Archeo n. 348, Febbraio 2014

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che non fu calcata ma modellata ex novo (il vello originario e quello della coda sono infatti completamente diversi), gli orecchi, gli occhi e il muso (con le incongruenze nella modellazione dei denti dovute alla difficoltà di ottenere il calco in sottosquadro). Le zampe della Lupa, in particolare, dimostrano che i loro modelli di cera furono ricavati distintamente da quelli del corpo, che si trovava separato dalle zampe. E proprio le caratteristiche delle zampe guidano Formigli nell’ipotesi di precisare l’ambito cronologico nel quale porre l’esecuzione della copia. Qui entra in campo quello che a noi piú interessa dal punto di vista del metodo, e che Tiziano Mannoni chiamava «il cambio di metodo al

Duecento, da Magister Gregorius, autore di una celebre guida alle Meraviglie di Roma. Andiamo a leggerla: «Nel portico antistante il palazzo d’inverno del signor Papa c’è la statua di bronzo di quella lupa, che si dice abbia nutrito Romolo e Remo (…). Questa lupa di bronzo sta per attaccare un ariete, anch’esso di bronzo, che davanti al citato palazzo versa acqua dalla bocca per lavarsi le mani. Anche la lupa un tempo emetteva l’acqua per lavarsi le mani dalle singole mammelle, ma ora, dopo che si sono rotte le zampe, è stata rimossa dal luogo dove stava». Si sono versati non solo zampilli d’acqua ma anche fiumi di inchiostro per interpretare il testo. Quante erano le lupe bronzee a cui

bivio». È possibile passare ad altro sistema di fonti, e quindi ad altre metodologie di indagine, per rafforzare l’ipotesi costruita a partire dall’analisi tecnica e scientifica della Lupa, cioè dalla sua analisi archeologica? La risposta è sí, se questo sistema di fonti lo individuiamo addirittura là dove forse sarebbe stato utopistico e rischioso andarlo a cercare, e cioè nelle fonti scritte.

accenna Magister Gregorius, una o due? Se erano due, quale ha visto davanti al Laterano, la prima, quella rotta, o la seconda, quella nuova? Ecco allora che è proprio la nuova lettura della Lupa Capitolina come copia medievale di un originale antico, che ci aiuta a capire meglio il testo di Gregorio. Nella prima metà del XIII secolo, davanti alla sede papale, c’erano dunque due statue di bronzo: un ariete, che versava acqua dal muso, e una lupa, che lo affrontava puntandolo. Ma questa lupa non versava acqua (sarebbe questa infatti la copia medievale, la nostra Lupa Capitolina), che invece era versata un tempo dalle mammelle di una lupa che in precedenza stava

Le parole di Gregorio C’è un testo letterario che è stato ripetutamente citato per raccontare la storia medievale e poi moderna della Lupa Capitolina, e cioè la descrizione dell’area del Laterano fornita, nella prima metà del

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in quello stesso posto (sarebbe dunque quella antica, il modello) e che ora non c’è piú, perché le zampe si sono spezzate, e la statua di conseguenza è stata rimossa e messa chissà dove.

l’originale perduto Gregorio non vide questa seconda statua, di cui pur ebbe notizia, perché evidentemente era stata portata via per trarre da essa le matrici per produrre il calco della nuova. E, probabilmente, questa lupa primitiva ai suoi tempi non esisteva piú, se per la nuova fusione fu utilizzato anche il suo bronzo, come si è pur supposto per spiegare la qualità della lega della Lupa Capitolina, molto vicina a quella usata nell’antichità in ambiente etrusco-italico. Questo è quanto gli studi piú recenti ci permettono di argomentare oggi. L’archeologia antiquaria ha sempre ricavato dai testi scritti le descrizioni, le idee, i collegamenti che gli oggetti muti da soli non avrebbero permesso di trarre. In questo caso è l’analisi archeologica dell’oggetto, con i metodi tradizionali della storia dell’arte, le osservazioni tecnologiche e le diverse analisi scientifiche, che permette finalmente di leggere con maggiore chiarezza quello che Magister Gregorius aveva voluto dire quando stendeva gli appunti della sua visita alle «meraviglie» del Laterano. Che poi la Lupa originaria fosse quella che si trovava un tempo nell’antico Lupercale alle falde del Palatino, e che fosse stata trasferita al Laterano quando papa Gelasio, nel V secolo, lo fece chiudere in odio ai culti pagani, è ipotesi certamente ardita e che difficilmente troverà la sponda di una prova, ma che ci piace tenere presente per il fascino che ne promana. Didramma in argento. 297 a.C. Roma, Musei Capitolini. Al dritto, testa di Ercole; al verso, la lupa che allatta i gemelli e la scritta Romano.


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