Archeo n. 314, Aprile 2011

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L’età dei metalli

di Claudio Giardino

Il mistero della pietra filosofale Incorrutibile e puro, in grado di trasformare la materia vile in oro, il leggendario oggetto rappresenta una grande metafora del pensiero magico-religioso legato alle origini della metallurgia primo racconto della saga di Potter, che ha reso celebre IlalHarry scrittrice inglese Johanne K.

Rowling, aveva come titolo Harry Potter e la pietra filosofale, a riprova di quanto la magica sostanza sia ancora oggi un potente richiamo per l’immaginario collettivo. Secondo gli antichi alchimisti, la pietra filosofale consentiva di fabbricare sinteticamente l’oro, trasformando il metallo vile in prezioso, attraverso un processo di trasmutazione che gli toglieva ogni impurità, rendendolo cosí incorruttibile. La magica pietra era anche in grado di togliere le impurità dal corpo dell’uomo, impedendone il decadimento: poteva quindi guarire ogni malattia e persino restituire la giovinezza perduta. Al sogno di creare la pietra filosofale si sono dedicate generazioni di alchimisti, apparentemente senza successo. Secondo un’antica leggenda, nella Roma del Settecento, un sapiente sarebbe riuscito nell’impresa mentre era ospite nella villa sull’Esquilino del marchese Massimiliano Palombara, un personaggio vissuto fra il 1614 e il 1680, anch’egli dedito alle scienze occulte. Prima di scomparire misteriosamente, avrebbe lasciata scritta la ricetta di preparazione, che il nobiluomo fece scolpire, a futura memoria, sulla porta in marmo della sua dimora. I ruderi di quella soglia sono ancora visibili nei giardini della centralissima piazza Vittorio, non lontano dalla Stazione Termini: la cosiddetta

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«Porta Magica», affiancata da due statue del dio egizio Bes, reca incisa, infatti, una serie di oscuri simboli cabalistici assieme a iscrizioni sibilline in latino ed ebraico. La «maturazione» dei minerali Il concetto di trasmutazione dei metalli è assai antico. Una letteratura alchemica che ne trattava fiorí già attorno al II-I secolo a.C. nell’Egitto ellenistico; i suoi scritti sono pieni di avvertimenti e giuramenti che ne proibiscono la divulgazione ai profani. L’idea che l’uomo possa agire sulla natura stessa dei metalli, modificandola, è però ancora precedente e affonda le radici nella preistoria, risalendo verosimilmente agli albori dell’età del Rame, con gli inizi della metallurgia. Dai testi di età classica

sappiamo come Greci e Romani credessero che i metalli, a somiglianza delle piante e degli animali, obbedissero a un ritmo temporale, crescendo nelle viscere della terra. Plinio riferisce che le miniere di piombo, una volta abbandonate, rinascevano piú ricche dopo un certo tempo. La concezione di base era che nel sottosuolo i minerali, lungo il tempo geologico, «maturassero», divenendo sempre piú perfetti. L’uomo esperto di metallurgia, nel suo forno fusorio, si sostituiva alla natura grazie alle sue conoscenze tecniche, accelerando il processo di crescita e trasformando cosí in breve tempo, con l’aiuto del fuoco, la pietra dei minerali in brillante metallo. Le stesse miniere, cosí come le caverne, non erano altro che il grembo della Madre Terra. Non a caso le grotte – sia naturali


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