quella mi ricordo certamente la grandissima delusione, soprattutto per averla persa a quel modo, all’ultima azione. Però quel giorno stesso è scattata la voglia di reazione che chi ha portato a vincere l’anno successivo”.

Parliamo dello scudetto conquistato dieci mesi fa, allora.

“A un certo punto della scorsa stagione abbiamo deciso di semplificare ulteriormente il nostro gioco, in modo che ognuno avesse ben chiaro il suo ruolo in campo e nel piano deciso per la gara. Questo ci ha permesso di arrivare con grande fiducia alle semifinali, contro il Calvisano, e poi di affrontare il Rovigo con grande consapevolezza. Sapevamo cosa dovevamo fare, avevamo già vinto la Coppa Italia, sapevamo cosa avrebbero fatto loro. Credo che la finale sia sempre stata sotto il nostro controllo. Quest’anno, la fiducia nei nostri mezzi è arrivata un po’ prima nel corso della stagione. E questo ovviamente ci fa sperare di poter essere ancora protagonisti fino alla fine”. Qualcuno dice che il vostro gioco è fin troppo semplice, che dipende molto dalla mischia, dalla potenza degli avanti.

“Io non credo che la nostra mischia sia la più pesante, credo che abbiamo degli avanti molto “smart” che sanno stare bene in campo. Certo ne abbiamo anche di grossi, ma prendete il nostro capitano, Andrea Trotta, non è certo il tipico numero 8, enorme, pesante. Eppure è in ogni parte del campo, è rapido, intelligente, placca, è molto efficace nei punti d’incontro.

Il Valorugby ha una mischia più pesante della nostra, ma nello scontro diretto siamo usciti nettamente vincitori”.

A questo punto avrete anche un’idea delle avversarie più pericolose.

“Rovigo ha senz’altro un ottimo gioco al piede ed è molto forte in attacco. Mi piace davvero Facundo Ferrario, un giocatore molto pericoloso. Anche Colorno ha un buon attacco. Credo che queste siano le avver-

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sarie più pericolose. Ma noi dobbiamo essere preparati per affrontare ogni tipo di sfida”.

Purtroppo, nonostante lo scudetto che avete cucito sulle maglie, il pubblico di Padova non frequenta con grande entusiasmo le tribune del Plebiscito. Cosa si può fare per aumentare il numero di tifosi del Top10 negli stadi?

“Penso che sia necessario un lavoro di marketing, soprattutto tra quelli che potrebbero essere potenzialmente interessati, ma magari conoscono poco il rugby. Padova, per esempio, è una città universitaria, bisognerebbe intraprendere iniziative per coinvolgere gli studenti. Ce ne sono migliaia in città. Gli Highlanders, a Dunedin, hanno una ‘students’ stand’, una tribuna riservata ai ragazzi delle scuole, si chiama “the Zoo”: gli studenti si ritrovano allo stadio, passano la giornata insieme, si divertono, tifano. Dovremmo inventare anche noi qualcosa del genere”. Prima di venire in Italia, eri stato coinvolto nella preparazione estiva con i Glasgow Warriors: com’era andata?

“Credo bene, non mi sentivo fuori posto, mi sembrava di essere al livello richiesto. Però poi non si è concretizzata una proposta per restare. E allora ho pensato che poteva essere una buona esperienza venire in Italia”.

Dove vivi ormai da cinque anni, con la tua compagna scozzese, Tania. Per chi farai il tifo il 19 marzo quando l’Italia giocherà a Murrayfield?

“Se me lo chiedi davanti a lei devo dire Scozia. Ma in cuor mio forse devo ammettere che tiferò Italia”. (gianluca barca)

Cameron Scott Lyle è nato il 10 luglio del 1996. Questo è il suo terzo campionato con la maglia del Petrarca, il quinto in Italia. Con San Donà nell’arco di due stagioni ha giocato 19 partite e messo a segno 151 punti. Con il Petrarca ha già superato quota 570. In Scozia con la formazione di Ayr era stato per due stagioni (2017 e 2018) top scorer della Tennent’s Premiership, il campionato di club scozzese

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LO SPAZIO TECNICO LO SPAZIO TECNICO

CAOS CALMO

Qualche settimana fa sono stato in visita presso l’Accademia del Verona Rugby, che ringrazio per la gentile ospitalità che mi hanno concessa. Nella giornata trascorsa con loro ho avuto la possibilità di assistere al workshop che lo staff ha tenuto con i giocatori e che aveva per tema “Caos organizzato”. Semplificando, si parlava della capacità di una squadra di controllare a proprio vantaggio situazioni “rotte” (transizioni, calci di punizione, touche veloci…) al fine di imporre pressione agli avversari. Si tratta ancora della sfida legata al controllo dello spazio e del tempo, traslata in quelle aree del gioco dove può sembrare più sfocata, o addirittura dove ci si aspetta maggiore organizzazione. Molto interessante. E la riflessione sul questo argomento mi ha accompagnato nei giorni successivi. Illustri allenatori hanno nella loro filosofia questo principio e subito pensiamo a Wayne Smith, che ha dimostrato anche nell’ultima Coppa del Mondo con le Black Ferns come le sue squadre siano a loro agio nel trovare efficacia nella continuità non lineare. Possiamo addirittura arrivare a Villepreux che mira a destrutturare la difesa attraverso il movimento offensivo e addirittura Fabien Gathié che alla vigilia del 6 Nazioni parlava di “repossession”

(recupero) piuttosto che di dépossession (esproprio), che era come si tendeva a definire la filosofia di gioco della sua squadra.

Come tutti gli appassionati ho aspettato con curiosità l’incontro della seconda giornata del Torneo tra Irlanda e Francia, le due squadre che si contendono, almeno sulla carta, il 6 Nazioni nonché il primato mondiale. E proprio durante il primo tempo di nuovo sono tornato con la mente alla riflessione sul caos. Tutti noi, immagino, abbiamo una percezione di incredibile efficacia della squadra irlandese in tutte le aree del gioco. Eppure, soprattutto nel primo tempo, mi è sembrato che la Francia potesse riuscire ad aprire una crepa nella solidissima organizzazione dell’Irlanda. La meta di Penaud mi sembra emblematica, addirittura originata da una smanacciata di Ramos e portata a compimento dallo stesso trequarti ala dopo una capace continuità palla in mano di altri giocatori. E se fosse proprio la capacità di generare caos l’arma capace di mettere in difficoltà una squadra che, in un approccio logico e lineare, sembra inscalfibile?

Diceva Paul Klee: “La creazione vive come genesi sotto la superficie visibile dell’opera. A ritroso la vedono tutti gli intellettuali,

avanti - nel futuro - solamente gli artisti”. Ammesso e non concesso che questa mia riflessione possa avere un senso, si può arrivare all’opera compiuta, quell’intuizione d’artista, solo attraverso due passaggi cruciali: una grande consapevolezza e una grande capacità di controllo. Solo così, sentendosi a proprio agio nel caos, potrà risultare efficace generare pressione attraverso la non linearità. D’altra parte il rugby non è lineare, e nemmeno le persone. E non sto affatto imputando all’Irlanda una rigidità che tra l’altro ha ampiamente dimostrato di non avere. Dico solo, ma è la mia personalissima opinione, che ho visto filtrare un po’ di luce da quella crepa. Nel secondo tempo però sono venuti a galla i rischi: se si perde il controllo si va verso la frenesia se non addirittura verso l’avventatezza. E alcuni comportamenti dei giocatori francesi sono andati sicuramente in quella direzione. Il controllo è tornato totalmente nelle mani irlandesi e sappiamo tutti com’è finita la partita. Nel vedere la Francia sul prato dell’Aviva a fine partita mi è venuto in mente Winston Smith, protagonista di “1984”, che, dopo il suo periodo di ribellione, muove freneticamente i piedini al suono della marcetta del Grande Fratello.

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La coersa di Damian Penaud verso la meta.

MANI IN RUCK

MANI IN RUCK

PROTEZIONE O OSTRUZIONE?

A chiunque abbia indossato un paio di pantaloncini corti, preso un brevetto arbitrale di qualsiasi ordine o grado e fischiato su un campo di rugby, sarà certamente capitato, prima dell’inizio o a fine gara, di ricevere la visita nel proprio spogliatoio di un allenatore che gli chiedeva lumi sulla disciplina del gioco.

Un classico che varia da: “l’arbitro che è stato qui due settimane fa ha punito questo fallo” oppure “sono cambiate delle regole di recente? Perché l’altra domenica mi è successo di tutto…”.

Per chi è più navigato e con una scorza più spessa, pressioni del genere fanno parte della regola zero del prontuario di arbitraggio, quella dell’interazione forzata; per chi invece è agli esordi può capitare che queste situazioni generino un aumento indotto del battito cardiaco.

Recentemente mi ha colpito aver visto coi miei occhi un tecnico che durante l’intervallo è entrato a colloquiare con la terna e ha approfittato dello stop tra i due tempi per simulare l’azione di un sollevamento in touche, prendendo addirittura ai fianchi il direttore di gara quasi a voler una risposta sulla dinamica del gesto. Stupore e mormorio in tribuna per un episodio che mi è parso incredibile.

L’interazione con l’arbitro a mio parere va

interpretata mantenendo la giusta distanza e il rispetto del ruolo, ma la situazione descritta è anche lo spunto per affrontare il tema dei calci di punizione accordati in questa fase di gioco, ossia la spinta dopo il lancio in touche. Materia spesso messa ampiamente sotto osservazione.

La posizione del saltatore che conquista la palla dopo il lancio e scende protetto dal compagno è sicuramente oggetto di discussione. L’ostruzione del sollevatore è uno di quei focus su cui si sono concentrate molte analisi, soprattutto quando una squadra decide di non saltare per contendere il pallone.

Posizionarsi con le spalle rivolte all’avversario a protezione del ball carrier, facendogli da scudo è vietato. Il sollevamento deve essere fatto senza spingersi troppo in avanti rispetto al saltatore, altrimenti sarà fuorigioco. Inoltre l’arbitro deve valutare con attenzione la corretta formazione di una maul dopo il lancio e che la stessa non sia una mischia spontanea fantasma, ossia che non ci sia nemmeno un istante in cui la testuggine non ha opposizione, perché questo determina l’infrazione di ostruzione davanti al portare di palla.

Gli allenatori fanno giustamente la loro parte preparando schemi in rimessa laterale per complicare la vita all’avversario,

talvolta difficili da interpretare per i referee che in una fase ancora definita statica, ma sempre più dinamica ormai, hanno tante cose da controllare.

La posizione standard dell’arbitro nell’ultimo lustro è quella di mettersi oltre i 15 metri, mentre una volta ci si alternava davanti, a metà o a fine schieramento dalla parte della squadra che aveva diritto al lancio. Stare a fondo touche quando la rimessa laterale è a ridosso della linea di meta può presentare qualche rischio in più, siamo in un’area rossa che richiede maggiore attenzione e complessità e, infatti, quando in una gara è presente il TMO, in queste circostanze entrano spesso in cuffia al “Ref” suggerimenti in merito alle infrazioni da sanzionare.

In prossimità della “goal line” è praticamente scomparsa la formazione ridotta, quella del due contro due, spesso efficace per poi attivare le azioni d’attacco al largo. La “rapida” e la “furba” invece resistono al tempo.

Le regole del rugby, ai molti sconosciute, evolveranno figlie delle circostanze e delle casistiche. Le sollecitudini esterne saranno sempre parte integrante del nostro sport, auguriamoci il conseguente rispetto di tutte le componenti il mondo ovale, prima, durante e dopo la partita.

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Federico Ruzza guida un drive da touche: protezione o ostruzione?

WEST END WEST END

DIO SALVI IL GALLES

Com’era verde la mia valle, com’era piena di rugby incrostato di polvere di carbone, di umiltà, di orgoglio, di canti melodiosi in una lingua antica, affascinante, fiabesca. Nostalgia di quel passato quando i richiami sul campo erano in quell’idioma celtico, utilizzato per ingannare gli avversari, i pavoni inglesi, i Neri che vennero sconfitti a Llanelli, gli australiani che lasciarono le penne dell’emù a Swansea, la mezzaluna sul mare che diede i natali a Dylan Thomas.

L’insipienza degli amministratori gallesi, re Mida alla rovescia – con un bilancio da 100 milioni, tutto quello che hanno toccato è diventato merda -, l’organizzazione delle franchigie, i contratti tagliati, un sistema di formazione latitante che per le selezioni giovanili ha reso sempre più problematica la scoperta e la crescita di talenti: il piccolo Galles, il paese del Galles come lo chiamano i francesi, la regione che ha battuto tutti i giganti e avrebbe potuto aggiungere uno scalpo mondiale nel 2011, è finito in una crisi aperta dall’Italia, quasi un anno fa, dopo lo slalom di Ange Capuozzo, un “improvviso” andato

a far saltare i punti di sutura su una ferita che già c’era, aperta. Dopo è venuta la Georgia e, dopo ancora, l’impotenza contro Irlandesi e scozzesi. Dopo gli sperperi, le accuse, così frequenti oggi, di misoginia, di sessismo, di bullismo – atteggiamenti che un tempo sarebbero stati sbrigati con delle scuse, con un invito a cena -, hanno prodotto la decapitazione del vertice, la chiamata di Nigel Walker, pratico di ostacoli, e uno stato di malessere che ha creato la minaccia dello sciopero quando si avvicinava il D-Day dello scontro con l’Inghilterra. Sarebbe stato concepibile in un tempo neppur troppo lontano quando ogni volta era in ballo l’onore? Persino il veto su Delilah fa parte di questo scenario di declino. Warren Gatland, l’illustre clinico “kiwi” chiamato al capezzale del Grande Malato del 6 Nazioni, non è uomo che si perde in chiacchiere: ha il fisico e la testa per il ruolo. Non ha parlato di provincialismo ma, scendendo ancora più in basso in fatto di faide, di divisioni, ha preferito porre l’accento sull’atteggiamento da parrocchia, da chiudere rapidamente in archivio.

Facile dirlo, sperarlo, consigliarlo. Il Galles, in realtà, non è mai riuscito a superare le macerie del muro che nel rugby è caduto nel ’95, non nell’89. Era un piccolo paese rugbisticamente felice, florido, generoso, una miniera di talenti anche dopo che i pozzi delle valli erano stati chiusi. A parte qualche eccezione, stagioni di stagnazione di franchigie che non hanno mai funzionato, formazione problematica, investimenti sbagliati. In un rugby che dai padroni senza volto ha ricevuto l’ordine di trasformarsi in affare e in spettacolo (quanto questa missione sia andata a segno, ogni dubbio è consentito…), l’unico aspetto che ancora funziona è il monumento che domina Cardiff, il vecchio Arms Park, diventato Millennium, ora Principality, dai cancelli che sono ricamo di ferro e ghisa. È il luogo di ritrovo di un popolo che sbarca dai treni, di vecchie signore travestite da asfodeli, di caproni dalle corna d’argento, di pane che piove dl cielo che il tetto sia aperto o no. In un mondo sottoposto a continue mutazioni, tutto questo non può finire, non deve finire.

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Passione per la meta

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