Duvenage

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Sfoglia qui le pagine con l’intervista a Dewaldt Duvenage

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La dolce vita

Adora i nostri formaggi e i nostri vini, a volte noleggia una Vespa per farsi

un giro con gli amici; la moglie ama Milano, lui è più appassionato di Toscana - “vino e colline mi ricordano casa” -, intanto nessuno toglie a Dewaldt Duvenage la prelazione sulla maglia numero 9 - in attesa di capire se il futuro sarà sempre biancoverde di Federico Meda

Speravamo di scoprire, con questa chiacchierata, se il 34enne mediano di mischia del Benetton potesse sciogliere i dubbi sulla sua permanenza a Treviso. Ahinoi no. La proposta è stata inoltrata e sembra contempli - successivamente - un ruolo fuori dal campo. Lui ha preso tempo perché probabilmente ha anche altre richieste e ha ancora nelle gambe “alcuni anni di rugby di alto livello” e soprattutto “17-18 di esperienza professionale” che vuole valorizzare.

In attesa di conoscere il suo destino, prendiamoci cura di quello della formazione biancoverde che contro Lions, Sharks e Stormers si giocherà le residue chance di playoff, raggiunti solo una volta, l’anno in cui il numero 9 di Bellville, Western Cape, ex Stormers e Perpignan, è arrivato nella Marca. Era la stagione 2018/19 e finalmente si vedeva il prototipo di straniero utile alla causa di una franchigia italiana: bravissimo nei passaggi, affidabile al piede ma soprattutto capace di gestire il ritmo dell’attacco in base al momento della partita.

All’epoca lo intervistammo e lui dava per scontato di essere arrivato a Treviso per alzare un trofeo. Non fu il Pro14 ma il torneo post Covid, antipasto dell’United Rugby Championship, la Rainbow Cup. “Quello è il mio personale highlight con questo club. Venivamo da una stagione piena di sconfitte, poi il Covid e poi questo rollercoaster magnifico”.

La vittoria - facile - in finale con i Bulls aveva illuso tutti che le sudafricane, ammesse all’inizio della stagione 2021/22, potessero fare più fatica del previsto con il nuovo format. Niente di più sbagliato: “All’inizio hanno fatto fatica, perché gli Springboks non erano a disposizione e poi hanno beneficiato delle assenze delle europee per finire in crescendo la stagione. Ora il calendario è più organizzato e forse l’URC più livellato. Rimane il fatto che il Sudafrica è una delle potenze più importanti del nostro sport, siamo campioni in carica e la profondità del bacino dei giocatori è pressoché infinita. Il livello della Currie Cup lo testimonia”.

Con la maglia Benetton Duvenage, alla data del 28 marzo, ha giocato 86 partite in totale. In carriera ne aveva disputate anche 93 negli Stormers e 72 nel Perpignan, tra ProD2, Top14 e Heineken Cup. Qui, come capitano di giornata, guida i compagni in campo contro i Lions.

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Un calcio nel box da una ruck, “marchio di fabbrica” di Duvenage.

Dewaldt, per tutti Dedè, ha un Law degree, una laurea in Legge, che spera di far fruttare nei prossimi anni, ma le avventure imprenditoriali in essere quando è arrivato in Italia (un’agenzia di recruiting per lavori domestici) sono state liquidate, mentre quelle in divenire (l’import export di vini…) non si sono concretizzate. È rimasto il rugby, cinque stagioni molto intense, sul lato sportivo ma anche umano: “Io vivo a Silea, una piccola realtà. Ottimo stile di vita, in cui finisci per conoscere tutti e battezzi qual è la tua pasticceria o il tuo pastaio preferito. È bello fare parte di una comunità. E quella del rugby è uguale: si gioca e ci si allena con Treviso ma poi si va nei campi delle squadre del territorio, si fanno allenamenti mirati. Ecco, penso che l’entusiasmo e la voglia di imparare degli allenatori e dei ragazzi in queste sedute siano la miglior cartina di tornasole del vostro movimento. Il tutto in un paese in cui promuovere il rugby è difficile: football is number 1”.

Viene quindi da chiedersi cosa manca a noi italiani, non solo al cospetto dei sudafricani, per fare quel tanto atteso salto di livello, magari già dimostrato in campo ma non nei risultati: “I bambini italiani sono elettrizzati dal rugby ma per continuare ad avere gente che si avvicina al nostro sport abbiamo bisogno di risultati, di squadre vincenti. Ma anche di completare il processo di crescita. Gli italiani hanno una grande dote: sapersi emozionare o giocare sulle emozioni. Se usi questa caratteristica positivamente puoi andare oltre le tue possibilità. Senza porti limiti. Ma al contrario, in negativo, troppa emotività crea problemi nel recepire il percorso che porta a essere

una winning side. Ad esempio troppa pressione su una singola partita crea poi, in caso di sconfitta, una reazione esagerata da parte del pubblico, dei media e, di conseguenza, degli stessi giocatori. Il rugby è fatto di insegnamento, esperienza, winning habits, sconfitte… tutto è importante. Venendo da una nazione di fanatici per il rugby, in cui hai una rugby community a scuola e anche fuori da scuola, mi è abbastanza chiaro cosa marchi le differenze tra i due modelli”.

Dewaldt è come un professore, è difficile mettere in dubbio le sue parole, sembrano sempre frutto di una riflessione o di un ragionamento già vagliato dal metodo scientifico: quindi, visto che condividono lo stesso ruolo, ci siamo chiesti che cosa pensi della recente decisione del suo compagno di squadra, Manfredi Albanese, di dire addio all’alto livello a fine stagione. “Gran giocatore, e con l’addio di Callum Braley all’attività internazionale si era creato spazio anche per lui. Che però vuole perseguire qualcosa di diverso e non solo dedicarsi allo sport. Lo capisco, perché mi sono laureato mentre ero già professionista e so quanto è difficile. Sembra di essere di fronte a un bivio perché fare entrambe le cose al massimo è davvero complicato. Io forse sono stato fortunato perché sono rapidamente entrato nel sistema di sviluppo professionale sudafricano. Il cui obiettivo è di aiutarti a trovare un equilibrio tra studio e carriera. Magari facendo dialogare club e ateneo, perché tutti si è “allo stesso tavolo”. Aiuta anche allenarsi nella stessa struttura in cui si studia, lasciando poi spazio al tempo libero. In questo, la scuola italiana non con -

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“È bello fare parte di una comunità. E quella del rugby è uguale: si gioca e ci si allena con Treviso ma poi si va nei campi delle squadre del territorio, si fanno allenamenti mirati. Ecco, penso che l’entusiasmo e la voglia di imparare degli allenatori e dei ragazzi in queste sedute siano la miglior cartina di tornasole del vostro movimento.”

templa, nelle ore curriculari, lo sport ad alto livello e costringe tutti a praticarlo in altre sedi e altri orari… Tornando alla scelta di Manfredi, tutti pensano che giocare a questo livello sia allenamento e partita. Dimenticando il lavoro di preparazione e revisione delle partite, il lavoro in palestra e quello extra”. Da quando è arrivato Dedè i concorrenti non sono durati più di due stagioni, è sempre riuscito a ritagliarsi molto spazio - anche in virtù dell’assenza

di impegni internazionali - passando dal regno di Kieran a quello di Bortolami senza scomporsi più di tanto. “Due personalità molto differenti ma brave a far crescere i giovani. È molto migliorato tutto in biancoverde, anche con Andrea Masi e Calum McRae, basta vedere le statistiche in difesa, i margini con le altre si sono molto assottigliati. Per quanto mi riguarda, a me piace mettere la mia esperienza a disposizione di gente come Ale Garbisi, che ha un

Un’apertura da ruck durante un derby con le Zebre. A destra, una tradizionale apertura in tuffo da mischia chiusa durante un incontro di Challenge Cup.

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ottimo potenziale, o confrontarmi con uno come Sam (Hidalgo Clyne, che ha firmato fino al 2025, ndr) e l’arrivo l’anno prossimo di Andy (Uren, da Bristol, contratto fino al 2026, ndr) creerà una buona competizione nel ruolo”.

Però ora concentriamoci sulla trasferta sudafricana, dopo i Lions a Monigo: il Benetton deve provare a vincere contro Sharks e Stormers. Impresa mai riuscita in trasferta: “È vero, l’anno scorso abbiamo perso contro Bulls e Lions ma con i primi a metà tempo eravamo messi bene (poi si è perso 46-29) e a Ellis Park è stata tirata fino alla fine (37-29). Siamo sfavoriti ma abbiamo delle carte da giocare, in primis con gli Sharks: loro hanno tanti Springboks in rosa ma noi dovremo sfruttare il fatto di giocare a Durban. Il clima è simile alla nostra estate, con un campo abbastanza veloce e scivoloso. Con gli Stormers per me sarà un derby, non sto nella pelle anche perché si giocherà al Danie Craven Stadium di Stellenbosch, un posto speciale che mi riporta alle mie sfide universitarie. Sarà una partita molto dispendiosa dal punto di vista delle energie, giochiamo contro i campioni in carica, ci sarà una folla urlante ad accoglierci. E poi i loro trequarti sappiamo bene cosa sanno fare, sono famosi per far correre la palla. Una bella sfida per noi riuscire a metterli in difficoltà”.

I numeri di Duvenage a Treviso

2018/2019

1.627 minuti (26 partite, 85% titolare) media 63’

Gli altri, nel ruolo: Gori, Tebaldi, Bronzini, 1.170 minuti in totale

2019/2020

706 minuti (12 partita, 92% titolare), media 59’

Gli altri, nel ruolo: Petrozzi, Trussardi, Tebaldi 1.086 minuti in totale

2020/2021

1.194 minuti (18 partite, tutte da titolare), media 66’ (18 partite)

Gli altri, nel ruolo: Braley, Petrozzi, Trussardi, 847’ in totale

2021/2022

895 minuti (18 partite, 78% titolare), media 50’

Gli altri, nel ruolo: Braley, Petrozzi, A. Garbisi 1.653’ in totale

2022/2023 (al 20 di marzo)

699 minuti, (12 partite, 83% titolare), media 59’

Gli altri, nel ruolo: Hidalgo Clyne, Albanese-Ginammi, Alessandro Garbisi 904’ in totale

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La dolce vita da Allrugby 179 foto Daniele Resini/Fotosportit

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