Ragusi

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Sfoglia qui le pagine di Allrugby con l’intervista a Simone Ragusi

Studiare da RUGBYMAN

Sempre con la valigia in mano e il sorriso in faccia, Simone Ragusi è ora in Irlanda, dove gioca, allena ma soprattutto impara. Un’immersione profonda nell’alto (ma anche basso) livello della nazione numero uno nel ranking mondiale.

di Federico Meda

“Sinceramente non mi interessava giocare per un altro club di Top 10. Dopo aver militato a Rovigo, Padova, Treviso e Calvisano, dal punto di vista tecnico e umano mi sembrava giusto fare un’esperienza diversa. E così mi sono guardato intorno”. Simone Ragusi è da oltre un decennio un apprezzato utility back il cui curriculum recita uno scudetto con il Petrarca nel 2017/2018, due finali perse con Prato (2012/13) e Rovigo (2013/2014), un anno in Galles tra Ospreys e Bridgend, due in Pro14 con il Benetton, caps con gli Emergenti e il Seven e due lunghe esperienze in azzurro (Autumn test match 2014 e Sei Nazioni 2015) purtroppo non condite dall’esordio in Nazionale. L’anno scorso ha giocato (poco, per via di un infortunio) con Calvisano e lavorato nello staff dei Centurioni, in un doppio ruolo ormai tradizionale per Simone,

avendolo ricoperto anche ai tempi di Padova, dove aveva allenato l’U18 campione d’Italia. “Dopo aver deciso di non rinnovare con i gialloneri ho ricevuto diverse offerte: Nuova Zelanda, Australia, Scozia. Nessuna però mi convinceva fino in fondo. Poi alla fine dell’estate è arrivata la proposta del Navan Rfc, storico e rinomato club appena fuori Dublino (40 minuti di macchina dalla capitale, ndr). L’offerta era interessante: allenare e giocare nell’All Ireland League, il campionato irlandese, e essere nell’orbita del Leinster, perché il branch è quello”. In Italia la formazione è centralizzata, mentre in Irlanda tecnici, programmi e metodi sono interamente regionali, ovvero legati a Leinster, Ulster, Connacht e Munster. “Poi qui il rugby si divide in “schools” e “club”, spiega Simone, “quello scolastico è di un livello incredibilmente alto, i giovani sono praticamente già professionisti a 14 anni, si allenano tutti i giorni seguiti da allenatori di reparto, di skills, preparatori, nutrizionisti, psicologi eccetera e giocano un campionato tra scuole. Per fare un confronto con l’Italia, lo staff e la struttura di Under 16 nelle scuole irlandesi sono decisamente migliori di quelle di ogni nostro club di Top 10. Chi non riesce a entrare in questo giro (spesso per questioni economiche) gioca nei club e si allena solo due o tre volte a settimana e partecipa al campionato per club”. Classi sociali separate a prima vista ma le Academy dei 4 branch garantiscono un monitoraggio dei migliori prospetti che militano nei club. Ed è

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A sinistra, Simone Ragusi nel 2018 con la maglia del Petrarca, sotto con quella del Navan Rfc dove è approdato quest’estate. A destra, bandiere del Leinster al vento, all’RDS Stadium di Dublino.
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“ Il livello tecnico è incredibilmente alto per via delle qualità di base che hanno i giocatori in Irlanda e che noi non abbiamo. Per skills intendo tutto, dal passaggio alla pulizia in ruck. Un giocatore medio irlandese è stato allenato meglio dai 14 anni in poi rispetto a quello italiano, e al contempo vive il rugby quotidiano in televisione, radio, giornali”

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proprio in questa struttura che si inserisce Simone, con un ruolo di cui va particolarmente orgoglioso: “In sede di trattativa con il Navan ho chiesto se ci fosse la possibilità di lavorare con l’Academy del Leinster, in qualsiasi veste. Perché in questo modo l’esperienza irlandese mi avrebbe aperto davvero gli orizzonti sul mio futuro di allenatore. E così è stato: ho il compito di sviluppare i migliori giocatori selezionati dal percorso dei club integrando il loro lavoro con allenamenti specifici. Il fine è far vestire a più giocatori possibile la maglia del Leinster U18 che competerà contro le altre tre regions e farà poi tour in Inghilterra prima di rimpolpare l’accademia U19 e U21. Ho un capo area, che è tutti gli effetti un mio tutor, e la sensazione, quando si visitano scuole e accademie che il livello medio dei giocatori sia insane, folle.” Simone, in Italia avevi già fatto esperienza come allenatore/giocatore, ma mai nella stessa squadra.

“Non è per nulla una passeggiata ma mi sento all’altezza della situazione perché ho superato i test iniziali e sento la loro fiducia, anche a livello di obiettivi. Sono esigenti perché sanno di poterlo essere. A volte non è facile doversi creare delle amicizie e al tempo stesso essere l’allenatore. Il campionato è l’AIL, cinque divisioni da 10 squadre ciascuno. Noi siamo nella terza, il livello è amatoriale ma molto livellato: tra prima e quinta divisione non c’è troppa differenza e c’è sempre partita. Penso sia determinato da un meccanismo di promozioni e retrocessioni molto valido: fino al quarto posto ci sono i playoff; in coda l’ultima retrocede direttamente e la penultima spareggia con la vincitrice dei playoff della lega sottostante. Quindi bastano poche partite per alterare gli equilibri. Il livello tecnico è incredibilmente alto per via delle qualità di base che hanno i giocatori in Irlanda e che noi non abbiamo. Per skills intendo tutto, dal passaggio alla pulizia in ruck. Un giocatore medio irlandese è stato allenato meglio dai 14 anni in poi rispetto a quello Italiano, e al contempo vive il rugby quotidiano in televisione, radio, giornali. Questo aiuta. Dal punto di vista fisico, invece, in Italia siamo più forti, perché passiamo più tempo in palestra, a volte anche esagerando. “

Cosa cerchi da questa avventura?

“Oltre che a una crescita personale, vorrei aggiungere un ulteriore tassello di cultura di rugby al mio bagaglio personale. Sono alla ricerca di metodi diversi di allenamento e gioco, ma non solo, mi piace osservare come si comportano i club, i manager, i direttori tecnici e sportivi delle accademie, voglio formare un’idea tutta mia di rugby. Il futuro può riservare di tutto ma l’allenatore professionista è un’opzione che prendo in considerazione. “

Qual è la cosa che ti ha stupito di più della realtà irlandese?

“Il coaching in Irlanda è a tutti gli effetti una materia studiata e applicata. Se devo fare un paragone con l’allenatore Italiano, l’irlandese è più aperto al dialogo e al

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Ryan Baird del Leinster e Peter OMahony del Munster si contendono il pallone in touche nel match di URC disputato a Thomond Park il giorno di Santo Stefano.

confronto con altri allenatori, si mette più in discussione, fa parte di community di allenatori pronti ad aggiornarsi, ha modo di poterlo fare perché è molto più frequente trovare persone competenti con cui dialogare. L’allenatore qui è un empatico esperto in materia. In Italia è ancora molto frequente trovarne che insultano giocatori, tutto questo qua non è permesso, ma anche se fosse non accadrebbe, perché ciò appartiene al passato. Purtroppo la mia opinione è che, al di sotto del Top 10, da noi ci sia una grandissima carenza di tecnici competenti, mentre qui anche nella settima ottava divisione è molto frequente trovare tecnici all’avanguardia.”

Ma riesci a dare una spiegazione a questa attuale superiorità dei verdi o è solo organizzazione e qualche risorsa in più?

“Oltre al sistema delle private rugby school e all’attività sul territorio dei club, penso che il vero X-factor del sistema (che poi del sistema non è, visto che il rugby e GAA si contendono i giocatori) sia il calcio gaelico, sport praticato da tutti i rugbisti in media fino alla fine dell’adolescenza: richiede utilizzo di mani, piede destro e sinistro, prese al volo, contatto spalla spalla e soprattutto visione di gioco. Rispetto all’Italia è facile trovare seconde o terze linee ambidestre di passaggio, abili nelle palle alte, che sanno utilizzare il piede e che sanno leggere il gioco, abilità imprescindibili nel rugby moderno per un corretto decision making in ogni fase della partita. Quando ci stupiamo dell’handling e della visione di Tadhg Furlong dobbiamo ricordarci che ha giocato fino a 19 anni a calcio gaelico…”

Fino ad adesso abbiamo parlato di te e della base, cosa ci dici della Nazionale? Tu ormai puoi vedere da vicino i protagonisti del primo posto nel ranking, favoriti per il prossimo Sei Nazioni, se non per il mondiale francese.

“Di solito prima della RWC l’Irlanda fa molto bene, inoltre avrà le partite difficili in casa e quelle “facili” fuori casa. Penso sia leggermente favorita sulla Francia (che affronterà a Dublino) per il Championship. La squadra di Farrell ha un gioco molto sofisticato, curato nei dettagli. È in grado di eseguire le strutture basilari con incredibile precisione mettendo i giocatori sempre nella condizione ideali per prendere la giusta decisione. Specialmente i giocatori dall’1 al 8 che spesso ricorrono a “no look pass” con spalle dritte per fissare la difesa e mettere in moto i trequarti. È raro vedere per tre fasi di fila 9-avanti-impatto. Quando giocano con i trequarti la palla passa comunque per gli avanti che, rispetto a una squadra media, corrono di più in modo da essere in condizione di poter eseguire la struttura al meglio. Ovvero con le spalle dritte, in direzione della meta avversaria. A me piace molto come i trequarti giocano da mischia, perché riescono a condizionare la difesa in maniera molto efficace; mentre da touche si appog-

giano spesso alla fisicità dei centri, per poi lanciare gli avanti in seconda fase e successivamente entrare nel loro sistema offensivo fatto di gioco nel senso, ottime fissazioni e raddoppi. Il segreto è che corrono diritti, così facendo fissano meglio di tutti l’avversario e danno modo a Sexton di usare raddoppi e tip pass. Chiave per questo gioco multifase dove la velocità fa da padrona è il breakdown offensivo, fase in cui l’Irlanda sta dominando.”

Come mai?

“Perché they win the race con l’avversario, arrivano prima su tutto.“

A proposito di Johnny Sexton, non è più un ragazzino (è un classe 1985), come pensi possano gestire il ricambio di un giocatore del genere.  “Loro hanno Byrne e Carbery, ottimi nella gestione del gioco e con tanta esperienza ma gli irlandesi, che sono abituati molto bene, pretendono di più. C’è Cieran Frawley appena dietro questi due. Ha avuto qualche problema fisico ma penso che l’ideale successore di Sexton potrà essere lui. Perché è l’unico con l’X-factor.”

Tadhg Furlong, considerato il miglior pilone destro del mondo.

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Chi saranno le stelle del futuro?

“Mi limito a segnalare tre giocatori dell’Academy di Leinster, perché li vedo e valuto di persona. Il tallonatore Lee Barron e l’ala/estremo Chris Cosgrave, entrambi classe 2001, che hanno già alcune presenze in prima squadra. E poi Hugh Cooney, un 2003, secondo centro che dalle movenze ricorda O’Driscoll. Questi hanno una maturità che i pari età non dimostrano ancora.”

E quella del presente, al di là dei soliti nomi come Josh Van Der Flyer, Ringrose e via discorrendo?

Dan Sheehan. Il tallonatore. In Champions Cup, a di-

cembre contro il Racing, ha lanciato 23 touche con il 100%, stabilendo il nuovo record per la competizione. Bravo nel gioco aperto, segna tanto, ordinato, è uno che potrebbe arrivare ai 100 caps.

Ha dei punti deboli questa squadra?

Sono fin troppo strutturati. E se gli avversari trovano il modo di rompergli il gioco hanno secondo me pochi giocatori capaci di inventarsi la giocata “risolviproblema”. Altre squadre, come la Scozia o la Francia ne hanno tanti di più.

Solo tre righe sui punti deboli?

L’Irlanda è prima nel ranking non per caso.

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Dan Sheehan contro la Scozia, con Jack Conan al fianco. Gli scozzesi sono Jonny Gray e Grant Gilchrist (con il caschetto rosso).

Studiare da rugbyman (Da Allrugby 176)

Fotografie:

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John Dickson, pagg. 6,7; Daniele Resini, pagg. 2a. Getty Images Harry Murphy, pag. 3; pag. 2, Piaras Ó Mídheach.

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