COLLANA
DI STUDI
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TESTI
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STUDI MONTEFELTRANI
Editrice Società di Studi Storici per i l Montefeltro S. Leo 1982
ITALO PASCUCCI
un semibusto e un'epigrafe
«indovinello»
nel duomo di san leo
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Avvertenza: Per ragioni tipografiche non è stato possibile riprodurre, nel corpo del saggio, i legamenti delle lettere, nè i punti all'interno delle maiuscole così come compaiono nell'epigrafe. Si rimanda pertanto all'apparato iconografico che correda il presente saggio e, in particolare, alle figg. 2 e 4.
Antonio Flenghi viro mentis ade singularique industria amico ex certis certissimo
praedito
E ' nostro proposito intrattenerci in breve suH'iscrizione riguardante uno dei due semibusti (1) che sono infissi immediatamente sopra i l portale della Cattedrale romanica di Sanleo (Montefeltro), in particolare sull'iscrizione scolpita nella cartella del semibusto posto a destra dì chi osserva e che attira l'attenzione per la sua bianchezza, in evidente contrasto con il colore grigio verdognolo delle pietre conce tratte dalle cave locali. Su codesto bustino, che ha un suo valore storico ed epigrafico, si è venuta formando una letteratura abbastanza vasta, relativamente all'interpretazione dell'iscrizione che reca la tabella inscritta nel semibusto di destra (quello dì sinistra presenta una lettura piana ed equivale sicuramente a (S) LEO, titolare della Cattedrale). Tale iscrizione è stata recensita di fresco, con la
(1) Sulle misure dei bustini, si veda A. C A M P A N A , Bustino inscritto di S. Valentino nella Cattedrale romanica di San Leo (Montefeltro), Estr. da « I l santo patrono della città medievale: il culto di S. Valentino nella storia di T e m i » (Atti del Convegno di studio. Terni, 9-12 febbraio 1974), Roma 1982, p. 53.
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PASCUCCI
consueta perizia, da uno studioso di grande prestigio (2). Pertanto ci permettiamo di rinviare a codesta rassegna, quegli eventuali lettori che ambiscano di avere maggiori cognizioni circa le varie letture proposte dagli interpreti dell'epigrafe inscritta nel semibusto e intendano acquisire più. di una semplice nota sull'interesse che ha suscitato e sulle polemiche scaturite dall'interpretazione dell'iscrizione attinente l'identificazione del personaggio. Noi siamo del parere, come lo era Giambattista Marini (3), e con lui gli amici suoi, « il nobilissimo ed eruditissimo » Annibale degli Abbati Olivieri-Giordani (4), il valente pittore e architetto e « in ogni genere di studi l'eccellentissimo » can.co Don Giovanni Andrea Lazzarini (5), che l'iscrizione del bustino riguardi i l Vescovo coevo alla costruzione della Cat-
(2)
A.
CAMPANA
op.
cit.,
pp.
54-69.
( 3 ) G.B. Marini, nato a Sanleo il 5 aprile 1689, da Marino de Marinis da Montefotogno e da Angela Doralice Rìcci, vi m o r ì il 3 novembre 1782, due anni dopo il suo ritorno da un lungo esilio ecclesiastico. I l giorno successivo al trapasso, fu sepolto nella Chiesa plebale, lasciando in chi lo conobbe il ricordo indelebile di una singolare serietà sacerdotale e di una salda preparazione culturale. F u legato di stretta amicizia agli uomini p i ù rappresentativi della cultura marchigiano-romagnola del suo tempo, e non solo. Condusse una lunga battaglia per il ritorno della Cattedralità a Sanleo, lasciando due importanti pubblicazioni e tre grossi volumi di appunti mss. sulla stessa questione, che abbiamo ricordato nel corso dell'artìcolo. (4) Sull'Olivieri (Pesaro 1708-1789), si veda L Z I C A R I , Abbati OlivieriGiordani, Annibale degli, in Diz. biogr. degli Italiani, I , 1960, 32-5.
(5) Giovanni Andrea Lazzarini (Pesaro 1710-1801) fu pittore e architetto; si f o r m ò a Roma nelil'ambito del Chiara e del Mancini, fu a Forlì con il Cignani. Professore all'Accademia di Pesaro e seguace del neoclassicismo in pittura, lasciò molte opere in Chiese a Pesaro, a Osimo e in Ancona. S u di lui, oltre la biografia scritta da M. Fantuzzi, premessa a Opere del can. G.A.L., t. I , si veda anche Catalogo della mostra a cura dì Grazila Calegari Franca, Nando Cecini, Raffaele Mazzoli, Pesaro 1975. Sull'argomento, interessa, del Lazzarini, la lettera scritta da Sanleo nel mese di maggio del 1757, all'amico Annibale degli Abbati Olivieri-Giordani. Questo documento si p u ò leggere in G.B. Marini, Saggio, cìt., pp. 305-310.
Fig, L Fotografia, risalente agli anni 1940-50, del bustino posto a destra del portale di ingresso alla Cattedrale di San Leo. (Archivio della ÂŤ P r o LocoÂť, San Leo).
Fig. 2. Restituzione grafica del bustino e dell'epigrafe, secondo la foto della fig. 1 . (Si ringrazia per la cortese collaborazione ĂŒl Laboratorio grafico e cartografico dei Musei Comunali di Rimini).
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Fig. 3. San Leo, Cattedrale, iscrizione del bustino di Gualfredo, Vescovo di S. Leo. {Fot. P. Rinaldi, 1983).
Fig. 4. I l bustino secondo il disegno di G . A. Lazzarini inciso in rame da G . Gavelli ed inserito in G . B. Marini, Saggio di ragioni. . ., cit., Pesaro 1758, p. 325, tav. I , fig. 3.
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tedrale di Sanleo, vale a dire all'anno 1173, che è la probabile data riferentesi alla fase più importante della costruzione. A proposito dell'anno 1173, il Marini osserva che nella città di Sanleo « fu costruita la nuova Chiesa Cattedrale insieme con il Palazzo Vescovile e — com'è credibile — le Case dei Canonici, mentr'era Vescovo Valentiniano, che l'Ughelli e l'Olivieri (6) hanno tralasciato nei loro Cataloghi. E tuttavia — prosegue il Marini — i l suo Vescovato al tempo della fabbrica medesima viene giustificato da un suo semibusto di pietra, piccolo per la verità e in parte guasto per Fingiuria del tempo, che si vede ancora sopra la porta maggiore della Chiesa con le seguenti lettere corrose VAL: NIANUS, le quali riconosciute da noi con diligente ispezione oculare e comunicate agli studiosi, si ritiene che non esprimano niente altro di più probabile che VALENTINIANUS EPISCOPUS » (7). Quindi, passando a fare delle considerazioni sullo stato di conservazione di alcune lettere, i l Marini prosegue: « Non si può dubitare che la voracità del tempo ha corroso la metà della lettera iniziale V, l'intera A della quinta sillaba e metà della lettera N nell'ultima sillaba, e la ristrettezza dello spazio, in cui dette lettere si vedono scolpite, lascia la persuasione che lo scultore dovette abbreviare la nietà del nome che non poteva essere contenuto per esteso in così breve spazio. Dalla posizione di questo semibusto e dalla iscrizione, crediamo che si possa dedurre che questo Vescovo o ha fabbricato il tempio a sue spese o che almeno ha concorso in parte perché fosse eretto. E quindi riteniamo che si renda possibile che non altrove che nel luogo della sua residenza cioè della sua città, Valentiniano o il Vescovo di qualsiasi altro nome, abbia voluto che venisse innalzato un edificio così ragguardevole » (8). Con questa acuta considerazione, i l Marini non esclude una
(6) S u Orazio Olivieri si veda I . P A S C U C C I , Introd. ai Monìmenta Feretrana, Sanleo 1981, pp. 7-30. (7) G.B. M A R I N I , Apologeticon Feretranum, Pesaro 1732, pp. 64-65. (8)
IDEM,
ivi,
p.
65.
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lettura diversa dalla sua che si legge neWApologeticon; a dimostrazione di questo fatto, sedici anni dopo, precisamente nel suo Saggio di ragioni della città di Sanleo detta già Monteferetro, uscito alle stampe a Pesato nel 1758, egli non legge più VALENTINIANUS, ma VAL:NI NUS (9). Di questo revirement del Marini non è facile dire, noi saremmo inclini a pensare a obiezioni che gli siano state fatte sull'uso e sulla arcaicità dell'inusitato Valentiniano, con ogni probabilità considerato anacronistico nel periodo in cui venne costruita la parte più importante del Duomo e forse ad osservazioni del Lazzarini, nel 1757, magari con probabili interventi di altri autorevoli amici anche relativamente alla lettera E (VAL E N T . . . ) che non presenta elementi di riscontro nell'epigrafe, ma comparirà nella integrazione come facente nesso con una L piccola, come si vedrà, inscritta nella L di VAL cioè non V A L E . . . ma VAL( ) L ( . . ) . Infatti quelli che il Marini ed altri credono che siano due punti dopo la L , costituiscono, il primo in alto, un punto di troncamento (L) da cui ha inizio una L minore inscritta nella maggiore, il secondo, un punto di intersezione tra la linea verticale e la linea orizzontale. Per la lettura di una E , manca un « cosidetto » terzo punto (« cosiddetto » punto, perchè in realtà si tratta di un punto di maggiore scavo del lapicida), locato tra quello di troncamento e quello di intersezione, da cui avrebbe dovuto partire la gambina orizzontale della E . La sbiaditissima, quasi impercettibile presenza del-
(9) I D E M , Saggio di ragioni della città di Sanleo detta già Monteferetro contrapposto alla Dissertazione « De Episcopatu Feretrano », Pesaro 1758, p. 173. Con due punti posti non dentro la gambina verticale della L , ma sulla linea della gambina orizzontale L : , il Marini sì precludeva la possibilità di leggere esattamente L(EO)NIANUiS. Riproduce esattamente ì due punti G . B . Lazzarini, tav. I , fig. 3 , in M A R I N I , Saggio, p. 325, mentre il Campana intuisce l'inesistenza dei due punti, leggendo una E, p. 72, che non corrisponde, comunque, ai vertici di quelli che sembrano due punti, mentre sono i vertici (il secondo, in basso, è spostato verso destra, anche se in modo non molto sensìbile) della lettera di cui diremo p i ù avanti.
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la linea verticale e orizzontale della L inscritta rispetto al maggior rilievo di quelli che sono stati considerati due punti, è dovuta proprio ad uno scavo più marcato del lapicida sui cosiddetti due punti videi, quello d'inizio e quello di intersezione. Comunque, certa è una cosa che mentre neìVApologeticon, il Marini integra le lettere inscritte nella tabella del bustino, annettendo grande importanza al nesso VAL£ (NTINIANUS) cioè leggendo una E che, come abbiamo detto, contradicit rationi, nel Saggio riporta soltanto VAL: NINUS, eliminando giustamente la E , che nel 1931 P. Bonifacius Gams, nella sua Series Episcoporum (10), s.v. Montefeltre (Mons Feretranus, Feretrum, Leopolis) ripropone VAL£NTI(NIA)NUS, evidentemente sulla scorta della interpretazione mariniana del Saggio, la cui lettura il Gams ritiene più probabile rispetto a quella deWApologeticon, ma con l'erronea lettura di una E , dopo la L , che non esiste affatto nel testo e che il Marini non propose più, sia nella lettura del 1757, sia in quella « indovinello » del 1761. Assai di fresco (ma noi riteniamo fermamente senza che abbia veduto il Gams), ha letto (S) VALENTINUS (11), l'amico Augusto Campana che, contro l'unanime opinione dei lettori di ieri, non crede alla presenza di un Vescovo feretrano nell'epigrafe del bustino (12), ma a quella di un santo, precisamente alla presenza di S. Valentino, martire e fors'anche Vescovo di Terni. Per la prima volta i l Campana intuisce che dinanzi a VAL(ENTINUS) si rende necessaria e praticamente sicura una lettera che egli individua in una S (Sanctus), « dalla presumibile ampiezza della tabella e della scritta, cioè dal suo rapporto simmetrico coU'insieme della figura e in particolare con le mani» (13). Questo fatto, come vedremo, ha una sua importanza non
(10) P. Plus B O N I F A C I U S G A M S Catholicae, Leipzig 1931, p. 705. (11)
A.
CAMPANA,
cit.,
p.
(O.S.B.),
Series
Episcoporum
Ecclesiae
72.
(12) I D E M , ibid. p. 54 e, inequivocabilmente, il tìtolo dell'articolo. Sempre del Campana, contro la soluzione « del tutto infondata » della presenza di un Vescovo nel bustino, ibid., p. 56. (13) A. C A M P A N A , ibid., p. 72.
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trascurabile, anche se con i l dottissimo Annibale degli Abbati Olivieri-Giordani, noi pensiamo che la consonante debba essere diversa da un S, come si vedrà a suo luogo. Per tutto quello che si è osservato fin qui, per la storia fascinosa che circonda i l bustino, per l'amore che nutriamo per il Montefeltro, per i messaggi e gli stimoli che ci giungono profondi da due eminenti studiosi, da Giambattista Marini, per i l passato, da Augusto Campana, per il presente, ci siamo sentiti attratti (non senza essere rimasti a lungo dubbiosi) verso una rilettura dell'iscrizione attinente il bustino. Rilettura — ci sì passi l'anadiplosi — da valere naturalmente per quello che può valere in tanto fluttuare di opinioni, videi come una delle già numerose interpretazioni, soddisfatti, se non altro, almeno dì aver tentato di portare un sia pur sbiadito contributo, comunque volto in qualche modo ad avviarci a svelare, sensim sine sensu, i l mistero che circonda i l personaggio che si nasconde così pervicace dietro l'iscrizione del bustino. Come già il Marini e i l Lazzarini insieme, nel 1757, e per parte sua i l Marini qualche tempo prima del 1757, e varie volte il Campana negli ultimi cinquant'anni, anche noi, da una solida armatura con i l piano posto all'altezza del bustino, abbiamo proceduto (l'amico e prezioso collaboratore Pietro Rinaldi ha posto in più tutto il suo entusiasmo a prendere numerosissime fotografie fatte in tempi diversi, in giornate diverse, in momenti diversi e in ogni direzione) a minute ispezioni dell'epigrafe, dalle quali sono emerse alcune particolarità, di cui dire mo a suo luogo. Ci fermiamo ora a parlare di talune circostanze strettamente connesse con le accennate particolarità. Tre anni dopo la pubblicazione del Saggio, il N.U., l'incomparabile e dottissimo Annibale degli Abbati Olivieri-Giordani, scrivendo da Pesaro in data 7 agosto 1761 all'amico Don Giambattista Marini, Arciprete della Pieve di Ginestreto nel Pesarese, gli manda un lungo ragguaglio epistolare sul soggiorno di un mese nella « coltissima » città di Ravenna, specificando che in una « messe abbondante » di notizie rinvenute nel « celebre Archivio di Porto di Ravenna », ha potuto « raccogliere una spiga » anche per lui, aggiungendo: « . . . molta lode vi siete acquistato, Sig. Arciprete Riv., col tessere la serie de' Vescovi Feretrani con
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Maggior diligenza, e precisione di quello fosse stato per l'addietro. In tal congiuntura nel vostro Apologetico Feretrano Cap. V I I , avendo osservato presso la porta del Duomo di S. Leo i l busto di un Vescovo con Lettere che il di lui nome esprimono, i l principio della quale è VAL, i l fine XJS, rimanendo incerte per la corrosione del Marmo le Lettere intermedie, giudicaste che un Valentiniano fosse quel Vescovo che nell'anno 1173 la fabbrica fece di quella Chiesa, e credeste di avere scoperto un nuovo Vescovo Feretrano agli altri ignoto » (14). Dopo aver fatto una stringatissima storia della polemica del Marini con Pietro Calvi (15) che, mentre da una parte negava la presenza di un VALENTINIANUS nel bustino, sostenuta, come s'è osservato, dal Marini n&WApologeticon, dall'altra proponeva quella del tutto fantasiosa di AL(EXANDER) NERIUS, l'Olivieri aggiunge nella stessa lettera citata: « Or eccovi dall'Archivio di Porto decisa la lite, Gualfredo (16) era quel Vescovo; togliete dunque francamente e per sempre dalla serie Feretrana l'intruso Alessandro Neri; assicuratevi de' vostri dubbi intorno al vero nome supplendo le mancanze delle lettere inter-
(14) A N N I B A L E D E G L I A B B A T I O L I V I E R I - G I O R D A N I , Lettera al Sig. Ab. D. Giov. Battista Marini Arciprete della Pieve di Ginestreto nel Pesarese, in « Nuova raccolta d'opuscoli scientìfici e fìilologici », Venezia, I X (1762), pp. 121-143, pp. 125-7. (15) Per Petrum Antonium Calvi Cìvem Venetum et Pinnensem, Ad pseudo-Feretranum Apologeticon Jo:Baptistae Marini Duniellii Pinnensiumque responsa exarata, Venetiis 1739, pp. 45-47, con osservazioni grossolane, cervell otti che e di nessun momento assolutamente, a p. 46. (16) Copia del documento dell'Archìvio di Porto scoperto dall'Olivieri, si trova nel ms. 376 t. I V , f. 142 rv della Bìbl. Oliv. di Pesaro. I l documento ravennate reca con chiarezza: « + Ego quidem in Dei [nomine] Gualfredus Ecclesiae Montis Ferretranì eps manu mea subscripsi ». Arch. di Stato di Ravenna. Corpor. rei. soppr., S. Maria in Porto, busta 7, n. 93, già A, 295. E ' auspicabile che in una prossima ed. del suo / Vescovi del Montefeltro, Urbania 1976, l'amico Don A. Bartolini trascrìva con maggiore acribia il testo, sìa pure parziale, che reca, del documento menzionato, e faccia una descrizione bibliografica p i ù fedele della copia che si trova nella Oliv. di Pesaro, che è ms. 376, t. I V , 142 rv. Per alcune notìzie sul Vescovo Gualfredo si veda A. Bartolini, cìt., pp. 28-29.
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medie per la corrosione della pietra, o mancanti nella iscrizione, o rese equivoche, e leggete VALFREDUS, o piuttosto GUALFREDUS, com'ei si sottoscriveva, potendo facilmente, come le intermedie, essere perita la prima Lettera G. » (17). A tale proposito, non sappiamo se il Marini abbia tenuto conto della comunicazione fattagli dal dottissimo amico, ma incliniamo a credere (naturalmente in via d'ipotesi e soltanto in via d'ipotesi) che lo abbia fatto e per l'altissima stima che aveva del corrispondente e per il desiderio profondamente sentito di venire a capo del personaggio ricordato nell'epigrafe del bustino, nel periodo di maggiore fervore esplicato a erigere l'edificio sacro (1173), e che egli ravvisava pervicacemente nella persona di un Vescovo (18). Proprio all'ultimo momento, dalla lettura dei mss. del Marini (19), rileviamo che nel 1761, prima di aver ricevuto la lettera dell'Olivieri, del 7 agosto 1761, e quindi prima di ricevere dallo stesso augusto corrispondente, che glielo aveva promesso, « l'antico stromento sottoscritto: Ego Valfredus » (20), egli integra esattamente Valfredus, mentre per il resto dell'epigrafe, si abbandona a una specie di « indovinello », com'egli sottolinea, tentando una lettura in NINIAS; NINIANUS e, complessivamente, con una interpretazione completamente campata in aria, VALFREDUS ALTERNINIA E P S .
(17) A N N I B A L E D E G L I A B B A T I O L I V I E R I - G I O R D A N I , Lettera... cit., p. 127. (18) Del Marini si avverte il gioioso eureka (cfr. G.B. M A R I N I , Memorie diverse di Sanleo, altre volte detto Monteferetro, e sua Provincia detta in oggi Montefeltro, Arch. Com. di Sanleo, I I , f 370 rv), in seguito al rinvenimento, da parte dell'Oliv., dello « stromento » riguardante il Vescovo Gualfredo. Nell'occasione il Marini sottolinea: « E d ecco trovato finalmente il nome del Vescovo del tempo della fabbrica del Duomo di S. Leo, che non è Alexander Nerius, n è Valentinianus » (Cfr. G.B. M A R I N I , Memorie... cit., I I , f. 370 r ) . (19) G.B. M A R I N I , Memorie... cit., I I . f. 370 rv. (20) Al f. 370 r, delle Memorie, cit., il Marini adopera due volte la grafia « Valfrerus », poi sempre esattamente « Gualfredus ». Questo fatto mi sembra che avvenga prima della comunicazione dello « stromento », com'egli lo chiama, del documento dell'Archivio di Porto, scoperto dall'Olivieri.
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Di un quarto tentativo di lettura da parte del Marini, in seguito alla comunicazione dell'Olivieri (21), non abbiamo trovato traccia alcuna ma,come s'è prospettato, è molto probaible che lo abbia fatto per via dell'accanimento da lui posto, in un primo tempo, a rinvenire i l nome del Vescovo e, in seguito alla scoperta dell'Olivieri, a rileggere tutta riscrizione. Per parte nostra, dopo avere meditato sulla loro portata, abbiamo ritenuto ragionevole ipotesi accogliere, sull'argomento, i suggerimenti e le preziose indicazioni date al Marini, dall'Olivieri di cui pensiamo che si debba accogliere, per prima cosa, la presenza di una G iniziale scomparsa per l'azione edace del tempo e resa necessaria per il « rapporto simmetrico » con l'insieme del bustino e appoggiata a VAL. A nostro vedere, segue inscritta nella L grande, una L piccola che ha come vertice della linea verticale, i l segno di troncamento che corrisponde al punto (L), leggermente decentrato a sinistra, rispetto a quello che s'è venuto formando nel punto di convergenza delle linee che costituiscono la L inscritta. Al gruppo VAL, segue N I , essendo da escludere l'ipotesi, almeno per noi, della NT giacché, per ragioni di spazio, la T avrebbe fatto sicuramente nesso con la N, avendo in comune la seconda linea verticale (N). A nostra opinione, tra i l gruppo N I e il gruppo NUS, non poteva esserci che una A facente parte, per nesso, della N con la quale ha in comune la prima linea verticale. A tale proposito, per noi non esistono altre possibilità logiche; se si presuppone il gruppo NT, si apre i l problema di avere libero lo spazio per integrare la lettera mancante con I,NTINUS, ma in tal modo non viene tenuto conto del segno di troncamento VAL che non avrebbe più ragione di essere. A questo punto nascono ulteriori perplessità per NTINUS, perché, se così fosse avvenuto {videi, lettura di NTINUS), l'epigrafe sarebbe nata belle e fatta, da una parte con la prospettiva, se non altro, almeno strana, di una lettura scontata, dall'altra di una E che non esiste, per le ragioni di cui abbiamo detto, mentre c'era
(21) Si tratta della lettera dell'Olivieri al Marini, di cui alla nota 14.
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sufficiente spazio perché venisse bene evidenziata dal lapicida, là dove ce una L inscritta (L). Per quel che concerne i l gruppo N I , in una fotografia che risale agli anni tra i l 1940 e il 1950 circa, la lettera I , non ancora corrosa in maniera gravemente matcata, risulta abbastanza chiara, specialmente nella parte superiore, dove ora sono man canti delle frazioni che creano una più acuta difficoltà di lettura. Giustamente l'Olivieri, nella lettera menzionata del 7 agosto 1761, indirizzata all'amico Giambattista Marini, giudicava che si dovesse supplire « le mancanze delle Lettere intermedie per la corrosione della pietra (lettera G iniziale, L minore inscritta dentro la lettera L maggiore, lettera A corrosa innanzi alla prima gambina della N, in parte appunto corrosa) o mancanti nell'iscrizione », come effettivamente appare dalla lettura integrata: [ G ] VAL(FREDUS) L(EO)NIANUS EP(ISCOPU)S, vale a dire: « Gualfredo Vescovo di Sanleo ». Questa lettura, se non andiamo errati, doveva apparire ovvia allorché vennero scolpite le lettere, contrariamente a quanto è avvenuto dal sec. X V I I I ad oggi, videi, nell'arco di tempo in cui riscrizione è stata considerata una specie di rebus. Oggi (almeno a quel che ci riguarda) si capisce che si poteva venire a capo delle difficoltà, dal sec. X V I I I in qua, se fossero stati seguiti i suggerimenti dell'incomparabile studioso Annibale degli Abbati Olivieri-Giordani e i reiterati tentativi del Marini. Come abbia poi integrato (ammesso che lo abbia effettivamente fatto) l'intera epigrafe l'Olivieri stesso, non sappiamo, nè d'altronde siamo a conoscenza (almeno fino ad oggi) della integrazione mariniana prima di NIANUS cioè se abbia veduto, dopo VAL(FREDUS), la L minore inscritta nella L maggiore, e se abbia intuito che l'agg. di Leo, la cui spia è proprio costituita da NIANUS è L(EO)NIANUS (22). A prescindere dall'efficacia della nostra interpretazione relativa all'iscrizione, da valere come ipotesi di lavoro, permane
(22) Per l'agg. Leonianus, a, um, si veda Porcellini, Onomast., 101, col. 3 . ap. Justinian, Inst. 3 , 1 3 paragr. 1 .
I , p.
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in noi la convinzione che i l bustino doveva ricordare ai posteri, della costruzione del Duomo di Sanleo, nella sua fase più avanzata e importante (1173), l'azione fattiva e perspicace portata avanti da GUALFREDUS LEONIANUS EPISCOPUS. Per quello almeno che ci concerne, noi non riusciamo a immaginare una lettura diversa sia perché, per la prima volta, siamo giunti a ravvisare una L minore inscritta nella maggiore, in un punto nevralgico di interpretazione, sia perché abbiamo rilevato l'uso dell'agg. LEONIANUS, che non abbiamo mai trovato adoperato nella pubblicistica feretrana, neppure negli scritti relativi al periodo più acuto dell'aspra polemica sorta intorno alla traslazione della Cattedralità da Sanleo a Pennabilli nel 1572 e rinfocolate nel 1732, con l'uscita dell'Apologeticon Feretranum dell'Arciprete Giambattista Marini, in risposta allo scritto Feretrana Cathedralis di Paolo Danielli, presentato nella Curia romana contra Communitatem S. Leonis, nel 1729. Questo agg., vale a dire Leonianus, ci consente di fare delle considerazioni che tagliano corto su alcune perplessità riguardanti sia la lettera che segue la prima N, sia la lettera che precede la seconda N, che presenta la prima gambina corrosa dall'usura del tempo. All'evidenza, l'agg. Leonianus, a, um, conferma in modo inequivocabile la presenza del nesso NIANUS; la controprova che questo corrisponde al nesso originale, è costituita dalla sostituzione di tale agg., con Leontinus, a, um. Questo agg., che presenta ugugalianza di sillabe con Leonianus, [G] VAL(FREDUS) L(EO)NIANUS EP(ISCOPU)S [G] VAL(FREDUS) L(EO)NTINUS EP(ISCOPU)S rispecchia bene i l nesso NTINUS (ammesso ma non concesso che dopo la prima N ci sia una T seguita da una I che venga a trovarsi dinanzi alla prima gambina, quasi completamente corrosa, della seconda N) ma con significato che nulla ha a che vedere con Sanleo. Infatti, mentre Leonianus è agg. attestato nelle Instit. (23) di Giustiniano, da cui non è da scartare del tutto l'ipo-
Cfr. nota 2 2 e si veda D . A L B E R T U S et D . M A U R I T I U S F R A T R E S Corpus iuris civilis recognoverunt brevibusque adnotationibus
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PASCUCCI
tesi che sia stato mutuato da chi ha dettato l'epigrafe del bustino, e rispecchia proprio i l nostro caso: « Gualfredo Vescovo di Sanleo »; Leontinus è agg. con significato totalmente diverso, che nulla ha a che fare con il caso del nostro assunto, perchè equivale a: « Gualfredo Vescovo di Lentini ». C'è poi anche da osservare che mentre Leonianus rispecchia bene ì'usus imitandi del sec. X I I e non è affatto presente nel Thesaurus IL., Leontinus è presente nella lingua del periodo aureo e argenteo (24) ed è l'agg. del sost. m. Leontini, orum (25), antichissima città della
ticis instructum. pars prior, Instit. lìbr. I I I , tit. X V (XVI), a) De verborum obligatione, Lipsiae 1848, p. 35. (24) Cic. Divin. 1, 33; Phil. 2, 17; Scaur. 3; Ovid. Fast. 4,468; Plin. Hist nat. 3,8,14; Sii, It. 14,125 etc. (25) Nella sua De Episcopatu Feretrano Dissertatio, uscita a Venezia nel 1753, Giovanbattista Maria Contarini ha tradotto, quasi in ogni pa gina, Sanleo e relativi sostantivi, con l'agg. Leontinus, a,um, e gli abitanti di Sanleo, con i l sost. plur. Leontini, orum (cfr. p. 26, dove l'agg. Leontinus ricorre quattro volte) non accorgendosi di aver fatta confusione fra gli abitanti di Sanleo, che in latino si rendono con Leoniani (agg. sfuggito a tutti, ma presente nell'epigrafe inscritta nel bustino), Leonenses, Leopolitani, e gli abitanti di « Lentini », in Sicilia, che in latino vengono detti Leontini, orum (agg. Leontinus, a,um). Cade nello stesso errore, prima del Contarini, il suo connazionale P. Calvi nel Ad-pseudo Feretranum Apologeticon, uscito alla luce a Venezia nel 1739; non vi cadono i predecessori feretrani O. Olivieri, M. Magnani e il coevo Giambattista Marini. Per l a storia dell'agg. Leonianus, a, um, riteniamo di essere in condizione di riferire per quale motivo, ai tempi del Vescovo Gualfredo (noi incliniamo a credere che sia stato proprio questo presule a dettare l'epigrafe del semibusto che si trova sopra il portale della Cattedrale romanica di Sanleo), si era in condizione di scrivere con grafia corretta Leonianus e però non è stato n è ravvisato nel bustino, n è quindi adoperato nei loro scritti, fra i secoli X V I I e X V I I I , dall'Olivieri, dal Magnani, dal Calvi, dal Contarini, dal Marini. A nostro vedere, i l fatto potrebbe essere connesso con l'errata trascrizione del testo delle Institutiones di Giustiniano in cui, forse per lapsus acuii, nelle edizioni almeno dal 1500 al 1700 si legge costantemente « Leonina » constitutio, contro l'esatto « Leoniana » constitutio che si legge nell'ed. critica dei frateUì « Kriegeiii », uscita a Lipsia nel 1848, I I I , X V (XVI) 1, p. 35; a quanto pare, con un recupero relativamente recente del testo esatto, in genere, e quindi della relativa lezione.
UN
SEMIBUSTO
E
UN'EPIGRAFE
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costa orientale della Sicilia, oggi corrispondente a Lentini. Ma, a parte questa origine dotta dell'agg., noi metteremmo in rilievo i l fatto che esso denomina e giustifica uno dei Sacramentari, precisamente i l Sacramentarium Leonianum che nell'alto medioevo indicava il libro contenente te formole usate dal Vescovo e dal sacerdote nella celebrazione dell'eucarestia e nella amministrazione dei Sacramenti. Si aggiunga (se mai il particolare possa essere indicativo e avere un qualche suo peso) che il Sacramentar ium Leonianum da taluno (26) viene addirittura congetturato di origine ravennate videi fiorito in un'area geografica indicativa a esplicare l'uso dell'agg. nell'epigrafe del semibusto. E* invece motivo di meraviglia che nessuno, ad eccezione di chi ha dettato l'epigrafe del bustino (e noi inclineremmo proprio a pensare al Vescovo Gualfredo), abbia adoperato l'agg. Leonianus che è senza confronto, il più efficace di quelli entrati nell'uso dell'annalistica feretrana in occasione della fervidissima polemica scoppiata, come s'è avvertito a suo luogo, nel 1732 con l'Apologetico Feretrano e riguardante la traslazione della Cattedralità, da Sanleo a Pennabilli, nel sec. XVI. Sanleo, 28-XII-'82
(26) G. L U C C H E S I , Nuove note agiografiche ravennati, Ravenna 1943. E ' gradito dovere, nell'occasione, ringraziare l'amico Pietro Rinaldi che ci è stato di valido aiuto durante la stesura del Lavoro, sia fiancheggiando la fatica con opportune fotografie del bustino, sia ravvisando, nell'ambito della nostra integrazione epigrafica, una lettera L minore inscritta nella lettera L di V A L , una lettera / , dopo la prima N, anziché una T e, prima della seconda N, una A rilevata nello spazio corroso davanti alla seconda M, come si p u ò dedurre attraverso lo spazio emergente dalla incisione del bustino per G. Gavelli (cfr. G.B. M A R I N I , Saggio di ragioni . . . Pesaro 1758, t. I , p. 325, fig. 3) da disegno di G.A. Lazzarini del 1757.
FRANCESCO V . LOMBARDI
una «Maddalena»
di cario crivelli
per i conti di carpegna
Questo saggio è già stato pubblicato su « Antologia di Beilie Arti », nn. 9-12 (Roma 1979), pp. 43-47. S i ringrazia il Direttore, Prof. Federico Zeri, i l quale ha consentito la ripubblicazione per una opportuna diffusione e conoscenza in sede locale.
L a presente ricerca è stata sollecitata dalla lettura di un passo dell'erudito secentesco Pier'Antonio Guerrieri, storico del Montefeltro (1). Scriveva, dunque, i l Guerrieri (2): « L a Chiesa di S. Francesco de minori Conventuali modernamente edificata a nostri tempi (3) è un Tempio molto a m p i o . . . L'altare di S. Maria Maddalena è dotato da i Conti di Carpegna da quali sortì i l Nome al Convento Vecchio, e così lo ritiene, essendo nominato l'Altare de Conti. A l quale s'amira la stessa figura in Tavola di mano del famosissimo Pittore Carlo Ctivelli Venetiano: opra notabile stimata una pretiosa gemma » (4).
(1) Per tale autore, cfr. F . V . LOMBARDI, La vita e le opere di Pier'Antonio Guerrieri, in P. A . G U E R R I E R I (1604-1676), Il Montefeltro illustrato, a €.
di
L . DONATI, R i m i n i
1979,
pp.
VII-XXIV.
(2) P . A . G U E R R I E R I , La Carpegna abellita et il Montefeltro illustrato, parte I , Urbino 1667, p. 16. (3) « . . . essendosi cominciata la Chiesa dell'anno 1600 et compita del 1610... ». Ivi, p. 17. I n realtà, la data d'inizio deve riferirsi al 30 marzo 1599. Cfr. M . SALVADORI, Compendio genealogico della Famiglia dei Conti di Carpegna, Urbino 1880, p. 115. (4) Nell'agosto 1977 avevo già segnalato questa notizia alla atten-
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F . V. LOMBARDI
L a precisa affermazione del sacerdote Guerrieri non p u ò essere messa in dubbio. Da tale testimonianza si ricava che nella chiesa del Convento Nuovo di S. Francesco di Carpegna (ora detta di S. Nicolò), verso la seconda metà del Seicento esisteva un altare dedicato a S. Maria Maddalena; che in esso vi era collocata una tavola di Carlo Crivelli raffigurante la « peccatrice redenta » di evangelica memoria; che l'opera era tenuta in grande considerazione per la sua bellezza. Inoltre, d a l contesto dell'informazione del Guerrieri, si r i cavano altre due importanti notizie: cioè che l'altare era dotato dai Conti di Carpegna e che lo stesso altare — con i l suo dipinto — proveniva dal Convento Vecchio di S. Francesco. Nel secondo volume della sua opera i l Guerrieri dedica un breve capitolo all'» Antichità del Convento Vecchio di S. Francesco » (5): « Fù eretto, e fabricato quel Monastero per opera e promottione del Conte Giovanni Patrone del Stato, che per sua particolare devotione, et affetto verso l a Religione, si mosse a fondarlo. Questo fìi dell'anno 1492, si come se n'ha autentica testimonianza, nella quale appare formalmente la licenza concessali dall'ordinario, ad effetto di detta erettione . . . » (6). L a data di fondazione del Convento Vecchio e l'identificazione del suo promotore e benefattore, fanno intravedere qualche spiraglio di luce suH'originaria collocazione e sulle successive migrazioni della Maddalena del Crivelli. Se i l Convento Vecchio fu costruito nel 1492, alio studioso
zione d e l Prof. Pietro Zampetti. L'anno successivo ho a v u t o m o d o d i parlarne con il Prof. Federico Zeri, il quale mi ha consigliato di proseguire le ricerche e di dar forma a questo saggio. (5) G U E R R I E R I , La Carpegna..., parte I I , in Rimino 1668, p. 17. (6) Tale atto è stato poi integralmente edito. C f i . SALVADORI, Compendio..., pp. 114-115, nota 10. I l Convento Vecchio, sorto sotto il titolo della Annunziata e dì S. Francesco, era situato nel territorio della Castellaccia di Carpegna, in località « Paterno », poco sopra l'antica strada che si dirigeva verso la Romagna. F u abbandonato nell'ultimo decennio del X V I secolo a causa di una frana che minacciava lutto il complesso cenobitico. Cfr.
chità
F r . O. C I V A L L I ,
Visita
Triennale
etc. (1594-1597),
Picene, XXV. F e r m o 1795, p. 2 1 5 .
in G . CoLUCCi,
Anti-
UNA « MADDALENA » DI CARLO C R I V E L L I
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si pongono due quesiti: o la pala fu commissionata per l'occasione, oppure la stessa è di epoca precedente e fu trasportata nel Convento Vecchio da qualche altra località e da qualche altra chiesa. Nel primo caso essa si collocherebbe fra le opere del periodo finale della vita dell'artista, visto che la sua ultima pittura documentata è r« Incoronazione » di Brera, eseguita fra il 1493 e i l 1494 per la chiesa di S. Francesco di Fabriano. Ma, come si vedrà, questa supposizione incontra varie difficoltà, soprattutto di ordine stilistico. L a seconda ipotesi, invece, trova più consistenti riferimenti in vari indizi di non trascurabile entità. I l conte Giovanni, fondatore del Convento Vecchio di S. Francesco, ebbe per madre Caterina, moglie del conte Lamberto di Carpegna. Ora sarà certo interessante sapere che la contessa Caterina era originaria della nobile famiglia dei Saladini di Ascoli Piceno. Ecco, dunque, che si p u ò cominciare ad inttiire come mai l'opera di un artista che, dal 1468 in poi, ha lavorato quasi esclusivamente nella Marca meridionale, e che proprio in Ascoli aveva stabilito la sua principale residenza, sia finita in pieno Montefeltro, cioè nella contea di Carpegna, posta ai confini fra la Repubblica fiorentina e i l Ducato di Urbino. Caterina aveva sposato in prime nozze Baldo Mauruzi, figlio del famoso condottiero Nicolò da Tolentino e in seconde nozze il conte Lamberto di Carpegna (7). S i potrebbe pensare, dunque, che essa avesse avuto i l dipinto tramite la propria famiglia o tramite quella del primo marito. Ma c'è un altro particolare che ha colpito la nostra attenzione. I di Carpegna avevano una an-
(7) P. LiTTA, Famiglie celebri italiane, Famiglia Mauruzi di Tolentino, clisp. 87, Milano 1841; C. SALADINI, Memorie della Famiglia Saladini di Ascoli Piceno, ivi 1909, p. 55. (Qui, però, il conte Lamberto viene impropriamente nominato Guido di Carpegna). Baldo Mauruzi, signore di Trevi e Montefalco, fu ucciso nel sonno, a tradimento, sembra per ordine di Sigismondo Malatesta, mentre era in delegazione a Fano nel 1446. Dopo le nozze con il conte Lamberto di Carpegna, Caterina si trovò coinvolta in altre vicende belliche. L e cronache del Quattrocento narrano come essa nel 1458 fu fatta prigioniera nel corso dell'occupazione della Ca-
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F. V. LOMBARDI
tica venerazione per S. Maria Maddalena. Scriveva ancora i l Guerrieri: « L a Chiesa di S. Maria Maddalena... nel Colle chiamato delle Serriole, è Benefitio semplice . . . essendo tal chiesa confermata in iuspatronato di essi Signori del luoco » (8). Si aggiunga a ciò la notizia secondo la quale proprio la contessa Caterina — mentre i figli Giovanni e Federico erano ancora minori d'età — fece ricostruire questa chiesetta di S. Maria Maddalena, la quale era danneggiata dal tempo e dalle guerre del X V secolo fra i conti di Montefeltro e i signori Malatesta. Ciò si ricava da un inedito atto di conferma del giuspatronato sulla stessa chiesa, rinnovato ai conti di Carpegna da Roberto Adimari, vescovo di Montefeltro, i l giorno 4 ottobre 1472 (9). Sulla base di queste conoscenze si p u ò ragionevolmente presumere che, in occasione della ricostruzione della chiesa (o al massimo negli anni immediatamente seguenti), la contessa Caterina avesse appositamente commissionato la tavola con la quale decorare i l piccolo edificio di culto dedicato alla Maddalena. La scelta dell'artefice non avvenne certo a caso. L a stessa
stellaccia ad opera di Federico da Montefeltro e Giacomo Piccinino. Cfr. L . BoNiNCONTRi, Annales, R.I.S.', X X I , col. 162. G . di MASTRO PEDRINO, Cronaca del suo tenipo, I I , Roma 1934, p. 319. I l conte Lamberto m o r ì verso il 1462, combattendo nell'esercito della Chiesa. Archivio Governativo della Repubblica di S. Marino, Carteggio, Reggenza, b. 8 1 . (8) G U E R R I E R I , La Carpegna..., l, p. 15. Nel più antico « L i b r o della Mensa Vescovile di Montefeltro » (inizi sec. X V I ) era denominata « E c clesia S. Mariae Magdalenae de Seriola seu de Rivo Brusciato ». Cfr. A.M. ZuccHi TRAVAGLI, Animadversioni etc, (Venezia 1762-63), p. 272. Nei tempi moderni il colle è noto come passo della Cantoniera (m. 1007 s.l.m.). Vi transita la strada provinciale che collega Carpegna con Pennabilli. L a chiesetta era situata al margine occidentale dei prati che ancor oggi si chiamano « di S. Maria Maddalena ». Alla m e t à del 1600 il beneficio annesso alla chiesa era in possesso del conte Domenico e poi del cardinale Gaspare di Carpegna. Ricorda lo stesso Guerrieri (loc. cìt.) « . . . sì solennizza solamente nel giorno di essa festa con il concorso di numerosa f i e r a . . . ». (9) Archivio di Palazzo Carpegna, Carpegna, t. I I , p. I , n. 2 1 . Ringrazio il Principe Guidobaldo di Carpegna-Falconieri che, cortesemente, ha voluto segnalarmi alcuni atti del suo archivio.
UNA
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nobildonna manteneva sicuramente legami affettivi e rapporti patrimoniali con la propria famiglia di Ascoli e qualche breve soggiorno in quella città è logico presupporlo. D'altra parte, in un rogito del notaio ascolano Francesco Berardini del 25 febbraio 1474, risulta chiaramente che « Donna Catarina filia q. Jannis Salladini de Asculo » aveva ancora ragioni di interesse con altri consanguinei dì quella città (10). Essa, quindi, aveva certamente avuto modo di conoscere ed apprezzare i l maestro veneziano ormai stabilitosi proprio in Ascoli. Ammesso ciò, occorre procedere ancora per supposizioni, in attesa che vengano alla luce altri documenti che confermino o smentiscano la trama degli indizi. Una volta consegnata e collocata nella nuova chiesetta destinatale, la bella pala non dovette rimanere a lungo in quella sede. L a isolata cappella, situata sul colle delle Serriole, non era certamente i l luogo ideale per conservare un prezioso dipinto (11). Nulla di strano, quindi, se Giovanni, figlio della contessa Caterina — al momento della costruzione del Convento Vecchio di S. Francesco — abbia fatto erigere un altare dedicato alla Maddalena e vi abbia collocato la splendida icona, assicurandole cosi una ben più valida tutela. Comunque siano andate le cose, certo è che la Maddalena del Crivelli esisteva proprio in un altare di questo convento costruito nel 1492.
(10) Archivio di Stato, Ascoli Piceno, Atti Notarili, Inv. n. 3 1 , Notaio Francesco Berardini di Acquaviva, 25 febbraio 1474. L'atto è stato segnalato da FABIANI, Ascoli nel Quattrocento, I I , Ascoli Piceno 1950, p. 79, nota 64. L'ultima notizia che abbiamo su Caterina è del 17 febbraio 1481: si tratta di una lettera patente del Commissario di Sisto I V alla contessa e ai suoi figli, con la concessione di un privilegio per l'elezione di un confessore privato, quale segno di gratitudine per il contributo offerto per la crociata. Archivio Carpegna, « Diplomatico, Pergamene » (olim t. I , p. I V , n. 4). (11) L e continue liti fra le c o m u n i t à locali, per ragioni di confini, non di rado degeneravano in vere e proprie faide. Cfr. F . V . LOMBARDI, La
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UNA
F. V. LOMBARDI
Abbiamo già accennato che, agli inizi del X V I secolo, la stessa tavola fu trasferita nella nuova chiesa conventuale, sorta nei pressi di quel borgo che rappresentò i l primo nucleo dell'attuale paese di Carpegna. Dal 1600 in poi questa residenza dei frati minori fu soggetta a varie vicissitudini. Nel 1652 i l convento fu soppresso da papa Innocenzo X , ma due anni dopo venne riaperto per intercessione del conte Francesco Maria. Nel 1667, allorché i l Guerrieri pubblicava la sua opera, la chiesa aveva ancora l a sua « pretiosa gemma ». Una notizia molto interessante è data dalla « Visita » che il vescovo di Montefeltro Martorelli fece alla chiesa i l 5 luglio 1703: « Visitavit altarem S. Antoni] de Padua, olim vero S. Mariae Magdalenae, spectantem ad III. mam Familiam D. Comitis de Carpineo » (12). Da ciò sì deduce che l'altare della santa aveva cambiato titolare. I l dipinto, quindi, non era più sopra l'altare, sostituito di certo dalla tela secentesca raffigurante S. Antonio, tuttora esistente in loco (13). Questo fatto, però, non significa che la tavola crivelliana fosse già stata asportata o alienata: l'altare apparteneva ai conti, liberi sovrani di quel minuscolo stato franco e i frati non avrebbero certo proceduto ad una rimozione dell'opera senza il consenso dei signori patroni. D'altra parte non risulta che la tavola del Crivelli facesse parte della ricchissima Pinacoteca istituita a Roma dal Card. Gaspare di Carpegna e, infatti, non figura nell'inventario re-
contea di Carpegna, Urbania 1977, p. 180. Nel 1506 una di queste liti fra Carpegna e Pennabilli fu composta per l'intervento del conte Giovanni e l'atto fu stipulato proprio nei pressi della chiesa di S. Maria Maddalena « sub tegmine c u ì u s d a m fagi ». G.B. M A R I N I , « Raccolta di memorie del M o n t e f e l t r o » , in Archivio Com.le, S. Leo, t. I l i , c. 303. (12) « A t t i della Visita fatta l'anno 1703 da Mons. Martorelli Vescovo di Montefeltro delle Chiese situate nei limiti della Giurisdizione di Carpegna, e alcuni decreti fatti dal sud.o Prelato », Archivio Carpegna, t. I I , p. I V , n. 6. (13) L'altare, demolito pochi decenni or sono, era il primo a destra di chi entra. Appeso al muro è rimasto il quadro di S. Antonio.
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datto alla sua morte avvenuta nel 1714 (14). Sembra poco probabile, quindi, che l'opera sia stata portata a Roma, nella nuova residenza della Famìglia Carpegna: anche se la cosa non p u ò essere del tutto esclusa. Nel 1810 i l Convento dei Minori fu di nuovo soppresso a seguito di un editto del governo napoleonico e solo l'otto dicembre 1815 i religiosi poterono tornarvi (15). Nonostante l'esaugurazione dell'altare della Maddalena (documentata nel 1703) a nostro avviso e salvo prova contraria, fu proprio in questo contesto che la tavola crivelliana del Convento di Carpegna fu requisita e avviata verso la Lombardia. E non fu certo l a sola opera del Crivelli ad aver avuto tale sorte durante i l dominio napoleonico (16). Dopo quanto è stato sopra argomentato, l'individuazione della tavola, fra quelle ancora esistenti, non pare che presenti particolari difficoltà: v i è, infatti, un'opera — sicuramente di Carlo Crivelli — che nei cataloghi, nelle monografie d'arte, nei saggi, è stata costantemente trascurata sul piano storico (non certo su quello artistico), proprio per l'assoluta mancanza di notizie che presentava, per l'alone di mistero da cui era avvolta. Si tratta della S. Maria Maddalena, già nel Kaiser Friedrich Museum di Berlino (inv. nr. 1156) ed ora nel Rijksmuseum di
(14) Archivio Carpegna « Inventari, Card. Gaspare ». V a ricordato che il card. Gaspare di Carpegna (1625-1714), vicario in Roma di cinque papi, fu un dotto collezionista di antichità e opere d'arte. Alla m e t à del X V I I I secolo, Carpegna subì una occupazione da parte di truppe del Granducato di Toscana, ma non risulta che vi sia stata alcuna spoliazione di chiese. Cfr.
LOMBARDI, La Contea,
p. 133 ss.
(15) Ivi, p. 216. I l libero territorio di Carpegna, collegato da antiche accomandigie con la Toscana, non conobbe l'invasione del periodo giacobino e solo nel 1807 fu incorporato nel Regno d'Italia. Ivi, p. 136, nota 7 3 . (16) G. VACCAI, « Quadri delle Chiese di Pesaro asportati dai Francesi nel 1797. 1798 e 1811 », in Rassegna
Marchigiana,
I I (1923-24), pp. 224-251.
M . S . TREVISANI, Le opere d'arte delle Marche asportate a Milano nel periodo napoleonico, tesi di laurea, Univ. di Urbino, Fac. di Lettere e F i l . , a.a. 1972-73. P. ZAMPETTI, Carlo Crivelli nelle Marche, Urbino 1952, pp, 51,
52, 58.
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F . V. LOMBARDI
Amsterdam (inv. nr. A 3989) (17). Secondo l'iconografia largamente seguita nel X V secolo, la donna è ritratta in atteggiamento di offrire i l vaso degli unguenti per imbalsamare i l corpo del Cristo morto. Ci è sembrato abbastanza logico proporre d'acchito l'identificazione di questo dipinto con quello esistente alla metà del Seicento nel convento francescano di Carpegna. L a tavola (cm. 152x49) è firmata: OPUS K A R O L I C R I V E L L I V E N E T . (18). Con tale carta d'identità i l pur poco esperto Guerrieri non aveva avuto esitazioni nell'attribuirne la paternità. D'altra parte non risulta che vi fossero due dipinti dello stesso autore iconograficamente uguali. Per di più, come è stato intuitivamente rilevato, « la firma fa pensare che la tavola non facesse parte di un polittico smembrato, ma sia nata isolata » (19).
(17) Per una fondamentale scheda bibliografica cfr. BODE (von) W., « Die Hoilige Magdalene von C. CrivelU », ìnJahrbuch der KonigUchen Preussischen Kunstsammlungen, I I (1890), pp. 63-64; RUSHFORT, G . M C . N E I L L , Great Master in Painting and Sculpture, Londra 1900, pp. 27-31, nn. 58-5998; V E N T U R I L . , Le origini della pittura veneziana, Venezia 1907, p. 202; CROWE-CAVALCASELLE, History of Painting in North Italy, Londra 19il2 (ed. BORENIUS), p. 92; T E S T I L . , La storia della pittura veneziana, I I , Bergamo 1915, pp. 628-675; G E I G E R B . , in « T H I E M E - B E C K E R , Allgemeines Lexicon der Baldenden Kunstler », V I I I , Lipsia 1913, p. 130; D R E Y F . , Carlo Crivelli und seine Schule, Munchen 1977, pp. 74, 88, 92, 107, 139; BERENSON B . , Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932, p. 160; SERRA L . , L'Arte nelle Marche, I I , Roma 1934, p. 390; MAREE (VAN) R . , The Italian Schools of Painting, X V I I I , 1936, pp. 46-60; Z A M P E T T I P . , Carlo Crivelli nelle Marche, Urbino 1952, p. 56; BOVERO A., Tutta la pittura del Crivelli, Milano 1961, p. 37; Z A M P E T T I P., Carlo Crivelli, Milano 1961, p. 88; I D E M , La pittura marchigiana del Quattrocento, Venezia 1970, p. 180; BOVERO A . , L'opera completa di Carlo Crivelli, Milano 1974, n. 105; BARBARI E . , Dress in Italian Painting 1460-1500, Londra 1975, p. 39; Os (van) H.W. ASPEREN DE BOERO (VAN) J.R.J.-DE JONG-JANSEN C . E . - W I E T H O F F C , The early venetian painting in Hailand, Maarssen 1978, pp. 60-65. (18) Già il T E S T I (p. 675) aveva notato « l'abbreviazione insolita in Venet(i) », per cui appare strana l'imprecisione dei vari autori successivi che impropriamente sciolgono il troncamento nella lettura del cartiglio. (19) Crivelli e i Crivelleschi. Catalogo della Mostra, a c. di P. Z A M P E T T I , I I ed., Venezia 1961, p. 83.
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3il
Parallelamente è stato osservato che, in genere, la Maddalena non veniva mai dipinta come figura indipendente, perché il suo ruolo tradizionale era secondario nel contesto scenografico (20). Qui, invece, al Santa è sicuramente l'unica protagonista della rappresentazione e pertanto sembra logico pensare che la collocazione originaria del dipinto fosse un suo altare o una chiesa a lei dedicata. Infine, la ripetizione di un tema iconografico già sviluppato per i l polittico di Montefiore, suggerisce una commissione « ad hoc » del soggetto (21). Dunque, sulla base della inequivocabile testimonianza del Guerrieri, si è venuta sviluppando tutta una serie di coincidenze che consentono di identificare, con sufficiente sicurezza, la Maddalena del Crivelli esistente in pieno X V I I secolo nella chiesa conventuale di Carpegna con quella attualmente conservata nel museo di Amsterdam. L'unica notizia che, finora, la critica d'arte conosceva su di essa era che la tavola pervenne al Kaiser Friedrich Museum dalla raccolta del commerciante inglese Edward SoUy nel 1821. Se i fatti si sono svolti come noi abbiamo cercato di ricostruire, i l dipinto fu requisito a Carpegna dai funzionari napoleonici nel 1811, depositato in qualche centro della Lombardia fino al 1814 e quindi acquistato dal Solly. E ' del tutto errata l'affermazione che i l dipinto restò a Berlino fino alla seconda guerra mondiale e andò disperso in tale occasione, per ricomparire sul mercato di Amsterdam nel 1949 e, nello stesso anno, passare alla sede attuale (22). Invece la ta-
(20) A A . V V . , The early venetian..., p. 61. (21) Da parte di qualche studioso è stato ipotizzato che il dipinto sia stato fatto per qualche chiesa di Ripatransone, ove pure si venerava la Maddalena come patrona. Cfr. BOVERO, L'opera completa... p. 94. Peraltro, nella chiesa di S. Maria Maddalena di Ripatransone figura ancora una tela di Simone de Magistris (1534-ca.-1600), raffigurante la stessa santa, il che fa supporre poco probabile la copresenza della tavola del Crivelli. (2,2) BOVERO, Tutta la pittura..., p. 94.
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F. V. LOR'I.BARDI
vola fu venduta nel 1935 (23), cioè ben prima dell'ultimo conflitto, quando un gruppo di dipinti del Museo di Berlino fu venduto dai nazisti per acquistare i l e d . « Tesoro di Guelpi ». I n ogni modo, nel 1948 i l pannello risultava sicuramente ad Amsterdam, in proprietà deir« immigrato » Fritz Mannheimer (24). L'anno dopo passò a far parte della Dienst Verspreide Rijkscollecties (inv. nr. N K 3122) dell'Aja, e con la stessa collezione nel 1960 fu trasferito al Museo (25). Le nostre ricerche possono offrire un contributo anche alla presumibile datazione dell'opera, cosa che fino ad ora è stata alquanto discussa. I l Drey la ritenne dipinta intorno agli anni 1485-1486 (26). I l Serra, al contrario, sulla scorta del Cavalcasene, del Bode e di A. Venturi, propose un periodo anteriore al 1476 (27).
(23) Devo la cortese comunicazione al Dr. E . Schleier della Gemàldegalerie di Berlino. Analoga segnalazione mi era stata fatta dal Prof. Zeri. (24) S u questo antiquario cfr. M . D . HAGA, « Manheimer, de onbekende verzamelaar », in BuUetin van het Rijksmuseum, 22 (1977) pp. 88-90. (25) L a mancata conoscenza di tali ultime vicende ha generato prima la convinzione che il dipinto sia rimasto a Berlino anche in questo secondo dopoguerra e poi l'equivoco che esistessero addirittura due tavole del Crivelli raffiguranti la Maddalena. Cfr. ZAMPETTI, La pittura marchigiana..., p. 181. Ringrazio il Dr. P.J.J. van Thield, Direttore della Pinacoteca del Rijksmuseum di Amsterdam, per la segnalazione delle ultime ricerche fatte sulla tavola. Dalle analisi fisico-chimiche e tecniche risulta che la cornice non è quella originaria. Nel margine coperto esistono vari buchi, alcuni dei quali con chiodi antichi, forse per l'attacco alla primitiva cornice o forse per l'innesto a qualche supporto. I l retro del pannello è stato coperto con cera gialla sulla quale ci sono alcune etichette. C'è anche un indecifrabile sigillo lasciato sul legno. Purtroppo non abbiamo ancora potuto visionare personalmente tali particolari. Cfr. AA.VV., The early venetian..., p. 6 0 e ss. (26) DREY, Carlo Crivelli..., p. 74. Cfr. anche più recentemente. The early venetian..., p. 62. (27) SERRA, L'arte nelle Marche..., I I , p. 390. I l giudizio era fondato sulla base dei riferimenti stilistici e iconografici con il polittico della Madonna con Bambino e Santi della Galleria Nazionale dì Londra, già nel convento di S . Domenico di Ascoli Piceno e con il polittico di Montefiore dell'Aso.
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Pietro Zampetti inizialmente ha mantenuto un giudizio generale: « E ' opera della m a t u r i t à dell'artista » (28). « Non si p u ò dire che dopo l'impennata rinascimentale avvenuta, come s'è visto, subito dopo i l '70, i l cammino del pittore presenti un mutamento facilmente identificabile: anzi questo è i l momento in cui riesce più difficile a stabilire una sequenza cronologica delle sue opere non datate. S u l piano stilistico i l dipinto più significativo è proprio quella Maddalena del Museo di Amsterdam, nella quale la raffinatezza e la bravura artigianale sembrano collaborare per raggiungere una perfezione assoluta » (29). I n prosieguo, dopo aver proposto una datazione per i l pohttico di Montefiore dell'Aso fra i l 1474 e i l 1475, lo stesso autore aggiunge: « L'espressione più alta di questo momento, tutto rivolto verso una raffinata esteriore bellezza, è indubbiamente rappresentato dalla Maddalena di Amsterdam, che dovrebbe risalire appunto agli stessi anni. Essa ha del resto, dei precedenti sia nella Caterina d'Alessandria, che nella Santa Lucia, entrambe in bella mostra in due singoli pannelH del polittico di Londra » (30). I n un'altra scheda, comunque, lo studioso aveva ipotizzato anche una datazione posteriore: « I riferimenti stilistici piuttosto evidenti fra le figure del polittico Demidoff fanno supporre che anche questa Maddalena risalga alla seconda metà dell'ottavo decennio, tra i l 76 e l'SO » (31). Resta, comunque, fermo il giudizio estetico ed artistico: « L ' o p e r a , perfetta nella condizione e splendida dei colori, costituisce un esempio di quella raffinatezza un po' estenuata, d'un preziosismo quasi decadente, che si ritrova nelle opere della m a t u r i t à dell'artista. Ma i l virtuosismo non riesce mai a soffo-
(28) ZAMPETTI, Carlo Crivelli nelle Marche..., p. 58. (29) ZAMPETTI, La pittura marchigiana..., p. 180. (30) ZAMPETTI, Carlo Crivelli..., p. 36. (31) Crivelli e i Crivelleschi..., p. 88. Questa datazione è ripresa nella didascalia del dipinto riprodotto in « Le Muse », I V , v. Crivelli ( F . V A L CANOVER); cfr. anche Musei del Mondo. Amsterdam, Rijksmuseum, Pittura, Milano 1969, p. 136, (U. Ruggeri).
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care la schiettezza dell'ispirazione: « Opera s q u i s i t a . . . esemplare ormai perfetto del tipo femminile crivellesco, per vivacità gemmea di tinte rosse, verdi, azzurre, insuperabili d'accordo cromatico, di freschezza, di fulgore» (Testi, I I , 1915, p. 628) » (32). Per un insieme di considerazioni stilistiche e iconografiche da tutti riconosciute, la Maddalena di Amsterdam è sicuramente posteriore a quella che fa parte del polittico di Montefiore dell'Aso (33). Questa, però, ne costituisce sicuramente l'immediato precedente compositivo, i l modello sul quale i l pittore ha sviluppato un momento artistico di più compiuta intensità espressiva. F r a le due opere, quindi, non dovrebbe intercorrere gran spazio di tempo. E se, come ha dimostrato F . Zeri (34), i l polittico di Montefiore va attribuito al periodo fra i l 1470 e i l trasferimento del Crivelli ad Ascoli, accertato nel 1473, la Maddalena di Amsterdam potrebbe ben essere riferita a quest'ultimo anno o a quelli immediatamente seguenti. Costituirebbe, cioè, una delle prime opere eseguite dal pittore nella sua nuova e definitiva patria ascolana. Questo assunto verrebbe ad essere in sintonia cronologica con la presumibile occasione che dette origine alla committenza dell'opera: cioè la ricostruzione della cappella di S. Maria Mad-
(32) CrivelU e i Crivelleschi..., p. 88; ZAMPETTI, Carlo Crivelli..., p. 36. Diverso giudizio fu espresso dalla BOVERO, Tutta la pittura..., p. 37: «Anche quando il pittore riprende i modelli giovanili — come nella Maddalena di Amsterdam (tav. 8 9 ) , leziosa ripetizione di quella di Montefiore dell'Aso (tav. 3 3 B) — l'antica energia si perde nella visione materialmente p i ù ricca, e l'apparizione fantastica si riduce ad un figurino elegantemente annoiato, squisito prodotto di un artigiano d'eccezione ». (33) S i pensi, fra l'altro, al p i ù armonioso ripiegamento del braccio e della mano sinistra; alla acconciatura p i ù elaborata; al profilo di tre quarti anzich é per intero; allo sguardo trasognato; alla innovazione stilistica del braccio destro in uscita dal fondo. Per una analoga ricercatezza cfr. ZAMPETTI, Carlo Crivelli nelle Marche..., p. 34, in merito alla « Madonna con Bambino » di Ancona. (34) F . Z E R I , « Cinque schede per Carlo Crivelli », in Arte antica e moderna, Firenze 1961, fig. 63, p. 162.
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dalena del Colle delle Serrìole, promossa ad opera della contessa Caterina di Carpegna negli ultimi mesi del 1472. L a presenza della nobildonna ad Ascoli potrebbe essere determinata fra lo scorcio di questo anno e i primi mesi del 1474. Non p u ò essere escluso, quindi, che anche i l dipinto della Maddalena possa essere stato realizzato nello stesso periodo.
LIDIA MARIA
MARIOTTI
la legislazione statutaria di sassocorvaro
I . Storia e descrizione della copia settecentesca e delle due copie ottocentesche degli Statuti di Sassocorvaro. I L Sassocorvaro: autonomia e dipendenza dal ducato di Urbino. H I . Le fonti degli Statuti di Sassocorvaro. I V . I l contenuto dei cinque libri e dei decreti aggiuntivi.
L Nell'Archivio di Stato di Pesaro sì conserva la copia più antica degli Statuti di Sassocorvaro, che risalgono al X V I secolo (1). L a sua presenza si ricollega alla visita fatta a Urbino negli anni 1747-1752 da Monsignor Gianfrancesco Stoppani, Arcivescovo titolare di Corinto, nella sua qualità di Presidente della Legazione d'Urbino, al fine di riorganizzare gli uffici e gli archivi della Legazione stessa (2). I l 20 novembre 1750 lo Stoppani inviò una circolare a tutti i Comuni della sua Legazione perché fornissero i l testo dei loro Statuti: per ottemperare a tale richiesta, i l Comune di Sassocorvaro incaricò i l Notaio Ber-
(1) Pesaro, Archivio di Stato, Fondo Legazione Apostolica di Urbino e Pesaro, serie Statuti, b. 5, voi. 20. Dell'originale cinquecentesco non esiste traccia; da un'accurata indagine condotta dal prof. Luigi Michelini Tocci, che qui ringrazio per la sua cortesia, risulta che nell'Archivio Vaticano non c'è alcuna copia degli Statuti di Sassocorvaro. (2) Cfr. G . G . SCORZA, Gli Statuti di Maciano dei primordi del secolo XV, Milano 1968, p. 1 .
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nardino Bernacchi di compiere la trascrizione, che fu effettuata « ex suo originali existenti in cancellarla suprascriptae terrae nil addendo vel minuendo . . . hac die prima mensis martii 1751 indictione X I V » (3). Tale attestazione rende questa copia del tutto fededegna, perché trascritta da un notaio, oltre che copiata direttamente dall'originale. Si tratta di un manoscritto cartaceo di mm. 270x210, composto di 104 fogli numerati e 10 non numerati, 5 dei quali contengono l'indice. Per un evidente errore di numerazione, i l copista è passato direttamente dal foglio 79 al foglio 90, saltando 10 numeri. I fogli perciò sono 94 + 10. L a copertina è in leggero cartone, le prime due pagine sono bianche mentre la terza reca i l titolo Statuta terrae Saxicorvarii. Nel complesso la lettura del manoscritto non presenta difficoltà, anche se i l copista fa abbondante uso di abbi'eviazioni non sempre usuali. Di questi Statuta esistono poi due copie ottocentesche. Quella della Biblioteca del Senato della Repubblica è inserita in una raccolta derivante da un fondo statutario privato (4). Nell'aprile del 1870 l'avv. Francesco Ferro di Treviso offrì in vendita alla Biblioteca del Senato una ricca collezione di statuti, prevalentemente di area settentrionale e toscana (5). I n seguito al l'acquisto dell'importante fondo, i l Senato s'impegnò a completarlo e, in data 14 luglio 1870, inviò una circolare ai senatori e ai sindaci dei Comuni italiani chiedendo di contribuire all'accrescimento della raccolta (6). I l manoscritto cartaceo degli Statuti di Sassocorvaro è rilegato in pelle su cartone, e le sue dimensioni sono di mm. 360x240; si compone di un foglio di guardia e di un altro foglio in funzione di frontespizio con i l titolo Statuta terrae Saxicorvarii, più 133 fogli numerati e i l foglio di guardia finale. Alla fine del manoscritto si legge: « I l pre-
sente statuto è stato copiato da me Paolo Catolli l'anno del Signore 1815. Mese dì gennaro » (7). L a copia più recente è quella conservata nell'Archivio di Stato di Roma (8). Anche se, a differenza degli altri due manoscritti, essa non è datata, la sua più recente redazione è confermata dalla scrittura più moderna e dal fatto che Luigi Manzoni, nella sua Bibliografia statutaria e storica italiana, pubblicata nel 1876, informa che si tratta di un « manoscritto cartaceo in foglio di pochi anni fa » (9). Questa copia fa parte di una collezione di statuti dello Stato Pontificio voluta dal Pontefice Pio V I , che raccolse 40 volumi, e continuata da Pio I X , che raccolse altri 37 volumi. A questo scopo, nel 1856, Monsignor Teofilo Mertel, ministro dell'interno di Pio I X , invitò i Comuni dello Stato Pontificio a rimettere copia dei loro statuti e ì Comuni risposero con premura all'appello (10). I l manoscritto cartaceo degli Statuti di Sassocorvaro è di mm. 370x250 e si compone di 144 fogli numerati e uno non numerato (11).
(3) (4) (5) a c. di (6)
Statuta terrae Saxicorvarii, ultimo foglio non numerato. Roma, Biblioteca del Senato della Repubblica, Statuti mss., n. 686. Biblioteca del Senato del Regno, Catalogo della raccolta di Statuti C . C H E L A Z Z I , voi. I , Roma 1943, p. X I . Biblioteca del Senato del Regno, Catalogo . . . , p. X I I I .
Dal confronto tra i due manoscritti ottocenteschi risulta che essi derivano l'uno dall'altro: i l manoscritto dell'Archivio di Stato di Roma, che, come abbiamo visto, è più recente, presenta tutti gli errori del manoscritto della Biblioteca del Senato più altri errori propri. E ' quindi codex descriptus e pertanto non serve alla costituzione del testo (12). I l confronto tra la copia della Biblioteca del Senato e quel-
(7) Questa data non è casuale: iil 1815 è l'anno del Cogresso di Vienna e la trascrizione è certamente connessa con l'abolizione della legislazione napoleonica e con il ripristino della situazione precedente. (8) Roma, Archivio di Stato, Collezione degli Statuti, voi. 533. (9) L . MANZONI, Bibliografia statutaria e storica italiana, voi. I , t. I , Bologna 1876, p. 450. (10) Cfr. G . MAZZATINTI, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, voi. 73, Roma. R. Archivio di Stato. La collezione degli Statuti, Firenze 1941, p. 1-2. (11)
Cfr. M A Z Z A T I N T I , Inventari...,
p.
30.
(12) Sulla eliminatio codicum descriptorum cfr. G . PASQUALI, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 1974 (rist. anast.), p. 25-40. T r a gli errori peculiari del manoscritto dell'Archivio di Stato di Roma è da
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la dell'Archivio di Stato di Pesaro ci conduce ad un risultato opposto, cioè di indipendenza dei due manoscritti (13). Dal complesso emerge la maggiore affidabilità della copia settecentesca, che segue pedissequamente l'originale, anche con errori grossolani facilmente riscontrabili, rispetto all'altra, che indulge ad aggiunte e correzioni a volte del tutto ingiustificate. II. Gli Statuti di Sassocorvaro non sono datati, ma furono redatti sotto Francesco Maria I della Rovere e quindi tra i l 1508 e i l 1538 (14). Da essi risulta chiaramente l'esistenza, nel primo Cinquecento, di un Comune organizzato in forma evoluta; quando esso sia sorto non è possibile determinare: solo per analogia col diffondersi del comune di contado in questa parte d'Italia possiamo supporre che si sia costituito nel corso del X I I I secolo (15).
notare in particolare nella rubrica 11^ del libro I doctus per electus, errore giustificato dalla grafia del modello in questo punto: il gruppo iniziale el appare a prima vista come d, mentre la e, si confonde facilmente con una o. Poche righe più sotto il manoscritto salta qualche riga e da « non petierit dictos Sindicatores » si riallaccia direttamente a « et Notarius ». Anche questa omissione si giustifica se si pensa che le ultime due parole della frase tralasciata sono « dicti Sindicatores ». (13) A conferma di tale indipendenza do qui di seguito una lista delle varianti principali, nella quale indico con I 2 e simili libro e rubrica, facendo poi seguire la lezione del manoscritto pesarese e la rispettiva variante dei manoscritto del Senato: I 2 eius/seipso, 3 praecessorum/processorum, 7 offendendo/afferendo, 10 infilza/iustitia; I I 11 fecerit/fecerit vel probaverit; I I I 3 teneatur investigare/teneatur, 6 confitendiim/constituendum, 21 detruncetur/detractetur; V 8 quoniam/quantum, ivi contrafecerit/contra factum fuerit, 18 pondera iusta et/pondera, 26 expediendi/expendendi, 52 constructum/construendum. (14) Per quanto riguarda Francesco Maria I e la storia del ducato di Urbino nella prima m e t à del X V I secolo, cfr. J . DENNISTOUN, Memoirs of the Dukes of Urbino, voi. I I , London 1851, p. 301-437, e voi. I I I , c.s., p. 3-77; C. MARCOLINI, Notizie storiche della provincia di Pesaro e Urbino dalle prime età fino al presente, Pesaro 1868, p. C C X X X I - C C L X X X I V . (15) Cfr. G. TABACCO, Città e fortezze come fulcri di sviluppo egemo-
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Sassocorvaro, al pari degli altri piccoli Comuni dello Stato della Chiesa, soggetto com'era al dominio della Santa Sede, da una parte, e dall'altra alla tirannia di piccoli feudatari locali, non dovette mai godere di una grande autonomia. S i p u ò supporre che i l paese abbia goduto di una maggiore libertà nel periodo in cui la Santa Sede si era trasferita ad Avignone (16); tuttavia, con la signoria feltresca, iniziata nel 1430 sotto Guidantonio (17), e col vicariato apostolico, concesso da Eugenio I V ai duchi di Urbino per diversi castelli tra cui Sassocorvaro (18), i compiti del Comune si andarono via via riducendo fi-
meo, in Storia d'Italia, voi. I I , t. I , Torino 1974, p. 150-167. (16) Nei primi anni del Trecento, Sassocorvaro era governato de facto dai Branoaleoni che, approfittando della situazione di anarchia creatasi in terris Ecclesiae, si rafforzarono ulteriormente, estendendo i loro possessi fino a gran parte della Massa Trabaria: cfr. T . CODIGNOLA, Ricerche storico-giuridiche sulla Massa Trabaria nel XIII secolo, Firenze 1940, p. 84-86; SCORZA, Gli Statuti . . . , p. 7. Sassocorvaro non faceva parte della Massa Trabaria: anche se si trova vicino al confine segnato dal fiume Foglia, esso è posto sulla riva destra del fiume, mentre la 'provincia' massana iniziava dalla sponda sinistra. (17) Nel 1430 il conte Guidantonio c o m b a t t è contro i Brancaleoni e c o n q u i s t ò Sassocorvaro, Lunano e Motelocco: MARCOLINI, Notizie storiche . . . . p. 134-135; CODIGNOLA, Ricerche storico-giuridiche..., p. 85-86; E . Rossi, Memorie ecclesiastiche della diocesi di Urbania, voi. I I , Urbania 1938, p. 33. (18) I l vicariato apostolico fu concesso a Oddantonio con bolla del 20 aprile 1443. Inoltre lo stesso pontefice Eugenio I V , con successiva bolla del 25 aprile 1443, concesse a Oddantonio il titolo ducale. Copie di queste due bolle si trovano in un manoscritto settecentesco conservato a Sassocorvaro, Biblioteca della Scuola Media A. Battelli, senza segnatura, rispettivamente ai ff. 53r-60r e al f. 63. E ' un volume cartaceo di mm. 270x205, rilegato in pergamena. E ' formato di ff. 242 + 25 n.n. (12 dei quali contengono l'indice), e reca sulla costola il titolo Scritture appartenenti a Sascorbaro e altri luoghi dello Stato d'Urbino. Al f. 5v n. è impresso il sigillo di proprietà con lo stemma dell'Arcivescovo Giancristoforo Battelli, al f. 5r n.n., dopo il Sommario, una mano recente ha segnato questa nota di possesso: « Appartiene alla libreria della Rocca ». Colgo qui l'occasione per ringraziare vivamente il prof. Walter Tommasoli, al quale devo la segnalazione del manoscritto. Per quanto riguarda l'istituto del vicariato apostolico cfr. G. D E VERGOTTINI, Ricerche
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no a limitarsi a quelli di carattere strettamente amministrativo, rimanendo i l potere legislativo e quello giurisdizionale in mano al duca. Nei primi anni del Cinquecento Guidubaldo da Montefeltro aveva dato in feudo Sassocorvaro, verbo tantum, al genovese Andrea Doria (19) e questa investitura era stata rinnovata da Francesco Maria I al cugino di Andrea, Filippino Doria. Papa Giulio I I , annullando ogni precedente donazione di queste terre fatta dal duca di Urbino e sanzionata dalla Santa Sede, l'aveva confermata largamente con bolla del 19 maggio 1510 (20), Di fatto, però, i Doria non esercitarono mai alcun potere, come risulta non solo dalla lettura degli Statuti, ma anche da questa notizia che si legge nel ms. Battelli: « E mentre Sascorbaro e suo territorio sono stati nella Casa Doria, tutt'i principi d'Urbino vi hanno usato ogn'atto di superiorità e l i sudditi di quel luogo, quando si sono sentiti gravati da questi conti Doria, sono sempre ricorsi ai Duchi d'Urbino, da quali sempre è stata esercitata la lor superiorità senza che mai v i si siano ingeriti l i ministri dello Stato ecclesiastico » (21). Dalla lettura degli Statuti la subordinazione del paese al duca di Urbino emerge con assoluta evidenza. Già nelle prime rubriche del libro I i l Vicarius, che è mandatario del duca e rappresenta nel Comune i l duca stesso, appare come la massima autorità in loco. L a rubrica 3% « De iuramento domini Vicar i ! », contiene la formula del giuramento di fedeltà del Vicario al duca e al suo ordinamento (22), e va da sé che, qualora i l
sulle origini del vicariato apostolico, Milano 1977 (Scritti di Storia del diritto italiano, a c. di G. Rossi, I I ) pp. 537-584. -, (19) Cfr. UGOLINI, Storia dei conti..., p. 131. (20) Cfr. G. MORONi, voce Urbino-, Sassocorvaro, in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, voi. LXXXV, Venezia 1857 p. 100. (21) Scritture appartenenti a Sascorbaro..., f. 231. (22) « . . . dominus Vicarius . . . teneatur et debeat . . . iurare . . . quod non adversabitur I.D.N. nec eius successoribus . . . nec aliquid contra pacificum statura I.D.N. . . . machinabitur, tractabit aut ordinabit, nec
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Vicario rifiuti di prestare giuramento, non p o t r à essere ammesso all'incarico. Analogo è i l giuramento di fedeltà al duca cui devono sottoporsi i membri della comunità ad ogni richiesta del Vicario, come risulta dalla rubrica 1', « De regimine hominum castri Saxi Corvarii » (23). Dalla rubrica 12', « De ellectione et officio dominorum Consiliariorum », sembra che una certa autonomia sia mantenuta dal Comune attraverso la elezione di q L i a r a n t a Consiglieri,ma si tratta di un'apparenza: i Consiglieri, prima di iniziare i l loro incarico, devono prestare giuramento di fedeltà davanti al Vicario obbligandosi ad esercitare i loro compiti non solo in modo favorevole per i l Comune, ma anche in modo da assicurare la conservazione dello Stato di Francesco Maria (24). E s s i sono soltanto i l simulacro dei Consigli con potere legislativo che sottolineavano l'autonomia dei C o m L i n i cittadini. Un altro elemento volto a dimostrare la totale soggezione del nosro paese al duca di Urbino è dato dalla rubirca 34' del libro V , « De modo et ordine imponendi colectas », dalla quale risulta l'esistenza di un tributo particolare, una provisio, che gli abitanti di Sassocorvaro dovevano pagare al duca (25). An-
ordinari, traotari aut machinari permittet »: Statuta terrae Saxicorvarii, f. Iv. Avverto qui che tutte le indicazioni relative al testo degli Statuti s'intendono riferite al manoscritto settecentesco. (23) E s s i giurano infatti di « . . . statura I.D.N. Francisci Marìae Urbini Ducis Montis Feretri ac Durantis Coraitis ac successorum ipsius totis viribus et suraraa ope salvare et manutenere, contra ipsum aut ipsius domini nostri personam non machinari, tractare, vel ordinare aut tractari facere, quin rainus eius statura in aliquo turbetur, inquietetur, vel raolestetur aut turbari possit in damnum et praeiuditium I.D.N »: Statuta..., f. I r . (24) « Qui doraini Consiliarii . . . teneantur et debeant in raanibus domini Vicarii . . . iurare . , . orania et sngula dcti Coraraunis bona, iurisdìctiones ac iura deffendere et manutenere, et omnia et singula dicto Communi utilia facere et inutilia praetermittere ac prò posse evitare . . . ad perpetuum statura I.D.N. Francisci Mariae et dicti castri conservation e r a . . . » : Statuta . . . , f. 9r. (25) A questo tributo è dato un particolare rilievo nell'arabìto del sisteraa fiscale. E ' scritto in un libro a s é stante e dev'essere posto « . . .
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che i notai, afferma la successiva rubrica 43% « De matricula et mercede notariorum », non possono validamente esercitare i l loro ufficio se non sono stati istituiti o approvati dai signori di Urbino: in mancanza della sanzione ducale ai loro atti non è attribuito alcun valore (26). I l duca costituisce dunque i l supeHot dal quale i l notaio deve derivare la sua qualità di puhlica persona.
Con tutta probabilità, i l vecchio statuto non era comunque anteriore alle Costituzioni Egidiane del 1357 e ad esse doveva ispirarsi in modo netto, se, a distanza di quasi due secoli, i nuovi Statuti presentano ancora tracce evidenti delle Costituzioni dell'Albornoz, che in qualche parte furono addirittura copiate alla lettera. Tralasciamo i primi tre libri delle Constitutiones — sui diritti papali, sul diritto costituzionale e sulle norme riguardanti i religiosi — e i l libro I degli Statuta terrae Saxicorvarii, che è dedicato all'ordinamento costituzionale: per ovvi motivi, tra di essi non si riscontrano analogie. Espressioni identiche emergono sia dal confronto tra i l libro I V delle Costituzioni Egidiane, che riguarda i l diritto penale, e i l corrispondente libro I I I degli Statuti in esame (28), sia dal confronto tra i l libro V delle Egidiane e i l libro I I dei nostri Statuti, dedicati alla procedura civile (29). Le Costituzioni Egidiane contengono inoltre un
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III. L a promulgazione degli Statuti di Sassocorvaro ad opera di Francesco Maria I rientra certamente nell'ampia attività di r i forma e di consolidamento del ducato perseguita dallo stesso duca. Non abbiamo documenti per stabilire se i l testo degli Statuti a noi pervenuto sia frutto della rielaborazione di precedenti norme statutarie o se sia stato creato ex novo, facendo cadere del tutto la legislazione precedente. Ci sembra più fondata la prima ipotesi: ad un più antico statuto accenna casualmente il legislatore nella rubrica 3 P del libro I I , « D e fide danda l i bris mercatorum e t ^ s t a m e n t i s defunctorum », che inizia con le parole «Quia antiquo,et veteri statuto cavebatur q u o d . . . » (27).
statim finito semestri, ad minus infra octo dies proxime tunc futures . . . », mentre un analogo termine perentorio non è previsto per gli altri tributi: Statuta..., f. 7.8v. (26) « . . . per dominos ConsiMarios conficiatur matricula seu descriptio omnium notariorum dicti castri . . . in qua nuUus descrìbi possit, nisi . . . aprobatus per dictos dominos Consiliarios et creatus et confirmatus ab illustri Domo feretrana. »: Statuta . . . , f. 91v. (27) Statuta . . . , f. 25v. I due aggettivi antiquus e vetus possono riferirsi a due diversi statuti o costituire una coppia sinonimica dovuta a semplice ridondanza. Mi sembra più attendibile questa seconda ipotesi, se sì tien conto di formule usuali come statuimus et ordinamus, omnes et singuli, sit et esse debeat, e simili, frequenti nei testi di legge fin dall'antichità. L a rubrica ora menzionata contiene una riforma ad un precedente statuto secondo il quale, per dare piena validità ai libri dei mercanti e ai testamenti dei defunti, era necessario e sufficiente che essi fos-
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sero in buone condiziioni e scritti con cura; d'ora in poi, invece, è necessario che tanto gli uni quanto gli altri, per essere validi, siano autenticati con il sigillo del Comune. (28) Ho tenuto presente il testo delle Costituzioni egidiane pubblicato nel Corpus statutorum Italicorum, a c. di P. S E L L A , voi. I , Roma 1912. Si veda, ad esempio, la prima rubrica delle Costituzioni egidiane, « De modo procedendi super malleficiis », e la prima rubrica degli Statuti di Sassocorvaro, « De officio Domini Vicarii in criminalibus »; la successiva seconda rubrica delle Egidane, « I n quibus casibus possit per inquisitionem ex officio procedi », e la seconda dei nostri Statuti, « I n quibus casibus per inquisitionem ex officio procedi » Nel libro I V delle Costituzioni egidiane abbiamo poi una rubrica dal titolo « De mitigatione penarum propter c o n f e s s ì o n e m , pacem et solutionem infra X V dies et nimiam paupertatem », cui corrisponde negli Statuti di Sassocorvaro la rubrica dal titolo « De mitigatione penarum » che presenta un contenuto analogo. T r a i delitti, per esempio, è presente in entrambi i testi l a distinzione tra percosse fatte senz'armi e percosse fatte con armi; la rubrica « De homicidio » e la rubrica « De veneficiis », hanno, oltre il titolo, molti punti in comune. (29) Tanto l'uno quanto l'altro contengono una distinzione fondamen tale, che è tuttavia generalìssima nalle norme statutarie in tema di competenza per valore: nelle Constitutiones, tra cause che non eccedono la somma di cento soldi e cause che eccedono tale somma; negli Statuti
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libro V I dedicato all'appello, mentre un libro corrispondente non esiste negli Statuti di Sassocorvaro, dove all'appello sono dedicate la due ultime rubriche del libro I I (30). Ciò si spiega facilmente se si pensa che i l piccolo centro, a causa della sua dipendenza dall'autorità ducale, doveva trovare soltanto in questa i l suo naturale giudice di seconda istanza, anche se dal nostro testo ciò non risulta in modo esplicito. Scarsa affinità si riscontra tra gli Statuti di Sassocorvaro e la raccolta cinquecentesca degli Statuti dì Urbino (31), ma ciò è giustificato dalla evidente differenza di estensione territoriale e di importanza demografica, economica e politica tra i due centri. G l i Statuti di Urbino hanno una struttura più complessa, come si vede non solo dal libro dedicato all'appello, ma anche dalla loro ampiezza e dal fatto che la materia v i è più elaborata, cosa che l i rende più completi e dà loro la caratteristica di statuti di tipo cittadino. S i avvicinano alla struttura degli Statuti di Urbino gli Statuti di Castel Durante: suddivisi, come quelli, in sei libri, di cui i l I V è dedicato all'appello, gli Statuti di Castel Durante presentano la completezza legislativa propria di un Comune di una certa importanza (32). Gli Statuti di Sassocorvaro, dal canto loro, non rispondono però completamente al classico tipo dei correnti statuti rurali, al quale rispondono invece, per esempio, gli Statuti di Maciano nel Montefeltro (33). E ' vero che essi contengono una serie di
di Sassocorvaro, tra cause che non eccedono la somma di cento bolognìni e cause che eccedono tale somma. Nelle prime, secondo l'una e l'altra legislazione, il processo si svolge « s u m m a r ì e et de plano, sine strepitu et figura iudicii », cioè nelle forme del processo sommario. (30) Sono la rubrica 41^, « De appellatione ab interlocutoria », e la 42^, « De appellationibus a dìffìnitiva ». (31) Statuta civitatis Urbini, Pisauri 1559. Questa raccolta deriva dalle precedenti compilazioni del Quattrocento: cfr. P. PHRUZZI, Note sulla legislazione statutaria urbinate anteriore al secolo XV, « Studi urbinati »,
32 (1963-64), p. 14 n. 26. (32) Statuta terrae Durantis, Urbini 1596. (33) Cfr. SCORZA, Gli Statuti . . p . 23. S i noti che, pur risalendo ai primordi del XV secolo, questi statuti erano ancora in uso nel X V I I I , CO-
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disposizioni dedicate ai danni dati alle coltivazioni, contenute in un apposito libro, i l I V , e altre norme riguardanti la vendemmia, i l lavoro nei campi, il divieto di esportare i l grano dal paese (34); queste disposizioni, però, coprono solo una parte modesta della materia. Pur non configurandosi, d'altronde, neppure come veri e propri statuti di tipo cittadino, essi si avvicinano senz'altro di più a questi ultimi per la loro ampiezza, per la varietà e precisione delle norme nonché per la loro sistematica. Sotto questo aspetto i nostri Statuti presentano notevoli analogie con gli Statuti di Sant'Angelo in Vado, suddivisi anch'essi in cinque libri, corrispondenti a quelli di Sassocorvaro con l'inversione dei libri I V e V (35). . ,
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Gli Statuti di Sassocorvaro sono divisi in cinque libri de dicati, rispettivamente, al diritto pubblico, alla procedura civile, al diritto penale, ai danni dati, alle cose straordinarie. Aspetto fondamentale della legislazione è i l profilo costituzionale. Ad esso è dedicato i l libro I , anche se alcune magistrature sono disciplinate negli altri libri. L a rubrica 4\ De offitio et iurisdictione domini Vicarii », elenca i compiti principali del Vicario e la pena in caso di inadempimento: egli è i l giudice ordinario di t L i t t e le cause di primo grado, deve eseguire e dare esecuzione alle decisioni e ai pareri del Consiglio, è Tesat-
me del resto quelli di Sassocorvaro. Per quanto riguarda la categoria degli statuti di tipo rurale, cfr. P.S. L E I C H T , Storia del diritto italiano. Le fonti, a e. di C.G. MoR, Milano 1966, p. 210-211. (34) Queste disposizioni si trovano nel libro V : rubrica 7^ « De tempore v ì n d e m i a r u m »; r. 45s « De mercede laboratorum »; r. 46^ « De laboratoribus vinearum et possessionibus alterìus »; r. 51s « De non extrahendo bladum extra curìam nec dando forensibus ». Interesse particolare presenta la rubrica 6^ sempre del lirbo V, « De poena capientium columbos », estesa anche al vicino castello di Macerata Feltria; essa dimostra l'importanza dell'allevamento dei piccioni nell'economìa rurale dell'epoca. (35) Statuta terrae Sancti Angeli in Vado, Pisauri 1577.
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tore delle imposte e dei crediti del Comune e in tale veste deve prestare aiuto al Camerario perché i tributi siano pagati entro sei mesi dalla imposizione (36). I l massimo organo del Comune è i l Consiglio composto di quaranta membri: p u ò deliberare con la presenza di almeno due terzi dei componenti e le deliberazioni sono valide se prese a maggioranza dei presenti. I n seno al Consiglio sono eletti i quattro Priori, che hanno i l compito di salvaguardare i beni e le cose del Comune, e i l Sindicus, che ha poteri di rappresentanza (37). Importante, sempre nell'ambito del libro I , è la rubrica 11% « D e ellectione Sindicatorum et sindicatu domini Vicarii»: i due Sindicatores sono eletti tra i membri del Consiglio e tra i notai viene eletto un Notarius Sindicatorum. Prima di congedarsi, allo scadere del mandato, i l Vicario deve sottoporsi, con tutta la sua famiglia, al sindicatus (38); questo istituto, che era
uno strumento usuale in mano ai Comuni per riaffermare la responsabilità dell'ufficiale nel compimento dei suoi atti durante la carica, è interessante ai fini dell'indagine sulla sopravvivenza di una certa autonomia che, nonostante la superiore autorità del duca, non è del tutto venuta meno. Nel libro I I , dedicato alla procedura civile, sono presenti due tipi di processo: i l processo ordinario romano-canonico, introdotto dalla rinascita del X I I secolo, e i l processo sommario, introdotto dal diritto canonico, sia per le cause che non eccedono i 100 bolognini, sia per le cause relative a locazioni, alimenti, salari (39). I l processo ordinario richiede l'uso del libello scritto, della litiscontestatio, del iuramentum calumniae (40); nel processo sommario si procede invece « summarie et de plano, sine strepitu et figura iudicii» (41). Le rubriche 11% « D e modo procedendi in causis a centum bononensis supra », e 34%
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(36) « Statuimus . . . quod continue in dìcto castro . . . sit et esse debeat unus Vicarius qui . . . intelligatur et sit index ordinarius omnium primarum causarum, tam civilium et criminalium, extraordinariomm, damnorum datorum et mistarum causarum . . . ; teneatur dictus dominus Vicarius . . . omnia et singula ordinamenta, statuta, conclusiones et provisiones factas in Generali Consilio hominum dicti castri exequi et executioni mandare; omnesque colectas, dativas et onera i m p o s ì t a tempore suo quam suorum praecessorum et omnia eredita dicti Communis exigere et cum effectu exigi facere . . . ; et in ipsis exactionibus se diligentem exhibere ita et taliter cum efectu quod omnes dictae colectae, dativae, prestantiae et onera infra sex menses a die irapositionis integraliter exigantur, et ad manus . . . Camerari! sive Colectorìs perveniant ... »: Statuta terrae Saxicorvarii, f. 2v. (37) L a rubrica 13s « De offitio et ellectione dominorum Priorum », regola innanzitutto il modo di elezione dei quattro Priori: i quattro Priori in carica insieme a quattro Consiglieri compilano dieci brevia { = cartelle, schede), ponendo in ogni breve quattro nomi: ì quattro Consiglieri nominati nel breve estratto sono i nuovi Priori, mentre il caput brevis, c i o è i l capolista, è il Sindicus communitatis. I Priori sono incaricati di salvaguardare i beni e le cose del Comune « . . . et in ipsis uti dilìgentia quae quilibet pater famìlias in rebus suis adhiberi solet »: Statuta ..., f. lOr. (38) « . . . domini Sindicatores . . . statim ad minus infra biduum a
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die depositi officii, teneantur et debeant s ìn d icat u m incipere, contra ipsum dominum Vicarium procedere ad inquisitionem generalem . . . et facta responsione dictae inquisitìoni et praestitìs idoneis cautionibus per ipsum dominum Vioarium, c ì t a t i o n e s generales committere per proclama et generale edictum foribus palatn affingetur . . . ut, quicumque volens conquerì de dicto domino Vicario vel contra ipsum vel eius familiam aliquid patere vel obiicere, compareat coram ipsis Sindicatoribus . . . S i vero aliquis vel nullus comparuerit in dìcto sindicatu, procedatur per ipsos Sindicatores tam super querelis porrectis quam super inquisitione generali, maxime super illicitìs lucris, barattariis et extorsionibus . . . » : Statuta f. 8r. (39) L E I C H T , Storia del diritto p. 204. (40) Cfr. la rubrica 1 ^ , « D e modo procedendi in causis a centum b o n o n e n ì s supra »: « Civium causarum a centum b o n o n e n ì s supra . . . in procedendo ordo sit talis . . . quod, citato reo, contra ipsum exhibeatur libellus et, si de eo copiam habere voluerit, detur sibi cum termino quinque dierum ad excipiendum . . . Deinde . . . procedatur ad lìtis contestationem et per ambas partes praesentes, sive per eorm procuratores legitimatos, iuretur de calumnia et solvantur capita solidorum. »: Statuta f. 17v. (41) Cfr. la rubrica 3^, «De modo procedendi in causis a centum bononenìs i n f r a » : « Breviores causae civiles non excedentes summam centum bononeorum tractari, cognosci et expediri possint coram ipso domino Vicario . . . summarie, de plano, sine strepitu et figura iudicii, sine
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« De causis in quibus fiat compromissum et modo procedendi », offrono alle parti la possibilità di avvalersi del consilium sapientis, cioè la possibilità di richiedere i l parere — vincolante per i l giudice — di una persona particolarmente versata nelle materie giuridiche (42). I l libro I I I , che tratta del diritto penale, regola innanzitutto il modo di elezione e i compiti di un importante ufficiale, i l Saltarius malleficiorum, che dovrà indagare contro i delinquenti, denunciare pubblicamente e riferire al Vjcario ogni delitto e crimine (43). Interessanti sono le rubriche 9% « De mitigatione poenarum », e 11% « D e augmentatione poenarum ». L a prima contiene tracce dell'antica concezione, propria dei tempi barbarici, della pena come vendetta privata piuttosto che come funzione pubblica (44): la pena pecuniaria viene addirittura ridotta ad un quarto se i l reo, in evidente stato di povertà, oltre ad aver confessato i l delitto e ad aver pagato la pena, abbia avuto il perdono {pacem), dall'offeso (45). L a successiva rubrica 11' con-
libello, litis contestatione, iuramentum calumniae et aliìs solemnitatibus a iure requisitis et ordinibus iudiciorum non servatìs, sola facti ventate inspecta. »: Statuta . . f . 13v. (42) Cfr. L E I C H T , Storia del diritto . . . , p. 204. Per questo istituto vedi G. R O S S I , Consilium sapientis iudiciale, voi. I , Milano 1958. (43) « . . . per dominos Priores et Consiliarios dicti castri describantur omnes et singulae familiae dicti loci . . . et de qualibet familia describantur in uno brevi nomen patrisfamilias domus, faciendo tot brevia quot sunt familiae, et de quolibet trimestri in tres menses extrhatur per dominos Priores et Vicarium unum ex dictis brevibus, et ille, qui fuerit in eo scriptus, sit et esse intelligatur Denuntiator sive Relator seu Saltarius malleficiorum et eius officium duret per tres menses contìnuos. »: Statuta..., f. 34v. Saltarius corrisponde a saltuarius, che negli antichi testi di diritto romano ìndica il guardaboschi, il gualdarius (gualdeman,no) del diritto medievale. (44) L E I C H T , Storia del diritto . . . , p. 203. (45) « . . . quotiescumque p r ò aliquo malleficio seu delieto contra aliquem per dominum Vicarium procederetur, ex quo poena pecuniaria imponenda sit . . . et reus . . . compareat et in prima responsione facta accusationi.... sponte malleficium sive delictum intentatum confessum
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tiene disposizioni che si ricollegano alle antiche norme che davano maggior protezione a certe parti della città (46): i l delitto commesso in piazza, in chiesa, al mercato o nel palazzo del Comune è punito più gravemente di quello commesso altrove (47). Per quanto riguarda le singole figure di reato, gli Statuti regolano minuziosamente l'ingiuria e l'offesa in genere (48), le percosse v i sono distinte in percosse fatte senz'armi, fatte con armi improprie e fatte con armi vere e proprie (49); in quest'ultimo caso è prevista l'applicazione della legge del taglione (50). I l giudice locale, cioè i l Vicario, p u ò irrogare anche la pena capitale, che è prevista per gli omicìdi, per gli avvelenatori e per coloro che hanno commesso più di tre furti (51).
fuerit, et cum offenso pacem h a b u e r i t . . . et poena solverit infra quindecim dies a die sententiae computandos, et nimìa paupertate evìdenter appareat, tunc, hiis quatuor concurrentibus, soluta quarta parte poenae quam p r ò dehcto imponi deberet, a caeteris tribus partibus absolvatur et absolutus sit aucthoritate praesentìs s t a t u t i . . . » ; Statuta..., f. 38. (46) L E I C H T , Storia del diritto..., p. 203. (47) « S i quis . . . malleficium, crimen vel delictum f e c e r i t . . . in palatio Communis, ubi ius redditur, sive in domo residentiae ipsius domini Vicarii vel in platea Communis vel in alìquibus Ecclesiis dicti castri aut in Consilio sive Parlamento hominum S a x i c o r v a r i i . . . sive noctis tempore post sonum campanae . . . vel tempore aMcuìus incendi . . . aut in die fori in nundinis Saxicorvarii . . . in diebus Veneris Sancti et Paschae Resurrectionis et in die festì Corporis Chrìsti, tunc in quolibet dictorum poenae omniae pecuniarìae duplicentur... »: Statuta..., f. 39v. (48) Vedi le rubriche 14^, « De poena blasphemantium », 15^, « De poena offendentium parontes », 16^, « De verbìs iniurìosìis et aliis iniurìis », 18^ « De poena insultantium, evaginantium et admenantium ». (49) Vedi le rubriche « De percussìonibus et offensionibus factis sine armis », 20^, « De percussìonibus cum bastone, lapide vel aliis levio-r ribus », 21^, « De percussìonibus factis cum armis ». (50) Chi abbia rotto un membro o cavato un occhio a un altro è sog getto alila pena pecuniaria di IQOlibrae e viene bandito dal paese per un anno, ma se non osserva i l bando, « in simili membro puniatur et per ministrum iustitiae ad id deputatum detruncetur et evelletur... »: Statuta f. 43v. (51) L a rubrica 22^ « D e h o m i c i d i o » , fa espresso riferimento alla Lex Cornelia de sicariis che prevedeva la pena di morte per gli omicidi
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I l libro I V , de damnis datis, contiene una descrizione dei danneggiamenti alle coltivazioni provocati da varie specie di animali (52): oltre ad una pena pecuniaria è previsto in ogni caso i l risarcimento del danno da parte del padrone dell'animale. Interessante è la rubrica 6% « De accusis decem vicinorum », in cui è descritto questo singolare procedimento: se non si trova chi, personalmente o con animali, ha cagionato un danno, è possibile accusare e denunciare i dieci vicini più prossimi al luogo dove è avvenuto i l fatto. Se essi, discolpandosi, indicano la persona che ha recato i l danno, non sono soggetti alla pena; in caso contrario sono tenuti tanto al risarcimento quanto alla pena. Se poi qualcuno dei dieci vicini non possiede animali del genere di quelli che hanno causato i l danno e sono citati nell'accusa, p u ò , per evitare i l risarcimento, accusare uno degli altri che possiede animali del genere. Questo gioco di accuse e discolpe è certamente un mezzo per arrivare al vero danneggiatore, coinvolgendo un numero rilevante di cittadini per far leva sul loro personale interesse al ritrovamento del colpevole (53).
tere penale (54), per proseguire poi con disposizioni amministrative (55) e altre relative alla regolamentazione di alcune importanti magistrature. A quest'ultima categoria appartengono le norme che riguardano la nomina e i compiti del Sindicus, del Cancellarius, del Camerarius, del Massarius, dei Superstites, dei Plazarii. I l Sindicus è investito di poteri di rappresentanza del Comune, anche in giudizio (56); i l Cancellarius è un notaio che svolge funzioni di segretario del Consiglio e tiene i l conto delle entrate e delle uscite del Comune (57); i l Camerarius è l'esattore delle imposte (58). I l Massarius è incaricato di custodire
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I I lirbo V , i l più ampio e i l più caratteristico, comprende norme di vario genere; inizia con alcune disposizioni di carat-
e gli avvelenatori. Interessante è l'ipotesi di concorso in omicidio: « . . . cum plures jfuerint in committendo vel mandando aut contra eum opem praestando, ne strages hominum fiat, dominus Vicarius, vinculo iuramenti, teneatur et debeat, vocatis consanguineis et proximioribus attinentibus occisi, eos compellere ad elligendum duos culpabiliores... et illi duo sic ellecti tunc dictis poenis puniantur et condemnentur »: Statuta... t 44r. (52) Vedi le rubriche 12^ « De canibus ligandis et damnum dantibus », 13s « D e bestiis lactantibus damnum d a n t i b u s » , 14^ « D e damnis datis per puUos et anseres », 15s « De pecude et montone damnum dantibus », 16s « De damnis datis per porcos », 17^ « De capris damnum dantibus », 18s « De bestiis aequinis damnum inferentibus », 19s « De damnis datis per bestias bovinas », 22s « S i quadrupes pauperiem fecerit ». (53) L'importanza che il legislatore dà al danneggiamento recato alle coltivazioni è tale che il VicanMS è tenuto ad eleggere, di nascosto, degli uomini, ì Gualdarii, incaricati di denunciare davanti al Vicario le persone o gli animali che hanno arrecato un danno: cfr. la rubrica 2s « De Gualdarìis caelatis et eorum officio ».
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(54) Vedi le rubriche 2^, « De poena deffraudantium in pondere vei mensura », 3», « De poena devastantium aliquam viam », ¥ , « De poena ludentium », 4s « De poena laborantium diebus festivis », 6*, « De poena capientium columbos ». (55) Riguardano la nettezza urbana e l'igiene le rubriche 17^, « De cloacis et sterquiliniis retinendis » e 19^, « De purgando vias et non proiciendo in eis ». (56) « . . . Sindicus C o m m u n i s . . . in omnibus eius causis vigore praesentis statuti habeat plenum mandatum, cum piena, libera et generali administratione, tam in agendo quam in deffendendo... teneatur et debeat in huiusmodi causis omnia et singula facere et inutilia praetermittere res et bona dicti Communis toto posse deffendere et disbrigare, perquirere et invenire, inventaque a quolibet r e c u p e r a r e . . . » : Statuta f. 71v. (57) « . . . teneatur et d e b e a t . . . in libro reformationum dicti loci ad hoc deputato, seriate et ordinate scribere omnes et singulas petitiones et propositas factas seu fiendas in Consilio dicti loci per dominum Vicarium, Priores aut alios quoscumque consultatus, responsiones, partita, conclusiones, reformationes, deliberationes et ordinamenta inde secuta, ut omnia tractanda et consulenda in dìcto Consilio perpetuo sciri possint et legi. Item de introitibus et expensis dicti Communis et sic debitoribus et creditoribus particulare computum r e t i n e r e . . . »: Statuta..., f. 73r. (58) Egli deve esigere i tributi entro sei mesi, altrimenti « elapsìs dictis sex mensibus, idem Colector de suo proprio solvere et saldare teneatur ìntegre dictam colectam et creditoribus satisfacere... »: Statuta . . . . f. 75r. I l Camerario è dunque tenuto al cosiddetto 'obbligo del non riscosso come riscosso', al quale sono vincolati gli esattori secondo l'attuale ordinamento: cfr. A . B E R L I R I , Corso istituzionale di diritto tributario, voi. I , Milano 1974, p. 334.
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tanto le bestie presentate dal danneggiato quanto i prototipi delle misure ufficiali del Comune (59): si tratta di compiti certamente importanti, ma limitati rispetto a quelli che normalmente gli statuti riservano a questo ufficiale (60). I Superstites Communis non sono che gli assessori all'annona (61), mentre evidenti sono i compiti dei Superstites viarum, fontium et pontium (62). I l Consiglio elegge infine i due Plazarii Communis, incaricati di notificare citazioni e bandi a richiesta del Vicario, del Consiglio e dei Priori: i Plazarii possono anche portare ambasciate, dietro compenso, ad istanza di singoli privati (63). Dall'esame di queste norme, sommate a quelle già esaminate e contenute nel libro I , emerge la complessità dell'organizzazione del Comune; confrontandola, per esempio, con l'organizzazione costituzionale di Maciano, ne risulta che la struttura di questo Comune è molto più semplice: intorno al Console sono presenti solo i l ConsigUo, i l Saltaro, i l Massaro e i l Piazzaro (64). Interesse particolare, sempre nell'ambito del libro V , rivestono alcune norme concernenti l'edilizia, la regolamentazione
dei mercati, la polizia urbana. Riguarda l'edilizia la rubrica 10% « De non edificando prope fortilicias », in base alla quale per edificare vicino alle mura e ad opere di fortificazione era necessaria un'apposita licenza dei Priori, mentre dalla rubrica 52% « De non edificando in foro Saxicorvarii et quod possit edificari », risulta i l divieto di costruire edifici nella zona del mercato: solo chi è in possesso di una particolare licenza può effettuare lavori edilizi, ma con la limitazione temporale ben precisa di due anni. Interessanti sono le disposizioni che regolano lo svolgimento del mercato. Sassocorvaro era un centro commerciale fiorente, dove si svolgevano importanti mercati locali in un borgo ai piedi del castello che ancora oggi ha conservato i l nome dì Mercatale. L a rubrica 4 P , « De nundinis et securitate venientium ad eas », purtroppo è bianca, ma possiamo supporre che contenesse disposizioni di carattere generale (65); infatti, più specifica è la rubrica 53% « De mercatis fiendis in foro Saxicorvarii », dalla quale risulta che in quel periodo dell'anno che va dalla festa di S. Michele, i l 29 settembre, fino a tutto i l mese di maggio, ogni mercoledì si svolgeva i l mercato. V i poteva intervenire chiunque, p u r c h é si fermasse per almeno un'ora, senza pagare nè pedaggio nè altra tassa. Evidente è qui l'intento di favorire l'afflusso di abitanti di centri vicini per partecipare alle operazioni commerciali; ma c'è di più, al mercato doveva recarsi, sotto pena, almeno un membro di ogni famiglia di Sassocorvaro. Questa disposizione, piuttosto singolare, era volta ad obbligare gli abitanti a intervenire a questo momento culminante della vita commerciale sulle cui risorse viveva i l piccolo centro. L a rubrica successiva, « De poena turbantis mercatura », è dedicata alla pena pecuniaria che colpiva chiunque, in qualunque modo, s'intromettesse negli scambi in danno dell'una o dell'altra parte.
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(59) Queste misure sono: il mastellum, il quartum, la staterà e il boccale, come risulta dalla rubrica 49^^, « De mensuris Communis habendis et retinendis ». (60)
Cfr., per esempio, SCORZA, Gli
Statuti...,
p. 26-27.
(61) Alla loro elezione si procede in questo modo, come dispone la rubrica 31s « D e Superstitibus Communis et eorum electione et o f f i c i o » : i Consiglieri compilano un certo numero di brevia, scrivendo in ogni breve il nome di due uomini particolarmente adatti a questo incarico: ogni sei mesi viene estratto un breve e i due nominati nel breve estratto sono i Superstites Communis. (62) L a rubrica 32^, « De officio Estimatorum et Superstites viarum, fontium et pontium », purtroppo presenta delle lacune nella parte iniziale; gli Estimatores devono stimare i danni, i possessi delle cose mobili e immobili e ogni altra cosa di cui sia necessaria la stima. (63) Cfr. la rubrica 33^, « De officio Plazariorum et eorum mercede »; diversi sono i nuntii e gli oratores di cui parla la rubrica 30^: la differenza è che questi ultimi sono incaricati di portare ambasciate extra castrum. (64)
Cfr. SCORZA, Gli
Statuti..p.
28.
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Sono norme di polizia le rubriche 9% « De poena intrantium
(65) Alla fine del f. 90v dopo il titolo della rubrica, si legge: « Alba eo quod in originali legi non possit ».
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aut exeuntium alio quam per portas », diretta al controllo delle persone che entrano ed escono dal castello, e 16% « De poena euntium de nocte », dalla quale risulta l'esistenza di un coprifuoco che impediva agli abitanti di Sassocorvaro di uscire di casa dopo una certa ora, annunciata dal suono della campana. Le rubriche 8% « De panfaculis et eorum officio », e 18% « De beccarla et offitio beocarii », hanno carattere amministrativo e prevedono precise disposizioni per i fornai e i l macellaio e severe pene in caso di inadempimento ai loro doveri (66). I l libro V contiene poi una serie di norme relative al sistema tributario del paese. Dalla rubrica 34% « De modo et ordine imponendi colectas », apprendiamo che i tributi erano imposti due volte l'anno, alla fine di giugno e alla fine di dicembre (67); in base alla rubrica 35% « Quod omnia praedia sint tributaria », tutti coloro che possiedono un pezzo di terra di qualsiasi genere devono pagare i relativi tributi, mentre coloro che lavorano la terra di proprietà di un forestiero non possono consegnare i prodotti agricoli al proprietario se non dopo aver pagato tutti i tributi (68). Questo, in breve, è i l contenuto dei libri degli Statuti di Sassocorvaro. A parte vanno considerati i quattro decreti aggiuntivi agli Statuti stessi. I l primo fu promulgato a Pesaro da Guidubaldo I I , figlio e successore di Francesco Maria I , e pubblicato i l 15 dicembre 1548; i l suo contenuto è quello trattato
(66) « . . . quolibet anno . . . constituatur unus panfaculus vel plures per dominos Priores dicti castri qui . . . teneatur et obligatus s i t . . . semper abundanter panem venalem habere et retinere . . . »: Statuta . . . , f. 65r; ì'officium beccarli viene, invece, messo all'asta: « . . . domini Prior e s . . . quolibet anno teneantur et debeant... tempore Quadragesimae, factis primo debitis subastationìbus et ad lumen candelae, vendere datium beccariae dicti castri, dumodo tamen idoneo et legali viro et bonae conditìonis et f a m a e . . . » : Statuta,.., f. 68v. (67) Tutti gli abitanti del Comune sono convocati nell'arengo e davanti ad essi il Cancelliere dà atto delle spese sostenute, « . . . ut omnibus innotescat prò quibus rebus colecta imponatur. »: Statuta... f. 78r. (68) Cfr. la rubrica 37^, « Quod laboratores forensium cogantur p r ò colectis ».
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nella rubrica 37' del libro I I , « Quod stantibus masculis foeminae non succedant » (69), e non presenta nessuna particolarità. Evidentemente le norme statutarie erano scarsamente applicate e i l duca teneva a ribadirle. Più interessanti sono due decreti di poco successivi, promulgati dal conte Filippo Doria e pubblicati i l 17 febbraio 1549. I l primo riguarda i l diritto di prelazione dei parenti e del vicino in caso di vendita di un immobile, materia trascurata dagli Statuti, ma largamente nota; i l secondo, in volgare, è dedicato ai danni. Interessante è qui i l riferimento a località precise del territorio di Sassocorvaro, per determinare l'estensione territoriale del divieto di pascolo (70). I l quarto decreto, anch'esso in volgare, fu promulgato da Francesco Maria I e pubblicato i l 20 novembre 1553, dopo la morte del duca. Riguarda i l problema dell'usura che era particolarmente sentito nella società di allora e rendeva necessaria una regolamentazione precisa e severa delle pene in funzioni preventiva e repressiva (71).
(69) Dal contenuto di questa rubrica si ricava la preferenza data ai maschi nella successione: il diritto della figlia si esaurisce con la dote, che tien luogo di quota di successione. Tutto c i ò è una conseguenza del cosiddetto 'odium quarte' manifestatosi contro gli assegni maritali germanici nella società mercantile itahana dei secoli di mezzo. (70) I confini sono naturalmente definiti da toponimi: fossato de Foglia seccha, villa Caraspa, Casa del Verziero alias de Antonio di Biagio, villa de Casilvestro, cà Marino de Iseppe, fonte de Canno, fornace de S. Andrea, villa de Antonio soldato, molino della comunità, mercatale, casa della Cella. (71) « . . . che non sia alcuna persona . . . che ardisca né presuma esponere, contraere o stipulare contratto alcuno usurarlo . . . sotto pena di perpetua infamia e privazione d'ogni dignità privilegio o indulto che havesse, e di cento scudi d ' o r o . . . » : Statuta..., f. 103r.
FRANCESCO BONASERA
una carta del montefeltro e una veduta di san leo (manoscritte) conservate presso la biblioteca di Jesi
I n occasione della mostra bibliografica organizzata presso il Palazzo della Signoria di Jesi, in coincidenza della Giornata jesina (19 ottobre 1981) del Convegno della Deputazione di Storia Patria per le Marche sul tema « 'Istituzioni e Società' nell'alto Medioevo marchigiano » è stato esposto un volume manoscritto (cartaceo) conservato presso la Biblioteca dal titolo: Notizie storiche / della Città di San Leo / presentate / allo ill.mo ed /^ècc.mo Prencipe / Monsignore: Federico Lantij della Rovere / Arcivescovo di Petra, e Presidente delli / Stati di / Urbino / dal Dottor Giambattista Venturucci commes/sario della Provincia I di I Montefeltro / Vanno 1733 ». Tale volume, di complessive pagine 156, manoscritto, è cartonato (dimensioni mm. 188 o. x 254 v.), ben restaurato, reca ancora danni causati dall'umidità, dall'ossidazione e dai topi (ringrazio i l Prof. Edoardo Pierpaoli, Direttore dell'Istituto di conservazione bibliografico jesino, di avermi agevolato nella consultazione e visione dell'opera). Dopo l a prefazione si tratta dell'origine della città di San Leo; è riportato un albero genealogico dei Montefeltro. Di estrema importanza è la carta geografica (disegno geografico a penna; monocolore) rappresentante i l territorio del Montefeltro.
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Essa, con doppia riquadratura (mm. 362 o. x 340 v.), reca in alto a sinistra (entro riquadro) la scritta « P R O V I N C I A / D E L M O N T E F E L T R O » e sette note (B - luoghi baronali; C - capitanati; P - podesterie; V - vicariati; F - luoghi del Fiorentino; M luoghi della Republica di San Marino; R - luoghi della Romagna). I n basso a sinistra è la scala grafica di miglia 5 = mm. 80; in basso a destra, entro i l doppio riquadro « Grazj fecit ». L'orientamento geografico è indicato da rosa dei venti: T verso sinistra e inoltre indicazione entro la doppia riquadratura: in alto: Oriente; a destra: Mezzo giorno; in basso: Occidente; a sinistra: Settentrione. Sono indicate le aste idrografiche del Foglia e dei suoi affluenti di sinistra {Mutino e Apsa I ) ; Conca; Marecchia e suoi affluenti di sinistra {Senatello e di destra: Mazzocco, fiume di Marino), I rilievi sono indicati con monticoli e inoltre in taluni tratti sono raffigurate arborature convezionali. Sono riportati, con segni ideografici, 93 toponimi. Anzitutto San Leo, (piccola veduta scenografica della città e della Rocca). Gli altri toponimi sono (dall'alto a sinistra a destra e poi dall'alto al basso): Bronzo; M. Tavelio; Valdibena, Mercatale; Lunano (prospetto di Castello); Ripalta; Castellina; Certalto; Piagano ( R ) ; Mondagnano; Piandimeleto (R; con prospetto panoramico); Macerata (Felttìa) (P); Lupaiolo; Cavoleto; S. Sisto ( R ) ; Belforte all'Isauro ( R ) ; Torre di Fagiuola; Pietracaula ( R ) ; M. S. Maria; Torriola; Sassa (C); M. Grimano (P); M.te Tassi; M.te Giardino; M.te Lisciano; M.te Cerignone (P); Serravalle (M); Faitano (M); S. Marino Rep. (prospetto panoramico); Fiorentino (M); Valle S. Anastasia; M.te Copiolo; Villa Grande; Pietraruhhia ( V ) ; Frontino ( V ) ; Pietracuta ( V ) ; Castellaccia ( B ) ; Fauzano; Pietramaura; Puiano; Maiolo; Maioletto; M.te Boaggine; Castellaccia ( B ) ; M.te di Carpegna; Sasso di Simone; Ginestreto; Uffogliano; M. Fasogno (P); Piaga; Soanne; Scavolino ( B ) ; Antico; Maciano; Penna(billi) (P); Cicognara (F); Bascio ( B ) ; Petrela Massana ( F ) ; Miratolo ( B ) ; S. Soffia ( B ) ; Gattara ( B ) ; Massa; Secchiano; Talamello ( B ) ; Mercato di Talamello ( B ) ; Sartiano; Torricella; Zibiano; Petrella (P); Rocca; Prete; Casteldelci ( V ) ; Rivalpara; Ugrigno; S. Donato; S. Agata (Feltria) (P); Scanio; Cailetto; Casteldelci ( V ) ; Schigno; Fragheto; Vignola ( R ) ; Serigara
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(P); Serra di Tornano ( B ) ; Petradeluso ( B ) ; Farnano; M.te Gallo; M.te Petra; Rontagnaro; Paderno ( B ) ; Savignano. Internamente al riquadro che reca la scritta Settentrione e l'indicazione: Stato di Romagna; nell'angolo verso destra in basso, intetnamente ai riquadri con le scritte « Mezzo giorno » ed « Occidente »: Stato di Firenze; internamente a quello con la scritto: « Oriente » Stato di Urbino. Assai interessante la veduta panoramica di San Leo contenuta nello stesso volume, con doppia riquadratura (mm. 375 o. X 198 v.). Reca in alto a sinistra (entro riquadro) la scritta « Prospetto I della Fortezza, e Città di San Leo / Capitale / della Provincia di Montefeltro / dissegnato dalla parte verso occidente I mediante la Camera / ottica ». I n basso a destra, entro i l doppio riquadro « Grazj fecit » entro riquadro, i n basso verso l'angolo destro, 10+14 « N o t e » (cioè richiami) chiaramente percettibili anche nella riproduzione fotografica. L a fortezza e la città sono raffigurati nella nota positura; sovrastante i l forte (nel suo profilo bastionato) e al disotto la veduta panoramica ove fanno spicco gli edifici della pieve e del duomo. Ben resa l'erta del «Sasso» e lo scoscendimento. L a pianta ha una sua collocazione ben precisa; va posta come data, dopo la vigorosa rappresentazione del noto dipinto (cinquecentesco) di Palazzo Vecchio di Firenze (di Giorgio Vasari); i l delizioso prospetto nel Codice vaticano 4434 di F . M . Mingucci; l'efficace figurazione (manoscritta) contenuta nel Codice vaticano latino 10700 della fine del secolo X V I I I (« Disegni e descrittioni delle fortezze... dello Stato ecclesiastico »); la splendida prospettiva (a stampa) del Mortier (Blavius - 1704). D'altronde notevole rilievo ha la carta manoscritta del Montefeltro, sia come unicum, sia per la sua precisione.
ALESSANDRO MARCHI
il convento di san domenico al monte di pietracuta
Sul monte di Pietracuta (1) è situato i l complesso monumentale della Chiesa e Convento di San Domenico. Fu edificato nella prima metà del X V I P secolo per volontà e magnificenza del nobiluomo Giovanni Sinibaldi. La continua presenza dei suoi emblemi araldici nella decorazione dell'edificio dimostra che esso venne costruito con l'intento di perpetuare la sua memoria lungo i l corso dei secoli. I l Marini ed i l Clementini ci informano che: « Giovanni Sinibaldi Montefeltrano Luogotenente Civile di Monte Laureto Martani da Spoleto; Gov.re di Rimini nell'anno 1616 . . . » era il Sinibaldi da Pietracuta (2).
(1) S i tratta di una collina di arenaria alta 300 m. circa sjl.m., ajddossata alila gigantesca scaglia di roccia p i ù dura ove tuttora si trovano i resti dell'antichissimo « Castrum Petragudolae ». <2} C, C L E M E N T I N I , Trattato de' Luoghi Pii, e de' Magistrati di Rimino, aggiunito al « Raccolto Istorico », Rimino Simbeni 1617, p. 29. G . B . M A R I N I , Raccolta di varie notizie storiche riguardanti la Città di Montefeltro detta San Leo, eoe , tomo I , 1730, manoscritto dell'Archìvio Municipale di S. Leo, (p. 301 del dattiloscritto presso la Pro Loco di S. Leo). L o
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Dal Contarini apprendiamo che dal 28 ottobre 1633: « Joannes, Sinibaldi de Sinìbaldis Filius, Juris peritus Arimini degens, sed ex Castro praedicto (Pietracuta) orìundus, testamento disposuerat, ut si nullum post se reliquisset, Deo sic disposuerat, semen; .. ., quidquid opum ejus reliquum esset, piis nonnuUis in Patriae suae utilitatem praestitis, quae decreverat, operibus; Fratribus Bononiensis, ut ipse ait, Provinciae, quos unice diligebat, traderetur, ut in memorati Castri Petrae Acutae Summo vertice Conventum costruerent; quibusdam adhibitis condìtionibus, quae ex Testamentariis Tabulis jam typis editis transcribere, temporis nonnisi dispendium putavimus. E vivis recessit ipse die 17. Julii 1649, abiere pariter paucis ab ejus obitu elapsis annis, et Uxor, et Soror, et circa annum, 1655, ut ex dicti Conventus scripturis deprehendimus, Dominicani Ariminenses, loci possessionem obtinuere, et Episcopo Scala annuente, Caenobio, quod nunc etiam incolunt, erigendo sedulam navarunt operam. » (3), Mentre nell'Archivio Parrocchiale di Pietracuta e precisamente nello Stato della Venerabile Compagnia del S.S. Sagramento di Pietracuta, MDCCLXXXV, al f. 3, si legge: « Successivamente nel 1648 il q. Sig. Dr. Gio. Sinibaldi li lasciò altri scudi 560 Mon. Rom. ed una casa, già demolita, come si vede nel suo Testamento stampato. », questo successivo lascito è ancora da ritenersi finalizzato alla costruzione del convento; peccato non sia possibile rintracciare il « Testamento stampato » del Sinibaldi. Poco sopra la metà della facciata della chiesa in un cornicione marmoreo si leggeva, prima della sua corrosione, la seguente iscrizione: « HOC TEMPLO DIVO DOMINICO DICATUM
stemma del Sinibaldi è rafifigurato in alcuni dipinti provenienti da S. Domenico di Pietracuta e conservati ora nel Museo Diocesano di Pennabilli, esso è composto da: uno scudo sormontato da un elmo piumato con due stelle dorate a sei punte in campo azzurro, divise da una fascia rossa con sovraimpressi tre gigli. (3) Jo: B . M. CoNTARENi, De Episcopatu Feretrano, Venitis 1753, pp. 156-7, ed anche A. BARTOLINI, / Vescovi del Montefeltro, Sogliano al Rubicone 1976, p. 128.
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A. D. MDCXL » (4). Un'altra pietra ancor oggi integra, posta nell'angolo nordovest dell'edificio, riporta la data dì ultimazione del complesso al 1664. I frati Predicatori presero possesso del cenobio nel 1655: « . . . fundatus prò Provincia Utriusque L o m b a r d i e . . . » nella qual provincia rimase sino all'anno 1680 quando entrò a far parte della Congregazione di S. Sabina quindi « Una cum coeteris domibus Ordinis per Gallos suppressus est. » presumibilmente agh inizi del XIX" secolo (5). Dopo la soppressione napoleonica, dal 1812 circa, il convento divenne la sede della Parrocchia di S. Pietro di Pietracuta che risiedeva originariamente nella Chiesa dei SS. Pietro e Angelo presso il castello di Pietracuta (6). L'edificio conventuale è stato purtroppo mutilato all'inizio del nostro secolo di quasi la metà del fabbricato originario. Rimangono superstiti la chiesa e l'ala ad essa affiancata, oltre a metà del chiostro; l'ala di nord-ovest, ove erano situate le celle dei monaci, venne distrutta nel 1928 assieme al campanile, sostituito coU'odierno in ferro battuto (7). Tutta la costruzione è strutturata nel suo esterno secondo
(4) L a presente iscrizione mi è stata riportala dal defunto parroco di Pietracuta Don Alfonso Cambriani, il quale ricordava piuttosto la data 16.23, ma in una sua memoria manoscritta del 1929 (Archivio Parrocchiale di Pietracuta) egli riporta la (data 1640. (5) Analectis S, O. F. Praedicatorum, voi I I , p. 94, e Archivio Generale dell'Ordine dei Predicatori, lìb. C , p. 1208; lib. F , p. 194. (6) P. FRANCIOSI, Vicende Storiche di S. Leo antico Montefeltro, Tip. Della Balda S. Marino 1928, pp. 56-7. I l Tani nel 1926 c o s ì scrive: « Pochi i Conventi Domenicani nella nostra diocesi: ve n'era uno a Pietracuta, ora in parte ruinato; . . . » v. A. T A N I , San Francesco nel Montefeltro, Città di Castello 1926, p. 13. (7) C.f.r. Memorie manoscritte di D. A. Cambriani, Archivio Parrocchiale di Pietracuta. I l Cambriani c o m u n i c ò allo scrìvente che il progetto originaile dell'edificio prevedeva un secondo chiostro affiancato al primo che non fu mai realizzato, di questo progetto senza dubbio visto dal Cambriani oggi non esiste più alcuna traccia.
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linee architettoniche puramente rinascimentali. La facciata in cotto della chiesa é scandita da quattro lesene impostate su alti piedritti di disegno classico, identici a quelli usati da Raffaello nelle Stalle Chigi verso via Lagunara a Roma. Due nicchie sono inserite fra le lesene accoppiate ai lati del portale. Sui capitelli toscani delle lesene, ai tre quarti circa dell'altezza della facciata, è posto il cornicione marmoreo - bianco dell'Istria - con l'iscrizione. Al di sopra di esse, in posizione centrale, è aperta un'ampia finestra; quindi la facciata culmina in un timpano classico in cotto, decorato originariamente da rilievi mamorei (8). L'edificio conventuale è affiancato alla Chiesa. La sua facciata s'innesta come una sorta di continuazione della facciata di quella; anch'essa è in cotto ed è percorsa da due cordoni di marmo bianco: uno senza modanature a poco più di metro da terra, delimita la base leggermente scarpata della facciata; l'altro cordone, un vero e proprio cornicione, è posto all'altezza delle finestre del piano superiore e viene a costituire i l davanzale della teoria delle finestre che - incorniciate dalla stessa pietra - si susseguono per tutta la lunghezza della facciata. I portali originali dell'edificio non esistono più; numerose sono le aperture praticate e richiuse in tutto il pian terreno. I due lati conservati del chiostro - con vera centrale - presentano quattro arcate per parte, sostenute da colonne in arenaria di ordine tuscanico; due di quelle angolari recano scolpito sul capitello lo stemma del Sinibaldi. Nel piano superiore del lato del chiostro affiancato alla chiesa è aperta una loggia con cinque arcate: un inserto architettonico pregevole anche nella mesta semplicità del cotto che (ricorda l'interno delle navate principali delle basiliche bizantine, dove le arcate della loggetta corrispondono alle ampie finestre ;di quelle chiese. Notevole è poi, alla sommità dell'altro lato del chiostro, la
(8) Di questi rilievi è rimasta superstite una sola voluta rinvenuta sul tetto ideila chiesa dove era utilizzata quale sostegno di una croce in ferro, ora essa è collocata nei pressi del portale.
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a della Chiesa
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simulazione nel cotto del fregio a triglifi. La decorazione interna dello spazio della chiesa non è priva di qualche incongruenza stilistica, credo dovuta alla successiva impostazione barocca dell'insieme. L'ambiente di pianta rettangolare, la così detta aula usuale nella tipologia delle chiese monastiche, è provvisto di un'ampia abside quadrangolare ove era situato il coro. Ai lati della navata quattro arcate simmetriche individuano lo spazio degli altari laterali: le sole due più vicine all'abside ne erano provviste. Le arcate sono minimamente aggettanti rispetto la parete di fondo, il loro spazio interno corrisponde alla sola misura della ghiera e dei piedritti. Nell'arcata dell'altare del Crocifisso (sinistra) è affrescata un'architettura raffigurante una cappella semicircolare decorata, e nelle pareti e nel catino, da cassettoni in marmo bianco con al centro riquadri e rosette in rosso di Verona; le stesse rosette riemergono nella ridipintura della ghiera dell'arcata: una sorta di illusione prospettica atta ad aumentare lo spazio del vano. L'arcata di fronte, altare della madonna del Rosario, è stata più volte ristrutturata per far posto al baldacchino ligneo di stile barocco che conteneva la statua in cartapesta della Vergine col Bambino (9). Anche la terza arcata è affrescata, questa volta con un motivo decorativo di tendaggi contornanti uno spazio rettangolare atto a contenere un dipinto. L'arcata di fronte dall'SOO è sede del fonte battesimale in arenaria con coperchio ligneo. La cesura fra la navata e l'abside è costituita da un arcone trionfale raccordato alle pareti laterali della navata da un cornicione sostenuto da due lesene per parte. Esse sono fortemente aggettanti dal fondo ed occupano il muro ai lati dell'arcone. Qui si rileva la maggiore incongruenza in quanto le due lesene più esterne spariscono per metà all'interno dei muri late-
(9) I l baldacchino dipinto e dorato verrà restaurato e al p i ù presto ricollocato nell'arcata. L a statua della Madonna del Rosario, interessante prodotto di carattere devozionale della prima m e t à del '600 superstite da un sommario restauro è ora colilocata su un tavolo nella stessa chiesa.
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rali della navata: ci si aspetterebbe infatti che continuassero con una rotazione di 90" sulle pareti di lato assieme al cornicione ad esse sovrapposto. Le lesene terminano con un capitello trapezoidale in stucco, decorato da un fascio di foglie di acanto culminanti in quattro volute. Al di sopra di essi vi è il cornicione, dentellato alla base, che costituisce l'imposta dell'arcone e continua alla stessa altezza per tutto il vano quadrangolare dell'abside. L'arcone è decorato nell'intradosso da cassettoni in stucco che alternano rosoni di gusto classico a grandi stelle a sei punte, emblema araldico del Sinibaldi. Splendido inserto barocco sono poi le grandi piume che al centro dell'archivolto contornano simmetricamente i l medaglione ovale con la dicitura VENEREMUR CERNUI; la parte alta del medaglione è tagliata dal soffitto decorato in origine da cassettoni lignei dorati e intagliati (10). Rispetto a questo inserto fastoso è invece più semplice la decorazione della volta dell'abside che reca al centro una cornice polilobata. Un capitolo a se è costituito poi dalla grande cantoria lignea sovrapposta al portale e dal pulpito inserito fra le arcate della parete destra della navata, ambedue di un gusto architettonico nella modulazione delle forme libere da qualsiasi rilievo, lasciati alla massiccia prestanza del legno naturale. Dei tre altari l'unico conservato è quello maggiore poiché gli altri sono stati distrutti dal crollo del tetto della navata nel 1969 (ll).Esso è stato mutilato dei suoi intagli lignei (12) ed
(10) I l soffitto è stato demolito e probabilmeiite trafugato dopo il 1929. C . f. r. Memorie m.s. di D. A. C A M B R I A N I
cit.
(11) I l tetto è stato ripristinato da pochi anni per volontà delia popolazione di Pietracuta primi fra tutti gli abitanti del Monte ai quali deve andare il nostro p i ù vivo ringraziamento. (12) Lo istìile dell'altare era naturalmente quello barocco, al suo culmine era posta la statua lignea dell'Addolorata mentre sulle volute dei fianchi della mensa erano due cherubini ora collocati nel Museo Diocesano del Montefeltro in Pennabilli: Cfr. il mio catalogo del Museo, in fase di pubblicazione a cura della Curia Vescovile di Pennabilli.
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anche del paliotto in scagliola che assieme ad altri tre (il terzo proveniva dalla distrutta Chiesa di S. Giovanni al castello) è stato trafugato qualche anno fa. All'origine, completa dei suoi arredi, la chiesa doveva presentarsi ricca di decorazioni, partecipe dell'opulenta vivacità illusionistica del gusto barocco. L'edificio monastico si snoda su due piani e costituisce quella parte di convento che era utilizzata per la vita in comune. Al pian terreno notevole la volta a crociera mistilinea del refettorio, sottolineata da costoloni in stucco modellato a rosette e volute che dai quattro angoli si svolgono sino ai tre spazi centinati al centro della volta: in questi spazi erano collocati tre dipinti su tela ora perduti. Al piano superiore si susseguono sei sale di varia ampiezza nelle quali si assiste ad una serie multiforme di sviluppo della tipologia della volta a crociera. Dalla forma più semplice ed arcaica senza costoloni ad una vera e propria volta ad ombrello culminante in una stella centrale che si ripete anche nel pavimento di cotto della terza sala (entrando dalla scala principale). Il convento di Pietracuta è senza dubbio uno dei monumenti più interessanti del Montefeltro, sopratutto per quanto riguarda la sua doppia connotazione stilistica rinascimentale-barocca. Notevole doveva essere il suo arredamento originale del quale rimane solo una parte di dipinti conservati attualmente nel Museo Diocesano del Montefeltro in Pennabilli, fra i quali notevole il Crocifisso su tavola di un anonimo Maestro Riminese dei primi del XIV" secolo. Ci auguriamo che venga ultimato al più preto il restauro dell'edificio, iniziato già da qualche anno da parte della Soprintendenza ai Monumenti delle Marche di Ancona, che restituirà al patrimonio artistico del nostro Montefeltro un'altro pregevole manufatto.
GIANCARLO RENZI
gli insorgenti aretini all'assedio di san leo (1799)
Sulla partecipazione di insorgenti aretini alle operazioni militari connesse all'assedio e alla capitolazione del forte di S. Leo (12 luglio 1799), poche sono le testimonianze ma di notevole interesse storico: non solo e non tanto perché consistono in vicen-
(*) - .Nel dare prosecuzione a l lavoro s u l 1799 delle zone appenniniche, apparso i n « S t u d i Montefeltrani », nn. 6/7 (1978-79) col titolo « Momenti dell'insorgenza nell'Appennino tosco-marchigiano (1799). Parte I : Il « Viva Maria » a Bestino, e quindi ripubblicato — con qualche ampliamento nella parte documentaria — come « Itinerari del "Viva Maria". Dalla Valtiherina al Montefeltro (1799) », Sansepolcro 1980, acquisisco anc o r a i t e r m i n i r i c o r r e n t i di « insorgenza » e « insorgenti » fatti p r o p r i da tutta l a storiografia, m a con l'attenzione a quanto recentemente suggeriva Fabrizio F a b b r i n i (« E' aperto un vivace dibattito sulla mostra del Viva Maria » i n « Notiziario T u r i s t i c o » d e l l ' E . P . T . d i Arezzo, Anno V I I , n . 77, Novembre 1982, pp. 6-9), che meglio sarebbe parlare di « r i v o l t a a r e t i n a » , abbandonando francesismi che sanno di perduranti, restrittive impostazioni storiografiche. Per u n a bibliografia p i ù a m p i a su tutto l'argomento del presente articolo m i permetto di r i m a n d a r e a l p r i m o saggio, di cui questo si pone come naturale prosecuzione.
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de pressooché inedite e sconosciute ma anche perché danno esplicitazione diretta di forme di solidarietà operativa tra movimenti e momenti insurrezionali diversi: pur se realizzate con modalità e motivazioni del tutto particolari. Il Chrisolino, nella sua opera apologetica ma alquanto analitica sull'insorgenza aretina del « Viva Maria », scrive tra l'altro (1): « I Popoli ancora del Monte Feltro erano nostri alleati. Sazi essi dei trangugiati cordogli e disastri, si unirono fino dalli 15 Giugno al blocco del Forte di S. Leo sotto il comando del Nobile e valoroso sig. Domenico de Jacobi Comandante degl'Insorgenti Pontifici e della Città e Forte d'Urbino. Concorse a quest'impresa il bravo sig. Carlo Girelli Aretino Comandante di 12 suoi Dragoni, quali furono mandati da questa Suprema Deputazione alla Città alleata di Penna Billi ». Dopo aver ricordato le trattative, l'assedio e la capitolazione delle forze francesi asserragliate nel forte di S. Leo, il Chrisolino riferisce ancora, ma con qualche imprecisione, di una lettera inviata dalla neo-eletta Deputazione di S. Leo ai Deputati aretini, cui manifestano che « la loro gratitudine sarebbe stata eterna nei fasti della loro Patria, e che avrebbero conservata la memoria dell'alleanza coi magnanimi Aretini come quella che li onorava, ed aveva loro inspirato coraggio » (2). Anche l'anonimo Diario « I Francesi in Toscana » (3) riferisce in data 22 giugno:
(1) G . B . CHRISOLINO, Insurrezione dell'inclita e valorosa città di Arez zo mirabilmente seguita il dì 6 maggio 1799 contro la forza delle armi, e delle frodi dell'anarchia francese, esposta a gloria di Maria SS.ma del Conforto, del Canonico Gio. Battista Chrisolino de' Conti di Valdoppio ecc. e parroco della cattedrale aretina, C i t t à di Castello 1799, I , p. 347. (2) Ivi, p. 353. P o i c h é le parole riferite sono, ad litteram, quelle contenute n e l l a lettera i n v i a t a da Pennabilli ad Arezzo i l 1 8 giugno '99 (Vedi Appendice, I I I ) è da pensare ad u n a confusione nella attribuzione da parte dell'autore. (3) / Francesi in Toscana. Diario genuino dei fatti accaduti nella città d'Arezzo, terre e castelli del Gran Ducato, Firenze 1799, p. 48.
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« Si seppe che una quantità di Nostri uniti coi Popoli della Carpegna, Città della Pieve (S. Stefano) e altri luoghi alleati si erano portati ad assediare la Fortezza di S. Leo, ove si erano rifugiati molti Francesi scappati da Rimini stata presa dai Tedeschi ». E il 17 lugho annota: « Per mezzo di corriere si ebbe la nuova della resa fatta dalla Fortezza di S. Leo alle Truppe Aretine e Alleate » (4). Sull'altro versante geografico, il Guidi, uno dei comandanti le truppe d'assedio a S. Leo, nel suo Giornale scritto a caldo e stampato a fine agosto del 1799, rammenta che il 19 giugno giunse il De Jacobi, che « si portò al Campo scortato da vari Dragoni venuti il giorno avanti dalla Toscana, capo de quali era il Sig. Carlo GirelH Aretino »; se ne partì, poi, accompagnato dal « soliti Dragoni » (5). Queste, in pratica, sono le prime, scarne testimonianze tramandate dagli storici e dai diaristi dell'epoca. GH storici futuri ben poco hanno aggiunto a tali conoscenze. L a storiografia, infatti, si è sempre pressoché disinteressata della presenza aretina nell'insorto Montefeltro: quella di ieri, come quella di oggi; sia i Tosco-Aretini, intenti ad esaltare le tappe espansionistiche verso Siena, Firenze, Perugia e le altre locahtà del versante tirrenico, sia gli storici romagnoli e marchigiani, più dediti a documentare i momenti della propria rivolta popolare. Non si discostano dal clichè le manifestazioni tenute ad Arezzo nell'autunno 1982 « Arezzo tra rivoluzione e insorgenze, 1790-1801 »: nessuna notizia nella mostra documentaria circa gli avvenimenti di S. Leo e nessuna nuova attenzione a questa direttrice di espansione del moto del « Viva Maria » nella omonima pubblicazione edita per l'occasione (6). ,> .
Ivi, p. 60. (5) L U I G I G U I D I , Giornale delle operazioni degl'insorgenti del Monte Feltro sotto il Forte di San Leo, disteso dal dott. Luigi Guidi e dal medesimo dedicato a Sua Eccellenza Andrea Querini Consigliere intimo attuale di Sua Maestà Imperiale, U r b a n i a 1799, p. 13. (6) IVAN TOGNARINI (a c u r a d i ) , Arezzo tra rivoluzione e insorgenze. 1790-1801, A r e t i a L i b r i 1982: i l volume, cos ì come l a m o s t r a omonima col (4)
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Certamente l'apporto degli Aretini nelle vicende feretrane non fu nè determinante militarmente, nè politicamente focale, eppure in esso vi si trovano tutti gli aspetti caratteristici della insorgenza; e tra questi: patriottismo, religiosità, approssimazione organizzativa, accaparramento di armi, comune senso di ribellione contro i Francesi, attaccamento agli allontanati governanti: aspetti che emergono dai fatti in cui gli Aretini si trovarono in qualità di co-protagonisti e soprattutto dalla corrispondenza residua che Carlo Girelli — uno dei « commissionati » aretini — intrattenne con la Deputazione di Arezzo: un breve epistolario conservato nell'Archivio di Stato di Firenze (7). Da esso v'è conferma ohe le scorrerie del Girelli nelle valli del Marecchia e del Foglia e nel cuore stesso del Montefeltro, fin dal 30 maggio, ubbidivano essenzialmente alla impellente necessità degli Aretini di avere armi, soprattutto artigHeria pe-
sottotitolo « Documenti e immagini per una ricerca storica » tenuta presso i l M a z z o Pretorio di Arezzo d a l 25/9 a l 30/10-'82, i n qualche parte fa torto a i n n o v a t i v i approccci sulla rivolta aretina; approcci, invece, che non sono m a n c a t i alla tavola rotonda « Moti popolari, insorgenze, rivoluzione n e l l ' I t a l i a d i fine 700» con: M . B e r c è , 1. A . Davis, S. I . Wolf e I v a n T o g n a r i n i , tenuta i l 27 settembre, sempre ad Arezzo. D i u n a certa f r e t t o l o s ì t à nel documentare gli eventi dell'insorgenza e le l o c a h t à interessate c ' è sentore nella cartografia i l l u s t r a t i v a del volume, dove anche tutta l a V a l t i b e r i n a è sorvolata e Carpegna è geograficamente indicata i n modo inesatto. (7) Complessivamente le lettere interessanti l'assunto del presente argomento sono dieci: otto scritte dal G i r e l l i alla Deputazione di Arezzo, e
cioè:
il
17
giugno
da
Carpegna
( A R C H I V I O STATO
FIRENZE
(A.S.F.),
Governo Provvisorio Arezzo, f. 8, c. 295; i l 18 giugno da Pennabilli (ivi, c. 316); i l 23 giugno (c. 370), i l 24 giugno (c. 396), i l 26 giugno (c. 391), 1*8 luglio (c. 808), i l 24 luglio (c. 932): tutte da S. Leo; i l 3 agosto (c. 615) da Pennabilli. C'è, inoltre, u n a lettera dei Rappresentanti di Pennabilli direttamente collegata a U ' a t t i v i t à del G i r e l h {ivi, c. 319, datata 18 giugno) e una, s c r i t t a dal G i r e l l i da S . Leo i l 20 giugno, indirizzata a l l a Deputazione di Sestino (ivi, f. 22, fogli sciolti), dalla quale s i capisce che c'erano resistenze da parte dei Sestinati sulla compartecipazione alle spese delle operazioni m i l i t a r i : «L'altre Comunità si sono fatte in dovere di pagare non solo il vitto ma l'intera paga, però il vitto, l'occorrente, il resto pensino lor Signori »...
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sante, e munizioni (8). Non pare, invero, che altrettanto pesanti siano state le requisizioni di granaglie e di denari: questi furono rapinati — come primo atto degli Aretini, capeggiati proprio dal Girelli — appunto a Badia Tedalda, a Sestino e quindi a Carpegna: ciò motivandolo col fatto che avendo defenestrato le magistrature erette dai Francesi, gli Aretini pretendevano di riscuotere \'« imprestito ordinato da S.A.R. » o le quote della tassa di Redenzione. Di incetta di grano c'è notizia solo in un appunto del doganiere Clemente Maestri (?), che il 23 giugno scrive da Motolano alla Deputazione di Sestino affinché per la mattina successiva il vetturale Giuseppe Ruggerì si porti con
(8) A l t r a documentazione coeva i n f o r m a su singoli episodi i n materia. G i r e l l i , tornando da Carpegna, dove era stato a prendere due cannoni, « nel partire da Sestino... portò seco lui un fucile alla militare, senza baionetta, con cintolo nero » (A.S.F., fondo cit., f. 4, c. 537: lettera di Giovacchino M a r i n i , da Sestino, del 6 giugno); quindi chiede a Scavolino «i noti cannoni iy. «mi anno risposto e guasi assicurato che due soli cannoni e 5 spingarde melaverebbero date » (ivi, c. 467, lettera del Girelli da Pieve S. Stefano, deir8 giugno). Vincenzo C a m b i , Capo Deputazione dì Pieve S. Stefano, conferma che i due « commissionati », Carlo G i r e l l i e Filippo E r m i n i , ebbero i n prestito d a alcuni p r i v a t i del luogo « alquanti fucili » che ora i proprietari richiedono per « l'urgenza della particolare difesa » (Ivi, t 4, c. 457, lettera del 6 giugno). F a r e incetta di a r m i , e altro, non era d'altra parte prerogativa peculiare degli A r e t i n i . Scrivono i Deputati di B a d i a T e d a l d a : «Dopo l'ingresso delle Truppe Francesi nella Toscana, il Potestà di Badia Tedalda di commissione del Sig. Capitano Brozzi, di cotesta città (Arezzo) dovè spedire n, 25 fucili con baionetta, 25 cavastracci, 25 pietre e 150 cariche all'Arsenale di Siena (Ivi, c. 613, L e t t e r a dei Deputati di B a d i a Tedalda, del 14 agosto). E l a magistratura giacobina di S. Leo g i à i l 13 febbraio 1798 scriveva al « c i t t a d i n o Carletti, Governatore di C a r p e g n a » : «Nell'ingresso delle truppe Polacche fatto in questa città siamo rimasti privi an che delle armi occorrenti per organizzare la nostra Guardia Civica. La necessità ci costringe a rivolgerci nel giorno di ieri al cittadino Mattei Ministro di Scavolino, chiedendoli in prestito de fucili con baionette corrispondenti e patrontasche ». A Scavolino, p e r ò non c'erano fucili m a solo esorbitanti « s p i n g a r d o t t ì », per c u i dirigono l a richiesta a Carpegna, chiedendo 50 fucili m u n i t i di tutto punto (da u n documento comunicatomi dal dott. L o m b a r d i ) .
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tutte le sue bestie nei luoghi prefissati per trasportare il grano da lui comprato, e cioè staia 56 a Motolano e stala 30 a Colcellalto (9). Una lettera, invero, per altro interessante, con la quale i Deputati di Arezzo raccomandano ai Deputati di Sestino e di Pieve S. Stefano il necessario aiuto per il Girelli, non fa chiara menzione degli scopi che si prefiggono: « Da questa Deputazione Suprema Aretina restano pregate le Deputazioni rispettivamente di Sestino e della Pieve S. Stefano a voler dare gente armata al Sig. Carlo Girelli, per una intrapresa assai facile, e che è molto interessante per Noi, volendo che egli si riguardi come uno de' nostri Commissari » (10). Mancando, però, la lettera, della data e di precisi riscontri è difficile ipotizzare le finalità della richiesta; non si riferisce, comunque, al primo arrivo nella zona (30 maggio), perchè in quel tempo non c'era ancora Deputazione a Sestino; dal che potrebbe dedursi di operazioni relative sia a Carpegna - Scavolino-Bascio, che a S. Leo. E molto probabilmente proprio per reperimento di armi. A ciò consiglia, d'altra parte, appunto il fatto che tra gli scopi principali ed immediati dell'azione transpenninica del Girelli e di Filippo Ermini (essi, infatti, sono i due Commissari che a più riprese operano nella zona, spostandosi sovente — a seconda delle necessità — ora a Pieve S. Stefano, ora ad Arezzo; la presenza dell'Ermini, comunque, è scarsamente documentata) tra gli scopi, dicevo, furono proprio i cannoni di Carpegna, trasportati ad Arezzo con incredibile velocità nei primi giorni di giugno (11). Se questo fosse atto di pirateria o se avvenisse col consenso del locale governo è impossibile dirlo: fatto è che la Contea non aveva assunto atteggiamenti di rottura in una temperie quantomai tormentata e mutevole. Ma pochi giorni dopo — e questo è alquanto inspiegabile — fu con un
(9) A.S.F., fondo cit., t 2 2 , carte sciolte. (10) Ivi, f. 2 2 , carte sciolte. ( 1 1 ) V e d i , i n proposito, quanto già riferito i n «Momenti genza»,
cit.,
pp.
122, 152-154.
detVinsor-
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assalto in piena regola che il Girelli vuota l'armeria di Carpegna, alla testa di un manipolo di 22 persone, evidentemente raccolte in gran parte nella zona (12). Prese le armi e speditele ad Arezzo (13), il GireUi si dirige su Pennabilli e, prevedendo una sollecita resa di S. Leo, chiede al Governo aretino nuove disposizioni: « se devo lasciare tutto o devo fare altre spedizioni di Armi » . . . : dal che appare — come anche da successive annotazioni — che la ricerca di armamentario era ancora un motivo basilare di questa presenza aretina nel Montefeltro. Girelli giunse nella « città della Penna » la sera del 17 giugno, accolto con « un applauso di dimostrazione e di giubilo » (14) con 12 persone a cavallo e quelle poche di truppe a piede », offrendo i suoi servigi in nome della città di Arezzo. Di ciò vengono informati gli assedianti di S. Leo e, dato il loro numero ormai elevatissimo (Girelli parla di 2500 persone) vengono accolti solo i 12 dragoni a cavallo: e questo nucleo rappresenta d'ora in poi, per quanto risulta, la forza effettiva degli Aretini all'assedio di S. Leo. C'è da considerare, infatti, che anche nel Montefeltro in quei giorni, per un'azione d'assedio e con la necessità di collegamenti rapidi tra
(12) A . S . F . , fondo cit., f. 8, c. 396. Corre robbligo di avvertire che nel precedente articolo non erano state distinte le due azioni fatte i n Carpegna d a parte del G i r e l l i . Occorre, a l t r e s ì , sottolineare che l a Contea di Carpegna f u « luogo d a Dio preservato dalla quasi universale m a n i a francese »: da u n a dichiarazione d i Gaspare Carletti, Governatore di Carpegna, del 4 agosto, i n : Serie di dichiarazioni documentati sulta diretta, giusta ed equa condotta del Nobile Signor Gio. Domenico de lacobi », Urbino 1789, p. 27; cfr. FRANCESCO V I T T O R I O LOMBARDI, La Contea di
Carpegna,
U r b a n i a 1977, p. 136. (13) S u l'utilizzo e l a distribuzione di queste a r m i — o sull'intero episodio — s i coglie qualche dissapore t r a i l G i r e l l i e i m i l i z i a n i di Pieve S . Stefano: vedi lettera del 2 4 giugno, fondo cit. f. 8, c. 396, Appendice V . (14) Ivi, c. 316: lettera del G i r e l l i da Pennabilli, del 1 8 giugno; cfr. Appendice, I I . L e sue affermazioni sono consonanti con u n a lettera, dello stesso giorno, (ivi c. 319) spedita ad Arezzo dai Rappresentanti d i Pennabilli ( C f r . Appendice, I I I ) : «Un generale avviva ha accolto U sig. GireUi Commesso di codesta Suprema Deputazione ed i bravi Soldati che l'accompagnano ».
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le varie zone, occorrevano soprattutto soldati piuttosto attrezzati e con una certa esperienza militare (15). In una lettera del 18 giugno, la prima spedita « da l'assedio di S. Leo » (16) il Girelli indirettamente dimostra che non c'è una precisa, programmata, strategia politica comune a guidarlo, sono piuttosto gli avvenimenti che lo prendono per mano, e per questo attende sempre nuove istruzioni da Arezzo; ma poiché tutto il Montefeltro attraversava in quel momento un periodo esaltante di patriottismo e di religiosità, non poteva non essere trascinato verso il punto focale di quel movimento, S. Leo appunto, caposaldo militare e simbolo feretrano per eccellenza; probabilmente anche con la speranza di guadagnar armi per Arezzo e gloria per sè stesso, se in questo senso possono essere interpretate le esultanze per il felice assalto a Carpegna (17). Certo è che traspare, dalla stessa corrispondenza, una affinità politica, oltre che strategica, tra il gruppo degh Aretini, le masse popolari e la presenza austriaca, capeggiata dal De Jacobi. E insieme agli aspetti militari — la cui forza, considerata l'entità numerica è pressocché simbolica — è la comunanza degli ideali che giustifica la presenza e i compiti affidati al solerte manipolo di Aretini: ideah, intanto, che hanno un preciso raccordo nel sentimento rehgioso (18). Nella citata lettera del 18 giugno una postilla ci fa avvertiti del substrato fideistico che fa da ancoraggio: « Preghino la SS. Vergine ~ scrive appunto il Girelli ai Deputati di Arezzo —
(15) I l comandante dell'assedio, i l generale De Jacobi, — scrive G i relli ad Arezzo — « bramerebbe 6 artiglieri uno buono e l a l t r i che sapessero qualche c o s a » . . . (Ivi, fondo cit., c. 370; cfr. Appendice, I V ) . (16) Ivi, fondo e filza citati, c. 295; cfr. Appendice, I . (17) Ivi, fondo e filza citati, c. 396: lettera del G i r e l l i del 14 giugno; cfr. Appendice, V . (18) U n riconoscimento a U ' a t t i v i t à del G i r e l l i è anche i n questo passo del G u i d i (Giornale delle operazioni degl'Insorgenti... cit., p. 18). I l 3 luglio si portano a S. Leo De Jacobi e i l Maggiore Gio. Subotich, visitarono « Posti e T r i n c e r e » e « restarono contenti de' l a v o r i fatti e meritatamente
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che se si deve restare che ci guardi dalle cannonate non avendo punta cavalleria ». Una preghiera corale che trova riscontro nel l'atteggiamento degli assedianti, come scrive il Guidi: « Nel Campo, e con tutta verità l'asserisco, regnò sempre la pietà e chiaramente lo dimostrava il recitare ogni sera ad alta e divota voce le Litanie; ed era un piacere sentire ne diversi Quartieri dire il SS. Rosario » (19). E il 23 giugno, sempre il Girelli, scrive: « Questi Sig.ri Ufiziali gradirebbero una madonna di argento per ciaschuna persona che sono 6 ». .. e chiude « con la solita raccomandazione alla SS. Vergine » (20). Ma il ruolo degli Aretini, dicevo, fu, di fatto, militare e politico insieme; la risonanza delle gesta di Arezzo era avvertita anche a quella distanza; stima e timore, pare, consigliano alle località che vengono in contatto con gli Aretini, un atteggiamento e rapporti improntati a rispetto e collaborazione: il Girelli, in effetti, con i suoi dodici dragoni è il segno tangibile di una potenza vincitrice — quella delle armate aretine, che momentaneamente hanno travolto le forze e gli odiati « partitanti » francesi — e di una alleanza di fatto, che solo tardi, comunque, a fine luglio, verrà formalizzata: allora verrà inviato un Deputato feretrano « per chiedere alleanza con (co)testa Città come tutte laltre comunità che sono sottoposte che sono 36 castelli » . . . (21). Per questo, probabilmente, il ruolo ufficiale del Girelli cresce; la considerazione di cui gode non è poca: ma non bisogna dimenticare, per comprendere il tutto, i primi contraddittori passi mossi dai rivoltosi del Montefeltro e la necessità — torno a sottolineare — di truppe ben organizzate, a lato delle indisci-
lodarono l i S i g . Buonazzi e G i r e l l i stati instancabili i n tali lavori ». E ' d a ritenere a t t r i b u i b i l e a l nwcleo del G i r e l l i i l « Dragone Toscano » che accompagna i l De J a c o b i nell'ingresso in U r b i n o per prendere possesso d i queilla c i t t à e forte («Serie di dichiarazioni documentali...» cit., p. 52. (19) G U I D I , Giornale delle operazioni degl'Insorgenti... cit., p. 27. (20) A . S . F . , fondo citato, f. 8, c. 370. (21) Ivi, f. 8, c. 932; lettera del G i r e l l i , del 24 lugUo; cfr. Appendice, V i l i . . . I
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plinate masse di combattenti popolani — di cui quelle a cavallo dovevano essere certamente poche e le più necessarie (22). Così la lettera del Girelli del 23 giugno è firmata come « Direttore del Campo di San Leo »; quella dell'S luglio, con « Carlo Girelli Comandante », può essere ugualmente significativa (23). Compiti ufficiali e missioni, poi, ne sottolineano maggiormente il ruolo. Sempre nella lettera del 23 giugno, ad es., il Girelli fa sapere ad Arezzo che è stato a pranzo dal generale De Jacobi, il quale lo ha « incombenzato di varie cose anche per (co)testa nostra città»; e ancora: «In questa mattina medesima per ordine del medesimo (De Jacobi) sono andato tre volte al Forte San Leo » nell'ambito delle trattative per una tregua d'armi e la capitolazione (24); il 25 giugno va a Rimini per incontrare di nuovo il De Jacobi e « appena tornato andiedi a parlamentare alla Fortezza »; i Francesi si raccomandano per qualche altro giorno, il Girelli ne informa il Generale per decidere la risposta da dare. Chiude la missiva in fretta perché « devo partire per vedere (ne)i posti avvanzati vari lavori che ò fatto fare in questa notte » (25). L'8 luglio passano a S. Leo nuove truppe di Ungheri e Tedeschi e il Girelli riceve i comandanti e quindi li fa accompagnare da due dragoni « a farli strada » (26). Il forte di S. Leo cade finalmente il 13 di luglio: o meglio il 12 viene firmata la capitolazione e il 13 escono gli assediati, che vengono accompagnati a Rimini. I l « Digitus Dei est hic », la gazzetta ufficiale della insorgenza aretina, dà ampio risalto all'avvenimento, in due edizioni successive: in quella del 20 lu-
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glio, in cui pubblica una prima redazione della capitolazione del Forte in possesso delle « nostre Truppe Alleate »; e in quella del 27 luglio, per meglio precisare i contenuti della stessa. Nella varia storiografia sulla resa del forte, di parte romagnola e marchigiana, gli Aretini non vengono ricordati; ciò vale anche per gli attenti e solitamente particolareggiati Tonini e Zanetti: « // Comandante Francese Fabert dopo la solenne battuta datagli, come già riferii, sotto queste mura dalla nostra marinareccia unita a Cittadini, era corso a rinchiudersi in quello colVavanzo della sua Truppa, sperando di poterne poi uscire con onore; ma gli avvenne tutto l'opposto, mentre il Forte sebbene fornito di sufficiente Guarnigione e di abbondanti munizioni fu pure ceduto dal Comandante Cisalpino Giuseppe Susini allo stesso Signor de Jacobi, capitolandone la resa li 13 corrente » (27). Caduto il Forte, il Girelli si ferma ancora per qualche tempo a collaborare e svolge vari incarichi, tra i quali il tramite tra il De Jacobi e Arezzo circa l'avvenuto ampliamento delle competenze del Generale e le operazioni militari connesse, quale l'assedio di Perugia (28). Probabilmente resta solo, poiché si lamenta con i Deputati di Arezzo « di nuovo rispedire i dragoni di qua partiti accompagnati da un passaporto del Sig. Magg. Subotic, e non rivedendoli è cosa poco a/loro decorosa »; e forse ciò è causato dal fatto che egli è stato ad accompagnare — più volte — i prigionieri verso Venezia: . . . «la mia partenza sarà verso domenica alla volta di Venezia dove ero partito altra volta con tutti i prigionieri di questo Forte » (29). Normalizzata la situazione nel Montefeltro a favore degli
(22) I I Giornale del G u i d i h a passi molto significativi i n proposito. Partito — i l G u i d i — l a m a t t i n a d e l l ' I 1 giugno da Pennabilh con u n a s q u a d r a di 20 persone p o i c h é avevano sentito « c h e alcune Popolazioni rivoluzionate andavano a circondare i l F o r t e di S. L e o » , quando giungono s u l posto non trovano nessuno . . . « quando all'improvviso s i sparge voce essere uscito dal F o r t e T r u p p a a r m a t a . . . nel p i ù bello s i vidde da tutti abbandonato e r i m a s s e con sei soli U o m i n i » (p. 8). (23) Cfr. Appendice, rispettivamente I V , V I I . (24) Ivi, fondo cit., f. 8, c. 370; cfr. Appendice, I V . (25) Ivi, fondo oit., f. 8, c. 391, cfr. Appendice V I . V e d i anche nota 18. (26) Ivi, fondo cit., f. 8, c. 808; cfr. Appendice, V I I . \
(27) Così C . TONINI, Rimini dal 1500 al 1800, VI, Della storia civile e sacra riminese in proseguimento all'opera del Comm. Luigi Tonini, R i stampa anastatica, p.924-925, che riprende ZANOTTI, Raccolta di stampe, I I I . e Manoscritti, X , p. 254^256. E ' appena da ricordare, q u i , che l a capitolazione fu ampiamente contestata a l De Jacobi. (28) A . S . F . , iondo cit. f. 8, c. 93.2: lettera del G i r e l l i del 24 luglio; cfr. Appendice, V i l i . (29) Ivi. Significativa anche u n ' a l t r a notizia che s i ricollega a questa
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G.
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insorgenti, spostatosi il teatro delle operazioni belliche nel Centro Italia e in direzione di Roma, non ce più motivo per una presenza di Aretini nella zona: l'indole guerresca del Girelli freme, si sente, appunto, demotivato; il lavoro è defatigante e non dà più lustro. Le poche lettere contengono annotazioni veloci ma significative, tratti umani e un po* di nostalgia: « Mi salutino a casa mia le mie genti » — aveva già scritto il 26 giugno; « Avvisino qualche cosa a casa mia per mia contentezza non avendo altro tempo per scrivere » (24 luglio). E , infine, il 3 agosto: « Spero presto di tornare che già mi è venuto a fastidio »... (30), Ma resta sempre vivo in lui il senso e la responsabilità di svolgere un compito — difficile e travagliato — per la Patria; e per questo non risparmia fatica di giorno come di notte (31). Scrive di corsa e veramente in modo sgrammaticato e asintattico, quasi incomprensibile, di cui lui stesso avverte i limiti: « Scuseranno se poco mi faccio capire con le mie essendo tutto il mestiere del melitare è tutto diferente al mio e si dorme in terra e sempre in/agitazione e troppo è lo/strapazzo che si fa ma questo lo faccio volentieri per servire la mia Patria » (32). E per la patria fino all'ultimo cerca armi, sempre armi. Spera che la presa di S. Leo costituisca un'occasione fortunata per spedire verso Arezzo nuovi pezzi di artiglieria e munizioni ma sembra che poche speranze siano andate in porto, anche perché
per l a destinazione di m o l t i prigionieri politici: «Si sa poi da lettere particolari che i Giacobini si arrestano dal Comando Austriaco, e quindi rasi nel capo e bollati nel volto si spediscono nella Siberia {fondo cit., f. 4, c. 257: lettera di Vincenzo C a m b i , del 6 giugno). S u l problema dei deportati politici, vedi anche: G I U L I O CESARE MENGOZZI, Gaetano Urbano Urbani delegato all'Organizzazione del Montefeltro, in « S t u d i Romagnol i », X X I (1970), p. 504; L U I G I
Italia. I deportati politici ri forzati in Ungheria e (30) Cfr. Appendice, (31) Ivi, f. 8, c. 9 3 2 : (32) Ivi, fondo cit., dice, V I .
RAVA, Le
prime
persecuzioni
austriache
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ARETINI
la situazione politica e militare era ormai dominata dagli Austro-Russi e ad essi dovevano essere indirizzate le richieste (33). Se conclusioni possono trarsi — allo stato attuale delle ricerche, che certamente necessitano di altri supporti documentari —- è che non fu infruttuosa la presenza aretina nel Montefeltro (34); questo, così come tutta la Valmarecchia e la valle del Foglia, senza precostituite alleanze, avevano preso le armi — pur con sacche di ritrosia — contro l'avvilupante presenza francese; per queste contrade transitavano itinerari commerciali e canali informativi che avevano un importante e attento capolinea in Arezzo: pertanto di là si guardava con comprensibile interesse a tutto quanto accadeva nella fascia adriatica. Gran parte delle notizie, infatti, giungono ad Arezzo proprio dalla Romagna: si seguono l'avanzata degli Austriaci, i ripiegamenti francesi, la caduta delle municipalità giacobine e il sorgere delle nuove magistrature in nome della « Sacra Cesarea Maestà »; si spargono — ed è quasi una norma generale — notizie contraddittorie per influenzare in un senso o nell'altro gli avvenimenti. Ma Arezzo teme anche che dalla Romagna e da S. Leo possano muoversi contro di essa forze dell'esercito francese o spera che da quella direttrice giungano aiuti militari. Su tutto ciò c'è una notevole documentazione, che, pur accennata, dà ulteriore giustificazione alla presenza aretina nella Valmarecchia e nel Montefeltro: « A Rimini sono sbarcati i russi in gran quantità tanto a piede che a/cavallo e che sinviano tutti nella Toscana » ... « e se facessero una sortita quelli di S. Leo mi avviseranno tanto alla pieve (S. Stefano) che in Arezzo » — così scrive il GirelH l'S giugno (35). E il 27 giugno, da Vergherete, si comunica ad Arezzo: « Ci fu recato, dunque, la nuova, che in Cesena correva voce che Arezzo era in mano dei Francesi, la quale aveva già messo in
in
cisalpini del Dipartimento del Rubicone ai lavoalle tombe di Sebenico, 1799-1800, Bologna 1916. rispettivamente V I , V i l i , I X . lettera del 2 4 luglio; cfr. Appendice, V I I I . f. 8, c. 3 9 1 : lettera del 2 6 giugno; cfr. Appenf
(33) Ivi, fondo cit., f. 8, c. 932; cfr. Appendice, V i l i , I X . (34) V e d i anche considerazioni dello scrivente nel cit. « Momenti l'insorgenza
(35)
»...
pp.
A . S . F . , fondo
153-154, 176.
cit., f. 4, inserto: lettere di Pieve S . Stefano.
del-
9.2
G. R E N Z I
entusiasmo l'abitato Cesenatico » (36). I l tre giugno Pieve S. Stefano si arma per andare « ad incontrare alcune truppe di Giacobini e Francesi che si dicevano fuggitivi di Rimini » (37). Una presenza militare e politica, in definitiva, se accomunava negli intenti i popoli insorti, consentiva ad Arezzo una fonte informativa diretta e in qualche momento, come già rilevato, una discreta pressione politica — in una fascia geografica strategicamente significativa — derivante dal successo che il moto aretino si era conquistato in un ampio territorio dell'Italia Centrale. Ciò sta nell'analisi dei fatti. Anche se può essere comprensibile che i protagonisti aretini abbiano enfatizzato la presa di S. Leo attribuendosi meriti maggiori del consentito e che gli « alleati », nel protagonismo della lotta e delle glorie rivendicate, abbiano evidenziato maggiormente gli apporti e gli aspetti localistici.
GLI
INSORGENTI A R E T I N I
93
APPENDICE
I ARCHIVIO STATO F I R E N Z E ( A . S . F . ) ,
GOVERNO PROVVISORIO AREZZO,
F . 8, c . 295. LETTERA D I CARLO G I R E L L I
SULL'ASSALTO A CARPEGNA ( 1 7 GIUGNO
1799) S t i m a t i s s i m i Signori, Alle ore 6 c i r c a ricevo l a S u a gentilissima che avevo g i à preso con forza e fucilate con 22 persone sole le A r m i di Carpegna che g i à lavevo spedite e anche avevo spedito tutto a l l a C i t t à della penna, dunque per decoro di L o r Sig.ri e Mio m i conviene andare p e r ò se non o c c o r r e r à e che s i a i n breve l a resa di Salleo io p a r t i r ò subbilo seno m i scrivono ciò che io devo fare per m i a Regola se devo lasciare tutto o devo fare altre spedizione di A r m i m i spediscano che senza novo ordine non parto dalla c i t t à della Penna e pieno di s t i m a m i confermo Aff.mo e Devot.mo S u a S e r v i t o r e Carlo G i r e l l i , Carpegna 17 giugno 1799 P.S. M i sono fatto fare testimonianza della lettera e d i tutto.
II A . S . F . , GOVERNO PROVVISORIO AREZZO, F . 8, e. 3 1 6 LETTERA D I CARLO G I R E L L I SULL'INGRESSO I N PENNABILLI E VICENDE DELL'ASSEDIO DI S . L E O ( 1 8 GIUGNO I l l m i Sig.ri,
(36) Ivi, fondo cit., c. 614r. (37) Ivi, c. 456, inserto; Lettere di Pieve S. Stefano, lettera del J e r l a n i t z .
1799) -
C r e d e r ò che avranno ricevuta a l t r a m ì a scritta da i diciassette dalla medesima riscontreranno i l mio operato. Non mie parso dovere di ritornare n e l atto che ho ricevuto l a lett e r a avendo spedito per mezzo di u n espresso di Carpegna a l l a C i t t à della Penna rappresentandoli le 12 persone a cavallo e quelle poche di
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truppe apiede e che nel istesso ci offrivano a s e r v ì r l i nelle loro bisogna come nel caso sono. A r i v a s s i m o alla d. C i t t à della Penna alle 7 della sera con u n applauso di dimostrazione e di giubilo, anno subbito spedito a l Campo dove sono a r r i v a t i 3 ufiziali Tedeschi e che i n nome della nostra C i t t à lanno offerto la nostra s e r v i t ù a cavallo l a l t r i avendoci assicurato che non cene di Bisogno essendo in n. .2500 e questi si sono avvanzati per insino alle mur a della Fortezza e nanno amazzati 5 e 7 sono feriti m a da F r a n c e s i dei n o s t r i altro che uno estato ferito i n u n a spalla; anno g i à intimato l a resa m a invano si tenta, s i sono d i c h i a r a t i di volersi difendere fino a l u l t i m i estremi con i l Cannone m a delle vettovaglie nanno pochissime esono m a n c a n t i di v a r i generi che poco potranno stare a rendersi. I n questa m a t t i (na) si parte per i l Campo se non averanno altre mie si torna seno dentro domani s p e d i r ò e l i faro del tutto intesi scusino e pieno d ì perfetta s t i m a c i dichiaramo D i V . I l l m i Penna 18 Giugno 1799 P.S. Receveranno questi fogli avendomi pregato questa Deputazione d i n v i a r l i anome del Generale J a c o b i preghino l a S S . Vergine che se si deve restare che c i guardi dalle cannonate non avendo punta C a v a l l e r i a . Carlo G i r e l l i l o Pietro Pasquahni
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n e c e s s i t à , m a in nostro potere non stanno i n a u r a maniera. E ' probabile, che s'abbiano ad adoprare nel Blocco della fortezza d ì S. L e o . Terminato quest'ostacolo p o t r à allora facilmente ottenerti dal Ministro del Prinoipe di Scavolino. D i questa v e r i t à p o t r à a s s i c u r a r l i i n voce lo stesso S.r G i r e l l i , i l quale questa m a t t i n a m a r c i a con dodici Dragoni a l blocco d i S . Leo, per concorrere con l i a l t r i a quest'impresa. L e S S . L L . U l . m e contino sempre sulla nostra buona v o l o n t à dì s e r v i r l i e d'impiegare le nostre forze i n tutti quei casi, che l a n e c e s s i t à esigesse e in tutte le maniere, che stanno i n nostro potere. Accettino pertanto i sentimenti della nostra riconoscenza. S u l momento c i giungono delle stampe da far giungere anche alle S S . L L . U l . m e e c i facciamo u n dovere di comunicargliele subitamente. Pieni di s t i m a e rispetto c i protestiamo Delle S S . L L . I l l . m e Penna 18 Giugno 1799 A. B o n a n n i Rap.e Pio Mazzanti Rap.e
IV A . S . F . , GOVERNO PROVVISORIO AREZZO, F . 8, c.
III
DI AREZZO ( 2 3 GIUGNO 1799) CON VARIE R I C H I E S T E
A . S . F . , GOVERNO PROVVISORIO AREZZO, F . 8, e. 3 1 9 LETTERA D E I RAPPRESENTANTI DI PENNABILLI PER I DEPUTATI DI AREZZO SULL'ALLEANZA CON QUELLA CITTÀ ( 1 8 GIUGNO 1799)
(Da lassedio di S a n Leo) Ill.mi
lU.mi
Signori, Sig.ri
P.roni
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LETTERA D I CARLO G I R E L L I DALL'ASSEDIO DI S . L E O PER I D E P U T A T I
Signori
Colmi,
U n generale avviva h a accolto i l Sig. Girelli Commesso di codesta S u p r e m a Deputazione ed i b r a v i Soldati che l'accompagnano. L a di l u i venuta, e le cortesi espressioni del loro gentilissimo foglio h a n t e r m i n a l o di persuaderci del loro buon animo. E ' per questo, che l a nostra gratitudine s a r à eterna, e ne' fasti dì questa nostra P a t r i a s i c o n s e r v e r à l a m e m o r i a dell'Alleanza co' m a g n a n i m i Aretini, che ci onora, e c'inspira coraggio. C i dispiace estremamente di non poter corrispondere, come vorressimo, alle L o r o premure. Qui non abbiamo fucili superflui, anzi c i mancano. D i quelli di Scavolino non ne possiamo assolutamente disporre. Se ci bisognassero, adopreremo per averli quella ragione, che accorda ,la I
V
I n questa matti(na) m i è convenuto andare a trovare i l Generale de Jacobbi e sono stato a pranzo con l u i nel istesso tempo m i à inconbenzato di varie cose anche per (co) testa nostra C i t t à . L a p r i m a che bramerebbe sapere precisamente o i n Antico e i n Moderno entro l a T o s c a n a dove sia i l Castello chiamato Arezzo e saperne il Giusto D e t a g l ì o . L ' a l t r a è che bramerebbe 6 artiglieri uno buono e l a l t r i che sapessero qualche cosa m a per spedizione che sino ai 25 sì sta i n tregua come i n questa m a t t i n a medesima per ordine del medesimo sono andatto tre volte a l Forte S a n Leo essendo da luì incompenzato di questo sì attende u n a sollecita risposta. Questi Sig.ri Ufiziali gradirebbero u n a madonna di argento per eia-
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G. R E N Z I
GLI
schuna persona che sono 6 che saranno pagate a l m i o ritorno che non posso i n d i c a r l i i l giorno. G i à l a v v i s a i se vogliono qualche cosa dal Sig. Generale potranno avv i s a r m i e i n fretta con l a solita raccomandazione a l l a S S . Vergine m i rassegno a l l a di loro s e r v i t ù .
V 396
LETTERA D I CARLO G I R E L L I S U L L E ARMI PRESE NELL'ASSALTO A CARPEGNA (24 GIUGNO 1799) I l l . m i Sig.ri Deputati della C i t t à e Contado di Arezzo I e r i sera ricevei u n a sua gentilissima dove sento che io diedi i l sacco a l l a r m e r i a d i Carpegna dove con ordine espresso di lor Sig.ri eoo l a r m i a l l a mano presi tutte l a r m i che esistevano i n d. luogo dove io rend e r ò esatto conto d e l a r m i che io opreso e quelle ricevute sono m a n c a n t i non losaranno se m i comunicheranno quelle che hanno ricevute ritornando achi ho spedito ne renderanno esatto conto, come evvero m i sono fatto lecito i l prendere n . 7 monture dove furono quei B . F . della pieve S . Stefano dove menerenderanno conto come pure u n tamburo certo che sarebbe l a p r i m a che m i fosse andata bene a me in mezzo alle mie e sue contentezze d i questo assedio con u n onore che m i sono fatto e m i faro i n avenire appresso i l Sig.re Generale che l a m i a condotta lavederanno con suo carattere i n fretta l i raccomando l a risposta ed a l t r a m i a sotto i l 23 di quanto o detto di sopra epieno di perfetta s t i m a sono dal Assedio del F o r t e Salleo 24 Giugno 1799 Devotissimo S e r v i t o r e Carlo G i r e l l i
VI A . S . F . , GOVERNO PROVVISORIO AREZZO, F . 8, c. 391 LETTERA DI CARLO G I R E L L I DA S . L E O SULLA SITUAZIONE MILITARE E S U VICENDE DELL'ASSEDIO (26 GIUGNO 1799)
D i V . S S . I l l m e , 23 Giugno 1799 Aff.mo Devot.mo Servitore C a r l o G i r e l l i Direttore del Campo di S a n Leo.
A . S . F . , GOVERNO PROVVISORIO AREZZO, F . 8, c.
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INSORGENTI A R E T I N I
Nel giorno venticinque ricevo u n a loro G e n t i l i s s i m a a sera essendo andato A r i m i n o m a non ho trovato i l Generale tornai a sera. L a r m e s t i z i o e g i à terminato m a appena tornato andiedi a parlamentare alla Fortezza si sono raccomandati per qualche altro giorno r i s p e d ì a l Generale per sapere l a risposta che devo d a r l i che c r e d e r ò che n o n i a c c o r d e r à si raccomandano di varie cose da vivere e queste fuori che dei frutti non si accorda altro per lo Stato Maggiore; dentro al forte non vie altro che l a maggior parte di Ufiziali Maggiori e soli 100 Soldati di varie nazioni scuseranno se poco m i faccio capire con le mie essendo tutto i l mestiere del melitare è tutto diferente a l mio e si dorme i n t e r r a e sempre inagitazione e troppo è lostrapazzo che s i fa m a questo lo faccio volontieri per servire l a m i a P a t r i a . Sono certo che appena s a r à l a resa di questo forte che non solo m i a c c o r d e r à quello che m i anno richiesto m a che di più essendone sicuro per che m i apron esso i n faccia a tutti lufizialì di s e r v i r m i Scusino che i n fretta devo p a r t i r e per vedere iposti avvanzati v a r i lavori che ò fatto fare i n questa notte e pieno di s t i m a m i confermo D.V.Sig. Ill.me dal forte Salleo 26 Giugno 1799 P.S. misalutino a casa m i a le mie genti Devot. e Obi. Servitore Carlo G i r e l l i
VII A . S . F . , GOVERNO PROVVISORIO AREZZO, F . 8, c.
'
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LETTERA D I CARLO G I R E L L I PER I D E P U T A T I DI AREZZO ( 8
LUGLIO
1799) ULmi
(
Sig.ri,
Ricevo per espresso i l presente Plico e per espresso lo trasmetto vieniente da R i m i n i , m i suppongo che s a r à spedito dalle T r u p p e Tedesche,
G.
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RENZI
essendo venuto sabbato i n questo assedio u n n. di 100 Ungheri acavallo e n. 150 Tedeschi a piede e ripartirono subbito m a tanto con i l Comandante d i C a v a l l e r i a che i l Capitano che guidava la T r u p a a piede ebbi delle conferenze e m a n d a i due Dragoni a farli strada questo è quanto devo segnificarle e pieno di stima sono Delle S S . L L . L o r o I l l . m e 8 luglio 1799 Dev.mo Obi. Servitore Carlo G i r e l l i Comandante
Vili
GLI
INSORGENTI
ARETINI
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Pregandoli, di novo rispedire i dragoni di qua p a r t i t i a c c o m p a g n i a t ì da u n pasaporto del Sig. Mag. Subotic, e non rivedendoli e cosa poco aloro decorosa chese vogliano potranno rispedirela lettera da me richiesta per p o r t a r l a al suo destino assicurandoli di ottenere c i ò che domanderò. Restino poi i n ultimo della m i a lettera avvertiti e avvisati che partiranno da questo luogo di monte feretrano logo molto antichissimo e rispettato due deputati che uno s a r à inconbenzato i l Sig.re de J a c o b i e laltro dì qui per chiedere alleanza con (co)testa C i t t à come tutte laltre c o m u n i t à che sono sotto poste che sono 36 casteUì perdonino l a m i a ( . . . ) e pieno di Perfetta s t i m a m i dico qual sono Delle S S . L o r o I l l . m e Forte Salleo 24 luglio 1799 P.S. Avvisino qualche cosa a casa m i a per m ì a contentezza non avendo altro tempo per scrivere Devotissimo obl.mo Servitore Carlo G i r e l l i
A . S . F . , GOVERNO PROVVISORIO AREZZO, F . 8, c. 9 3 2 LETTERA DI CARLO G I R E L L I PER I D E P U T A T I DI AREZZO S U APPROVVIGIONAMENTI M I L I T A R I , DA S . L E O (24 LUGLIO 1799) I l l . m i Sig.ri, Avendo u n retaglio di tempo nel momento che parte i l Sig.re Filippo E r m i n i m i do un pregio di pregarle come ho scritto a l t r a volta che m i mandino u n a richiesta di quello che desiderano da questa Fortezza l a q u a l i t à del a r m i che s i trovano entro i l Forte glielo p o t r à dire a bocca ilermini. I e r i sera r i t o r n ò i l S i g . Comandante Deiacobi; dove m i a s s i c u r a di u n a L o r o lettera, l a n o v i t à che posso a s s i c u r a r l i che abbia avuto u n Comando per tutto lo stato Pontificio dunque non fa m o l t i giorni s a r à in Arezzo per passare aperugia si gradisele le nove di tutte le loro imprese per regola di questo Sig.re de Jacobi asicurandoli che avranno u n degno Sig.re e u n omo di talento e di onore non r i s p a r m i a oro del suo proprio per l a bona causa. Avertendole che questa richiesta di A r m e deve andare in mano del Generale G u e r i n i i n Perugia e che a l medesimo gnene p o r t e r ò io se le S S . r i e L o r o Ill.me faranno i n tempo a m a n d a r m e l a facendo inquesti pochi giorni i l disegno del F o r t e e della C i t t à per due parte io neo già terminato uno che e' quello dalla parte della C i t t à presa in u n punto d. la croce i l m i o lavo(ro) potranno farselo, spiegare a Sig.re E r m i n i che poi inseguito con i l libretto della Relazione vedranno stampato per m i o e loro Onore non r i s p a r m i o fatica di giorno come di notte oltre l a l t r i mie incombenze per tali lavori l a m i a partenza s a r à verso domenica alla volta di Venezia dove ero a l t r a volta con tutti iprigionieri di questo Forte dove ne vedranno spiegato nella Relazione.
IX A . S . F . , GOVERNO PROVVISORIO AREZZO, F . 8, e. 6 1 5 LETTERA DI CARLO G I R E L L I PER I DEPUTATI DT AREZZO (3 AGOSTO 1799) I l l . m i Sig.ri Miviene ingiunto dal Sig.re Comandante Sig.re De J a c o b i che l i A v v i s i che g i à aspedito per l a richiesta stata fattali dal S i g . Cap. Dini e i l S i g . Montelucci di due Cannoni i quali spero che lì otterranno subbito che già gnene p a r l a i anche io a S u a E c c . z a G u e r i n i . Lì trasmetto i l i b r i con a l t r i fogli da luì datomi per spedizione spero presto di tornare che già m i è venuto a fastidio scusino e sono ai suoi Comandi. Penna B i l l i 3 Agosto 1799 Obl.mo Servitore Carlo Girelli
MARCO BATTISTELLI
incendi nella miniera di zolfo di perticara
Le poche notizie che possediamo sugli incendi che si svilupparono nella miniera di Perticara durante il secolo scorso, e la frammentarietà di esse, non ci hanno consentito di fare piena luce sulla loro frequenza e, salvo una sola eccezione, sulla gravità di essi. Del Settecento, poi, non sappiamo addirittura nulla, anche se è lecito pensare che, in questo primo secolo di attività della miniera, vuoi per il limitato sviluppo delle lavorazioni che per la non ancora attuata utilizzazione delle mine (che a Perticara saranno usate per la prima volta durante la dominazione napoleonica) (1), gli incendi non dovettero manifestarsi che in maniera del tutto sporadica. La prima testimonianza in merito allo svilupparsi di incendi nella nostra miniera ce la fornisce P. F. Guébhard nel suo Pa-
* S i useranno le seguenti abbreviazioni: R.S.M. per Rivista sul servizio minerario in Annali di agricoltura del Ministero di agricoltura, industria e commercio; A.C.N. per Archivio Comunale Novafeltria. (1)
Archivio di Stato, Cesena, Tit. V I I , Commercio, 1811 e 1812.
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M.
INCENDI
BATTISTELLI
rallelo fra le amministrazioni Micard e Picard del 1841 (si era ai tempi della conduzione societaria Micard e C i ) quando rammenta che nel 1840 fu installato un ventilatore per eliminare dai sotterranei le esalazioni di gas provocate da incendi (2). La seconda testimonianza (3) ci introduce nel vivo di una tragedia. I l 3 agosto 1854 un violento incendio era scoppiato nei sotterranei della miniera ed aveva imprigionato una intera squadra di minatori. Ogni soccorso, prodigato fino allo strenuo delle forze, risultò vano e tutti (erano 12 uomini) perirono soffocati dall'anidride solforosa. Una lapide commemorativa (custodita ora nel museo minerario di Perticara), scolpita in quei giorni lontani, rammenta i loro nomi. Le vittime provenivano tutte dal mondo contadino; uomini che per poter sopravvivere alle privazioni di una vita dedicata esclusivamente all'agricoltura si erano visti costretti a disertare il lavoro ad essi più congeniale per scendere nelle viscere della terra a cavar zolfo. I l salario percepito in miniera non era però sufficiente al mantenimento della famiglia, che soleva essere a quei tempi assai numerosa, né quel lavoro dava la certezza di un introito costante di moneta a causa delle gravi crisi che di frequente si abbattevano in questo settore dell'industria e che spesso si traducevano per l'operaio nella perdita del posto di lavoro o nella riduzione della sua mercede giornaliera. Cosicché quegli uomini, nella maggioranza dei casi, conservavano il lavoro dei campi alternandolo con quello della miniera (l'orario di lavoro di 12 ore consecutive ogni 48 praticato allora nelle miniere di zolfo del Montefeltro consentiva questa duplice attività) (4). Quello del 3 agosto 1854 fu il più alto tributo di vite umane pagato alla miniera e lo rivela una lapide conservata nel museo
( 2 ) P.F. G H E B H A R D , Parallelo fra le amministrazioni Micard e Picard, Rimini, 1 8 4 1 , pp. 6 e 4 0 . ( 3 ) A . B A R T O L I N I , Perticara nel Montefeltro, Rimlni, 1 9 7 4 , p. 7 1 . ( 4 ) P. B I A N C H I , Cenni e studi sulle miniere solfuree di Romagna, Torino, 1 8 6 3 , p. 3 5 . L'autore ricorda come la miniera di Perticara fosse più soggetta agli incendi di quelle di Marazzana e di Formignano (Id., p. 2 1 ) .
NELLA
MINIERA
D I ZOLFO
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di Perticara. Essa ci rammenta anche che dal 1812 al 1959 ben 157 furono le vite che si spensero per infortuni sul lavoro. Innumerevoli pericoli mortali, oltre all'asfissia da anidride solforosa, incombevano infatti quotidianamente sui minatori. I l distacco di rocce, i franamenti, la caduta nei pozzi, lo scoppio intempestivo di mine, l'investimento o il ribaltamento dì vagoni rappresentavano le cause più ricorrenti di infortuni mortali, ma altre ancora, della più disparata ed imprevedibile natura, ancorché meno frequenti, venivano ad aggravare il già pesante bilancio di vite umane che la miniera si portava via. Il 24 agosto 1854, nella chiesa di Poggiolo (presso Perticara), il canonico Tomasetti di Talamello rivolgeva a Dio una accorata preghiera (5) supplicando che per sua « clemenza » si potesse « estinguere il micidiale incendio che ancora serpeggia negli intimi penetrali di quei profondi recessi, e disperdere la densa caligine e le mefitiche esalazioni che da essa emanano, affinché rimosso ogni pericolo all'accesso di quella oscura prigione, le vittime del disastro possano avere l'onore della ecclesiastica sepoltura, e sia lenito in parte il dolore e l'angoscia dei genitori, delle consorti, dei figli che da lunghi giorni piangono inconsolabili la cruda morte dei loro cari ». Questo prezioso ed insolito documento testimonia che a 21 giorni dal suo inizio l'incendio non era stato ancora domato. Quanto tempo ancora sarebbe durato non ci è stato possibile appurarlo, cosicché rimandiamo il completamento di questa notizia a quando qualche documento non ancora venuto alla luce ci fornirà il dato mancante. Sulle misure di sicurezza adottate nel secolo scorso per ridurre al minimo le cause d'incendio sappiamo poco o nulla, ma con ogni probabilità queste dovettero essere inadeguate alle reali necessità delle miniere. Nel 1879 era stata adottata la « miccia di sicurezza in sostituzione della ordinaria cannetta (metodo vecchio e pericoloso) preparata dagli stessi operai, avendo osservato che la roccia
(5)
A.
BARTOLINI,
cit.,
p,
72.
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BATTISTELLI
solfurea, in entrambe le miniere di Perticara e Marazzana, divenuta più ricca di silice produce più spesso le scintille nella perforazione delle mine ». Dall'accensione allo scoppio occorrevano, con il nuovo sistema, ben otto minuti (6). Nel 1882 « la lampada di sicurezza usata — cosi scriveva il relatore della Rivista sul Servizio Minerario, ingegner Niccoli — non era molto perfetta e non troppo adatta per gli ambienti soggetti a emanazioni di gas esplosivi (grisù) od irrespirabili (anidride solforosa). Fu adottata, quindi, una nuova lampada detta Protector che riusciva ad ovviare agli innumerevoli inconvenienti della prima », il tipo Mueseler (7). Le Riviste annuali sul Servizio Minerario del periodo 18791924, non riportando alcuna notizia sullo scoppio di incendi nella nostra miniera, potrebbero indurre a credere che per tutti quegli anni il fuoco l'avesse risparmiata. In realtà le cose non dovettero andare così se il relatore della Rivista sul Servizio Minerario del 1924 faceva notare che a Perticara, « l'esperienza avendo reso manifesto che gli incendi erano provocati oltreché dalla ricchezza del minerale, dalla lentezza del fenomeno di combustione della polvere nera, si è pensato di sostituire all'uso di questa quello della dinamite » (8). La mancanza di ogni accenno ad incendi nelle riviste summenzionate per anni in cui, evidentemente, di incendi alla miniera di Perticara ve ne furono, sta verosimilmente a significare che questi dovettero assumere sempre proporzioni molto ridotte. Ma la possibilità del verificarsi dell'evento, per sua natura di portata imprevedibile, consigliava ora, in piena fase di incremento delle lavorazioni sotterranee, la sostituzione del tipo di esplosivo, al fine di ridurre al minimo i maggiori rischi connessi con il brillamento di un numero sempre più elevato di mine. E così avvenne. L'uso della ormai obsoleta polvere nera fu abbandonato per
(6) R.S.M., 1879, p. 96. (7) ID., 1882, p. 24. (8) ID., 1924, p. 7.
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MINIERA
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ZOLFO
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lasciare il posto a quell'esplosivo, la dinamite, che avrebbe scongiurato per l'avvenire ogni pericolo d'incendio o, quanto meno, avrebbe abbassato notevolmente le conseguenze piromache degli scoppi. Gli esperimenti, protrattisi per cinque mesi, dimostrarono che dopo il brillamento delle nuove mine di incendi non ne avvenivano più e così, da quell'anno, nella miniera di Perticara l'uso della polvere nera fu totalmente e definitivamente abbandonato. ^ Ma le previsioni, avvallate da esperimenti che non avevano lasciato alcuna ombra di dubbio sulla sicurezza del nuovo esplosivo — questa fu per lo meno la versione ufficiale (9) — dovevano ben presto diventare fallaci. In dieci anni, infatti, a partire dal 1927, ben cinque volte la miniera fu devastata da incendi violentissimi che paralizzarono i lavori sotterranei per lunghi periodi di tempo, provocando in due di esse la completa cessazione di ogni attività produttiva. E ' possibile che la maggior frequenza degli incendi di questo perìodo sia dipesa principalmente dal fatto che la recente riempitura dei vuoti lasciati un poco dovunque dalle vecchie coltivazioni abbia dato origine, per assestamento, ad una serie di fessure che permettevano al fuoco di propagarsi rapidamente e nascostamente attraverso di esse, rendendo così impossibile un intervento tempestivo. In questi casi d'incendio, così insidiosi, a nulla valevano le normali operazioni di spegnimento con l'acqua — si ricordi che una rete di tubazioni portava l'acqua in ogni cantiere per spegnere rapidamente i piccoli incendi che seguivano allo scoppio delle mine —, per cui si doveva ricorrere all'isolamento con murature di vaste zone, o di interi cantieri, se non addirittura di tutta la miniera, per impedire che l'aria, rinnovandosi e circolando liberamente, potesse tener vivo il fuoco. I l primo incendio, quello del 1927, bloccò per circa due mesi i lavori di un vasto settore della miniera (10). Un altro, nel
(9) Ibidem. (10) R.S.M., 1927, p. 17.
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1928, obbligò alla chiusura di un non precisato numero di cantieri, pregiudicando notevolmente la continuità delle lavorazioni (11). Quello del 1932, invece, costrinse alla totale chiusura dei sotterranei (12). Da una comunicazione del podestà di Mercatino Marecchia al prefetto di Pesaro, datata 22 dicembre 1932, di cui esiste copia nell'archivio del comune di Novafeltria (13), apprendiamo che verso le ore 15 del 20 dicembre di quell'anno si sviluppò, « casualmente », in una galleria del secondo livello un incendio che si estese rapidamente agli altri reparti e che si rivelò ben presto « di gravità eccezionale ». A nulla valsero i tentativi di spegnimento con i mezzi di estinzione dei quali la miniera disponeva, « non essendo questi sufficienti allo scopo », cosicché si dovette procedere alla chiusura « con opere murarie di ogni ingresso della miniera stessa si da ottenere l'estinzione dell'incendio per soffocamento ». L'incendio non provocò né perdite di vite umane né feriti, ma i minatori occupati nei lavori sotterranei (circa seicento) rimasero tutti senza lavoro. Nessun disagio economico si fece tuttavia sentire poiché essi avevano da poco percepito gli arretrati di stipendio derivanti dall'applicazione del nuovo contratto di lavoro. Anche i danni economici per la società esercente (la Montecatini), che da una prima sommaria valutazione erano apparsi ingenti, risultarono poi di proporzioni assai meno rilevanti del previsto. I l 31 dicembre vennero aperte alcune delle entrate murate dieci giorni prima e poiché l'incendio non presentava più i caratteri temibili del suo inizio fu deciso di cominciare l'opera di spegnimento con gli estintori. Per otto gorni consecutivi squadre di operai e tecnici si avvicendarono nel lavoro senza risparmio di forze, operando in un ambiente estremamente pericoloso, finché il fuoco non fu completamente domato (14). E r a il 9 gennaio 1933.
<11) (12) (13) (14)
ID., 1928, p. 18.
1933, p. 16. A.C.N., Cart. 78, Cat. X I , Incendio miniera di Perticara, Ibidem. ID.,
1934.
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Il 16 ottobre 1934 un altro incendio divampò con estrema violenza nei sotterranei della miniera determinando l'immediata sospensione di ogni lavoro produttivo. Sospensione che si protrasse per quasi sei mesi. Le corrispondenze intercorse fra il prefetto di Pesaro e il direttore della miniera con il podestà di Mercatino Marecchia e le relazioni apparse nelle Riviste sul Servizio Minerario degli anni 1934 e 1935 ci hanno consentito di ricostruire le circostanze dell'accaduto e le fasi più importanti degli interventi operati. Dalle sole fonti archivistiche (il carteggio menzionato) abbiamo potuto invece ricavare notizie sulla grave situazione di disagio economico in cui vennero a trovarsi le popolazioni di Perticara e dei paesi circonvicini, per le quali la miniera rappresentava pressoché l'unica fonte di sostentamento. Ma veniamo ora alla cronaca dell'accaduto affidandoci a quanto ebbe a scrivere in quei giorni il relatore della rivista menzionata (15). « I l giorno 16 ottobre lo sparo di una mina provocò un incendio nel taglio 51 del primo livello, che costrinse alla chiusura della miniera e alla conseguente sospensione dei lavori. L'incendio, combattuto con i mezzi a disposizione ma con esito negativo, causò, il giorno successivo, la completa chiusura della miniera con sbarramento delle vie d'accesso. Il giorno 23 ottobre uno sfortunato tentativo di spegnimento dell'incendio attraverso il pozzo di estrazione Vittoria ed il secondo livello, previa attivazione di un circuito d'aria fra i pozzi Vittoria e Perticara e la discenderia Panante, come ingressi d'aria, e il pozzo Parisio come riflusso, dopo sette ore dallo inizio dei lavori, costò la vita ad un dirigente e tre operai per
Nel 1933, per eliminare i pericoli d'incendio del minerale in seguito all'uso di lampade ad acetilene a fiamma lìbera, fu progressivamente attuata la sostituzione di queste con altre a fiamma protetta da robusto tubo di vetro. I n progetto c'era anche la sostituzione delle lampade a fiamma protetta, di cui si faceva uso negli avanzamenti, con lampade elettriche portatili alimentate da accumulatori (R.S.M., 1933, p. 17). (15) R.S.M., 1934, p. 31.
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l'improvviso crollo della volta della galleria nella quale i quattro si erano spinti. Un terzo tentativo di spegnimento fu iniziato il giorno 5 novembre, ma fallì per la presenza di anidride solforosa. I tre accennati tentativi, riusciti vani, dimostrarono come i normali circuiti di ventilazone, comprendenti la zona incendiata, difficilmente potevano avere ragione del fuoco. Fu pertanto mutato sistema e deciso di evitare l'arrivo di aria fresca nella zona del fuoco. I l nuovo sistema, consistente nel raffreddamento del materiale combusto con la sola azione dell'acqua, permise di avanzare per 1 chilometro dalla bocca del pozzo Perticara raggiungendo la zona calda senza provocarvi nuova combustione e rimanendovi a lavorare per 47 giorni (dal 14 gennaio al 2 marzo) fino a completa sicurezza di raffreddamento della zona stessa ». Gli operai impiegati nelle operazioni di spegnimento furono circa 150, suddivisi in 12 squadre che lavoravano, quattro per volta, in tre turni consecutivi di 8 ore ciascuno. L'altissima temperatura (furono registrate perfino punte di 6T centigradi!) e la carenza di ventilazione non consentivano di rimanere che per breve tempo sul fronte di avanzamento, cosicché le squadre di ciascun turno dovevano avvicendarvisi continuamente. I l lavoro, oltre ad essere massacrante per le proibitive condizioni ambientali in cui si svolgeva, non mancò di essere anche assai pericoloso poiché i minatori dovettero sempre lavorare « in ripresa di frane » e furono continuamente soggetti ad investimenti d'aria priva di ossigeno, per improvvise inversioni di corrente, che li costringevano a ritirate precipitose. Fortunatamente nessun infortunio ebbe a verificarsi, anche se le numerose proposte di ricompensa al valor civile rivelano che il comportamento di quegli uomini fu indubbiamente intrepido (16). « In seguito al grave incendio sviluppatosi il 16 ottobre 1934
(16) A.C.N., cit.
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ZOLFO
llll
— è la relazione (invero assai stringata) dell'anno successivo (17) — la miniera rimase chiusa fino al 4 marzo 1935. Alla riapertura, in un primo tempo, si è proceduto alacremente alla ripresa delle gallerie di carreggio e di riflusso. Gli scavi produttivi furono riattivati progressivamente e già nell'aprile 1935 fu possibile rientrare nel programma di produzione quasi per intero ». Ricordiamo qui, per inciso, che la produzione di zolfo della miniera di Perticara rappresentava allora mediamente circa un nono di quella nazionale (18). A seguito della chiusura della miniera circa 1200 operai, la metà dei quali residenti nel comune di Mercatino Marecchia (di cui Perticara era la frazione più grande), rimasero senza lavoro. Né fu possibile, se non a pochi di essi, di trovare una nuova occupazione (19). Se, tuttavia, il grave disagio economico in cui vennero a trovarsi le popolazioni che traevano sostentamento dalla miniera non si tramutò in una situazione di disagio estremo lo si dovette unicamente ai risparmi che gli operai possedevano, sotto forma di azioni, presso la loro Cooperativa di Consumo e che ammontavano alla considerevole somma di 500.000 lire. I l sussidio di disoccupazione e le misere elargizioni del governo si erano rivelate infatti del tutto insufficienti a coprire le reali esigenze delle famiglie. Alla riassunzione in servizio le economie degli anni precedenti erano esaurite e rimaneva un debito complessivo nei confronti della Cooperativa di circa 100.000 lire. Debito che per molti mesi avrebbe ridotto la consistenza delle buste paga, al netto delle trattenute per i prelievi di viveri del mese, a solo pochi spiccioli (20). Quando, nel maggio del 1937, malgrado il rigore del recu-
(17) (18) Servìzio (19) (20)
R.S.M., 1935, p. 38. Cfr. le statistiche della produzione di zolfo nelle Riviste sul Minerario per il quinquennio 1931-35. A.C.N., cit., e Cart. 79, Cat. X I , Industria, 1935. ID., Cart. 95, Cat. X I , Incendio miniera di Perticara, 1938.
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M.
BATTISTELLI
pero, restavano ancora da pagare 12.000 lire, un nuovo lungo periodo di disoccupazione avrebbe avuto inizio per ugual causa. Con una lettera indirizzata al prefetto di Pesaro il podestà di Mercatino Marecchia comunicava che « ieri (21 maggio 1937), nelle ore pomeridiane, si è sviluppato un incendio nella minerà di Perticara, per cui si è dovuto procedere alla chiusura completa. Non è stato possibile avere dettagli particolari inquantoché tutto il personale diligente, sorvegliante e di pronto soccorso trovasi mobilitato nell'interno dei cantieri ». Una relazione più dettagliata dell'accaduto ce la fornisce il delegato di zona dell'U.N.F.L.I. (Unione Nazionale Fascista dei Lavoratori dell'Industria) nella lettera spedita, anch'essa il 21 maggio, all'Unione Provinciale Fascista di Pesaro. « I l giorno 20 corrente, verso le ore 16, mentre nella miniera di Perticara era stato sospeso fino dalle ore 8 della mattina il lavoro in segno di lutto per i funerali degli operai Stradaioli Guido e Marani Luigi deceduti in seguito ad infortunio il giorno 19, veniva scoperto dal caporale Grazia che nel taglio T del terzo livello si era manifestato da qualche tempo, valutabile un paio di ore al massimo, un incendio che minacciava di estendersi. In quel momento in miniera si trovavano soltanto il direttore con alcuni ingegneri e pochi sorveglianti con quattro operai, essendo tutto il personale impegnato nell'accompagno al cimitero dei camerati caduti. La prima lotta contro il fuoco fu compiuta dal poco personale presente al quale, non appena finito il corteo funebre, si aggiungevano moltissimi operai della miniera. [ I l lavoro] proseguì fin verso le ore una della notte ma inutilmente poiché ormai il fuoco si era esteso in maniera tale che non era più possibile estinguerlo, non solo, ma che si presentava imminente il pericolo di una sua estensione alle fosse di estrazione con il conseguente blocco nella miniera di tutto il personale che vi si trovava. Constatato il fatto la direzione decìdeva di chiudere l'aerazione dei cantieri e gl'imbocchi a tutti ì pozzi, fatta eccezione per quello di Perticara dal quale si accede alla ricerca Castello e per alcuni pochi cantieri nelle immedaite vicinanze del pozzo. Da informazioni ricevute e dati i rapporti raccolti mi risul-
INCENDI
NELLA
MINIERA
DI
ZOLFO
113
ta che questo incendio si presenta più minaccioso di quello del 1934 ». Pochi giorni più tardi fu deciso di recedere da ogni tentativo di spegnimento e la chiusura fu totale. Questa volta gli operai disoccupati furono poco meno di 1500, appartenenti per circa due terzi ai comuni della provincia di Pesaro e per il rimanente a quelli della provincia di Forlì. Il loro sostentamento e quello delle loro famiglie presentò grosse difficoltà essendo il sussidio di disoccupazione assai esiguo e scarse le somme elargite dal Duce, dalla società Montecatini e dal partito fascista. Cosicché alla fine della disoccupazione gli operai si trovarono con debiti assai onerosi nei confronti della solita Cooperativa e di esercenti privati. La ripresa graduale dei lavori ebbe inizio a settembre e si completò soltanto nei primi giorni di ottobre (21). Da una informazione orale apprendiamo che altri incendi si svilupparono nel 1946 e nel 1962, ma essi furono di lieve entità e non compromisero il normale andamento delle lavorazioni.
(21) Ibidem.
INDICE
5
ITALO
PASCUCCI,
mo di San 21
Un semibusto
FRANCESCO
V.
Conti
di
Carpegna
37
LIDIA
MARIA
61
FRANCESCO BONASERA,
Leo 67
LOMBARDI,
MARIOTTI,
(manoscritte)
ALESSANDRO
e un'epigrafe
« indovinello » nel duo-
Leo
MARCHI,
Una « maddalena » di Carlo Crivelli
La legislazione
statutaria
di
per i
Sassocorvaro
Una carta del Montefeltro e una veduta di San conservate presso la biblioteca di Jesi //
convento
di San Domenico
al Monte di Pie-
tracuta 77
101
GIANCARLO
MARCO
RENZI,
Gli insorgenti
BATTISTELLI,
Incendi
aretini all'assedio di San Leo
nella miniera
di zolfo di
(1799)
Perticara