Archeo n. 467, Gennaio 2024

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COLLEZIONE CASTELLANI

ANFITEATRO DI MILANO

QUESTA VIA È DI TUTTI I NUOVI SCAVI

APPIA ANTICA 39

ANNO MILLE

SPECIALE SINAGOGA DI OSTIA ANTICA

Mens. Anno XXXIX n. 467 gennaio 2024 € 6,50 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.

LAVAGNONE

MILANO

TESORI ETRUSCHI IN MOSTRA BRESCIA

LE PALAFITTE DI LAVAGNONE PAESI BASSI

AL TEMPO DELLA GRANDE PAURA

SPECIALE

LA SINAGOGA DI OSTIA ANTICA

UN ANFITEATRO GREEN NEL CUORE DI MILANO

www.archeo.it

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IN EDICOLA IL 9 GENNAIO 2024

2024

L’A M RI NF ILA SC IT N OP EA O ER TRO ww TO w. ar

ARCHEO 467 GENNAIO

APPIA ANTICA

€ 6,50



EDITORIALE

SULLA RETTA VIA La presentazione dello scavo condotto dall’Università di Ferrara all’altezza del civico 39 della regina viarum (vedi alle pp. 50-63) è animata da uno spirito che ci riporta a un articolo di molti decenni fa, firmato da un personaggio senza il cui impegno quello stesso scavo, oggi, non potrebbe svolgersi: Antonio Cederna (1921-1996), grande protagonista della vita culturale italiana del secolo scorso, giornalista, ambientalista, di formazione archeologo, aveva dedicato all’Appia Antica e alla campagna romana 140 interventi, prima su Il Mondo di Pannunzio, poi sul Corriere della Sera, su Repubblica e su L’Espresso. Siamo nei primi anni Cinquanta. In un articolo su Il Mondo dell’8 settembre 1953, I gangsters dell’Appia, Cederna racconta lo spettacolo sconvolgente dell’aggressione edilizia: «Abbiamo davanti a noi tutta la zona tra le vie Appia e Ardeatina da una parte e la via Cristoforo Colombo dall’altra: quello che l’anno scorso era ancora un pezzo di campagna romana, è oggi un deserto d’inferno ad altipiani e abissi, sconvolto dalle macchine scavatrici, che hanno distrutto alberi, prati e orti (...) Avanzano i predatori dell’Appia, mentre compiacenti urbanisti, politici, archeologi, architetti si prodigano a suffragare le loro pretese». Nel 1952 Cederna era riuscito a impedire alla Società Generale Immobiliare la lottizzazione della Villa dei Quintili; un altro successo lo consegue tre anni dopo, quando sventa la costruzione di uno stadio sopra le catacombe di S. Callisto, nell’area oggi interessata dagli scavi di cui riferiamo in questo numero. «Dunque avremo sulla via Appia Antica – commentava sferzante Cederna – uno stadio incastrato fra i ruderi romani, incassato tra le gallerie e le cripte delle catacombe di San Callisto, incombente sul Domine quo vadis, dove Cristo fermò la fuga di Pietro che tornò a Roma a subire il martirio». L’articolo uscí su Il Mondo il 18 ottobre 1955. Il 22 dello stesso mese un comunicato informava che Pio XII non intendeva insistere per la costruzione di uno stadio sull’Appia Antica, In alto: il giornalista Antonio Cederna (1921-1996) e una cartina che mostra l’area del Parco dell’Appia Antica.

qualora gli organi competenti preposti alla tutela del paesaggio e dei monumenti avessero deciso in senso contrario. La vittoria piú importante si profila il 16 dicembre 1965 con la pubblicazione del Piano Regolatore, che vincolava un’area di 2500 ettari destinando a parco pubblico l’Appia Antica e la campagna che la circonda. La battaglia per il parco, però, proseguirà, tra ricorsi, espropri, annulli dei medesimi e nuovi espropri. Nel 1985 la Soprintendenza Archeologica riesce ad acquisire 22 ettari intorno alla Villa dei Quintili. Nel 1988 la Regione Lazio istituisce il Parco Regionale dell’Appia Antica. Antonio Cederna muore il 27 agosto 1996 e non fa in tempo a vedere, il 9 marzo 1997, i 100 000 cittadini romani che festeggiano la prima domenica a piedi sull’Appia. Oggi il Parco è – con tutte le difficoltà che permangono – una realtà straordinaria, di cui «Archeo» ha puntualmente riferito nei decenni scorsi. «Recentemente – ci comunica il direttore del Parco Archeologico dell’Appia Antica, Simone Quilici – è stato acquisito al patrimonio dello Stato un bene di grande rilevanza, il cosiddetto Mausoleo di Sant’Urbano al IV miglio, mentre è in fase di perfezionamento l’acquisto della “Villa dei Tritoni”, una tenuta con un casale antico edificato sui resti di un impianto termale di età imperiale e un vasto giardino». La villa si trova a pochi metri dalla chiesa del Domine quo vadis e dall’ingresso alle Catacombe di S. Callisto, nonché degli scavi in corso dell’Università di Ferrara. E pensare che tutto ciò poteva essere ricoperto dalla costruzione di uno stadio… Andreas M. Steiner


SOMMARIO EDITORIALE

Sulla retta via

3

di Andreas M. Steiner

Attualità NOTIZIARIO

SCAVI L’Apollo spezzato di San Casciano ALL’OMBRA DEL VULCANO Aulo merita il vostro voto

6

INCONTRI Per il piacere del corpo e dello spirito ARCHEOFILATELIA Una passeggiata nella storia

SCAVI 28 30

di Luciano Calenda

PARCHI ARCHEOLOGICI 6

Archeologia green nel cuore di Milano

36

Quest’antichità è per tutti

50

di Elena-Maria Cautis, Jessica Clementi, Luca De Angelis, Lorenzo De Cinque, Rachele Dubbini, Francesca Romana Fiano, Luigi Lafasciano, Claudio La Rocca, Matteo Lombardi, Jessica Mongillo, Ian Regueiro Salcedo e Fabio Turchetta

di Antonella Ranaldi

8

di Alessandra Randazzo

SCAVI Una villa e il suo territorio SCOPERTE Storie (e malattie) dei primi Jesolani A TUTTO CAMPO Un elisir di lunga vita

10

50

12

SCAVI

Storie di vita in riva al lago

14

di Giancarlo Macchi Janica

www.archeo.it

I NUOVI SCAVI

Comitato Scientifico Internazionale

MILANO Mens. Anno XXXIX n. 467 gennaio 2024 € 6,50 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.

SPECIALE SINAGOGA DI OSTIA ANTICA

amministrazione@timelinepublishing.it

ANNO MILLE

Amministrazione

LAVAGNONE

Impaginazione Davide Tesei

QUESTA VIA È DI TUTTI

APPIA ANTICA 39

Lorella Cecilia (ricerca iconografica) l.cecilia@timelinepublishing.it

In copertina un tratto della via Appia Antica, poco fuori le mura, nel quale si conserva il basolato orignario di epoca romana.

Federico Curti

APPIA ANTICA

ANFITEATRO DI MILANO

Redazione Stefano Mammini s.mammini@timelinepublishing.it

€ 6,50

Presidente

COLLEZIONE CASTELLANI

Direttore responsabile Andreas M. Steiner a.m.steiner@timelinepublishing.it

IN EDICOLA IL 9 GENNAIO 2024

2024

Editore Timeline Publishing S.r.l. Via Angelo Poliziano, 76 – 00184 Roma tel. 06 86932068 – e-mail: info@timelinepublishing.it

o. it

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ARCHEO 467 GENNAIO

Anno XL, n. 467 - gennaio 2024 Registrazione al tribunale di Milano n. 255 del 07.04.1990

64

36 L’A M RIS NF ILA CO ITE NO PE ATR RT O O

18

w.a rc

di Giulio Paolucci

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ww

MUSEI L’Egitto in punta di penna MOSTRE «Nello stile degli antichi»

64

di Cristina Ferrari

Maxwell L. Anderson, Bernard Andreae, John Boardman, Mounir Bouchenaki, Wim van Es, M’Hamed Fantar, Louis Godart, Svend Hansen, Friedrich W. von Hase, Thomas R. Hester, Donald C. Johanson, Venceslas Kruta, Henry de Lumley, Javier Nieto

TESORI ETRUSCHI IN MOSTRA BRESCIA

LE PALAFITTE DI LAVAGNONE PAESI BASSI

AL TEMPO DELLA GRANDE PAURA

UN ANFITEATRO GREEN NEL CUORE DI MILANO

SPECIALE

LA SINAGOGA DI OSTIA ANTICA

arc467_Cop.indd 1

21/12/23 16:34

Comitato Scientifico Italiano

Enrico Acquaro, Carla Alfano, Ermanno A. Arslan, Andrea Augenti, Sandro Filippo Bondí, Francesco Buranelli, Carlo Casi, Francesca Ceci, Francesco D’Andria, Giuseppe M. Della Fina, Paolo Delogu, Francesca Ghedini, Piero Alfredo Gianfrotta, Pier Giovanni Guzzo, Eugenio La Rocca, Daniele Manacorda, Danilo Mazzoleni, Cristiana Morigi Govi, Lorenzo Nigro, Giulio Paolucci, Sergio Pernigotti, Sergio Ribichini, Claudio Saporetti, Giovanni Scichilone, Paolo Sommella, Romolo A. Staccioli, Giovanni Verardi, Massimo Vidale, Andrea Zifferero Hanno collaborato a questo numero: Luciano Calenda è consigliere del CIFT, Centro Italiano Filatelia Tematica. Elena-Maria Cautiș è dottoranda in «Sostenibilità Ambientale e Benessere» presso l’Università degli Studi di Ferrara. Francesca Ceci è archeologa presso la Direzione dei Musei Capitolini di Roma. Jessica Clementi è ricercatrice e docente di topografia antica presso l’Università degli Studi di Ferrara. Francesco Colotta è giornalista. Alessandro D’Alessio è direttore del Parco archeologico di Ostia antica. Luca De Angelis, archeologo professionista, è responsabile di settore dello scavo «via Appia Antica 39». Lorenzo De Cinque è responsabile dell’Ufficio Stampa del Laboratorio ECeC «Eredità Culturali e Comunità» dell’Università degli studi di Ferrara. Rachele Dubbini è professoressa associata di archeologia classica presso l’Università degli Studi di Ferrara e direttrice scientifica del progetto «Appia Antica 39». Cristina Ferrari è archeologa. Francesca Romana Fiano è ricercatrice presso l’Università degli Studi di Ferrara e vicedirettrice dello scavo «via Appia Antica 39».Luciano Frazzoni è archeologo. Valentina Iannilli, ingegnere, è responsabile della sicurezza per lo scavo «via Appia Antica 39». Luigi Lafasciano, archeologo professionista, è responsabile di settore dello scavo «via Appia Antica 39». Claudio La Rocca, archeologo professionista, è responsabile di settore dello scavo «via Appia Antica 39». Matteo Lombardi, dottorando in «Sostenibilità Ambientale e Benessere» presso l’Università degli Studi di Ferrara, è responsabile di settore dello scavo «via Appia Antica 39». Giancarlo Macchi Janica è professore associato di


MOSTRE

Falso allarme: il mondo non è finito

74

a cura di Stefano Mammini

Rubriche TERRA, ACQUA, FUOCO, VENTO

Quel piccolo mondo antico 106 di Luciano Frazzoni

L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA E trovarono il Bambino con Maria...

110

di Francesca Ceci

SPECIALE

La sinagoga di Ostia antica Archeologia, arte e memoria

110 LIBRI

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112

82

testi di Alessandro D’Alessio, Fausto Zevi e Adachiara Zevi

geografia presso l’Università degli Studi di Siena. Chiara Maria Marchetti, archeologa professionista, è responsabile degli eventi per lo scavo «via Appia Antica 39». Jessica Mongillo, antropologa fisica, è responsabile dei reperti osteologici per lo scavo «via Appia Antica 39». Olga Osipova è Social media manager per lo scavo «via Appia Antica 39». Giulio Paolucci è conservatore presso la Fondazione Luigi Rovati, Milano. Antonella Ranaldi è Soprintendente Archeologia, Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato. Alessandra Randazzo è giornalista. Ian Regueiro Salcedo, dottorando in «Sostenibilità Ambientale e Benessere» presso l’Università degli Studi di Ferrara, è Content creator per il laboratorio ECeC «Eredità Culturali e Comunità». Francesco K.B. Simi, architetto, è dottorando del «Dottorato Nazionale in Heritage Science» presso Sapienza Università di Roma. Fabio Turchetta, titolare della ditta «Archeo», è il direttore dello scavo «via Appia Antica 39». Adachiara Zevi è architetto e storica dell’arte. Fausto Zevi è archeologo e storico dell’arte. Illustrazioni e immagini: Shutterstock: copertina – Doc. red.: pp. 3, 107 – Cortesia Servizio Associato Comunicazione dell’Unione dei Comuni Valdichiana Senese: pp. 6-7 – Cortesia Parco Archeologico di Pompei: pp. 8-9 – Cortesia Ufficio Stampa Bibione Live: p. 10 – Cortesia Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo dell’Università Ca’ Foscari Venezia: pp. 12-13 – Cortesia degli autori: pp. 14-15, 110-111 – Cortesia Ufficio Relazioni con i Media del Museo Egizio, Torino: p. 16 – Cortesia Fondazione Luigi Rovati, Milano: Daniele Portanome: pp. 18 (alto), 20/21, 22/23; Stefano dal Pozzolo: pp. 18 (basso), 19, 20 (alto e basso), 23 – Cortesia Progetto PAN, Parco Amphitheatrum Naturae: pp. 36 (alto), 37, 38-47; 7emezzo.biz, Daniele Bursich: p. 36 (basso) – Cortesia Progetto «Appia Antica 39»: pp. 50, 52, 54-63; M. Lombardi: pp. 50/51, 53 – Cortesia Museo Civico Archeologico «G. Rambotti», Desenzano del Garda: pp. 64/65, 66, 67 (basso), 68-69, 70 (alto), 72 – Cortesia Ufficio Stampa Università Statale di Milano: pp. 70 (basso), 71 – Cortesia Ufficio Stampa Rijksmuseum van Oudheden, Leida: pp. 74-81 – Alamy Stock Photo: pp. 82/83 – da: La sinagoga di Ostia antica, Parco archeologico di Ostia antica-Associazione Arte in Memoria, 2023: pp. 84-85, 86 (basso), 88-101 – Chris Schwarz: pp. 102/103, 104 – Werner J. Hannappel: pp. 104/105 – The Metropolitan Museum of Art, New York: pp. 106, 108 (alto) – Paris Musées/Petit Palais, Musée des Beaux-Arts de la Ville de Paris: p. 108 (basso) – Cippigraphix: cartine rielaborazioni grafiche alle pp. 67, 86/87, 87.

Pubblicità e marketing Rita Cusani e-mail: cusanimedia@gmail.com – tel. 335 8437534 Distribuzione in Italia Press-Di - Distribuzione, Stampa e Multimedia srl Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Stampa Roto3 Industria Grafica srl via Turbigo 11/B - 20022 Castano Primo (MI) Servizio Abbonamenti È possibile richiedere informazioni e sottoscrivere un abbonamento tramite sito web: www.abbonamenti.it/archeo; e-mail: abbonamenti@directchannel.it; telefono: 02 49572016 [lun-ven, 9-18; costo della chiamata in base al proprio piano tariffario]; oppure tramite posta scrivendo a: Direct Channel SpA Casella Postale 97 – Via Dalmazia, 13 – 25126 Brescia (BS) L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’anno. Arretrati Il Servizio Arretrati è a cura di: Press-Di - Distribuzione, Stampa e Multimedia Srl - 20090 Segrate (MI) I clienti privati possono richiedere copie degli arretrati tramite e-mail agli indirizzi: collez@mondadori.it e arretrati@mondadori.it Per le edicole e i distributori è inoltre disponibile il sito: https://arretrati. pressdi.it

Riguardo alle illustrazioni, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso che questi siano stati irreperibili, si resta comunque a disposizione per regolare eventuali spettanze.

L’indice di «Archeo» 1985-2023 è disponibile sul sito https://ulissenet.comperio.it/ Registrandosi sulla home page si ottengono le credenziali per la consultazione di prova


n otiz iari o SCAVI Toscana

L’APOLLO SPEZZATO DI SAN CASCIANO

S

i è conclusa nelle scorse settimane la campagna di scavo 2023 al Bagno Grande di San Casciano dei Bagni, durata oltre tre mesi. Le indagini, che nel 2022 avevano portato alla luce il deposito votivo con oltre venti statue in bronzo e centinaia di offerte (vedi «Archeo» n. 460, giugno 2023; on line su issuu. com), hanno riservato nuove ed eccezionali scoperte. Sotto il tempio con la vasca sacra di età romana, è stata individuata una struttura etrusca, con un orientamento leggermente diverso. L’acqua termale che sgorga nel cuore del tempio, con oltre 25 litri di portata al secondo, si conferma sempre piú il motore rituale e cultuale del santuario. Moltissime offerte in bronzo, ceramica e perfino in cristallo di rocca, accompagnarono le fasi di cantiere tra lo smontaggio del tempio di età etrusca e la monumentalizzazione imperiale del «nuovo» sacello. Se nel 2022 erano emerse sulle statue in bronzo iscrizioni che documentavano la devozione e le cure presso il santuario termale di genti provenienti dal mondo

6 archeo

La statua raffigurante un Apollo Sauroctonos (uccisore di lucertola) rinvenuta, in pezzi (uno dei quali, ancora in situ, è visibile nella foto alla pagina accanto, a sinistra), nell’ultima campagna di scavo al Bagno Grande di San Casciano dei Bagni. In basso, a sinistra: il donario (altare) in travertino con iscrizione bilingue, in etrusco e in latino. In basso, a destra: il cantiere di scavo del Bagno Grande.


In alto, a destra: le cavità ricavate sui blocchi del bordo della vasca. A destra: bronzetto raffigurante un offerente. Epoca etrusca. etrusco e da Roma, la campagna del 2023 ha portato alla luce un eccezionale donario (un altare) in travertino con iscrizione bilingue etrusco-latino. Si tratta di uno dei rarissimi esempi di iscrizione bilingui mai rinvenute, oggetto ora degli studi di Adriano Maggiani e di Gian Luca Gregori. Sono circa una trentina in Etruria i testi bilingui, ma si tratta per lo piú di iscrizioni funerarie. In questo caso il donario monumentale ha un carattere pubblico e cita la fonte sacra e calda in etrusco e in latino. È un documento straordinario, che conferma la convivenza di genti diverse presso il santuario ancora agli inizi del I secolo d.C., con l’esigenza della divinità di essere da tutti compresa.

Ma la sorpresa è anche stata dischiusa dalla prosecuzione dello scavo all’interno del tempio, dove sul bordo della vasca sacra sono emerse le parti spezzate di una meravigliosa statua in marmo, quasi integralmente ricomponibile, di un Apollo Sauroctonos (Apollo con la lucertola). La statua fu spezzata al momento della chiusura del santuario agli inizi del V secolo d.C. Questo è il tempo, infatti, in cui tutto il luogo di culto fu chiuso ritualmente, probabilmente per effetto della cristianizzazione diffusa del territorio. Mentre il deposito votivo fu protetto con la deposizione delle grandi colonne di travertino che ornavano il portico del tempio, la statua di culto di Apollo fu spezzata, frammentata e i

pezzi quasi sparpagliati e poi coperti dalle massicciate di abbandono del sito. In parallelo con quanto sappiamo e osserviamo ancora oggi, questa sorta di «contestazione della statua» coincide con un momento di profonda trasformazione e di grandi interrogativi politici e sociali. Sono moltissimi gli esempi di culti di Apollo legati alle acque termali già da epoca arcaica. Apollo appare a San Casciano dei Bagni certamente a partire dal 100 a.C. se pensiamo alla statua in bronzo danzante e con arco deposta nella vasca piú antica. Il nome della divinità ricorre su almeno due altari in travertino provenienti proprio dal Bagno Grande e datati in età imperiale. Dunque la statua in marmo aggiunge un tassello della presenza del dio ma in un santuario che almeno dal II secolo a.C. al III secolo d.C. è incentrato sul ruolo di Apollo. Un Apollo imberbe, giovane, con le lucertole, dove i temi della cura oftalmica e della protezione delle fasi piú giovani della vita si legano indissolubilmente. Massimiliano Papini è già a lavoro sullo studio della statua di Apollo e speriamo presto di poter raccontarne pienamente la storia. Lo scavo ha raggiunto cosí un’estensione di circa 400 mq, raggiungendo una profondità dal piano di campagna in alcuni punti di oltre 4 m. (red.)

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ALL’OMBRA DEL VULCANO di Alessandra Randazzo

AULO MERITA IL VOSTRO VOTO LE FONTI TRAMANDANO QUANTO FOSSE DIFFICILE ESSERE ELETTI A POMPEI: LE CAMPAGNE ELETTORALI RICHIEDEVANO AI CANDIDATI UN NOTEVOLE IMPEGNO E UNA PROPAGANDA CAPILLARE, COME PROVANO LE ISCRIZIONI RINVENUTE NEGLI AMBIENTI DI UNA DOMUS DELLA REGIO IX

R

ecenti scavi condotti nella Regio IX di Pompei hanno interessato la Casa IX, 10,1, già parzialmente indagata nei primi anni dell’Ottocento, quando si misero in luce gli ambienti prospicienti via di Nola e occupa l’area nord-occidentale dell’insula. L’impianto architettonico ripropone la sequenza canonica fauces-atriotablino impostati sulla stessa direttrice prospettica. La presenza costante di travertino di Sarno, associato alla tecnica muraria

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denominata «a telaio», unitamente all’omogeneità del materiale edilizio utilizzato, suggerisce che l’impianto piú antico della struttura sia da collocare tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C. In uno degli ambienti della domus sono venute alla luce iscrizioni che invitavano a votare per Aulo Rustio Vero, candidato alle elezioni cittadine. Su una parete si legge infatti: A.R.V. AED. / D.R.P. OVF, ovvero A(ulum) R(ustium) V(erum) aed(ilem), d(ignum) r(ei) p(ublicae),

o(ro) v(os) f(aciatis), traducibile in «Vi prego di eleggere «Aulo Rustio Vero edile, degno dello Stato». L’abbreviazione OVF (Oro Vos Faciatis, « vi prego di farlo, di votarlo») è un’esortazione rivolta a chi leggeva la scritta, cosí come il DRP («dignum rei publicae») sottolineava una virtú imprescindibile per un candidato.

LE INIZIALI SULLA MACINA Particolare, ma non rara, è anche l’iscrizione, o meglio la sigla formata dalle iniziali A.R.V., incisa sul catillus (l’elemento della macina a forma di doppio tronco di cono) del panificio limitrofo all’ambiente e dipinta con la stessa porpora dei programmata elettorali. Benché sigle (di appartenenza) siano frequenti e incise sui catilli delle macine di Pompei, a oggi si conosce un solo caso di iniziali dipinte (ma non incise): quelle di C. Giulio Polibio sul catillo della macina della Casa dei Casti Amanti. Aulo Rustio Vero era un notabile del quale si aveva già notizia attraverso altre iscrizioni elettorali e conosciuto per la sua carriera politica. All’interno della città si leggono programmata elettorali che lo supportano come candidato edile e come duumviro, grado massimo del cursus honorum.


Qui sopra: una bottiglia del Púmpaiia, l’olio EVO ottenuto dalle olive raccolte nel Parco di Pompei, che ha ottenuto la certificazione IGP Campania.

Il larario con serpenti agatodemoni venuto alla luce nell’ambiente 12 della Casa IX, 10, 1 della Regio IX. Nella pagina accanto: l’iscrizione elettorale a sostegno di Aulo Rustio Vero dipinta su una parete della stessa domus. La sua candidatura doveva riscuotere un certo consenso, se a supportarlo fu personalmente T. Claudio Vero, forse discendente di liberti imperiali e duoviro per l’anno 61/62 d.C., e probabilmente riuscí anche ad avere l’appoggio del collega C. Giulio Polibio, con il quale fu duoviro nel 73 d.C. La notorietà in società era fondamentale e da una battuta di Cicerone a Macrobio (Saturnali, II,3,11) sappiamo anche che non doveva essere facile farsi eleggere a Pompei. I contatti erano quindi fondamentali e non deve sorprendere che un’iscrizione elettorale si trovi in un ambiente

commerciale come il panificio della Regio IX, 10, 1, in quanto, allora come oggi, il sostegno elettorale passava anche dall’appoggio delle attività commerciali e delle corporazioni a cui i candidati facevano riferimento.

GLI DÈI DELLA CASA All’interno di un altro ambiente della casa, il 12, è emerso un larario con serpenti agatodemoni (dal greco agathodaimon o agathos daimon, letteralmente traducibile con «demone buono») in stucco, nonché elementi archeobotanici riconducibili a una probabile offerta votiva. L’offerta e i resti organici

carbonizzati sono costituiti da fichi e datteri e numerosi sono i resti frammentati di noccioli di oliva, pigna e pinoli. Il rito è stato infine sigillato con un uovo, posto per intero sull’altare in muratura, coperto poi con una tegola. Nelle abitazioni pompeiane è ricca la presenza di spazi cultuali, distribuiti nei vari ambienti. Anche la casa, infatti, aveva i suoi dèi che la proteggevano e vi dimoravano. Per notizie e aggiornamenti su Pompei: pompeiisites.org; Facebook: Pompeii-Parco Archeologico; Instagram: PompeiiParco Archeologico; X: Pompeii Sites; YouTube: Pompeii Sites.

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n otiz iario

SCAVI Veneto

UNA VILLA E IL SUO TERRITORIO

N

el 2022 ha preso avvio un progetto di ricerca incentrato sullo scavo della villa romana di Mutteron dei Frati, situata all’interno della Valgrande (Bibione, Venezia), e sullo studio della fascia costiera in cui la residenza si inseriva, compresa tra il canale Nicesolo (dove scorreva il Tagliamento in età romana) e l’attuale corso del Tagliamento (Comuni di Caorle e di San Michele al Tagliamento). Dopo la fortunata campagna di scavo nel sito della villa, condotta nel marzo 2023, che ha dato l’opportunità di accedere alla Valgrande e visitare i resti che stanno emergendo, nello scorso novembre hanno avuto inizio le ricerche sul territorio, che prevedono ricognizioni sistematiche di superficie, carotaggi e indagini geofisiche, mirate a raccogliere dati utili a ricostruire il paesaggio antico e come il territorio fosse popolato e sfruttato. L’area in questione è stata già oggetto, in passato, di vari studi. Spargimenti di materiali di età romana sono noti nel comune di San Michele al Tagliamento (presso Bevazzana), altri nel comune di Caorle, lungo il ramo principale del Tagliamento di età romana e presso la sua probabile foce; nel territorio sono conosciuti anche rinvenimenti di età tardo medievale. Allo stato attuale rimangono comunque ancora incerte la posizione dei porti antichi alle foci del Tagliamento e le modalità insediative della fascia costiera. Le ricerche di superficie sono condotte quando i campi sono sgombri da colture e arati/ fresati, sfruttando la sistemazione idraulico-agraria esistente (il periodo ideale sono quindi i mesi autunnali e invernali).

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La visita del cantiere di scavo della villa romana di Mutteron dei Frati organizzata dall’équipe di ricerca in occasione di un Open day.

Tali ricerche prevedono che gli operatori camminino sui terreni per linee parallele, distanti da 5 a 10 m, al fine di individuare l’eventuale presenza di materiale archeologico; qualora si individuino concentrazioni di reperti, viene condotta una ricognizione piú intensiva per documentare la distribuzione degli stessi e si procede alla raccolta dei materiali piú significativi. In casi eccezionali possono essere condotte ricerche geofisiche, che consentono di indagare il sottosuolo senza scavare, e carotaggi, per ricostruire le caratteristiche geomorfologiche e ambientali. Tutti i proprietari dei terreni hanno ricevuto una comunicazione personale che illustra gli obiettivi del progetto e le metodologie adottate, poiché è molto importante stabilire un dialogo per pianificare nel modo migliore le attività da svolgere, nella massima collaborazione, e ricostruire insieme la storia di questo straordinario territorio anfibio, da sempre strategico per la vita e l’economia delle comunità.

Qui sopra, a sinistra e a destra: due momenti delle attività condotte nel quadro delle ricognizioni di superficie. Il progetto di ricerca, di durata triennale, è condotto dalle Università di Regensburg (Germania; Dirk Steuernagel; Alice Vacilotto) e Padova (Maria Stella Busana), in accordo con la Soprintendenza competente (Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Venezia e per Province di Belluno, Padova e Treviso), ed è finanziato da un importante ente tedesco (DFGDeutsche Forschungsgemeinschaft), oltre che dall’ateneo di Padova, con il generoso supporto della proprietà di Valgrande e dell’affittuario. Per informazioni sul progetto, si pssono visitare le pagine Facebook e Instagram: «Bibione Antica: Discovering the past». (red.)



n otiz iario

SCOPERTE Veneto

STORIE (E MALATTIE) DEI PRIMI JESOLANI

S

i è svolta nello scorso autunno la campagna di scavo archeologico del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari Venezia a Jesolo, nell’area del monastero di S. Mauro (in prossimità del complesso monumentale delle «Antiche Mura»). Le attuali indagini, avviate nel 2018, su quella che doveva essere una sorta di barena emergente da un paesaggio lagunare alle foci del Piave Vecchia, hanno rivelato una sequenza insediativa che dal VI secolo arriva fino al XIII-XIV. Da un paio di anni le ricerche sono state indirizzate principalmente all’esplorazione delle fasi cimiteriali collegate a un complesso ecclesiastico, di cui sono state poste in luce due principali fasi edilizie: la prima, altomedievale, è costituita da una chiesa absidata a una sola navata provvista di portico; la seconda, databile al pieno Medioevo, documenta un ampliamento a tre navate scandite da pilastri. Nel corso dell’ultima campagna di scavo, si è valutata l’opportunità di ampliare ulteriormente l’indagine nell’area cimiteriale per acquisire un campione significativo per lo studio del profilo biologico di una comunità della laguna di Venezia nel lungo periodo. Oltre al profilo strettamente biologico (età, sesso, cause della morte, malattie), l’analisi delle 136 tombe rinvenute (per un totale di circa 170 individui) permetterà di definire aspetti della socialità di questi individui, evidenzandone comportamenti alimentari (cosa mangiavano) e relazionali, facendo emergere per la prima volta i tratti caratterizzanti una comunità lagunare. Durante gli scavi è stato inoltre rinvenuto uno scheletro molto particolare, afflitto da una grave e rara patologia,

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l’osteocondrite. Si tratta del caso piú grave di osteocondromi multipli mai registrato nella documentazione paleopatologica internazionale. Lo scheletro in esame è il primo caso proveniente da un contesto italiano. Le indagini del 2023 hanno inoltre fornito nuovi dati sull’insediamento sviluppatosi nell’isolotto di San Mauro all’inizio dell’Alto Medioevo, prima della realizzazione degli edifici religiosi: edifici in legno con focolari a terra che sembrano aver subito interventi di risistemazione e riorganizzazione interna nel breve periodo di utilizzo. «Attendiamo sempre con grande trepidazione e curiosità questo momento in cui il professor Gelichi ci racconta e ci accompagna a vedere l’esito della campagna annuale di scavi presso il sito delle Antiche Mura – hanno dichiarato il sindaco della Città di Jesolo Sulle due pagine: immagini delle attività sul campo e di laboratorio condotte nell’ambito delle ricerche sull’area cimiteriale prossima a un complesso ecclesiastico nel sito delle «Antiche Mura», a Jesolo.

Christofer De Zotti e l’assessore alla cultura Debora Gonella – e ogni anno scopriamo qualcosa di nuovo sulla storia della nostra città, dei suoi primi abitanti, e quindi in qualche misura anche su noi tutti». «Anche con lo scavo di quest’anno – ha sottolineato Sauro Gelichi – prosegue la nostra ricerca sull’area cimiteriale collegata alla chiesa di S. Mauro. Si tratta di un lavoro certosino, che presuppone un notevole impegno di risorse sul campo e in laboratorio. Ma solo attraverso questo tipo di indagini si riesce a far crescere in qualità la ricerca scientifica, anche in campo archeologico. Le scoperte sensazionali non mancano (come il primo caso di osteocondrite), ma l’eccezionalità dell’esempio jesolano si qualifica anche per l’interdisciplinarietà dell’approccio e l’interazione con i piú avanzati strumenti nella diagnostica


archeologica. Per parte nostra riteniamo che le nuove narrazioni che l’archeologia sta facendo emergere dal sottosuolo dell’antica Equilo, dovranno trovare opportuna destinazione in un progetto di condivisione pubblica. Il nostro impegno è quello di ricambiare la Comunità di Jesolo e la sua Amministrazione, che hanno sempre creduto e supportato questo progetto, attraverso la qualità del nostro lavoro e l’impegno a collaborare alla sua divulgazione». «Le indagini condotte dagli enti di ricerca grazie alla concessione di scavo prevista dalla normativa sul Patrimonio Archeologico – ha aggiunto Fabrizio Magani, Soprintendente per il comune di Venezia e della sua Laguna – rappresentano sempre un

importante momento di approfondimento per conoscere il territorio. I risultati ottenuti da questi scavi permettono inoltre di comprendere meglio le dinamiche storico-archeologiche che hanno interessato un determinato ambiente e, conseguentemente, di utilizzare al meglio gli strumenti di tutela propri del nostro Ufficio». La ricerca si svolge grazie all’appoggio e al supporto economico dell’Amministrazione Comunale di Jesolo e al finanziamento Fondo Scavi di Ca’ Foscari. Esso si avvale inoltre di un nutrito numero di collaborazioni scientifiche: il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova per le indagini geomorfologiche (Paolo Mozzi, Sandra Primon) e il Dipartimento di beni culturali sempre

dell’Università di Padova (Michele Secco) per lo studio delle malte, con l’Università di Umea (Johan Linderholm) e l’Università di Pisa (Claudia Sciuto) per le analisi micromorfologiche, con l’Università di Siena (Stefano Campana) per la geognostica, con il Laboratorio di Antropologia Fisica dell’Università del Salento (Serena Viva) per lo studio dei reperti osteologici, e con il Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, Università Ca’ Foscari Venezia (Carlo Barbante, Dario Battistel e Clara Turetta) per lo studio della dieta alimentare. Le indagini biometriche si sono avvalse, inoltre, della preziosa collaborazione di Polimedica srl e Poliambulatorio Caorlese srl per la realizzazione di indagini diagnostiche su traumi a carico dell’apparato scheletrico del campione umano equilense. La ricerca, in concessione ministeriale, è diretta da Sauro Gelichi, professore ordinario del Dipartimento di Studi Umanistici, con la collaborazione sul campo di Silvia Cadamuro e di Roberto Rizzo e Mirko Furlanetto e, per la parte di studio antropologico, da Serena Viva e Norma Lonoce. (red.)

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A TUTTO CAMPO Giancarlo Macchi Janica

UN ELISIR DI LUNGA VITA GIUNTA IN EUROPA ALL’INDOMANI DELLA CONQUISTA SPAGNOLA DELL’AMERICA, LA PATATA FU, INIZIALMENTE, ACCOLTA SENZA PARTICOLARI ENTUSIASMI E, ANZI, GUARDATA CON DIFFIDENZA E SOSPETTO. FINO A QUANDO NON NE FURONO SCOPERTE LE PREZIOSE PROPRIETÀ NUTRITIVE ED EBBE INIZIO UN «RISCATTO» TRAVOLGENTE, CHE HA FATTO DEL TUBERO IL QUARTO ALIMENTO PIÚ COLTIVATO AL MONDO

F

rancisco Pizarro (1475-1541) arrivò a Cajamarca, una città nel cuore dell’impero inca, il 16 novembre del 1532. Secondo la narrazione di Pedro Cieza de León (1520-1554), autore de La Crónica

del Perú, lí incontrò Atahualpa, protetto da 80 000 guerrieri. Il generale spagnolo gli propose di convertirsi e sottomettersi al re di Spagna, ma l’imperatore rifiutò con disprezzo. Pizarro fu costretto

a confrontarsi con meno di 200 soldati, ma, grazie alle armi da fuoco e ai cavalli, i suoi uomini fecero strage degli Inca e catturarono a tradimento Atahualpa, che fu poi giustiziato.

La cattura di Atahualpa, olio su tela di Juan Lepiani. 1920-1927. Lima, Museo de Arte.

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Gli Inca coltivavano oltre 4000 tipi di patata e, in Perú, questa straordinaria diversità è un ricordo vivente del loro ingegno agricolo. Nella pagina accanto: La cattura di Atahualpa, olio su tela di Juan Lepiani. 1920-1927. Lima, Museo de Arte. Durante questa complessa fase della conquista, gli Europei scoprirono la patata, pianta destinata a trasformare il mondo. La Nueva Corónica y Buen Gobierno di don Felipe Guamán Poma de Ayala (1534-1615) contiene varie citazioni del tubero e indicazioni su come esso avesse un ruolo centrale nella cultura e nell’alimentazione degli Inca. La patata fu quindi portata in Europa da Pizarro nel 1524, anche se la prima pianta di papa (come la chiamavano gli Spagnoli) arrivò in Spagna nel 1553 grazie a Gonzalo Hernández de Oviedo y Valdés (1476-1557).

NUTRIENTE E VERSATILE Nella cultura inca era effettivamente un alimento fondamentale e veniva impiegata in vari modi. La domesticazione del tubero ebbe luogo in Sud America, probabilmente in Perú, circa 8000 anni fa. Le piú antiche tracce di coltivazione, risalenti al 2500 a.C., sono state documentate nel sito archeologico di Tres Ventanas, nella valle del fiume Urubamba. La patata si rivelò in

grado di resistere bene alle malattie e alle intemperie: gli Inca l’avevano selezionata dalla specie selvatica, mettendo a punto una pianta straordinaria, composta da oltre 3000 varietà. Era fonte di carboidrati, vitamine e minerali, che contribuivano a nutrire in modo efficace la popolazione. Gli Inca ne ricavavano anche una sorta di farina, chiamata chuno – che poteva essere conservata per anni e impiegata nella preparazione di zuppe, torte e altri alimenti –, nonché bevande fermentate, come la chicha.

UN CLAMOROSO ERRORE DI VALUTAZIONE Dopo essere stata introdotta in Europa, la patata attese molto tempo prima di essere inserita nell’alimentazione corrente: era anzi considerata una pianta tossica, antiestetica e addirittura capace di trasmettere la lebbra. La sua diffusione fu quindi piuttosto lenta: all’inizio fu adoperata come foraggio e solo in un secondo momento venne utilizzata come alimento, limitato tuttavia agli strati piú bassi della popolazione e ai reclusi. La specie ebbe successo soltanto nel XVIII secolo, per merito di studiosi che ne promossero le qualità agronomiche e nutrizionali. In Italia la patata era arrivata molto prima, tra il 1590 e il 1600, a opera dei Carmelitani scalzi; in Inghilterra, invece, giunse nel 1589 grazie a sir Walter Raleigh (1552-1554 circa-1618), che iniziò a coltivarla in Irlanda. Il piú importante promotore del tubero come alimento è stato comunque Antoine-Augustin Parmentier (1737-1813), farmacista e agronomo francese che, dopo essere stato imprigionato dai Prussiani durante la Guerra dei Sette anni, iniziò a promuoverne la

coltivazione nel 1771. Durante la detenzione, Parmentier era stato infatti costretto a mangiare quasi esclusivamente patate, ma la circostanza gli forní l’occasione per sperimentarne il potenziale. È infine significativo ricordare che la patata giunse in Nord America insieme ai coloni inglesi, che la portarono dalla Gran Bretagna e dall’Irlanda. Nella seconda metà del XVII secolo gli Olandesi la importarono a Giava e in Giappone; nel 1776 arrivò in Africa, precisamente nella Guinea meridionale; sempre nel XVIII secolo fu introdotta dagli Inglesi in Australia e Nuova Zelanda. Il tubero si adattò con relativa facilità ai diversi climi e terreni, diventando una delle principali fonti di cibo per molte popolazioni. Oggi, risulta essere il quarto alimento piú coltivato al mondo, dopo il mais, il riso e il frumento. Nel 2019 sono state prodotte 368 milioni di tonnellate di patate, a fronte di 19 milioni di ettari coltivati. La patata giocò un ruolo determinante nella storia demografica dei Paesi del Nord Europa (come l’Irlanda, la Scozia, la Germania e i Paesi Bassi) e successivamente, anche nella colonizzazione del Nord America. Essendo una coltura molto produttiva, nutritiva e adattabile, capace di resistere a condizioni climatiche molto avverse, poteva sfamare in modo adeguato una popolazione in crescita. Essa contribuí a un miglioramento della dieta e della salute degli abitanti dei Paesi nordici e, di fatto, all’aumento della fertilità e delle aspettative di vita. Una storia lunga e importante, quindi, che dimostra come una pianta possa modificare profondamente le abitudini alimentari e migliorare le condizioni di sussistenza di intere popolazioni. (giancarlo.macchi@unisi.it)

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MUSEI Torino

L’EGITTO IN PUNTA DI PENNA

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opo lavori di restauro e consolidamento, il terzo piano del Museo Egizio di Torino è stato riaperto al pubblico ed è divenuto parte integrante del percorso espositivo, con un focus particolare sui geroglifici e le scritture egizie. Già destinati a mostre temporanee, questi spazi si sono dunque trasformati in Galleria della Scrittura, nella quale sono esposti poco meno di 250 reperti in 600 mq, quasi un museo nel museo. La nuova Galleria propone un viaggio in 10 sezioni all’origine dei geroglifici e delle scritture dell’antico Egitto, frutto del lavoro di tre curatori dell’Egizio: Paolo Marini, Federico Poole e Susanne Toepfer, quest’ultima responsabile della Papiroteca del Museo, che ospita una delle piú significative collezioni di papiri al mondo. «Il pensiero egizio – ha dichiarato Christian Greco, direttore della raccolta torinese – oscillava continuamente fra una razionalità astratta e un empirismo naturale. Forse nulla come il geroglifico dà ragione di questa tensione, che vogliamo far scoprire al visitatore. Rivestendo contemporaneamente il ruolo di grafema e simbolo, il geroglifico ci restituisce un doppio significato fonologico e iconografico e si trova quindi ad assumere due funzioni distinte: quella linguistica e quella

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semiotica. Testo e immagine sono reciprocamente complementari e ci permettono di avvicinarci alla comprensione di quattromila anni di storia dell’Antico Egitto. Come e perché si è sviluppata la scrittura, che ruolo ha avuto nella formazione dello Stato in tutte le sue articolazioni, come ha favorito il discorso religioso e la complessa cosmografia funeraria? Sono alcuni degli interrogativi a cui cerchiamo di dare risposta, con rigore scientifico, e allo stesso tempo cercando di interessare e appassionare visitatori di tutte le età con approfondimenti multimediali». Fin dagli esordi, i testi egizi ebbero una forte componente figurativa e la scrittura, a cavallo tra tecnica e arte, è giunta a noi anche incisa su blocchi di pietra o statue, assumendo connotati monumentali e celebrativi. Da sistema per etichettare le merci e amministrare il paese a strumento sacro e magico, che tramanda formule, rituali e legittima il potere regale: la scrittura nei millenni si evolve e i testi, ma soprattutto gli scribi, diventano custodi della memoria e dell’evoluzione della società. Nella Galleria della Scrittura sono stati collocati pezzi di rilevanza mondiale della Collezione del Museo. È il caso del Papiro dei Re, l’unica lista reale d’epoca faraonica scritta a mano su papiro

Il Papiro del Gioco, da Tebe/Deir el-Medina. Nuovo Regno, XX dinastia (1190-1077 a.C.). In basso: frammento di papiro con figure di animali, da Tebe/Deir el-Medina. Nuovo Regno, XX dinastia (1190-1077 a.C.). che sia giunta fino a noi, o del Papiro della Congiura, un testo quasi di cronaca giudiziaria, che ricostruisce l’attentato a Ramesse III, un papiro di oltre 5 m di lunghezza che torna in esposizione all’Egizio dopo otto anni. E proprio ai papiri e alle diverse valenze è dedicata una delle sezioni piú ricche della Galleria, che ospita circa 32 papiri, con testi letterari, lettere che aprono squarci su spunti biografici e quotidiani di alcuni scribi, ma anche testi magici, come il Papiro del Gioco e altri invece sacri e funerari. In apertura grandi monitor interattivi, uno anche ad altezza bambino, accolgono il visitatore che può scrivere il proprio nome o ciò che desidera in geroglifico, un piccolo divertissement che introduce al percorso espositivo vero e proprio. (red.)

DOVE E QUANDO Museo Egizio Torino, via Accademia delle Scienze 6 Orario lunedí, 9,00-14,00; martedí-domenica, 9,00-18,30 Info tel. 011 4406903; e-mail: info@museitorino.it; www.museoegizio.it



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MOSTRE Milano

«NELLO STILE DEGLI ANTICHI»

È

stata inaugurata a Milano, negli spazi del Museo d’Arte della Fondazione Luigi Rovati, la mostra «Tesori etruschi. La collezione Castellani tra storia e moda». Organizzata in collaborazione con il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia di Roma e curata da Giuseppe Sassatelli, Valentino Nizzo e da chi scrive, l’esposizione, visitabile fino al 3 marzo, approfondisce la storia della famiglia Castellani, molto attiva nel XIX secolo per le sue collezioni di antichità, per il vasto mercato di reperti archeologici e anche per la produzione di oreficerie su modelli antichi. La storia delle raccolte ebbe inizio a seguito del passaggio all’imperatore Napoleone III della celebre e ricchissima collezione Campana, che proprio i Castellani

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furono incaricati di esaminare insieme all’archeologo tedesco Heinrich von Brunn, condirettore dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica di Roma, prima del

In alto: una vetrina della mostra «Tesori etruschi», allestita a Milano, presso la Fondazione Rovati. In basso: kylix attribuita al Pittore di Phrynos. Già Collezione Castellani.


In alto: doluptu sanduntium eossint quaesto dolorest, ut exereca taspisci. A sinistra: dida finta doluptu sanduntium eossint quaesto dolorest, Parthenos doluptu sanduntium eossint quaesto dolorest, ut exereca.

trasferimento a Parigi. L’attività creativa di oreficerie su modelli antichi aveva avuto inizio fin dal 1826, grazie a Fortunato Pio Castellani, che era riuscito a mettere a punto un processo chimico capace di riprodurre il tipico colore chiaro dell’oro dei monili etruschi. L’impresa proseguí con i figli Augusto e Alessandro, impegnati in sedi molto prestigiose e, se Augusto rimase nell’ambito italiano, Alessandro presentò la produzione orafa a Parigi, Londra e poi oltreoceano, a Filadelfia, riscuotendo un grandissimo successo e favorendo

un nuovo genere di oreficeria «nello stile degli antichi». Un genere che presto divenne una moda per una vasta committenza internazionale, profondamente suggestionata dal suo valore evocativo e dalla sua raffinatezza. La mostra appena inaugurata raccoglie gioielli etruschi insieme a fedeli riproduzioni ottocentesche, ceramiche attiche, etrusche e bronzi: un corpus di oltre ottanta capolavori, scelti dalla collezione Castellani del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, si affianca alla collezione permanente del Museo d’arte della Fondazione

A sinistra: anfora attica a figure rosse decorata con una gara di giavellotto, attribuita al Pittore di Berlino. A destra: anfora etrusca con l’immagine di un tritone, da Cerveteri. Rovati. La contiguità crea un unicum di contaminazioni tra antico e contemporaneo, seguendo la consuetudine espositiva dell’istituzione milanese. L’attività dei Castellani si svolge in un periodo di importanti scoperte nelle necropoli etrusche e la collezione che viene riunita raccoglie materiali di grande pregio, provenienti soprattutto

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In alto: doluptu sanduntium eossint quaesto dolorest, ut exereca taspisci. A sinistra: dida finta doluptu sanduntium eossint quaesto dolorest, Parthenos doluptu sanduntium eossint quaesto dolorest, ut exereca.

In alto: pendente in oro raffigurante la testa di Acheloo. Manifattura Castellani, metà del XIX sec. A destra, sulle due pagine: un’altra immagine dell’allestimento della mostra in corso a Milano. In basso: fibula a drago in oro con iscrizione in etrusco. Manifattura Castellani, metà del XIX sec. dalla ricchissima città di Cerveteri. La famiglia Castellani sviluppa anche un’intensa attività di collezionismo e scambio di antichità provenienti dall’intera penisola, in cui s’intrecciano interesse storico, esigenze di studio, sentimento nazionale e commercio internazionale.

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Il percorso di visita si articola in sei sezioni: I capolavori, Le produzioni mediterranee, La vita femminile, Le oreficerie, Dèi ed eroi, La famiglia Castellani. Fra i molti tesori riuniti nella mostra possiamo ricordare il pendente in oro a testa di Acheloo, ceramiche attiche – come la kylix attribuita al Pittore di Phrynos – e ceramiche mediterranee, come l’hydria prodotta a Caere e attribuita al

Pittore dell’Aquila. Provenienti dagli archivi della Fondazione Caetani, sono inoltre esposti due album di disegni di Michelangelo Caetani, colui che diede ispirazione ai Castellani per la produzione dei gioielli ottocenteschi. La Sala azzurra del piano nobile ospita un dialogo tra l’oreficeria etrusca, affiancata alla produzione ottocentesca della bottega Castellani, con i gioielli

contemporanei di Chiara Camoni. L’artista presenta una serie di sculture-gioiello ottenute fondendo altri gioielli con un processo inverso, che «dalla forma ritorna verso l’informe, e dal quale si genera inaspettatamente altra bellezza». Per creare i propri gioielli, Chiara Camoni ricerca e sperimenta diverse tecniche: raccoglie materiali naturali, come piume e conchiglie, o artificiali, come la

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plastica. Attraverso fusioni e abbinamenti di materiali pregiati e poveri, nascono nuove armonie, che si trasformano in tesori contemporanei. «Tesori etruschi» è una mostra rivolta a un pubblico colto, ma di taglio non specialistico, nella quale il visitatore può cercare proprie vie

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di apprendimento e soddisfare alcune curiosità specifiche. I Castellani, per il tramite della Fondazione Luigi Rovati, sembrano accogliere il visitatore nella loro casa come avveniva realmente nel XIX secolo, quando oltre a specialisti delle antichità giungeva anche un largo pubblico di

appassionati e alcuni curiosi. Accompagna l’esposizione il catalogo «Tesori etruschi. La collezione Castellani tra storia e moda», edito da Fondazione Luigi Rovati e Johan & Levi Editore con testi di Maria Paola Guidobaldi, Antonella Magagnini, Daniel Neumann, Valentino Nizzo, Giulio


Paolucci, Giuseppe Sassatelli, Annalisa Zanni. Per far meglio apprezzare la mostra è stato anche organizzato un ciclo di incontri presso la Sala conferenze Fondazione Luigi Rovati, secondo il calendario che qui riportiamo. 10 gennaio, ore 18,00 Valentino Nizzo, Museo Nazionale Etrusco di

Veduta d’insieme e particolare della decorazione di un’idria (vaso per acqua) con Europa sul Toro, attribuita al cosiddetto Maestro delle Idrie Ceretane, 525 a.C. Nella Collezione Castellani confluirono vari esemplari di questo genere di vasi, realizzati probabilmente a Cerveteri da artigiani qui immigrati dal mondo ionico.

Villa Giulia: Dall’oggetto al contesto, dal mito alla Storia: la nascita dell’archeologia moderna nell’epoca dei Castellani. 24 gennaio, ore 18,00 Antonella Magagnini, archeologa: I Castellani: un prisma di attività. 7 febbraio, ore 18 00 Annalisa Zanni, storica dell’arte: Le oreficerie dell’atelier Castellani a Milano. Giulio Paolucci

DOVE E QUANDO «Tesori etruschi. La collezione Castellani tra storia e moda» Milano, Fondazione Luigi Rovati, Museo d’arte, corso Venezia 52 fino al 3 marzo Orario mercoledí-domenica, 10,00-20,00; chiuso lunedí e martedí Info www.fondazioneluigirovati.org

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IN CROCIERA CON «ARCHEO»

ISOLE PIENE DI FASCINO E DI STORIA

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ollaudata con successo nella scorsa stagione, si rinnova la collaborazione tra «Archeo» e Swan Hellenic, che propone nuove e affascinanti crociere alla scoperta di mete che uniscono la bellezza dei paesaggi alle significative testimonianze di storie millenarie. Ne è prova Spirito dei Celti, l’itinerario in programma dal 24 maggio al 4 giugno prossimi, che si snoda nel cuore delle Isole Britanniche. Accompagnati da archeologi ed esperti di storia e tradizioni locali, i partecipanti avranno l’opportunità di visitare siti incantevoli e conoscere le vicende plurisecolari di questi meravigliosi territori.

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Le tappe della crociera «Spirito dei Celti». In basso: gli scacchi rinvenuti nell’isola scozzese di Lewis. XI sec. Sei pedine, concesse in prestito dal British Museum, sono esposte nel Museo delle Ebridi del Lews Castle, una delle escursioni disponibili per i partecipanti alla crociera.

Stornoway

Portrush Killybegs, Donegal

Galway Dingle, Kerry

Loch Ewe Mull Oban Rathlin lsland

Dublino IRLANDA

REGNO UNITO Portsmouth

Bantry, Cork Fowey

Tresco, Iole Scilly FRANCIA


La crociera salpa da Portsmouth, l’unica città insulare nel Regno Unito e sede del piú antico bacino di carenaggio del mondo, che vanta una ricca storia navale legata a figure come l’ammiraglio Nelson ed Enrico VIII. Il Portsmouth Historic Dockyard ospita una notevole collezione di navi storiche, tra cui la HMS Victory di Orazio Nelson e l’unica nave superstite della campagna di Gallipoli della prima guerra mondiale, la HMS M.33. Seconda tappa è il pittoresco paese di Fowey, in Cornovaglia, affacciato sul suo porto naturale, fiancheggiato da fortificazioni del XIV secolo e sovrastato dalle rovine del castello di Santa Caterina, costruito per ordine di Enrico VIII. Ci si sposta quindi a Tresco, una delle cinque isole abitate delle Scilly, un paradiso subtropicale situato a 45 km al largo della costa della Cornovaglia. La Corrente del Golfo garantisce un clima mite, consentendo a fiori e altre piante di prosperare, tra cui le 20 000 specie presenti nel Tresco Abbey Garden. Nel quarto giorno si raggiunge la cittadina portuale di Bantry, tra promontori e isole nel sud-ovest dell’Irlanda, sulla baia omonima. Qui si possono ammirare, fra gli altri, il cicolo megalitico di Kealkil, la Kilnaruane Pillar Stone e il cinquecentesco castello di Carriganass. La tappa successiva è Dingle, uno storico villaggio di pescatori irlandese all’estremità occidentale della penisola omonima. È protetto da un faro vittoriano raggiungibile attraverso

In alto: doluptu sanduntium eossint quaesto dolorest, ut exereca taspisci. A sinistra: dida finta doluptu sanduntium eossint quaesto dolorest, Parthenos doluptu sanduntium eossint quaesto dolorest, ut exereca.

In questa pagina, dall’alto: la pagina dell’Evangeliario di Kells raffigurante i simboli degli evangelisti (tempera su pergamena, IX sec.) e una veduta della Trinity College Library di Dublino, che custodisce il prezioso manoscritto.

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Uno scorcio della Giant’s Causeway, presso Portrush. Nella pagina accanto: il chiostro dell’abbazia di Iona. Qui sotto: una veduta d’insieme dell’abbazia di Iona. In basso: Dúnguaire Castle, suggestiva fortezza seicentesca che si può visitare in una delle escursioni previste durante la sosta a Galway.

una passeggiata costiera di 6 km. I dintorni offrono varie escursioni e della ricca storia locale sono testimonianza il medievale Ponte Garfinny, il castello di Gallarus (risalente al XV secolo) e l’antico sito monastico di Reask. Città portuale sulla costa occidentale dell’Irlanda, Galway ha un’atmosfera simile a quella di Dublino e ha il cuore del suo centro storico nella settecentesca piazza Eyre. È sede anche dell’acquario nazionale d’Irlanda, il Galway Atlantaquaria, con piú di 1000 specie provenienti dall’Atlantico, dai suoi laghi e fiumi. In questa tappa, fra le escursioni a disposizione dei partecipanti, è disponibile la visita del suggestivo Dúnguaire Castle, una fortezza che si presenta oggi con fattezze seicentesche, ma che ha ben piú antiche origini medievali.

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Giunti a Killybegs, una pittoresca cittadina costiera, si ha modo di ammirare le meraviglie naturali della Contea di Donegal, fra cui le scogliere di Slieve League, le piú alte d’Europa con i loro 600 m, che dominano l’orizzonte. Nei dintorni di Killybegs sono mete imperdibili anche il castello di Donegal e i resti


dell’abbazia francescana costruita alla metà del XV secolo per volere del signore gaelico della regione, Hugh Roe O’Donnell. Meta dell’ottavo giorno di crociera è Iona, nelle Ebridi Interne, al largo della costa occidentale della Scozia. L’isola, che conta oggi una popolazione di appena 100 abitanti, è famosa per la sua abbazia, fondata da san Colombano e dai suoi seguaci irlandesi nel 563. Qui fu realizzato lo spettacolare Evangeliario di Kells, portato in Irlanda nell’807, per salvarlo dalle razzie dei Vichinghi. Lewis, capitale dell’isola piú popolosa delle Ebridi Esterne, è rinomata per i tessitori che producono il famoso Harris Tweed. Ma qui, soprattutto, si può visitare il sito di Callanish, dove si conservano i resti di un circolo megalitico che gli studiosi hanno

ipotizzato fosse stato realizzato mezzo millennio prima di quello di Stonehenge, nel 3000 a.C.: una datazione che, se confermata, ne fa (insieme a un analogo complesso nelle Orcadi) il piú antico monumento di questo tipo del Regno Unito. Da qui si può anche effettuare l’escursione al Lews Castle, presso il quale, in un annesso di nuova costruzione, è stato allestito il Museum nan Eilean, che espone, fra gli altri, alcune pedine del celebre set per il gioco degli scacchi trovato sull’Isola di Lewis e custodito nel British Museum di Londra. Dopo Loch Ewe, nelle Highlands scozzesi, si raggiunge Oban, incantevole cittadina costiera, nota per essere la «Capitale del Pesce» della Scozia. Il suo pittoresco porto, brulicante di vita, è la porta d’accesso alle incantevoli isole

delle Ebridi. La tappa successiva, Portrush, offre l’opportunità di ammirare paesaggi mozzafiato, fra i quali spicca la Giant’s Causeway, sito inserito dall’UNESCO fra i beni Patrimonio dell’Umanità, con le sue spettacolari formazioni basaltiche. Dopo l’isola di Rathlin, nella quale si rifugiò Roberto I Bruce – re di Scozia e capo della rivolta aristocratica contro Edoardo I d’Inghilterra – dopo la sconfitta patita nella battaglia di Methven del 1307, la crociera termina a Dublino, la capitale della Repubblica d’Irlanda. Qui, oltre a scoprire gli angoli piú suggestivi della città, varrà la pena di ritagliarsi il tempo sufficiente per visitare la splendida biblioteca del Trinity College, dove, fra gli altri, è custodito il prezioso Evangeliario di Kells. Info e prenotazioni: e-mail, enquiries@swanhellenic.com

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INCONTRI Roma

PER IL PIACERE DEL CORPO E DELLO SPIRITO

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rende il via la decima edizione di «Luce sull’Archeologia» al Teatro Argentina di Roma, che quest’anno ha per titolo «La “villeggiatura” nell’antica Roma: l’otium come sentimento sublime di bellezza ed esperienza di civiltà». Sette appuntamenti per approfondire il rapporto dei Romani con la terra e la natura, quando, alla fine dell’età repubblicana, ragioni storico-politiche e culturali determinano la trasformazione della mentalità e del costume delle élites, che prediligono sempre piú una vita lontano dalla città e dal centro del potere. Si desidera vivere una vita agiata e i piaceri del paesaggio in contesti extraurbani: «otium cum dignitatem», tempo libero da dedicare alle attività intellettuali, ma anche al disbrigo degli affari politici e degli interessi economici. Regali dimore si arricchiscono di nuovi spazi, destinati non solo al piacere del corpo, come gli impianti termali, ma anche dello spirito, come i giardini per passeggiare, conversare, leggere.

Fino al 14 aprile l’appuntamento con la rassegna di storia e arte si rinnova con sette incontri, la domenica mattina alle 11,00, introdotti da Massimiliano Ghilardi. «Luce sull’Archeologia» è un progetto del Teatro di Roma a cura di Catia Fauci, in collaborazione con la Direzione generale Musei del Il Teatro Argentina di Roma, nel quale si svolge la decima edizione della rassegna «Luce sull’Archeologia».

Ministero della Cultura, con il contributo dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, di «Archeo» e della società Dialogues Raccontare L’arte, arricchito dagli interventi di storia dell’arte di Claudio Strinati e dalle Anteprime del passato di Andreas M. Steiner. Come per le precedenti edizioni, ogni incontro si comporrà come un viaggio di testimonianze, ricerche, riflessioni e immagini con il contributo di storici, archeologi e studiosi d’arte, che guideranno il pubblico sul terreno di una passione comune, quella per la civiltà romana e lo sviluppo delle arti e della storia. La decima edizione aggiunge ai sette incontri un nuovo contributo per una prospettiva multifocale, dal titolo «La parola oltre il sipario», un momento di riflessione e approfondimento del tema da un punto di vista letterario, teatrale, giornalistico e con rimandi al tempo presente. Questo il programma del primo incontro, domenica 14 gennaio: Maurizio Bettini, Università di Siena, Villa rustica: il paesaggio sonoro di un otium campestre; Massimo Osanna, Direttore generale Musei MiC, Tiberio a Capri. Nuovi progetti; Paolo Di Paolo, scrittore, Il fondale è un paesaggio. (red.)

DOVE E QUANDO «La “villeggiatura” nell’antica Roma: l’otium come sentimento sublime di bellezza ed esperienza di civiltà» Luce sull’Archeologia-X edizione Roma, Teatro Argentina fino al 14 aprile Info www.teatrodiroma.net

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n otiz iario

ARCHEOFILATELIA

Luciano Calenda

UNA PASSEGGIATA NELLA STORIA Come sappiamo, la via Appia lasciava le 3 mura di Roma a Porta Capena, dirimpetto alla curva del Circo Massimo (1, vignetta). 1 2 Siamo in effetti nel cuore della Roma moderna e può sorprendere che, a meno di 3 km, esista oggi uno spazio pianeggiante che costeggia il lato sinistro della strada, il 5 Parco della Caffarella, solo di recente oggetto di scavi sistematici condotti dagli 4 enti che curano il Parco dell’Appia Antica insieme al Comune di Roma e all’Università di Ferrara (2; vedi alle pp. 50-63). Qui ci piace invitare i lettori di «Archeo», romani e 7 non, a recarsi dunque al n. 39 di via Appia Antica, per constatare quanto è stato fatto finora: in meno di 6 un’ora di cammino potranno per di piú ammirare monumenti famosi e importanti… Innanzitutto subito a destra gli imponenti resti delle Terme di Caracalla, sede delle gare di ginnastica alle 8 Olimpiadi di Roma del 1960 (3) e della stagione estiva del Teatro dell’Opera della capitale (4). Sullo stesso lato s’incontra l’antica chiesa dei Ss. Nereo e Achilleo 9 (5). Dopo 1300 m si arriva all’arco di Druso e alle mura Aureliane, con l’imponente Porta Appia o di San Sebastiano (6) perché conduceva alla catacomba del santo piú avanti. Oltre la porta la strada scende 10 11 verso la Caffarella e a destra, dopo un centinaio di metri, si può vedere la copia della prima colonna miliaria dell’Appia (7) oggi conservata in Campidoglio. Appena piú avanti, a sinistra, c’è il (falso) sepolcro di Orazio e giungiamo cosí al n. 39, dove si possono visitare gli scavi di un’area adibita 12 13 per lo piú a necropoli per i tanti ossari e sepolcri (8). Visto che si è già in zona, si può completare il tratto iniziale dell’Appia Antica con molti altri ben noti tesori. Subito a sinistra, la torre col Sepolcro di Geta (9, cartolina), dopo pochi metri la chiesa del «Domine, quo vadis?» (10, annullo di Varsavia del 14 2001) e, dopo qualche centinaio di metri, sulla destra, le catacombe di S. Callisto (11) e quelle IL CIFT. Questa rubrica è curata dal CIFT (Centro Italiano di Filatelia Tematica); per ulteriori chiarimenti o informazioni, si può scrivere di S. Sebastiano (12), entrambe su cartoline alla redazione di «Archeo» o al CIFT, anche per qualsiasi altro tema, ai postali del Vaticano. Siamo alla fine della nostra seguenti indirizzi: passeggiata, lunga poco piú di 3 miglia romane Segreteria c/o Luciano Calenda (4,5 km), e possiamo cosí ammirare a sinistra il Sergio De Benedictis C.P. 17037 - Grottarossa gioiello di questo tratto iniziale della regina Corso Cavour, 60 - 70121 Bari 00189 Roma viarum (13): il mausoleo di Cecilia Metella segreteria@cift.club lcalenda@yahoo.it (14, francobollo dello SMOM). oppure www.cift.it

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CALENDARIO

Italia ROMA L’Amato di Iside

Nerone, la Domus Aurea e l’Egitto Domus Aurea fino al 14.01.24

Lo sguardo del tempo

Il Foro Romano in età moderna Foro Romano, Tempio di Romolo fino al 28.04.24

La Colonna Traiana

Il racconto di un simbolo Colosseo fino al 30.04.24

Fidia

Musei Capitolini, Villa Caffarelli fino al 05.05.24

Copernico e la rivoluzione del mondo Foro Romano, Curia Iulia fino al 29.01.24

ASCEA (SALERNO) Elea: la rinascita Parco Archeologico di Velia fino al 30.04.24

LEGNANO Alle radici del territorio

La necropoli dell’età del Bronzo di Canegrate a 70 anni dallo scavo Palazzo Leone da Perego fino al 17.03.24

Caere

Storie di dispersione e di recuperi Museo delle Antichità Etrusche e Italiche, «Sapienza» Università di Roma fino al 28.02.24

Spina etrusca a Villa Giulia

Un grande porto del Mediterraneo Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia fino al 07.04.24

Splendori Farnesiani

Il Ninfeo della Pioggia ritrovato Parco archeologico del Colosseo fino al 07.04.24

Dacia

L’ultima frontiera della Romanità Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano fino al 21.04.24 32 a r c h e o

MILANO Tesori etruschi

La collezione Castellani tra storia e moda Fondazione Luigi Rovati fino al 03.03.24


Sarà gradito l’invio di informazioni da parte dei direttori di scavi, musei e altre iniziative, ai fini della completezza di questo notiziario.

Le vie dell’acqua a Mediolanum Civico Museo Archeologico fino al 31.03.24

MODENA DeVoti Etruschi

La riscoperta della raccolta di Veio del Museo Civico Museo Civico fino al 24.03.24 (prorogata)

POMPEI L’altra Pompei

Vite comuni all’ombra del Vesuvio Parco Archeologico di Pompei, Palestra grande fino al 15.12.24

NANTES Gengis Khan

Come i Mongoli hanno cambiato il mondo Château des ducs de Bretagne Musée d’histoire de Nantes fino al 05.05.24

Germania BERLINO Derubate-Saccheggiate-Salvate (?) Le tombe di Qubbet el-Hawa Staatliche Museen, Neues Museum fino al 10.03.24

Grecia ATENE Cheronea, 2 agosto 338 a.C.

Un giorno che ha cambiato il mondo Museo d’Arte Cicladica fino al 31.03.24

Paesi Bassi RIO NELL’ELBA Gladiatori

Museo Archeologico del Distretto Minerario fino al 01.11.24

SESTO FIORENTINO Archeologia svelata a Sesto Fiorentino Momenti di vita nella piana prima, durante e dopo gli Etruschi Biblioteca Ernesto Ragionieri fino al 31.07.24

TORINO Trad u/i zioni d’Eurasia

Frontiere liquide e mondi in connessione. Duemila anni di cultura visiva e materiale tra Mediterraneo e Asia Orientale MAO-Museo d’Arte Orientale fino all’01.09.24

Francia PARIGI Ritorno dall’Asia

Henri Cernuschi, un collezionista ai tempi del giapponismo Musée Cernuschi fino al 04.02.24

LEIDA L’anno Mille

I Paesi Bassi alla metà del Medioevo Rijksmuseum van Oudheden fino al 17.03.24

Regno Unito LONDRA Dalla Birmania a Myanmar British Museum fino all’11.02.24

Legionari

La vita nell’esercito romano British Museum fino al 23.06.24

Stati Uniti NEW YORK L’Africa e Bisanzio

The Metropolitan Museum of Art fino al 03.03.24 a r c h e o 33


GR FU AN RT DE I D AV ’A VE RT NT E UR A LA

LA NUOVA MONOGRAFIA DI ARCHEO

LA GRANDE RAZZIA di marco di branco

L’AVVENTUROSA STORIA DEI FURTI D’ARTE DALL’ANTICHITÀ AI GIORNI NOSTRI


La caduta di Costantinopoli, dipinto del Tintoretto (al secolo Jacopo Robusti). 1580 circa. Venezia, Palazzo Ducale, Sala del Maggior Consiglio

S

econdo recenti stime dell’UNESCO, il traffico clandestino di opere d’arte e reperti archeologici è uno dei piú fiorenti business illegali praticati nel mondo e l’attività dei molti attori che alimentano la filiera è ben lontana dalla visione un po’ romantica e avventurosa dei cacciatori di tesori sette/ottocenteschi. D’altro canto, il desiderio di impossessarsi – anche con soprusi e violenze – delle piú felici espressioni dell’ingegno e della creatività di pittori, scultori e maestri artigiani ha radici antiche e proprio da questa considerazione prende spunto la nuova Monografia di «Archeo», che ripercorre la storia millenaria di una passione per l’antico che non ha esitato a trasformarsi in autentica razzia. Potrà forse sorprendere, ma le prime testimonianze a oggi note di simili pratiche si collocano nell’antica Mesopotamia, dove il principio secondo il quale «il bottino spetta al vincitore» fu a piú riprese applicato da tutte le grandi civiltà che si succedettero in quelle terre. Una logica alla quale non si sottrassero, piú tardi, gli eserciti di Roma e poi, per esempio, i Veneziani impegnati nella quarta crociata, responsabili, nel 1204, di uno dei piú colossali saccheggi della storia: quello perpetrato ai danni di Costantinopoli. Pagine poco gloriose di una vicenda destinata ad avere una folta schiera di epigoni anche in epoche piú vicine alla nostra, come provano le spoliazioni napoleoniche ai danni del patrimonio italiano o la sistematica caccia al tesoro scatenata dal regime nazionalsocialista, solo in parte risarcita dopo la caduta del Terzo Reich e la fine del secondo conflitto mondiale. Una storia, dunque, assai lunga, che la Monografia ripercorre con ritmo avvincente, forte di un ricco e spesso inedito corredo iconografico.

GLI ARGOMENTI

• MESOPOTAMIA • IN EGITTO, I PRIMI «TOMBAROLI» • GRECIA E ROMA • CROCIATE E RAZZIE • LE CAMPAGNE NAPOLEONICHE

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PARCHI ARCHEOLOGICI • MILANO

P

ochi immaginano, probabilmente, che uno tra i piú grandi anfiteatri costruiti dai Romani sorgesse a Milano. Molto simile nell’architettura e nella pianta al Colosseo di Roma, era di dimensioni simili all’Arena di Verona. Tuttavia, a differenza dell’uno e dell’altro – che conservano la loro mole imponente –, già in età antica l’Anfiteatro milanese fu completamente raso al suolo. Tanto che se n’era persa ogni memoria. Solo nel 1931, durante lavori di riparazione di tubazioni, riaffiorarono i muri antichi riconosciuti dall’archeologa Alda Levi come appartenenti all’edificio da spettacolo romano del I secolo d.C. Nel 1973 alcuni scavi portarono alla creazione

ARCHEOLOGIA

GREEN NEL CUORE DI MILANO

A sinistra: foto da drone di un settore del cantiere per la realizzazione del progetto PAN, Parco Amphitheatrum Naturae, a Milano. In basso: disegno ricostruttivo dell’Anfiteatro romano.

DAL 2019 È APERTO UN GRANDE CANTIERE NELL’AREA SUD-OCCIDENTALE DEL CAPOLUOGO LOMBARDO, PROSSIMA ALLE COLONNE DI S. LORENZO, IN UNA ZONA RICCA DI TESTIMONIANZE DELLA MEDIOLANUM ROMANA. AL TERMINE DEI LAVORI, VEDRÀ LA LUCE IL PIÚ GRANDE PARCO ARCHEOLOGICO URBANO DELLA CITTÀ, BATTEZZATO PAN, PARCO AMPHITHEATRUM NATURAE di Antonella Ranaldi 36 a r c h e o


In alto: veduta panoramica dell’area interessata dagli interventi del progetto PAN. Sono ben riconoscibili le strutture dell’Anfiteatro romano. A sinistra: modello ricostruttivo di Mediolanum in età tardo-imperiale: la città fu capitale dell’impero d’Occidente fino al 402 d.C. Milano, Civico Museo Archeologico. In secondo piano, sulla sinistra, l’Anfiteatro.

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PARCHI ARCHEOLOGICI • MILANO

di una limitata area archeologica, nella quale furono lasciati a vista sette setti di fondazione sul lato settentrionale. Prima degli attuali interventi, essa costituiva l’unica presenza percepibile dell’Anfiteatro. Tanto che si pensava che null’altro fosse sopravvissuto.

UN EDIFICIO GRANDIOSO Dal 2019 in quella zona la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Milano ha aperto un grande cantiere, volto a ricercare le testimonianze archeologiche sopravvissute dell’antico Anfiteatro e realizzarvi il parco PAN-Parco Amphitheatrum Naturae, su progetto dell’architetto Attilio Stocchi. Il parco è stato quasi raddoppiato, annettendo a esso le aree vicine che nonostante la posizione vantaggiosa e centrale erano abbandonate, coperte da vegetazione infestante, frequentate abusivamente e motivo di degrado. L’obiettivo raggiunto era di estendere il parco all’intero sedime dell’Anfiteatro, che aveva dimensioni grandiose: lungo 150 m sull’asse maggiore e 120 m sull’asse minore (500 x 400 piedi circa). Una volta liberata l’area, è stato possibile tracciare l’arena, il podio, la In alto: resti delle murature originarie dell’Anfiteatro. A sinistra: l’autrice dell’articolo, l’architetto Antonella Ranaldi, sul cantiere del PAN. Nella pagina accanto: i resti delle gallerie ipogee dell’Anfiteatro, con i percorsi lastricati, venuti alla luce in occasione degli scavi.

cavea e il perimetro sul quale si ergeva la facciata monumentale. Molto somigliante a quella dell’Anfiteatro Flavio nella capitale, essa era ad arcate sovrapposte su tre ordini, con un piano attico superiore di coronamento dove si alzava il velarium. Acquisita la disponibilità dell’intera superficie, sono stati eseguiti scavi estensivi. Sono allora riemerse le 38 a r c h e o


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PARCHI ARCHEOLOGICI • MILANO

strutture di fondazione a muri radiali lunghi 13,30 m, che formano la raggiera che sosteneva le gradinate della cavea. Il loro ritrovamento è stato favorito dal fatto che l’area si era mantenuta in parte libera da costruzioni successive. Qui infatti le monache del vicino monastero di S. Maria della Vittoria avevano impiantato terraglie e orti. Nell’arena, invece, sono state ritrovate le gallerie, due percorsi ipogei lastricati che si incrociano al centro, orientati come gli assi dell’ovale. Queste strade sotterranee si allargano in vani nei quali erano alloggiati gli ascensori che permettevano di far salire al livello dell’arena le fiere e farle uscire a sorpresa. La galleria sull’asse maggiore continuava sotto la cavea fino all’estremità est, dove si apriva la Porta Trionfale, per proseguire ancora oltre e collegare a livello sotterraneo altri ambienti di servizio esterni all’anfiteatro.

LE DATE DELLA MILANO ANTICA V secolo a.C. Primo abitato tardo-golasecchiano. IV-III secolo a.C. Centro politico-religioso della confederazione insubre. 222 a.C. Vittoria romana sugli Insubri a Clastidium (Casteggio) e conquista di Mediolanon (o Mediolanum). Il nome di Mediolanum, interpretabile come «centro del territorio», evidenzia il carattere sacrale della città, la cui centralità è religiosa piú che geografica. 89 a.C. Concessione del diritto latino alle comunità della Valle Padana a nord del Po (Lex Pompeia). 49 a.C. Concessione della cittadinanza romana a tutta la Gallia Cisalpina (Lex Iulia). Mediolanum diventa municipio romano. 286 d.C. Massimiano «Erculeo» viene nominato Augusto (co-reggente dell’impero) da Diocleziano. Mediolanum diventa sede imperiale. 365 d.C. Valentino I, imperatore d’Occidente, sceglie Mediolanum come sua residenza. Fino al 402, anno del trasferimento della corte a Ravenna, Milano assume il ruolo di effettiva capitale d’Occidente. Episcopato di Ambrogio. Costruzione delle grandi 374-397 d.C. basiliche martiriali. CITTÀ AUGUSTEA

UN CONNUBIO FRA ROVINE E NATURA L’idea originale del progetto PAN consiste nel ricalcare con la vegetazione la pianta dell’Anfiteatro perduto. Ricreare un connubio simbiotico con la natura, ispirato al mito delle rovine abbinate al verde, che diventa evocativo dell’architettura mancante. È anche la metamorfosi di un luogo cruento in luogo vivo, verdeggiante e ameno, nel quale passeggiare in una cornice architettonica verde. A intervento I SECOLO D.C.

Planimetria di Mediolanum riportata sulla pianta della Milano attuale e disegno ricostruttivo della città nel I sec. d.C. Sono segnalate le strutture di epoca romana: il teatro e l’area del Foro all’interno della cinta muraria tardo-repubblicana, e l’anfiteatro, costruito fuori dal circuito delle mura.

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CITTÀ MASSIMIANEA

La città in epoca paleocristiana, con le grandi fondazioni ambrosiane. In urbe, il complesso episcopale con il battistero ottagonale di S. Giovanni alle Fonti. Nel suburbio le quattro basiliche ambrosiane extra murarie, una opposta all’altra a protezione della città, situate lungo le principali vie d’accesso. A sud-est in direzione di Roma, S. Nazaro, la basilica cruciforme intitolata agli Apostoli (basilica apostolorum); a sud-ovest, S. Ambrogio, detta la basilica Ambrosiana, dedicata ai martiri (basilica martyrum); a nord, S. Simpliciano dedicata alle vergini (basilica virginum), sulla strada in direzione di Como; infine la quarta, quella scomparsa e meno nota, S. Dionigi, a nord-est, intitolata forse ai profeti (basilica prophetarum), eretta vicino alla Porta Orientale sulla strada in direzione di Aquileia, ritrovata negli scavi eseguiti di recente dalla Soprintendenza nei Giardini Montanelli.

Planimetria di Mediolanum riportata sulla pianta di Milano attuale e disegno ricostruttivo della città nel IV sec. d.C. Scelta come capitale dell’impero d’Occidente, alla fine del III sec. Milano subisce una radicale trasformazione grazie agli interventi promossi dall’imperatore Massimiano Erculeo. Nel settore occidentale della città il circuito murario viene ampliato per comprendere il nuovo circo, collegato al grandioso palazzo imperiale, costituito da edifici amministrativi, di rappresentanza e residenziali. La nuova cerchia muraria include, inoltre, a est, il nuovo quartiere dotato del monumentale complesso delle terme Erculee. IV SECOLO D.C.

CITTÀ PALEOCRISTIANA

IV-VI SECOLO D.C.

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PARCHI ARCHEOLOGICI • MILANO L’incrocio dei percorsi lastricati delle gallerie ipogee, che hanno il medesimo orientamento degli assi dell’ovale dell’Anfiteatro. In basso: planimetria dei resti dell’Anfiteatro integrata dagli interventi di restituzione delle strutture antiche affidati alla messa a coltura di piante.

concluso, si potrà visitare un sito in cui rielaborare visivamente la mole grandiosa dell’Anfiteatro, recuperandone la memoria e le testimonianze in una dimensione attuale, ecologica, evocativa, su grande scala in un innovativo progetto di land art. Secondo il pensiero dell’architetto Stocchi, Marte – dio della guerra – diventa Pan, divinità dell’ebrezza e della natura, ma in questo caso acronimo di Parco Amphitheatrum Naturae, detto anche il Colosseo verde di Milano, che sarà molto green.

L’ARENA E LA CAVEA Là dove si svolgevano le lotte cruente tra i gladiatori e tra gli animali (venationes), nell’arena nel nuovo PAN si creerà uno spazio aperto, che ricalca esattamente quello dell’ovale antico, destinato anche a spettacoli, concerti, danze, eventi. Su suggerimento del Teatro alla Scala di Milano, al centro dell’arena verrà creata una fossa mistica circolare, coperta da assi di legno che, in occasione dei concerti, verrà aperta per ospitare l’orchestra. Nell’arena si potrà assi42 a r c h e o


Elaborazione di una foto satellitare che mostra la relazione spaziale fra l’Anfiteatro romano e le basiliche di S. Lorenzo (in alto) e S. Eustorgio. I tre monumenti diventeranno le tappe della passeggiata archeologica e paesaggistica che sarà possibile compiere nei 10 ettari del PAN.

stere agli spettacoli con 2000 posti a sedere. In assenza di eventi, l’arena si presenterà libera, pavimentata in ciocchi rotondi in legno. Tutt’intorno, il terreno si alza leggermente in pendio, per dare l’idea del grandioso invaso. Nella cavea si trovano le aree archeologiche a setti radiali e lungo l’asse maggiore gli ipogei presso la Porta Trionfale. Qui verranno piantate siepi di ligustro disposte a raggiera, esattamente nella posizione dei muri antichi, a ricostruire l’intera pianta. Intorno, verrà creato un percorso anulare, lungo il perimetro dell’Anfiteatro, leggermente piú alto, dal quale affacciarsi e vedere dall’alto le aree archeologiche. Sul bordo esterno piante di viti, omaggio a Pan.

SPOLIAZIONE E RIUSO La spoliazione dell’Anfiteatro fu sistematica e organizzata quasi militarmente, per trasformarlo in una cava di materiali da costruzione. Tutto quello che poteva essere riutilizzato, dai mattoni ai blocchi in pietra, alle lastre in marmi policro-

mi, fu smontato e destinato a nuove costruzioni. Tra queste, principalmente la vicina basilica di S. Lorenzo, e poi le mura di Narsete in età giustinianea (metà VI secolo d.C.). Durante i lavori della Metropolitana M4, in piazza Resistenza partigiana, vicino all’Anfiteatro, sono stati ritrovati nella primavera del 2021, in pieno lockdown, possenti muri in mattoni e blocchi in pietra in ceppo d’Adda provenienti dall’Anfiteatro e riutilizzati negli argini e nella fossa delle mura comunali medievali. Giacché impedivano la costruzione della stazione della metropolitana, si è deciso di smontarli per parti per essere rimontati in un sito protetto. La scelta è caduta sull’area del Parco dell’Anfiteatro. Le fondazioni dei muri radiali delle gradinate sono livellate tutte a una stessa quota, quella d’imposta dei muri in mattoni dell’elevato. I reperti ritrovati, risparmiati dalla spoliazione e dal loro riutilizzo successivo, sono rari, a dimostrare quanto fosse stata radicale l’operazione di

demolizione. Eppure qualcosa è stato risparmiato: numerose lastrine dei marmi di rivestimento sparse nel terreno; nella fognatura è stata ritrovata una testina in marmo bianco acconciata come le Agrippine; poi una lancia usata dai gladiatori, un coltellaccio, un marmo delle transenne dei vomitoria (le porte che permettevano l’ingresso e l’uscita del pubblico, n.d.r.), che presenta scolpite su entrambe le facce figure di animali. E ancora oggetti minuti ritrovati setacciando il terreno dello scavo, lucerne, monete, minuscoli dadi, pedine, perse dagli avventori che assistevano agli spettacoli e che testimoniano la vita che si svolgeva nell’Anfiteatro. Nonché la zampa di un orso.

PRESENZE CELTICHE Negli scavi condotti nella cavea è stato ritrovato un deposito formato da una quantità enorme di frammenti in terracotta, che qui erano stati sepolti, in una buca nel terreno, prima della costruzione dell’Anfiteatro. Il singolare ritrovamento, del a r c h e o 43


PARCHI ARCHEOLOGICI • MILANO

tutto inaspettato, ha gettato luce sulla vita precedente all’insediamento romano. Gli archeologi hanno compreso che si trattava di frammenti di età celtica del III e II secolo a.C. Come in un grande e complicato puzzle, hanno provato a far combaciare i pezzi. Ecco allora ricomposti vasi di varie fogge, piatti, bicchieri, uno con incisa una scritta in celtico. La loro ricomposizione, ancora in corso, promette circa 150-200 pezzi appartenenti a un corredo usato nei banchetti rituali in uno sconosciuto santuario celtico, forse insediatosi nella stessa area, che tra l’altro era attraversata da numerosi corsi d’acqua. Proprio per la sua funzione votiva, il corredo non poteva essere impiegato in altri usi. Quindi, dismesso il santuario, il vasellame venne sepolto

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in frantumi in una grande buca. E lí è rimasto, fino all’attuale fortunato ritrovamento. Dal 2019 a oggi è stata recuperata l’intera area del Parco, raddoppiato

Qui sotto: veduta panoramica dell’area interessata dagli scavi archeologici. In basso: rendering dell’area dell’Anfiteatro romano a conclusione dei lavori per la realizzazione del PAN.


nella sua estensione, da 12 000 a 22 300 mq. Sono stati effettuati scavi archeologici che hanno portato al ritrovamento delle strutture di fondazioni a muri radiali delle gradinate, gli ipogei nell’arena e presso la Porta Trionfale. È stato ritrovato il corredo di vasellame di età celtica, ridotto in frammenti di terracotta e già sono stati ricomposti numerosi vasi, bicchieri, piatti del III e II secolo a.C. L’intera area è stata liberata e modellato il terreno con l’arena in piano al centro, il podio intorno e la cavea leggermente in pendio dove insistono le aree archeologiche. Intorno, lungo il perimetro dell’Anfiteatro, gira un percorso in quota. L’intervento è stato possibile finora attraverso sponsorizzazioni private, con main sponsor la TMC, società di pubbli-

cità, e con fondi del Ministero della Cultura per eseguire gli scavi. Poi, nel 2022, l’Anfiteatro PAN è stato inserito nel Piano Strategico dei Grandi Progetti dei Beni Culturali del Ministero della Cultura, che ha finanziato il completamento dell’intervento di sistemazione a verde del Parco. A seguito di gara, i lavori sono stati affidati nel maggio 2023 alla Re.Am., specializzata in sistemazioni verdi di aree archeologiche. La fine dei lavori è prevista a giugno del 2025. I lavori sono stati promossi ed eseguiti dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Milano su un’area di proprietà del Comune di Milano, che ha consegnato l’area alla Soprintendenza per la realizzazione del progetto PAN, Parco Amphitheatrum Naturae.

Il progetto PAN ambisce a creare un percorso di visita ancora piú esteso e interamente nel verde. Dall’Anfiteatro si raggiungono le vicine Colonne di S. Lorenzo. Qui si visita la basilica di S. Lorenzo Maggiore con la cappella di S.Aquilino, restaurate di recente dalla Soprintendenza in collaborazione con la parrocchia di S. Lorenzo. Un filo rosso lega l’Anfiteatro a S. Lorenzo. La prima spoliazione dell’Anfiteatro avvenne nell’ultimo quarto del IV secolo d.C., quando l’edificio per spettacoli era ancora in uso, non piú per ospitare i ludi dei gladiatori, ma Blocchi provenienti dall’Anfiteatro e riutilizzati nelle murature scoperte durante i lavori per la costruzione della stazione della Metropolitana M4 in piazza della Resistenza partigiana.

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PARCHI ARCHEOLOGICI • MILANO

In questa pagina, dall’alto: frammenti di ceramiche di epoca celtica; un momento del lavoro di ricomposizione delle forme vascolari; un vaso piriforme con piede a disco di età celtica (facies La Tène B, 375/350-275/250 a.C.). Sulle due pagine: gli ambienti sotterranei della cappella di S. Aquilino, probabilmente utilizzati per accogliere le tombe di membri della famiglia imperiale. 46 a r c h e o


solo quelli con animali. I blocchi in pietra in ceppo d’Adda e serizzo della facciata a ordini sovrapposti furono smontati e portati, via acqua, nella vicina area destinata all’erigenda basilica di S. Lorenzo con l’annesso mausoleo ottagonale, poi cappella di S. Aquilino. I materiali da costruzione in pietra e mattoni e anche i marmi dei rivestimenti che ornavano il podio e la tribuna d’onore furono riutilizzati nelle nuove costruzioni dagli ultimi imperatori romani, che risiedettero a Milano fino al 402, quando Mediolanum era capitale dell’impero romano d’Occidente. Scendendo negli interrati di S. Aquilino, si entra in un ambiente sotterraneo che si pensa fosse anticamente utilizzato per le tombe di membri della famiglia imperiale. Qui, con profusione, si offrono alla vista i blocchi con cui era costruita la facciata monumentale dell’Anfiteatro, smontati e ricollocati interi nelle fondazioni e nella camera sepolcrale sottostante l’antico mauso-

leo. Si riconoscono i blocchi con i capitelli delle semicolonne, quelli delle arcate, le mensole in serizzo di coronamento con i fori delle antenne del velario. Qualcosa di unico.

UN PERCORSO NEL VERDE Risalendo e uscendo dalla basilica gli si gira intorno. La basilica è bellissima da vedere nell’esterno tardo-antico, con le quattro torri, i corpi satellitari delle cappelle intorno, la cupola ricostruita nel pri-

mo Seicento dopo il rovinoso crollo del 1573 all’interno dell’aula. Siamo nel verde del Parco delle Basiliche che prosegue fino a S. Eustorgio, dove si vista la basilica, la quattrocentesca Cappella Portinari e il Museo Diocesano nei chiostri dell’ex convento domenicano. Ecco delinearsi un percorso che forma una passeggiata archeologica e artistica interamente nel verde, su 10 ettari di parco, punteggiato da luoghi da visitare dall’Anfiteatro a S. Lorenzo a S. Eustorgio.

La squadra del PAN Il progetto PAN, Parco Amphitheatrum Naturae vede impegnati Antonella Ranaldi, già Soprintendente a Milano e ora a Firenze; Emanuela Carpani, dal 2023 Soprintendente a Milano; la Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Milano; l’architetto Paolo Savio; gli archeologi Anna Maria Fedeli, Francesca Roncoroni, Tommaso Quirino, Bartolomeo Ruggiero. Progettista e direttore dei lavori è l’architetto Attilio Stocchi. Negli scavi hanno lavorato varie imprese e l’archeologa Delfina Consonni. L’impresa Re.Am. è esecutrice dei lavori appaltati del 2023 per il completamento della sistemazione del Parco PAN.

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L’ambiente occidentale del colombario a doppio vano al momento della sua scoperta: il monumento funerario è stato localizzato nell’area indagata dall’équipe del progetto «Appia Antica 39» nel corso dell’ultima campagna di scavo (vedi foto sulle due pagine).

QUEST’ANTICHITÀ È PER TUTTI IL PROGETTO «APPIA ANTICA 39», CONDOTTO DALL’UNIVERSITÀ DI FERRARA, STA FACENDO LUCE SU UN SETTORE CRUCIALE NEL CONTESTO DELLA PLURISECOLARE FREQUENTAZIONE DELLA REGINA VIARUM. UN’OPERAZIONE PREMIATA DA IMPORTANTI RISULTATI SCIENTIFICI E DAL POSITIVO RISCONTRO DELLA COMUNITÀ, NEL SEGNO DI UNA VERA «ARCHEOLOGIA CONDIVISA» di Elena-Maria Cautis, Jessica Clementi, Luca De Angelis, Lorenzo De Cinque, Rachele Dubbini, Francesca Romana Fiano, Luigi Lafasciano, Claudio La Rocca, Matteo Lombardi, Jessica Mongillo, Ian Regueiro Salcedo e Fabio Turchetta 50 a r c h e o


Ortofoto della trincea di scavo. Nell’ultima campagna, le indagini si sono concentrate nell’area piú distante dalla via Appia e hanno interessato un colombario composto da due vani gemelli: quello occidentale conserva la pavimentazione a mosaico (vedi anche la foto alla pagina precedente).

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a via Appia Antica è uno di quei monumenti (nel senso originario del termine, cioè di qualcosa che serve a ricordare) tanto noti a livello mondiale quanto ancora da scoprire da un punto di vista scientifico. Il tratto di strada caratterizzato dall’attraversamento del fiume Almone, dove terminava lo spazio amministrativo della Roma antica, non era mai stato interessato dalla ricerca archeologica. Qui l’Appia scende nella valle dell’Almone e poi, dopo aver ripreso quota, diventa la grande via extraurbana celebrata come regina viarum («regina delle vie»). Si tratta di un’area cruciale di Roma, poiché comprende il solo altro spazio pianeggiante prossimo alla città antica, oltre al Campo Marzio, non a caso conIn alto: il colombario a vani gemelli in corso di scavo. A sinistra: l’area di scavo in una foto da drone. Nella pagina accanto: la via Appia Antica nel tratto che attraversa la valle del fiume Almone, con vista su Roma.

traddistinto da un altro campus per le esercitazioni marziali e dal piú importante culto di Marte della città: quello di Mars Gradivus, che incede in battaglia senza indietreggiare. Le fonti letterarie sono piuttosto generose di informazioni: se la dedica dell’ampia area sacra al dio può essere connessa alle origini della repubblica, il tempio al suo interno 52 a r c h e o

fu costruito dopo il traumatico sacco gallico del 390 a.C. e quindi il santuario avrebbe potenziato il suo ruolo lungo quella strada che, soprattutto dopo la sistemazione di Appio Claudio nel 312 a.C., diventò il passaggio principale delle truppe in partenza e di ritorno dalle guerre di conquista. In tal modo, il santuario acquistò un valore simbo-

lico e identitario tale che l’immaginario collettivo ne fece lo scenario dell’incontro con Rea Silvia, da cui Marte sarebbe divenuto padre dei gemelli fondatori; qui si accampò con l’esercito il giovane Ottaviano nel 44 a.C., deciso a vendicare la morte di Cesare, prima di incontrare Antonio in città. In seguito, l’inaugurazione del tem-


FRA COMUNITÀ E COMMUNITY Creare un ponte tra la ricerca scientifica e i «non addetti ai lavori» è il primo obiettivo delle attività di archeologia condivisa organizzate nel cantiere. Fin dalla prima campagna di scavo, gli Open Day settimanali, visite guidate in cui le informazioni sono veicolate in modo chiaro e coinvolgente, attirano cittadini e turisti. Gli eventi «Vivi l’esperienza dell’archeologia» permettono inoltre ai visitatori dai sette anni in su di svolgere sul campo in totale sicurezza – per la prima volta in uno scavo universitario romano – le attività principali della professione dell’archeologo, accompagnati dal gruppo di lavoro dello scavo. Grazie a queste iniziative, i visitatori percepiscono ora «Appia Antica 39» come un luogo familiare, accessibile e ricco di stimoli in cui tornare non solo per seguire l’evoluzione dei lavori e delle scoperte, ma anche per stringere rapporti personali con l’équipe dell’Università di Ferrara. Dalla terza campagna è dunque nata una comunità che, affezionatasi al

pio di Marte vendicatore (e padre) nel Foro di Augusto e la crescita smisurata di Roma, che fece aumentare notevolmente il fabbisogno di nuovi spazi per uso abitativo e funerario, devono aver ridotto in popolarità ed estensione il santuario sull’Appia. Il santuario rimase un segno distintivo del paesaggio locale ancora in epoca imperiale e tar-

cantiere, alla quotidianità della sua vita e ai suoi professionisti, ne segue le novità anche tramite i canali social (@Appiantica39 su Instagram, Facebook e TikTok). Il filo rosso dell’archeologia condivisa raggiunge cosí la Community online, costituita da followers di tutto il mondo che, grazie a una comunicazione mirata, scopre e conosce in tempo reale quanto accade nel cantiere e nei laboratori. L’archeologo si pone come mediatore dei contenuti scientifici per diversi pubblici, nell’ottica di un’archeologia sempre piú partecipata. Il feedback ricevuto è notevole: nel periodo settembre-ottobre 2023, ben 131mila utenti sono stati coinvolti, di cui 2-4mila utenti attivi ogni giorno che seguivano le attività di scavo in tempo reale grazie alle stories. I social hanno raggiunto anche un pubblico straniero, principalmente da Stati Uniti, Canada, Germania, Regno Unito e Spagna. Lorenzo De Cinque, Chiara Maria Marchetti e Olga Osipova

do-antica, per cadere nell’oblio il numero e il nome degli studiosi dall’età medievale in poi. che se ne sono occupati, nessuna localizzazione proposta negli ultimi secoli è risultata davvero convincenLO SCAVO te. L’interesse per Marte Gradivo si è «APPIA ANTICA 39» Ricercato senza successo sin dal riacceso dieci anni fa con la scoperCinquecento, il santuario di Marte, ta, in documenti inediti del 1970 soprattutto il suo tempio, è diventa- riguardanti la realizzazione del Colto cosí uno dei monumenti piú in- lettore della Caffarella, dello scavo di triganti della via Appia: nonostante una costruzione monumentale in a r c h e o 53


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blocchi di cappellaccio, interpretabile come un tempio a doppia cella degli inizi del IV secolo a.C. Si tratta del tempio di Marte? L’interpretazione della struttura è avvenuta solo sulla base dei documenti di archivio e, per verificare la correttezza dell’ipotesi, sarebbe stata necessaria un’indagine archeologica. La struttura si trovava tuttavia in uno dei lotti del Parco della Caffarella espropriati dal Comune di Roma nel 2005, ma da allora rimasti in possesso dei vecchi proprietari: per i cittadini del Parco, in particolare per il Comitato per il Parco della Caffarella, la prospettiva di uno sca54 a r c h e o

vo archeologico rappresentò l’occasione giusta per far tornare pubblici quei lotti ancora in mano ai privati. Il Comitato contattò cosí Rachele Dubbini, che aveva effettuato la scoperta. L’associazione L’Italia Fenice e la fondazione Patrum Lumen Sustine si resero disponibili a sostenere le indagini archeologiche; allo stesso modo le istituzioni che si occupano di questo tratto della via Appia, cioè il Parco Archeologico dell’Appia Antica, il Parco Regionale dell’Appia Antica e il Comune di Roma (in particolare il Dipartimento Tutela Ambientale, proprietario dei lotti, e la Sovrintendenza


A sinistra: la via di accesso ai monumenti funerari, con il riempimento tagliato dalle sepolture infantili. Nella pagina accanto: particolare del pavimento musivo di uno dei monumenti funerari, in corso di scavo. In basso: una sepoltura infantile, in nuda terra, con parziale copertura fittile.

Capitolina), collaborarono insieme all’Università degli studi di Ferrara per un progetto di archeologia teso al recupero e alla riqualificazione dell’area. Cosí finalmente, nel settembre 2022 si è aperta la prima campagna di scavo «Appia Antica 39», in regime di concessione triennale del Ministero della Cultura (DG ABAP DD 679, 31/05/2022). La trincea di scavo è stata realizzata nel primo dei lotti tornati di proprietà al Comune di Roma, tra il cosiddetto sepolcro di Geta e il fiume Almone, poco piú a nord dell’area in cui si trovano le strutture monumentali scoperte nel 1970.

INTERDISCIPLINARIETÀ E CONDIVISIONE L’archeologia non deve costituire l’impedimento allo sviluppo dei nostri territori, come troppo spesso si percepisce in Italia, ma diventarne il motore. Per rispondere alle richieste dei cittadini e alle necessità di un’area critica – anche se centrale – di Roma, il progetto «Appia

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Antica 39» è nato come un laboratorio scientifico e didattico in cui diverse discipline sperimentano i metodi piú innovativi della ricerca in vista di obiettivi comuni: a fianco dell’archeologia operano non solo l’antropologia fisica e le scienze naturali, secondo una prassi ormai consolidata, ma rivestono un ruolo centrale anche le indagini socio-

economiche e urbanistiche e la comunicazione sul campo, dai media tradizionali ai social network. Nonostante il suo elevato potenziale culturale, questo tratto di Appia è infatti percepito dalle comunità locali e dai visitatori come un luogo di abbandono e privo di valore storico, a causa dell’impossibilità di goderne, anche per il traf-

Il vano occidentale del colombario in corso di scavo in una foto da drone.

fico eccessivo, e di comprenderne il paesaggio, nascosto dietro mura e cancelli. La restituzione di queste aree al pubblico passa quindi necessariamente per la condivisione della ricerca archeologica, dei suoi spazi e dei suoi contenuti, al fine di far riscoprire il valore culturale dell’area e di generare benessere. Cosí, affrontando il delicato rapporto tra patrimonio archeologico, identità sociale e culturale, trasformazioni urbane e rigenerazione degli spazi, la conoscenza del passato può diventare il fondamento della progettazione futura di territori e comunità.

SEPOLTURE A RITO MISTO Le attività di scavo, dirette da Fabio Turchetta della ditta Archeo e condotte con il prezioso contributo di studenti provenienti da diverse università italiane, hanno messo in luce un lotto che accoglie numerosi monumenti funerari, allestiti tra il I e il II secolo d.C. sul crinale della collina che dalla via Appia degradava verso il fiume Almone. Gli edifici sorgevano senza soluzione di continuità, addossati gli uni sugli altri, seguendo l’orientamento della via Appia Antica e verosimilmente su percorsi viari perpendicolari alla consolare. Si tratta di tombe a cella di piccole dimensioni, in opera laterizia, progettate per ospitare sepolture a rito misto: a incinerazione, in nicchie ricavate nelle pareti per contenere coppie di olle cinerarie infisse nella muratura, e a inumazione, in ampi arcosoli progettati per accogliere sarcofagi, posti direttamente sul piano pavimentale. Questi monumenti furono eretti da gruppi di tipo principalmente familiare (fino a questo momento nessun indizio rimanda alla presenza di corporazioni) appartenenti a una fascia sociale medio-alta e che avevano una disponibilità economica tale da permettersi una «cappella di famiglia» a ridosso dell’Appia Antica, nel tratto piú 56 a r c h e o


prossimo alla città di Roma. Il livello delle tecniche costruttive, delle decorazioni pavimentali, con mosaici a decorazione geometrica o con semplice emblema figurato centrale, e di quelle parietali, che presentano decorazioni sia geometriche che figurate di una buona qualità pittorica ma essenziali, conferma tale lettura.

UN PROBLEMA RICORRENTE Lo stato di conservazione del sito di età classica è eccezionale grazie ai livelli di colmata che hanno sigillato le strutture impedendone la successiva spoliazione: tale scelta fu dovuta all’innalzamento della falda acquifera, un problema presente nel sito probabilmente già dalla fine del III secolo d.C., ma che divenne insostenibile attorno al VII secolo d.C. In particolare, i depositi unitari che obliterano l’interno delle strutture sono caratterizzati dalla presenza di frammenti di coppe in ceramica sigillata africana che suggeriscono un orizzonte cronologico di IV-V secolo d.C.; il rinvenimento di anfore africane del VII secolo permette di individuare un’ulteriore fase di In alto: il recupero di una colonnina in marmo proveniente dall’ambiente mosaicato. A sinistra: frammento di intonaco finemente decorato, rinvenuto nel riempimento di un ambiente e probabilmente da attribuire a un contesto abitativo.

abbandono dell’area esterna agli edifici. In sintesi, per poter continuare a utilizzare l’area, in diversi momenti storici fu necessario riempirla repentinamente, attingendo anche a materiali provenienti da altri contesti, come indica per esempio il rinvenimento di numerosi frammenti di intonaci con raffinate decorazioni attribuibili ad abitazioni prestigiose. Grazie a questa nuova sistemazione dell’area, il sito continuò a essere frequentato anche in epoca medievale e moderna: oltre alla presenza di inumazioni in semplici fosse, che andarono a occupare soprattutto gli spazi esterni agli edifici funerari, l’area fu interessata dal passaggio di una strada glareata, composta da ciottoli e ceramica fratta, che attraa r c h e o 57


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versa la porzione nord del saggio con orientamento NE-SO. In epoca moderna, il secolare problema della risalita di acqua venne in parte risolto con la creazione di un sistema di drenaggio costituito da semplici canali che, tenendo conto di una fase ancora embrionale dello studio dei reperti, al momento possono essere datati al XVII secolo. Sul fronte ovest dell’area di scavo, inoltre, stanno tornando alla luce testimonianze di un’occupazione piú tarda, ancora da indagare. Il fatto che si tratti di un lotto dedicato alla costruzione di monumenti funerari è supportato dalla presenza di un imponente muro che delimita l’area sul lato meridionale e su cui i colombari si appoggiarono sfruttando appieno tutto lo spazio disponibile. Si tratta di un recinto monumentale in blocchi di tufo, la cui datazione è ancora incerta, e che definiva lo spazio costruito del lotto funerario rispetto a uno spazio aperto ancora tutto da indagare. Il rinvenimento di tale struttura In alto: particolare della decorazione parietale con eroti del monumento funerario di C(aius) Ofilius Ianuarius (Ofilio Ianuario). A sinistra: l’ara funeraria di C(aius) Ofilius Ianuarius durante lo scavo. Nella pagina accanto: il gruppo di lavoro al momento della scoperta dell’iscrizione di Avidia Priscilla.

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tà dei ritrovamenti. Le indagini hanno interessato la porzione orientale del saggio, l’area piú distante dal tracciato della via Appia Antica. Una scelta dettata della complessa convivenza con il vicino fiume Almone, per cui è stato necessario concentrare gli sforzi in una zona che verrà allagata dalle piogge invernali. Lo scavo si è cosí approfondito nel colombario piú orientale: si tratta di un edificio costituito da due vani gemelli dotati di un paramento esterno in opera laterizia di straordinaria qualità esecutiva, databile alla piena età antonina, in cui sono state raggiunte le quote pavimentali, mettendo in luce sepolture a incinerazione in parete e inumazioni entro ampi arcosoli. Il vano occidentale, che non subí RITROVAMENTI variazioni planimetriche, conserva ECCEZIONALI I risultati delle campagne di scavo ancora l’originaria pavimentazione del 2023 stupiscono sia per la com- in mosaico a tessere bianche e nere: plessità del sito, sia per l’eccezionali- al centro di una fascia nera si trova testimonia in ogni caso la presenza di un’area aperta che poteva appartenere a un privato, forse un giardino coltivato (locus amoenus) sviluppato attorno a una sepoltura prestigiosa appartenente a un personaggio di alto rango: in questa prospettiva, potremmo immaginare che si tratti del giardino della vicina tomba detta di Geta, databile agli inizi dell’epoca imperiale. Al momento, però, nulla esclude che tale recinto monumentale sia invece da attribuire alla delimitazione di uno spazio pubblico, come per esempio quello sacro dedicato a Marte Gradivo. Soltanto la prosecuzione delle indagini archeologiche potrà sciogliere la questione.

l’emblema in cui dovevano essere rappresentate due colombe appoggiate su un cratere. Si tratta di un motivo molto noto nel mondo antico, che prende spunto dalla famosa composizione del mosaicista Sosos, attivo a Pergamo nel II secolo a.C. e ricordato da Plinio il Vecchio (Nat. Hist., XXXVI, 184). Di questa composizione esistono molte copie nel mondo romano: su un kantharos in metallo colmo di acqua si trovano due o piú colombe, di cui una si abbevera dal contenitore, mentre le altre si godono il sole. Di tale decorazione rimane tuttavia la sola metà destra: la pavimentazione subí un restauro già in antico, verosimilmente a seguito della deposizione di un’ulteriore sepoltura. In questa occasione si tentò di risarcire la pavimentazione che era stata distrutta per aprire la nuova fossa, ma probabilmente mancò la capacità tecnica di ricoa r c h e o 59


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struire il tessuto decorativo originario. Il vano continuò a essere utilizzato a scopo sepolcrale per almeno quattro secoli, con inumazioni che occuparono gli originari arcosoli dell’ambiente, alcune delle quali contenute in sarcofagi in terracotta. Si tratta di due sepolture secondarie (ossari) contenenti riduzioni di sepolture primarie e di tre multiple, le piú interessanti e complesse dell’intera campagna di scavo.

LA TESTA DI UN CAVALLO Tra queste la sepoltura T. 40, in sarcofago di terracotta conservato in situ, aveva subito catturato l’attenzione in quanto presentava i resti ossei della testa di un cavallo appoggiati al centro del sarcofago, come una sorta di segnacolo. Al suo interno si trovavano la deposi-

zione secondaria in riduzione di un individuo giovane e altri tre individui in giacitura primaria: una donna e un uomo, privi di cranio, e una giovane di età inferiore ai 15 anni, la quale presentava un difetto di crescita molto grave dovuto probabilmente a deficit nutrizionali o a patologie specifiche che potranno essere confermate solo dalle analisi in laboratorio. Il vano orientale fu oggetto invece di una radicale ristrutturazione tra il III e il IV secolo d.C.: l’ambiente venne ridimensionato mantenendo però intatte le sepolture piú antiche e, sulle pareti decorate con un significativo affresco che emulava lastre di marmo giallo antico, si aprirono tre nuovi arcosoli. Probabilmente già alla fine del III secolo d.C., quando il vano subí tale ristruttura-

QUI L’ACCESSO NON È VIETATO Nastri bianchi e rossi, reti arancioni di plastica e cartelli di divieto sono i segnali respingenti e simbolici dell’inaccessibilità in cui ci si imbatte davanti alle scoperte in corso. In via Appia Antica 39 invece archeologi, architetti e ingegneri della sicurezza hanno progettato insieme la realtà operativa del cantiere in modo da renderlo accessibile, accogliente e compatibile con la presenza del pubblico in sicurezza. Al centro di una innovativa strategia di design, rivolta alla cura del luogo, sono gli spazi, i percorsi e i dispositivi di sicurezza e le procedure. La trincea di scavo è l’epicentro delle scoperte, e attorno a essa si snodano percorsi dedicati che consentono a persone, strumenti e reperti di circolare in modo compatibile tra il deposito, l’area di documentazione e del trattamento dei reperti. Tra gli ulivi un percorso a tappe è segnalato da pannelli informativi rimovibili e aggiornabili. Il fogliame caduto è utilizzato per 60 a r c h e o

zione, la convivenza con il vicino fiume Almone dovette rivelarsi complicata: verosimilmente l’acqua di falda iniziò a salire di livello e si tentò di contrastarla con una sopraelevazione del piano pavimentale, con l’uso del cocciopesto e con una sorta di battente che alzò la quota della soglia d’ingresso. A questa fase fa probabilmente riferimento una lastra marmorea modanata con un testo epigrafico magnificamente conservato, rinvenuta nel riempimento del vano: l’epigrafe sembra attribuire la proprietà dell’edificio ad Avidia Priscilla, che fece da viva il sepolcro per sé, per il figlio «dolcissimo» Egnazio Primo, per i liberti e le liberte e i loro posteri. Questa non è l’unica epigrafe integra rinvenuta nello scavo: da un altro colombario, piú prossimo alla via


creare tracciati temporanei e modificabili: quando viene rimosso la terra battuta suggerisce i sentieri da percorrere, mentre quando è accumulato crea aree di rispetto attorno agli spazi di lavoro. Questi percorsi consentono ai visitatori di avvicinarsi gradualmente alle soglie dello spazio in cui operano gli archeologi. Il bordo della trincea rappresenta una sfida critica per la sicurezza del cantiere. Orizzontalmente, i dissuasori «battitacco» in legno delimitano l’area accessibile ricoperta di foglie dal bordo scavo, al di là del dissuasore, messo in luce pulendo la terra battuta. Oltre questo limite è tracciata una linea rossa per evidenziare il dislivello e il rischio di caduta. Verticalmente, la delimitazione è realizzata con picchetti metallici fissati nel terreno protetti da copritondini rossi e da corde naturali, intervallate da fascette rosse cui sono appesi i segnali di divieto e pericolo. Tale recinzione a protezione dello scavo, integrata

con le procedure di accesso all’area, la rende pienamente conforme in materia di sicurezza, reversibile, temporanea e adattabile alle esigenze di cantiere, ma soprattutto compatibile con lo spirito del luogo. Le procedure relative al trattamento dei reperti si trovano in uno spazio sicuro, in un’area aperta a prato, accanto alla trincea che è un luogo di incontro tra specialisti e pubblico per lo svolgimento di attività didattiche in comune. Grazie al recupero di materiali offerti dalla comunità, ispirandosi ai principi di sostenibilità e inclusione, l’allestimento del cantiere offre un’esperienza di visita sicura per il pubblico contribuendo all’incremento di una generalizzata sensibilità culturale nel rispetto di persone, luoghi e cose: unica garanzia di una presa in cura del patrimonio da parte di una comunità sempre maggiore dei soli addetti ai lavori. Francesca Romana Fiano, Valentina Iannilli, Francesco K.B. Simi

In alto, a sinistra: scavo di sepolture secondarie poste nelle nicchie destinate ad accogliere le urne cinerarie. In alto, a destra, e al centro: lo scavo di un’olletta all’interno di un’urna cineraria e il vaso, integro, con il suo coperchio, subito dopo il recupero. Nella pagina accanto: gruppi di visitatori seguono la spiegazione dello scavo in occasione di uno degli Open Day organizzati per favorire la comunicazione dei risultati acquisiti grazie alle indagini. a r c h e o 61


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Appia Antica e ancora in corso di scavo, proviene un’ara funeraria in marmo, databile al II secolo d.C. Nel testo, dopo la consueta dedica agli dei Mani, sono menzionate le persone destinatarie del sepolcro: C(aius) Ofilius Ianuarius fece, da vivo, per sé per la sua famiglia, per i liberti e le liberte e per i loro posteri. Il testo è privo dell’oggetto della dedica, ma la posizione dell’ara al centro del monumento funerario e in asse con la porta di accesso, collocata quindi in modo da essere vista entrando nell’ambiente, indica che fu il monumento stesso a essere dedicato. Questo straordinario reperto è stato esposto nella mostra «Patrimonium Appiae. Depositi emersi» curata da Francesca Romana Paolillo, Mara Pontisso e Stefano Roascio del Parco Archeologico dell’Appia Antica. Allo stesso edificio appartiene un angolo di decorazione parietale policroma rappresentante eroti alati che reggono la palma della vittoria. Questa struttura verrà indagata nella prossima campagna archeologica.

Sequenza dei mutamenti del sito. Da terreno all’ombra degli ulivi a cantiere di scavo allestito per la comunità. Nella pagina accanto, in alto: il percorso di visita tra gli ulivi che consente di visitare gli spazi del cantiere e gradualmente conduce alla trincea di scavo. Nella pagina accanto, in basso: studenti dell’Università di Ferrara con frammenti di anfora provenienti dagli strati di obliterazione degli edifici funerari. 62 a r c h e o

TOMBE MOLTO SEMPLICI Anche la via di collegamento fra la via Appia e la serie di monumenti funerari fu obliterata intorno al VIVII secolo per mezzo di spesse colmate di terra mista a ceramica, laterizi e macerie provenienti da edifici attigui, verosimilmente già abbandonati, estranei al contesto funerario. Queste colmate furono successivamente tagliate da sepolture a inumazione, realizzate lungo i muri esterni degli stessi monumenti funerari: si tratta di tombe molto semplici, con coperture alla cappuccina o in nuda terra, in cui il sedimento limo-sabbioso che le ha obliterate ha favorito la conservazione ottimale dei resti ossei, appartenenti essenzialmente a individui subadulti (010 anni). Come negli altri casi, soltanto la prosecuzione degli scavi potrà chiarire l’anomalia di uno spazio dedicato in maniera specifica alla sepoltura di bambini.


pregio sono alcuni frammenti di intarsi di pasta vitrea, arte decorativa di tradizione egiziana attestata in tutto il Mediterraneo; essi sono da attribuire a una composizione a tema marino con pesci nell’atto di nuotare in direzioni contrapposte, al centro di un pannello che decorava le pareti di ambienti prestigiosi, di incerta attribuzione rispetto al contesto indagato.

Dopo l’ultima campagna sale a 245 il numero di cassette di reperti raccolti. Tra queste, la percentuale maggiore (il 74%) spetta al vasellame di epoca romana, che comprende ceramiche fini da mensa e prodotti da cucina che coprono un arco cronologico che va dalla prima età imperiale alle soglie del Medioevo. Due terzi del totale sono invece costituiti da anfore da trasporto, oggetti voluminosi la cui presenza massiccia è da intendersi come materiale reimpiegato nelle attività di obliterazione degli edifici funerari. Seguono i materiali da costruzione che – oltre alle tegole integre impiegate per le sepolture piú tarde – restituiscono circa 1500 frammenti, già vagliati al fine di selezionare le modanature architettoniche realizzate in marmo e in terracotta nell’ottica di ricomporre – a partire dagli elementi in situ – le architetture di porte e facciate degli edifici funerari. Tra i reperti piú significativi si segnalano 16 marchi di fabbrica sui materiali da costruzione e sulle anfore, unitamente a frammenti che riportano le informazioni relative ai prodotti contenuti, i cosiddetti tituli picti, dipinti sul collo delle anfore.Tra gli elementi di eccezionale

UN APPROCCIO GLOBALE Tra gli oggetti che contraddistinguono il contesto funerario si annoverano invece i frammenti di ulteriori sarcofagi, uno dei quali dalla caratteristica forma a lenòs (tinozza), e i coperchi di urne cinerarie, di un tipo ben documentato tra il 90 e il 140 d.C., rinvenuti integri o frammentari nelle colmate o in situ a chiusura delle olle cinerarie. Dallo scavo provengono 14 monete, 14 lucerne e i frammenti di diversi balsamari in vetro per oli profumati, oltre ad aghi da cucito e spilloni in osso per acconciature femminili.

In conclusione, l’indagine del sito di via Appia Antica 39 consente di ricostruire i rituali e le modalità di sepoltura del mondo romano dal II sino almeno al VII secolo d.C. Lo scavo sta portando all’identificazione di un contesto non unico a Roma, tuttavia, grazie all’approccio globale che caratterizza il progetto, dallo scavo stratigrafico a nuove modalità di archeologia condivisa, permetterà di ricostruire la vita e la morte di uomini, donne e bambini vissuti quasi due millenni fa e di restituirla alla comunità. L’archeologo non deve infatti essere piú inteso come l’asettico esecutore della procedura stratigrafica, ma come il mediatore tra il mondo antico e quello contemporaneo; lo stesso, ricostruendo le storie del sito indagato, saprà restituire dignità alle persone che lo hanno frequentato in passato e i suoi diversi valori ai pubblici del presente, contribuendo cosí attivamente alla rigenerazione dei territori, anche nelle situazioni piú critiche.

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Un particolare dell’allestimento del Museo Civico Archeologico «G. Rambotti» di Desenzano del Garda (Brescia). Al centro, su un tappeto multimediale interattivo che riproduce lo stagno, è la piroga proveniente dal sito del Lavagnone.

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STORIE DI F VITA IN RIVA AL LAGO

L’INSEDIAMENTO PALAFITTICOLO DEL LAVAGNONE, PRESSO DESENZANO DEL GARDA, È OGGETTO DELLE INDAGINI SISTEMATICHE CONDOTTE DALL’UNIVERSITÀ DI MILANO. SCAVI PREMIATI DA RITROVAMENTI DI ECCEZIONALE INTERESSE PER LA RICOSTRUZIONE DEL MODUS VIVENDI DELLA COMUNITÀ STANZIATA SULL’ANTICO BACINO LACUSTRE di Cristina Ferrari

in dalle loro prime scoperte, le palafitte hanno acceso l’immaginazione e la curiosità della comunità scientifica e del grande pubblico, per via della loro unicità e della straordinaria rilevanza scientifica ai fini della ricostruzione storica, archeologica e naturalistica dell’età preistorica. Attestate in un orizzonte cronologico che va dal Neolitico al Bronzo Finale (tra il 5000 e il 500 a.C. circa), le palafitte rappresentano un sistema di adattamento all’ambiente tipico delle zone umide: in particolare, per quanto riguarda il territorio italiano, della regione dei laghi di Varese e di Garda. La loro importanza è stata riconosciuta nel 2011 con la creazione del sito seriale «Siti Palafitticoli Preistorici dell’Arco Alpino», inserito nella Lista del Patrimonio UNESCO, che comprende 111 dei circa 1000 insediamenti localizzati tra Austria, Francia, Germania, Italia, Slovenia e Svizzera, riconoscendo anche la necessità della loro conservazione. Del sito seriale transnazionale fanno parte 19 villaggi palafitticoli italiani, suddivisi in 7 grandi macroaree, distribuite tra Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia (piccoli laghi e torbiere del Piemonte, Lago Maggiore e Laghi Varesini tra Piemonte e Lombardia, Lago di Garda tra Lombardia e Veneto, fiumi tra Lombardia e Veneto, laghi e torbiere del Trentino, Berici ed Euganei del Veneto, fiumi e paludi tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia). Nel sito UNESCO è compreso l’abitato del Lavagnone, sorto, come la palafitta del Lucone di Polpenazze (vedi «Archeo» n. 444, febbraio 2022; on line su issuu.com), su un antico laghetto inframorenico, circa 3,4 km a sud dell’attuale sponda del Lago di Garda, al confine tra i comuni di Desenzano e Lonato (Brescia). «Le prime fortuite scoperte – spiega Marta Rapi, professore di preistoria a r c h e o 65


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e protostoria dell’Università di Milano e direttore dello scavo in corso al Lavagnone – risalgono a lavori di estrazione della torba tra il 1880 e il 1886, mentre i primi saggi di scavo furono effettuati nel 1961 da Fernando Fussi, ma solo nel 1971 sono iniziati i primi scavi regolari, a opera del Museo Nazionale Preistorico Etnografico Pigorini di Roma, diretti da Barbara Barich». «Le campagne di scavo rientravano nelle indagini mirate ad acquisire dati e a contestualizzare i siti palafitticoli riferibili alla cultura di Polada (il cui sito eponimo, nell’anfiteatro morenico del Garda, era ormai esaurito). Di questi scavi fanno parte anche le campagne svolte da Renato Perini tra il 1974 e il 1979, che hanno portato all’individuazione di una sequenza di orizzonti archeologici, i piú antichi dei quali collegati appunto a evidenze palafitticole. Importanti raccolte di superficie sono state effettuate negli anni Sessanta (Leonardo de Minerbi) e Settanta (Paolo Pegoraro ed Ettore Merici) del secolo scorso». Dopo una lunga pausa, le indagini sono riprese nel 1989, a opera 66 a r c h e o

dell’Università degli Studi di Mila- ghetti inframorenici privo di imno, inizialmente sotto la direzione missari e di emissari a sud del Lago di Raffaele de Marinis. di Garda, già in fase di prosciugamento nell’età del Bronzo». INCENDI E RICOSTRUZIONI Le indagini interessano alcune aree «Gli scavi – continua Rapi – hanno campione (non si tratta di uno scaportato a individuare 9 fasi dell’a- vo estensivo), in quanto, per dispobitato, che coprono un arco crono- sizione UNESCO, il sito va preserlogico dall’inizio del Bronzo Anti- vato per futuri scavi. «In particolaco alla fine del Bronzo Medio, a re, dal 2007 le indagini si concenpartire dalla sua fondazione tra il trano su due aree significative per 2070 e il 1994-91 a.C. (Lavagnone comprendere le dinamiche dell’oc2) e la ricostruzione dopo un in- cupazione, i settori E e D, situati in cendio, avvenuto nel 1984 a.C. una porzione intermedia e centra(Lavagnone 3). Anche il nuovo abi- le dell’antico bacino, con un gratato venne a sua volta distrutto da duale passaggio da una zona piú un incendio nel 1916 a.C. Il Lava- asciutta a una piú umida e torbosa, gnone era una piccola conca lacu- caratterizzata da acqua di risalita, stre di origine glaciale di circa 16 con il conseguente utilizzo di ettari – 560 m in direzione nord, pompe di drenaggio. Il settore E, nord est/sud, sud-ovest per 450 m nel comune di Desenzano su terin direzione est/ovest –, trasforma- reni acquistati nel 2011 dalla locale to in torbiera e bonificato a inizio amministrazione, ha evidenziato del secolo scorso tramite un fosso resti risalenti al Bronzo Antico, scolmatore, di cui attualmente so- mentre il settore D (nel territorio pravvive una piccola area paludosa. di Lonato e in un’area piú umida, Si tratta di uno dei numerosi la- sul margine della palude), resti del


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Una realtà diffusa La maggior parte dei siti palafitticoli a oggi noti si concentra nell’Italia settentrionale, come illustra la cartina, che ne indica i principali: 1. Trana; 2. Viverone; 3. Piverone; 4. Mercurago; 5. Lago di Monate; 6. Isolino Virginia; 7. Palude Bardello, Bardello Ranchet, Bardello Stoppani; 8. Ponti o Cazzago-Palude Brabbia; 9. Gaggio-Keller, DesorMaresco, Bodio Centrale; 10. Lagozza; 11. Lagozzetta; 12. Bosisio Parini; 13. Torbiera Iseo; 14. Lucone; 15. Fornella di S. Felice sul Benaco; 16. Gabbiano di Manerbia; 17. Moniga; 18. Corno di SottoDesenzano; 19. Polada; 20. Lavagnone; 21. Barche di Solferino; 22. Bande di Cavriana; 23. Castellaro Lagusello; 24. Isolone del Mincio; 25. Maraschina; 26. Peschiera; 27. Bor di Pacego; 28. Cisano; 29. Ledro; 30. Fiavé; 31. Feniletto; 32. Fimon-Molino Casarotto; 33. Fimon-Fondo Tomellaro. 34. Arquà; 35. Palú di Livenza.

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In alto: cartina della distribuzione dei principali siti palafitticoli italiani. Nella pagina accanto: ipotesi ricostruttiva del primo villaggio palafitticolo insediatosi al Lavagnone e del contesto ambientale in cui si inserí. In basso: modelli in scala di abitazioni palafitticole, basati sui resti scoperti nell’insediamento di Fiavé (Trento).

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SCAVI • LOMBARDIA

UN TERRITORIO E LA SUA STORIA Fondato nel 1990 per custodire le testimonianze archeologiche del territorio di Desenzano, il Museo Civico Archeologico «Giovanni Rambotti» (primo sindaco di Desenzano nel 1860 e scopritore del sito di Polada) ha accolto come primo nucleo i manufatti rinvenuti al Lavagnone durante gli scavi di Renato Perini e dell’Università di Milano, e si è progressivamente ampliato negli anni grazie ai reperti provenienti dai successivi scavi dell’antico villaggio, ma anche da molti altri abitati dell’area gardesana. In particolare, dal 2011, con la

In alto: la ricostruzione dell’interno di una capanna dell’età del Bronzo proposta nella sezione del Museo Rambotti dedicata al Lavagnone. A destra, sulle due pagine: l’aratro del Lavagnone, rinvenuto da Renato Perini nel 1977 nei livelli piú antichi dell’insediamento palafitticolo.

Bronzo Medio. Nel corso del tempo sono state realizzate diverse tipologie di strutture palafitticole, con abitazioni poggianti su pali lunghi o su pali piú corti, che scaricavano il peso su plinti (questi ultimi tipici della fase di ricostruzione dopo il primo incendio), o costruite su strutture non sopraelevate di bonifica, oppure direttamente sul suolo asciutto».

UNA SELVA DI PALI «Comprendere le dimensioni e il perimetro delle singole strutture abitative è difficile, in quanto ci troviamo di fronte a un abitato che si è sviluppato nel tempo, con una stratificazione di pali di varie epoche per sostenere i tavolati e le capanne (aggiunte, lavori di manutenzione, ecc.), arrivando a creare una vera e propria “selva di pali”. Tutti i pali vengono schedati e 68 a r c h e o

mappati, campionati, ma poi lasciati in loco e ricoperti per motivi conservativi. Si è comunque stabilito che si tratta molto probabilmente di un unico insediamento che si espande (o si restringe) nel tempo, a partire dalla sua fondazione (Bronzo Antico), quando il livello delle acque era già notevolmente piú basso rispetto al Neolitico e al Mesolitico (il contesto ha restituito tracce di frequentazione anche durante queste fasi)». «L’abitato originario copriva un’area di circa 6000 mq ed era costituito da un villaggio su impalcato aereo, in un’aria periodicamente esondata, delimitato da una palizzata verso est (zona asciutta) e raggiungibile da nord-est seguendo una passerella di legno (timber trackway). L’insediamento si è poi notevolmente ampliato soprattutto nel Bronzo Medio, epoca in cui ha


creazione del sito UNESCO, è stato stabilito che nel Museo confluissero tutti i materiali provenienti dagli abitati palafitticoli della sponda bresciana del Lago di Garda, eccetto quelli ritrovati a Manerba (esposti nel Museo Civico Archeologico della Valtenesi), al Lucone di Polpenazze (MAVS, Museo Archeologico della Valle Sabbia) e quelli già conservati nell’Antiquarium collocato all’interno dell’area archeologica delle Grotte di Catullo (Sirmione). Il piano terra dell’edificio, un ex monastero carmelitano fondato nel 1472 e accessibile tramite il chiostro cinquecentesco, è dedicato alla storia del territorio dal Paleolitico al

Medioevo, con focus sulla collezione Mosconi, sui reperti rinvenuti al Lavagnone durante i primi scavi e le ricerche di superficie, sull’abitato dell’età del Bronzo di Ponte San Marco e sulla villa romana e il successivo abitato medievale in località Faustinella-San Cipriano (comune di Desenzano). Il primo piano è invece interamente dedicato alle palafitte (con particolare attenzione al Lavagnone, di cui sono esposti tutti i reperti, compresi l’aratro e la piroga), tra cui gli abitati del territorio di Sirmione (Maraschina, rientrante anche nel comune di Peschiera del GardaVerona, San Francesco, Porto Galeazzi, Lugana Vecchia, a sua

volta sito UNESCO), Moniga del Garda, Corno di Sotto (Desenzano), Padenghe e Cattaranga (Lonato). La visita è corredata da pannelli didattici che illustrano le varie attività artigianali, i materiali utilizzati e l’alimentazione dell’età del Bronzo, ma anche dalla ricostruzione in scala 1:1 dell’interno di una capanna, completa di suppellettili e arredi, e «abitata» da una famiglia che indossa abiti e ornamenti ricreati a partire dai reperti conservati nelle sale. Molto interessanti sono anche due modelli degli anni Novanta che riproducono le diverse tipologie delle abitazioni rinvenute nel sito palafitticolo di Fiavè (Trento).

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SCAVI • LOMBARDIA

Un’altra immagine della piroga del Lavagnone e, in basso, l’imbarcazione cosí come si presentava al momento della scoperta, avvenuta nel 2018.

UN SCOPERTA STRAORDINARIA: LA PIROGA DEL LAVAGNONE Rinvenuta nel 2018 nella zona piú interna e umida dell’antico bacino lacustre, ai margini meridionali dell’abitato, la piroga del Lavagnone costituisce uno dei reperti piú straordinari provenienti dal sito. «In Italia – spiega Claudia Mangani, direttore del Museo G. Rambotti – sono venute alla luce varie piroghe, ma quasi nessuna può essere datata per assenza di precisi contesti di rinvenimento; inoltre costituiscono una tipologia di imbarcazione per la navigazione in acque dolci in uso per millenni. Invece, per quanto riguarda il reperto in questione, ci aiutano la stratigrafia e la datazione al radiocarbonio (circa tra il 1800 e il 1700 a.C.), che permettono di inserirla a pieno titolo nella vita del villaggio del Bronzo Antico (cultura di Polada)». Ricavata da un unico tronco di quercia sezionato longitudinalmente 70 a r c h e o


raggiunto le dimensioni di circa 1 ettaro». La cultura materiale è ben documentata dai «cumuli di rifiuti», stratificazioni cumuliformi che si formavano sotto le abitazioni. La classe di materiali piú rappresentata è la ceramica, la cui evoluzione tipologica copre tutte le varie fasi di vita dell’abitato. «Si parte dai materiali “poladiani”, privi di decorazione, quali broccali, anfore biansate, vasi tronco-conici per la conservazione di derrate alimentari, e vasi ginecomorfi (particolari vasi biconici ornati con “seni”), fino a ceramiche con motivi decorativi incisi della tarda età del Bronzo Antico. Il Bronzo Medio è caratterizzato da una produzione che trova confronti negli altri siti palafitticoli e terramaricoli dell’epoca, a testimonianza di una crescita demografica e di un areale culturale che si estende oltre il Po (materiali tipici sono tazze ansate, scodelloni e vasi, tutti ornati). Non

mancano reperti che testimoniano scambi e contatti culturali di lunga distanza, come le “tavolette enigmatiche”, piccole panelle in terracotta con segni impressi finora indecifrati, la cui distribuzione ci concentra tra i siti della cultura di Polada e l’area del medio Danubio. Di argilla sono anche fusaiole, rocchetti e pesi da telaio, utilizzati per filatura e tessitura».

a metà, presenta uno scafo a sezione arrotondata, fondo abbastanza piatto e fiancate basse, e doveva misurare in origine 3,6 m di lunghezza e 50 cm di larghezza. «È stata ritrovata divisa in due parti, affondate verticalmente nel deposito torboso, una di fronte all’altra a circa 50 cm di distanza (forse una deposizione intenzionale a scopo rituale). Una delle due parti ha riservato un’altra sorpresa: al suo interno erano infatti contenuti un’asse di conifera e un lungo palo annerito col fuoco e assottigliato verso la metà della sua lunghezza, che era stato probabilmente utilizzato come remo». Dal giugno 2022, dopo l’intervento del Laboratorio di restauro del legno bagnato di Milano della Soprintendenza SABAP CO-LC-VASO, la piroga è collocata nella cosiddetta «Sala del Lavagnone», con uno speciale allestimento

L’équipe dell’Università di Milano subito dopo il recupero della piroga.

ACCESSORI E OGGETTI DI ORNAMENTO «Meno frequenti sono i reperti in bronzo, comunque attestati da asce, ami da pesca, spilloni e pugnali, tra i quali uno straordinario coltello con manico in avorio del Bronzo Finale (1100-900 a.C.), con lama ornata da quattro uccelli stilizzati e una serie di archetti (forse uno specchio d’acqua). La lavorazione dell’osso-corno comprende aghi, punteruoli, zappette, spatole, pettini da tessitura decorati a incisione, un

immersivo: «Il reperto – conclude Mangani – è stato poggiato su un tappeto multimediale interattivo che riproduce lo stagno con la vegetazione lacustre sommersa dell’epoca (ricostruita tramite le analisi coordinate da Cesare Ravazzi del CNR); come esempio della fauna vediamo nuotare una tartaruga a grandezza naturale, le cui

montante da cavalcatura. Notevoli sono alcuni oggetti di ornamento personale, quali placchette, vaghi di collana e pendagli, uno dei quali facente parte di una collana del Bronzo Antico, composta da segmenti di Dentalium (mollusco marino), dischi di madreperla e da un altro pendente in pietra dura». Oggetti di ornamento sono anche perline di ambra baltica di varie forme e dimensioni. Un filo d’oro datato al Bronzo Antico, forse parte di un pendaglio a doppia spirale: «È un reperto molto importate – sottolinea Rapi –, in quanto sono stati rinvenuti pochissimi oggetti in oro dell’età del Bronzo, il piú noto dei quali è probabilmente la tazza di Montecchio (Parma). Anche l’industria litica era fiorente, come attestato da lame di falcetto e coltelli messori (utilizzati per la mietitura), grattatoi, punte di frecce in selce (queste ultime anche in osso e in corno) e bracciali d’ar-

dimensioni sono state ricavate dai numerosi frammenti di carapace rinvenuti durante gli scavi. Altre esperienze di realtà immersiva vengono proposte nella sala dell’aratro, dove un tappeto multimediale mostra immagini degli scavi archeologici. Infine, uno schermo riproduce tre scene di caccia, pesca e agricoltura». a r c h e o 71


SCAVI • LOMBARDIA

ciere in pietra, testimonianza di attività venatorie». In realtà, la caccia doveva rivestire un ruolo molto marginale: «Sono documentati principalmente animali domestici, i cui resti hanno permesso di ricostruire l’evoluzione dei rapporti tra le specie allevate: dall’iniziale predominanza degli ovicaprini (pecore e capre), utilizzati anche per i prodotti secondari, al graduale e costante aumento di bovini e suini, principalmente per la carne. Le specie vegetali comprendono invece vari cereali, comunemente coltivati negli abitati dell’epoca, ma anche frutti tra cui mele e abbondanti cornioli (forse per la preparazione di bevande fermentate)». Ci troviamo infatti di fronte a comunità autarchiche per la produzione primaria (alimentare e beni di prima necessità) ma ben inserite in una fitta rete di scambi a media e lunga distanza per gli altri materiali (metalli, ambra, oro). Utensili e altri reperti dell’età del Bronzo, in legno, osso, corno, bronzo e ceramica, esposti nel Museo Rambotti.

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Di grande interesse sono i reperti in legno: «I piú numerosi comprendono immanicature per asce e falcetti, per un coltello messorio, palette; non molto frequenti sono i contenitori (ciotole e tazze) e i materiali realizzati con intrecci vegetali (stuoie e canestri). In legno è anche il famoso aratro del Lavagnone, rinvenuto nel 1979 da Perini in uno strato torboso che ne ha permesso la conservazione, riferibile al tipo detto di Trittolemo, considerato uno dei piú antichi al mondo».

al pubblico anche un nuovo giogo, rinvenuto sempre nel 2018, anch’esso databile al Bronzo Antico». Ma la ricerca continua. «L’obiettivo – conclude Marta Rapi – è raggiungere lo strato sterile, messo in luce solo nel settore scavato da Perini e in una piccola area del settore D, in quanto molti dei manufatti piú significativi, quali il giogo e la piroga, sono stati trovati a grande profondità ed è necessario acquisire maggiori dati sul loro contesto di rinvenimento».

GIOGHI IN LEGNO «Molto importanti – spiega Claudia Mangani, curatore del Museo Civico Archeologico “G. Rambotti” di Desenzano, in cui sono conservati i reperti del Lavagnone – sono anche un giogo in legno di faggio, esposto nella stessa sala dell’aratro e una piroga del Bronzo Antico, rinvenuta nel 2018 ed esposta dal giugno 2022. Nel 2023 è stato reso fruibile

DOVE E QUANDO Museo Civico Archeologico «G. Rambotti» Desenzano del Garda (Brescia), via Anelli 42 Orario gli orari variano stagionalmente Info tel. 030 9144529: e-mail: museo@comune.desenzano. brescia.it; www.museorambotti.it



MOSTRE • PAESI BASSI

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Particolare della ricca decorazione della coperta dell’evangeliario noto come Codex Ansfridus (per la veduta d’insieme, vedi foto a p. 78) 950-1000. Utrecht, Museum Catharijneconvent.

FALSO ALLARME: IL MONDO NON È FINITO IL PRIMO ANNO DELL’XI SECOLO AVREBBE DOVUTO, SECONDO MOLTI, ESSERE L’ULTIMO DELL’UMANITÀ. UNA CONVINZIONE, SOSPESA A METÀ FRA CREDENZE RELIGIOSE E SUPERSTIZIONE, CHE SEMINÒ INCUBI E PAURE. MA QUANTO INCISERO DAVVERO LE ANGOSCE MILLENARISTICHE SULLA VITA DI OGNI GIORNO? LA RISPOSTA, FORSE INASPETTATA, NELLA MOSTRA ORA ALLESTITA A LEIDA, NEL MUSEO NAZIONALE DI ANTICHITÀ a cura di Stefano Mammini a r c h e o 75


MOSTRE • PAESI BASSI

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li ultimi decenni del X secolo furono segnati dalle paure dettate dalla diffusa convinzione che il mondo non sarebbe sopravvissuto allo scoccare dell’anno 1000. Tuttavia, a dispetto di quel che si potrebbe immaginare, l’epoca a cavallo della data fatidica non fu vissuta in una sorta di sospensione e, anzi, seppur intrisa di timori piú o meno sentiti, fece spesso registrare eventi significativi. Ne è un esempio la storia dei territori oggi conosciuti come Paesi Bassi, che, fra il 900 e il 1100, vissero una

stagione di notevoli mutamenti: una Un altro particolare dell’allestimento fase dunque cruciale, ripercorsa e della mostra in corso a Leida. raccontata dalla mostra «L’anno Mille», curata da Annemarieke Willemsen e allestita presso il Rijksmuseum van Oudheden di Leida. Il percorso espositivo si articola in sette sezioni e si apre con la descrizione di quella che per l’Olanda fu una autentica rivoluzione ambientale. Fra il X e il XII secolo, infatti, la terra coltivata passò dal 30 al 70% dell’intera estensione del Paese, grazie a poderosi e capillari interventi: furono innalzate barriere capaci di

Coperta dell’evangeliario noto come Codex Ansfridus, perché donato dall’omonimo vescovo di Utrecht alla chiesa di S. Martino, duomo della città olandese. 950-1000. Utrecht, Museum Catharijneconvent.

arginare l’ingresso delle acque marine e i terreni vennero drenati, recuperandone la torba. Condotti su larga scala, questi interventi sortirono molteplici effetti collaterali: se, da un canto, si deve segnalare la scomparsa di alcune specie selvatiche – per esempio l’orso bruno –, dall’altro divenne molto piú agevole spostarsi all’interno del territorio, del quale fu possibile redigere mappe assai piú accurate e precise. Sorsero nuovi agglomerati urbani, accompagnati da un sensibile incremento demografico, e la facilità di circolazione favorí i contatti e gli scambi. Gli Olandesi videro ampliarsi i propri orizzonti: in una parola, il loro mondo si fece piú grande.

MONETE COME EMBLEMI DEL POTERE Riflesso emblematico dell’atmosfera di cambiamento fu la monetazione. Nel corso del X secolo circolavano soprattutto piccoli pezzi in argento, recanti le immagini degli ultimi imperatori carolingi o dei re vichinghi. Intorno al 1100, fanno la loro comparsa, in numerose località, nuove emissioni che, a differenza delle precedenti, mostrano, al dritto, le effigi di nobili locali e vescovi. Il rovescio mostra a volte i 76 a r c h e o


In alto: ancora un particolare dell’allestimento della mostra «L’anno Mille», attualmente in corso a Leida. Al centro e qui sopra: veduta d’insieme e particolare di una spada in ferro e ottone che reca scritto il nome VLFBERTH. 950-1000. Leida, Rijksmuseum van Oudheden. a r c h e o 77


MOSTRE • PAESI BASSI

loro centri di potere, come la basilica di S. Servazio di Maastricht o il Castello di Leida. Le nuove divise passano velocemente di mano in mano e si diffondono su vasta scala, tanto che sono attestati pezzi frisoni in tesori monetali rinvenuti in Russia e Polonia. Resta inalterato il valore propagandistico delle monete e chiunque raggiunga il potere dispone la coniazione di nuovi pezzi, sui quali si fa raffigurare con gli attributi della sua funzione: il re con corona e scettro, i vescovi con mitra e pastorale. In questo modo, nel compiere un’azione tipica della vita di ogni giorni, tutti sanno chi è al potere e dove lo eserciti. Non meno rilevante è l’evolversi

In alto e nella pagina accanto, in alto: un video realizzato in occasione dell’esposizione che mostra il passaggio di una cometa, evento che fu considerato un segno dell’imminente fine del mondo. In basso: un particolare dell’allestimento della mostra.

della lingua. Nell’Alto Medioevo, gli abitanti degli odierni Paesi Bassi parlavano in parte l’antico frisone, in parte l’antico olandese e in parte l’antico sassone. A partire dal 1000, l’antico olandese diviene, lentamente, l’idioma dominante. I testi scritti di questo periodo sono il riflesso di una situazione dominata comunque dal multilinguismo, nella quale vivono e operano persone che padroneggiano il latino e varie lingue vernacolari. A oggi sono stati riconosciuti circa 4500 vocaboli dell’antico olandese parlato in quel periodo, tra cui vi sono centinaia di toponimi. La lingua cambia anche per effetto 78 a r c h e o


ospitare comunità piú numerose. I documenti attestano che le fattorie appartenevano spesso a un’abbazia o a un castello: pagavano le tasse e ricevevano protezione. Tra i fenomeni peculiari dell’epoca precedente il 1000 e che trova un terreno particolarmente fertile nel clima di generale angoscia è il culto delle reliquie. Che dà origine a un assai piú prosaico commercio dei sacri resti. Del resto, le reliquie sono indispensabili per fondare una chiesa o un monastero e possono aiutaA destra: valva di dittico in avorio raffigurante una Maiestas Domini, con la famiglia dell’imperatore Ottone II ai piedi del Cristo. 983 circa. Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte Applicata. Nella pagina accanto, al centro: fibula a disco in oro e smalti. 900-1000. Collezione privata.

di spostamenti e migrazioni, poiché le persone portano con sé le loro parole. Al tempo stesso, viaggiatori e i commercianti cercano sempre un modo per comunicare tra loro, influenzando la lingua l’uno dell’altro. I mercanti di Colonia, per esempio, potrebbero aver parlato l’antico frisone a Rotterdam. La lingua riveste anche un ruolo importante per definire l’identità di ciascuno: sei ciò che dici di essere. Piú della terra o dell’etnia, la lingua collega le persone in un gruppo.

I MODI DELL’INSEDIAMENTO Nella mostra vengono anche illustrate le dinamiche di occupazione del territorio. I dati che possediamo per i secoli a cavallo del Mille provengono per lo piú da scavi archeologici. Gli insediamenti a oggi individuati sono di dimensioni contenute: si tratta spesso di gruppi di fattorie, ciascuna delle quali occupata da un nucleo familiare. Non mancano, tuttavia, monasteri e castelli, che potevano di conseguenza a r c h e o 79


MOSTRE • PAESI BASSI

splendidamente decorati e miniati: le parole incorniciate in oro, la rilegatura ornata di pietre preziose. Nell’ambito del potere temporale, tra X e XI secolo, il personaggio piú potente dei Paesi Bassi era l’imperatore del Sacro Romano Impero. All’epoca, quel sovrano, ma anche altri uomini di potere, come i vescovi, viaggiava molto per dare prova dell’esercizio della sua autorità attraverso la presenza. Lungo il cammino, imperatori e alti prelati alloggiavano in palazzi fortificati, nei quali riunivano la corte, distribuiti nell’Europa nordoccidentale, spesso lungo i fiumi. Nei Paesi Bassi, sono stati scavati resti di queste residenze a Utrecht e Zutphen, tra gli altri.

In alto e nella pagina accanto, in basso: altri particolari dell’allestimento della mostra. A destra: astrolabio in ottone prodotto a Valencia da Ibrahim ibn al Sa’id, che firma e data il manufatto. 1086. Kassel, Hessisches Landesmuseum.

re i credenti. Piccole ossa vengono scambiate come regali, avvolte in tessuti preziosi, con il nome del santo su di esse. In questo modo, tessuti esotici millenari sono stati conservati nei tesori liturgici, come nella già citata basilica di S. Servazio a Maastricht. Quei preziosi pacchetti di reliquie sono solitamente custoditi in contenitori o scatole di notevole pregio, che riflettono il valore dei loro contenuti. Anche i libri contenenti testi sacri sono trattati con grande rispetto e vengono 80 a r c h e o

COPPIA REALE Dal 972, la guida dell’impero fu assunta dalla coppia composta dalla principessa Teofano e da Ottone II, il cui palazzo prediletto si trovava a Nimega, sul Valkhof. Nel 980, erano in viaggio da lí dalla Germania quando l’imperatrice diede alla luce un principe ereditario. Quindi, Ottone III, imperatore nell’anno 1000, sembra essere nato su suolo olandese. Sua madre, Teofano, muore nel palazzo di Nimega nel 991, dopo un decennio come unica regnante. Teofano, era una principessa bizantina porfirogenita («generata nella porpora»), grazie alla quale il Sacro Romano Impero, e dunque i Paesi Bassi, intensificò i rapporti con i sovrani del Corno d’Oro. In questo periodo, l’impero bizantino deteneva il controllo di un’ampia porzione della regione mediterranea, crocevia delle rotte commerciali fra Europa, Asia e Africa. La sua capitale Costantinopoli era chiamata «Miklagård» («Città grande») dai Vichinghi ed era sinonimo di ric-


zioni di opere di autori arabi, favorendo la conoscenza di una cultura raffinata ed evoluta. L’Occidente scopre libri sulle piante medicinali, sulla storia, atlanti, opere di astronomia, trattati matematici con numeri arabi, compreso lo zero, nonché trattati sulla falconeria e gli scacchi. E nelle raccolte olandesi si conservano centinaia di edizioni manoscr itte di questi testi prodotte fra X e XI secolo. Né mancano testi religiosi, come i Vangeli e il Corano, talvolta splendidamente decorati, ma anche molta letteratura latina trascritta e opere scientifiche.

Croce pettorale di san Servazio, in legno, oro, argento, avorio, smalti e pietre preziose. Prodotta a Treviri, fu donata alla basilica di Maastricht dall’imperatore Enrico III, probabilmente all’indomani della consacrazione della chiesa, nel 1039. Maastricht, Tesoro della basilica di S. Servazio.

chezza: oro, porpora e mosaici. I visitatori del X secolo scrivono nei resoconti di viaggio sui porti cosmopoliti, i mercati e le scuole dell’area bizantina. E personaggi come Teofano sottolineano che gli imperi globali erano interconnessi e che il lusso e lo status erano riconosciuti ovunque.

TUTTI A ROMA Per contro, Roma, meta di viaggi devozionali sempre piú numerosi e frequentati, era la culla della piú alta autorità del cristianesimo, il papa. Gli imperatori ottoniani venivano qui per essere incoronati, i vescovi di Utrecht per la loro ordinazione e i pellegrini provenienti da tutta Europa. Quelli provenienti dai Paesi Bassi erano accolti nella Schola frisonum, un ospizio attivo nei pressi della basilica di S. Pietro, al

quale era annessa la chiesa dei Ss. Michele e Magno. A smentire la presunta stasi culturale del periodo, negli anni intorno al Mille si moltiplicano le tradu-

UN ANNO COME UN ALTRO... Il percorso espositivo culmina ricostruendo le reazioni delle comunità cristiane alle fosche pevisioni sulla fine del mondo. Molti si convinsero che l’evento fosse stato preannunciato da fenomeni naturali quali il passaggio delle comete o le eclissi solari e non mancarono casi di persone che preferirono privarsi di ogni avere posseduto e partire in pellegrinaggio per chiedere l’aiuto di santi e martiri. In realtà, come poi la storia ha dimostrato, nulla accadde e, del resto, come viene sottolineato nei testi che corredano i materiali esposti, che il 1000 potesse segnare un’apocalisse senza ritorno fu un’esclusiva dell’Europa cristiana: nel resto del mondo, infatti, si utilizzavano calendari diversi e dunque l’ingresso nel primo anno del nostro XI secolo fu vissuto senza alcuna particolare preoccupazione... DOVE E QUANDO «L’anno Mille» Leida, Rijksmuseum van Oudheden fino al 17 marzo Orario tutti i giorni, 10,00-17,00 Info www.rmo.nl a r c h e o 81


SPECIALE • OSTIA

I resti della sinagoga di Ostia antica. Venuta in luce casualmente nel 1961, in seguito ai lavori per la realizzazione di un raccordo stradale, l’edificio rappresenta la testimonianza eloquente della plurisecolare presenza di una nutrita comunità ebraica nella città portuale. 82 a r c h e o


LA SINAGOGA DI

OSTIA ANTICA ARCHEOLOGIA, ARTE E MEMORIA

La città romana di Ostia, che con i vicini porti di Claudio e Traiano (Portus) venne a costituire in età imperiale il piú grande scalo marittimo (e fluviale) del mondo antico, porto e porta di Roma sul Mediterraneo, è a tutt’oggi uno dei siti archeologici piú estesi e meglio conservati del pianeta. Come e piú di Pompei (dove la vita cessò nel 79 d.C.), e certamente della stessa Urbe (la cui millenaria pluristratificazione non consente di osservarvi oggi che una parte minima e residuale dei suoi antichi assetti), Ostia preserva e ci restituisce invece un patrimonio di architetture, tipologie e tecniche edilizie, di apparati pittorici e musivi, di sculture e di iscrizioni, e ancora di reperti mobili di ogni genere e tipo, forse senza eguali del lungo fluire della civiltà romana. Cosí come perspicuo e fortemente identitario ci appare il livello di commistione e integrazione etno-antropologica, linguistica, religiosa e culturale in senso lato che da quel patrimonio nel suo complesso promana. di Alessandro D’Alessio, Fausto Zevi e Adachiara Zevi a r c h e o 83


SPECIALE • OSTIA

P

rima di addentrarci nella presentazione della sinagoga ostiense, un monumento e luogo di culto tra piú affascinanti e significativi dello scenario urbano, è proprio il contesto storico-religioso di Ostia che vogliamo evocare. Ai principali templi pagani, sorti già a partire dalla fondazione medio-repubblicana della colonia e poi nei secoli a venire (dal Capitolium a quelli della Bona Dea, dall’area sacra di Ercole ai cosiddetti Quattro Tempietti, dal tempio anonimo del Piazzale delle Corporazioni a quello, mai precisamente identificato, di Vulcano, divinità tutelare della città, ecc.), si affiancarono via via i culti alle divinità orientali con i relativi edifici sacri (dal

pari passo alla dilagante affermazione del cristianesimo (san Pietro, sant’Agostino, santa Monica, come altri ecclesiastici o martiri cristiani, passarono da Ostia), iniziarono a sorgere anche edifici di culto quali le basiliche: quella costantiniana per esempio, fra le piú antiche di Roma e dell’area romana, nota dal Liber Pontificalis e che i colleghi tedeschi dell’Università di Colonia e dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma hanno individuato e cominciato a scavare nei mesi scorsi nella Regio V; o quella di Pianabella, sita presso la vicina via Ostiense, e ancora quella di Portus, nell’area dei porti imperiali, e l’altra del martire sant’Ippolito (ancora oggi patrono di Fiumicino), al di qua della fossa Traiana.

tempio e Campo della Magna Mater/Cibele al Serapeo e ai numerosissimi Mitrei – se ne contano addirittura una ventina – che vennero gradualmente a popolarvi tanti spazi, in genere semi-sotterranei e a carattere per lo piú privato). Non solo. Con l’età imperiale avanzata, e piú in particolare dal III e soprattutto IV secolo d.C., di

In questo suggestivo e pacifico melting-pot religioso (e che tale perdurerà fino al trionfo definitivo del cristianesimo e alla messa al bando delle credenze pagane), la cifra caratteristica e caratterizzante la società ostiense – come quella dell’intera oikoumene romana se vogliamo, ma che a Ostia si coglie in tutta la sua intensità – fu proprio quella della tolle-

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ranza e dell’accomodante incontro tra religioni e culti fra i piú disparati e di diversa matrice e provenienza. Non vi poteva mancare l’ebraismo, religione monoteistica di storia e tradizione già millenarie. Saldamente inseriti nel corpo civico e negli stessi apparati di potere e gestione della città (magistrature) sin dall’età augustea o comunque giulio-claudia (se non da prima), gli Ebrei/Iudaei ostiensi componevano una delle comunità piú floride e attive di Ostia, sebbene non sia semplice riconoscerne identità e appartenenza in base alla sola documentazione onomastico-prosopografica o di altro genere disponibile (si veda a seguire il contributo di Fausto Zevi, alle pp. 92-99).

Sulle due pagine, in senso orario: la sinagoga di Ostia antica al momento della scoperta nella primavera del 1961; la sala principale della sinagoga dopo il rialzamento delle colonne; lo strato di pavimento in terra battuta che ricopriva i mosaici della stanza 10, prima degli scavi.

UNA FAMIGLIA POTENTE Certamente in auge nei primi due secoli dell’era volgare e fino anzi al 219 d.C., quando l’ultimo dei suoi esponenti (il Caio Fabio Agrippino governatore della Siria e discendente dell’omonimo console del 148) venne messo a morte dall’imperatore Elagabalo, vi furono in seno a questa comunità i Fabi, grande e potente famiglia che nelle sue differenti ramificazioni (Rufi, Longi e appunto Agrippae/Agrippini) ebbe costantemente accesso alle piú alte cariche istituzio-

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SPECIALE • OSTIA

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SINAGOGA DI OSTIA

Cartina di Ostia antica con i suoi principali edifici e monumenti: la sinagoga (nella foto a sinistra in una veduta zenitale) in origine sorgeva lungo la via Severiana, in prossimità dell’antica linea di costa.

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nali ostiensi (oltre che al senato di Roma e, come già ricordato, al consolato e almeno a un governo provinciale). E proprio gli ultimi Fabi Agrippini, proprietari e abitanti della domus individuata al di sotto della cosiddetta Schola del Traiano, noi riteniamo siano stati i, o fra i principali committenti della costruzione della sinagoga di Ostia, la piú antica nota del Mediterraneo occidentale (e la sola giunta fino a noi di quelle esistenti a Roma), impresa a cui diedero seguito poco prima – forse solo qualche anno o decennio – della loro eliminazione da parte del potere centrale. Un lascito di importanza tale che se per assurdo possedessimo a Ostia anche le vestigia di un’antica moschea – si tratta chiaramente di una boutade astorica e impossibile a verifi-


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(1) Piazzale della Vittoria (2) Caserma dei Vigili (3) Terme di Nettuno (4) Horrea (magazzini) di Ortensio (5) Piazzale delle Corporazioni (6) Teatro (7) Collegio degli Augustali (8) Grandi Horrea (9) Casa della Fortuna Annonaria (10) Terme del Foro (11) Piazza della Statua eroica (12) Casa di Diana (13) Mulino (14) Insula delle Pitture (15) Termopolio (16) Capitolium (17) Curia (18) Basilica Civile (19) Casa dei Pesci (20) Campo della Magna Mater (21) Mercato (22) Horrea Epagathiana (23) Casa di Amore e Psiche (24) Tempio di Ercole (25) Mitreo delle Terme di Mitra (26) Basilica cristiana (27) Schola di Traiano (28) Terme dei Sette Sapienti (29) Insula degli Aurighi (30) Casa delle Muse (31) Insula delle Volte Dipinte (32) Casa del Ninfeo (33) Tomba fuori Porta Marina (34) Casa Fulminata (35) Tomba di Cartilio Poplicola (36) Sinagoga di Ostia

carsi, stante che l’Islam non si manifesta e insorge prima del VII secolo, quando la città era ormai semideserta – ebbene con la sinagoga e la basilica costantiniana avremmo qui una sorta di piccola Gerusalemme! E forse un luogo che proprio per la sua apertura al mondo e capacità di integrazione a tutti i livelli dell’umano sentire e agire, avrebbe segnato e segnerebbe ancora, a maggior ragione in questi mesi di violenza aberrante che stiamo vivendo, un presidio di pace e di speranza. Ma lasciamo da parte i sogni, e pensiamo con orgoglio a quanto da vent’anni e piú si fa alla sinagoga di Ostia per contribuire a tenere (segue a p. 90) a r c h e o 87


SPECIALE • OSTIA

I SECOLI DEL PORTO DI ROMA 650-600 a.C. Secondo una tradizione semileggendaria, Anco Marcio, quarto re di Roma, fonda Ostia nei pressi della foce del Tevere. IV secolo In seguito alla vittoria su Veio (396), Roma estende i suoi domini fino al mare. In una data ancora imprecisata, coloni romani occupano Ostia. Di poco posteriore è la creazione di un castrum sulla sponda sinistra del fiume (forse tra il 334 e il 305). 298 Di ritorno dalla Grecia, dove si era recata per cercare i sacerdoti richiesti dal culto di Esculapio, una nave risale il Tevere fino a Roma. 267 Prima menzione storica di Ostia: la città è promossa al rango di centro annonario, nel quale risiede uno dei quattro quaestores classici, i magistrati preposti alla manutenzione della flotta e alla difesa delle coste. 237 Gerone II, re di Siracusa, si reca a Roma per assistere ai Ludi Romani. Attracca a Ostia a bordo di una grande imbarcazione di rappresentanza. Un tratto di strada basolata in un’insula (quartiere abitativo) di Ostia antica.

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217 Ostia, che ha un ruolo di primo piano nel conflitto tra Roma e Cartagine, invia un convoglio di rifornimenti in Spagna. 211 Scipione salpa da Ostia alla volta della Spagna, dove, tra il 209 e il 208, sconfigge per tre volte l’esercito cartaginese (seconda guerra punica). 191 Nel quadro dell’estensione della leva militare, gli Ostiensi vengono obbligati a prestare servizio in marina. 87 Durante le guerre civili, Mario, di ritorno dall’Africa, prende possesso della città di Ostia, che si era schierata con Silla, e la saccheggia. 67 Pirati della Cilicia penetrano nella foce del Tevere e distruggono la flotta alla fonda. 63-58 Viene realizzata una nuova cinta muraria, che amplia la superficie edificabile da 25 a 69 ettari. 12 Durante il principato di Augusto viene costruito il teatro di Ostia e si ha una politica di rinnovamento e di estensione dell’area urbana. Cominciano ad arrivare da Alessandria le prime grandi navi adibite al trasporto dei cereali. 14-37 d.C. Il Foro di Ostia viene ristrutturato all’epoca di Tiberio. Durante il regno di Caligola viene ultimata la costruzione dell’acquedotto. 54 Nerone inaugura il nuovo porto di Ostia, fatto costruire dall’imperatore Claudio, tra il 42 e il 54. 64 In seguito all’incendio di Roma, Nerone fa appello alla solidarietà dei cittadini di Ostia per l’invio di materiale destinato ai senza tetto. L’imperatore dispone la bonifica della palude che circonda la città (paludes Ostienses), che viene colmata con i detriti provenienti da Roma, che giungono a Ostia a bordo di battelli fluviali. 98-117 Traiano fa ampliare il porto di Claudio, che minacciava d’insabbiarsi, e restaura il canale che collega lo scalo al Tevere e al mare (100-112). La città si arricchisce di grandi depositi e di edifici pubblici. 117-138 L’imperatore Adriano interviene sull’assetto urbanistico di Ostia (con un vero e proprio piano regolatore) e moltiplica le costruzioni monumentali, come la Curia e la Basilica del Foro, con


L’ingresso monumentale alla Domus del Protiro, una casa aristocratica di Ostia antica datata al II sec. d.C.

un impiego massiccio di laterizio. È il momento di massima fioritura della città, che conta 50 000 abitanti. 161-180 Sotto Commodo (180-192), figlio di Marco Aurelio, Ostia assume temporaneamente il nome di Colonia Felix Commodiana. 193-217 Con Settimio Severo (193-211) e il suo successore Caracalla (211-217), in città e nei porti si hanno solo interventi di restauro. Viene realizzata la via Severiana, che collega Ostia a Terracina (Anxur), in direzione sud. 222-235 Durante il regno di Alessandro Severo si costruisce il tempio rotondo, ultima opera monumentale della città. 308-309 Massenzio, rivale di Costantino, apre a Ostia una zecca. 312-337 Pur facendo restaurare alcuni edifici pubblici, Costantino priva Ostia dei suoi poteri municipali per assegnarli ai quartieri che si trovano nei pressi dei porti imperiali e che vengono ribattezzati Civitas Flavia Constantiniana Portuensis. Piú nota con il semplice nome di Portus, questa nuova città finisce con il soppiantare Ostia, che perde il suo ruolo di centro commerciale, a causa dell’insabbiamento del porto fluviale. Mentre Costantinopoli diviene capitale dell’impero, Ostia, cosí come Roma, imbocca la via del declino. Tuttavia, nei dintorni della città sorgono alcune sontuose residenze private (domus). 367 Santa Monica, in partenza per l’Africa,

muore a Ostia, assistita dal figlio, sant’Agostino. 392 Il restauro del tempio di Ercole dimostra la sopravvivenza del paganesimo. 402 Ravenna diviene capitale dell’impero d’Occidente e il declino di Ostia accelera. 410 I Visigoti di Alarico prendono Roma, ma disdegnano Ostia, città ormai priva di importanza. 455 I Vandali di Genserico mettono a ferro e fuoco la capitale, ma si ignora se Ostia abbia subito la medesima sorte. 514 Il vescovo di Ostia partecipa al concilio indetto nella città francese di Arles. 537 Nel corso delle guerre che Giustiniano combatte per riconquistare l’Italia, i Goti occupano Ostia con il fine di tagliare i rifornimenti di cibo per Roma. Ostia viene privata dei suoi bastioni. Procopio di Cesarea, che vi si trova a passare, ne descrive le miserevoli condizioni. 827-844 Papa Gregorio IV costruisce a Ostia un borgo fortificato, in funzione antisaracena, nel quale trasferisce gli ultimi abitanti. Portus sopravvive a Ostia ancora per qualche anno. XI secolo Ha inizio il saccheggio sistematico delle rovine di Ostia. 1461 Papa Pio II Piccolomini descrive cosí la città, nei Commentarii: «Che fosse un tempo una grande città lo testimoniano i suoi resti che si estendono su un territorio vastissimo (…) Si vedono ancora portici in rovina, colonne abbattute e frammenti di statue».

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SPECIALE • OSTIA

viva e accesa la memoria della shoah: la biennale d’arte contemporanea «Arte in Memoria» ideata e curata da Adachiara Zevi.

A RIDOSSO DELLA COSTA Situata a 200 m circa a sud e fuori dalla cd. Porta Marina, all’estremità sud-occidentale della città, e orientata in direzione sud-est (verso Gerusalemme), la sinagoga sorgeva, probabilmente non a caso, subito a ridosso dell’antica linea di costa (nell’antica religione ebraica si riteneva che le spiagge fossero luoghi adatti all’espletamento dei rituali purificatori), lungo la trafficatissima strada litoranea (via Severiana dal III secolo d.C.) che metteva in collegamento Ostia con Portus. E proprio dalla strada essa era accessibile tramite un atrio monumentale (protiro) che immetteva in una sorta di nartece o vestibolo con sottostante cisterna, pozzo e bacino per le abluzioni rituali; da qui un passaggio consentiva di entrare all’interno del luogo di culto vero e proprio, preceduto da un monumentale ingresso tetrastilo e costituito da un’ampia aula rettangolare lastricata in marmi policromi con banconi alle pareti, lato di fondo curvilineo e pulpito (tevah o bimah) per la lettura della Torah (Legge); i rotoli venivano conservati entro un’edicola absidata dotata di colonnine corinzie sostenenti mensole (oggi in calchi), su cui sono scolpiti la menorah (can-

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delabro a sette bracci) e altri simboli religiosi ebraici (il corno d’ariete o shofar, il cedro e un fascio di palma, mirto e salice). Nel complesso, la sinagoga copriva un’area di circa 850 mq, comprendendo anche, lungo il fianco sud-occidentale, una serie di altri ambienti di varia funzione: una cucina con tavolo in marmo e forno per l’impasto e la cottura delle azzime e, adiacenti a ovest, un corridoio e una grande sala con banconi alle pareti, probabilmente destinata alle riunioni della comunità. Questo assetto, corrispondente a quanto oggi visibile sul terreno, individua di fatto estensione e articolazione interna dell’edificio nelle sue ultime fasi di vita, inquadrabili in sostanza tra il IV e il V/VI secolo d.C. Come la costruzione si presentasse in precedenza è questione tuttora dibattuta dagli archeologi, cosí come la datazione piú o meno esatta del suo primo impianto. Scoperta nel 1961 da Maria Floriani Squarciapino, durante i lavori per la costruzione

Veduta della facciata settentrionale della sinagoga vista da nord (ovvero dall’esterno dell’aula), con elementi in muratura della via Severiana. In basso: ricostruzione ipotetica (realizzata dallo studioso Olof Brandt) delle finestre nel lato curvo, a ovest dell’aula.


Una busta con annotazione manoscritta contenente alcuni reperti rinvenuti durante un saggio di scavo dell’estate 1962. Il riesame delle prime indagini della sinagoga di Ostia è stato parte del progetto UT-OSMAP (Ostia Synagogue Masonry Analysis and Excavation Project), un dettagliato studio dei materiali e della documentazione d’archivio protrattosi per dieci anni, a partire dal 2001/2, da parte di un gruppo di lavoro dell’Università del Texas, guidato da L. Michael White.

della strada di collegamento della via Ostiense con il nuovo aeroporto internazionale Leonardo da Vinci di Fiumicino, la sinagoga fu da lei scavata a piú riprese e datata al tardo I secolo d.C. Piú di recente (a partire dal 2001), il complesso è stato oggetto di altre investigazioni archeologiche e ipotesi interpretative a cura della missione dell’Università del Texas diretta da L. Michael White, il quale ne ha decisamente abbassato la cronologia d’impiego come luogo di culto ebraico a partire solo dalla metà del IV, e ipotizzando invece una precedente e diversa destinazione d’uso dell’edificio, che fu certamente innalzato, in base ai dati stratigrafici acquisiti, nella seconda metà/ultimo quarto del II o agli inizi del III secolo d.C. – mentre l’impianto monumentale tuttora visibile si conferma come già detto del V/VI.

Ma è appunto la datazione ormai acclarata della prima sua costruzione al tardo II o inizi del III secolo, unitamente alla rassegna del cospicuo dossier epigrafico e piú in generale archeologico di cui disponiamo sulla comunità ebraica ostiense (lo spiegherà piú in dettaglio qui Fausto Zevi), che ci consente oggi di attribuire la sinagoga di Ostia proprio e già a quell’epoca, e di intraprendere quindi una ricomposizione esaustiva e attendibile della storia sia del monumento che di quella stessa comunità. Una storia che nella biennale «Arte in Memoria» si riverbera ai giorni nostri nelle tante opere site specific, alcune permanenti, che vi sono state allestite negli ultimi vent’anni (si veda qui il contributo di Adachiara Zevi, alle pp. 102-103). Alessandro D’Alessio a r c h e o 91


SPECIALE • OSTIA

STORIA DI UNA COMUNITÀ E DEL SUO MONUMENTO di Fausto Zevi

Lastra funeraria dalla necropoli ostiense di Pianabella, con inscrizione di Q. Fabius Longus, in cui si menzionano personaggi tra loro imparentati e definiti Iudaei e alcune lucerne rinvenute durante lo scavo della sinagoga nel 1962.

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sessant’anni dalla scoperta, è giunta l’ora di un primo bilancio sulla sinagoga di Ostia, edificio fondamentale per la storia dell’ebraismo della diaspora, ma anche per la conoscenza della società romana nell’età imperiale. Oltre all’edificio destinato al culto, testimonianze epigrafiche venute in luce in vari momenti del secolo scorso confermano infatti la lunga sto-

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ria della presenza ebraica in Ostia, come del resto è da aspettarsi data la vicinanza geografica e la stretta interrelazione di Ostia con Roma, dove gli Ebrei erano presenti fin dal II e specialmente nel primo secolo a.C., come sappiamo da Cicerone (non particolarmente benevolo nei loro confronti), ma


Ritratto in marmo di Marco Vipsanio Agrippa, amico e genero dell’imperatore Augusto e al quale era intitolata una delle sinagoghe di Roma, quella degli Agrippenses.

soprattutto dalla commovente testimonianza di Svetonio che narra come, alle Idi di Marzo, per piú notti gli Ebrei romani scesero a piangere Cesare quando il suo corpo fu esposto nel Foro al pubblico compianto. Il rapporto positivo con la casa imperiale continuò sotto Augusto e piú ancora presso colui che fu l’alter ego di Augusto, l’amico piú vicino e suo genero Agrippa (non a caso, infatti, a lui si intitolava una delle sinagoghe romane, quella degli Agrippenses). Agrippa – che tra l’altro aveva un legame particolare con Ostia, sede della flotta al tempo delle sue battaglie navali contro il figlio di Pompeo – fu anche il generoso costruttore del teatro di Ostia.

NOMI E CARICHE Nelle iscrizioni, la maggiore difficoltà di individuarne la presenza sta nel fatto che gli Ebrei portano nomi uguali a quelli del resto della popolazione, e perciò risultano indistinguibili in assenza di elementi specifici. Si conoscevano però, nel secolo scorso, un paio di iscrizioni di personaggi che rivestono cariche della comunità ebraica, analoghe a quelle conosciute a Roma dall’epigrafia delle catacombe ebraiche: quelle di gerusiarca, letteralmente capo della gerusia, cioè il senato degli anziani, e di archisynagogos, teoricamente il capo della comunità. Ma una dozzina di anni fa è venuta in luce una lastrina funeraria che nomina alcuni personaggi tra loro imparentati, definendoli esplicitamente Iudaei. L’iscrizione si apre con la formula Hic siti sunt, che epigraficamente si data in età augustea o poco dopo: si tratta dunque del


SPECIALE • OSTIA

piú antico documento sugli Ebrei ostiensi, e forse la piú antica iscrizione ebraica d’Italia. Ma c’è di piú, perché i personaggi menzionati si possono mettere in relazione, in termini che sarebbe complicato discutere qui, con una grande famiglia ostiense, quella dei Fabi, che, di generazione in generazione, con una costante presenza nella élite alla guida della colonia ostiense, dalla tarda Repubblica all’impero, giungono infine a entrare nel senato romano e, con C. Fabio Agrippino, nel 148 d.C., conseguono addirittura il consolato.

DALLA CASA ALLA SCHOLA Di questa famiglia, una delle due o tre piú rilevanti di Ostia, sappiamo della perdurante fortuna fino al 219, quando un discendente omonimo di Fabio Agrippino fu messo a morte da Elagabalo; certamente i suoi beni furono confiscati. Ebbene, il caso ha voluto che in scavi recenti una missione francobelga abbia identificato a Ostia la dimora familiare dei Fabi, con fasi e ricostruzioni successive dal 60 a.C. in poi; in età augustea la casa venne ricostruita ex novo, rimanendo in funzione, a quanto pare, per oltre due secoli, quando fu abbattuta per erigere al suo posto il grande edificio detto Schola del Traiano (la denominazione è moderna), un edificio pubblico o semipubblico sulla cui funzione si discute. Dunque una ricca casa privata che diventa un edificio pubblico: è questo il segno della fine dei Fabi e della confisca dei loro beni? Si direbbe proprio di sí. Ebbene, sull’orlo del pozzo della casa, appartenente alla fase augustea, ma che sembra sia rimasto in uso anche successivamente, negli scavi del secolo scorso sono state ritrovate un paio di lucernette con la menorah, un dato che, comunque lo si interpreti, costituisce un segno sicuro che nella casa abitavano Ebrei. Teniamo a mente le date della storia dei Fabi Agrippini: al 148 risale il loro primo consolato, la loro fine si colloca nel 219. Un periodo, quello fra gli Antonini e la dinastia dei Severi, che segna l’acme dello sviluppo urbano della città di Ostia, e nel quale va forse situata, come diremo anche, la costruzione della sinagoga. Possiamo immaginare che la generosità dei Fabii abbia avuto qualche parte nell’ iniziativa? È una suggestione che ho avanzato anni fa, e che pur in mancanza di indizi precisi, mi piace mantenere tuttora. 94 a r c h e o

L’edificio sorge all’estremità sudoccidentale della zona scavata di Ostia: qualche centinaio di metri fuori della cinta muraria della città, presso l’antica spiaggia del mare, lungo l’ultimo tratto della Via Severiana, la via costiera costruita dai Severi fra Terracina e Ostia per facilitare il traffico terrestre tra i due importanti porti laziali. A un paio di centinaia di metri dalla sinagoga era sorto, già in età adrianea, una grande edificio termale pubblico, le Terme dette «di Porta Marina»; ai due lati dell’edificio, sempre fronte a mare una serie di


altri edifici minori comprendevano varie piccole installazioni termali alcune delle quali in uso fino a età molto avanzata; e un’ iscrizione dalle Terme di Porta Marina commemora restauri di Teodorico. Dunque, almeno fino al VI secolo d.C. il grande impianto di bagni era in funzione e quindi era in funzione l’acquedotto cittadino a cui dovevano attingere anche le fontane (ce ne è una anche nei pressi della sinagoga) e i bagni minori cui abbiamo accennato: il quartiere era ancora in piena attività, in grado di offrire ristoro ai viaggiatori che dopo il lungo percorso sulla Severiana, o forse anche per mare fino alla spiaggia alla foce del Tevere, finalmente raggiungevano Ostia, ultima tappa, ormai, quasi in vista dell’Urbe.

FORSE UNA VILLA DEI FABII? Proprio di fronte alla sinagoga, sul lato opposto della via Severiana, si stende un’area molto vasta, non scavata, ma che è stata sondata sistematicamente con prospezioni geofisiche, mettendo in evidenza, subito fuori le mura In alto: lapide con iscrizione di Fabio Agrippa, conservata ai Musei Vaticani. Qui sopra: disegno dell’iscrizione con il cursus honorum di C. Fabius Agrippinus, dalla Schola del Traiano a Ostia antica. A sinistra e nella pagina accanto: particolare della mensola marmorea decorata con la menorah (il candelabro a sette bracci), al momento della scoperta e allo stato attuale.

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SPECIALE • OSTIA

della città, un grandioso organismo architettonico interpretato come una enorme villa suburbana (piú di 15 000 mq) e caratterizzato da vasti spazi aperti a mo’ di cortili. Altri invece ha creduto riconoscervi il Foro che una fonte tarda dice creato a Ostia da Aureliano, l’imperatore che regnò tra 270 e 275 e a cui si deve la cerchia muraria di Roma: villa oppure foro, due ipotesi molto distanti, ma che perderebbero la loro inconciliabilità immaginando una vicenda simile a quella della Schola del Traiano, una proprietà privata confiscata e trasformata in sede di attività pubbliche; e chissà che si tratti di un altro episodio della storia familiare dei Fabii, una delle pochissime famiglie ostiensi in grado di possedere quella villa immensa. La sinagoga di Ostia era dunque assai meno isolata dal contesto urbano di quanto apparisse al tempo della sua scoperta. Ma l’edificio

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Piantina realizzata dall’OSMAP (Ostia Synagogue Masonry Analysis and Excavation Project) con, in evidenza, la sinagoga lungo la via Severiana (a destra in basso), le terme di Porta Marina (a sinistra). In alto, a nord della sinagoga, il grande organismo architettonico, forse un’enorme villa suburbana.

rimane problematico, per la datazione (ne riparleremo) e per la ricostruzione del suo aspetto architettonico. Quest’ultimo è il compito che si è assunto Olof Brandt , ben noto studioso di archeologia paleocristiana, quando riprende – ma per modificarle radicalmente – alcune proposte da lui stesso presentate in studi precedenti. Il fatto è che l’edificio non trova confronti probanti nella architettura romana; per avere un’idea precisa della concezione architettonica originaria, occorrerebbe avere ben chiara la periodizzazione degli interventi successivi. Alla fase di impianto deve risalire l’aula sinagogale vera e propria con la sua parete di fondo leggermente ricurva (architettonicamente si confronta con monumenti urbani e ostiensi non anteriori ai Flavi); aggiunto in seguito è invece il bancone soprelevato, cioè la bimà o tribuna da cui, per riprendere le


parole di Rav Di Segni «si guida la preghiera, predicano i maestri, parlano i rappresentanti della comunità», e alla cui decorazione forse appartenevano due colonne trovate abbattute all’interno dell’aula. Ma l’elemento architettonicamente caratterizzante dell’edificio è la struttura quadrangolare con le quattro belle colonne corinzie all’ingresso dell’aula, che non si sa se e cosa dovessero sorreggere (forse un matroneo?), mentre muretti di congiunzione alla base delle colonne sembra limitassero il triplice accesso dal vestibolo fin quasi a ridurlo a un ridotto passaggio laterale – sempre che sia corretta la lettura dei resti murari conservati e delle loro sequenze. Comunque, questo blocco centrale a quattro colonne non trova confronti in edifici coevi: qualunque ne fosse la funzione strutturale, si deve concludere che l’edificio, diversamente da quanto ritengono alcuni, era stato pensato ab initio come sinagoga degli Ebrei di Ostia.

UNA SCOPERTA CASUALE Affrontiamo ora il problema centrale della ricerca archeologica del nostro tempo, quello della datazione dell’edificio nelle varie fasi

Piantine ricostruttive (realizzate da L.M. White) di due fasi costruttive della sinagoga: a sinistra la cosiddetta Fase Intermedia (351- 443 d.C.), a destra la Fase Finale (dopo il 475 d.C. fino al VI sec.).

fino al suo abbandono. La sinagoga, ricordiamo, venne in luce casualmente nel 1961: si stava per inaugurare il nuovo aeroporto di Fiumicino e l’autostrada che oggi lo collega a Roma non era ancora ultimata; per assicurare un collegamento relativamente rapido si ritenne di utilizzare quella che era nata come una «via panoramica» (un tratto di strada leggermente soprelevata che bordava a sud l’area degli scavi e percorrendo la quale il turista poteva gettare al passaggio uno sguardo di insieme sulle rovine della città), via che si è voluto raccordare con quella che correva lungo la recinzione occidentale degli scavi mediante una curva il cui tracciato avrebbe centrato in pieno l’edificio sinagogale. L’energico intervento della Soprintendenza ostiense impose una variante per risparmiare l’edificio di cui erano subito emerse le colonne abbattute e le mensole con la menorah. Dai trovamenti effettuati e soprattutto dalla considerazione delle tecniche murarie, l’allora ispettrice archeologa e futura soprintendente di Ostia, Maria Floriani Squarciapino, dedusse che la costruzione risalisse alla metà del I secolo d.C., con rifacimenti e modifiche intermedie fino all’ultima, importante fase a r c h e o 97


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tardoimperiale (posteriore al 309, data fornita da una moneta di Massenzio), che comprendeva, con altri interventi rilevanti, la costruzione dell’edicola in muratura dell’aron ha chodesh con il suo prospetto a colonne sorreggenti le mensole con la menorah. Squarciapino pubblicò subito resoconti preliminari dello scavo, anche su riviste e in lingue straniere; lo scopo era scientifico, ma anche di dimostrare la fondatezza dei motivi che avevano ritardato la realizzazione di un’opera pubblica importante. Lo scorso settembre ricorrevano i venti anni dalla scomparsa di Maria Squarciapino e nella ricorrenza è giusto ricordare l’enorme suo merito nel salvataggio della sinagoga, pur rimpiangendo che non sia mai giunta la pubblicazione definitiva a concludere l’impresa come meritava.

I NUOVI STUDI In questo vacuum di iniziativa si è inserito il progetto di ricerca dell’Università del Texas diretto da Michael White e dai suoi collaboratori, consistente nel riesame sistematico dell’esistente, nella revisione capillare della documentazione e dei materiali ceramici e numismatici raccolti negli scavi Squarciapi98 a r c h e o

In alto, sulle due pagine: ipotesi ricostruttiva (di L.M. White) dell’aspetto del colonnato centrale (visto da ovest) e dell’aron ha chodesh, l’armadio sacro che custodiva i rotoli della Torah. A destra: Le quattro colonne intorno allo spazio rettangolare della sinagoga e, sulla sinistra, le due colonne piú piccole, pertinenti all’edicola della Torah.


no, e nella apertura di nuovi accurati saggi stratigrafici per chiarire dettagli della struttura e soprattutto la cronologia delle varie sue componenti: ben 10 campagne di studio nei laboratori e negli archivi ostiensi e 6 di scavo tra 2005 e 2015 con 44 sondaggi nel sottosuolo, che hanno confermato tra l’altro

In basso: il particolare dell’edicola della Torah.

la datazione all’età severiana della via Severiana su cui affaccia la sinagoga. La sinagoga ostiense sorge sulla sabbia del litorale, ma non sul vergine, come si era ritenuto: i saggi White hanno riconosciuto un rialzo artificiale di sabbia di 1,20 m, evidentemente a far da riparo alle onde; ed è in questo strato di riporto che sono incavate le fondazioni della sinagoga. Ebbene, lo strato conteneva frammenti ceramici e un paio di monete databili intorno al 150 d.C.: l’edificio è dunque posteriore. Ma c’è di piú. Una attenzione particolare è stata riservata alla correlazione stratigrafica tra il marciapiede della via Severiana che, come abbiamo visto, costeggia la sinagoga, e gli accessi alla sinagoga stessa. Confermando che la via Severiana è stata costruita ex novo verso il 200 d.C., è al primo e piú antico marciapiede della via che si collega lo spiccato dei muri della sinagoga: in altre parole l’edificio presuppone l’esistenza del marciapiede, e quindi risulta, fosse pure di poco, a esso posteriore: la sinagoga di Ostia non è anteriore ai Severi, risultato che sembra inoppugnabile, anche se ne originano incon(segue a p. 105)

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Ipotesi ricostruttiva dell’interno della sinagoga di Ostia, realizzata dal progetto Katatexilux.

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UNA BIENNALE NELLE ROVINE DELLA SINAGOGA di Adachiara Zevi

«A

rte in Memoria» è una biennale di arte contemporanea ospitata nelle rovine della sinagoga di Ostia Antica. La sua prima edizione è stata inaugurata il 16 ottobre 2002, nel gennaio 2023 si è tenuta la sua 11ma edizione. Al termine di ogni appuntamento espositivo, almeno un artista ha donato la sua opera come contributo alla creazione di un museo di arte contemporanea in un sito archeologico. In questi 20 anni, 53 artisti internazionali, piú o meno noti, di varie generazioni e genere, di poetiche eterogenee purché compatibili con le intemperie, si sono avvicendati nelle rovine ripopolandole con le loro visioni, suggerite dal luogo, radicate nella storia ma motivate dall’attualità. Chi si è ispirato all’architettura, chi alle emergenze monumentali, chi alle storie bibliche, chi alla memoria che quel luogo inevitabilmente evoca e restituisce. Dopo tanti anni ci sembra di poter dire che il successo dell’iniziativa risiede nello scambio biunivoco tra identità e dialogo: se il linguaggio degli artisti assume dalla sinagoga un nuovo «commento», un nuovo midrash, la sinagoga, condannata allo stato di rovina, torna a vivere grazie all’arte e rinnova la sua vocazione all’ospitalità, allo studio, al confronto tra linguaggi diversi e dissonanti. Del resto, ogni sinagoga della diaspora è memoria del Santuario (il tempio di Gerusalemme, n.d.r.), esito della sua distruzione. Al monumento unico si è sostituito un monumento diffuso in tutti i luoghi in cui gli Ebrei sono 102 a r c h e o

stati costretti o hanno scelto di vivere. Il santuario non è mai stato ricostruito, dunque non c’è nessun modello linguistico di riferimento; ogni sinagoga presenta allo stesso tempo elementi di forte identità – dall’orientamento verso est (verso Gerusalemme), alla presenza dell’aron ha chodesh, della bimà e di una fonte d’acqua – insieme a segni di grande permeabilità al contesto – nel caso di Ostia è quello romano – cui ispirarsi per l’impianto architettonico basilicale, la decorazione musiva e il sistema costruttivo, a opus reticolatum e a opus vittatum. «Arte in Memoria» costituisce il primo esempio, sicuramente in Italia, di connubio tra l’arte contemporanea e un sito archeologico, forse l’unico esempio in assoluto di arte contemporanea in una sinagoga dell’antichità, una sinagoga che, per di piú, ha la peculiarità di non essere stata sconsacrata ma utilizzata ancora, seppur occasionalmente, per funzioni religiose, come bar mitzvah e matrimoni. Vale interrogarsi sulla liceità di tale convivenza. Il rabbino capo di Roma, il professor Riccardo di Segni, ha espresso a questo proposito una perplessità: una sinagoga, che rimane luogo sacro anche se in stato di rovina, può essere adibita ad altri usi che non siano quelli della preghiera? Personalmente propendo per la liceità, e per tre ragioni: beth ha keneseth (l’espressione ebraica equivalente del termine greco antico synagoghè, n.d.r.) significa «luogo di riunione» per una

comunità; e gli artisti sono una comunità a tutti gli effetti, variegata per cultura, tradizione e linguaggio. La vocazione della «schola», poi, come diversamente viene nominata la sinagoga, è per definizione lo studio e l’apprendimento, la cultura. Infine, sin dal suo primo apparire nella diaspora, la sinagoga è stata


luogo di rappresentanza politica, di riunioni civili e di studio per le comunità che andavano via via costituendosi nell’esilio. E ancora oggi è punto di riferimento insostituibile per eventi lieti o drammatici, religiosi e politici. Ci sembra dunque che la sacralità della sinagoga debba esigere non

tanto l’esclusione di altre destinazioni congrue ma semplicemente una «doverosa espressione di rispetto». L’apertura all’arte, inoltre, favorisce la fruizione del monumento da parte di un pubblico che non è solo quello degli addetti ai lavori o degli appartenenti alla religione ebraica.

Immagine zenitale del parco commemorativo realizzato dall’Auschwitz Jewish Center sul luogo della sinagoga ottocentesca di Oswiecim (Polonia), data alle fiamme dai Tedeschi nel novembre del 1939 (foto Chris Schwarz).

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60 ANNI DALLA SCOPERTA, 20 ANNI DI ARTE IN MEMORIA Curato dal Parco archeologico di Ostia antica e dall’Associazione culturale Arte in Memoria, il volume raccoglie gli atti del convegno internazionale, svoltosi nell’ottobre del 2021 in occasione dei 60 anni dalla scoperta della Sinagoga di Ostia. La prima parte del volume, dedicata alla parte archeologica, riporta gli interventi di Alessandro D’Alessio, Adachiara Zevi, Riccardo Di Segni, L. Michael White, Letizia Ceccarelli, Mary Jane Culyer, Olof Brandt, Carlo Pavolini, Elsa Laurenzi, Cinzia Vismara sulla Sinagoga di Ostia antica, il ritrovamento, il restauro, la conservazione, i problemi cronologici e storiografici. La seconda parte ha come tema «l’arte contemporanea in sinagoga» e accoglie saggi di Adachiara Zevi, Mischa Kuball, Ruth Ellen Gruber, Giedre Jankeviciute

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e Jakub Nowakowski. Nel contesto di questo articolo è da segnalare il contributo di Cinzia Vismara e Elsa Laurenzi intitolato Le sinagoghe della diaspora: un panorama e che aggiorna il quadro degli antichi edifici sinagogali conosciuti fuori dalla Giudea, tra i quali molti scoperti in anni recenti (erano 12 al tempo della scoperta della sinagoga ostiense e oggi sono 25): la maggior parte si trova in Oriente – in Siria, Turchia e nelle isole della Grecia – e solo tre in Occidente, quella spagnola di Elche (Alicante), e le due d’Italia, Ostia e Bova Marina. In alto: la sinagoga di Stommeln, nei pressi di Colonia (Germania). Al centro del Progetto Artistico Sinagoga Stommeln, dal 1991 l’edificio ha ospitato interventi di artisti di fama internazionale (foto Werner J. Hannappel). A sinistra: l’interno della recentemente restaurata sinagoga settecentesca di Łancut, Polonia (foto Chris Schwarz).

gruenze rispetto alla tecnica edilizia impiegata, quelle che a suo tempo aveva suggerito una datazione anteriore. Ma, sempre sul piano della cronologia, il lavoro di White offre altre sorprese. Il marciapiede della via Severiana, dopo quella originaria, presenta due fasi successive, che corrispondono con altrettante fasi edilizie della sinagoga. Il marciapiede II, in particolare viene al disopra di uno strato alluvionale riscontrato anche negli scavi delle Terme di Porta Marina e geologicamente interpretato come residuo di un allagamento la cui causa è stata cercata in un’onda sismica di grande impatto. Si è pensato allora al grave evento sismico che colpí Roma nel 443 d.C., e che causò, tra l’altro, la rovina del Colosseo (secondo alcuni prodotto dalla stessa «faglia dormiente» appenninica responsabile del terremoto di Amatrice del 2016). La ceramica e le monete non contraddirebbero una data cosí avanzata. Infine la fase III, quella dell’ultimo importante rifacimento, con il rinforzo di tutti i muri perimetrali della sinagoga le cui finestre vengono tamponate e con tutte quelle trasformazioni interne che conferiscono all’edificio l’aspetto attuale: l’ingresso spostato in modo da evitare l’accesso diretto all’aula, creando una

sorta di grande nartece (che include anche il pozzo e la cisterna fino ad allora all’esterno), dal quale si passa agli ambienti intermedi in cui si installano il tavolo marmoreo (la cosiddetta «spianatora») per la preparazione delle azzime e il relativo forno, senza alcuna cura per i mosaici pavimentali delle fasi precedenti, e dove sono state trovate ammonticchiate anfore molto tarde, del VI se non addirittura del VII secolo; alle spalle, viene creata la grande sala con banconi, forse per riunioni o per accoglienza e, all’interno dell’aula di preghiera, l’edicola semicircolare dell’aron con la menorah scolpita sulle mensole del pronao e il timpano decorato dalla coppia di leoni in stucco.

UNA COMUNITÀ DINAMICA Non solo dunque la sinagoga partecipa ancora della vita del quartiere quando Teodorico restaura le Terme di Porta Marina e la via Severiana continua a essere frequentata, nel VI e forse fino al VII secolo d.C., ma la comunità ostiense dimostra anche economicamente una sua vitalità non solo eseguendo i necessari restauri, ma arricchendo la sua sinagoga con ampliamenti e abbellimenti rilevanti. Se dunque le crisi e le invasioni barbariche del V secolo, da Alarico ai Vandali, avevano provocato fratture drammatiche nella vita della città, quanto meno nel VI secolo gli edifici della fascia costiera ostiense sulla Severiana mostrano continuità di vita e di funzioni; e forse va rivista l’idea corrente che nel VI secolo, quando Procopio di Cesarea descrive il vivace movimento del Porto, il portus Augusti, l’attività commerciale si fosse interamente colà trasferita abbandonando una Ostia ormai deserta. Il riesame delle fasi della sinagoga concorre dunque a ridisegnare il quadro urbano di Ostia nella tarda antichità, sulla quale gli scavi in corso anche in altri quartieri cominciano ora a gettare inaspettate illuminazioni: accanto all’archeologo classico, ormai deve scendere in campo anche il medievista a riscrivere la storia non solo degli Ebrei, ma della città di Ostia e del Porto di Roma. Ove non altrimenti indicato, le immagini di questo articolo sono tratte dal volume «La sinagoga di Ostia antica» e sono pubblicate per gentile concessione del Parco archeologico di Ostia antica e dell’Associazione Arte in Memoria. a r c h e o 105


TERRA, ACQUA, FUOCO,VENTO Luciano Frazzoni

QUEL PICCOLO MONDO ANTICO I GIOCATTOLI HANNO DA SEMPRE ACCOMPAGNATO LA VITA DI BAMBINE E BAMBINI. E, PRIMA DELL’AVVENTO DELLA PLASTICA, LA REALIZZAZIONE DI SONAGLI, BAMBOLE O FISCHIETTI È UN’ALTRA DIMOSTRAZIONE DELLE MOLTE POSSIBILITÀ DI IMPIEGO DELLA CERAMICA

L

a massiccia diffusione delle materie plastiche ne ha determinato, soprattutto tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, l’ampio utilizzo nell’industria dei giocattoli. Il basso costo della plastica ha fatto sí che macchinine, soldatini, pupazzi e bambole potessero entrare nelle case di bambine e bambini di ogni estrazione sociale. In epoca antica, invece, i giocattoli, fin dalla prima infanzia, erano realizzati per lo piú in ceramica, la plastica dell’antichità. E molti di questi oggetti, rinvenuti principalmente nelle sepolture, ci permettono di ricostruire quali fossero i giochi dei piú piccoli. Per gli infanti, si utilizzavano biberon a forma di porcellino, con un foro nella parte superiore del corpo per introdurvi il latte, e un altro sul muso dell’animale, da dove il bambino poteva bere. Oggetti simili, oltre che come biberon, potevano svolgere anche la funzione di sonagli, chiamati crepundia o crepitacula, in genere regalati ai bambini durante le feste dei Saturnalia; mediante sassolini o sferette di argilla collocate all’interno, si produceva rumore quando il giocattolo veniva agitato. Questi vasetti in forma di porcellino, spesso decorati con inserti di pasta vitrea colorata, sono stati rinvenuti come corredo funerario in molte tombe infantili a Roma (sull’Esquilino) e nel

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suburbio (esempi a Settecamini sulla via Tiburtina, in un mausoleo ipogeo scavato nel tufo nella necropoli della via Collatina, nella tomba a cappuccina di una bambina in località Quarto di

Corzano nel territorio compreso tra i comuni di Roma e di Gallicano, a circa 2 km dall’antica Gabii). Altri esemplari si trovano a Ostia, al Museo Nazionale Romano e anche al British Museum di Londra.


La produzione di questi giocattoli, collocabile tra la fine della repubblica e la metà del II secolo d.C., è probabilmente da localizzare in un’officina attiva nel territorio di Tivoli. Oltre che a forma di animali, i crepitacula, potevano anche essere configurati a busti femminili e maschili, posti su basette che fungevano da impugnatura. Un esempio, ora conservato al Museo Nazionale Romano, proviene dalla tomba di una bambina rinvenuta al VII miglio della via Nomentana, raffigurante una giovane donna con una complessa acconciatura. Cavi all’interno, questi sonagli venivano realizzati da una matrice a due valve attaccate tra loro, dopo aver introdotto all’interno una pallina di argilla.

LE ANTENATE DI BARBIE Figurine in terracotta riproducenti animali da cortile costituivano comunque un regalo apprezzato, soprattutto per le bambine, come testimoniano le numerose figure di galli e galline conservate nel Museo di Magonza. Tra i giochi femminili non potevano, inoltre, mancare le bambole, realizzate in osso, avorio e nella piú economica terracotta. Come le moderne Barbie, queste bambole avevano spesso gli arti snodabili, ed erano fornite di accessori per la toletta e anche di piccoli mobili che arredavano la loro casa in miniatura. Anche questi giocattoli ci offrono testimonianza delle notevoli differenze sociali esistenti tra i bambini dell’antica Roma. Esistevano infatti bambole (pupae) per tutte le tasche, da quelle piú a basso costo, come si è detto in ceramica, a quelle realizzate in materiale piú prezioso. Pensiamo alla famosa bambola appartenuta a Crepereia Tryphaena, morta alla vigilia delle nozze, e sepolta insieme ai suoi giochi preferiti. La bambola, realizzata in avorio, presenta una elaborata acconciatura, che costituisce per gli

archeologi un importante elemento datante, se confrontato con i ritratti marmorei delle donne appartenenti alla famiglia imperiale (in questo caso la pettinatura è quella di moda al tempo di Marco Aurelio e Faustina Minore). La bambolina era fornita anche di un corredo di oggetti riproducenti gioielli, un pettinino e due braccialettini con un cerchietto in oro come fermaglio. Altrettanto preziosa era la bambola appartenuta alla vestale Cossinia, vissuta tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C., come lascia anche intuire l’acconciatura della figurina, uguale a quella della moglie di Settimio Severo, Giulia Domna. Anch’essa era fornita di accessori quali una collana e braccialetti in oro, a conferma di come l’alto rango della sua padrona si rispecchiasse nei suoi giocattoli. In terracotta venivano anche realizzati i fischietti, raffiguranti uccelli o galletti, figurine munite sul retro di un elemento tubolare con fessura, soffiando nel quale si produceva un fischio. Fischietti realizzati con ossa, soprattutto

falangi, di animali, risalgono al Paleolitico Superiore, utilizzati come richiamo per la caccia, o anche con significati magici. Nel Neolitico compare il piú antico fischietto in terracotta, datato tra il 4500 e il 4000 a.C., rinvenuto ad Harsova in

In alto: pupazzo in ceramica in forma di soldato romano. Olimpia, Museo Archeologico. A destra: biberon in foma di cigno di epoca romana. Londra, Wellcome Collection. Nella pagina accanto: bambola in terracotta con braccia snodabili, dall’Attica (Grecia). IV sec. a.C. New York, The Metropolitan Museum of Art.

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Romania, che riproduce un bovino. Fischietti a forma di uccello, risalenti all’età del Bronzo, provengono da siti dell’Ungheria, mentre all’epoca ellenistica appartengono altri fischietti ornitomorfi dall’Egitto e dall’Anatolia. Per l’epoca romana, oggetti simili sono stati rinvenuti in vari siti dell’Europa centrale e orientale (Francia, Belgio, Germania, Polonia), mentre in Italia figurine di galletti, provengono dalla tomba A destra: fischietto antropomorfo in terracotta dipinta. Cultura Bahia (Ecuador). New York, The Metropolitan Museum of Art. In basso: brocchetta o biberon (thylastron) in ceramica dipinta di produzione apula. 360 a.C. circa. Parigi, Petit Palais-Musée des Beaux Arts de la Ville de Paris. Curunas II di Tuscania e da una tomba di Norchia, sebbene non sia certo che si tratti di fischietti. Nella descrizione del Capodanno a Roma del 1143, si parla dei bambini che andavano di casa in casa con fischietti a forma di maschera. In epoca medievale, infatti, la produzione di tali oggetti conosce una notevole ripresa, grazie a numerose officine che producevano anche ceramiche di uso comune, principalmente in area romagnola a Faenza, tra l’Alto Lazio, l’Umbria e la Toscana, almeno a partire dal XIV secolo.

DAME E BAMBINI Dalla fornace di via della Cava a Orvieto, che produceva maiolica arcaica e ceramica graffita, provengono, per esempio, anche vari fischietti in terracotta. I soggetti rappresentati sono quelli zoomorfi, già presenti in età romana, come uccelli e galletti, ma compaiono anche altri animali comuni nella civiltà contadina, come cavalli, bovini e conigli. In questo periodo, e soprattutto in

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epoca rinascimentale (dalla seconda metà del XV a tutto il XVI secolo) sono attestati anche diversi fischietti antropomorfi. Il tipo piú diffuso è quello della dama, riccamente abbigliata con i vestiti tipici dell’epoca (come per l’acconciatura delle bambole di epoca romana, anche il confronto con i vestiti raffigurati sui dipinti dell’epoca è un utile strumento per datare questi oggetti in mancanza di dati archeologici), o quello della donna con in braccio un bambino in fasce; in quest’ultimo caso il fischietto assume evidentemente un significato beneagurante per la maternità, mentre quelli che rappresentano singoli neonati in fasce sono evidentemente diretti alla buona salute del bambino. Altri esemplari riproducono sante o religiose a figura intera, ma vi sono anche busti che rappresentano ritratti di esponenti della nobiltà, anch’esse con elaborate acconciature e con preziosi monili. I personaggi maschili comprendono personaggi a figura intera, a mezzo busto e anche figurine a cavallo. Si distinguono nobili, cavalieri, trombettieri, ma anche papi, alti prelati, vescovi e monaci. Si deve pensare infatti che tali fischietti, oltre che essere destinati ai bambini, potevano assumere un significato devozionale e probabilmente erano venduti durante le feste in onore dei santi patroni. Alcuni fischietti, infine, modellati a forma di amanti abbracciati, potevano costituire un dono offerto alla persona amata come pegno d’amore. Tutti i personaggi rappresentati, come si è detto legati al mondo dei cavalieri, delle grandi dame, dei paladini, e dei santi, potevano essere anche venduti dai cantastorie che ne raccontavano le gesta durante le fiere, al termine delle loro esibizioni, costituendo cosí una sorta di souvenir, da portare a casa dopo la festa.



L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA Francesca Ceci

E TROVARONO IL BAMBINO CON MARIA... TEMI GIÀ CARI ALL’ARTE PALEOCRISTIANA, LA NATIVITÀ E L’ADORAZIONE DEI MAGI RICORRONO, DAL CINQUECENTO IN POI, ANCHE SU MONETE E MEDAGLIE

«S

i dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme»: cosí Tommaso da Celano, cronista della vita di san Francesco d’Assisi e suo contemporaneo, racconta il primo presepio «vivente», allestito dal santo il 25 dicembre del 1223 a Greccio, dove la rappresentazione è simbolica, mancando i protagonisti umani e divini. La popolazione del luogo che accorre, vi partecipa con fervore ed entusiasmo, mentre Francesco, beato, celebra la nascita del «Bambino di Betlemme» (Vita di San Francesco, X, p. 85). La rappresentazione della nascita di

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Gesú già era ricorsa su sarcofagi e affreschi catacombali paleocristiani del IV secolo. Particolarmente suggestiva è la «doppia» natività rappresentata sul magnifico sarcofago di Adelfia, ritrovato nelle catacombe di S. Giovanni a Siracusa e ora esposto nel Museo archeologico regionale della città intitolato a Paolo Orsi. In una scena sul coperchio vi sono i tre Magi che osservano la stella, poi il bue e l’asinello davanti a Gesú nella mangiatoia, un pastore e infine Maria. In basso, sulla fronte, Gesú è in braccio alla madre, seduta su un seggio simile a un trono, e riceve l’adorazione dei Magi con i loro doni. Nelle catacombe di Priscilla, lungo la via

In alto: mezzo giulio in argento di Leone X. Zecca di Pesaro, 1519. Al dritto, lo stemma papale; al rovescio, la Natività.


Medaglia coniata da Hans Reihart il Vecchio. 1538. Al dritto, Mosè e il roveto ardente; al rovescio, l’Adorazione dei Magi.

Salaria, a Roma, si trovano invece le piú antiche raffigurazioni della nascita di Gesú con la Madonna e dell’Adorazione dei Magi, risalenti al III secolo d.C. Il grande assente, in questa fase piú antica, è san Giuseppe, che compare nell’iconografia della Natività solo a partire dal V secolo. Il presepe e i Magi compaiono sulla monetazione moderna a partire dal XVI secolo. La prima moneta con la scena del presepe è un mezzo giulio In basso: particolare della decorazione del sarcofago di Adelfia: da sinistra, i Magi osservano la stella; il bue e l’asinello davanti a Gesú nella mangiatoia; un pastore e Maria. 325-350 d.C. Siracusa, Museo archeologico regionale «Paolo Orsi».

in argento emesso dalla zecca di Pesaro nel 1519, sotto il pontificato di Leone X, battuto forse per celebrare il ritorno della città allo Stato pontificio avvenuto proprio nel 1519. Al dritto compare lo stemma di papa Leone X sormontato dalle chiavi decussate, e accompagnato dalla legenda LEO DECIMVS. Al rovescio, la Natività è formata dal Bambino, a terra, al quale si rivolgono Maria e Giuseppe in atto di preghiera, e sulla sinistra, vi è la mangiatoia, o meglio una stalla con tettoia, con il bue e l’asino. Cinque stelle compaiono in vari punti del campo monetale. La legenda riporta AD TE PISARVM («eccomi a te, Pesaro»).

DA MONETE A MONILI Da questa data in poi la Natività ricorre nella monetazione pontificia e in quella dei notabili preposti alle emissioni in varie signorie italiane; molte di queste monete, già di per sé in metallo nobile e con immagini complesse e di qualità, acquistano un valore religioso conferito dalla sacra rappresentazione, e vengono spesso trasformate in pendenti attraverso la realizzazione, sopra l’immagine, di un foro da sospensione per l’inserimento di un laccio o di una catenella. Il 6 gennaio venivano sistemati nel presepe casalingo i re Magi, per la festa dell’Epifania che celebra la

visita dei primi personaggi pubblici al divino neonato e rappresenta la sua iniziale rivelazione al mondo. Numerose sono le monete e le medaglie con la scena sacra, resa anche da artisti del conio, come quella dell’incisore tedesco Hans Reihart (1510-1581), che nel 1538 crea una medaglia, realizzata in vari metalli, con l’Adorazione dei Magi al dritto. Entro una ricca capanna sovrastata dalla stella cometa siede in trono Maria che mostra il Bambino ai tre re; dietro di lei, Giuseppe, con un cero, e, alle sue spalle, il bue, che sta mangiando nella mangiatoia sulla quale sono incise le iniziali dell’artista (HR) e, di contrappunto, l’asino con il muso alzato, che sembra intento a ragliare. Sullo sfondo, alcuni edifici resi secondo le caratteristiche architettoniche nordiche che simboleggiano Betlemme; sulla porta d’accesso si trova un pavone. In esergo una lunga iscrizione in latino cita il Vangelo di Matteo (2,11): INVENERVNT PVERVM CVM MARIA ADORAVERVNT ET OBTVLERVNT MVNERA AVRVM THVS ET MIRRA («Trovarono il bambino con Maria sua madre, lo adorarono e gli offrirono oro, incenso e mirra») e la data: MDXXXVIII. Nell’apocrifo Vangelo armeno dell’Infanzia, di discussa datazione, si racconta della visita dei Magi, considerati come re: «I re magi erano tre fratelli: Melchiorre, che regnava sui persiani, poi Baldassare che regnava sugli indiani, e il terzo Gaspare che dominava sul paese degli arabi» (Vangelo Armeno dell’Infanzia, V, 10). I nomi, poi, sono divenuti quelli canonici della tradizione.

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I LIBRI DI ARCHEO

DALL’ITALIA Vincenzo d’Ercole

I POPOLI ITALICI D’ABRUZZO Dall’età del Bronzo alla romanizzazione Antiqua Res Edizioni, Acquapendente (VT), 264 pp., ill. col. b/n 40,00 euro ISBN 979-128073135-7 www.antiquaresedizioni.it

Il territorio dell’odierno Abruzzo coincide con un’area densamente frequentata fin dalla preistoria e nella quale, in epoca preromana, è attestata la presenza di un vero e proprio mosaico di genti. Questa realtà culturalmente vivace e multiforme è il tema portante del volume di Vincenzo d’Ercole, che ha uno dei suoi maggiori punti di forza nell’esperienza maturata sul campo dallo studioso in oltre trent’anni di attività nella regione. Le prime pagine dell’opera sono dedicate alla rassegna delle ricerche compiute in Abruzzo dall’Ottocento in poi, indagini alle quali lo 112 a r c h e o

stesso d’Ercole ha dato un contributo decisivo, guidando scavi, quali, per esempio, quelli nelle necropoli di Campovalano e Fossa. L’archeologia innerva l’intero quadro storico disegnato nel libro, scandito in tre macrosezioni di taglio crono-culturale. Si comincia dunque con gli inizi dell’età del Ferro, fra X e VIII secolo a.C. per raccontare come anche l’Abruzzo sia testimone di quella che l’autore definisce l’«autoidentificazione dei Popoli». Divengono cosí familiari i nomi come quelli dei Vestini, dei Marrucini, dei Pretuzi o dei Peligni, solo per citare alcuni dei molti attori di questa vicenda. Qui, come nell’intera opera, la disamina della ricca documentazione restituita dagli scavi non si limita a considerazioni di carattere tipologico o statistico, ma diviene funzionale a considerazioni di piú ampio respiro sul contesto storico e culturale nel quale i diversi fenomeni hanno luogo. E il discorso tocca dunque argomenti quali la gestione del territorio, l’ideologia o le pratiche cultuali, rivelando la complessità delle compagini sociali di volta in volta analizzate. Con criteri analoghi, si passa a quella che viene definita «L’epoca d’oro», vale a dire il periodo compreso tra il VII e il V secolo a.C. In questo capitolo, un ampio excursus è dedicato al

fenomeno della grande scultura, che ha il suo alfiere nel guerriero di Capestrano, che fa bella mostra di sé anche sulla copertina del volume. Si ha cosí modo di scoprire come la realizzazione dello spettacolare ritratto non abbia costituito un episodio isolato e, soprattutto, d’Ercole offre la lettura analitica di questa e altre statue, sottolineando l’importanza, anche simbolica, di determinati elementi decorativi. Il capitolo conclusivo è dedicato all’ingresso dell’Abruzzo nell’orbita di Roma, fra il IV e il I secolo

a.C. La romanizzazione segue un percorso graduale, nel quale l’autore distingue due momenti: il primo, «repubblicano», che si conclude nel III secolo a.C., all’indomani delle guerre sannitiche, e nel quale i popoli abruzzesi riescono a conservare una certa autonomia; e una seconda fase, che vede invece la progressiva omologazione con i nuovi dominatori. Non a caso, il sottocapitolo che fa da epilogo alla trattazione, s’intitola, significativamente, La fine di un mondo. Stefano Mammini

Torso di una statua in pietra raffigurante un personaggio maschile, che, per la lavorazione della materia prima e la resa dei dettagli, appare affine al Guerriero di Capestrano. La scultura è stata venduta all’asta nel 1992 da Sotheby’s.



presenta

LE CROCIATE LA STORIA OLTRE IL MITO

La tradizione storiografica circoscrive il fenomeno delle crociate a un periodo relativamente breve, compreso tra il 1096 e il 1270, nel quale furono otto le spedizioni organizzate dalla cristianità con l’obiettivo di acquisire (o riprendere) il controllo della Terra Santa. In realtà, vuoi per molte altre imprese concettualmente affini succedutesi nel corso dei secoli, vuoi per l’uso – mai come adesso frequente – del termine «crociata» anche in contesti geopolitici e culturali ben diversi, si può dire che l’epopea dei cruce signati, o almeno la loro evocazione, non si è mai conclusa davvero. È questo uno dei fili conduttori del nuovo Dossier di «Medioevo», nel quale la lunga parabola avviata dal vibrante appello lanciato da papa Urbano II nel concilio di Clermont (in occasione del quale, tuttavia, il celebre «Dio lo vuole!» non sarebbe stato mai effettivamente gridato...) viene magistralmente ripercorsa da Franco Cardini e dagli altri studiosi che firmano i contributi riuniti nel fascicolo. Quello che nacque come un «pellegrinaggio armato» produsse assedi, battaglie, fiumi di sangue e indicibili atrocità, ma consentí anche un proficuo contatto tra Islam e mondo cristiano, le cui tracce furono evidenti nell’evoluzione delle arti e delle scienze. Un fenomeno, dunque, dalle molteplici sfaccettature, descritte e analizzate in maniera sistematica nelle pagine del Dossier. A conferma di quanto lo studio sulle crociate continui a essere un cantiere aperto e siano ancora molte le questioni interpretative da sciogliere.

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