La Libreria in fondo all’Oltre

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Amy Sparkes

Traduzione di

Luigi Cojazzi


Per Merrianna


Tutti hanno dei segreti, non è vero? A volte profondi, a volte oscuri, a volte a fin di bene, a volte dimenticati da tempo, sepolti in luoghi nascosti. I segreti dormono in attesa che giunga il loro momento. Un giorno, prima o poi, si sveglieranno – e ci saranno delle conseguenze. I segreti usciranno allo scoperto. E coloro che attendono con pazienza nell’ombra, che scrutano dalle finestre, li raccoglieranno. E presto... il gioco avrà inizio.



D

oveva senz’altro esserci un punto oltre il quale la vita non poteva diventare più strana, ma

Nove non era ancora certa di averlo raggiunto. Strinse gli occhi e piano piano, con grande attenzione, si accucciò nel corridoio rivestito dal tappeto color prugna della Casa ai Confini della Magia, di fronte alla porta d’ingresso. La borsa a tracolla, al cui interno tintinnava il suo prezioso carillon, sfiorava il tappeto. Concentrazione. Proprio come un gatto, Nove aveva puntato la sua preda e la braccava in silenzio, pronta a scattare al momento giusto. Strinse i pugni, distese le dita: il suo rituale prima di ogni colpo. Nove guardò la piccola creatura, ormai dentro il suo raggio di azione. Non più grande di un topolino, aveva larghi occhi rotondi e un corpo che la faceva 7


sembrare un gomitolo di lana blu. Era accovacciata sulle zampette posteriori, e con quelle anteriori teneva fermo il trofeo che era intenta a rosicchiare. Un trofeo che aveva rubato dal piatto di Nove. Ma non sarebbe stato suo ancora a lungo. Nove era pronta a scattare: meno tre... Si sarebbe ripresa il suo dannato toast. Due... Fosse l’ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua. Uno... La ragazza scattò in avanti con le movenze sicure della borseggiatrice esperta. La tracolla le rimbalzò su un fianco. Ma il suo bersaglio sembrava non meno sicuro ed esperto di lei. Con uno squittio indignato, la creaturina si infilò svelta il toast tra le fauci e schivò le dita protese in avanti di Nove, che atterrò a faccia in giù sul tappeto. La ragazza ebbe giusto il tempo di girare la testa per vedere quel gomitolo di lana blu dotato di zampe che risaliva a rapidi balzi la scala principale. “Dove credi di andare!” gridò Nove schizzando in piedi e precipitandosi all’inseguimento. “Ehm... Madamigella”, disse la voce di un giovane mago dall’altro capo del corridoio, “va tutto bene?”. 8


“Sì, Basito!” esclamò Nove incespicando sui gradini, mentre la piccola creatura blu sfuggiva di nuovo alle sue grinfie. “Tutto benissimo!” “Ah, fantastico”, replicò Basito, con una punta di nervosismo nella voce. Era appoggiato allo stipite della porta della cucina e indossava un pigiama blu indaco, un cappello a punta dello stesso colore e un paio di pelose pantofole viola. Nove ripartì all’inseguimento della creatura e, a dimostrazione di quanto tutto andasse benissimo, scivolò giù dagli scalini con un tonfo. Il mago increspò le labbra perplesso. “E se chiedessi semplicemente a Eric di prepararvene degli altri?” Nove lanciò un’occhiata irosa verso il gomitolo di lana blu che schizzava su per le scale. Poi spostò lo sguardo su Basito e gli puntò un dito contro. “Nessuno”, esclamò con enfasi, “ruba i miei toast”. Balzò di nuovo in piedi e si fiondò su per i gradini rivestiti anch’essi dal tappeto color prugna. I ritratti dei numerosi antenati di Basito – una sfilza di streghe e maghi dalle narici larghe come le sue e lo stesso luccichio d’argento negli occhi – le scorrevano accanto indistinti. Una volta giunta al piano superiore, la ragazza si scrutò intorno furiosa. 9


Le pareti erano punteggiate di decine di porte di ogni forma e dimensione. Alcune erano raggiungibili tramite rampe di legno che salivano a zig-zag, un pianerottolo dietro l’altro, altre per mezzo di scalette a pioli. E infine c’erano porte che parevano semplicemente irraggiungibili. I diversi piani erano collegati da un’enorme scala a chiocciola centrale con un corrimano di corda che si snodava fino a un lontano soffitto decorato. “Dove sei?” sibilò Nove digrignando i denti. Percepì un movimento con la coda dell’occhio. Alzò lo sguardo e vide il gabinetto che saltellava su un ballatoio traballante, ridacchiando in modo sfacciato. Aveva l’esasperante abitudine di andarsene in giro e far perdere le proprie tracce. Una porta si aprì e, come al solito, il gabinetto scomparve in tutta fretta al suo interno. La ragazza sbuffò, sforzandosi di memorizzare dove si stava nascondendo, in caso più tardi ne avesse avuto bisogno. In quel momento udì il tamburellare di quattro zampette svelte da ladro di toast. Nove si girò verso destra: una rampa di scale malferme conduceva a una porta argentata, decorata con un curioso punto interrogativo d’oro. La vecchia camera da letto che era stata di sua madre. 10


Davanti alla porta giacevano i freddi resti del toast mezzo sgranocchiato. Nel frattempo il piccolo gomitolo di lana blu si era appiattito come un foglio per poi scivolare nella fessura e scomparire all’interno della stanza. “No! Non azzardarti a entrare lì dentro!” Nove si fiondò verso le scale traballanti, con la borsa che le rimbalzava sul fianco. Salì i gradini con tanta foga che per poco non li fece sprofondare. Protese una mano verso il pomello di ferro alla base del punto interrogativo e lo ruotò di scatto verso destra. Non appena varcata la soglia, Nove riconobbe un odore vagamente familiare e trasse un respiro profondo. Ma non era il momento per perdersi in fantasticherie. Si guardò in giro alla ricerca della creatura. Alle pareti, dipinte di un audace color turchese, erano appese cornici vuote intervallate da stretti scaffali gremiti di libri. Su una mensola riposava un orologio dorato che non emetteva alcun ticchettio. L’attenzione di Nove fu attratta da un lampo d’argento proveniente dalla finestra accanto al letto. All’esterno, l’oscurità del Mondo tra i Mondi fu squarciata da altri lampi di fili argentati che danzarono attorcigliandosi tra loro e poi esplosero in 11


una scia di stelle che svanì nell’aria. La finestra era sormontata da una lunetta sempre aperta, di cui una volta Nove aveva approfittato per intrufolarsi in Casa, perché la porta era chiusa dall’interno. Si era inerpicata fino all’apertura aggrappandosi alle sporgenze del muro in mattoni. Come se sua madre lo avesse fatto prima di lei... “Sarà meglio che tu esca di lì!” annunciò Nove a voce alta. Una minuscola unghiata di sfida raschiò il pavimento sotto il letto. Nove si sfilò la borsa e la lasciò cadere a terra, provocando il tintinnio di protesta del suo prezioso carillon. Quindi si distese a pancia in giù per sbirciare sotto il letto. C’erano dei vestiti, un retino da pesca con un lungo manico di legno e, proprio vicino al muro, una teiera... dietro la quale spuntava un sederino di lana blu. Beccato. Nove allungò piano piano il braccio verso il retino e ne afferrò il manico. Un solo colpo ben assestato le sarebbe stato sufficiente a pescare la creatura... Strinse il retino nel pugno. Puntò lo sguardo. Tese i muscoli del braccio e... “ARMADIETTO DEL TÈ!” gridò la voce di Basito dalla cucina. 12


No! Non l’armadietto... Zap! Nove si tramutò in un cavallo a dondolo con una testa di drago e una coda di maiale. Il sederino del gomitolo di lana blu divenne una bolla che non smetteva di crescere. L’incantesimo dell’armadietto del tè era uno degli ultimi residui della maledizione lanciata sulla Casa ai Confini della Magia dalla sorella di Basito. Era stata lei a imprigionare il mago e i suoi compagni all’interno dell’edificio, per poi ridurlo alle dimensioni di un soprammobile e infilarselo nella borsa da cui Nove l’aveva rubato. Ed era stata sempre lei a cercare in diverse occasioni di ucciderli, motivo per cui Basito aveva decretato di non volerla vedere mai più. Da quando la maledizione era stata spezzata, la strega sembrava averli lasciati in pace, a parte quei promemoria passeggeri ogni volta che toccavano la credenza dove c’era il tè alla fragola. I fastidiosi effetti dell’incantesimo svanirono rapidamente, come sempre. Nove tornò a essere Nove e il sederino a forma di bolla della creatura blu scoppiò, emanando un odore terribile e cedendo il posto al precedente fondoschiena lanoso. La testa della creatura spuntò dall’altro capo della teiera. 13


L’esserino guardò Nove negli occhi e inclinò la testa di lato, come se stesse riflettendo. Nove aggrottò la fronte e allentò la stretta sul manico del retino. La creatura diede due rapide annusate in direzione della ragazza e un’altra in direzione della teiera, poi uscì come un fulmine dalla camera da letto. Nove emise un sospiro di frustrazione e rinunciò all’inseguimento. Si sedette sui talloni e guardò di nuovo la stanza della madre. Non avrebbe saputo dire chi dei due era rimasto più esterrefatto – se lei o Basito – quando si erano resi conto che la madre un tempo era stata ospite di quella strana dimora, e che la porta davanti alla quale Nove ricordava vagamente di essere stata abbandonata con nient’altro che un carillon non apparteneva né a un orfanotrofio né a un’abitazione qualsiasi, ma proprio alla Casa ai Confini della Magia. Tutto questo, naturalmente, prima che Taschino, il vecchio capobanda con le basette, portasse via Nove per farne un membro della sua gang di ladruncoli. Sembrava una vita fa... “Avevi predisposto ogni cosa, mamma”, sussurrò Nove a se stessa. “Perché è andato tutto storto?” Il suo cuore smaniava dal desiderio di scoprire cosa fosse accaduto. 14


Aveva tempestato Basito di domande, molte delle quali non avevano ricevuto risposta. La prima volta che il mago aveva visto la madre della ragazza, la donna vendeva fiori per strada, nel mondo dei mortali. Basito le era passato accanto ed era stato colto da un violento attacco di starnuti. La mamma di Nove gli aveva offerto un fazzoletto e tra loro era subito sbocciata un’inattesa amicizia. Il mago, con un luccichio argenteo e pieno di dolcezza negli occhi, aveva raccontato a Nove le avventure che lui e mamma avevano condiviso. Quando però lei gli aveva chiesto perché sua madre se ne fosse andata, il suo sguardo era diventato spento e triste. “Le persone se ne vanno”, aveva detto bruscamente. “Alla fine lo fanno tutti.” E si era rifiutato di aggiungere altro. Nove guardò il libro appoggiato sul letto di sua madre. Le lettere dorate sulla copertina formavano il titolo del suo romanzo preferito, quello che, nella vita precedente, prendeva sempre in prestito dalla biblioteca dove lavorava il signor Downes, il miglior bibliotecario del mondo. Il mistero di Wolven Moor. Nove lo aprì e fece scorrere le dita sul nome scritto a penna sul frontespizio. Il nome di sua madre. Eliza. 15


La ragazza sbirciò di nuovo sotto il letto. Gli effetti personali di mamma. Oggetti che avevano conosciuto il tocco delle sue mani. Si sdraiò di nuovo a pancia in giù, afferrò il retino e pescò la teiera che il gomitolo di lana blu aveva annusato. La tirò fuori e si mise a sedere, appoggiandosi alla struttura di ferro del letto. Osservò la delicata porcellana bianca punteggiata di stelline dorate e la accarezzò pensierosa. Sua madre aveva preparato del tè alla fragola – il Miglior tè di tutti i reami – proprio in quella teiera? E perché era finita sotto il letto? Sollevò il coperchio, ne scrutò l’interno... e alzò un sopracciglio. C’erano dentro sei frammenti di una pergamena strappata. Nove li prese e se li rigirò tra le mani. Non c’era scritto nulla... erano solo dei brandelli vuoti. “Allora... perché strapparla?” mormorò Nove tra sé. Cercò di ricostruire la pergamena come se fosse un puzzle. Quando anche l’ultimo tassello andò al suo posto, la ragazza trasalì. Sul foglio apparvero alcune parole scritte in una grafia sottile:

Grazie per il suo deposito. Il Custode. Qualcuno bussò con foga alla porta della stanza. 16


Nove sobbalzò, sfiorando con la mano un frammento della pergamena, che si staccò dagli altri. Le lettere che componevano la scritta iniziarono a svanire. Nove afferrò in fretta e furia i pezzetti di carta e li rimise nella teiera. Dalla porta fece capolino il volto di Basito, incorniciato da una cascata di riccioli castano ramati che spuntavano dal cappello a punta color indaco. “Madamigella? Ah! Eccovi”, disse, tamburellando con le dita sull’uscio. Entrò e si guardò intorno. Una luce argentea scintillò nei suoi occhi azzurri, che avevano qualcosa di antico. “Era davvero... in gamba. È proprio un peccato che...” Lo scintillio nei suoi occhi si affievolì. “Che cosa?” chiese Nove a bassa voce. Doveva procedere con cautela. Gli rivolse uno sguardo indagatore, alla ricerca di indizi. “Vai avanti. Cosa mi stai nascondendo?” Basito alzò le spalle e i suoi occhi divennero ancora più tristi di prima. “Immagino che tutti abbiano dei segreti, no?” Nove non disse nulla, ma l’immagine della pergamena strappata era ancora così vivida nella sua mente che temeva che Basito potesse scorgerla. Fece scivolare la mano davanti alla teiera per coprirla. 17


E se mamma non avesse voluto che Basito venisse a sapere della pergamena? Devo tenere il segreto per me? Rivelarglielo? Devo fidarmi di lui? Basito si schiarì la gola spolverandosi il pigiama color indaco. “Anche se non era certo un segreto che fosse affezionata a quell’adorabile teppistello blu. Le creature di quel genere possono vivere decenni.” Nove percepì nell’aria una zaffata di qualcosa di terroso e speziato ed ebbe un tuffo al cuore. Oh, no... “Volevo mettervi in guardia”, disse Basito a disagio. “Eric sta cercando di porre rimedio al furto della vostra colazione facendovi dei pancake.” Al pensiero del beneamato domestico troll intento a preparare quei pancake grigi, grumosi e ripieni di ossa, le spalle di Nove si afflosciarono. “E non hai tentato di dissuaderlo?” “Be’, Madamigella, sapete bene com’è fatto”, esclamò Basito. “Era tutto contento di potervi aiutare. E sta...” Il mago fece una smorfia. “Sta sperimentando un nuovo ingrediente.” Nove sospirò. Eric era di gran lunga il miglior troll che avesse mai conosciuto in vita sua, ma anche il peggior cuoco. 18


“Tua sorella ha parecchi misfatti di cui rispondere. Non posso credere che abbia tradotto tutti i ricettari di Eric nella lingua dei nani e li abbia lasciati così. In fin dei conti abbiamo spezzato la maledizione della Casa in modo corretto”, brontolò Nove. “Sì, be’, non credo che la correttezza rientri tra le doti di mia sorella.” “La furbizia invece sì”, disse Nove, sapendo che quell’osservazione avrebbe infastidito il mago. “In realtà è soltanto un incubo”, ribatté Basito. La ragazza sentì la superficie fredda della teiera contro il palmo sudaticcio. Basito non aveva riconosciuto quell’oggetto appartenuto a sua madre. E Nove era ormai sempre più convinta che mamma non si fidasse di lui, qualunque fosse il suo segreto. Quindi forse anche lei doveva stare in guardia. “Madamigella?” chiese Basito guardandola con un misto di curiosità e nervosismo. “Non avrete ricominciato a… pensare, vero?” “Be’, qualcuno di noi deve pur farlo”, replicò Nove. Mise da parte dubbi e sensi di colpa e raccolse da terra la sua borsa. Poi si diresse verso la porta e afferrò Basito per la manica. “Madamigella?” fece lui sorpreso, mentre la ragazza lo trascinava verso le scale traballanti. 19


“Se devo mangiare quei pancake alle ossa, non lo farò certo da sola”, replicò Nove. Lo condusse giù per la scalinata rivestita dal tappeto color prugna in direzione di quel bizzarro aroma terroso e speziato, ignorando in modo deliberato il gomitolo di lana blu che con la coda dell’occhio vide sfrecciare via, tutto compiaciuto.

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