Terre di mezzo street magazine ottobre 2010

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ottobre 2010 â‚Ź 3,00

Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, LO/MI Roserio.

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puntilandia nel paese dei corsi c’è chi sogna una cattedra. e chi se ne approfitta.


COMUNICARE IL SOCIALE

Organizzato da:

Con il patrocinio di:

Un percorso teorico-pratico in compagnia di giornalisti, fotoreporter, copywriter e art director, rivolto a realtà non profit, studenti e insegnanti.

Il fund raising alla prova: tecniche, esperienze, deontologia. Il corso si articola in 6 moduli che forniranno ai partecipanti gli strumenti per raccontare in modo efficace e corretto il sociale.

informare e coinvolgere come organizzare una conferenza stampa la creazione di una campagna di fund raising le dinamiche dei media classici le ultime frontiere del marketing

Dal 5 al 27 Novembre 2010. Durata 18 ore. Tutti i venerdì dalle 15 alle 18 e due sabati mattina dalle 10 alle 13. È previsto un servizio di tutoring. Chiusura iscrizioni il 29 ottobre, max 15 allievi.

l’utilizzo di parole e immagini PerA4informazioni: www.terre.it – comunicareilsociale@terre.it INSP Portrait IT Full Colour HALF.pdf 1 10/09/2010 16:18-

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Terre di mezzo, via Calatafimi 10, 20133 Milano, tel. 02 – 89.415.839.

Il futuro è nelle tue mani Il 17 Ottobre è la giornata mondiale Onu di Lotta alla povertà. Una sfida che 110 giornali di strada come Terre di mezzo lanciano ogni giorno, aiutando in tutto il mondo persone senza dimora e migranti a uscire dall'emarginazione. Finora, grazie a milioni di lettori come te, 200.000 venditori di strada in 40 Paesi hanno dato una svolta alla loro vita. Vuoi saperne di più? www.street-papers.org/2010


l’esteta dell’addio

| notizie in circolo

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l’intervista Il coraggio in una striscia di Antonella Lombardi Tre siciliani combattono la mafia con un fumetto su Mauro Rostagno.

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fotoreportage urbano Veni, vidi, bici di Daniele Coppa La dura vita di un ciclista in città, raccontata per immagini.

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LE STORIE DI TERRE La valle del silenzio di Laura Silvia Battaglia Nel Belice, distrutto dal terremoto del ’68, tra ruderi e opere d’arte.  | ALTERNATIVE POSSIBILI

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viaggiatori viaggianti Fedeli ad oltranza di Osvaldo Spadaro Alla scoperta dei vecchi credenti arrivati in Estonia dalla madre Russia.

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LE STORIE DI TERRE Le meraviglie di Alice di Eleonora De Bernardi Le detenute di San Vittore aprono una boutique nel cuore di Milano.  | RISERVE mentali

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Divertimenti indipendenti Insieme a Teano di Miriam Giovanzana Un appuntamento per celebrare l’unità d’Italia senza retorica.

Terre di mezzo Editore sbarca nel mondo del libro elettronico. Potete già acquistare i primi tre titoli (e man mano sarà disponibile anche il resto del catalogo): “I mostri nel mio frigorifero” di Stefania Cecchetti, “(non) Un corso di scrittura e narrazione” di Giulio Mozzi, e “Caterina sulla soglia” di Susanna Bissoli. Su bookrepublic.it, libri.terre.it e nelle migliori librerie online.

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LE STORIE DI TERRE L’oro di Goro di Dario Paladini La fortuna arriva dalle Filippine. Sotto forma di una vongola.

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Arrivano gli e-book

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l’inchiesta I forzati di Puntilandia di Andrea Rottini e Maria Gallelli Tra corsi online e master spagnoli, è una sfida all’ultimo punto per conquistare una cattedra nella scuola dei precari. Un giro d’affari milionario.

| editoriale | elena parasiliti

obayashi incontra la morte tutti i giorni. Lo attende supina e contratta. Talvolta ha le sembianze di vecchia, chignon bianco e un reticolo di rughe, talvolta di ragazzo, berretto da baseball e ciuffo sugli occhi. Lui si presenta, con i ferri del mestiere: cotone, pinze, belletto. Saluta e si inginocchia per dar inizio al rito della partenza. Di fronte a un intimo pubblico di amici e parenti, lava pettina veste. Cancella i segni della fatica dagli occhi, distende le guance e la bocca per allontanare ogni residua smorfia di sofferenza. Immerso nel silenzio, rotto di tanto in tanto da qualche singhiozzo, riporta pace e bellezza dopo il calvario. Qualcuno lo chiama “thanatos-esteta”, per gli altri è un maledetto becchino. Kobayashi non vi dà peso. Certo, fa un lavoro che nessuno vorrebbe, ma ne ha scoperto il senso: ogni suo gesto accompagna le persone nel momento del distacco, con il tocco lieve di una corda di violoncello. Una carezza rivolta non a chi parte, ma a chi resta, come racconta “Departures”, la pellicola di Yojiro Takita che ha vinto l’Oscar nel 2009 come miglior film straniero. L’avevo persa, e finalmente l’ho vista, proprio mentre un amico mi confidava che il lavoro alla lunga è diventato un mezzo. Non per dar voce alle proprie inclinazioni o per costruire luoghi di giustizia e bellezza. Ma per “la sopravvivenza”. Kobayashi non sarebbe d’accordo. Abbasserebbe lo sguardo, per incontrare ancora una volta la morte. E renderla (per quanto possibile) bella.

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Direttore responsabile Elena Parasiliti direttore@terre.it

Direttore editoriale Miriam Giovanzana miriamgiovanzana@terre.it

Redazione Andrea Rottini Dario Paladini Andrea Legni redazione@terre.it

Ringraziamo per questo numero Carola Fumagalli, Davide De Luca, Ginevra Marino, Ilaria Sesana, Giorgio Donghi, la redazione di Terre di mezzo Editore, il magazzino e lo staff di Fa’ la cosa giusta!

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In prima Fila Il villaggio che ha catturato il sole di G. Genovesi “Lo specchio” di Viganella (Vb) nel film del regista David Christensen.

Segreteria segreteria@terre.it Magazzino magazzino@terre.it Pubblicità segreteria@terre.it

Direzione e redazione Cart’armata Edizioni srl via Calatafimi 10, 20122 Milano tel. 02 - 89.41.58.39 fax 02 - 83.57.431 Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 566 del 22 ottobre 1994. Terre di mezzo è tra i promotori di International Network of Street Papers www.street-papers.org

In copertina Forum di Assago, maggio 2010: in 50mila per un posto alla materna. (Silvano Del Puppo/Fotogramma)

Art director Antonella Carnicelli grafico@terre.it

www.terre.it

1,50 euro del prezzo di questo giornale restano al venditore

Progetto grafico Elyron.it

Stampa Arti Grafiche Stefano Pinelli srl via Farneti 8, 20129 Milano. Poste Italiane spa Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, DCB Milano Roserio.

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opinioni | giro d’italia | a cura di | ULDERICO PESCE

tuffi proibiti

≈ Ulderico Pesce, autore di teatro civile e di denuncia, dirige il Centro mediterraneo delle arti. Per conoscere i suoi lavori, cliccate su uldericopesce.com.

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l fiume Noce nasce a 2.005 metri, tra le cime del massiccio del Sirino, nell’Appennino lucano. Dopo aver “sconfinato” per un piccolo tratto, nel territorio calabrese, torna di nuovo in Basilicata per sfociare nel mar Jonio, a Castrocucco di Maratea (Pz). Un fiume meraviglioso che si getta in un mare altrettanto bello. L’area infatti è inserita nel parco nazionale della Val d’Agri. Sono orgoglioso che le acque del fiume Noce passino sotto casa mia: in quelle acque da adolescente ho fatto il bagno e ho visto la trota fario, oggi in estinzione. Tanta bellezza però non è bastata a preservare questo fiume dall’assoluto abbandono in cui l’hanno lasciato le istituzioni. Molti dei depuratori installati lungo il suo corso non funzionano, anche se i cittadini continuano a pagare un’imposta per la depurazione delle acque. Tanti soldi per un servizio quantomeno parziale. Ma non è finita. I carabinieri hanno più volte scoperto delle discariche abusive lun-

go i suoi argini e i giornali locali hanno pubblicato diverse lettere in cui i cittadini denunciavano movimenti sospetti: alcuni camion si aggiravano in piena notte vicino alle sue rive. A due passi dalla foce, poi, è arrivata anche una società che si occupa di “rifiuti pericolosi”, ora indagata perché, secondo l’accusa, li avrebbe smaltiti illegalmente nei terreni circostanti. La prima udienza del processo si terrà l’11 novembre nelle aule del Tribunale di Paola (Cs), ma i Comuni della zona non si sono ancora costituiti come “parte civile offesa”. Lo trovo ingiusto. Per questo, per svegliare la coscienza degli amministratori, è stata lanciata una petizione popolare sul sito valledelnoce.it: vi chiedo di aiutarci a vincere questa battaglia. Il fiume Noce va protetto e sulle sue sponde devono nascere attività conformi alla sua bellezza. Il mio augurio? Che anche voi possiate fare il bagno nelle sue acque.

Qualcuno vuole intimidire Ulderico. Il 25 agosto a Rivello (Pz) ha trovato la sua auto distrutta: gomme tagliate e carrozzeria rovinata con un punteruolo. È la terza volta: era già successo a Scansano Ionico e a Roma. Mai come in questi casi è importante non lasciare sole le persone minacciate. Per questo vi invitiamo a esprimere la vostra vicinanza a Ulderico sul suo profilo Facebook o dal sito uldericopesce.it. Il fiume Noce.

| il rovescio del diritto | a cura di | AVVOCATI PER NIENTE

il diritto di sbagliare M

a quanto bisogna essere “buoni” per restare in Italia? È possibile anche per lo straniero porre rimedio agli errori di gioventù senza essere messo alla porta? Il governo francese ha proposto la revoca della cittadinanza a chi commette reati e ormai anche in Italia dobbiamo confrontarci con questi temi. Penso a Mohamed (il nome è di fantasia), un giovane che vive qui da quando aveva 10 anni e che sto assistendo. Mohamed è arrivato qui grazie al ricongiungimento familiare e dopo la licenzia media ha iniziato a fare qualche lavoretto. Ha però anche cominciato a frequentare persone sbagliate che l’hanno instradato verso piccoli (ma numerosi) reati contro il patrimonio. È finito in carcere.

≈ Avvocati per niente, associazione di legali impegnati nella difesa dei soggetti deboli. È promossa tra gli altri da Acli e Caritas. Per informazioni, avvocatiperniente.it.

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Ora Mohamed ha 30 anni, si è gettato alle spalle i propri errori e con l’aiuto dei servizi sociali ha intrapreso un percorso di riabilitazione. Alla prima occasione di rinnovo del permesso di soggiorno, però, la Questura glielo ha negato e subito è arrivato l’ordine di espulsione. Nel frattempo il giovane ha perso ogni contatto con la patria, non ricorda quasi più neanche l’arabo, là non ha più amici né parenti. Rinchiuso nel centro di espulsione, il Cie di via Corelli a Milano, aspetta la decisione dei giudici: quello

amministrativo dà maggior peso alla necessità di tenere unito il nucleo familiare e chiede alla Questura di sospendere il rimpatrio, il giudice di pace invece l’autorizza. La questione è delicata. La cultura corrente ci suggerisce che delle devianze degli stranieri ci si può sbarazzare subito con il rimpatrio. Ma questo ragionamento è sempre valido? In un Paese dove risiedono persone che vivono l’Italia come la loro patria effettiva, forse anche il diritto di sbagliare, scontare i propri errori e possibilmente avviare un percorso di recupero, può trovare tutela. Livio Neri


| cassandra che ride | a cura di | PAT CARRA

| micro&macro | a cura di | LORETTA NAPOLEONI

epidemie caloriche S

In attesa all’aeroporto di Heathrow, Londra. (Toby Melville/Reuters)

≈ Loretta Napoleoni, economista

esperta di terrorismo, collabora con Bbc, Cnn, El Pais, Le Monde e The Guardian. Il suo sito: lorettanapoleoni.com.

econdo l’Organizzazione mondiale della salute rischiamo di diventare vittime di un nuovo tipo di epidemie. Si tratta di malattie non contagiose che, però, si stanno diffondendo con la stessa rapidità di un virus: l’obesità e il diabete di tipo B che si presenta dopo la pubertà ed è causato da una prolungata alimentazione ipercalorica. In un pianeta dove almeno un miliardo di persone soffre la fame, capita dunque che la gente si ammali perché ingerisce troppe calorie. L’allarme obesità ha suscitato, tra gli altri, anche l’interesse della Nestlé, che sta studiando nuove formule per ridurre le calorie contenute nel latte in polvere. Da anni, infatti, assistiamo a un fenomeno sconcertante: bambini di appena 6 mesi già obesi. Il motivo? Alcuni tipi di latte contengono il 43 per cento di sciroppo di mais e il 10 per cento di zucchero. Più che di latte, si tratta di frullati ipercalorici che fanno sviluppare nel neonato una sorta di dipendenza dagli zuccheri. Analisi di laboratorio condotte da Robert Lustig, pediatra all’istituto di endocrinologia dell’università della California, mostrano che le calorie contenute in un biberon sono pari a quelle di una lattina di Budweiser o di Coca Cola. Negli ultimi vent’anni il contenuto calorico di gran parte di ciò che mangiamo o beviamo è aumentato. E questo, paradossalmen-

te, è avvenuto proprio grazie alla diffusione di prodotti dietetici. L’industria alimentare ha infatti sostituito i grassi con i carboidrati, che nell’organismo diventano zuccheri, e con gli zuccheri, tra i quali primeggia lo sciroppo di mais ricco di fruttosio. E dato che questo prodotto costa molto meno dello zucchero normale, i costi di produzione sono scesi. Con questo margine in più di profitti, l’industria alimentare occidentale ha potuto aumentare le dimensioni dei propri prodotti per schiacciare la concorrenza estera. Dalle bottiglie di Coca Cola ai cibi precotti fino ai pacchetti di patatine fritte, il cosiddetto junk-food è diventato il prodotto più a buon mercato. Sconvolge constatare come anche i poveri si ammalino di diabete di tipo B perché la loro dieta comprende molti junk-food. Un pasto da McDonald’s o una margherita da Pizza Hut costano una frazione di un pasto meno calorico a base di cibi freschi. E questo è vero nel Nord come nel Sud del mondo. Inoltre, la vita è sempre più sedentaria e le conseguenze sono ancora più dannose. A chiudere il circolo vizioso troviamo le società farmaceutiche che vendono medicine che abbassano il colesterolo o alleviano i sintomi del diabete di tipo B. Un consiglio: torniamo a mangiare i cibi dei nostri nonni. | 017 | ottobre 10

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made in Italy

i nuovi italiani si raccontano

La Cinquina dell’intercultura La vita dei ragazzi di seconda generazione a Cinquina, quartiere alla periferia di Roma dove l’integrazione è già un dato di fatto. La racconta il regista Simone Amendola in “Alysia nel paese delle meraviglie”. Documentario vincitore del Premio Ilaria Alpi, che in autunno sarà trasmesso da Rai Tre. | a cura di | paula baudet vivanco

un romano senza identità G2 in riunione a Milano Alla ripresa delle attività autunnali la Rete G2, organizzazione di figli di immigrati, ha scelto Milano per il suo quinto incontro nazionale, in programma il 6 e 7 novembre. Al workshop G2 le seconde generazioni lombarde ospiteranno ragazzi e ragazze provenienti da Lazio, Toscana, Umbria, Piemonte, Sicilia ed Emilia Romagna; seguirà un evento pubblico dove saranno invitati a partecipare gli insegnanti della scuole primarie e secondarie. La sede dell’incontro, non ancora definita, potrebbe essere lo storico e già interculturale Parco Trotter di Milano (secondegenerazioni.it).

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aolo, timido fantasma di 26 anni, ha finalmente la possibilità di uscire dal limbo dei senza fissa identità. Occhi dolci e accento romano, per anni si è aggirato per le vie della capitale con il terrore di essere notato e cacciato e allo stesso tempo con la speranza che qualcuno lo vedesse, lo riconoscesse, assicurandogli che era tutto a posto, che era libero dalla maledizione che chissà chi gli aveva inflitto da bambino. Perché Paolo è nato a Roma da genitori filippini e lì ha vissuto, frequentando la scuola e poi lavorando come tutti i comuni mortali, ma alla questura risulta scomparso dall’età di sei anni e da allora non è più presente nel permesso di soggiorno della madre come figlio minorenne regolarmente residente. Né le autorità competenti né i genitori, che invece risultano sempre regolari -come i suoi fratelli più piccoli- gli hanno saputo spiegare come sia potuto accadere l’arcano, senza che nessuno se ne accorgesse né mai venissero chiesti chiarimenti. Tra il rischio di restare in Italia senza documenti adatti e senza la possibilità di chiedere la cittadinanza italiana e l’angosciante idea di andare a vivere nelle

sconosciute Filippine, per anni Paolo è vissuto in un limbo: persino la Polizia, una volta ascoltata la sua storia surreale, si è rifiutata di espellere un fantasma nato a Roma. Qualcosa è cambiato quando Paolo si è imbattuto, navigando sul web, nel forum della Rete G2, ricevendo consigli utili per non svanire del tutto e non farsi abbindolare. Anche familiari e amici si sono impegnati a fondo per cercare una via d’uscita finché, a forza di insistere, le porte del limbo si sono aperte grazie “all’amico di un amico” nelle forze dell’ordine, che ha compreso l’assurdità della situazione e ha deciso di dare una mano per far uscire Paolo dall’ombra. Così da alcuni mesi la vita del giovane G2 ha riconquistato consistenza grazie a un permesso di soggiorno per ricerca di occupazione, che in verità scadrà già tra poche settimane. Ma a quanto pare di questo si devono accontentare i fantasmi italiani del nuovo millennio. ≈ Paula Baudet Vivanco, giornalista di origine cilena, è in Italia dal 1982. Collabora con Metropoli e Internazionale. È segretario dell’Ansi (ass. nazionale stampa interculturale).


in breve | FAmiglie allargate

adozioni islamiche, il silenzio dello stato

I Abilità a quattro zampe Lulù sa aprire e chiudere i cassetti, aiuta a fare il bucato e, se Alessandra cade, lei corre dal vicino per avvertirlo. Lulù è una cagnolina educata per assistere la sua padrona con disabilità e lo fa con risultati così sorprendenti (vedere per credere, cercate “Alessandra e Lulù” su youtube.com) che la sua istruttrice e l’associazione ChiaraMilla hanno creato il progetto “abili a 4 zampe”, per mettere questa esperienza al servizio di altre persone. Ma il costo dell’addestramento è alto (circa 10mila euro) e, per ora, lo Stato non partecipa alle spese. (A. L.)

n Italia il diritto all’adozione non è uguale per tutti. Così accade che a un bambino di due anni si possa negare di raggiungere i genitori adottivi di origine straniera, anche se questi risiedono in Liguria da trent’anni anni e il nostro paese sarebbe obbligato dal diritto internazionale a consentire il ricongiungimento del piccolo a loro affidato. È la storia di Amhid (nome di fantasia) che, nato da una fuga d’amore tra due giovani marocchini, è stato messo al mondo e poi abbandonato. Dall’Italia, un’altra coppia di loro connazionali, Mohammed Barakat e sua moglie, ha chiesto alle autorità del Marocco di poter accogliere Amhid nel nostro

paese attraverso la kafala, una formula a metà tra adozione e affidamento. Il permesso è stato però negato perché l’Italia non ha ancora riconosciuto questo istituto di diritto islamico, nonostante l’obbligo di regolamentazione sancito dalla Convenzione dell’Aja del 1996. Così, in attesa di una sentenza risolutiva, i genitori affidatari di Amhid si sono dovuti dividere: Mohammed è tornato in Liguria a lavorare e la moglie è rimasta in Marocco per stare insieme al piccolo. Secondo l’associazione Amici dei bambini (Aibi), nel nostro paese ci sono altri 600 casi analoghi a questo. L’Italia, prima o poi, dovrà rendersene conto. (Andrea Legni)

| c’è chi dice no | attivisti antimafia

il funzionario scomodo la paradossale lotta di Gioacchino genchi contro la mafia. E lo stato colluso.

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a verità è come un mosaico: bisogna mettere insieme i tasselli per arrivare a conoscerla. E questo mosaico mostra connivenze tra pezzi dello Stato e mafia che hanno portato alle stragi e poi ai depistaggi”. Gioacchino Genchi, 50 anni, funzionario di polizia e consulente informatico, ha operato per diverse procure, svolgendo un ruolo decisivo in inchieste delicate. Un lavoro scomodo quello di Genchi, finito sotto indagine per aver svolto “attività illegale di intercettazione”, accusa da cui è stato pienamente assolto. Nel marzo scorso è stato anche sospeso, per la terza volta in carriera, dalla polizia (la motivazione: aver accettato l’invito a un congresso dell’Italia dei valori). Così gira l’Italia raccontando la sua esperienza. Edoardo Montolli, autore della sua biografia (uscita per Aliberti editore), lo ha definito “Un uomo in balìa dello Stato”, uno Stato per cui lui ha lavorato duramente. A cavallo degli anni ’90, quando collaborava con la procura

di Caltanissetta, fu il primo a indagare sulle sta “Why not?”, che rivela l’esistenza di un sicomplicità tra mafia e apparati dello Stato, stema di potere occulto che coinvolge politici, facendo emergere il ruolo che i Servizi deviati imprenditori, militari e massoni. Il giudice e i avrebbero giocato nel fallito attentato a Falco- suoi collaboratori vengono rimossi. L’inchiene (al fianco del quale ha lavorato) nel 1989 e sta, conclusa dai nuovi titolari, non porta a nelle stragi del 1992. Fu tra i primi ad arrivare nulla. Una vicenda oscura che rientra nella pein via D’Amelio e, grazie al suo intuito, a sco- culiare situazione calabrese, “dove manca quelprire dove fosse collocato il telecomando che la cultura che in Sicilia si è formata col sangue delle stragi –spiega Genchi-: e aveva innescato l’esplosione. Gioacchino Genchi. ha permesso la crescita dei maLa risposta era a poca distanza gistrati”. Ma il consulente sicida Palermo, sul Monte Pelleliano si preoccupa anche delle grino, dove sorge il Cerisdi, un cricche del Belpaese: “Bisogna centro di studi: una struttubonificare le istituzioni, persira utilizzata dai Servizi e dagli no la magistratura -e ricorda-. uomini dell’Arma e con cui, Quando parlai di collusioni tra in base a quanto emerso dai mafia e Stato mi presero per tabulati telefonici studiati da pazzo. Alla luce degli ultimi sviGenchi, erano in contatto due luppi sull’inchiesta delle stragi “picciotti”. devo dire, però, che i fatti mi Nel 2007 si trasferisce a Castanno dando ragione”. tanzaro e, accanto al pm De Massimiliano Perna Magistris, collabora all’inchie| 017 | ottobre 10

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il coraggio in una striscia tre siciliani di talento combattono la cultura mafiosa con un fumetto su mauro rostagno. | testo | Antonella Lombardi | illustrazione | giuseppe lo bocchiaro

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guardarli è come se si fossero divisi i ruoli di un copione. Il poliziotto buono, quello cattivo e la spalla. In realtà sono tre siciliani accomunati dalla passione per “le strisce” e da un impegno: trasferire “La forza della vita” (per citare un maestro caro a tutti e tre, Will Eisner) sulla carta. Salvo complicazioni. Ad esempio, metti che il soggetto sia un giornalista come Mauro Rostagno, un corsaro alla ricerca della verità, siciliano come loro, e che ad aprire le porte più intime della sua esistenza siano gli stessi familiari, con foto e documenti privati. Metti poi che a firmare la prefazione sia Adriano Sofri e che il lavoro si svolga a distanza, incastrando gli impegni di ciascuno con i lavori ufficiali. A raccontarlo sono Nico Blunda, Marco Rizzo e Giuseppe Lo Bocchiaro, sceneggiatori e illustratore della biografia più aggiornata su Rostagno, edita da Beccogiallo: “Prove tecniche per un mondo migliore”. E alla fine, come in un vero giallo, le sorprese non mancano. Come vi siete incontrati? Nico: Conosco Marco da 14 anni, siamo entrambi trapanesi, dopo il suo ultimo albo su Peppino Impastato l’idea di lavorare insieme si è fatta più incalzante. Marco: Io però avevo promesso che non lo avrei mai fatto. Troppo coinvolgimento emotivo... Giuseppe: In realtà non ci siamo incontrati, ci conoscevamo per via dei rispettivi blog. Mentre ero al mare, ho ricevuto una telefonata con la loro proposta. E mi sono messo al lavoro. Rostagno è una figura dalla biografia movimentata. Un soggetto niente affatto semplice...

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N: Abbiamo letto tutto quello che era stato pubblicato. Un po’ come fare i giornalisti. M.: Le difficoltà sono arrivate quando abbiamo capito che ogni momento della sua vita è legato al precedente. Non si può parlare di Lotta Continua senza parlare di Trento, dell’India senza citare l’esperienza del centro culturale Macondo. G.: Il problema più grande è stato rappresentare le azioni in esterno. Mi sono servito di Google Earth per ritrovare certe strade e dare dei riferimenti credibili al contesto. Com’è stato il passaggio alla sceneggiatura? M: Siamo partiti da una scaletta, lo “scheletro” della storia. Poi abbiamo lavorato a distanza, anche se non è come trovarsi nello stesso studio dove puoi mimare una scena per renderla più chiara. Ma tutto si risolve. G.: Marco e Nico mi hanno mandato una sceneggiatura dettagliata, io ho cercato immagini e libri che mi aiutassero a ritrovare quell’epoca. In un fumetto dall’impianto realistico, questo è un aspetto delicato: tutti conoscono Mauro, ma in 30 anni un volto cambia. Sembra strano, ma abbiamo discusso molto su come rendere l’evoluzione della sua acconciatura. N.: Abbiamo “romanzato” dei fatti reali. La ragione ci diceva di selezionare il materiale, ma il cuore ha vinto. Il lavoro dello sceneggiatore è un po’ come quello del regista: inizi dal particolare, immagini un controcampo e il resto viene. C’è una frase di Rostagno molto attuale: “Io sono più trapanese di voi, perché ho scelto di esserlo”. G.: La sicilianità per lui era centrale, come l’im| L’intervista

pegno politico: “Noi non vogliamo trovare un posto in questa società -diceva-, ma creare una società in cui valga la pena trovare un posto”. N.: Ricordate la frase del cantante Marvin Gaye? “Ovunque lascio il mio cappello, questa è casa mia”. Calza a pennello per Mauro e il suo panama. Non importa dove si nasce, ma dove si decide di vivere e per che cosa vale la pena lottare. Marco, la figura di Rostagno aleggia nei tuoi lavori precedenti. Lo citi nel fumetto su Ilaria Alpi e gli hai anche dedicato l’albo su Peppino Impastato... M.: Mi ha insegnato molto, soprattutto che la mafia a Trapani, una provincia considerata “babba”, esiste e va combattuta, col sorriso sulle labbra. Per me è stato come chiudere una trilogia e la dedica si riferisce agli anni in cui Mauro era all’emittente televisiva locale Radio Tele Cine (RTC) dove ha lavorato anche mia madre. Insieme volevano intervistare la madre di Impastato, ma Mauro fu ucciso prima che il progetto andasse in porto. Era il 1988. Pochi mesi fa mia madre mi ha regalato “La mafia in casa mia”, un libro scritto dalla madre di Peppino: glielo aveva regalato Mauro. Siamo alla resa dei conti. Mi dite un pregio e un difetto di questo trio? N.: Io sono il poliziotto buono, Marco quello cattivo e Giuseppe la vittima. L’esperienza di Marco gli ha dato molta determinazione e la maggior parte delle volte ha avuto ragione. Non lo invidio solo perché degli amici bisogna essere fieri. Giuseppe è stato disponibile, forse troppo. G.: I miei aguzzini: mi avevano parlato di 60 tavole (ora sono 120) e mi hanno costretto a rivoluzionare i miei ritmi di lavoro. Però si è creato un legame che è andato oltre il rapporto vittima/carnefice. (ridono) M.: Mi danno il ruolo del cattivo, in realtà li riportavo con i piedi per terra: il loro unico difetto è stato l’eccessivo entusiasmo. E poi io sono una mammoletta, mi commuovo facilmente. Lavorare con la supervisione dei parenti di Rostagno è stata una grande responsabilità. N.: E se siamo riusciti a emozionare loro, vuol dire che in questo lavoro c’è Mauro.


Marco Rizzo Nico Blunda Proiezionista, scenografo, insegnante di arte, museografo: la graphic novel su Mauro Rostagno segna il suo debutto come sceneggiatore. Ha 38 anni ed è tra i fondatori dell’associazione Segnali di fumetto.

Giuseppe Lo Bocchiaro Palermitano, classe ’75, ufficialmente è un architetto. Di fatto, non ha mai smesso di disegnare. Firma come “Lobo” le strisce che pubblica sui blog Coreingrapho e Rosalio. Ma ne ha creato anche uno tutto suo: Inventoaltritempi.

Ventisettenne, giornalista e traduttore, ha fondato il sito comicus.it. Con BeccoGiallo ha pubblicato “Ilaria Alpi, il prezzo della verità” (miglior Fumetto al Napoli Comicon 2008) e il pluripremiato “Peppino Impastato, un giullare contro la mafia”.

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i forzati

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| L’inchiesta


di puntilandia | testo | andrea rottini e maria gallelli

per conquistare una cattedra si iscrivono a corsi di formazione online o volano in spagna. sborsando migliaia di euro.

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l primo settembre Lucia Longo è andata in pensione. Sessantunenne, per quasi trent’anni ha insegnato lingue straniere prima nelle scuole superiori di Milano, poi in quelle di mezza Puglia. Dal 2000, quando l’allora ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer istituì il sistema delle graduatorie permanenti, la professoressa di Taranto ha raccolto 12 punti all’anno per l’attività di docenza, 17 per le abilitazioni all’insegnamento di inglese e francese e ben 31 grazie ai corsi di aggiornamento, per un totale di 280 punti. Lucia Longo oggi è prima nella classifica della sua provincia: qualora si liberasse un posto, la prossima cattedra di ruolo sarebbe sua. La storia di questa docente è finita sui giornali e sulle televisioni, paradigma dei quasi 230mila precari della scuola italiana, invisibili Davide che lottano ogni giorno contro il Golia di un sistema scolastico ingessato e obsoleto, che da dieci anni non fa un concorso ordinario per reclutare nuovi insegnanti, costringendo gli altri in graduatorie a punteggio con tempi di assorbimento variabili da materia a materia. Le aspirazioni professionali e i progetti di vita dei precari sono intrappolati in un tunnel di cui non si vede la fine. Secondo il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ci vorranno “almeno 7 anni” per assorbire tutti i precari della scuola, un merito che probabilmente si prenderà il suo successore. Intanto, chi è in graduatoria cerca di accumulare più punti possibili, magari iscrivendosi a corsi di aggiornamento professionale a pagamento, spesso di dubbia qualità. Una guerra all’ultimo punto, in cui più di qualcuno si è arricchito.

Sfida all’ultimo corso

Milano, fine giugno. Nel cortile dell’Istituto Salesiano “Don Bosco” di via Tonale, alle nove del mattino, più di cento persone attendono di entrare nelle aule ai piani superiori per affrontare una prova d’esame. Niente di straordinario, se accalcati nel chiostro ci fossero adolescenti con calzoncini corti e zaini in spalla in attesa della campanella d’inizio. Ma è domenica e ad aspettare ci sono mamme con bambini piccoli in braccio pronti alla poppata, papà con passeggini al seguito, trentenni e quarantenni sudati, tutti con una laurea in tasca e un’abilitazione all’insegnamento conseguita frequentando la Ssis (la famigerata Scuola di specializzazione all’insegnamento secondario), qualcuno anche con un concorso superato. “Sono inserita nelle graduatorie -spiega Francesca, 110 e lode a La Sapienza-. Nel 2011 si riapriranno per l’aggiornamento dei

punteggi. E allora tre punti in più faranno comodo, perché a volte basta veramente poco per rimanere a casa”. Insieme a lei due colleghe brianzole, Ilaria ed Elena, docenti di lettere alla scuola media, laureate e abilitate, ogni anno in ansia per la nomina del Provveditorato, quella che garantisce un posto stabile per un intero anno scolastico. “Nel settembre 2009 l’ufficio provinciale di Milano ha convocato per una cattedra completa, 18 ore settimanali, i docenti fino alla posizione 528, chi aveva 42 punti -ricordano le due amiche-. Chi era a quota 40 si è dovuto accontentare delle supplenze dei presidi, quelle in cui non sono pagate le feste e il contratto viene sospeso durante le vacanze di Natale e di Pasqua”. Perché, in casi come questo, bastano due punti, o anche uno solo, per essere dentro o fuori. Secondo la Cisl scuola, sono 229.721 i precari oggi iscritti nelle graduatorie ad esaurimento e tutti vivono con la sindrome da raccolta punti: bastano 16 giorni di supplenza per ottenerne due, ma in un anno di servizio si può arrivare fino a 12. Poi ci sono i titoli post laurea: conseguendo un master annuale, una specializzazione biennale o un diploma di perfezionamento da 1.500 ore e 60 crediti formativi si possono acquistare tre punti, fino a un massimo di dieci in tutta la carriera. Un meccanismo da bollini della spesa, che ha attirato nel business dei corsi a punteggio molti atenei italiani, più o meno famosi. Con costi proibitivi per i malcapitati allievi. Un esempio? Tutti i presenti in via Tonale hanno sborsato 550 euro per un corso di perfezionamento online organizzato dall’Università per stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria, legalmente riconosciuta dal Ministero. Il materiale per lo studio a casa è stato spedito ai corsisti dall’associazione Mnemosine di Santa Margherita di Belice (Agrigento), che collabora con l’università: a ogni insegnante è arrivato un Cd rom con i testi da studiare (circa 800 pagine divise in sette moduli), corredati di quiz a risposta multipla da compilare e rispedire alla scuola insieme a sette saggi brevi e un saggio finale in duplice copia di non più di 10 pagine. A detta degli iscritti le dispense

Cinquemila persone: tanti erano i partecipanti all’ultimo concorso per i nidi e le scuole d’infanzia di Milano. In palio 50 posti. (Del Puppo/Fotogramma)

Personale docente in servizio nella scuola fonte: cisl scuola

I grafici escludono i docenti di religione (circa 25mila) e quelli non abilitati che hanno svolto supplenze. Secondo la Cisl, il calo dei precari dell’ultimo triennio è dovuto in gran parte ai tagli di organico.

843.000

836.000

16,8%

15,7%

14,7%

totale docenti

142.000

131.000

117.000

percentuale precari

a.s. 2007/08

a.s. 2008/09

a.s. 2009/10

795.000

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9


età media degli insegnanti di ruolo fonte: miur

49,4 anni 47,7 anni

scuola primaria

48,6 anni

scuola dell’infanzia

50,4

anni

scuola secondaria di secondo grado

51,0 anni

scuola secondaria di primo grado

sono di buona qualità, ma per eventuali dubbi c’è un tutor reperibile sul cellulare, due ore al giorno dal lunedì al venerdì. A pochi giorni di distanza, sempre a Milano, la scena si ripete: fuori dalla sede d’esame del consorzio univesitario For.com, non lontano dalla stazione centrale, c’è Marco, 33 anni, messinese trapiantato a Bergamo. Qui, però, il giudizio sul materiale didattico è impietoso: “Le dispense contengono errori e creano confusione: nulla a che vedere con un corso universitario. E si dice che non sia mai stato bocciato nessuno”. Nonostante la promozione “quasi” assicurata, sui volti degli studenti che escono dall’esame è dipinto il disincanto. “A 22 anni ero laureata, a 25 avevo già quattro abilitazioni e lavoravo tutto il giorno -dice una trentunenne genovese-. Oggi lavoro solo sette ore la settimana, perché le ore eccedenti vengono date agli insegnanti già di ruolo. E gli ingressi a Genova sono bloccati: in due anni sono state assunte soltanto due persone”. In attesa di un futuro che non arriva mai, intanto conviene non restare indietro. Così “tutti quanti si ritrovano a rincorrere corsi e punti, anche se non sempre di alta qualità -ammette Maristella Curreli, presidente del Comitato italiano precari-. È un pizzo che dobbiamo pagare”. In effetti, a seconda delle scuole, si arriva a spendere anche 1.900 euro per un corso da tre punti (dati Uil scuola). Non poco per chi, al netto delle tasse, guadagna poco più di 1.350 euro al mese. Un bel business per gli organizzatori. Secondo Terre di mezzo, le sole Mnemosine, For.com e Baicr, alcune tra le organizzazioni più note nel settore, nel 2010 esamineranno oltre 10mila docenti, incassando complessivamente più di 11 milioni di euro. Anche se queste agenzie sono accreditate dal Ministero e svolgono un’attività consentita dalla legge, resta la perplessità su un sistema scolastico che chiede ai docenti di pagare per la propria formazione. “I corsi vanno fatti perché sono necessari alla sopravvivenza in graduatoria, ma diventano una costrizione più che un vero aggiornamento

Eccellenze in panchina / 1

Luca Piergiovanni, 101 punti 37 anni, precario da 6, è laureato con lode e insegna lettere alla media di Olgiate Comasco. Nel 2010 il ministro Gelmini lo ha premiato per i suoi metodi innovativi. (foto: Carlo Pozzoni)

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| L’inchiesta

professionale”, spiega Laura Criscione, responsabile della testata online Orizzonte scuola. Il sistema dei corsi a punti ormai crea imbarazzo anche in ambienti ministeriali: “Vorrei che a Puntilandia riservassimo lo stesso trattamento che il senato romano riservò a Cartagine: in cenere e col sale sparso sulle rovine -dice Max Bruschi, consigliere del ministro Gelmini-. Abbiamo il dovere morale di rivoluzionare la formazione in servizio, innanzitutto cancellando il sistema di vendita dei punti e distinguendo i corsi che il docente sceglie per migliorare la propria didattica da quelli frequentati solo per scalare la graduatoria. Di corsi ottimi ce ne sono, anche online”. Ma la critica non risparmia neppure i precari: “Se si vanno a vedere i blog riservati a questo tema -prosegue Bruschi-, la maggior parte si orienta in base a tre parametri, tutti col segno meno: il tempo, la difficoltà, il costo”. E se i forzati delle graduatorie sono pronti a spendere fino a 2mila euro per salire di tre punti in classifica, che cosa sono disposti a fare i 300mila precari italiani “non abilitati” pur di conseguire il titolo che oggi nessuna università italiana può concedere?

Vamos, profesor!

Quando tre anni fa il Miur, ministero dell’Istruzione, università e ricerca, ha decretato la sospensione delle Ssis, le scuole di specializzazione che concedevano l’abilitazione all’insegnamento, qualcuno si è ricordato che l’Italia fa parte dell’Unione europea e che esiste una direttiva comunitaria, la numero 36 del 2005, da noi recepita nel 2007, che consente di riconoscere le qualifiche professionali in tutti gli Stati membri. In forza di questa norma, sono fiorite agenzie che offrono la loro consulenza per accompagnare gli aspiranti docenti italiani nella scelta di un’università spagnola dove poter conseguire un master in grado di rilasciare un titolo di abilitazione all’insegnamento valido anche nel nostro Paese. “Ti forniremo tutto il supporto necessario:


distanza da scuola per età e luogo di nascita fonte: fondazione giovanni agnelli, rapporto sulla scuola 2009

500 – Nord Centro

Chilometri

400 –

Sud

300 –

200 –

100 –

0– 25

30

35

40

45

50

55

60

65

Età

distanza da scuola per età e tipologia di contratto fonte: fondazione giovanni agnelli, rapporto sulla scuola 2009

350 – Temporaneo 300 –

Appena in ruolo Ruolo

Chilometri

dall’organizzazione del viaggio e dell’alloggio in Spagna per le lezioni di presenza, al corso di spagnolo intensivo con certificazione finale, dal tirocinio in Italia alla gestione di tutte le pratiche necessarie presso il Miur per la richiesta di equipollenza dell’abilitazione”. Queste le promesse dell’Efi - Ente per la formazione integrata, Spa con sede legale a Roma, che la scorsa estate ha organizzato una trasferta per frequentare un corso di abilitazione “accelerato” presso l’Ucam, Universidad catolica San Antonio de Murcia: meno di tre settimane di lezioni in Spagna, un periodo di tirocinio presso scuole paritarie o statali italiane, una tesina di 15 cartelle in castigliano. Tutto in tre mesi (quando per la Ssis ci volevano almeno due anni) alla modica cifra di 8mila euro, escludendo il corso di lingua, il viaggio e le spese legali per il riconoscimento dell’abilitazione. “La somma richiesta copre il disbrigo delle pratiche, poi man mano si vede”, dicevano dalla segreteria dell’Efi ai primi di luglio, a pochi giorni dall’inizio del corso, nonostante la scadenza per l’iscrizione fosse stata fissata per il 15 giugno. A una ragazza che chiameremo Marta, però, gli stessi organizzatori poche settimane prima avevano chiesto 9mila euro, più altri mille per il corso di spagnolo. Lei alla fine in Spagna non c’è andata, ma ha partecipato ai quattro incontri preliminari “dove l’omertà regnava sovrana -ricorda-: solo all’ultimo abbiamo ottenuto una copia del contratto e le informazioni generali sul corso, che si sarebbe svolto quasi interamente in Italia”. Dopo i primi 15 giorni, infatti, gli allievi avrebbero discusso la tesi finale in Spagna: “Di fronte alle mie perplessità sulle difficoltà di esporre in un’altra lingua -prosegue Marta-, uno degli organizzatori mi disse che ero poco professionale perché l’italiano è uguale allo spagnolo e quindi non avrei avuto problemi a impararlo in 20 giorni”. E aggiunge: “L’incontro si concluse con questo tizio che, in stile televendita, ci raccomandava di pensarci perché era un’occasione unica e che noi l’avremmo persa per i problemi infondati che ci stavamo ponendo”.

250 –

200 –

150 –

100 – 25

30

35

40

45

50

55

60

65

Età Se volete fare i professori, preparatevi a viaggiare. I due grafici dimostrano la distanza coperta per raggiungere la propria scuola: per i precari e per i docenti del Sud, la strada è più lunga.

Eccellenze in panchina / 2

Lucia Longo, 280 punti 61 anni, di cui 28 da precaria. Residente a Taranto, l’anno scorso percorreva ogni giorno 120 km per insegnare inglese in un liceo di provincia. Ora, in pensione, si dedicherà al volontariato accanto alle donne vittime di violenza. (foto: Renato Ingenito)

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Salari annuali

migliaia di euro

40

Scuola primaria

35 30 25 20

40

rr fin ie e ra ca

15 do an po ni

ca in rr izi ie o ra

15

Second. I grado

35 30 25 20 15

40

Second. II grado

35 30 25 20 15 Italia Media Ocse fonte: ocse

In un certo senso, l’offerta dell’Efi era davvero unica: rendersene conto basta scorrere le pagine della Gazzetta riusciva a concentrare in un’estate il percorso del Master Ufficiale dove sono riportati i decreti di abilitazione all’inin formacion de Profesorado, della durata di otto mesi, dal segnamento conseguiti in un altro paese europeo: nei soli 2009 unica via ufficiale per ottenere l’abilitazione in Spa- mesi di luglio e agosto 2010, se ne contano 14. D’altro canto, però, è bene sapere che il riconoscimento gna, offerto da tutti i principali atenei iberici a cifre di gran lunga inferiori. Per iscriversi a questo master presso l’uni- non è scontato: l’Ufficio scolastico provinciale di Bologna versità Ucam bastano 3mila euro: un bel risparmio rispetto ha negato l’ingresso in graduatoria a una laureata italiana agli 8mila chiesti dall’Efi, che però non è stata l’unica or- abilitata in Spagna per insegnare storia dell’arte, giudicandone insufficienti le competenze. ganizzazione a fiutare il business. A luglio anche il sottosegretario C’è anche la S.D. Consulting, con rapporto studenti insegnante all’Istruzione Giuseppe Pizza, dusedi a Milano e Madrid, che assiste rante una riunione della VII Comgli aspiranti professori fornendo da Scuola primaria missione del Senato ha ribadito che subito informazioni più puntuali. 10,6 “questi titoli non vengono automaRicorda, ad esempio, che per rico16,4 ticamente riconosciuti nel nostro noscere il titolo in Italia è necessaPaese”. Dopo aver letto il dossier rio omologare la propria laurea al Scuola secondaria di primo grado dell’Anfis (l’associazione dei formacorrispondente titolo spagnolo, pra10,8 tori degli insegnanti) ha poi esprestica che richiede un iter di almeno so “preoccupazione per il dilagare di un anno. Ma nemmeno loro fanno 13,7 proposte assai costose per conseguire troppi sconti sull’onorario: 6.500 l’abilitazione, sulla base di requisiti euro più iva per la consulenza, a cui Scuola secondaria di secondo grado vanno aggiunti dai mille ai 1.500 19,5 diversi da quelli richiesti in Italia”. Mettere dei paletti definitivi a euro per l’iscrizione al master. 15,8 questo fenomeno non sarà però Più “economici” i servizi forniti impresa facile, perché c’è di mezzo dall’Abinspain, dove la consulenza Italia Media Ocse l’Europa. E il nuovo percorso, che per selezionare il master da frequenfonte: ocse dopo la laurea magistrale prevede tare costa 3mila euro (mille all’aperun anno di tirocinio formativo attura della pratica, mille all’avvenuta iscrizione e mille al riconoscimento del titolo di studio). tivo a numero chiuso e con esame finale, non risolve il Questo tuttavia non è sufficiente a ottenere l’abilitazione: problema: “Ho già chiesto però agli uffici competenti di “Occorre, infatti, realizzare degli adempimenti ulteriori compiere tutte le verifiche che consentano di bloccare i relativi al riconoscimento dei titoli”, scrivono via e-mail. furbi senza violare le norme europee -ammette Max BruQueste agenzie di consulenza non fanno nulla di il- schi, consigliere del ministro Gelmini-. Queste, a mio legale: si limitano a sfruttare un’opportunità di profitto parere, sarebbero comunque da rivedere, riconoscendo concessa dalla normativa europea e, soprattutto, dalle come corsi abilitanti solo quelli più selettivi e ribaltando zone d’ombra del sistema scolastico italiano, in cui an- la scelta al ribasso compiuta da qualche eurocrate sulla che gli aspiranti docenti sembrano infilarsi volentieri. Per pelle degli studenti”. Eccellenze in panchina / 3

Emiliano Sbaraglia, 77,5 punti 39 anni, precario da 11. Laureato con lode, ha conseguito un dottorato all’università Tor Vergata di Roma e ora insegna lettere nei licei della provincia. Ha scelto di non abilitarsi ed è inserito nelle graduatorie dei singoli istituti. Ha pubblicato per Fanucci Editore “Il bambino nella spiaggia”, il racconto della sua esperienza come maestro in un villaggio del Senegal.

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| L’inchiesta


la scuola è finita | testo | giusi marchetta

Da precaria a disoccupata: la carriera al contrario di un’aspirante insegnante diventa una sconfitta anche per noi.

S

661

601

703

601

786

735

iamo a ottobre e la scuola è finita. Molti tagli: nessun istituto mi ha chiamato. Chi è lo stanno apprendendo adesso dai gior- rimasto si è detto pentito. Le comunicazioni nali. Noi insegnanti, invece, abbiamo del ministero parlavano di maestri unici, di sentito arrivare questa fine un po’ alla volta. voto in condotta, di riduzione degli sprechi, di grembiuli e di azienda. BiÈ coincisa con “la riforma” del sognava prendere in mano ministro Gelmini. ore insegnate decreti e circolari molte volLa mia storia professionale per docente te; leggerli e rileggerli prima parte dalla Ssis: la scuola di di arrivare davvero a capirli. specializzazione per l’insegnaMolti miei colleghi un lavoro mento. Due anni e mezzo di l’avevano e non se ne sono esami, tirocini e lezioni. Qualpreoccupati. Noi disoccupati cuno dei miei colleghi già alabbiamo avuto tutto il tempo lora parlava di trasferirsi e di del mondo, e ci siamo attrezcercare un posto tra le graduazati. Chi ha potuto è andato torie poco affollate delle città via: io sono scappata a Torino. del Nord Italia. Mi sembrò Ma la riforma è arrivata anche eccessivo. Certo, al Sud inseScuola Second. Second. lì, sotto forma di code e gragnare era più difficile, ma mi primaria I grado II grado duatorie secondarie, dedicate sentivo preparata: il degrado Italia Media Ocse a chi viene “da fuori”. Si viene sociale e la concorrenza delle fonte: ocse arruolati solo quando tutti i scuole private non mi spavenprofessori della provincia hantavano. Così qualcuno è partito e qualcuno è rimasto a Napoli. Una scuola no ricevuto il loro incarico. Ma Torino è meglio di Napoli e, anche ha avuto bisogno di me fin da novembre e per se in coda, ho lavorato come insegnante di tutto l’anno ho insegnato storia. Poi è arrivato il 2008, insieme ai primi sostegno. È stato un anno di scioperi, mani-

festazioni e blocco degli scrutini nell’indifferenza della gente e dei colleghi. Intanto, ci hanno tolto il latino, la musica, il diritto, la storia. Hanno dimezzato le ore per il sostegno. Di fatto, in tre anni, hanno tolto a circa 100mila insegnanti la possibilità, anche se temporanea, di avere un lavoro. Come contropartita ci hanno offerto un decreto di indennizzo, “il Salvaprecari”. Consente a chi ha i requisiti di guadagnare i punti necessari per non perdere posizioni in graduatoria. Un salvagente lanciato a chi, graziato dai tagli, nel 2008/2009 aveva un incarico annuale o era stato almeno 180 giorni nella stessa scuola. Io, come altri, non rientro tra i beneficiari. Il decreto infatti è pensato per venire incontro a un numero limitato di casi: la demagogia costa, e l’ordine di tagliare non si discute. Adesso la riforma è entrata in vigore. Gli insegnanti di ruolo che hanno perso la loro cattedra sono ora costretti a cercare un altro istituto. Come già facevano i colleghi precari, oggi disoccupati. La crisi, che ha licenziato in tutti i settori, spinge anche altri miei colleghi del Sud a tentare la sorte. Si trasferiscono al Nord. Che si sentirà così invaso. Da insegnante a precaria a disoccupata: questa è la mia trafila. La vostra sarà quella di cittadini a cui hanno tolto il diritto all’istruzione, alla complessità, alla formazione. Lo hanno fatto per farvi stare tranquilli, senza dubbi, senza pensieri. Liberissimi di dimenticare la storia e di ignorare la Costituzione: la scuola è finita anche per voi.

Eccellenze in panchina / 4

Giusi Marchetta, 56 punti Scrittrice e insegnante precaria. Nata a Caserta nel 1982, ha vinto il premio Calvino nel 2007 con “Dai un bacio a chi vuoi tu”. Il suo ultimo romanzo, “Napoli ore 11”, è uscito nel 2010 per Terre di mezzo Editore. | 017 | ottobre 10

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l’oro di goro | testo | dario paladini | foto | michele morosi

Famoso per il mercato dei sussurri, il borgo sul delta del po ha scoperto che la Fortuna arriva dalle filippine. Sotto forma di una vongola.

I

l giovane battitore d’asta, orecchino e donna nuda tatuata sul braccio sinistro, li scruta con gli occhi socchiusi, per capire meglio le loro intenzioni. Intorno a una quindicina di cassette colme di canocchie pescate nella notte, i grossisti con un gesto richiamano la sua attenzione. Ciascuno gli bisbiglia il suo prezzo all’orecchio. Due tra i più anziani parlottano, sembra si stiano accordando: “L’astator son me”, li richiama all’ordine. Fra borbottamenti, cenni, sguardi e sussurri, alla fine il battitore scandisce il nome di cinque grossisti. A ognuno assegna tre cassette a 3 euro al chilo. Al mercato ittico di Goro, in provincia di Ferrara, dal lunedì al venerdì alle quattro del pomeriggio c’è l’asta del pesce, con il rito dell’offerta a orecchio. È stato introdotto nel 1980, prima si faceva tutto a voce alta: l’astatore stabiliva un prezzo massimo e scendeva fino a quando uno degli acquirenti se lo aggiudicava con un’alzata 14

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di mano. Il prezzo era fissato in scudi, memoria di quando il ferrarese era ancora feudo pontificio: uno scudo equivaleva a circa 500 lire. “Si scelse il metodo del bisbiglio per evitare che i grossisti si accordassero puntando al ribasso”, racconta Pierpaolo Piva, direttore del mercato, oggi gestito dal consorzio Pescatori di Goro, che conta 600 associati. Un sistema condannato a scomparire. “Ormai è anacronistico -ammette il direttore-: appena ristruttureremo il mercato, introdurremo l’asta elettronica”. Su un tabellone luminoso comparirà il prezzo di base e ogni acquirente digiterà la propria offerta su una pulsantiera: “Così vi sarà più certezza nella contrattazione”. Un fatturato di 3 milioni e mezzo di euro l’anno. La vera ricchezza di questo borgo, però, non deriva dalla pesca, ma da un altro prodotto del mare: le vongole, che qui hanno un giro d’affari annuo di oltre 100 milioni di euro. Su 4mila

abitanti, gli allevatori di vongole sono mille, riuniti in 33 cooperative. “L’oro di Goro” cresce nelle sabbie della “sacca”, la fetta di mare antistante il paese, racchiusa dalle barriere naturali costruite nei secoli dal Po. L’incontro dell’acqua dolce con quella salata e i fondali bassi, ne rappresentano l’habitat ideale. Fino al 1985 nessuno immaginava che la fortuna fosse lì, a portata di mano. È stato un giovane del luogo, fresco di laurea in biologia marina, ad avere l’idea. “A Venezia ho conosciuto degli studiosi americani che mi hanno raccontato che in Spagna e Francia veniva allevata una vongola filippina –ricorda Francesco Paesanti-. Ho pensato che potesse andare bene anche da noi, visto che avevamo già dei banchi naturali di vongole. Ma a Goro nessuno voleva credermi”. E se nessuno è profeta in patria, Francesco decide di spostarsi 48 km più a Nord, a Caleri, in Veneto. Funziona: la vongola filippina cresce a meraviglia. I suoi compaesani lo richiamano, questa volta per accoglierlo a braccia aperte. “I pescatori hanno capito che potevano guadagnare di più senza rischiare la vita in alto mare”, spiega Pierpaolo Piva. Di pescatori “veri”, in tutto il paese, ne sono rimasti 40. Mentre è cre-


Il reportage di Michele Morosi racconta un mondo condannato a scomparire: il mercato dei sussurri di Goro (Ferrara), dove le contrattazioni per l’acquisto del pesce avvengono per bisbiglio.

sciuto a dismisura il numero degli allevatori. Tra i 600 soci del consorzio, ad esempio, 570 hanno rinunciato alle reti per dedicarsi alle vongole. Un’attività certo redditizia, visto che si guadagnano dai 2mila ai 4mila euro netti al mese, a seconda dalle quotazioni. E la crisi economica non ha causato nemmeno troppi danni: il prezzo è sceso (dai 4,50 euro al chilo del 2008, ai 3,50 di oggi), ma nessuna delle 33 cooperative di Goro ha chiuso. Nel 2009 solo il consorzio dei Pescatori ha raccolto 7.600 tonnellate di vongole, la metà di tutta la produzione locale.

Sebbene queste vongole abbiano antenati filippini, i goresi hanno finito per considerarle emiliane a tutti gli effetti. Tanto che le cooperative hanno chiesto all’Unione europea la concessione del marchio Igp (Indicazione geografica protetta) e sul sito della Provincia, “i frutti” di Goro sono annoverati fra le “17 perle” gastronomiche del ferrarese, con tanto di sagra estiva. Un caso di immigrazione e di integrazione perfettamente riuscito. La filiera della vongola è ben collaudata. In un angolo della sacca c’è la nursery, di proprietà

della Regione: lì nascono i cuccioli che vengono affidati ai singoli allevatori che li “seminano” nei loro appezzamenti. Ciascuno ha infatti in concessione 8mila metri quadrati di laguna. L’allevatore deve curarne la crescita (fino ai 18 mesi) e fare in modo che nel suo territorio ci siano vongole in stadi di sviluppo diverso, così da garantire il prodotto tutto l’anno. Ogni mattina nel porto di Goro arrivano le piccole imbarcazioni con il “raccolto” che finisce negli “stabulari”: in questi capannoni, provvisti di grandi vasche, le vongole vengono lasciate a spurgare per 24 ore. Confezionate in sacchetti di rete, partono poi per i mercati d’Europa. “Al consumatore devono giungere vive e vitali -precisa Piva-: a non più di cinque giorni dalla lavorazione”. “La vongola è la nostra forza -dice Vincenzino Soncini, sindaco di Goro-, e la nostra debolezza. Quando il Lambro si è riempito di petrolio, ci tremavano i polsi. Se fosse arrivato qui sarebbe stato un disastro”. La sacca e il dedalo di canali e canneti che la circondano, fanno parte del parco del Delta, patrimonio dell’Unesco. “Ora -conclude il sindaco- manca solo un turismo capace di apprezzare questo ecosistema così unico”. | 017 | ottobre 10

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Milano, via dell’Aprica.  Secondo i dati Istat (gli ultimi disponibili), nel 2008 l’indice di lesività per i velocipedi si è attestato al 99,6 per cento. In caso d’incidente, difficile uscirne indenni.

veni, vidi, bici  16

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Le foto sono state scattate grazie a questo marchingegno. Macchina fotografica e cavalletto sono legati alla bici con una camera d’aria. E per il click, basta un telecomando.

| fotografie e testo | daniele coppa

Dura la vita di un ciclista in città: i pericoli sono ovunque, Ma Si pedala per salvare la pelle. e il mondo.

È

come un videogioco. A volte rischi una sportellata, a volte una buca. Devi evitare la macchina e il tram è sempre dietro l’angolo. Per me, nato e cresciuto a Milano, il problema è diventato quasi “trasparente”. L’insulto è parte integrante della pedalata. Ma a tener il manubrio spesso c’è qualcuno che con la sua bicicletta crede di poter salvare il mondo. Già perché la bici è questo: un mezzo sociale, ecologico, economico e salutare. A plasmare questo modo di vivere, che (eppur) si muove, è un enorme involucro di cemento e acciaio. Con un paradosso. Negli ultimi anni il mondo ha riscoperto la meraviglia che si cela dietro i raggi leggeri della bicicletta: critical mass, bicycle film festival, bike sharing... Tutto questo è nato nello stesso momento in cui i dati statistici mettono i brividi e appesantiscono la vita del ciclista: 288 morti l’anno, 14.500 feriti, smog e polveri sottili sempre oltre i limiti (la soglia di pericolo annua fissata, per un massimo di 35 giorni, a Milano si è raggiunta dopo appena 46 giorni dall’inizio del 2010). E poco si fa per cambiare direzione. Intanto il ciclista va. Si munisce di quello che può: mascherina, nuove luci Led. Qualcuno usa il caschetto, sperando che in caso di incidente con un Suv, almeno il ciuffo resti incolume. Con un tubo e qualche vecchia camera d’aria ho attaccato la macchina fotografica alla mia bici. Per cercare di raccontare (da vicino) la quotidiana avventura di un ciclista a Milano.

≈ Polifemo è un’associazione di fotografi professionisti con base a Milano, che si propone di diffondere la cultura dell’immagine e della comunicazione visiva.

fotoreportage urbano | a cura di | polifemo | www.polifemo.org

(eppur si muove) | 017 | ottobre 10

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Piazza Cavour.  Il centro storico è cosparso di pavé e binari del tram. I ciclisti più esperti consigliano di tenere la pressione delle gomme sulle 7 atmosfere per resistere alle sollecitazioni. Altrimenti si richia di “pizzicare”.

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Viale Fulvio Testi.  I poli universitari di Bovisa e Bicocca distano 8 km l’uno dall’altro. A unirli la creatività del ciclista che può scegliere tra un tragitto più lineare, ma trafficato, che percorre viale Jenner e viale Fulvio Testi, e un saliscendi salutista che prevede, oltre ai marciapiedi, un breve tratto di pista ciclabile e un sottopassaggio tutt’altro che sicuro.

Di notte. La visibilità cala drasticamente. Per fortuna le luci Led permettono di essere visti con più facilità dalle automobili.

| fotoreportage urbano

Lancetti.  Trasportare la propria bici sui mezzi Fs costa dai 3,50 ai 12 euro. Sui treni delle Ferrovie Nord si scende a 2,50 ma solo sui vagoni con l’apposito simbolo. In metropolitana non ci si può distrarre: l’accesso è consentito ma solo dalle 20 al termine del servizio; il sabato e festivi tutto il giorno.


Daniele Coppa Daniele Coppa, milanese classe 1983, frequenta studi aeronautici e comincia a lavorare nel settore dopo un corso post-diploma. Da sempre cerca di affiancare a questo mondo “tecnico” uno più “permeabile” fatto di pittura e fotografia. A unire questi universi (superfluo forse dirlo) è la dimensione del viaggio. Dal 2008 con due amici intraprende un progetto fotografico, nel 2009 partecipa alla mostra “I contrari” patrocinata dal Comune di Peschiera Borromeo (Mi) e nel 2010 decide di frequentare il corso di fotogiornalismo di Polifemo e Terre di mezzo, per consolidare le idee che da sempre gli passano per la testa. Così è nato il reportage pubblicato in queste pagine. Potete ammirare la sua gallery su flickr.com/dany_the_willy.

Urban bike messenger.  Da qualche mese Matteo lavora per i pony express a pedali, realtà imprenditoriale che sfrutta la capacità ecologica, rapida e quindi efficace nel traffico, della bicicletta come mezzo di trasporto. Percorre 1.200 km al mese. Senza inquinare.

Via Giovanni Pascoli: la Casa dello studente. Mentre il progetto BikeMi entra nella fase due, con l’arrivo di altre 100 rastrelliere (330 nuove bici), in città il ciclista continua a faticare. Il problema questa volta sono i parcheggi: ci si arrangia come si può e ogni luogo di sosta “sicura” diventa lecito. | 017 | ottobre 10

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nel belice, distrutto dal terremoto nel 1968, sospeso tra ruderi e opere d’arte.

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a vera medicina è l’eternità”. Sotto il sole crudele della Sicilia dimenticata dagli uomini, la speranza è l’ultima a morire. A Gibellina nuova –un insieme di case affastellate senza senso nel deserto di mezzogiorno- sul mosaico di Marco Nereo Rotelli campeggia questa verità, firmata Bruno Ceccobelli e datata maggio 2004. Trentasei anni prima, nel 1968, un terremoto devastante colpiva il Belice, una vallata di macchia mediterranea e vigne in provincia di Trapani. Quattordici comuni distrutti, 370 morti, mille feriti, 70mila senza tetto: questi gli effetti del terremoto. Dopo più di quarant’anni, la memoria delle vittime è eternata da ciò che resta: pochi ruderi squarciati dalle grida degli uccelli che ne hanno fatto la loro casa, finestre come occhiaie vuote sul volto della valle. Questa è Gibellina vecchia: contava 6mila abitanti. Il resto è stato ingessato per sempre sotto il famoso “Cretto di Burri”. Un gigantesco monumento della morte, distesa di cemento

bianco sui luoghi della città che fu, ne ripercorre le vie e i vicoli. Dall’alto appare come una immensa frattura della terra. Oggi, questa opera d’arte contemporanea dovuta alla visionarietà dell’ex sindaco di Gibellina Ludovico Corrao e alla sapienza del maestro Albero Burri che la realizzò nel 1984, ha perso di smalto. Soffre i segni dell’abbandono, non smentendo il senso di desolazione che apparenta tutte le opere che avrebbero dovuto fare di Gibellina un centro di arte contemporanea unico al mondo. Qualcuno arriva qui per visitarla, come una stranezza dell’oggi. In molti si recano al Museo della cittadina dove la direttrice Caterina Zummo li accoglie come in un sacrario e parla di Burri e Consagra (altro scultore di opere per Gibellina) come un apostolo parlerebbe dei suoi profeti. Sotto la cupola a palla della Chiesa Madre, progettata nel 1972 da Ludovico Quaroni e Luisa Anversa, si riposa dalla calura un melting-pot di giovani architetti: un canadese, una turca, due siciliani,

la valle del silenzio | testo | laura silvia battaglia | foto | Enzo signorelli

Il ritratto di Ludovico Corrao, ex sindaco di Gibellina; accanto, il “Cretto” di Burri e quel che resta della piazza di Poggioreale.

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Carlo e Gianpaolo: “Abbiamo portato qui i nostri amici per spiegare loro cosa significa l’incompiuto siciliano”. Ma Gibellina sarebbe dovuta essere qualcosa di diverso. “Questo posto è un pezzo della mia vita”. L’ex sindaco Corrao è un monumento alla costanza. Già senatore della Repubblica, ha amministrato Gibellina nel 1968, durante il terremoto. Oggi presiede la Fondazione Orestiadi. Panama bianco, il volto da novantenne segnato dalle rughe, ha un unico vizio: “La mia droga è il sigaro, u sucarru”, confessa. E ricorda, accogliendo i visitatori nel suo quartier generale, il Baglio Di Stefano, la dimora baronale sede della Fondazione: “Il terremoto è stato un’esplosione di necessità: nessuno ne è rimasto indenne. Però, come sul Golgota si squarciò il velo del tempio, questa scossa è stata un invito a ricucire le ferite che questa terra si porta appresso da secoli”. Ma ci voleva un terremoto per risvegliare l’ottimismo della volontà? L’ex sindaco, con il suo piglio mistico, si è reinventato la nuova Gibellina ma l’inerzia degli uomini ha provveduto a fare il resto. Basta andare in piazza Municipio, a Gibellina nuova: qui campeggia una teoria di sculture, “La città di Tebe” di Pietro Consagra. Ma, più che Tebe, è la città dei fantasmi, almeno fino alle 20.30. Dal tramonto, “La Torre civica” di Mendini incombe su un gruppo di ragazzi che giocano a calcetto e su due fidanzati, Vicky e Antonio, che si scambiano effusioni: “Il paese è pieno di famiglie sfollate da Gibellina vecchia. Non succede mai nulla”.

Il nuovo sindaco, l’architetto Rosario Fontana, si è insediato nel giugno scorso: “L’emigrazione ci ha dato una botta non indifferente (oggi gli abitanti sono 4.700). E poi i fondi statali non arrivano più. Abbiamo problemi sul fronte urbanistico, occupazionale, idrico, agricolo”. Il sindaco è un fiume in piena: “I monumenti? Chieda al Provveditorato delle opere pubbliche che si dovrebbe occupare dei restauri. Però, guardi, Gibellina ha molte altre eccellenze”. Eccole: l’agronomo Tonino D’Aloisio ha sconfitto la lebbra del punteruolo rosso che attanaglia tutte le palme d’Italia. Non solo. La Valle del Belice è il distretto del vino e conta un nutrito numero di cantine, come la Corbera, dove non ti stupisci di incontrare un enologo nordico, di Desio: Roberto Arienti. Dal 2003 è in Sicilia e si è messo in testa, con il presidente della cantina, Vito Bufalo, di dare un mercato più ampio al vino di queste colline che in pochi visitano ancora, dove le pale eoliche, ormai, la fanno da padrone. A Poggioreale, l’unica città fantasma del Belice rimasta un rudere a cielo aperto -il cineasta Giuseppe Tornatore avrebbe voluto farne un set permanente- capita di incontrare anime solitarie. Come Mario, intellettuale trentenne. Il padre è di Poggio, la madre di Salaparuta. “I miei genitori c’erano quella notte. Mio padre non è mai voluto ritornare. Ma io ho sentito il bisogno di riappropriarmi delle mie radici”. In quel che resta della terra del silenzio, a Poggioreale, dove si è accovacciato Mario, appesa a un gancio, penzola sghemba su di lui la scritta “Pane”. | 017 | ottobre 10

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voci dentro: l’italia, vista dai suoi detenuti | a cura di | Ristretti Orizzonti

libri e libertà

≈ Una finestra d’informazione che nasce in collaborazione con le redazioni di due carceri: Sosta Forzata (Piacenza) e Ristretti Orizzonti (Padova-Venezia). Per saperne di più, visitate il sito ristretti.it

La vita dietro ai banchi può ricominciare a cinquant’anni. Lo sanno bene i detenuti che scommettono ancora sul futuro.

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uali studenti sarebbero disposti a star sui banchi anche di domenica? In questa domanda è racchiuso il senso della scuola in carcere: uno spazio in cui una persona detenuta può “liberarsi” dai condizionamenti e dalle miserie della galera. Può credere che anche a cinquanta o sessant’anni sia possibile cambiare in modo radicale, grazie ai libri e allo studio. “Quando mi è arrivata la condanna definitiva, che prevedeva un lunghissimo periodo di detenzione, ho deciso di non farmi abbattere da quel colpo –ricorda Milan G., detenuto nel carcere di Padova-, e mi sono chiesto che cosa potevo fare per non sprofondare nell’inerzia e nell’autodistruzione”. E così, alla bella età di sessant’anni, ha deciso di investire sul proprio futuro. “In fondo -spiega– basta un po’ di coraggio per crescere culturalmente e migliorare la propria esistenza”. Studiare vuol dire puntare su qualcosa di più duraturo del denaro. Anche se tornare sui banchi non è stato affatto facile, soprattutto a una certa età. Walter Sponga aveva 47 anni quando ha preso questa decisione “e da trenta non entravo in un’aula”. Ammette l’iniziale difficoltà e l’imbarazzo nel trovarsi seduto in un banco, di fronte a un insegnante. “Alla mia età mi sembrava ridicolo –dice–. Pensavo: ci manca solo che adesso, se non sto attento, mi manda in castigo all’angolo oppure mi fa scrivere sulla lavagna cento volte che sono un somaro. O peggio, domani vieni accompagnato dai genitori…”. E invece i risultati raggiunti da Walter hanno stupito tutti, lui compreso: “Ho studiato con molto impegno. Dalla prima classe sono passato direttamente alla terza, e quest’anno ho superato l’esame di stato”, racconta. Studiare in galera “non è affatto semplice –aggiunge–, ma credo sia importante continuare questo percorso, restando in un carcere come questo, dove il diritto allo studio e alla cultura è garantito a tutti”. Anche Milan ha completato con successo il suo percorso di studi in ragioneria. “Nella mia disgrazia, ho la fortuna di essere in una galera dove la scuola funziona, invece di stare in una di quelle tante carceri in cui ci si abbrutisce rimanendo per venti ore in branda senza fare nulla -conclude Milan-. Qui è sufficiente che uno abbia un po’ di buona volontà per poter uscire con un diploma”.

| Usciti per voi

La prigione raccontata ai piccoli Chi sta in carcere e perché? A che cosa serve la prigione? Domande apparentemente banali ma disarmanti, come quelle che solo i bambini sanno fare. “Il carcere spiegato ai ragazzi” (Sinnos editore) è un libro semplice nato in collaborazione con l’associazione Antigone, che vuole offrire ai piccoli una lettura obiettiva e lontana dagli stereotipi del sistema penitenziario.

| parole oltre il muro | a cura di | sosta forzata L’inizio: una parola scritta alla lavagna. Poi 15 minuti. Il tempo per raccogliere i pensieri e provare a raccontarli.

battitura (bat-ti-tù-ra), s.f. In campagna è sinonimo di trebbiatura, in ufficio di un testo scritto con la macchina per scrivere. E in galera? Una pratica anti-evasione. 1 La battitura è uno dei compiti degli agenti di custodia che più volte al giorno -all’ora del cambio di guardia- entrano in cella e con una spranga di ferro battono sulle inferiate e sulla retina metallica della finestra. Io la percepisco come un’intrusione, perché il rumore interrompe qualsiasi attività, anche le rare chiacchierate con il compagno di cella. È davvero una forma di violenza. Al mattino molti di noi vengono svegliati così. Ugo, 50 anni, Italia 2 Un anno fa nel carcere di Piacenza la facevano tre volte al giorno, adesso solo due: alle 8 di mattina e la sera dopo le 20,30. La battitura serve per contare i detenuti e per controllare che nessuno abbia tagliato le sbarre delle finestre. Eduart, 25 anni, Albania | 017 | ottobre 10

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viaggiatori viaggianti: estonia

fedeli ad oltranza | testo e foto | osvaldo spadaro

Fuggiti dalla madre russia nel ’700, i vecchi credenti vivono in un angolo dell’estonia. Dimenticati da tutti. La sponda estone del lago Peipsi, la chiesetta di Varnja e il vicino cimitero, con le croce tipica dei vecchi credenti.

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uoversi o essere mossi? Se alla volte la storia non lascia che queste due alternative, i vecchi credenti estoni hanno scelto la terza: restare fermi. È così da quando, nel 1667, sono arrivati qui. Dove qui sta per le sponde del lago Peipsi, nell’Estonia Sud-orientale, un luogo remoto e non di passaggio a pochi chilometri dal confine con la grande madre Russia. E per una volta è proprio il caso di chiamarla “grande madre Russia”, visto che i vecchi credenti sono russofoni in un Paese straniero, rimasti incastrati in queste terre basse per una di quelle giravolte della storia che di tanto in tanto sposta i confini infischiandosene di chi li abita. I vecchi credenti, o staroviertsii come sono chiamati in russo, si rifugiarono qui in fuga delle persecuzioni di Pietro il Grande, ansioso di sbarazzarsi di questi tenaci tradizionalisti. Perché infatti altro non sono che una setta di ortodossi scismatici che non ha accettato le riforme ecclesiastiche introdotte a metà del Seicento dal patriarcato di Mosca. All’epoca, il patriarca Nikon voleva unificare i

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tanti testi liturgici e le diverse pratiche in uso nella chiesa russa. Così corresse i passi dei testi sacri in disaccordo con l’originale greco, cambiò grafia al nome di Gesù e il modo di fare il segno della croce. Gruppi di preti si opposero e vennero rimossi dall’incarico, ma alcune congregazioni di fedeli resistettero e continuarono nell’uso delle antiche pratiche. E quando iniziarono le persecuzioni presero con sé le icone del dissenso, le croci con i tre bracci e libri sacri e si spostarono ai margini occidentali dell’impero per poter continuare a praticare a loro modo la religione. Da allora non se ne sono più andati dalle rive del grande lago Peipsi (Chuddskoye per i russi), rispettando il verbo non scritto di farsi notare il meno possibile per non incappare in ulteriori persecuzioni. Un comandamento seguito alla lettera: per secoli i vecchi credenti hanno limitato al minimo i contatti con l’esterno, cercando di mantenere coesa la comunità grazie al rispetto delle tradizioni. Uno stoico silenzio che forse è stata la loro forza. Forza paradossalmente data anche dal numero: troppo esiguo per dar davvero fastidio a qualcuno. E oggi, se possibile, sono ancora meno. In Estonia sono rimasti in15mila, in prevalenza anziani, sparpagliati in una manciata di villaggi costieri dall’aspetto sobrio e trasandato che sorgono a una trentina di chilometri da Tartu, la seconda città del Paese. Per incontrarli bisogna andarli


come arrivare In estate voli diretti con Estonian Air (www.estonian-air.ee), da Milano e Roma; oppure da Forlì con WindJet (www. volawindjet.it). Altrimenti comodi collegamenti con Cezch airlines (www.czechairlines.com). A voler far gli originali si può volare fino a Helsinki e in nave arrivare a Tallin, poche ore di viaggio in più ma ne vale la pena.

a cercare: fare una deviazione dalla strada che unisce le basse dune del mar Baltico con il Sud dell’Estonia. I vecchi credenti disdegnano la strada principale. Ad accogliere i viaggiatori la signora Zoya Ivanovna Kutkina, che fa la sua bella figura mentre attende sul cancello della piccola chiesa di Varnja. Non alta, non grassa, ha un fazzoletto colorato per coprire la testa e un sorriso bonario che risplende al sole, come usano nell’Est Europa, quasi che la vera ricchezza si misurasse in denti dorati. Racconta con brevi cenni la storia della sua gente e apre le porte della chiesa, cuore della comunità. È una piccola struttura in legno come tutte le case della zona. All’esterno, sulla parete, una croce con tre braccia trasversali, di cui l’ultimo in basso inclinato: serve come monito. Se non si è ben convinti della natura divina di Cristo si scivola verso l’inferno. Ma se lo si crede, si risale verso il Paradiso. All’interno la chiesa è ben tenuta ma spoglia. È vietato fotografare e la signora non si raccomanda altro: “È un precetto della nostra religione”. Che prevede che si venerino solo le immagini sacre realizzate secondo le norme dell’iconografia della Russia antica o bizantina e non accettano di venerare copie fotografiche o stampate. Tanta attenzione si spiega perché lei, la signora, è “il prete” del villaggio. “Noi non crediamo nella gerarchia ecclesiastica, non ne abbiamo una. Il pastore viene scelto nella comunità: è eletto”, sottolinea con orgoglio. “Quello che c’era prima è morto anni fa, e gli altri uomini anziani proprio non se la sentivano di sostituirlo. Così abbiamo discusso e sono stata scelta io”, dice. “All’inizio è stato faticoso, soprattutto perché le nostre funzioni sono molto lunghe, | 017 | ottobre 10

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un giorno tra i vecchi credenti

compagni di viaggio

Per organizzare un viaggio in Estonia si può contattare Estonian tourist board, via Monte Rosa 20 Milano, tel. 02 – 434.58.328; visitestonia.com.

il libro

dormire Nei villaggi abitati dai Vecchi credenti intorno al lago Peipsi ci sono poche possibilità di trovare alloggio, ma non disperate e cercate una stanza nella bella città universitaria di Tartu (a 30 chilometri) che di per sé merita una visita.

varie Per visitare le zone abitate dai Vecchi credenti e fare la loro conoscenza, meglio affidarsi a un tour organizzato di un giorno: a differenza del resto del Paese, infatti, tra gli anziani dei villaggi l’inglese non è molto diffuso. Tra i tanti accompagnatori, chiedete di Triinu Akkermann su south-estonia.com.

durano il doppio di quelle normali, e sono tutte in russo antico. Dopo le cerimonie ero sfinita, ma adesso mi sono abituata”. E felice mostra che cosa si intende per funzioni faticose. Apre un Vecchio testamento e inizia a leggere. Più che una lettura è un canto cadenzato, che pare una di quelle cantilene ripetute durante le cerimonie solenni. Per queste genti la religione sembra essere il principio e la fine di tutto. Di certo non sono intraprendenti e dinamici come gli estoni, che anche ai tempi dell’Unione Sovietica godevano del tenore di vita più alto di tutto il Paese. Un secolo fa i vecchi credenti vivevano coltivando aglio e cipolle che vendevano nei villaggi vicini. Adesso vivono coltivando solo cipolle, perché la concorrenza dell’aglio cinese venduto a poco più di nulla si è fatta sentire anche qui. Ancorati alle proprie tradizioni, sembrano accontentarsi di vivere di quelle. Allora non rimane che cercare altri luoghi dove trovare testimonianze della loro cultura. Come i cimiteri: un misto tra la voluta trasandatezza di quelli ebraici e il giardino verde di quelli protestanti. Le tombe sono allineate in apparente disordine, ma curate con attenzione, soprattutto nel periodo di Pasqua, quando uno dei precetti religiosi impone di far visita ai parenti deceduti. Oppure il piccolo museo del villaggio 26

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di Kolkja: tre ordinate stanzette ricavate nel retro della scuola del villaggio, dove un’altrettanto ordinata signora insegna, rigorosamente in russo, l’abc delle usanze religiose del suo popolo e mostra vecchie immagini. Nella loro scolorita decadenza i villaggi del lago Peipsi hanno un certo fascino andato. Una decadenza che iniziano ad avvertire anche i Vecchi credenti. “Ora i nostri giovani emigrano”, racconta Zoya. “Non vogliono più stare qui a coltivare cipolle e vanno in città. Dimenticano le nostre tradizioni e trascurano la religione. Andando avanti così mi chiedo che fine faremo?”. Domanda dostojevskiana cui è difficile dare risposta.

| viaggiatori viaggianti

Sofi Oksanen

A volersi limitare alle sole note biografiche si potrebbe dire che Sofi Oksanen è stata eletta persona dell’anno in Estonia nel 2009 pur essendo, a rigore, cittadina finlandese. A voler invece parlare del libro si può dire che è un’esplorazione dell’occupazione sovietica dell’Estonia dal 1911 al 1991 vista attraverso gli occhi di tre generazioni di donne. Un romanzo per imparare qualcosa di più sulla storia estone e sui sentimenti umani.

La Purga Guanda 394 pagine 17,50 euro

Donne “Setu” in costume. Si tratta di una minoranza di origine finnica che vive nel Sud dell’Estonia, dove abitano i vecchi credenti, che invece sono russi.

In tour per l’Europa Se volete visitare un’altra comunità piuttosto numerosa di Vecchi credenti dovete andare nel villaggio di Mila 23, in Romania, sul delta del Danubio. Oppure nella comunità di Sfantu Gheorghe, poco distante. Qui vivono i Lipoveni, qualche migliaio di vecchi credenti russi fuggiti nel Settecento dalle persecuzioni di Caterina II e rifugiatisi in questa striscia di confine tra terra e acqua. Viottoli di terra battuta e canali dai fondali bassi, foreste di giunchi e sabbioni spelacchiati su cui sono costruite le case colorate di questa eterna minoranza. Polverizzati tra i canali, da secoli si spartiscono queste terre ultime con turchi, gagauzi e arumeni: altri popoli rimasti incastrati negli slittamenti degli imperi dell’Est Europa. Se non volete uscire dai confini nazionali, andate a Torino, dove risiede la più grande comunità dell’Europa occidentale, qualche centinaio di persone.


viaggiare leggeri | calendario di partenze solidali Viaggiare nel rispetto dell’ambiente e delle persone: è la filosofia dei viaggi di turismo responsabile. Queste le mete che abbiamo scelto per voi.

± città di castello (pg)

29 ottobre - 2 novembre L’associazione “Che passo!” organizza un baratto delle conoscenze a Candeggio, borgo alle porte di Città di Castello, lungo il cammino di san Francesco. Dalla biodanza all’artigianato: l’importante è condividere i propri talenti. info Che passo! tel 075 - 852.62.82 » chepasso.org

± Penisola sorrentina

19 - 26 dicembre Un settimana di trekking tra orti a terrazzo affacciati sul mare e il profumo dei limoneti. Ogni tappa permetterà di conoscere le usanze di un popolo sospeso tra mare e cielo. Il clima è mite anche in inverno. Costo: 550 euro. info La Boscaglia tel 051 - 626.41.69 » boscaglia.it

± Ecuador e galapagos

24 dicembre - 7 gennaio 2011 L’itinerario si snoda tra montagne e canyon, vulcani e lagune. Incontrerete le comunità che vivono nella foresta amazzonica. Il viaggio termina con la crociera in barca a vela alle isole Galapagos. Costo: 3.800 euro (volo incluso). info Planet viaggiatori responsabili tel 045 - 800.51.67 » planetviaggi.it

± Lanzarote

29 dicembre - 5 gennaio 2011 Nell’arcipelago della Canarie, un’isola vulcanica che ha un mare cristallino e un entroterra che sembra un girone dantesco. Sono previste anche escursioni a piedi per ammirare i deserti di lava. Costo: 1.200 euro (volo incluso). info Four Seasons tel 06 - 278.009.84 » fsnc.it Isola di Lanzarote. (Fsnc)

Val Badia, l’impianto di risalita a cavallo.

| a cura di | marco menichetti | legambiente

settimane bianche sempre più verdi

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na bella settimana bianca ecosostenibile? Organizzandola per tempo e “premiando” le località giuste, si può. Il primo obiettivo è quello di ridurre gli spostamenti in auto. Come? Iniziamo dal carpooling, che ci permette di condividere l’automobile con altri viaggiatori. Sul sito overthestop.it, si possono inserire offerte di posti in auto o cercare il passaggio che ci serve. Anche il portale di Autostrade italiane propone un servizio del genere, ma solo per l’A8 e l’A9 che collegano Milano con Varese o Como (autostradecarpooling.it). In questo modo si inquina meno e anche il nostro partafoglio sarà contento: le spese di benzina e pedaggi si dividono infatti tra i passeggeri. Ci sono poi località montane che incentivano la scelta di non usare l’auto. In Alta Val Badia (Alto Adige) gli hotel mettono a disposizione dei propri ospiti delle navette per raggiungere in gruppo funivie e seggiovie. Oppure con il “muntain pass badia”, il turista può utilizzare, a prezzi scontati, sia gli autobus che gli impianti di risalita. L’elenco degli alberghi che aderiscono all’iniziativa è pubblicato su altabadia.org. E in questa zona si trova anche l’impianto di risalita più sostenibile che si possa immaginare: niente piloni d’acciaio, ma una lunga corda alla quale si aggrappano gli sciatori, una grande slitta e una pariglia di cavalli avelignesi o norici. Collega la pista w con il comprensorio dello Skicarosello. Sempre sulle dolomiti, ma quelle bellunesi, piste di sci e alberghi sono a portata di treno e autobus, con uffici informazioni pronti a fornirvi tutte le indicazioni necessarie. Con la mobility card ci si sposta in autobus durante tutto il soggiorno. Il consiglio che mi sento di darvi è questo: ovunque decidiate di andare, provate a programmare il viaggio senza auto. Magari scoprirete che è possibile, soprattutto se vi appoggiate alle strutture ricettive indicate da Legambiente turismo (www.legambienteturismo.it) che si sono assunte impegni precisi a favore dell’ambiente. | 017 | ottobre 10

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alternative possibili

le meraviglie di alice | testo | eleonora de bernardi | Foto | Michele osnaghi

Un’evasione in grande stile per la cooperativa di san vittore che apre una sartoria nel cuore di milano.

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na boutique d’altri tempi, un ambiente caldo con la tappezzeria colorata e i mobili in legno anni ’30 e ’40. Dopo quasi vent’anni di attività di sartoria all’interno del carcere milanese di San Vittore, la cooperativa Alice “evade” in grande stile: il 15 settembre ha aperto il suo primo negozio di abbigliamento, la Sartoria Sanvittore in via Terraggio 28 a Milano, dove propone un’elegante collezione di abiti femminili creata ad hoc dalla stilista Rosita Onofri. Una linea sobria e curata, in jersey e felpa, immaginata per un target femminile dai 25 anni in su, tutta realizzata da detenute o ex detenute che lavorano nei laboratori della cooperativa. “In vetrina c’è innanzitutto la moda -racconta Luisa Della Morte, membro del consiglio di amministrazione-: in primo luogo infatti vendiamo prodotti fatti bene, belli e di qualità”. Una qualità che si riflette nei prezzi dei capi proposti, non popolari ma nemmeno inaccessibili: dai 150 ai 200 euro per un abito, dagli 80 ai 120 per un paio di pantaloni, 300 per un cappotto. “Vorremmo che le clienti li comprassero senza pensare che sono legati al carcere -dice-, ma

semplicemente perché piacciono”. Ma la differenza con gli altri negozi salta subito all’occhio. “Adesso vanno di moda gli ambienti tecno, con la musica alta e le luci sparate. Noi -prosegue Luisa- abbiamo cercato invece di creare uno spazio diverso, accogliente, in linea con gli abiti, essenziali e puliti. Non ci aspettiamo un afflusso di massa. Avremo così il tempo di mostrare i modelli e di raccontare la nostra storia”. E la storia di Alice vale la pena di essere raccontata. Nata nel 1992 per dare un sbocco professionale alle detenute che avevano partecipato ai corsi di formazione per sarte dentro il penitenziario milanese, è una delle poche cooperative carcerarie che si occupano di confezionamento di alto livello per conto terzi: “Per cucire bene ci vogliono almeno due o tre anni di preparazione -spiega Luisa Della Morte-. In carcere è difficile coinvolgere le persone in un progetto così lungo. Solo un terzo delle persone che formiamo arriva alla fine”. Oggi Alice dà lavoro a una ventina di donne che hanno scontato o stanno scontando una pena nelle carceri di San Vittore e Bollate e può vanta-


≈ Isola della moda è un laboratorio Le creazioni della cooperativa Alice; un abito firmato da Rosita Onofri sfila a San Vittore (foto: Alice) e il laboratorio.

di autoproduzione, nato a Milano nel 2004, per dare visibilità a giovani stilisti di moda critica (www.isoladellamoda.net).

| critical fashion | a cura di | Michela Gelati

eleganza su misura, anche sull’altare L’

re collaborazioni importanti, dai teatri della Scala e del Piccolo di Milano, al Regio di Parma, fino alla realizzazione dei costumi per il film di Wim Wenders “Palermo shooting” (2008). Ma non solo: la cooperativa lavora per la pubblicità (suoi sono gli abiti della comica Paola Cortellesi nello spot dell’acqua minerale ora in tivù), ha vestito le Veline di Canale 5 e, ironia della sorte, confeziona anche toghe per magistrati e avvocati. Nel 2008 ha presentato la sua prima collezione originale di abiti firmata da Rosita Onofri in un contesto tutto speciale: la prima sfilata di moda all’interno di un carcere, a San Vittore. Più di recente, poi, ha collaborato con stilisti noti come Pietro Brunelli, Debora Sinibaldi ed Etro. Ma allora perché, se le commesse ci sono, lanciare un proprio marchio? “Era un sogno che avevamo da tempo -racconta Alessandro Brevi, uno dei soci fondatori-, non solo perché ci svincola dai committenti che non sempre garantiscono entrate costanti, ma anche perché, dopo tanti anni, volevamo essere più visibili”. A dare la spinta per il grande salto è stato il finanziamento di 100mila euro messi a disposizione dall’assessorato alle Attività produttive del Comune di Milano e dalla Fondazione Cariplo. “Il confronto diretto con i clienti è una sfida -conclude Della Morte-, ma vogliamo realizzare un progetto sociale che stia sul mercato”. Insomma, dare un’opportunità professionale alle detenute è solo il primo passo.

abito da sposa ideale? “Frizzante, elegante ma anche pratico. Per questo quasi tutti i miei abiti hanno le tasche”. Samanthakhan Thisler, stilista 28enne, nata a Milano ma di origini indiane e tedesche (“Sono figlia degli anni Settanta” dice mentre lavora al computer nel suo showroom nel quartiere Bovisa, con la figlia di 5 anni sulle ginocchia) disegna abiti da sposa, una passione che le viene dalla sua famiglia -i genitori sono fotografi di matrimoni–, con la convinzione che “il giorno del sì” anche le donne abituate a indossare maglietta e jeans, o con qualche chilo in più, debbano sentirsi a proprio agio. Lo stile di Samanthakhan, che dopo aver lavorato per i grandi marchi si è messa in proprio, si inserisce nella tradizione del Made in Italy: “Cerco il meglio della produzione italiana, dalle sete ai tulle ricamati, e mi rivolgo a piccoli laboratori dove non c’è sfruttamento del lavoro -spiega-. La concorrenza estera è forte, ormai fanno prodotti di qualità, a costi bassi”. Solo il rispetto dei lavoratori, però, “garantisce ricerca e sperimentazione: l’unico modo per le realtà di moda critica per sopravvivere senza subire la concorrenza”. Altra parola d’ordine, personalizzazione: “Per fare un vestito ci vogliono da sei mesi a un anno. Al primo incontro mostro alla cliente modelli che poi modifico in base alle sue esigenze: ho fatto abiti color cioccolato, o rivisitazioni di vestiti indossati da Audrey Hepburn, ma anche pantaloni giapponesi e giacche di pelle (su samanthakhanthisler.it)”. Il riutilizzo dei capi è infatti uno dei principi del suo lavoro. I prezzi? Si va dai 1.500 euro per un tubino con stola, ai 3mila per abiti di organza ricamati e decorati con fiori fatti a mano. Ce n’è per tutti i gusti. E finalmente anche le spose più casual, potranno tirare un sospiro di sollievo e mettere le mani nelle tasche. Di uno splendido vestito in seta.

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ascoltare per credere | testo | barbara ciolli

nome anglosassone, trasmissioni 24 ore su 24, collaboratori di ogni età: la radio dei valdesi alla conquista dell’etere.

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Denis Caffarel (a sinistra) intervista un membro delle Officine Lumière, gruppo rock piemontese. 30

n nome anglosassone che è tutto un programma. Letteralmente, perché stiamo parlando di una radio libera e comunitaria che lo stesso Zygmunt Bauman, il noto sociologo coniatore del termine, non esiterebbe a definire “glocal”: cosmopolita quanto attenta al territorio, versatile nel declinare sette giorni su sette temi di rilievo (inter)nazionale e locale, con un deciso taglio multietnico e sociale. Nulla sfugge a Radio Beckwith, l’emittente valdese della Val Pellice (Torino), intitolata al generale inglese Charles John Beckwith, il quale al ritorno della battaglia di Waterloo (1815) finanziò prodigalmente la comunità di confessione protestante che dal Medioevo trova il suo cuore storico e culturale ai piedi del Monviso. Con il suo team di otto giovani giornalisti tra i 25 e i 30 anni e una settantina di collaboratori volontari, la vivace redazione trasmette 24 ore su 24 dai suoi studi di Luserna San Giovanni. Da questo paesotto di quasi 8mila abitanti, dove oltre al dialetto piemontese si parla ancora l’antica lingua provenzale dell’occitano, le frequenze di Radio Beckwith (87.800 e 96.500) raggiungono tutte le valli che dalle Alpi Cozie scendono verso i capoluoghi di Cuneo e To-

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| alternative possibili

rino: montagne al confine con la Francia ricche di minoranze linguistiche ed etniche che, fin dalla fondazione dell’emittente nel 1984, offrono spunti di lavoro sempre originali. “Abbiamo non uno ma tanti messaggi da divulgare, fedeli alla tradizione di tolleranza della chiesa valdese. Il nostro è uno sguardo aperto sulle diversità: parliamo di culture, religioni, migrazioni”, ci spiega rimarcando bene i plurali Daniela Grill, 34 anni e da sei direttrice della radio. Durante la riunione settimanale, quando il team costruisce i palinsesti, la nutrita e variegata schiera di collaboratori dai 15 ai 70 anni lancia le sue proposte: “Tutte accolte senza pregiudiziali, purché rientrino nei normali parametri del buongusto”, assicura Daniela. Così capita che la sera YouTube Generation, spazio che “rivaluta il concetto di musica commerciale”, dedichi uno speciale nientemeno che a Britney Spears. Mentre ogni pomeriggio Caravan, la più “ortodossa” diretta d’attualità, ospita “Bloc notes operaio”, rubrica che dà voce ai lavoratori colpiti dalla crisi economica. E, subito dopo, un collegamento con le tute blu sarde dello stabilimento Vinyls sull’Asinara, ormai per tutti l’“Isola dei cassintegrati”. La radio intervalla strisce quotidiane d’informazione e riflessioni bibliche anche con programmi in occitano, inglese, francese, tedesco e spagnolo. Una vocazione multiculturale confermata dalla rassegna stampa nazionale ed estera e dagli approfondimenti su immigrazione e diritti umani nel mondo, curati in collaborazione con le ong Amnesty International ed Emergency. “Ma anche con le associazioni del posto che si occupano di disabilità e disagio psichico. Nel culto valdese la dimensione locale -precisa Daniela- è essenziale per restare incontaminati dalle logiche di potere. E divulgare il sapere tra la popolazione. Che, alla fine, è la nostra mission”. Al passo con i tempi, Radio Beckwith si ascolta anche in live on streaming sul sito rbe.it e, a fin di bene, lancia ogni anno creative campagne di marketing: l’ultimo gadget in vendita per aggiungere moneta sonante ai finanziamenti della chiesa valdese, che anche grazie all’8 per mille copre gran parte delle spese dell’emittente, sono le magliette con l’effigie a “tinte pop” di Giosué Gianavello: storico condottiero vissuto nella Val Pellice del ’600 ora modernizzato in stile Andy Wahrol.


| buone pratiche per vivere meglio | a cura di | LOrenzo Bagnoli

indipendenti alla riscossa I

n tempi di crisi, tutti i grandi gruppi editoriali restano al palo. I libri non si vendono, dicono. Eppure, strano ma vero, tra il 2008 e il 2009 i lettori italiani sono aumentati di 1,3 milioni (in totale il 45 per cento della popolazione con più di 6 anni, dati Istat). Com’è possibile? Secondo le statistiche, la fortuna arride a chi, piccolo o medio, non rientra nel gotha dei colossi del libro. Un identikit a cui corrispondono, in Italia, 2.653 realtà fra le più disparate, unite da una sola vocazione: la difesa della letteratura di qualità. Sono gli editori indipendenti, che nel 2009 hanno registrato un aumento nelle vendite del 13 per cento, a fronte di un aumento dello 0,5 percento degli editori più grandi (fonte: Nielsen BookScan). “È una scommessa difficile, in cui bisogna conciliare i conti e le scelte, senza condizionamenti esterni”, diceClaudia Tarolo, alla guida di Marcos y Marcos insieme a Marco Zapparoli. La casa editrice milanese nasce trent’anni fa, “quando di editoria indipendente non si parlava ancora così tanto” e si specializza nella scoperta di nuovi talenti. Come Jhumpa La-

hiri, autrice de “L’interprete dei malanni” (2000). “Nessuno voleva pubblicarlo, invece noi ci siamo fidati del nostro istinto ed è diventato un Pulitzer”, chiosa. Editori indipendenti sono anche quanti scelgono di raccontare una tematica specifica, magari scomoda e poco battuta dalle major. Come Verdenero, in libreria dalla metà dei 2000, una costola delle edizioni Ambiente che ormai cammina con le proprie gambe. Partita come collana, ha saputo attrarre a sé una squadra di firme, tra cui Carlo Lucarelli e Piero Colaprico, che ne hanno decretato il successo. “Il progetto -afferma Edoardo Caizzi, responsabile commerciale ed editorialenasce dal rapporto ecomafie, un volume che ogni anno raccoglie le storie dei crimini ambientali italiani”. Fatti di cronaca che diventano romanzi noir: un modo per uscire dall’anonimato, obiettivo di tutti gli editori indipendenti di cui internet è un formidabile alleato, perché “permette di vendere scavalcando le logiche di mercato delle librerie”, sottolinea Caizzi. Aspettando la rivoluzione copernicana dell’e-book.

3 domande a Anita Molino presidente della Federazione italiana degli editori indipendenti (Fidare).

Iniziamo dai luoghi comuni: è vero che in Italia non si legge? No, al Nord i dati corrispondono al resto d’Europa. Semmai il problema è che in Italia non c’è un chiaro progetto di sviluppo culturale. Non riusciamo a portare la nostra lingua fuori dai confini nazionali. In che condizioni versa l’editoria indipendente? Pessime, perché il mercato è in mano ai grandi gruppi. La liberalizzazione del prezzo di copertina e gli sconti senza limite ci condannano a una lenta agonia. Un scenario (quasi) apocalittico. E voi che cosa vi proponete? Vogliamo proteggere la bibliodiversità. Per questo organizziamo diversi corsi di formazione: l’ultimo insegna come produrre e-book senza l’aiuto di informatici. Il libro elettronico è una grande opportunità per molti piccoli editori.

| mondopen | a cura di | tommaso ravaglioli | openlabs

linux day: tutta un’altra musica

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rmai Linux rientra in ogni ambito professionale, anche in quelli creativi dove è il mouse a farla da padrone e i comandi da digitare vengono guardati con sospetto. Poco tempo fa ho visitato il Kubi Studio, uno studio di registrazione di Milano completamente basato su software open source, dove vengono prodotte ed elaborate ogni tipo di registrazioni utilizzando solo software libero (il pacchetto Ubuntustudio). Conoscere quest’azienda e invitarla al Linux day è stato un tutt’uno. Se l’anno scorso mi ero dilungato parlando di questa manifestazione, quest’anno inizio con un link, perché è la prima cosa da guardare: linuxday.it. In questa pagina, curata dall’Italian Li-

nux society, si può trovare l’evento più vicino tra i 37 sparsi in quasi tutta la penisola. Ora che sappiamo il dove, aggiungo anche il quando: sabato 23 Ottobre. Anche se potrei fermarmi qui, credo sia opportuno spiegare anche il che cosa, ovvero l’evento. Il Linux day è un vero e proprio happening nazionale, nel quale i gruppi che si occupano di promozione di Linux si aprono per accogliere chiunque sia interessato a conoscere questo sistema operativo, toccandolo con mano e ricevendo assistenza nell’installazione e nella configurazione. I gruppi che organizzano l’evento sono molto preparati e in grado di risolvere i problemi informatici del pubblico, ma sono altret-

≈ Openlabs è un’associazione culturale fondata nel 2000. Organizza corsi, seminari e convegni per la diffusione del software libero. Info: openlabs.it.

tanto pronti ad ascoltare e scambiare opinioni, creando estemporanee tavole rotonde. Spesso i visitatori vengono reclutati sul posto e inseriti nello staff della manifestazione, magari per aiutare altre persone a installare Linux, oppure sono trascinati sul palco a parlare degli argomenti che stanno loro a cuore. Perché tutto ciò che gira intorno a Linux è interessante e ciascuno può contribuire alla conoscenza e al dibattito. Vi invitiamo quindi, a nome di tutta la comunità, non solo a visitare il Linux day, ma anche a parteciparvi come volontari: vi garantisco che il vostro contributo sarà più che gradito, nel tradizionale spirito collaborativo della manifestazione. | 017 | ottobre 10

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scrittori nel cassetto | a cura di | scuola holden | www.scuolaholden.it

lo scalo Se una notte d’inverno un viaggiatore fosse salito su un treno, questa (forse) sarebbe la sua storia. O il suo sogno. | racconto | silvia obici | illustrazione | erica preli

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a voce gracchiò il messaggio rivolto ai passeggeri distraendolo dalla sua lettura. Tra le parole confuse pronunciate in lingue diverse riuscì a distinguere solo il nome della fermata. Bene! La successiva sarebbe stata la sua ma c’era tempo sufficiente per finire il capitolo del libro e preparare il bagaglio. Quando il treno riprese la sua corsa e il disordinato salire e scendere si placò lasciando in sottofondo solo lo sferragliare attutito delle rotaie, si rilassò e guardò fuori il familiare spettacolo della pianura: campi lavorati, file di alberi spogli, tetti di vecchie cascine. Cosa gli aveva detto alla stazione quel signore prima che salissero sul treno in ritardo? Ah, la solita frase fatta, “si sa cosa si lascia e non si sa cosa si trova”. Lui invece sapeva benissimo quello che avrebbe trovato: sempre la stessa piatta distesa che lo riconduceva al suo paese natale dove aveva deciso di godersi la pensione. La casa di famiglia ristrutturata, piccola ma sufficiente ai suoi bisogni, vecchi amici d’infanzia con cui godersi le lame di luce al calare della sera, gli argini scivolosi bagnati

di nebbia. La neve ancora persisteva in piccoli cumuli ammucchiati ai bordi dei canali, scampata ai raggi di un pallido sole tra le zolle della terra arata, in bilico sui rami spogli degli alberi. La sera stava calando velocemente e, malgrado il riscaldamento, sentì un brivido salire dalle gambe guardando l’umido paesaggio. Cullato dal dondolio del treno, il torpore lo colse e il libro gli cadde dalle mani. Fu risvegliato dallo scossone della frenata, un po’ troppo brusca in verità. La luce era scarsa. Erano accesi solo alcuni neon di emergenza. Accidenti, quanto aveva dormito? Scattò in piedi per raccogliere velocemente le cose sparse sul tavolino e sul sedile vuoto accanto al suo e raggiunse in fretta l’uscita temendo che il treno ripartisse. Affacciato sul predellino si chiese perché fosse così buio. La nebbia si faceva sempre più fitta. Riconobbe la sagoma della stazione, il cancello di ferro battuto, vanto del paese e dono antico di un artista del posto. Percepiva la frenetica attività delle persone intorno, confuse nei vapori che contrastavano la luce dei lampioncini, ma quando girava lo sguardo cercando | 017 | ottobre 10

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Silvia Obici

Erica Preli

Due cose hanno segnato la mia vita: l’essere nata a Napoli e l’averla lasciata. In mezzo, una laurea in Scienze agrarie. Da buon agronomo, vivo terra terra protesa verso l’infinito. Classe 1964, due figli, un libro sul mare. L’Abruzzo ospita, al momento, la mia irrequietezza.

Sono nata nel 1983 a Bologna. In campagna, al podere Casino. Eppure alle corse nei prati ho sempre preferito il divano. A scuola dicevano che ero brava a disegnare: ho iniziato con l’Istituto d’arte e non ho più smesso. Mi piace mischiare le cose che so, solo così non mi annoio. la fonte del movimento trovava solo una silenziosa fissità. Persino il capostazione, di cui aveva indovinato l’arrivo lungo il binario mentre controllava la chiusura delle porte, era lì nel momento esatto in cui aveva girato la testa. L’acqua della fontanella di ghisa, sopravvissuta come altre reliquie alla ristrutturazione dello scalo, cadeva in uno zampillo immobile. Cominciava a dubitare che quella fosse la sua fermata. Scese lentamente sulla pietra della banchina e di nuovo percepì un movimento, questa volta sincrono, come se tutti i presenti si fossero contemporaneamente voltati a guardarlo. Eppure tutti avevano gli occhi rivolti altrove, e nascondevano il volto. Il capostazione studiava il suo blocco di carta. “Mi scusi che stazione è questa?”. “Non sa leggere?”, gli rispose l’uomo indicando il cartello a lettere bianche cubitali. Accidenti alla nebbia! Per leggere dovette avvicinarsi finché fu troppo sotto e la scritta incombeva su di lui, illeggibile. Si allontanò finché non fu di nuovo troppo lontano per vederla nitidamente. Un fischio leggero proveniente da un binario lontano, annunciando qualche partenza, lo sorprese e gli ricordò la valigia che aveva lasciato sul treno. Tornò in fretta alla porta e fece per salire a cercare

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| scrittori nel cassetto

la sua valigia quando una mano gli serrò il braccio. “Dove sta andando?”. “Devo recuperare la valigia, mi lasci prima che il treno riparta”. “La sua valigia è lì”, e gli indicò un facchino dagli occhi bassi che spingeva un carrello. “Ma chi vi ha autorizzato… Mi lasci voglio andare, voglio ripartire”. “Mi mostri il biglietto”. Si frugò nelle tasche e tirò fuori il biglietto. “Mi dispiace, non è valido”. Ancora una volta percepì un movimento e i rumori, il rumore delle porte che si richiudevano, il fischio, il rombo crescente della partenza. Il treno correva sul binario come se non si fosse mai fermato. Gli sembrò di scorgere, nella giostra dei finestrini illuminati, un uomo col capo abbandonato sul petto, sballottato dal rullare della vettura. Si girò verso il capostazione. Questi sollevò il capo, lentamente, e il suo volto era buio, più buio della notte più fonda che avesse mai visto.


i ferri del mestiere

fascino e rischi della prima persona | testo | Alessandra Minervini

lo scalo

La prima cosa che convince di questo racconto è il suo ritmo vivace. La sobria ironia con cui l’autrice racconta la storia è ben dosata, non cede a facili sbavature che ne ridurrebbero l’effetto comico. La scelta delle parole, inoltre, rievoca immagini che partecipano con fervore degli stati d’animo del protagonista. Una sorta di sinestesia degli stati d’animo. Buono. Meno efficace, invece, è l’incipit. La prima frase non funziona, non costruisce un’immagine utile per entrare nel mondo narrativo anche per la costruzione sintattica che è un po’ vaga. Attenzione, in generale, a non esagerare con le esclamazioni. l a parol a ai maestri

l’inaffidabile Lolita di Vladimir Nabokov “Dubito che si possa dare persino il proprio numero telefonico senza dare qualcosa di noi stessi”. Questa la lezione di Vladimir Nabokov sulla prima persona. In “Lolita”, però, chi racconta le vicende, nonostante si tratti di una ricostruzione, è volutamente inattendibile in un gioco di rimandi e di molteplici punti di vista, tutti sapientemente controllati dallo scrittore russo. Humbert Humbert si è sforzato in tutti i modi di fare il bravo, dico sul serio. Lui aveva il massimo rispetto per le bambine normali, con la loro purezza e vulnerabilità, e in nessunissimo caso avrebbe attentato all’innocenza di una fanciulla se ci fosse stato il minimo rischio di uno scandalo. Adelphi, 1993 In questo brano Humbert, che prima aveva raccontato il suo passato in prima persona, si trasforma in signor Humbert, si dà del lei. È un buon esempio per cogliere le potenzialità di una narrazione autobiografica, per quanto fictionale. Il passaggio alla terza persona funziona da deittico: una ricollocazione spaziotemporale del lettore all’interno della narrazione. ≈ “Scrittori nel cassetto” è anche una sezione del nostro sito, dove potete pubblicare i vostri commenti e trovare i temi dei prossimi racconti. Vi aspettiamo su terre.it!

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er scrivere un buon racconto in prima persona è utile pensarlo in terza. L’autobiografismo spinto è un cul-de-sac: un tunnel nel quale andando avanti non si intravede la luce e indietro non si può tornare. Quando scrivo in prima persona, mi travesto da me stessa. Come faceva Humbert Humbert nella “Lolita” di Nabokov o Anse in “Mentre morivo” di William Faulkner (Adelphi, 2000): sono, contemporaneamente, narratori passivi e protagonisti attivi della storia. Alcuni autori sono molto bravi a travestirsi, altri meno e scrivono racconti con una data di scadenza. Lo spettro del male, nel secondo caso, è l’autoreferenzialità e cioè: evita di dirmi che soffri per amore, mostrami la sofferenza. Per farlo, non c’è un metodo. Però, può essere utile immaginare che ogni storia sia una stanza dove chi scrive non è mai completamente solo e che c’è sempre un estraneo che lo osserva. “Affittiamo la nostra storia a questo sconosciuto per chiedergli di raccontare che cosa ha visto, se nella stanza c’è qualcosa che aiuta a slegarsi dal feticismo del ricordo a tutti i costi e ad affidarsi al feticismo del dettaglio. Così, per esempio, se il giorno che è morto mio nonno si è eroso il letto ungueale del mio alluce, mi soffermo sul male minore (l’alluce) per raccontare quello maggiore (la morte). L’unico modo per evitare il tunnel del narcisismo è legato all’unico motivo per cui vale la pena scrivere: essere letti e scoprire di non essere la prima persona a cui è accaduto quello che raccontiamo. In pieno accordo con la scrittrice scozzese Ali Smith che, nel racconto che dà il titolo alla sua ultima raccolta, scrive: “Tu non sei la prima persona che è stata ferita dall’amore. Non sei la prima persona che ha bussato alla mia porta. Non sei la prima persona che ho cercato di impressionare recitando brillantemente la parte di quella che non si lascia impressionare. Non sei la prima persona che mi fa ridere. Non sei la prima persona punto. Ma sei la persona di questo momento. Noi siamo le persone di questo momento. E questo basta, no?” (Ali Smith, La prima persona, Feltrinelli 2010).

≈ Raccontare storie è un’arte che si può imparare. Lo dimostra la Scuola Holden di Torino, fondata da Alessandro Baricco nel 1994. Tra gli allievi anche Paolo Giordano, vincitore del Premio Strega 2008.

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forchette e bacchette Revello dolce e salato Le delizie liguri sono di casa. Non perdetevi la focaccia classica (1 euro al trancio) e i Camogliesi al rhum (26 euro al chilo). Aperto tutto l’anno, fanno eccezione 20 giorni a gennaio e settembre, in cui chiude per ferie.

via Garibaldi 138, Camogli (Ge), tel. 0185 - 770.777.

una focaccia da esportazione | testo E FOTO | andrea rottini

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La celebre focaccia di Recco al formaggio e l’entrata di Revello.

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he cos’hanno in comune i 13 milioni di abitanti di Tokyo e i 5mila di Camogli? Poco, si direbbe, a parte l’affaccio sul mare e otto ore di fuso orario di differenza. E invece no: dal 2005, la tentacolare capitale giapponese e il borgo marinaro della riviera di levante condividono la fragranza e il sapore (tutto italiano) dei prodotti della focacceria Revello, da quasi cinquant’anni tappa obbligata per gli habituè della cittadina ligure. “Siamo a Camogli dal 1964, quando mio zio Giacomo rilevò la storica panetteria Da O’Pallarin, dove aveva lavorato come garzone -raccontra Agostino Revello, oggi alla guida dell’attività con i cugini Massimo e Luigi-. Erano gli anni del boom economico e i turisti iniziavano a frequentare la Liguria anche nel fine settimana”. Un’occasione da sfruttare, secondo Giacomo e la moglie Mina, i primi in riviera a tenere aperto anche la domenica. “La legge dell’epoca non consentiva la produzione e la vendita di pane nei giorni di festa -spiega Agostino-, ma loro riuscirono ad aggirarla aggiungendo zucchero e uova all’impasto della focaccia, trasformandola quasi in un dolce”.

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La svolta definitiva arriva all’inizio degli anni Settanta, quando i Revello decidono di abbandonare del tutto la panetteria per dedicarsi solo a focacce e dolci: “Molti in paese dicevano che senza pane mio zio non ce l’avrebbe fatta -ricorda Agostino-, poi però hanno cercato di imitarlo”. Inimitabili, invece, sono rimasti i Camogliesi, vero capolavoro dello zio Giacomo, una sorta di grandi, sofficissimi bigné ricoperti di cacao e ripieni di una crema segreta che rimane fresca per venti giorni, senza deteriorarsi, nelle varianti al rhum, al gianduia, all’amaretto e al caffè. Un successo citato su guide turistiche italiane e straniere, anche se le specialità di famiglia rimangono le focacce: la tradizionale camoglina, la “San Fruttuoso” con pomodoro fresco, acciughe, olive e origano, la “Saracena” con polpa d’olive e cipolle e soprattutto quella di Recco al formaggio. “Il nostro fiore all’occhiello” dice con orgoglio Agostino, membro di un consorzio di 19 esercenti che salvaguardano la preparazione della focaccia secondo la tradizione e certificano la qualità della crescenza, prodotta in alpeggi vicini al mare. E, forse, proprio la fragranza della focaccia di Recco ha spinto qualche anno fa un’imprenditrice giapponese in vacanza a Camogli a proporre ai Revello di aprire un locale a Tokyo: 150 metri quadrati nei grandi magazzini “LaLaport” di Toyosu, centralissimo porto della capitale del Sol Levante, dove si trovano quasi tutte le delizie dei Revello, preparate da maestranze locali. Lo slogan della bottega di Camogli è “Belìn, che fugassa!”. Chissà se la traduzione giapponese è altrettanto efficace.


| passaparola milano

firenzuola (FI)

ALBA ADRIATICA (TE)

consigliato da Elena

consigliato da Tino

consigliato da Federica

Signori, questo è il regno del risotto e non solo giallo zafferano. Ce ne sono 500 varianti che vengono proposte a rotazione: tre per sera. Una trattoria dalle pareti verde bottiglia zeppe di disegni e fotografie per ritrovare sapori antichi. E i clienti? Vanno dai trenta agli ottant’anni.

Sulla statale della Futa tutto dipende dalla direzione: se andate verso l’Emilia è l’ultimo posto dove assaporare la cucina toscana; se scendete in Mugello è un sontuoso benvenuto nella terra delle fiorentina e del buon bere.

Sul lungomare di Alba, lo chef Valerio vi attende tutto l’anno in un locale familiare e accogliente: d’estate con la sua terrazza all’aperto, d’inverno con la raffinatezza degli ambienti e il calore della stufa a legna.

Chi ci porteresti: quelli che amano gli osti chiaccheroni, la gite in macchina, la carne al sangue e il vino robusto e per averlo sono disposti a fare qualche chilometro. Perché: dopo aver salito il passo della Futa è d’obbligo un po’ di ristoro. Da non perdere: la fiorentina ovviamente, ma anche gli affettati (tra cui una regale finocchiona) per uno spuntino veloce. Costo: da 25 euro per il pasto; 5 euro per un panino e un bicchiere di vino (e forse ci sta anche il caffè). Dove: Firenzuola (Fi), via Traversa 472, tel. 055 - 815.231.

Chi ci porteresti: una persona davvero speciale con cui trascorrere una serata indimenticabile. Perché: le materie prime sono sempre fresche e il menu cambia secondo le stagioni. Da non perdere: le ostriche pastellate con salsa al basilico; la zuppa di ceci con code di scampi; le triglie con verza e olive nere; infine, la fantastica fritturina di pesce fresco con totani, alici e scampi. Costo: circa 40 euro (vino escluso). Dove: Alba adriatica (Te), via Marconi 214, tel. 0861 - 751.339.

Abele Trattoria Temperanza

Chi ci porteresti: mamme e zie restie a sperimentare in cucina. Perché: la fantasia qui non ha limiti ed è capace di rinnovare (senza stravolgere) la tradizione lombarda. Da non perdere: i risotti ma anche antipasti e secondi: sarde in saor, muffin alle zucchine, involtini e quant’altro. Per concludere con i dolci: il gelato alle castagne e gli strudel sono una delizia. Costo: 25 euro, vino escluso. Dove: Milano, via Temperanza 5, tel. 02 – 261.38.55.

Trattoria Bibo

Il Palmizio

≈ Hai scoperto un buon ristorante o un punto di ritrovo mangereccio? Passaparola su tempolibero@terre.it, perchè le cose buone... si condividono!

| la ricetta

Focaccia col formaggio di Recco offerta da Agostino Revello Ingredienti 1 kg di farina 00 5,5 dl di acqua naturale 1 dl di olio extravergine d’oliva 10-20 gr di sale marino fino 2 kg di crescenza fresca Lavorate insieme la farina, l’acqua, l’olio extravergine d’oliva e il sale fino a ottenere un impasto morbido e liscio. Dopo averlo coperto con un telo e fatto riposare per 30 minuti, suddividete l’impasto in porzioni, tiratelo con un matterello e allargatelo a mano fino a ottenere una sfoglia dello spessore inferiore al millimetro, stando attenti a non perforarla. Ungete una teglia con l’olio d’oliva, adagiatevi la sfoglia ottenuta e conditela con piccoli pezzi di crescenza, prima di coprire il tutto con un secondo strato di sfoglia quasi trasparente, Dopo aver saldato con le dita i bordi delle due sfoglie, praticate dei fori nella sfoglia superiore e cospargetela con un filo di olio e un pizzico di sale. Per ultimo, infilate la focaccia in forno (tra i 270 e i 320 gradi) per 4-8 minuti, finché la superficie del prodotto non avrà assunto un colore dorato con bolle o striature marroni.

| food and the city | a cura di | davide de luca

i vignaioli della lettera 22

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l paesaggio di Carema, paesino della provincia di Torino al confine con la Valle d’Aosta, è punteggiato dalle vigne “arrampicate” sulle pendici del monte Maletto, tra i 350 e i 700 metri sul livello del mare, filari caratterizzati da pergole sostenute da pilastri in pietra a forma di cono. Con questo sistema la vigna, durante il giorno, accumula calore che viene rilasciato di notte: una “stufa naturale” che permette all’uva di sopravvivere agli inverni rigidi di questa zona. Le due varietà di vitigno Nebbiolo che vi vengono coltivate, il Picunter e il Pugnet (le stesse che nelle

Langhe fanno nascere il Barolo e il Barbaresco) e le rocce moreniche di queste montagne sono il segreto del “Carema”, nobile vino dal colore rosso rubino, che dal 1967 si fregia della Denominazione di origine controllata. Una curiosità: esiste un forte legame tra il Carema e la Olivetti, storica azienda della vicina Ivrea. Tanti dei produttori del vino sono ex dipendenti della fabbrica che non hanno mai abbandonato le terre di famiglia e, anche grazie alla Olivetti, il Carema ha avuto una larga diffusione: i dirigenti lo regalavano infatti a clienti e fornitori. | 017 | ottobre 10

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invenzioni a due voci Il lido visto da Romina Nardini, una dei giovani di “Forte d’inverno”, progetto del Comune e dell’associazione NordSudOvestEst.

storie di provincia | testo | marianna noto

indigeni v.s. invasori. come due piccoli centri toscani reagiscono a fenomeni molto diversi: immigrazione e turismo.

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ualcuno la sogna come il luogo del buon vivere, altri non la sopportano più e vorrebbero solo fuggire via. Comunque la pensiate la provincia italiana, con i suoi ritmi e i suoi riti, è generosa fonte d’ispirazione per la fantasia degli scrittori. Lo dimostra Fabio Genovesi, che con il suo primo romanzo “Versilia Rock City” (Transeuropa 2008), dipinge l’altro lato della Versilia dei vacanzieri che per poche settimane abitano quelle ville lussuose perennemente chiuse, scompigliando la placida vita degli abitanti del posto, assuefatti a una continua, ciclica alternanza di estati invase e inverni vuoti, a cui ciascuno cerca di adattarsi come può. “Vivere in provincia per un giovane presenta un sacco di ostacoli -dice Genovesi-. C’è pure quel vago, eterno pensiero che si sta in quel posto ma si potrebbe o dovrebbe andare. Andare dove? Boh, via, ovunque ma non qui.

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Anche se poi non si va da nessuna parte”. E se all’occhio del giovane le scomodità della provincia sono evidenti, i vantaggi non mancano. “Uno su tutti, la possibilità di dare libero sfogo a passioni deliranti e poco conformi alle regole sociali, il tempo libero per inventarsi una traiettoria di vita sbilenca, senza l’omologazione della ressa -spiega lo scrittore-. Insomma, in provincia è più semplice crescere come rami storti e curiosi, fatti come nessun altro”. Storti e curiosi come i quattro protagonisti del suo libro: Mario, ex dj chiuso in casa da tre anni ad aspettare gli ininterrotti download dei suoi pc. Nello, ex tossico tutto dedito al folle progetto di riscatto sociale che poi abbandona per dedicarsi al figlio che non sapeva di avere. Renato, esiliato a Milano, che organizza viaggi da sogno per chi non se li può permettere e intanto sogna di tornare a casa. E infine Roberta, che torna pentita alla vita da integerrimo avvocato dopo un momentaneo brivido di passione e sregolatezza. “I bizzarri, gli improbabili, i condannati all’eccezione sono le persone che mi interessano di più e mi stanno più sim-

patiche, forse perché sono uno di loro, e qua, di miei simili ne trovo in abbondanza -continua Genovesi-. Storie come queste si muovono meglio nelle strade poco affollate, sono più libere di allargarsi e magari spadroneggiare in mezzo alla via, senza il rischio che passi un camion a spiaccicarle!”. E il suo romanzo è un gioco di persone narranti, protagoniste di storie grottesche e surreali che raccontano il proprio mondo con il loro sguardo e la loro lingua, facendo sì che l’anima della provincia emerga da diversi punti di vista. Una molteplicità che caratterizza anche “Le querce non fanno i limoni” (Garzanti, 2010), un altro romanzo ambientato nella provincia toscana, seconda opera di Cosimo Calamini. Il titolo riprende “un antico detto contadino che può essere interpretato in vari modi -spiega lo scrittore-: due mondi lontani non si possono incontrare, e non si può dimenticare mai da dove si viene”. E raccontando il legame segreto tra Sara, giovane italiana, e Averroè, figlio dell’imam della piccola comunità islamica del paese, l’autore mostra l’importanza dei

Cosimo Calamini

Fabio Genovesi

Fiorentino, classe 1975, dopo la laurea in Lettere si è dedicato alla sua grande passione: il cinema. Oggi lavora a Roma come sceneggiatore e autore di documentari per La7, History channel e Rai Tre. Con Garzanti ha pubblicato il suo primo romanzo, “Poco più di niente” (2008), tra i vincitori del premio letterario internazionale Feudo di Maida.

Trentaseienne, anche lui toscano, ha esordito nel 2007 con la raccolta “Il bricco dei vermi” (Franche tirature). Co-autore dello spettacolo “Vi abbraccio tutti”, scritto con Elisabetta Salvatori e Francesco Guccini, collabora con Rolling Stone, GQ e Mono. Il suo secondo romanzo, “Esche vive”, uscirà a gennaio per Mondadori.


più giovani nel percorso di integrazione: un processo emotivo e generazionale prima che politico. “Se fin dalle elementari sei abituato a relazionarti con immigrati di seconda generazione che, a parte il cognome o il colore della pelle, sono in tutto e per tutto uguali a te –spiega-, è più facile anche in età adulta accettare la multiculturalità come un valore”. Il romanzo prende spunto da fatti realmente accaduti tra il 2003 e il 2006 a Colle Val d’Elsa, piccolo centro del senese lacerato dalle contese sorte intorno alla costruzione di una moschea. Nel romanzo, Colle Val d’Elsa diventa Montechiasso, ma molti degli eventi narrati sono veri: la lista civica –che tuttora continua con i ricorsi nonostante la moschea sia stata utimata–, il dibattito nella palestra in cui la moschea viene definita un’astronave e il comizio del leghista Borghezio, di cui il libro riporta alcuni stralci. Razzismo, idealismo, solidarietà, diffidenza: nel romanzo i sentimenti che muovono gli abitanti del piccolo borgo sono contrastanti, ma su tutti a dominare è la paura di un cambiamento che travolga la tranquillità della vita di provincia, che si vorrebbe conservare nella sua rassicurante immobilità. “Il provinciale è per definizione molto conservatore -commenta Calamini- tende a difendere le sue origini e la sua terra. E quindi, trova per certi versi intollerabile quella che alcuni chiamano l’invasione”. Un concetto latente anche nel romanzo di Genovesi, come sentimento dei bambini versiliesi nei confronti dei villeggianti che d’estate si prendono le loro case. E nell’ora della siesta li condannano all’oblio di assolati pomeriggi silenziosi, da trascorrere nel buio di una sala giochi.

| i libri di terre | parola d’autore | di luca cosentino

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a Libia da qualche anno è diventato un luogo alla moda, uno dei tanti, uno in più nel variegato panorama del turismo internazionale. Nulla di che stupirsi, il Paese ospita ben cinque siti inclusi dall’Unesco nel Patrimonio mondiale dell’umanità: Leptis Magna, Sabratha, Cirene, Ghadames, il deserto dell’Akakus. Ecco allora le masse di turisti che si incolonnano tra le antiche rovine, guide alla mano, cappellino sulla testa, bocca aperta e occhi sgranati di fronte a quelle meraviglie che per tanti secoli sono rimaste poco accessibili al mondo occidentale. Nulla di male, intendiamoci, o di diverso da quello che è già avvenuto altrove. Anche la Libia di Gheddafi, pur fra molte esitazioni, ha accettato di percorrere la via del turismo e di godere della valuta pregiata che confluisce così nelle casse dello stato. Ci si può solo sorprendere, semmai, del ritardo. Ho avuto la fortuna di vivere in Libia per cinque anni. Un periodo abbastanza lungo da consentirmi di conoscere questo Paese in profondità. Ho cominciato a cercare le geografie nascoste e i luoghi di una storia millenaria, e la Libia mi ha ripagato offrendomi percorsi inattesi, che si sono trasformati in vere e proprie avventure del corpo e della mente. Una dimensione interiore che si svela solo a chi non esaurisce le proprie curiosità nei circuiti organizzati, il dono più bello che questo Paese sa offrire a chi ha la pazienza di cercare. luca cosentino

Da Tripoli al Messak Terre di mezzo Editore, 2010 208 pagine ± 7,50 euro

| piccoli grandi lettori | a cura di | anselmo roveda di anDersen

Tesori ripescati

≈ Andersen, il mondo dell’infanzia è un mensile che dall’82 si occupa di letteratura per i piccoli. Ogni anno assegna un premio alla migliore produzione editoriale (info: andersen.it).

La letteratura sta nei libri e i libri non sono solo espressione e arte, sono anche un prodotto dell’industria culturale. Come tali necessitano di economia. Normale allora che, in questo tempo di consumi veloci, gli editori inseguano mode e reiterino lanci di nuovi bestseller. Che poi non tutti lo diventino e che questa corsa faccia sì che i libri, pure quelli buoni, abbiano vita breve è un altro discorso. Per fortuna non va sempre così. È il caso di tre piccoli e preziosi ripescaggi. Tre libri di tre autori, oggi scomparsi, che con differenti fortune hanno attraversato il Novecento. Uscito per Einaudi nei primi anni ’70 Titina F5 (Mup editore 2009, 112 pag., 12 euro) di Carlo Brizzolara mette in scena le avventure, motoristicamente movimentate ma assai

umane, di un’utilitaria rossa figlia di un autocarro e di una corriera. La scoperta di Bild (Falzea 2010, 64 pag., 9,50 euro) è invece il racconto dell’amicizia tra un cane per troppo tempo solo e un cucciolo: dall’incontro nasce un rapporto solidale nel quale condividere ciò che si sa e scoprire insieme cose nuove. Il testo era tra gli inediti dello scrittore istriano Fulvio Tomizza. Animali, rigorosamente polari, protagonisti anche in Il pinguino senza frac (Mup editore 2010, 96 pag., 13 euro) di Silvio D’Arzo (pseudonimo di Ezio Comparoni). L’autore con leggerezza e umorismo narra dell’affacciarsi alla vita, con le sue domande e le sue difficoltà, e lo fa scegliendo un protagonista speciale: Limpo, pinguino escluso e deriso perché nato senza frac. Ci vorrà tutta la sua curiosa e fattiva determinazione.

| letti per voi

Vita e destino Questo romanzo non è una novità –Adelphi l’ha pubblicato nel 2008– e non è una lettura da ombrellone, con 800 pagine fitte di personaggi e avvenimenti storici. Ma l’estate è finita, l’autunno ispira letture più impegnate, e soprattutto l’epopea di Grossman, scritta nel 1960 e subito confiscata dal KGB, è un vero capolavoro. Secondo conflitto mondiale, la Russia in guerra contro i nazisti: giovani al fronte, famiglie divise, deportazioni. Grossman offre l’affresco di un’epoca e una tremenda testimonianza sulla guerra, vissuta in prima persona da giornalista, sulla resistenza al dolore e sulla natura del male, incarnato dai più umili tra i suoi personaggi, come dai maggiori protagonisti, Hitler e Stalin. (M. Gelati) VASILIJ GROSSMAN

Vita e destino Adelphi 827 pagine ± 34,00 euro

Tiratori scelti Un romanzo che ha l’urgenza di una storia vissuta sulla propria pelle. Questo lo capisci già dal risvolto di copertina, con le note biografiche dell’autore che ricordano fin troppo quelle dei suoi personaggi: nato a Milano da genitori calabresi, ha vissuto in una cittadina dell’hinterland prima di trasferirsi a Roma. Così i protagonisti del libro, che narrano una storia corale di disagio: Alvaro, Guido, Gregory, Irene e Fiaba vivono alla giornata senza grandi aspettative, tra Suv comprati con chissà quali soldi, cocaina, vasche sul Corso, una vetrina dopo l’altra. Una vita violenta, anche, per il controllo del quartiere. La debolezza del libro sta nelle troppe scivolate che rischiano il retorico, e nel tentativo di portare sulla pagina un gergo di strada che qui risulta un po’ rigido e artificioso. Ma l’autore ha i numeri per crescere. (Davide Musso) Emmanuele Bianco

Tiratori scelti Fandango 264 pagine ± 14,00 euro | 017 | ottobre 10

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divertimenti indipendenti ≈ Festival, corsi e appuntamenti: manda le tue segnalazioni a tempolibero@terre.it.

l’italia insieme a teano | testo | MIriam Giovanzana

c’è ancora chi ha a cuore l’unità del Belpaese. e si incontra per festeggiarla.

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elebrano i 150 anni di matrimonio ma non si ricordano più come e perché si sono messi insieme. Oltretutto non sono sicuri di avere ancora qualcosa di nuovo da dirsi. Nascono così le celebrazioni per i 150 anni dell’unità tra Nord e Sud d’Italia (1861 - 2011), un po’ deboli e un po’ viziate: deboli perché sono fortemente pilotate dall’alto e rischiano

lebriamo un anniversario dell’unità mentre sul Paese soffiano i venti di una secessione “dolce”, giustificati e rafforzati dalla più grave crisi economica del dopoguerra, e da un processo generale di disgregazione sociale. Così, mentre il governo stanzia 16 milioni di euro per spot televisivi, convegni, pubblicazioni e spettacoli, il 26 ottobre 2010 l’Italia della gente

di essere rituali, viziate perché il governo che le promuove non ci crede, strattonato com’è dai sentimenti e dalla retorica antiunitaria della Lega. E così, tanto per non sbagliare, i primi spot sui 150 anni hanno preso come testimonial il calcio. Un po’ poco, perché la questione è tutt’altro che di circostanza. Per la prima volta infatti ce-

comune e dei sindaci s’incontra, in anticipo su tutti, a Teano, provincia di Caserta: qui infatti il 26 ottobre di 150 anni fa andò in scena il passo fondamentale dell’unità, con Garibaldi che consegnò a Vittorio Emanuele il Sud conquistato. Una storia controversa e sofferta: secondo alcuni un dono unilaterale e senza contropartite ai Savoia, un Sud che si ribella e un Nord che

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lo tratta da colonia e che vanifica così le ultime speranze del Risorgimento. Ora, a distanza di un secolo e mezzo, la storia si rovescia ed è il Nord che vuole uscire dall’Italia. “Con tutte le sue contraddizioni -scrivono gli organizzatori- noi riteniamo che l’unità d’Italia sia un valore in sé”. Ecco, così, chiaro, perché non ci siano equivoci: e l’invito allora è di andare a Teano “per darsi la mano”, gente del Nord e gente del Sud, rileggendo insieme la storia e anche l’attualità, e ridicendo insieme ciò che ci lega, il passato ma anche il futuro. Non celebrazioni stanche ma un’occasione per rivivere e sottoscrivere un nuovo patto tra gli italiani. Il 26 ottobre cade l’anniversario, ma i tre giorni precedenti saranno densi di dibattiti e confronti, poi ci sarà la festa finale. Nata dal basso e dalla passione di Tonino Perna (docente universitario ma anche instancabile intrecciatore di reti intellettuali e sociali) e di un gruppo di amici, l’appuntamento di Teano lievita di giorno in giorno con nuove adesioni: l’associazione Libera di don Ciotti, l’Arci, le Acli territoriali, la Filca e Fiba-Cisl, i Comuni virtuosi, noi di Terre di mezzo - Fa’ la cosa giusta!... L’Anci ha dato il suo patrocinio e così anche alcune Province. Ma l’aspetto più interessante resta la festa di chi in questo Paese si sente in casa propria e progetta il futuro insieme. Tutte le news sono sul sito versoteano.it. In particolare, date un’occhiata alle iniziative itineranti come la carovana “Briganti migranti” che partirà da Caulonia (Rc) per arrivare a Teano dopo 13 giorni di cammino a piedi: ogni sera farà tappa in un comune e qui verranno allestite una mostra e proiettati alcuni documentari; faranno da cornice agli incontri sul tema dei migranti-briganti di ieri e di oggi (Rosarno, con i suoi fatti di povertà e caccia allo straniero, non è lontana). InFo

Quando »

A Teano diamoci la mano 23 - 26 ottobre versoteano.it


| agenda italia

| scelti per voi

il paese dei balocchi (e dei disegni)

Scaffali galeotti Non prendete impegni sabato 16 ottobre. E se avete un amico che non ha mai messo piede in biblioteca, precettate pure lui e accompagnatelo a scoprire questo servizio così poco sfruttato (solo il 15 per cento degli italiani prende libri in prestito). 16 x 10. Porta un amico in biblioteca è un’iniziativa nata quasi per caso, in una biblioteca della provincia di Milano e che in poco tempo ha contagiato tutta Italia. L’elenco delle strutture che hanno finora aderito è consultabile su internet. E si allunga giorno dopo giorno. info »

| testo | osvaldo spadaro

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on ci vuole un grande sforzo della fantasia per immaginare il Brasile come un luogo fantastico. E non solo perché bello e ricco di attrazioni, ma perché patria di una letteratura fiabesca vasta e multifome. Sarà l’estrema mescolanza di razze, sarà il sincretismo religioso che anima gli abitanti, sarà l’incontro di tradizioni diverse, ma i bambini brasiliani possono ascoltare storie di ogni tipo e ogni provenienza. Ed è per celebrare questo universo fiabesco sterminato che quest’anno l’annuale mostra dell’illustrazione per l’infanzia che si tiene a Sarmede, in provincia di Treviso, è dedicata al Brasile. Dal 19 al 16 dicembre, nel piccolo borgo veneto, una cinquantina di illustratori sudamericani presentano tavole originali create proprio per trasmettere l’emozione delle fiabe del loro Paese. Ma non c’è solo il Brasile: a Sarmede arrivano disegnatori da ogni parte del mondo per presentare le migliori tavole con cui sono stati illustrati gli albi per

16 x 10. Porta un amico in biblioteca 16x10.wordpress.com

La corsa più verde del mondo Preparatevi alla corsa più pazza del mondo. Una “wacky races” in versione ecologica attraverserà il cuore di Milano il 16 ottobre in occasione della Co2E-Race. Una sfilata di mezzi elettrici e ibridi attraverserà il cuore della città in occasione della “sessione autunnale” del Ragnarock Nordic festival che promuove in Italia le buone pratiche dei Paesi nordici in tema di sostenibilità ambientale. info tel »

tel »

Piemonte share festival 011 – 588.36.93 toshare.it

Dove quando »

Le immagini della fantasia Sarmede, Treviso dal 19 ottobre al 16 dicembre sarmedemostra.it

Giovani registi a Granada

Errori fatti ad arte

info

info

| ticket d’oltralpe

Ragnarock 328 – 831.78.08 ragnarock.eu

Alle elementari, la maestra li segnava in rosso. Eppure gli errori possono essere delle ottime occasioni per liberare la creatività. Dal 2 al 7 novembre, al Museo di scienze naturali di Torino, potrete scoprirne persino la bellezza artistica. Smart mistakes è il titolo scelto per la VI edizione del Piemonte share festival, rassegna dedicata alla cultura digitale. Da non perdere il dj-set “mixato” con le voci di un formicaio.

l’infanzia usciti lo scorso anno. Ospite speciale di quest’edizione la bolognese Beatrice Alemagna. Vien proprio la fantasia di andare.

Aquiloni nei cieli di Francia Due giorni, il 30 e 31 ottobre, di spettacolari evoluzioni aeree con dimostrazioni, prove e competizioni di aquiloni, in un parco naturale di 120 ettari lungo il mare. Succede a Fréjus, nel cuore della Provenza, a soli 100 km dal confine italiano.

Il festival internazionale per giovani registi di Granada non ha ancora compiuto i 18 anni (i festeggiamenti sono previsti per il 2011), ma già si presenta come uno degli appuntamenti più attesi di un settore in cui la rassegna andalusa ha saputo ritagliarsi uno spazio di riguardo. Così, per una settimana, dal 23 al 31 ottobre, la fiction, il documentario, il film d’animazione e i format sperimentali riempiono gli schermi della città spagnola con l’obiettivo di intrattenere, ma anche di educare. Nel 2009 sono stati 100 i corti presentai da 27 Paesi differenti. info tel

info tel »

Festival international de l’air 0033 - 494.518.383 frejus.fr

»

Festival jovenes realizadores 0034 - 958.224.963 filmfest-granada.com

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in prima fila

≈ esterni nasce nel 1995. Sviluppa progetti per lo spazio pubblico a Milano e in altre città in Italia e nel mondo. Organizza il Milano film festival (esterni.org).

| premiere | a cura di | esterni

Il sangue verde

Innse: appunti di una lotta Greening the revolution

“Sette volti, sette storie e un’unica dignità”. Con questa frase si presenta “Il sangue verde”, il nuovo documentario di Andrea Segre, già autore di “Come un uomo sulla terra”, che raccoglie le testimonianze dei braccianti africani che, nel gennaio 2010, scesero in piazza contro sfruttamento, ’ndrangheta e discriminazione. Il trailer è visibile su ilsangueverde.blogspot.com.

Per difendere il proprio lavoro, gli operai della Innse occupano la fabbrica per 16 mesi. Silvia Tagliabue, giornalista freelance, racconta questa battaglia nel documentario “La Innse di Lambrate. Appunti di una storia di lotta”. I nostri lettori più affezionati si ricorderanno di loro: andate a sfogliare il numero uno di Terre di mezzo. Le foto ora sono un film, visibile in parte su Youtube.

Una storia che si ripete dal Brasile al Kenya, dal Messico all’India: per coltivare cacao, soja e caffè per i mercati dei Paesi ricchi si tolgono le terre ai più poveri. Con “Greening the revolution” la regista Katie Curran denuncia lo sfruttamento dei contadini del Sud del mondo, ma anche le loro coraggiose iniziative per un ritorno all’agricoltura tradizionale (il trailer su imdb.com).

il villaggio che ha catturato il sole | testo | Giulia Genovesi

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gni inverno, per quasi tre mesi, il villaggio di Viganella, in Valle Antrona, provincia di Verbania, rimane in ombra. Se questo non ha impedito secoli di sopravvivenza, lo spopolamento è invece una minaccia incombente: i 400 abitanti degli anni Cinquanta, oggi sono meno della metà, complici le fabbriche di Villadossola. Ma Pierfranco Midali, macchinista ferroviario di professione e sindaco per passione, ha un piano. Per illuminare il paese e dargli nuova vita, decide di posizionare sulla cima dell’Alpe Scagiola uno specchio orientabile di 40 metri quadrati. L’impresa fallisce: colpa del vento che disturba i movimenti dell’elicottero. È proprio a questo punto, nel novembre 2006, che nasce il documentario “Lo specchio”, del canadese David Christensen: “Ero lì per riprendere l’evento, ma se lo specchio fosse stato montato senza problemi, non avrei mai girato un film così bello: nelle sei settimane che sono passate fra il primo tentativo e la definitiva installazione, ho conosciuto la gente, e ho capito 42

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che non m’interessava documentare la costruzione di uno specchio gigante, ma raccontare la vita delle persone che ci vivono accanto”. E così Christensen entra nelle case degli abitanti e ci mostra, oltre al loro rapporto con lo specchio, anche la loro quotidianità, i riti e il legame con la montagna. Se l’idea di riscaldare la piazza principale suscita qualche critica, l’obiettivo di ridare vita a Viganella è raggiunto con successo: lo specchio, sin dalla prima “accensione”, il 17 dicembre 2006, attira moltissimi curiosi. Un “sole” per gli abitanti della valle, dal punto di vista economico, ma soprattutto umano: il viavai di turisti è una vera boccata d’aria. “Ora Viganella è conosciuta in tutto il mondo -ammette l’ex sindaco-. Col sole si può e si deve giocare, in tanti modi. E io sono orgoglioso di aver dato l’esempio”. “Per favore, il prossimo film fallo allegro” aveva chiesto a Christensen sua moglie, lasciandogli sul tavolo un trafiletto con la notizia dello specchio. E David l’ha decisamente accontentata.

Lo specchio Per organizzare una proiezione del film di David Christensen o seguire la programmazione, vi consigliamo di consultare il sito vivofilm.it.


in nome delle donne | testo | Rosy Battaglia

“Nome di battaglia Lia”.

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ompie dieci anni, ma è già diventato un’istituzione. Tanto da essere invitato a Montecitorio per ricevere una medaglia commemorativa direttamente dalle mani del presidente Napolitano, per lo spettacolo “Nome di battaglia Lia”, dedicato alla partigiana uccisa (in cinta di otto mesi) il 24 aprile del 1945 a Niguarda. Il Teatro della cooperativa nasce proprio lì, nella periferia Nord-Est di Milano, fondato e diretto da Renato Sarti che, dopo aver lavorato con Giorgio Strehler e all’Elfo e aver vinto diversi premi, nel 2000 dà vita a un sogno. “Era il 24 aprile e alcune donne dell’Anpi, l’associazione nazionale partigiani italiani, mi invitarono nella loro sede, una sala intitolata proprio a Gina Bianchi (il nome borghese di Lia, ndr) -ricorda-: era uno spazio dal passato glorioso, ormai poco frequentato”. Sarti inizia la trattativa con la proprietà, la Società edificatrice di Niguarda, e ne ottiene l’uso gratuito. Con la scommessa, però, di riportare in attività il centro culturale. “Purtroppo siamo un Paese senza memoria, per questo ci siamo presi l’impegno di recuperarla, creando una rete che abbraccia associazioni, circoli e sostenitori” continua il regista, autore tra gli altri di “I me ciamava per nome 44.787”, spettacolo sulla Risiera di San Sabba (Trieste), unico campo di concentramento con forno crematorio in Italia. Ma non manca nella programmazione di questi anni uno sguardo al presente. Basti pensare a “La nave fantasma”, tragico cabaret sul naufragio costato la vita a 283 migranti nel dicembre 1996. O all’ultima piéce “Muri, prima e dopo Basaglia”, interpretata da Giulia Lazzarini e presentata in anteprima lo scorso luglio nel teatrino dell’Ospedale san Giovanni di Trieste, dove iniziò la “rivoluzione” del grande psichiatra. A distanza di due lustri la sfida continua. “Abbiamo scelto di intitolare il nostro decennale a Teresa Sarti Strada, presidente di Emergency, scomparsa un anno fa, simbolo dell’impegno delle donne nella società civile” spiega il regista. Per non dimenticare quanto l’altra metà del cielo sia ancora vittima di violenza (nel Belpaese 7 vittime di omicidio su 10 sono di sesso femminile), in cartellone arrivano la forza delle parole e la vis comica di tante artiste. In testa, la mitica Franca Valeri, quasi a dire: “Una risata vi seppellirà”.

Teatro della cooperativa Per ricevere informazioni sulla stagione teatrale 2010/2011 e le attività della compagnia, è possibile telefonare allo 02 - 647.499.97 oppure visitare il sito teatrodellacooperativa.it. | si alzi il sipario

Teatro Buffo

Ultimo teatro & LabAct

Siamo tutti diversi per carattere, fisicità e presenza scenica, ma ugualmente capaci di esprimere sentimenti, vissuti e una particolare percezione del mondo. Ce lo ricordano i sei attori e le attrici di Teatro Buffo, progetto che coinvolge gli ospiti delle case famiglia della cooperativa sociale “Spes contra Spem” di Roma. Per loro la disabilità non è più un ostacolo, come dimostrano ancora una volta nel loro ultimo spettacolo: “L’attesa”, selezionato al Festival teatri paralleli di Torano Nuovo (Teramo).

Siete pronti a lasciarvi trascinare in una parata umana a forte impatto emotivo ed energetico? Se la risposta è sì, non potete perdere le originali incursioni urbane del collettivo toscano LabAct, composto da 19 giovani performer. Diretti da Luca Privitera di Ultimo teatro, a ottobre sono in tournée a Milano con due “campagne di sensibilizzazione popolare”: “BastaSvastica” contro il razzismo e i nuovi fascismi e “GuerrillaTrash”, sui rifiuti e l’inquinamento ambientale.

INFO tel »

Teatro Buffo, Roma 320 - 934.76.56 myspace.com/teatrobuffo

INFO tel »

Ultimo teatro & LabAct, Pistoia 328 - 701.71.04 myspace.com/lucaprivitera | 017 | ottobre 10

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tu vuoi fare l’italiano? ≈ Rockit nasce nel 1997. È il database di gruppi italiani più ricco al mondo. Organizza anche eventi, tra cui il Mi ami a Milano.

| a cura di | sandro giorello | rockit

pescatore e cantautore

| segnali sonori

È cresciuto con i piedi a mollo, ma sa scrivere canzoni romantiche e delicate.

Lorenzo Urciullo e la sua Siracusa.

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a leggenda vuole che Colapesce fosse un personaggio magico, mezzo uomo mezzo pesce, che reggeva il terzo pilastro della Sicilia per far sì che l’isola non sprofondasse nel nulla. Colapesce è anche il nome del progetto solista di Lorenzo Urciullo, nonché il titolo del suo primo Ep, uscito a inizio estate. E mai nome fu più azzeccato. Sono canzoni delicate e romantiche, magiche, di quella malinconia tipica dei tramonti sul mare a fine stagione. Quando gli si chiede quanto la sua città, Siracusa, abbia influito sul suo modo di scrivere risponde: “Sono cresciuto con i piedi a mollo, e questo si percepisce nelle atmosfere del disco. La mattina vado a pesca e da aprile all’autunno alterno la mia vita da musicista/universitario a quella da vecchio marinaio”. Lorenzo è un personaggio già noto a Rockit, grazie alla sua band, gli Albanopower. Insieme, dal 2005 a oggi, hanno suonato di tutto: dal brit-pop più internazionale fino alla musica progressive. Ora ha deciso di dedicarsi alla canzone d’autore. Ha talento, riesce a mantenere un gusto retrò e parlare di contemporaneità. “Mi interrogo spesso su come si possa essere ancora romantici -racconta-: nei miei testi faccio degli innesti letterari fra elementi hi-tech e stati d’animo”.

Young Wrists We were young and beautiful Malinconici come l’imbrunire delle sere di fine estate, un caracollante andamento jingle jangle, umori (e rumori) adolescenziali amplificati ed elettrificati. Un canto regale e straziante al servizio di dreamy lullaby per innamorati in riva al mare. Godeteveli col massimo abbandono. (Ester Apa)

Jang Senato

In una canzone, scritta da poco (non ha ancora il titolo, ndr), parla di un pescatore ingenuo incagliato nella “rete” dei social network dove s’innamora di una ragazza che non conoscerà mai. Un bel giorno lei lo lascia, via e-mail. E nonostante al primo ascolto sembri un’invasato di Battisti e Piero Ciampi, in realtà sono ben altri i dischi che lo hanno ispirato. E ci stupisce: “Influenze? Neil Young, in particolare quello di ‘After the goldrush’, e poi i Fleet foxes, i Wilco, Bon Iver, Air e i Blonde Redhead. Ascolto di tutto. Stamattina ho comprato ‘Before today’ di Ariel Pink, ma domani potrei benissimo scegliere un disco di Domenico Modugno”.

Jang Senato (primo album) Easy listening, spiccata orecchiabilità, utilizzo abbondante della melodia, brani che scorrono via leggeri, ritmiche familiari. Pop italico coloratissimo, scanzonato e terribilmente appiccicoso. Un ritornello inventato sotto la doccia, cori improvvisati durante gli spostamenti in macchina per una gita fuori porta. (E. A.)

| prove d’orchestra | a cura di | Andrea Legni

Le launeddas Si prendono tre canne da fiume, si intagliano i fori per le note e si riempiono di cera d’api per accordarle. Nascono così le launeddas, strumento che accompagna i sardi, nei balli popolari come nelle processioni religiose. Se non da sempre, quasi. Visto che a Ittiri (Sassari) è stata ritrovata una scultura del 3.000 a.C. che le raffigura. Ma nel secondo dopo guerra nessuno sembrava più volerle sentire. Fino al 1977, quando Luigi Lai (uno degli interpreti storici), portò le launeddas alla ribalta nazionale suonandole in “Pulce d’acqua” di 44

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A classic education

Branduardi. “Da allora -spiega Lai- i giovani hanno riscoperto la magia di questo strumento”. E le scuole di launeddas sono tornate a riempirsi. Curiosità: nell’Irlanda medievale si suonava uno strumento identico, le triple pipes. Antenate della cornamusa.

Hey there stranger Ci si potrebbe anche stancare a seguire tutti gli Ep degli A classic education, sparsi per il mondo e pubblicati dalle etichette più diverse. In realtà no, non ti stanchi mai. Perché c’è sempre un pezzo che ti esplode di colpo nelle orecchie, questa volta si chiama What my life could have been. Pop della migliore specie, con una cifra stilistica e un’eleganza unica. Che fortuna che siano italiani. (Sandro Giorello)


bandi e concorsi ≈ Opere sul palco

| a cura di | ilaria sesana

follie quotidiane sullo schermo

U

n’avvertenza: non fatevi trarre in inganno dall’aggettivo patologico. “Vogliamo dare spazio a film che raccontino le difficoltà che tante persone incontrano nell’affrontare la quotidianità. Storie che abbiano come tema la diversità in tutte le sue sfaccettature”, spiega Dario D’Ambrosi attore, regista e ideatore del “Festival del cinema patologico”, giunto alla seconda edizione. Dal razzismo al bullismo, dalle lotte per l’integrazione alla malattia mentale, fino al lavoro che non c’è. Ogni giorno può essere una fonte di ispirazione, se si è capaci di osservarlo con occhi disincantati e di raccontarlo per il grande schermo, in un lungo o cortometraggio della durata massima di 30 minuti. A valutare i lavori è una giuria d’eccezione, composta dagli allievi, tutti disabili psichici, della scuola di formazione teatrale “La magia del teatro”. “Dopo aver visto il film, si confrontano e ne discutono insieme –dice D’Ambrosi-. Le giurie professionali dovrebbero imparare molto, da questi ragazzi”. I film selezionati verranno proiettati a Roma, dal 5 al 10 aprile 2011, nelle sale del Teatro Patologico (via Cassia 472) e del Nuovo cinema Aquila. L’autore del miglior lungometraggio e del miglior corto vinceranno un viaggio a New York.

scade info tel »

Festival del cinema patologico Scade Info tel »

12.02.2011 Ass. teatro patologico 06 – 334.340.87 teatropatologico.net

≈ La stanza delle foto

≈ Notizie di scienza

Matite, tempere o china: per mettere su carta i diritti dei bambini ogni tecnica è lecita. “Fuochino… fuochetto” è il titolo del concorso internazionale di illustrazione organizzato dalla fondazione Malagutti onlus in collaborazione con l’Associazione illustratori. All’opera vincitrice, oltre a un premio di mille euro, l’onore di diventare l’immagine ufficiale della X edizione del Concorso internazionale di disegno dedicato a bambini e ragazzi dai 3 ai 14 anni. La partecipazione è riservata ai professionisti di tutto il mondo.

In ogni casa c’è una stanza speciale che custodisce sogni, progetti, pianti e momenti di gioia. Gli oggetti e i libri più cari. Se amate la fotografia, provate a raccontare, in quattro scatti, la vostra quotidianità, le cose e le persone che vi circondano. “Ma adesso io … ho una stanza tutta per me” è il concorso bandito dall’assessorato alle Politiche giovanili del Comune di Faenza (Ra) riservato alle ragazze, italiane e straniere, di età compresa tra i 18 e i 30 anni. La partecipazione è gratuita, alla vincitrice un premio di 350 euro.

Fare informazione scientifica non è facile. Soprattutto quando il (giovane) giornalista deve scrivere un servizio su temi complessi e delicati come le ricerche in campo biomedico, i nuovi farmaci, le tecniche e agli approcci innovativi nella cura della persona. Il premio “Ricardo Tomassetti: informazione e salute. Next generation” vuole premiare i giornalisti under 35 che hanno pubblicato un servizio (testo, audio o video) sulla ricerca e l’innovazione in campo medico. In palio quattro premi da 3mila euro.

info tel »

20.12.2010 Fondazione Malagutti onlus 0376 – 49.951 dirittiacolori.it

Blam! Editions è una nuova casa editrice di fumetti in cerca d’autore. Per questo ha lanciato “Blam! Contest”, un concorso aperto a tutti gli appassionati di strisce che mette in palio la pubblicazione, con contratto, di una graphic novel o di una miniserie da quattro episodi. La scelta del soggetto è libera (la storia deve essere inedita) e non ci sono limiti età. Il concorso è aperto sia a esordienti che a professionisti.

info

≈ Diritti a colori

scade info tel »

31.10. 2010 Informagiovani Faenza 0546 – 663.445 racine.ra.it

scade info tel »

31.10.2010 Premio Tomassetti 06 – 541.70.93 premiotomassetti.it

30.12.2010 Four red roses 333 – 653.52.45 inpuntadipenna.it

≈ Strisce in cerca d’autore

scade

| le opportunità del mese

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Hai scritto un dramma, una commedia o un’opera di satira ma è ancora chiusa nel cassetto? Sogni di metterla in scena? “In punta di penna” è il concorso che fa per te. Una giuria di esperti valuterà i lavori, considerando non solo l’aspetto linguistico/letterario ma soprattutto la realizzabilità dell’opera. Al primo classificato un premio di 500 euro e la possibilità di portare in teatro il proprio lavoro.

tel »

20.12.2010 Blam! Editions blam.editions@gmail.com blameditions.blogspot.com

≈ Rime metropolitane Osservate le strade: la globalizzazione e il razzismo strisciante. Leggete i giornali, guardate la tivù e cercate di capire come raccontano le guerre, i mondi lontani, l’amore. E poi mettete il vostro mondo in versi. Rime a piacere e tanta fantasia sono gli ingredienti per partecipare al concorso “La vita che si fa: se lo vedi lo puoi scrivere”, indetto dal comune di Lessona (Bi). È richiesta una quota d’iscrizione di 10 euro, al vincitore 500 euro. scade info tel »

28.02.2011 Comune di Lessona 015 – 981.412 comunelessona.it | 017 | ottobre 10

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| previsioni del tempo sociale | a cura di | dario paladini

Clienti delle prostitute

Cristiani palestinesi

Drogati delle slot machine

Poveri e anziani

nuvole basse

n.p.

variabile

Neve

Intrattenersi con le prostitute potrebbe diventare reato: la proposta è in discussione al Parlamento europeo. Le carceri italiane già registrano il tutto esaurito, se passa la proposta di direttiva europea sono destinate a riempirsi all’inverosimile, anche di personaggi ricchi e famosi. Il messaggio però è chiaro: i clienti alimentano lo sfruttamento delle donne e quindi ne sono complici. Si può dubitare dell’efficacia di un provvedimento del genere, ma richiamerebbe tutti alle proprie responsabilità.

Anche quando è buio pesto, si può riuscire a vedere un filo di luce. I cristiani palestinesi hanno scritto un documento “Kairos Palestina”, che verrà presentato a Roma il 19 ottobre. I cristiani palestinesi sono pochi, perseguitati dai fondamentalisti islamici, segregati dal muro costruito da Israele. Eppure nel documento, pubblicato dalle edizioni Terra Santa, riescono a pensare al Medio Oriente come a un luogo in cui si possa vivere in pace. Una lezione di vita.

L’Arci ha invitato i propri circoli a eliminare videopoker e slot machine perché causano “isolamento e non aggregazione”. A Empoli ci avevano già pensato due anni fa. Risultato: hanno perso circa 400 soci e due circoli hanno deciso di uscire dall’Arci. C’è da capirli, i gestori dei circoli “ribelli”: solo a Empoli le macchinette fruttavano all’Arci ben 3 milioni di euro l’anno. Difficile rinunciarvi...

Con l’arrivo del freddo, si allungherà di certo la fila di fronte al Pane quotidiano, l’associazione che a Milano distribuisce ogni giorno circa 2mila sacchetti con panino, qualche yogurt, frutta, latte e dolce. “Accade ogni inverno e sono soprattutto anziani -spiega Piermaria Ferrario, presidente della Fondazione-. Devono accendere il riscaldamento e hanno quindi meno soldi. Con la pensione minima non ce la fanno proprio. Anche a fare la spesa”.

corrispondenze ≈ Uno spazio di incontro tra Terre e i lettori. Scriveteci a redazione@terre.it.

l’aquila sta morendo È difficile parlare della condizione aquilana. E penoso. Possono farlo, per me, i numeri. A 17 mesi dal sisma, gli sfollati sono ancora 50mila. Di questi, solo 15mila hanno trovato alloggio temporaneo nel progetto c.a.s.e., i casermoni in cartongesso spacciati dal Governo quale miracolo aquilano: 19 nuovi insediamenti, posti ad anello intorno alla città distrutta e lontanissimi l’uno dall’altro, costati agli italiani 2.700 euro al metro quadrato, come residenze di lusso. In realtà sono quartieri dormitorio, senza servizi pubblici, né negozi, né luoghi di aggregazione. Altre 3.800 persone sono ancora negli hotel e nelle caserme e ben 25mila sono gli sfollati che hanno trovato da soli una sistemazione alternativa. Loro ricevono dallo Stato 200 euro pro capite che spessp stentano ad arrivare: i pagamenti sono fermi ad aprile e promessi solo fino a dicembre 2010.

Gli affitti delle case agibili sono saliti alle stelle. Nessuno ha provveduto a calmierare i prezzi. Tutto è difficile. Anche comprare un pezzo di pane. Occorre usare l’automobile per fare qualsiasi cosa. Il centro storico, che era il fulcro della città, è interdetto agli stessi abitanti. Lasciato a morire nell’incuria e nell’abbandono. E presidiato dai militari. La grande Università dell’Aquila con i suoi 27mila iscritti, vive momenti difficilissimi: mancano le sedi e quelle provvisorie sono inappropriate. Anche gli studenti, volàno dell’economia cittadina, sono vittime degli affitti selvaggi. Su 72mila abitanti, 15mila sono disoccupati. Commercianti, artigiani e professionisti vivono momenti tragici per mancanza di sedi e, dopo un anno e mezzo di inattività, del danaro necessario per trovarne di nuove. La città è ferma a quel 6 aprile. E sta morendo. Anna Colasacco, L’Aquila

Cara Anna, i numeri sono una sfida. Corrono veloci, ci stordiscono. E alla fine? Scivolano via, senza lasciare traccia. Ma se dietro alle cifre riesci a cogliere un’umanità sofferente, allora tutto cambia. Ci costringi a un’esercizio difficile, Anna, ma di questo ti siamo grati. 46

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a Milano ci trovate qui: CartaCanta, viale Monza 106; Altraedicola, piazza Cordusio; edicola di piazza XXIV Maggio 7; viale Caterina da Forlì 40; via Molino delle armi (angolo corso di Porta Ticinese)e via Lorenteggio 3.

a Roma Libreria Le storie, via Giulio Rocco 37/39; Libreria Vescovio, via Stimigliano 24/a; Giufà, via degli Aurunci 38; Cooperativa “Fuori posto”, via Oreste Mattirolo 16. novità in Piemonte Negozio Leggero di Torino, Novara e Saluzzo (Cn). Indirizzi e informazioni sul sito negozioleggero.it.


posta del cuore letteraria di linda fava (2piccioni@gmail.com) Cara Fava, preso da un’inspiegabile voglia di approfondire il mio rapporto con la lavatrice, ho deciso di fare il bucato. Stavo attingendo a piene mani dal cesto della roba sporca, estraendone grovigli di mutande e calzini miei e della mia ragazza, e cosa ti trovo? Un bel quadernetto rilegato. Non avrei dovuto ficcare il naso nelle cose non mie, lo so, ma a mia discolpa sull’etichetta c’era scritto “Ricette di primavera”. Sfoglia che ti sfoglia, capisco di cosa si tratta: è una specie di rigoroso diario della nostra vita sessuale. A quanto pare Camilla tiene il conto di ogni volta che facciamo l’amore. Non solo, registra ogni tipo di informazioni tecniche: a che ora, su che superficie, in che posizione, numero degli orgasmi, durata. Non una parola sul coinvolgimento, gli stati d’animo… Un bieco elenco

di numeri e incastri anatomici. Alla fine di ogni settimana, il conteggio degli amplessi, lo stesso per ogni mese e, infine il totale annuo, completo di una media stagionale ragionata. Come dovrei prenderla? Come farò a non farmi risucchiare dalla paranoia del quante-volte-lo-facciamo e del nonfacciamo-colare-a-picco-la-media-mensile? Sento già la morsa dell’agonismo che mi attanaglia… Ettore Caro Ettore, ti racconterò una storia che forse ti aiuterà a guardare questo incubo numerico da un altro punto di vista. I protagonisti sono Hus (lui) e Wif (lei), compagni da tanti anni. Hus si ammala di cancro e ai due rimane una lunga stagione per prepararsi alla separazione, alla

novità dell’assenza, al cambiamento di stato. Matematici nel sole è un romanzo di Franco Stelzer (Il Maestrale). Hus decide, in questo limbo finale, di non lasciare nulla al caso: avvolto dal calore complice di Wif, organizza con leggerezza una laica e stramba cerimonia funebre, e vive ogni giorno come un rito. E siccome nel catalogo delle cose belle della vita c’è anche fare l’amore, stabiliscono che se vogliono rispettare la loro media di sempre, nel tempo che gli resta devono farlo 40 volte ancora. E si mettono al lavoro. È così sbagliato tenere traccia dei numeri ambiziosi dell’amore? “Tutto sommato -pensa Hus - alla fine noi non siamo che questo. Esseri che fanno di conto, avvolti nel chiarore. Piccoli eroi storditi e luminosi. Matematici nel sole”.

| insieme nelle terre di mezzo onlus | Associazione.Terre.it

i cugini d’africa A

ll’entrata della redazione di The Big Issue Malawi c’è una grande scritta: “Working not begging”, lavoro, non elemosina. Una bella sfida per un giornale di strada in Africa, continente in cui lotta alla povertà significa quasi sempre aiuti umanitari. The Big Issue Malawi è una rivista bimestrale e anche un’impresa sociale al 100 per cento malawiana. Finora ha stampato nove numeri, in un Paese in cui il 65 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà e il 12 per cento degli adulti è affetto da Aids. La giovane rivista fa parte del gruppo dei The Big Issue, la rete di giornali di strada che devono il nome all’edizione londinese venduta dai senza dimora. Tra i sostenitori del magazine malawiano ci sono il Governo Scozzese e Ubuntu trading, l’impresa che distribuisce l’omonima cola certificata fair trade, fatta con lo zucchero del Malawi. Come Terre di mezzo, anche il giornale africano è uno dei membri dell’International network of street papers (Insp), che riunisce 108 giornali di strada di tutto il mondo. La squadra di Big Issue Malawi è composta da sei persone, tra cui tre giornalisti professionisti e dà voce a un’informazione “educativa” e sociale, unica nel panorama editoriale malawiano. I venditori sono in larga parte donne disoccupate che vivono nelle periferie, in case senza energia elettrica e acqua corrente. Guadagnando metà del prezzo di copertina per ogni copia venduta, riescono a sostenere la famiglia e coprire spese essenziali come cibo e vestiti. Il loro è un mestiere difficile: nel quarto Paese più povero al mondo molti non hanno soldi in tasca, pochi leggono e

tanti vendono per strada prodotti concorrenti. Meno della metà degli oltre 200 venditori lavorano costantemente. Nonostante questo The Big Issue Malawi, instancabile, si impegna per trovare soluzioni creative contro la povertà: l’ultima, organizzare corsi di sartoria per i venditori. Proprio dove il sentiero è più in salita, questo giovane giornale africano continua a percorrere davvero molta strada. Beatrice Petrovich

Le venditrici del Malawi.

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avvista(menti)

quelli della notte | testo | dario paladini | foto | daniele coppa Non sono volontari per un giorno solo. Da undici anni organizzano a Milano la “Notte dei senza dimora”, invitando tutti a dormire col sacco a pelo in piazza: un gesto di solidarietà e di vicinanza alle persone che vivono in strada, di cui loro si occupano quotidianamente. Sono i volontari di Insieme nelle Terre di mezzo, Croce Rossa, Casa di Gastone, Ronda della carità, Cena dell’amicizia: garantiscono coperte, cibo, bevande calde a chi una casa non l’ha. E, soprattutto, amicizia, perché il peggior nemico per i senza dimora è la solitudine. Quest’anno la Notte si terrà in 14 piazze d’Italia. A Milano, sabato 16 ottobre, piazza Santo Stefano si colorerà di variopinti sacchi a pelo: prima però si mangerà insieme, mentre sul palco si alterneranno gruppi musicali giovanili. Inoltre, Insieme nelle Terre di mezzo e l’agenzia Viaggi e miraggi organizzano, dal 15 al 17 ottobre, un weekend di turismo responsabile per scoprire la città nascosta e solidale. A Roma la Notte sarà domenica 17 ottobre, in piazza dell’Immacolata. Per chi non è romano, c’è anche la possibilità di arrivare il giorno prima e pernottare nella sede delle Opere Antoniane: in cambio si chiede una mano per servire il pranzo del sabato alla mensa dei poveri. Date, città e programmi delle Notti in tutta Italia sul sito associazione.terre.it. 48

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novità d’autunno

da santiago al mali: libri per chi non sa stare fermo Bernard Ollivier

una strada per ricominciare

Da Santiago de Compostela alla Via della seta Una nuova esistenza al di là del lavoro, oltre la famiglia, oltre le passioni che prima o poi finiscono. Un giornalista si mette in cammino e, da allora, non si ferma più: prima a Santiago, poi sulla Via della seta, passando per la Turchia, fino in Cina. Una rinascita che passa in primo luogo attraverso il corpo ridonandogli energie e volontà. Ma anche memoria e desideri. Bernard Ollivier è autore molto noto in Francia. In Italia Feltrinelli ha pubblicato i libri “Il vento delle steppe”, “Verso Samarcanda” e “La lunga marcia”. 176 pagine - 7,50 euro

Diego Marani

seguendo i propri passi

Anna Jannello

LA MUSICA DEL DESERTO

Da Timbuctu a Bamako alla scoperta dei suoni del Sahara. 25 giorni in Mali sulle note dei ritmi africani. Dal Festival au désert tra le dune nei dintorni di Timbuctu, alla visita della “città misteriosa”, dalla discesa lungo il fiume Niger in pinasse fino alla confusione della capitale Bamako. Il racconto di un viaggio di turismo responsabile denso di incontri e concerti indimenticabili in un Paese mitico e ricchissimo di storia. Anna Jannello, giornalista, ha lavorato per anni alla redazione Esteri del settimanale “Panorama”. Per Terre di mezzo ha già pubblicato “La grande casa di monsieur Diallò”, diario di un viaggio in Senegal. 208 pagine - 7,00 euro

Un mese a piedi, dal sud della Spagna a Santiago de Compostela: mille chilometri tra colline e altopiani, ponti e incontri: un continuo avanti e indietro nella storia, ma anche un cammino spirituale. La Via della Plata era usata già mille anni fa da coloro che volevano arrivare a Compostela. Oggi la storia si mescola al vino, ai sapori forti dell’aglio, del prosciutto serrano e dell’ospitalità. Ma anche alla rivolta morale di un Paese che si confronta con la violenza. 128 pagine - 10,00 euro

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