LA PIAZZA DI GIOVINAZZO NOVEMBRE 2021

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Via Cairoli, 95 Giovinazzo 70054 (Ba) Edito da ass. La Piazza di Giovinazzo Iscr. Trib. di Bari n. 1301 del 23/12/1996 Telefono e Fax 080/3947872 Part. IVA 07629650727 E_MAIL:lapiazzadigiovinazzo@libero.it FONDATORE Sergio Pisani PRESIDENTE: Sergio Pisani DIRETTORE RESPONSABILE Sergio Pisani REDAZIONE Agostino Picicco - Porzia Mezzina Donata Guastadisegni - Giovanni Parato Vincenzo Depalma - Onofrio Altomare Mimmo Ungaro - Velentina Bellapianta Enrico Tedeschi - Giangaetano Tortora Alessandra Tomarchio - Michele Decicco CORRISPONDENTI DALL’ESTERO Rocco Stellacci (New York) Giuseppe Illuzzi (Sydney) Grafica pubblicitaria: Rovescio Grafica Responsabile marketing & pubblicità: Roberto Russo tel. 347/574.38.73 Sergio Pisani tel. 080/3947872

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DI

ANTONELLO TARANTO*

LA GUERRA DELLE CACCHE Settembre, per Giovinazzo, è stato il mese della campagna «contro le cacche dei cani». Numerosi agenti di polizia municipale, perfino in borghese come l’agente segreto 007 in No time to poo, hanno fermato conduttori di cani per verificarne la regolarità amministrativa (ogni cane deve essere iscritto all’anagrafe canina) e disciplinare (ogni conduttore deve avere con sé adeguata attrezzatura per rimuovere dal suolo pubblico la cacca del suo cane). I dati raccontano che veramente pochi dei soggetti fermati non erano in regola (15 sanzioni in totale per mancanza del microchip) mica per le cacche dei cani. Ciò conferma il vecchio detto che «una sola mela marcia guasta tutta la cassetta». Infatti, a causa di quei pochi indisciplinati, tutta la categoria dei conduttori di cani è stata additata come una frotta di disgustosi attentatori all’igiene e al decoro pubblico. Ciò nonostante la campagna «contro le cacche dei cani» andava fatta (come ne andrebbero fatte parecchie altre rispetto a varie categorie di attentatori a settori vari del vivere civile) e i vigili urbani che l’hanno condotta vanno ringraziati per la professionalità e la discrezione che hanno dimostrato. I conduttori educati di cani ben guidati sono certamente soddisfatti di aver potuto dimostrare di non essere tutti indistintamente insozzatori delle vie cittadine. I motivi per gioire, però, sono stati presto vanificati dal ritrovamento di nuove cacche sull’antico selciato dei vicoli del borgo antico. Che gli attentatori alla pubblica igiene si siano organizzati per una controffensiva? Che qualche cane non sia riuscito a trattenerla e sia sfuggito al controllo del suo padrone, lasciandola lì dove capita? Niente di tutto ciò. Il borgo antico di Giovinazzo è sede di una «colonia felina protetta» ai sensi della Legge Nazionale 281/91 e dalla Legge Regionale 2/20. Orbene, i gatti della colonia felina sono molto belli e simpatici. E, soprattutto, conservano la loro qualità di animali liberi, autonomi e indipendenti, esonerati perfino dall’obbligo


di green-pass. Essi non vengono portati a spasso da un conduttore e vanno dove vogliono. Il Comune, tramite le associazioni e i cittadini che si occupano della colonia felina, è responsabile di curarne l’igiene. Ma dove vanno i gatti a fare la cacca? La natura, visto il disgustoso e intenso odore propagato dalle loro deiezioni, ha dotato il gatto di un provvidenziale istinto a scavare un fosso nella terra per deporvi l’immondo prodotto della digestione e, poi, ricoprirlo. Ora il problema è che nel borgo antico non esistono quasi più spazi coperti di terra. Perfino i vasi delle piante ornamentali sono stati dotati di ostacoli che impediscono ai gatti di utilizzarli come wc. Ed ecco, allora, il segno dell’evoluzione felina: i gatti di Giovinazzo stanno imparando a raschiare polvere e terriccio fra una chianca e l’altra e, poverini, provano senza successo ad infilarci le loro cacche, sempre troppo voluminose per entrare in quei minuscoli interstizi. Se vogliamo vincere la guerra delle cacche è indispensabile che si trovi lo spazio per creare specifiche lettiere per i gatti. *MEDICO PSICHIATRA

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COPERTINA

«DOVE C'È

UNA CACCA

DI CANE È PASSATO UN PADRONE DI MERDA»

FOTOCOMPOSIZIONE: ROVESCIO GRAFICA DI ROSALBA MEZZINA


IL

CONTRAPPUNTO

dell ’alfiere

ESPERIMENTO ITALIA, DEMOCRAZIA SOSPESA Ad elezioni amministrative concluse, molto male per il centro destra, si è, rapidamente, sopita la ventata di antifascismo militante e combattente che aveva occupato per giorni i dibattiti televisivi e le colonne di tutti i giornali, con rarissime eccezioni, alzatasi con il consueto vigore e la prevista forza in occasione delle tornate elettorali di una qualche importanza per gli assetti politici di questa nostra stupenda e disgraziata Nazione. Sarebbe ridicolo, e non scrivo altro, se lo Stato si facesse mettere nell’angolo da un gruppetto di nostalgici, anacronistici e ridicoli fascistelli. Invece, è accaduto quello che non sarebbe successo in uno Stato che vuole essere serio. Non può permettere che dal palco della manifestazione no vax, due ore prima, si dica di voler attaccare la sede della CGIL e lasciare e, anzi, accompagnare questo gruppetto di delinquenti in camicia nera fino al palazzo che ospita la sede del sindacato. Arrivati fin lì in pompa magna è stato un gioco da ragazzi entrarvi sfasciando porte e suppellettili. Episodio di violenza non accettabile, da condannare senza riserva alcuna. Mi chiedo se sia possibile tutto questo in uno Stato serio quale pretendiamo di essere visto che abbiamo al governo gente che si dice seria. Può un Ministro degli Interni continuare a balbettare risposte supponenti ma evasive su quanto accade nell’ordine pubblico in Italia? Abbiamo consentito, quest’estate, un rave party dove è morta una persona e sono state violate norme che nessun cittadino potrebbe violare nell’assoluto silenzio e nella totale inerzia delle forze dell’ordine comandate in tal senso da ordini superiori. E nessuna giustificazione può valere, neanche il mantenimento della calma e “dell’ordine pubblico” visto che il disordine era totale. Gli interrogativi sulle capacità del Ministro degli Interni sono legittimi e aprono, nel caso dell’assalto alla CGIL, inquietanti domande sul perché fosse libero di muoversi l’esponente di Forza Nuova, Giuliano Castellino, che doveva osservare gli obblighi di sorveglianza speciale. Insomma non poteva essere in quella piazza ad aizzare la folla e, poi, assaltare la sede del sindacato. Hanno permesso a lui e a un manipolo di suoi seguaci di mettere in scacco lo Stato o lo Stato ha voluto farsi mettere in scacco per fini politici? Non mi piace l’idea del complotto e, quindi, non mi iscrivo al partito di chi sostiene che era tutto preparato per mettere in difficoltà il centro destra, peraltro già in difficoltà per i balbettii e le incertezze che ne avevano minato qualsiasi possibilità di successo, ma rimane la colpevole incapacità del Ministro degli Interni e la responsabilità penale di questi delinquenti fascisti. E’ scattata, così, l’emergenza democratica ma doveva, quantomeno contemporaneamente, scattare l’allarme rosso sulla gestione dell’ordine pubblico. Invece si è

parlato per pochi giorni del fascismo minaccioso alle porte della democrazia indifesa e fragile. SI IRONIZZA SULLA STRATEGIA DELLA TENSIONE ONDULATORIA. Nessuno però parla del fragile ed indifeso (non già per l’inesistente, concreta minaccia fascista) distacco sempre più ampio fra istituzioni e popolo. Sia sufficiente leggere le percentuali di votanti mai così basse al primo turno, tutte sotto il 50% degli aventi diritto, e ancor più basse, intorno al 40%, al secondo turno. Le analisi si sono sprecate per esaltare il successo o sottolineare la sconfitta delle due coalizioni, stante la scomparsa dei 5Stelle, ma nessuna approfondita valutazione sul continuo progressivo allontanamento dalle urne degli elettori. Un fenomeno non solo italiano ma che in Italia sta assumendo proporzioni preoccupanti per chi abbia a cuore realmente la democrazia. E mi chiedo: le élite vogliono che gli elettori vadano a votare o preferiscono che rimangano a casa e che alle urne si rechino solo coloro che appartengono a gruppi sociali ben individuati e avvantaggiati dallo status quo? Il senso di impotenza che pervade molti strati della società che si sentono esclusi dai processi decisionali poiché è avvertito il senso di inutilità del voto e qualsiasi protesta finisce, presto o tardi, per essere riassorbita dal potere. Basti osservare la parabola del Movimento 5 Stelle, da irriducibile, a parole, nemico del potere, delle élite, dei privilegi a tenace sostenitore dello status quo e di tutto quello che voleva combattere e abbattere democraticamente. Un episodio su tutti. L’elezione di Ursula Von Leyen alla carica di Presidente della Commissione Europea ha segnato il


definitivo abbandono dell’anima protestataria e rivoluzionaria del movimento che non ha determinato, come si vuol far credere, una nuova stagione dei grillini. Il loro ingresso nelle stanze del potere non ha portato contributi determinanti per rinnovare istituzioni lontane dagli interessi della gente e degli italiani, in particolare, ma solo per occupare poltrone e prebende, certamente, ammaliatrici. Di fronte a questo spettacolo di normalizzazione una parte del corpo elettorale ha deciso di non votare anche, per carità, per l’offerta non proprio di livello proposta dagli schieramenti in lizza e, in particolare, dal centro destra. A questo si aggiunga il pericolo paventato dell’ingresso, nelle stanze del potere, di spietati e violenti neofascisti e la mannaia sulla partecipazione al voto è inesorabilmente calata. Passato il pericolo neofascista, sempre buono prima delle elezioni, tutto è tornato alla normalità. L’Europa è tornata a fare la voce grossa, si devono rispettare i parametri europei, le Nazioni devono ubbidire alla Commissione Europea, non tutti, ovviamente, anche da quelle parti ci sono le Nazioni più uguali delle altre, e il contrasto all’immigrazione riguarda l’Italia e i Paesi alle frontiere. La solidarietà fra gli Stati dell’Unione è ormai una parola priva di qualsiasi significato concreto. A SINISTRA, TROPPI CANDIDATI SINDACI. Il PD fa la voce grossa visto il risultato elettorale e vuole dettare l’agenda al Governo visto che la detta a tanti giornali e tv, anche a quella pubblica pagata da tutti. E vuole dettarla anche a Giovinazzo. Tanto che a sinistra spuntano pretendenti alla carica di sindaco come non se ne erano visti in altri momenti della politica cittadina. Il candidato che sentiva già l’investitura popolare, se di popolo possiamo ancora parlare a sinistra senza che si offendano vista la distanza siderale dal loro elettorato storico, ebbene è costretto a fare marcia indietro ed auspicare,

ovviamente non ufficialmente, l’appoggio di una parte delle liste della galassia di sinistra che si è coagulato intorno al progetto OfficinaGiovinazzo22. Già, perché dalla sede del PD non è emerso un chiaro inequivocabile appoggio alla candidatura dell’ex candidato sindaco di PrimaVera Alternativa. Così, come si usa in questi casi, sono partiti gli appelli di alcuni esponenti di sinistra, ex politici e persone che si sentono i padri nobili di quella parte politica, all’unità per sconfiggere la coalizione avversaria. Andranno alle primarie? Vedremo. L’unità vera è stata già compromessa. A DESTRA, DALL’ALTRA PARTE REGNA SOVRANO IL CAOS. Fra improbabili candidature dell’ancor più improbabile coalizione di destra che si raccoglierebbe intorno alla sigla di Fratelli d’Italia e la candidatura di un esponente in continuità con l’amministrazione Depalma. E anche qui, l’unità è una chimera. Chissà quale luce avrà illuminato il cammino politico dei nuovi rappresentanti della destra giovinazzese sempre impegnati, in tutte le tornate elettorali, in altri partiti e, per alcuni, nella coalizione di centro sinistra. Non vorrei che, parafrasando la famosa frase di Bertolt Brecht «Ci sedemmo dalla parte del torto perché gli altri posti erano occupati», questo gruppo di persone si sia seduto a destra perché tutti gli altri posti erano occupati. Siamo, come previsto ampiamente, solo al primo tempo di una lunga partita. I soldi del PNRR, il famoso piano per lo sviluppo, fanno gola a tanti e, anche se ancora le esatte dimensioni dei fondi non sono chiare, molto potrà essere fatto e questo è un ottimo motivo per vedere nuovi e vecchi padri nobili della politica giovinazzese cercare di comandare il gioco anche utilizzando sigle roboanti e autocelebrative che discettano su tutto e su tutti. Ci divertiremo. Evviva! alfiere.2000@libero.it



Angelo D. De Palma*

L’ufficio postale di Giovinazzo? Un’autentica vergogna, che deve assolutamente terminare

ALLA POSTA COME AL MASSACRO La questione relativa all’insufficienza ed all’inefficienza del nostro (unico) ufficio postale si trascina, insoluta, da tanti anni, con uso ed abuso della capacità di sopportazione da parte di cittadini. Se non che, con l’arrivo della pandemia, la situazione pare davvero precipitata (non passa giorno che non ci siano discussioni, spesso anche molto vivaci, tra i clienti in lunga attesa e gli addetti al servizio, nonché fra gli stessi clienti). Un amico ci ha raccontato una storiella, verificatasi alcuni giorni fa, che riguarda un cliente, che chiameremo Antonio. Bene. Il signor Antonio deve effettuare, utilizzando l’apposito modulo, quattro versamenti riguardanti una tassa. Si reca, pertanto, all’ufficio postale (più esattamente, al locale formato da un piccolo vano, interconnesso con altro, molto più ampio) e nota subito che la fila di clienti in attesa è particolarmente lunga e giunge fino all’altro lato della strada. Sono le ore 10:45 ed Antonio, trattandosi di adempimenti urgenti, decide, comunque, di accodarsi, sperando almeno di sbrigarsi per l’una. Finalmente, alle ore 11:50, può essere ammesso all’interno. Qui nota subito che, nonostante l’esistenza di più postazioni, al lavoro c’è soltanto un impiegato (che si sforza di risultare simpatico pronunciando qualche battuta, peraltro ignorata dai clienti). Il soggetto provvede, quindi, ad accettare, l’uno dopo l’altro, due versamenti. Ad un certo momento, però, inaspettatamente si ferma e comunica, con un’aria fattasi sgradevolmente seria, che non procederà ad effettuare gli altri versamenti. Antonio chiede accoratamente il perché, ma l’addetto replica: «Per fare quello che lei vuole, farei aumentare la coda a dismisura. Ed è proprio quello che non voglio! Per completare i versamenti, deve andare agli altri sportelli, che sono qui accanto!». Antonio, allora, ribatte che non risulta affissa alcuna comunicazione che legittimi il suo comportamento e che comunque non sembra am-

missibile che un utente, che ha già fatto un’ora di coda, debba farne un’altra per completare l’operazione già iniziata. L’impiegato, irremovibile, non si lascia commuovere e sbotta: «Non mi interessa!». Antonio, allora, raccoglie la sua roba e va via, con un pensiero al granitico impiegato e tanti altri pensieri (che non trascriviamo) a Poste Italiane, all’ufficio postale di Giovinazzo e a tutti coloro che non hanno mai preso a cuore la definitiva risoluzione del problema. A questo punto possiamo aggiungere che i grandi strateghi della politica giovinazzese, regnanti e pretendenti, in tutti questi anni, evidentemente in tutt’altre faccende affaccendati, non hanno mai ritenuto di scendere al nostro livello e guardare ai veri bisogni dei cittadini, perché totalmente impegnati nelle gravose e vitali questioni concernenti la perpetuazione dell’impero dominante o la critica preconcetta di quelli che avanzano progetti tanto faraonici quanto irrealizzabili, progetti presentati solo per mania di dissenso. Se non che, della Posta abbiamo tutti – frequentemente - una effettiva necessità, che viene soddisfatta, però, in maniera assolutamente vergognosa. Tanto per cominciare, continua a funzionare (si fa per dire) un unico ufficio (come avviene per Santo Spirito), sul quale si concentrano le richieste di centinaia di cittadini al giorno, mentre la città negli ultimi anni si è quasi duplicata in estensione (e nel periodo estivo il numero dei residenti raggiunge e supera i 40mila). Secondariamente, fra uno sciopero e l’altro, il personale continua ad essere del tutto insufficiente e scarsamente organizzato (con libera iniziativa per ciascuno, come si è visto, di quando e di quanto lavorare), ciò che talvolta conduce allo scarso rispetto per l’utenza, quando addirittura non ad episodi di grande maleducazione. Crediamo che ora il colmo sia stato raggiunto: smettiamola, una buona volta, di comportarci da inetti e facciamoci rispettare. * GIA’ AVVOCATO GENERALE DELLO STATO A VENEZIA


spigolature di Sergio Pisani

DEIEZIONI CANINE, LA VOCE DELLA GENTE Per il sindaco Depalma è tolleranza zero «Ora basta a maltrattare Giovinazzo». La Polizia Municipale intensifica i controlli, in campo anche pattuglie in borghese. C’è una ordinanza per l’omessa iscrizione del proprio cane all’anagrafe regionale canina, la sanzione parte da un minimo di 100 euro a un massimo di 600 euro. Invece, per quanto riguarda il non possesso da parte dei proprietari dei cani di strumenti idonei per effettuare l’immediata rimozione delle deiezioni canine, la multa parte da un minimo di 100 euro a un massimo di 300 euro. Non c’era neanche bisogno di ricordarlo. La civile convivenza tra gli uomini e gli animali all’interno della città ovviamente non può attribuire nessun tipo di responsabilità all’animale, ma a una maggiore attenzione da parte dei padroni.

IL SINDACO PARLA ALLA PANCIA DELLA GENTE? O AL CUORE?

TOMMASO DEPALMA, Sindaco di Giovinazzo TESTA E CUORE. La testa per capire un concetto basilare. Ovvero che gli animali meritano rispetto, ma ancor di più lo meritano i cittadini e i visitatori di Giovinazzo. Le deiezioni vanno raccolte e lavate il più possibile. Portare oltre al sacchetto, una bottiglietta d’acqua al seguito, non penso

I NUMERI DALLA POLIZIA LOCALE. Dall’01/09 controllati circa 100 cani per verificare la corretta raccolta delle deiezioni canine e la presenza dei microchip attestanti l’avvenuta iscrizione all’anagrafe canina. In 15 casi si è accertata la violazione dell’articolo 16 della legge regionale n. 2 del 7 febbraio 2020 relativa all’anagrafe degli animali d’affezione, con la relativa sanzione sino ad un massimo di 200 euro sia impresa titanica. Ed è anche una questione di cuore, considerato che abbiamo avuto il dono e il privilegio di vivere in un posto bellissimo, che non merita di essere offeso da una sporcizia, facilmente eliminabile. Ringrazio il corpo di P.M. che parallelamente ad un controllo più incisivo sul conferimento e abbandono dei rifiuti, ha intensificato i controlli sui proprietari di cani, per dare una stretta ad un comportamento francamente assurdo. Tutto ciò è possibile, grazie all’arrivo di altre risorse umane nel comando di via Cappuccini, che permettono di pianificare turni di lavoro e presenza di personale, in maniera più adeguata alle esigenze del territorio.


MICHELE CAMPOREALE, architetto, delegato FAI Leggo le esternazioni del sindaco con i toni che lo contraddistinguono nei confronti di quei cittadini che pascolano i loro amici animali senza attenzione per il decoro e l’igiene urbana. Pur condividendo, tuttavia, non si può evitare il richiamo agli amministratori per le loro omissioni in tema. Le città sono diventati ambienti complessi rivolti agli usi di tutte le forme di vita compresenti nel suo perimetro. E’ mutata la geografia dei componenti dei nuclei familiari, con l’aumento dell’età e la compresenza di animali domestici che contribuiscono e partecipano con la loro presenza al benessere psicofisico di anziani e bambini, compresa la loro solitudine. Perfino i tempi delle città sono mutati: con orari e frequenze legati alle esigenze del pascolo degli amici animali. Per cui oltre che considerare spazi urbani adatti agli umani che contempli la mobilità dolce, o la diversa abilità, è diventato indispensabile pianificare, progettare lo spazio pubblico, dalle aree verdi alle piazze, ai luoghi di incontro, con aree dedicate allo sgambamento e ricreazione degli amici animali. Senza considerare forme di incentivo per l’adozione in modo da prevenire il randagismo. Comuni vicini come Bisceglie o Bari, hanno previsto, in ogni area verde, aree dedicate agli amici a quattrozampe e forme di abbattimento della tassa rifiuti per chi adotta un animale abbandonato. Questa si definisce come civiltà urbana. Di converso, nel nostro vituperato paese manca da sempre un rifugio sanitario per cani e dei gattili, se non affidati alla libera iniziativa dei privati, sempre al limite di prassi legali e senza risorse. Prima di additare le deficienze e inciviltà di chi è sguarnito, cominci a chiedersi chi deve attrezzare lo spazio pubblico dei necessari servizi, cosa ha predisposto per strutturare la città ed i suoi usi a misura di tutti, umani e non. Personalmente ho adottato una cavalla salvata dal mattatoio e governo numerosi gatti con la cura e dedizione necessari per il loro benessere, destinando una mia proprietà alla loro accoglienza.

DANIELA VOLPICELLA, una vita per Lega del Cane a Giovinazzo Quello delle deiezioni canine è un problema annoso che in questi anni più volte è stato sollevato senza trovare soluzione. Ritengo che le sanzioni siano soltanto un aspetto da mettere in atto per iniziare a risolvere il problema che è principalmente culturale. È fondamentale sensibilizzare la cittadinanza ad una corretta gestione del proprio cane durante le passeggiate con manifesti, campagne nelle scuole in un’ottica che guarda al futuro. Sensibilizzare non soltanto al senso civico ed al rispetto delle leggi per salvaguardare il decoro della propria città ma anche far comprendere che, il rispetto delle regole è fondamentale affinché si possa giungere al superamento di pregiudizi e di ogni forma di intolleranza verso i nostri amici a quattrozampe. Un’azione potrebbe essere dislocare nelle aree più frequentate da cani al guinzaglio e nelle aree in cui si riscontrano maggiori problemi igienici legati alla mancata raccolta degli escrementi appositi dispenser di sacchetti, oppure prevedere una distribuzione gratuita / consegna ad personam di kit per la raccolta per un periodo di tempo finalizzata ad educare ed “abituare” il possessore del cane al suo utilizzo. Non dimentichiamo che sarebbe auspicabile che vi fossero aree verdi dedicate ai nostri amici a quattrozampe dislocate in diverse zone di Giovinazzo e che bisogna anche fare attenzione a non generalizzare perché sono in tanti i possessori di cani diligenti e responsabili.


MARCO BONSERIO,distributore di prodotti per gli animali Il problema e la rabbia per le deiezioni canine, o meglio di chi non le raccoglie, esplodono puntualmente in estate. Certamente esiste un fenomeno rappresentato da pochi detentori che non raccolgono i bisogni lasciati dai loro quattrozampe, ma vi posso assicurare che, per il lavoro che svolgo, conosco molti possessori di cani che possono dare lezioni di educazione civica anche alla classe dirigente. Non è simpatico essere puntati come untori, guardati male per strada con l’occhio indagatore. Sembra che tutta la sporcizia che si accumuli in paese (dovuta anche ad una stagione particolarmente povera di pioggia che avrebbe aiutato a pulire le strade da ogni sorta di rifiuti) sia imputabile esclusivamente a loro, ai possessori di cani. Quello che fa specie è che nessuno si accorge delle tonnellate di rifiuti giornalieri depositate sulle nostre spiagge (c’erano anche ragazzi che durante la movida estiva si riversavano, di sera, a fare i loro bisogni sugli scogli, condivisi dalla gente) e sulle strade del nostro agro. Questo non giustificherebbe chi non esercita un dovere civico ovvero lasciare pulita la strada quando passeggia con il proprio cane. Quello che però, e vorrei sottolinearlo mille volte, è che si fanno campagne “a strascico” coinvolgendo tutti i proprietari dei cani. Quante ammende sono state comminate dalla Polizia locale a chi non ha raccolto le feci del proprio cane? Ve lo dico io: zero! Mi spiace che l’amico Sindaco Tommaso non faccia menzione di chi vive in comunità con il proprio cane in perfetta armonia rispettando in toto le regole di convivenza: quella stessa gente, caro Tommaso, ha bisogno di un cane che la aiuta a vivere meglio, soprattutto ai tempi dei social che hanno anestetizzato il cuore e i rapporti umani. Vorrei cadere nella retorica populista, vorrei capire perché l’amico sindaco non usa gli stessi toni contro i ciclisti che, anziché pedalare in fila indiana (ci sono anche le ciclabili), affrontano le strade in gruppo, bloccando il traffico? Numerosi sindaci di altri campanili hanno già provveduto, hanno deciso di schierare la Polizia locale, introducendo anche divieti per limitare la maleducazione dei cicloamatori. Il mio negozio si affaccia su una pista ciclabile pressoché deserta mentre non vi è la presenza neanche di un cestino per raccogliere le bustine delle deiezioni canine, tanto che spesso entrano clienti

nel mio negozio con il sacchettino non sapendo dove depositarlo. Chiedo venia, caro Tom, ma i distinguo si formulano anche per amore della verità. «Per non maltrattare la nostra città» come dici tu. Per renderla anche più bella, più accogliente! SERGIO PISANI



il

fatto

DI SERGIO PISANI

CHI CHI LUCRA LUCRA DAVVERO DAVVERO SUL SUL FUNERALE? FUNERALE? Altro che pompe funebri. Comune, Confraternite, Chiesa, imprese di servizi all’interno del cimitero rendono il dolore intollerabile In paese nessuno dice grazie. Eppure i necrofori, anche loro, sono sempre stati (il passato è d’obbligo, i funerali per Covid-19 sarebbero finiti) in prima linea per occuparsi delle vittime della pandemia, esponendosi ai potenziali rischi connessi alla diffusione del Coronavirus. Vestiti peggio degli infermieri dei reparti infettivi, intubati in tute protettive intere, il lavoro degli operatori funebri è passato inosservato. Nessuno dice grazie. Eppure provvedono alla vestizione dei cadaveri, sia nelle case private che negli ospedali, al trasferimento dei resti mortali fino al cimitero, sono sempre a contatto con oggetti contaminati. Eppure nessuno dice grazie. Ci sarà un perché? Lucrano sui morti: è questa la cattiveria più diffusa! Nessuno riconosce il loro servizio essenziale per la nostra società. I necrofori li paghi meno di un viaggio in crociera e ti assicurano il biglietto per l’aldilà. La verità in barba all’immaginario collettivo è un’altra: necroforo (o becchino come si chiamava un tempo) è un lavoro che non morirà mai, ma non assicura più la pagnotta. E’ tutto vero. Vediamo perché! PRIMA O POI ANCHE A VOI CHE LEGGETE TOCCHERÀ DI PASSARE A MIGLIOR VITA. Cosa fare? Bisogna affidare le esequie con carattere d’urgenza ad un’impresa di pompe funebri. Sapete quanto ci costano? Ecco un interessante tariffario di promemoria. Prezzo base: 1.800-2.000 euro tenendo conto degli impellenti ed irrinunciabili servizi comuni a cia-

scun funerale: toilette e vestizione, trasporto del cofano funebre e deposizione, disbrigo delle pratiche relative alle denunce di morte, auto funebre per il trasporto del feretro ad un cimitero nel territorio comunale, supervisione e coordinamento. C’è la scelta, poi, del cofano funebre che varia nel prezzo a seconda della casta di appartenenza del defunto e delle modalità stabilite per la sepoltura. Se il defunto non viene inumato sottoterra ma tumulato, le pompe funebri vi faranno pagare almeno 500 euro in più (coprono le spese di saldatura e di zincatura della cassa con valvola e i costi per i diritti sanitari). Il prezzo base include il costo dei manifesti, i diritti comunali, sanitari, ecc… ma non quello relativo ai cuscini dei fiori (le corone non vanno più di moda). NON PERDETEVI NEI CONTI. C’è poi il problema della sepoltura. Totò diceva che la morte è una livella, rende tutti uguali, ricchi e poveri. Chissà perchè il cimitero è poi come una piccola cittadella con tanto di zone residenziali per le famiglie patrizie riunite in gentilizi e con i quartieri popolari tipo “condomini”, casermoni e campi comuni, per tanti sconosciuti plebei. Conviene: si risparmiano, come dicevamo, circa 500 euro e la spesa di muratura del loculo. Le operazioni di tumulazione, normalmente svolte nei cimiteri, richiedono l’ausilio di un muratore: la chiusura dei loculi non rientra nei compiti d’istituto dei necrofori in servizio presso l’Amministrazione, trattandosi d’opere specialistiche del muratore. Il Comune perciò ha individuato nel locale Cimitero Comunale la ditta Ronchi di Giovinazzo, l’impresa idonea ad effettuare le operazioni di chiusura dei loculi a seguito di tumulazione. I prezzi per l’effettuazione delle operazioni di chiusura loculi? Dai 150 ai 175 euro. Dipende dalla fila: più alta è, più costa. La dimensione del loculo (ml 2,10 x ml 0,65 o a cassetto) non comporta costi aggiuntivi. La prevendita, invece, di chi vuole assicurarsi un loculo comunale è sospesa, l’assegnazione, l’individuazione e la


spesa avviene tutto in seduta stante, ovvero a morte già compiuta. Si paga in banca o in Posta: l’attesa agli sportelli aumenta la rabbia fino a rendere intollerabile il dolore per la perdita del proprio defunto, sapendo che nel Palazzo di Città c’è l’Ufficio Economato che potrebbe assolvere alla riscossione.

Giovinazzo, non disponendo di celle frigorifere (o meglio ne ha solo una che serve per eventuali emergenze, morti gravi incidenti - suicidi ecc.), ha emesso un’ordinanza che entro 48h dall’arrivo della salma in cimitero deve essere rimossa in caso di cremazione. Le agenzie funebri sono costrette a cercare il forno crematorio libero che accetta la salma entro quel lasso di tempo. Foggia e Bari più o meno, IL TARIFFARIO COMUNALE le più vicine, si equivalgono nei prezzi (200 - 300 euro), TUMULAZIONE. 925 euro è il costo di locazione del ma quando non hanno disponibilità si cerca il forno loculo comunale cui si aggiungono 25 euro per diritti di crematorio di Domicella (AV) o in provincia di Reggio rogito e 2 marche da bollo da 16 euro. Calabria. E i costi salgono a dismisura! INUMAZIONE. Sottoterra costa meno. 400 euro è il costo del loculo ipogeo cui si aggiungono 290 euro di di- PER CARITÀ NON CHIAMATELO LUCRO MA ritti di inumazione. E per le persone indigenti? Non c’è un SERVIZIO. Un’idea a chi va la fetta più larga della torlivello di reddito minimo sotto il quale il Comune si accolla ta del funerale ve la state facendo? Vieppiù. Non si è perle spese. Il Comune, dopo un’ accurata verifica consistente so ancora il vizio di genuflettersi ai priori delle confraternite nell’accertamento dello stato patrimoniale, si accolla gli oneri con misericordia cristiana perché a qualunque prezzo il deper l’inumazione qualora non fossero reperibili familiari, funto “stia bello e bene… ad altezza d’uomo… mbaccj a oppure il defunto abbia solo familiari anch’essi non abbien- saul e non al 6° o 7° piano, in ombra, vicino al tale, se mai, ti. In presenza di familiari non indigenti, le spese per l’inu- con cui in vita ebbe contrasti”. Il prezzo della locazione mazione sono divise e quindi sostenute da questi ultimi. trentennale del loculo al mercato privato oscilla anche CREMAZIONE. E’ la pratica più sicura dal punto di vista al doppio rispetto all’offerta comunale. Ancora. Non biigienico-sanitario, risolve definitivamente il problema della sogna dimenticare che anche il rito funebre ha un codecomposizione della salma, evitando esumazione ed sto: 50 euro cui se n’aggiungono altri 25 alla chiesa se estumulazione con inevitabili riaperture delle ferite e del ri- si prevede il deposito della salma sotto l’altare. cordo doloroso del lutto. Strano ma vero, anche farsi ince- Morale. Chi lucra davvero sui funerali? Non certo gli openerire costa. E quanto costa! Dai 500 ai 650 euro. A que- ratori funebri che hanno l’etichetta in paese di essere sta spesa va aggiunta la spesa di trasporto per raggiun- semplici «prucuamurt». SERGIO PISANI gere il forno crematorio più vicino. Il Comune di


il mio diario DI DON PAOLO TURTURRO*

IL FUNERALE DEL BOSS CUI PRODEST? PALERMO. Che tristezza la morte. Che desolazione i funerali. Che infamia lacrimare un morto, mentre nelle stanze accanto al defunto, si litiga per l’eredità. A che serve un funerale? Per il morto o per i vivi? Quanto costa un funerale? Qui nei paesi della Sicilia, le anziane signore mettono da parte il denaro per la banda e i fiori del proprio funerale. Tutto succede nei funerali. Persino un furto in casa di Paolo Rossi, mentre è in corso il suo funerale. A che

serve un funerale pomposo dei boss di Casamonica? Non solo a Roma, ancora qui a Palermo, con bande musicali e con fuochi artificiali per osannare la morte dei boss. Si lacrima uno scomparso, quando si sa che è stato colato nel cemento di una fossa. Si pagano i funerali della vedova, per averla poi dopo la morte del marito. Ritorniamo al rispetto della morte, al trionfo della morte, così stupendo al Palazzo Abatellis qui a Palermo. Noi cristiani accompagniamo i nostri cari nelle braccia di Cristo Risorto. Per noi cristiani non c’è la morte e tanto più un funerale, anche se spesso nelle nostre chiese si pagano le messe gregoriane o singole con il nome del defunto da declamare. E’ tempo di rispettare i defunti con le lacrime da offrire a Dio. Nessuno si perde nel cuore di Cristo. L’amore di un nostro caro non muore mai e le nostre lacrime lo rendono santo nel giorno del Dies irae. Rendiamo sacri i cimiteri. *PRETE ANTIMAFIA

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ANCHE I BECCHINI HANNO UN

l’antitesi di VALENTINA BELLAPIANTA

Come i monatti nei Promessi Sposi. Come gli addetti ai servizi più penosi e pericolosi della pestilenza, così oggi i becchini, che in tempi di Covid 19 hanno rischiato la pelle, restano invisibili, ignorati nelle manifestazioni di gratitudine nei confronti dei cosiddetti «eroi della vita quotidiana durante la pandemia». Ieri come oggi, non meraviglia né indigna che non sono stati citati da Mattarella e dalle istituzioni. È una questione di abitudine. Di storia. Non si usa né si è mai usato ringraziare i becchini. Perchè sono come i monatti e niente più, descritti dal Manzoni durante la peste che toglievano dalle case, dalle strade, dal lazzeretto, i cadaveri per condurli sui carri alle fosse, e sotterrarli. Sta di fatto che ai becchini non è dovuto nessun tributo pubblico di riconoscenza. Stop! Ma come? Anche loro sin dall'inizio della pandemia sono stati costantemente in prima fila, chiamati ad intervenire a qualsiasi ora del giorno e della notte, sette giorni su sette, a ritmi intensi, con modalità di lavoro e protocolli stravolti. Ma come? Anche loro, sottoposti a uno stress fisico e psicologico estenuante, hanno messo da parte le loro angosce e la loro stanchezza, per continuare a prendersi cura dei corpi dei morti e degli animi dei loro familiari. E’ inutile: a loro non si dice grazie! Basta guardare gli annunci di ringraziamenti delle famiglie dei defunti, in tempi normali: da decenni seguono più o meno sempre lo stesso schema, nel quale non figurano mai gli operatori funebri. Solo dotti, medici e sapienti. Gli umili non sorprende che anche nella pandemia non li ringrazia nessuno. Loro, i becchini, come i monatti sono l'incarnazione della morte. A toccare e

a maneggiare cadaveri ci si abitua molto in fretta. Quello a cui non ci si abitua è la caricatura arcaica del becchino, un po' sciacallo che approfitta delle sciagure altrui. Diversamente da quanto ci si immagini, è forse il caso di rinnovarsi nelle idee e nello spirito. Se il progressismo politico e culturale, sebbene obiettivamente in terribile, antistorico ritardo, ha restituito dignità e normalità con le sue battaglie di civiltà a soggetti in forte gap sociale collocandoli nel cuore della società, per quanto riguarda invece alcune categorie di lavoro (vedi proprio gli operatori funebri) siamo rimasti al populismo manzoniano di quattro secoli fa: i becchini non possono né devono ribellarsi al potere costituito ma cercare dignità attraverso la giustizia di Dio che spazzerà i tiranni e li sostituirà con gli uomini giusti, timorati da Dio stesso. Possibile che nessuno abbia mai avanzato il ruolo anche psicologico che serbano in sé i becchini? Ovvero si occupano ufficialmente dei morti, ma possono offrire anche un supporto concreto e morale ai loro familiari, che è importante nell'elaborazione del lutto. Gli aspetti più difficili del loro lavoro non sarebbero quelli legati alla preparazione delle salme, all'inumazione o alla tumulazione. E’ il confronto con il lutto. Per gli operatori funebri è la cosa più dolorosa e al contempo quella più ricca di senso e di motivazione, poiché diventerebbe una risorsa se valorizzata quale fare da accompagnatorie e sostenitore psicologico. Insomma, una funzione chiave, quest'ultima, che va ben al di là del loro ruolo ufficiale e che nella pandemia è stato annichilito. VALENTINA BELLAPIANTA


la

nota

storica DI SERGIO PISANI

FUNERALI D’ALTRI TEMPI Dal carro trainato da due cavalli del Comune di Giovinazzo nel 1938 fino al 1987 quando il Vescovo don Tonino Bello dispose un nuovo rito per i funerali. Fu messa la parola fine ai cortei funebri che sfilavano in Piazza portandosi fino in via Crocifisso «al Palazzo delle Condoglianze» ove si esprimeva il proprio cordoglio ai familiari del defunto

I più anziani ricorderanno come era il funerale di una volta. Vi partecipavano povere donne (le praefiche) che «decevene desce Dias illa pe nu solte» ovvero piangevano il morto per guadagnarsi l’elemosina, e le suore che accompagnavano i bambini loro affidati per sfruttarne l’immagine patetica di poveri orfani, già afflitti per la perdita dei loro cari. C’erano anche le confraternite, i frati, i preti: tutti accompagnavano il feretro dietro compenso. Fino agli anni ’80 i cortei funebri erano aperti dai confratelli, ma di loro (per la verità) solo tre assistevano alla messa con il crocifisso, mentre altri restavano sul sagrato della chiesa a chiacchierare, magari fumandosi una sigaretta. E a prender parte ai cortei funebri c’erano anche mercenari vestiti da confratelli. Oggi il trasporto funebre è affidato ad una macchina, ieri ad un carro trainato da due cavalli che il Comune di Giovinazzo predispose nel 1938. Prima di quella data i feretri venivano portati a spalla nascosti sotto un panno nero, sul quale era posta una cassa funebre vuota, sollevato ai 4 lembi da 4 confratelli. Questo strumento per il trasporto funebre (visibile in più d’una foto d’epoca) era in dotazione a ciascuna confraternita che fino a quella data fungeva da agenzia di trasporto funebre e provvedeva anche al suffragio delle anime dei defunti trasportati al cimitero. Dagli statuti delle confraternite, più o meno tutti dei secc. XVII-XVIII, ed in vigore fino a non molto tempo fa, infatti, si evince chiaramente come uno dei loro prioritari propositi fosse proprio quello di accompagnare alla dimora eterna sia in senso materiale oltre che spirituale i loro iscritti. Il trasporto funebre o il solo accompagnamento, diritti di ogni confratello, comportavano per chi tale non fosse, il pagamento dell’iscrizione come «Fratell a morte»: ciò garantiva anche la concessione del loculo cimiteriale. Le confraternite che già avevano il monopolio del trasporto funebre quindi tendevano anche ad accaparrarsi sciacallamente il morto (forse peggio delle praefiche) poiché fonte di guadagno. DON TONINO DISSE BASTA!Tutto ciò fino al 1987 quando il Vescovo mons. Bello dispose un nuovo rito per i funerali: dovevano terminare con la celebrazione esequiale. Da allora non si vedono più i cortei funebri sfilare


in Piazza e portarsi fino in via Crocifisso “al palazzo delle condoglianze” ove si esprimeva il proprio cordoglio ai familiari del defunto. Le confraternite ora prendono parte soltanto ai funerali dei loro iscritti. Com’è ormai noto fino all’Editto di Saint Cloude (1804), i morti venivano sepolti nelle chiese. All’interno infatti le confraternite e più d’una famiglia nobile avevano le loro tombe che sono state oggi sostituite dalle cappelle gentilizie cimiteriali. Per la tumulazione di chi non avesse la propria tomba era il parroco ad esigere il dovuto nel cimitero della chiesa. Dovrebbe essere diritto dei soli confratelli la tumulazione nei suddetti gentilizi cimiteriali, ma il loculo, oggi è concesso a chicchessia dietro richiesta (che si potrebbe continuare a giustificare con l’iscrizione anche in punto di morte, ma oltre tutto l’art. 93 Reg. Pol. Mort. prevede che il diritto di uso delle sepolture date in concessione ad enti, è riservato alle persone contemplate dal relativo ordinamento). In piena autonomia infatti molti anche quando il Comune può soddisfare le richieste, preferiscono rivolgersi alle confraternite per poter tumulare i propri cari, e poter poi con soddisfazione raccontare, inorgogliti, della posizione in senso assolutamente materiale assicurata al loro caro congiunto. Dimenticano questi che la legge prevede che tutti abbiamo diritto ad inumazione gratuita, e implorano i responsabili delle confraternite perché a qualunque prezzo si tumulino i loro cari tra i confratelli. IL BUSINESS DEI LOCULI DELLE CONFRATERNITE Spesso i priori accondiscendono alle pressanti richieste (secondo alcuni violando l’art. 92 del Regolam. Polizia Mortauaria che vieta di rilasciare “concessioni di aree per sepolture a privati o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro e speculazione”) per non rompere antichi rapporti d’amicizia. Ma quando

non lo fanno (e questo accade!) è perché devono altresì assicurare un congruo numero di loculi per i propri iscritti in vita data la carenza di loculi comunali. Sì, perché ove ad un confratello dovesse mancare il posto che gli spetta di diritto, per la leggerezza del suo priore che con “cristiana benevolenza” dovesse aver ceduto…(gratuitamente vero?),… i loculi vuoti del gentilizio, spetterebbe alla stessa confraternita farsi carico, in senso strettamente economico, della sua degna sepoltura in altro sito, a qualunque prezzo, per compensare il diritto leso del suo iscritto. ASSOLUTAMENTE INGIUSTIFICATA L’ACCUSA MOSSA ALLE CONFRATERNITE? Nessuna speculazione sulle concessioni di loculi. Oltretutto è bene si sappia che i gentilizi cimiteriali siti nella prima zona del locale cimitero sono di proprietà delle confraternite in quanto acquistati con regolare atto notarile di compravendita di suolo e non dati in concessione come è avvenuto per quelli delle altre zone cimiteriali. Pertanto esse possono “disporne in modo pieno ed esclusivo entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti” (art. 832 c.c.). È bene sapere poi che le confraternite si qualificano come “enti ecclesiastici civilmente riconosciuti avente fini di religione e di culto senza scopi di lucro” e che le stesse oltre al mantenimento del gentilizio, alle spese di culto e agli obblighi legatari sono soggette al prelievo fiscale da parte dell’Autorità ecclesiastica oltre che dello Stato. Non bisogna dimenticare poi che da un po’ di anni proprio le confraternite sono diventate custodi del nostro patrimonio artistico con un impegno anche finanziario, ed anche per questo oltre che in quello per le feste dei santi titolari (per chi le fa ancora) che vengono impegnate le somme richieste per le concessioni cimiteriali. Note storiche di Diego de Ceglia


illis temporibus

DI ANGELO

GUASTADISEGNI

LA BARA SOTTO IL LETTO Una storia curiosa quanta sconcertante e macabra. Forse questioni economiche, scaramanzia, eccesso di zelo?

Sognare una bara inquieta i sognatori ancor più delle immagini del funerale perché si collega al simbolismo della morte. Eppure c’era chi la bara non se la sognava la notte, ma se la faceva preparare addirittura dal falegname per tenerla già bell’e pronta, sotto il proprio letto, il dì che avrebbe accolto le spoglie mortali. Tombe, loculi e cappelle erano appannaggio di pochi ricchi. La pratica di sepoltura più diffusa era quella di inumare il defunto sottoterra. L’usanza di acquistare già in vita la bara si collegava alle difficili condizioni di vita di allora. Le famiglie di una volta confidavano molto nella Provvidenza. I coniugi nutrivano la speranza che, una volta morti, i loro corpi riposti nelle bare sarebbero tornati alla terra mentre le loro anime sarebbero state accolte in cielo. Non sempre però questa usanza produceva gli esiti sperati. Accadde ad un signore che aveva dedicato la sua vita al lavoro ed aveva, grazie ai suoi risparmi, acquistato la bara e riposta sotto il letto. Quotidianamente si adoperava perché la bara conservasse la sua foggia: lucidava il legno e puliva gli intarsi. Mai però l’aveva scoperchiata e guardata dentro. Pensava così di essersi garantito la sua memoria una volta giunto al capolinea della vita. Quando lo colse la morte, i vicini ebbero modo di constatare la serenità del suo volto. Nonostante tutti i sacrifici fatti in vita le spoglie di quel signore non poterono riposare nella bara che si era preparato. Tarme e umidità avevano logorato l’interno della cassa. Mossi a compassione, furono i vicini a provvedere all’acquisto di una nuova bara e alla celebrazione delle esequie. ANGELO GUASTADISEGNI


chiusa per crisi

DI

SERGIO PISANI

DOVE NASCEVANO I COFANI FUNEBRI Requiem per L’Industria del Legno, l’eccellenza del settore, complici la congiuntura del mercato, le difficoltà nel reperire personale specializzato e la concorrenza a basso costo dell’est europeo L’Industria del Legno non si era fermata nemmeno durante il Dpcm del 2020 A.C. (Ante Coronavirus) del governo che aveva fermato invece il 75% della forza operaia italiana (l’azienda giovinazzese della fabbricazione di casse funebri rientrava nella filiera medica, un comparto ritenuto essenziale). L’Industria del Legno si è fermata, invece, il 31 dicembre 2020, chiudendo i cancelli per sempre e mandando a casa i 40 dipendenti. Resta solo attivo il sito internet a raccontare una storia di successo di un’azienda giovinazzese che non ha mai delocalizzato la propria produzione fuori dall’Italia. Un Paese, il nostro, privo di un qualsiasi regolamento etico di polizia mortuaria e di sistemi di difesa contro la concorrenza sleale e il prodotto estero a basso costo. Dell’industria del legno di Pino Spagnoletti, sita in via Bari, prima della Lama di Località Ponte, non si respira più il profumo del larice e dell’olmo. Non ci sono più neanche le cataste di legno pregiato da cui nascevano i cofani di qualità. Chiuso per crisi. Dopo quarant’anni di storia e di lavoro. Già, proprio il lavoro era il tema spinoso in azienda che ha sempre trovato enormi difficoltà nel reperire personale giovane specializzato o da formare, senza contare che, di frequente, proprio i giovani si orientavano verso altri tipi d’occupazione (questo probabilmente anche per un accresciuto grado d’istruzione che necessariamente svilisce il lavoro manuale e Industriale). L’Industria del Legno era nata nel 1980 con Pino Spagnoletti, grazie al frutto di una sua esperienza maturata in decenni d’attività nel settore, con il lavoro prima nella bottega del nonno Giuseppe, poi nella fabbrica paterna, quindi come rappresentante. Erano anni in cui Pino aveva sviluppato una visione sempre più matura del settore e una feconda creatività, tipica di chi opera nell’Industriato. L’ha dimo-

strato quando la piccola azienda, da lui fondata, è diventata, per dimensioni e produzione, per tecnologie impiegate e per mercati serviti, una grande impresa industriale impegnando una superficie coperta di 2.000 mq, destinata alla produzione e alle attività di concetto, cui si aggiungevano circa 8.000 mq di area scoperta, destinata allo stoccaggio e alla movimentazione della materia prima. Continuiamo a parlare al passato, anche perché gli spiragli di una riapertura dell’azienda leader sul territorio dei cofani funebri sono definitivamente defunti. L’impresa disponeva di una forza lavoro di ben 40 operai, con una produzione settimanale che si aggirava in media attorno ai 200 cofani, e che andava a servire un mercato che copriva oltre alla Puglia, l’Abruzzo, il Molise e l’intero territorio nazionale. Sarà stato il mercato del settore funerario ormai saturo, insieme all’eccesso produttivo della stessa Italia, sarà stata la concorrenza d’articoli di provenienza dall’est europeo (infliggono una dura battuta d’arresto all’economia globale del settore poiché si tratta d’articoli, ovviamente, a costi molto bassi, sebbene, come al solito, al prezzo poi corrisponda un prodotto non perfetto dal punto di vista qualitativo) a dichiarare lo stato di crisi, con la conseguente chiusura definitiva del sito produttivo. Eppure L’Industria del Legno si differenziava nel processo di produzione perchè puntava sulla qualità del prodotto, frutto della lavorazione di legni pregiati, come larice, ebiara, olmo, noce, frassino, mogano e altri che arrivavano non solo dall’Europa Centrale ma anche dalla fascia tropicale dell’Africa occidentale e centro orientale e dal Nord America. Gli esperti ebanisti controllavano, inoltre, che la produzione rispettasse gli standard più rigorosi di quelli previsti dalle normative (DPR 10.9.1990 n. 285 e Circolare Min. Sanità 24.6.1993 n. 24): dagli spessori impiegati al grado d’umidità delle tavole, ai collanti, alle vernici. Gli stessi necrofori locali, costretti oggi a servirsi da altri distributori, la qualità la toccavano con mano: i cofani funebri provenienti dal sito di Giovinazzo pesavano quasi il doppio rispetto alla concorrenza. Ricordi che fanno male. Adesso è tutto finito. Requiem per una impresa industriale di qualità che non c’è più in paese! SERGIO PISANI


scene di vita strapaesana DI SERGIO PISANI

UN FUNERALE COMICO L’ufficiale giudiziario bussò alla cas(s)a del defunto “La Legge è legge” mentre il cavallo, tutto bardato di nero, si levò sulle zampe posteriori. Per poco, la bara non scivolò dalla carrozza. Durante il corteo, intenta a fare le orecchiette sull’usciolino di casa, con il matterello in mano e la gonna raggomitolata ai fianchi, una malafemmina mostrava i mutandoni di color celeste, legati ai polpacci con una cappiola giallina. Ce vergogn! Madonna Sand… Non c’è funerale che, spesso, non faccia ridere e sposalizio che non faccia piangere. Non che i proverbi siano proprio la saggezza dei popoli ma, alcuni non mentono. Ero solito, verso mezzogiorno, andare a chiamare un mio amico, Tommaso De Palo per fare la consueta passeggiatina nel borgo del paese. Ma, quel giorno, Tmès si affacciò al balconcino e gridò: - Na possec ascènn. A mùrt u nonn! U nonn? - risposi. Da na dèj a nalt? Salgo le scale e atteggio il viso ad una ipocrita tristezza. Spio dall’uscio della cucina e vedo otto ceri gocciolanti, attorno al catafalco. Il morto era lucidato e stirato: un mucchietto di pelle ed ossa. Una papalina con una nappina pendente ed un fiocchetto era incollata sul capo. Sembrava un manichino, tanto era teso ed impalato. Una mosca roteava dal lobo dell’orecchio alla cavità degli occhi. Un fazzoletto bianco gli passava per il mento e si annodava sotto la papalina per tenergli strette le guance incartapecorite. La stanza era angusta, le fi-

nestre serrate. Solo da un finestrino imporrito, entrava una fievole luce opalina. Chissà, per conferire un’aria di mestizia e di dolore. Un ragazzo del bar se ne stava acculato su un trespolo: fissava, in assorto e cupo silenzio, la faccia del morto. Si trattava di Tmès u Molfettès, anni 70, padre della signora Verìn che, poi, era la madre del mio amico. Conoscevo nonno Peppin. Era buttato come un cencio in un angolo della cucina. Volgeva lo sguardo attraverso il finestrino dal quale si vedeva la straducola sottostante e il passeggiare delle persone che uscivano per andare al borgo del paese. Il vecchio mugugnava e sbavava, tutto marcato su una ciscranna, distrutto, per lunghi anni, dall’arteriosclerosi. Da quel piccolo varco della finestrella, ammirava, lontano, la distesa dei campi. Un capannello di persone, stancamente, bighellonava sui gradini delle scale; altri, come cariatidi, erano sulla rampa con le spalle insaccate. Dalla cucina Tmès, con una strizzatina d’occhio, mormorava: - Vu qualkecause? Aveva in mano un piatto fumante di spaghetti. - Eh! - incalzò il padre, fuochista di nave Francisc De Palo, - propr a chèss aùr m’aviv mrè! Avviv gè apprparèt la tavol. Propr iosc se n’aviv ascè! Kìss murt, stè tant timb! Si vist ciat t combìnen: lisc, lisc dò. E mo ce me ne fazzc du bigliett? Così, rabbuiato, mi mostrava i biglietti del teatro. Al «Petruzzelli» di Bari, quella sera, insieme alla famiglia, avrebbe dovuto assistere a La Tosca. - P’ mà, - continuò infoschito, - sciss u stèss. Ma la gent ciat avà penzè? Crist mè, perdùnm. Damm na mèn! La moglie nuotava in una enorme gonna nera. Intanto, giù dal portone, si sentì il grido del portalettere: - Depalo... Depalooo... Un momento, - rispose Tmès. Ritornò su con un invito per un matrimonio. Era una cugina che si sposava, non al paese, ma a Bari, in una fastosa sala. Si sentiva puzza di bruciato nella stanza da letto. Esalava del fumo. - C stè a seccèd, - gridò il signor De Palo. - Madonna Sand, stonn adà brscè u mùrt - gridò un tale. E, infatti, chissà come, un moccolo di candela accesa era caduto sul catafalco. Ora, principiava a bruciacchiarsi un lembo di giacca. Avvenne un parapiglia. Alcuni rovesciarono addosso al morto quartare d’acqua. - Muvvt, muvvt, steut u mùrt, - gridò un parente lontano.

Correva pericolo che la casa diventasse una fornace. - Eh! - commentò con gravità il padrone di casa, - ang l mùrt so pericolos! Fu rimessa sul capo la papalina, sistemate le lenzuola. Tommaso rimase nuovamente solo. Frattanto, era arrivato un signore con una borsa nera sotto il braccio, tutto compunto. Gli occhiali gli pinzavano le orecchie cartilaginose e il naso bitorzoluto. - Mi dispiace, lo so, non è il momento opportuno ma, la legge è legge. Così dicendo, cominciò ad annotare su di un’agenda la mobilia. - Scusate tanto, - lo interruppe Tommaso, ma di che si tratta? - Come! Non avete capito? Sequestro, brutta rogna! Questo mestieraccio di ufficiale giudiziario non lo farei fare nemmeno ai cani. - Ma c stè a desc - rispose il signor Francesco, scuro in viso, con la bile che gli schizzava dagli occhi. - Sequestro? - Sentite, signore, le spese pazze non le faccio, io. Qui, le carte parlano chiaro. Leggete, leggete voi stesso: «Francesco Depalo, via …. ecc. ecc.» Eccovi qui, in questo foglio, tutta la pappardella . Il signor De Palo sbottò a ridere a crepapelle, mentre spingeva l’ufficiale giudiziario in cucina. - Ridete, ridete pure - brontolò accigliato l’uomo, un po’ intronato. - Pizz d m…na m si facèn gastmè cu u murt do inze Il sequestro lo facete a De Palo; ma io sono Depalo, tutto attaccato. Il De Palo che vai trovando abita in questa strada, ma più a basso…Si capèt? L’uomo inforcò gli occhiali nuovamente sul naso a gnocco. Lesse, sbianchì. Infatti, aveva preso un abbaglio. - Avete ragione, signor De Pa loo…, - cercando di sillabare il cognome. Avete proprio ragione! - Depalo, tutto attaccato più giù abita, - gridava il padre del mio amico. Ding o postìn peur ca c sbagl n’alt a volt u’accpdèscek. Iè c keda gènt na voggh avà nudd da spartè! E ora, vio di qua, attirapiedi. Non vi metto le mani addosso per il lutto. La casa era gremita. Un lamentoso vocio ed un querulo piagnisteo stagnavano nelle tre camere lugubri e buie. Si sentiva per il corridoio e le stanze, il vocio delle donne che recitavano il rosario in un angolo, tutte a cerchio. Gli uomini erano con la coppola in mano e sfrottolavano, indifferentemente. Era arrivata una carrozza. Il cavallo tutto bardato di nero: redini, posola, persino gli zoccoli. Sul garrese gli pendeva una gualdrappa corvina. Sbu-


cavano solo gli occhi da un cappuccio che lasciava fuori le orecchie appuntite. L’animale era un po’ irrequieto. Scalpitava, rignava forse impaziente di starsene impalato come un monumento, tra la mestizia della folla, la confraternita, il sacerdote, il chierichetto e il profumo delle due corone di fiori. La bara, sulle spalle di quattro uomini, fu fatta scendere con precauzione. Il chierichetto porgeva l’acquasantiera, mentre il sacerdote officiava il rito funebre con preghiere in latino ed in italiano. I presenti curvavano il capo e rispondevano « amen, amen ». Quando tutto fu sistemato e il corteo pronto a muoversi, il cavallo rinculò e si levò sulle zampe posteriori. Per poco, la bara non scivolava dalla carrozza. L’uomo che stava a postiglione, scese. Con una divisa come un pinguino, avanti al muso del cavallo, mormorava, accarezzando le froge bavose: - Camèn, ce a ma remanè do? L’animale, trattenuto dal morso, dette uno sbalzo come un acrobata, lasciando la folla gravata di mestizia, sbalordita, indietro di una cinquantina di metri, con la carrozza avanti, come se volesse andare da sola al camposanto. - Ih...! ih...! bastard anmèl - gridava furibondo. Il vetturale si trovò con la frusta in mano sui piedi di alcuni curiosi che stavano, allampanati, con la bocca spalancata ad attendere il passaggio del corteo funebre. Quando si ebbe riassettato, corse verso la carrozza, si aggrappò alle redini e gridò:

- T nzègnc iè nu pìcc d’educaziaun. Na tìne respett nemmanc d l mùrt! Piovevano, così, addosso all’animale, bestemmie, calci e pugni. - Avanti, voi, - ingiunse il vetturale. Il seguito avanzò, a passo garibaldino dal portone del defunto. Sulle balconate e sugli usci, la gente curiosa, ridacchiava. Il corteo, con tutte le corone, il sacerdote e il chierichetto raggiunse la carrozza. Arrivati davanti alla chiesa madre, dove si sarebbe dovuta officiare la messa funebre, tra la processione, si sentì un fischio: - Sssst...! ssssssst...! Signora, ehi, signora! Non vedete? Ma la donna era calamitata dal corteo. Tutti si voltarono verso l’uscio di quella casa. Che malafemmina! Che mondo! Ma guarda, guarda! Era una comare che se ne stava sull’usciolino di casa con il matterello in mano e la gonna pieghettata, raggomitolata ai fianchi. Erano visibili i mutandoni di color celeste, legati ai polpacci con una cappiola giallina. Evidentemente, era intenta a fare le orecchiette, là, sulla madia e non si era accorta di essere in quella sconcia posizione. Con le mani sulla faccia, gridò: - Uh! Ce vergogn! Madonna Sand… E si nascose in casa con tutti gli sguardi che la fissavano. Il corteo prese a transitare, gravemente. Im-

provvisamente, il cavallo si fermò, drizzò le orecchie. Là, sul vialone che portava al camposanto, solenne e placido, brucava fili d’erba un enorme bue, proprio al centro dello stradone. Il pachiderma non sembrava disposto a spostarsi. Il vetturale scese nuovamente: - Facetemi un favore. levatemi dalla strada quella bestiaccia, - gridò. I primi della fila si avvicinarono timidamente al bue. Sulla strada echeggiava il cavernoso muggito dell’animale. - Allìvt da menz! Con alcuni forconi, lo fecero allontanare. Il corteo riprese a snodarsi. Ma ora, vicino al cancello del cimitero, ecco attraversare il bianco del viale, ombreggiato dai cipressi, un gatto nero. - Sang du diavuul. Port sfrtèun u gatt nèer - gridarono alcuni. Tutti si facevano le croce e pregavano sottovoce. Peppino fu lasciato solo finalmente nella camera mortuaria. Il becchino non lo degnò di uno sguardo. Anche lui aveva visto quel gattone scuro attraversare lo stradale. E, fatta scivolare la bara dalla carrozza, si affrettò a toccare, per scaramanzia, una maniglia di bronzo della bara. Il corteo si sciolse. La gente, a gruppetti, tornava in paese, sparsa per i vicoletti. Era quasi il tramonto. Pasquale u Molfettès, nonno materno di Tmès Depalo, ora, era morto per davvero.

SERGIO PISANI





il

punto

di Enrico Tedeschi

AMMINISTRATIVE 2022

TUTTI PRESENTI, MANCA LA DESTRA Siamo davvero a pochi mesi dalle prossime amministrative ma, se si esclude la candidatura del braccio destro del sindaco uscente (col suo simbolo e liste civiche collegate) Michele Sollecito, nulla di definitivo finora circa i nomi dei suoi diretti concorrenti alla carica di primo cittadino: è ancora zuffa nel centrosinistra, infatti, per designare un eventuale candidato unico, mentre c’è una nebulosa galassia di ipotesi aperte a tutto, e al contrario di tutto, dall’altra parte. Nessun cambio di segno né tantomeno una diversa visione di città, comunque, sembra affacciarsi rispetto alla linea tracciata e fortemente voluta da Tommaso Depalma nel suo decennio di quasi incontrastato dominio. Insomma un “cambiare tutto perché non cambi niente” sembra, almeno al momento, la prospettiva più probabile per Giovinazzo: e cioè nessuna significativa inversione di tendenza all’orizzonte, tutto fa pensare piuttosto ad una mera sostituzione della catena di comando cittadina che possa continuare a guidare la città sullo stesso progetto complessivo, in sinergia e con gli accordi con la cabina di regia regionale. Più che spiegabile, allora, lo scontro accesosi nelle segreterie di centro sinistra per cercare di convergere su un solo nome e magari vincere persino al primo turno. A contendersi la leadership di questa eventuale coalizione lo sconfitto al ballottaggio della passata tornata elettorale, Daniele de Gennaro (Primavera Alternativa) in contrapposizione con il PD dell’“inclusivo” ma poco noto politicamente Savino Alberto Rucci, anche se voci insistenti parlano di un proposto e sembrerebbe respinto ballottaggio e più di un’opzione di riserva da spendere sul piano delle trattative congiunte (Nico Bavaro di LEU o qualche altra clamorosa sorpresa dell’ultim’ora). Questo il quadro attuale, e dunque grandi manovre in atto e incontri catartici, la sinistra sembra mirare ad un riscatto pieno e possibilmente targato PD, al fine di confermare anche localmente il dato nazionale del suo successo nelle ultime amministrative. Tale però stando alla sola lettura “Letta” (ma ben riverberata dalla potentissima macchina da guerra dei media progressisti) che narra di una vittoria del Partito Democratico in grande risalita dappertutto. Con buona pace dei numeri veri che invece ci raccontano di un’astensione reale dalle urne generalmente del 60 % dei votanti e, pertanto, di un consenso anche di area di poco più o meno del 20% (ovvero quanto è bastato a vincere, per esempio, nei ballottaggi delle grandi città) e oltretutto a discapito del suo principale alleato di Governo che questo partito sta lentamente consumando dall’interno: nessun sindaco, infatti, nelle realtà che contano per il M5S. E se questo potrebbe spiegare l’assenza

anche qui di un candidato del Movimento 5 Stelle, nonostante una parlamentare “di casa”, fa in ogni caso riflettere la situazione di Fratelli d’Italia che, primo partito nazionale nei sondaggi (> 20 %) ha una posizione non ancora definibile in alcun modo né una struttura chiara in loco, pur avendo un parlamentare di spicco a pochi chilometri da noi. Né va molto meglio, sempre nel centrodestra, sia per Forza Italia (che con il suo “Everest” esporta regolarmente anche il nome di Giovinazzo su tutti i media) sia per la Lega che, senza struttura e riferimenti, ha registrato un non certo trascurabile consenso alle ultime politiche. In pratica quello che manca da questa parte, e non da adesso, è almeno “un centro di gravità permanente” tanto autorevole da poter fare anche da perno e coordinatore pure a liste civiche collegate con il chiaro fine di catalizzare i consensi dell’area più tradizionalista e cattolica della nostra Città: proprio quella che, se vogliamo, è maggioranza stando almeno al sentiment percepito e diffuso tra i nostri concittadini. Impossibile pensare che ora si possa far sintesi in quattro e quattr’otto con le attuali premesse (e infatti neanche un nome che trapeli di un credibile candidato sindaco a dimostrarlo) ma è evidente che se questa situazione di stallo perdura ancora per molto si rischia davvero di lasciare senza altre prospettive il futuro della nostra Città; una consegna, in definitiva, ad un destino già segnato ed in antitesi con quello che Giovinazzo potrebbe rappresentare, anche nell’interesse di tutta l’area metropolitana, per tutto quello che ha e stando al centro del centro della visitatissima “regione più cool del Mondo”. Insomma quasi certamente verrebbe meno la visione, alternativa a quella di Città Smart, di un Borgo Autentico sul mare che possa divenire capofila, e non solo di zona, per il rilancio di un turismo destagionalizzato all’insegna della Bellezza e della Cultura, attraendo e poi fidelizzando i visitatori più colti e di élite magari solo di passaggio in Puglia per le vacanze estive. Un sogno a portata di mano, se solo fossimo veramente consapevoli dell’immenso patrimonio non sfruttato che abbiamo, ma che può facilmente divenire realtà mettendo da parte ideologie e protagonismi (o opportunismi di qualsivoglia genere) e pensando solo e soltanto all’interesse della collettività, cioè di tutti, noi compresi. Sperando perciò che ora il centro destra non manchi all’appello, ma si organizzi ed arricchisca la competizione con nuove proposte sul piano della sicurezza e del marketing territoriale, non ci resta che chiudere ricordando a tutti che con “troppi galli non si fa mai giorno” e quello delle elezioni è ormai vicino. Ed è un giorno che però durerà per ben cinque anni. (E.T)


l angolo

del

lettore di Agostino Picicco

CLAUDIA KOLL A GIOVINAZZO «In questa città non sono ospite ma vivo un clima di famiglia» LA NOTA ATTRICE ITALIANA - RESA CELEBRE DA FILM E SERIE TELEVISIVE A CAVALLO TRA GLI ANNI

NOVANTA

DUEMILA, E DA UNA CONDUZIONE DEL FESTIVAL DI SANREMO NEL 1995 ACCANTO A PIPPO BAUDO E ANNA FALCHI, PASSANDO PER LA FICTION TV RAI LINDA E IL BRIGADIERE, AL FIANCO DI NINO MANFREDI, E VALERIA MEDICO LEGALE IN ONDA DAL 2000 AL 2002 – NEL 2000 RISCOPRE LA FEDE CATE

TOLICA RESA VIVA DAL SERVIZIO GENEROSO E CONCRETO VERSO I POVERI, TANTO DA FARNE LA SUA MISSIONE DI VITA, UNA MISSIONE CHE LA VEDE ATTIVA ANCHE NEL PORTARE LA SUA TESTIMONIANZA Claudia precisa subito che non è la prima volta che visita Giovinazzo. «Già altre volte sono DI IMPEGNO NELL’ASSOCIAZIONE

ONLUS DA LEI FONDATA LE OPERE DEL PADRE. IN QUESTA VESTE CLAUDIA KOLL È GIUNTA A GIOVINAZZO L’8 OTTOBRE PRESSO LA PARROCCHIA SAN

DOMENICO

IN OCCASIONE DEI

FESTEGGIAMENTI IN ONORE DELLA

MADONNA DEL ROSARIO PER PARLARE DI FEDE, CONVERSIONE, AIUTO ALLE FRAGILITÀ E SOSTEGNO ALLE POVERTÀ DELLA NOSTRA SOCIETÀ GLOBALE, ACCOLTA E INTRODOTTA NELLA SUA TESTIMONIANZA DAL PARROCO DON TRO

PIE-

RUBINI.

IN MARGINE ALL’APPASSIONATO INTERVENTO, L’ABBIAMO SENTITA PER

stata qui, ospite in casa di amici dove sperimento un ambiente familiare, mi sono fermata più giorni per avere modo di incontrare le persone che conosco e a cui voglio bene». La bellezza della nostra cittadina sicuramente è motivo di piacevole permanenza. Ma per Claudia non è solo questo: «E’ molto bella Giovinazzo per il mare d’estate, il porticciolo, il centro storico tutto bianco, i suoi prodotti, qui sperimento una dimensione di semplicità che mi fa stare bene. Ma per me il luogo lo fanno le persone, persone amiche che mi aiutano per le mie ‘Opere del Padre’, persone sensibili verso coloro che sono poveri e disagiati. Trovo qui una rete di solidarietà incredibile. Ci sono belle risorse umane a Giovinazzo!». Ad esempio … «C’è Angela che ha una lavanderia e mi dà tanti consigli per la lavanderia che abbiamo a Roma. Infatti ci vogliono accorgimenti specifici su come trattare i panni di chi vive per strada e non può lavarsi spesso, così Angela ci dà indicazioni sui prodotti da usare per lavare al meglio gli abiti. Inoltre ci offre vestiti smacchiati per i poveri in totale gratuità. Poi c’è Franco il barbiere, che il lunedì – sua giornata di riposo – si fa tanti chilometri per venire a Roma a tagliare i capelli ai poveri gratuitamente. E ancora Corsignana, che è molto sensibile alle persone disagiate, cuce dei pantaloni meravigliosi, e li regala come suo dono personale per i poveri, ma … anche per me. E poi Giovanna che è tanto gentile, mi segue da anni e mi accompagna nei miei spostamenti in occasione delle testimonianze pubbliche. E’ una grande risorsa nel trovare benefattori per le necessità dei poveri. E Lucia, altra persona meravigliosa, e tanti altri amici che mi rendono Giovinazzo cara non solo per le sue bellezze artistiche e architettoniche ma anche per la dimensione familiare e del dono che mi lega alla vostra città».

TRA ROMA E L’AFRICA Quali sono i centri, o meglio i luoghi, dell’impegno di Claudia? «Il centro del mio impegno è a Roma, dove con la mia associazione ‘Le opere del COGLIERE MEGLIO IL FERVORE CHE Padre’ ascolto i poveri, mi attivo per le loro problematiche con assistenti sociali e medici LA ANIMA E COME NASCE IL LEGA- dato che qui convergono i poveri di varie parti d’Italia e del mondo. Ma il mio campo di azione è l’Africa». ME CON

GIOVINAZZO


Come mai ha scelto proprio l’Africa? «Ho iniziato ad operarvi quando sono stata testimonial dei missionari salesiani nel mondo e poi ho vissuto esperienze dirette in Etiopia e Burundi. La mia associazione si ritrova nella spiritualità della Divina Misericordia. Si tratta di dare forma alla fede con le opere, così annunciamo e testimoniamo nelle chiese il bisogno di aiutare i poveri. Avevo iniziato con un breve video delle musiche del Burundi e le offerte ricevute dalla vendita le diedi a un vescovo di quel Paese. Quando andai a trovarlo cominciai a piangere vedendo i poveri che vivevano miseramente nelle foreste abbandonati da tutti. Poi iniziai ad aiutare un sacerdote del Burundi conosciuto a Roma e lui mi invitò nella sua terra per sostenere gli orfani di guerra: mi pareva di essere quel ragazzo del Vangelo che aveva cinque pani e due pesci, e ci voleva l’aiuto di Dio per moltiplicare le risorse. Così mi impegnai a promuovere il sostegno a distanza in Africa, e iniziammo questo percorso con grande semplicità». Insomma un’esperienza di coinvolgimento anche di altra gente: «Le persone mi hanno accompagnato nei viaggi per portare beni necessari. Ho organizzato viaggi missionari con i giovani di tutte le parti d’Italia che desiderano fare esperienze di volontariato. Ho messo insieme ragazzi del nord e del sud. Sono mondi che si incontrano con esperienze diverse. Mi ricordo di un ragazzo, Emiliano, che voleva fare esperienza di volontariato in Africa, ma i ritmi erano pesanti e lui aveva qualche problema di salute. Lo portai ugualmente, lui prendeva farmaci che lo rallentavano così io la mattina, appena sveglia, gli portavo subito il caffè e poi anche gli altri volontari lo aiutavano». Da attrice di grande richiamo a missionaria: non si può non chiedere a Claudia se il suo passato artistico è un peso o un aiuto in questa sua nuova vita. «Non rinnego il mio passato, penso che mi abbia aiutato perché

faccio interrogare le persone che mi hanno visto in un modo e oggi mi vedono arricchita di esperienza che consente loro di comprendere e riflettere. Porsi delle domande è una cosa fondamentale nella vita per farsi mettere in crisi e per mettere in discussione le proprie certezze». Qual è oggi il legame di Claudia Koll col mondo artistico: «Faccio letture pubbliche e insegno recitazione, è questo il mio lavoro. Insegno non solo a chi vuole fare l’attore ma tengo corsi di educazione della voce, rilassamento, consapevolezza di sé per ritrovare una propria serenità. I problemi di tanti si sono acuiti dopo il primo lockdown e molti soffrono di insonnia, così lavoro fino a tardi». OLTRE GLI STEREOTIPI Tornando a Giovinazzo, chiediamo a Claudia in cosa si è sentita arricchita da questa visita: «Sono felice di aver conosciuto il vostro parroco don Pietro. Ha chiesto la mia testimonianza di una narrazione di incontro con il Signore e nel suo intervento ha commentato la pagina in cui Gesù chiede agli apostoli ‘Chi dice la gente che io sia?’. E’ importante porsi la domanda evangelica, che ha suscitato la mia testimonianza: chi è Gesù per me che ascolto, che rapporto ho con Dio, come intendere la narrazione del rapporto che ho con Dio. Ho apprezzato questa sua capacità di comprensione della mia testimonianza». Una testimonianza sicuramente originale, frutto di una moderna quanto insolita conversione. Non è vero che ‘così fan tutte’ perché Claudia Koll è riuscita ad abbattere il muro della cronaca e degli stereotipi per mostrare il volto nuovo della conversione e dare un messaggio di promozione umana nel nome di Dio, una marcia in più che ha illuminato la sua vita ma che può illuminare anche la nostra che a Giovinazzo abbiamo incontrato il suo sguardo dolce, buono ed entusiasta. AGOSTINO PICICCO



visto

da...

ANTONELLO TARANTO*

FOLGORATI SULLA VIA DI GIOVINAZZO Tra eros e thanatos, il viaggio di Claudia Koll Non sono stati i fulmini che hanno accompagnato la bomba d’acqua che si è rovesciata sul nostro pregiato borgo antico. Neanche i potenti fanali che illuminano la città o gli spettacoli pirotecnici o le luminarie delle feste patronali. Molti cittadini di Giovinazzo sono stati folgorati, come San Paolo sulla via di Damasco, dalla bellezza, indiscutibile e universale di una persona. Una persona che, come San Paolo, aveva iniziato il suo viaggio con uno scopo egoistico e lo ha completato con un nuovo scopo immensamente generoso. La bella persona che ha illuminato tanti giovinazzesi é Claudia Koll: una donna che ha iniziato il suo viaggio attraversando le lande del cinema erotico ma che, poi, è approdata nelle foreste africane a portare aiuto ai bambini poveri e, poi, nei deserti metropolitani a portare aiuto ai «banditi dalla civiltà». La conversione di Claudia Koll è il frutto di un processo religioso, di un’ispirazione mistica e divina, ma anche di un processo psicologico, cognitivo e sociale. Claudia Koll era molto bella ai tempi dell’avventura cinematografica; mi permetto di dire che è diventata ancora più bella dopo l’incursione della grazia di Dio nella sua vita. Della grazia divina io non so par-

lare. Ma del processo psicologico posso dire che nell’anima di ciascuno di noi esistono due istanze che gli psicanalisti chiamano eros e thanatos. Nel linguaggio comune potremmo dire che esiste un eterno conflitto fra «amore e odio», «vita e morte», «energia e apatia». Al di là delle esigenze didattiche, eros e thanatos oltre ad essere eternamente in conflitto fra di loro sono anche strettissimamente intrecciati fra di loro. Nei discorsi superficiali che possiamo fare al tavolino di un bar, ‘eros’ è associato all’attività sessuale e ‘thanatos’ è associato alla ‘violenza’. Nella realtà psichica profonda, ‘eros’ è l’energia vitale che unisce (sesso riproduttivo, collaborazione familiare, lavoro per nutrire ed educare); ‘thanatos’ è l’energia vitale che conquista (lotta per accoppiarsi, caccia per procacciare il cibo, guerra per proteggere la famiglia). Entrambe le istanze sono quindi a favore della vita della propria famiglia. Se eros e thanatos si intrecciano bene e collaborano, abbiamo una persona matura. Se le due istanze si separano o non collaborano abbiamo una persona nevrotica. Claudia Koll ha raccontato che, da giovane, ha subito l’influenza del maligno, cioè del diavolo. Etimologicamente la parola «diavolo» deriva dalle parole greche «dia» (separo) e «ballò» (di traverso). Il diavolo è un’entità che si infila fra eros e thanatos mettendosi di traverso e tenendoli lontani l’uno dall’altro. Non so se sia proprio il diavolo a fare questa cosa o se sia l’insieme delle banali e umane tentazioni che ogni giorno ci bersagliano ma è sicuro che in età adolescenziale capita spesso che eros e thanatos si separino e portino i nostri giovani nelle trappole della droga, della sessualità perversa e della violenza. Non so neanche se sia la Madonna del Rosario o un banale e umanissimo chimismo cerebrale a riportare l’equilibrio in età matura. Sono certo, però, che la parabola di Claudia Koll sia un esempio bellissimo e un messaggio di speranza che non deve essere mai persa. Quando il «figliol prodigo torna alla casa del padre, è sempre festa». *MEDICO PSICHIATRA


storia

nostra

DI

D IEGO

DE

C EGLIA

L’IMPEGNO SCIENTIFICO EXTRA PASTORALE DEL VESCOVO GIUSEPPE ORLANDI Nella contingente impossibilità di accedere agli archivi del territorio per la consultazione di materiale documentario che porti alla luce altre notizie inedite, continuiamo a proporre note biografiche di personaggi che hanno segnato la storia della nostra città. Dal Dizionario Biografico degli Italiani curato dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, alla voce “Orlandi Giuseppe” che fu Vescovo di Giovinazzo dal 1752 al 1776, ci hanno incuriosito alcuni aspetti della sua vita, sinora mai divulgati dagli storici locali Giuseppe Orlandi, al secolo Felice Orlandi, nacque a Tricase (LE) il 27 novembre 1713. Nel 1724 entrò nel monastero di S. Croce di Lecce gestito dai padri Celestini dove dimostrò particolare attitudine ed interesse per gli studi, che poi completò presso il monastero di S. Eusebio a Roma in quanto ritenuto più prestigioso e più confacente ai suoi potenziali e alla sua preparazione. A Roma ebbe così modo di entrare in contatto con gli innovatori rappresentanti della cultura contemporanea. Venne ordinato sacerdote nel dicembre del 1736; lettore di teologia e diritto canonico per i padri Celestini, pare che fu anche precettore ed educatore nei monasteri meridionali di quell’Ordine. Si trovava a Napoli alcuni anni dopo, quando gli fu affidato l’insegnamento presso la regia Università partenopea che stava avviando un progetto di riforma degli studi. Era stata sdoppiata la cattedra di filosofia naturale in una cattedra di fisica teorica e una di fisica sperimentale, cattedra quest’ultima che fu appunto assegnata all’Orlandi. Per non incorrere in accuse di clientelismo in un periodo di moralizzazione dell’Ateneo, gli fu assegnato un

insegnamento interinale, che lo avrebbe trovato in posizione privilegiata al momento del concorso a cattedra che in realtà non fu mai bandito. Dovendo sostenere a sue spese l’onere per la realizzazione, con le macchine in dotazione all’Ateneo, degli esperimenti di fisica sollecitò spesso, l’aiuto finanziario di influenti personaggi accademici. Nell’assumere il prestigioso incarico, Orlandi, in una lettera indirizzata al Cappellano Maggiore (carica amministrativa del regno) il 21 settembre 1738, tracciò le linee generali del suo programma, improntato alla più rigorosa lezione galileiana. Nel primo approccio con gli studenti, avrebbe loro illustrato quanto la moderna fisica – nata solo «da che da tanti valenti uomini s’è incominciato a osservare il libro della natura, ed a studiare quei caratteri con i quali egli viene scritto, che sono l’osservazioni, le sperienze e la geometria» – fosse distante tanto dalla filosofia naturale scolastica, quanto dal metodo di coloro, «li quali tanto si compiacciono dell’ipotesi» evidentemente riferendosi ai cartesiani. Questi i suoi propositi iniziali, poi avrebbe affrontato la materia vasta e articolata della moderna fisica: le proprietà generali e particolari dei corpi, il moto dei solidi e dei fluidi, con particolare riguardo al ruolo dell’elasticità. La corrispondenza intercorsa tra alcuni accademici dell’ateneo napoletano, l’abate Bartolomeo Intieri, dotto economista e politico e Celestino Galiani erudito monsignore, Prefetto dei Regi Studi di Napoli tra il 1738 e il 1739, documenta i brillanti risultati raggiunti dall’Orlandi nell’attuazione di questo programma. Più che positivo fu quindi l’esordio nell’insegnamento di Orlandi che, immediatamente si diede dal latino, alla lettura dell’italiano su richiesta degli studenti, che lo presero subito a benvolere. Per la sua valenza Orlandi divenne membro dell’Accademia delle scienze fondata da Galiani nel 1732, la stessa nella quale all’Intieri era stata affidata la cattedra di scienze matematiche. In questa Accademia si ritrovavano gli esponenti di tutti i partiti moderni, accomunati dal rifiuto della metafisica e dei riti della antica Arcadia. Orlandi a Napoli svolgeva anche l’incarico di “lettore” per i novizi del suo ordine nel convento di S. Pietro a Majella e nel 1738 era già precettore per le materie scientifiche e supervisore all’istruzione di Bernardo e Ferdinando Galiani, spesso ospiti del convento napoletano, nipoti del prefetto Celestino Galiani, che nell’affidargli tale incarico gli riconobbe perciò grandi competenze. La posizione di Orlandi nella cultura scientifica napoletana emerge da


una conclusione declamata nel convento proprio dal giovane Bernardo Galiani nel 1739. I giovani Bernardo e Ferdinando Galiani condividevano con i novizi anche i libri di testo: quello di geometria del gesuita belga André Tacquet, era integrato, nelle parti ritenute lacunose, proprio

da Orlandi che per completezza compose una sezione, sezioni coniche, che venne edita nel 1744 in coda all’edizione napoletana del testo degli Elementa euclidea di Tacquet, con le note e aggiunte del famoso teologo e matematico inglese William Whiston. Orlandi quindi pubblicò testi per la divulgazione e l’insegnamento pubblico e privato della fisico-matematica, collaborando spesso con altri insigni membri dello «stato maggiore newtoniano». Particolarmente stretto fu il suo rapporto con don Antonio Genovesi (17131769), filosofo, economista e scrittore che nelle sue opere utilizzò la lingua italiana invece dell’usuale latino; con questi nel 1745 collaborò alla stesura del primo di una lunga serie di manuali scientifici. Intere annotazioni di Orlandi, ed un suo contributo, erano presenti anche nell’edizione napoletana di un più famoso testo tedesco di fisica. Dalla fine degli anni Quaranta, Orlandi fu tra gli intellettuali più brillanti di Napoli che si riunivano intorno all’ormai anziano Intieri per discutere sul «progresso della ragione umana, delle arti, del commercio, della economia dello stato, della meccanica e della fisica». Orlandi fu anche revisore di molte opere civili, non accademiche, che poi furono ritrattate dagli autori. Questo il suo profilo di colto fisico. Orlandi aveva comunque seguito la carriera ecclesiastica. Nel 1746 divenne commendatario dell’abbazia benedettina della Ss. Trinità sul Monte Sacro, nel Gargano; nel 1749 di quella di Norcia e nel 1751 procuratore generale dell’Ordine celestino. Il 23 marzo 1752, fu nominato vescovo di Giovinazzo e Terlizzi dal re di Napoli Carlo III di Borbone, che soddisfece così un esplicito desiderio dello stesso Orlandi, convinto di dover abbracciare definitivamente lo stato ecclesiastico in seguito a una «sofferta tempesta» di cui non è nota la natura. Una approfondita analisi delle fonti documentarie conservate nell’Archivio Diocesano di Giovinazzo consentirebbe di approfondire anche quella che fu la sua azione pastorale durante il ventennio di episcopato terminato con il suo decesso il 15 aprile 1776.

Diego de Ceglia


echi

del

mese

DI

GIANGAETANO TORTORA

UFFICIO LOCALE MARITTIMO: HABEMUS SCAFA E’ il nuovo Comandante al posto di Rosario Paesano 12 ottobre Il primo luogotenente Np Giulio Scafa, 48enne di origine tarantina e proveniente dalla Direzione Marittima di Bari, è il nuovo Comandante dell’Ufficio Locale Marittimo. Prende così il posto del primo luogotenente Np Rosario Paesano, destinato ad altro incarico, in Sardegna. Volontario per la Croce Rossa Italiana e neo laureato in Psicologia applicata, clinica e della salute con indirizzo in Neuroscienze cognitive presso l’Università degli Studi dell’Aquila, Scafa ha ricoperto nel corso della sua carriera numerosi incarichi, anche in varie missioni internazionali. 25 settembre INTERVENTO PULIAMO IL MONDO

Foto Pierluigi Palmiotto

Altra tappa per i volontari di 2hands Giovinazzo, che hanno aderito alla campagna nazionale Puliamo il mondo promossa da Legambiente in sinergia con lo staff di Despar Giovinazzo. L’intervento, tenutosi in località Camping Campofreddo, ha portato alla raccolta di 58,56 kg di rifiuti, di cui nello specifico: 32,36 kg di plastica; 18 kg di indifferenziato e 8,2 kg di vetro. Un dato sicuramente incoraggiante, se rapportato a un anno fa. 2hands Giovinazzo era infatti già intervenuta in quell’area ad agosto 2020 (primo cleanup della storia di 2hands Giovinazzo), raccogliendo allora ben 101,8 kg di rifiuti.

SINDACO DEPALMA A MILANO TRA I SINDACI PUGLIESI

28 settembre

Il sindaco di Giovinazzo Tommaso Depalma ha fatto parte della delegazione di 13 Sindaci pugliesi recatisi a Milano per incontrare il primo cittadino meneghino Beppe Sala al fine di individuare forme di collaborazione che coinvolgano i pugliesi residenti nel capoluogo lombardo (ossia la comunità regionale più numerosa). L’incontro, avvenuto presso lo spazio Ride, ha visto la presenza di un alto numero di ascoltatori e di corregionali venuti anche

per salutare i sindaci dei Comuni di origine. Gli interventi sono stati moderati dal sindaco di Bari Antonio Decaro che ha presentato ipotesi di sinergie tra Milano e la Puglia alla luce dei tanti studenti e lavoratori pugliesi fuori sede e delle notevoli occasioni di turismo che la Puglia stessa offre ai lombardi. Il sindaco di Milano Sala, a sua volta, ha elogiato la laboriosità dei pugliesi e il loro essere cittadini esemplari a Milano. Inoltre ha presentato il capoluogo lombardo come esempio di città inclusiva con le periferie e di città della mobilità sostenibile. Il sindaco Depalma, nel suo intervento, ha detto che anche Giovinazzo è a buon punto su queste modalità di vivere la città e ha ribadito che le difficoltà si combattono e le sinergie si creano solo se Nord e Sud d’Italia restano uniti, perché in questo modo si potenziano e si accrescono gli elementi per andare avanti in modo proficuo. A ricevere a Milano il sindaco Depalma era presente una delegazione dell’Associazione regionale pugliesi guidata dal nostro concittadino Agostino Picicco.


CITTADINANZA ONORARIA MILITE IGNOTO 29 settembre

mozione di prodotti di qualità e per la valorizzazione dei dipendenti. Per quanto riguarda Giovinazzo è stato consegnato un attestato di benemerenza al concittadino Mauro Di Natale, noto per la sua azienda e per l’aver rappresentato un punto di riferimento cittadino nelle tante attività della società civile che ha presieduto. Inoltre l’Apulia Best Company Award è stato conferito a Luca Barbone per l’attività imprenditoriale di guida della sua categoria, all’assessore alla cultura Cristina Piscitelli per i suoi meriti professionali e amministrativi e al giornalista e scrittore Agostino Picicco per il suo impegno associativo, letterario e culturale nel promuovere la terra pugliese nelle sue migliori espressioni, anche in qualità di redattore della nostra testata. Sempre ad Agostino Picicco è stata consegnata la medaglia Anche il Comune di Giovinazzo ha conferito la cittadinanza onoraria di rappresentanza della Presidenza della Camera dei al Milite Ignoto, aderendo al progetto avviato dal Gruppo delle Meda- Deputati. glie d’Oro al Valor Militare d’Italia in collaborazione con l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) mirante al conferimento della 8 ottobre NESSUNA PAURA DELLA cittadinanza onoraria da parte di tutti i Comuni italiani in occasione DISABILITA’ del centenario della traslazione del Milite Ignoto all’Altare della patria a Roma. Il conferimento della cittadinanza onoraria da parte dell’Amministrazione di Giovinazzo è giunto durante la seduta del Consiglio Comunale del 29 settembre, con delibera approvata all’unanimità dei consiglieri presenti in aula. Alla discussione sul relativo punto all’ordine del giorno hanno altresì partecipato le Autorità militari. La suindicata delibera verrà letta il 4 novembre (giorno in cui appunto ricorre il centenario) davanti alla statua del Milite Ignoto ubicata nella nostra Villa Comunale.

APULIA BEST COMPANY AWARD A GIOVINAZZO 1 ottobre

La quarta edizione dell’Apulia Best Company Award, rassegna promossa da Sinergitaly per premiare le eccellenze Made in Puglia, quest’anno si è svolta a Giovinazzo presso l’Istituto Vittorio Emanuele II. A fare gli onori di casa con gli ospiti e il vasto pubblico intervenuto, il presidente di Sinergitaly Riccardo Di Matteo, il presidente dell’Associazione Nazionale Carabinieri in congedo Sezione di Giovinazzo (partner dell’evento) Antonio Galizia, il sindaco di Giovinazzo Tommaso Depalma e il delegato del presidente dell’area metropolitana per l’Istituto Vittorio Emanuele II Nicola De Matteo. Sul palco durante le premiazioni si sono alternati gli onorevoli Francesca Galizia e Marco Lacarra e l’assessore al Welfare della Regione Puglia Rosa Barone. Dieci i premiati, tra cui varie aziende della regione significative per la pro-

Presentazione nella sala Marano dell’Istituto Vittorio Emanuele II del libro di Fiorella Grillo Senza paura, edito da Accademia Edizioni ed Eventi. Libro che intende spronare a vivere la disabilità come stimolo per tutta la società e non come un limite per chi ne è affetto. Con l’auspicio di un progetto da sviluppare negli istituti scolastici comprensivi di Giovinazzo. Il volume raccoglie undici storie di persone con disabilità, la maggior parte bambini, con cui l’autrice si è relazionata durante la sua trentennale esperienza di difesa e cura della disabilità, nonché nel ruolo di operatrice di riabilitazione neuromotoria con persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali nella Lega del Filo d’Oro di Molfetta. Oltre all’autrice, sono intervenuti alla presentazione del libro il sindaco di Giovinazzo Tommaso Depalma, Sergio Giannulo (direttore della Lega del Filo d’Oro di Molfetta), Mariapia Cozzari (presidente della cooperativa Anthropos) e alcuni ospiti spe-


ciali: le sorelle Pia e Federica Paradiso che hanno letto 11 ottobre RICERCATORI A GIOVINAZZO e cantato brani da loro composti sul tema della disabilità STUDI SU AGROALIMENTARE e poi Mariangela Procacci e Andrea Gesmundo che hanno letto in braille (lettura del non vedente). La serata è stata allietata dall’accompagnamento musicale e dalle parole di Mariangela Di Capua e Gaetano De Palma.

PER

11 ottobre PROGETTO

DI MOBILITÀ GARANTITA

Il sindaco Tommaso Depalma ha portato il saluto della città a un gruppo di ricercatori arrivati a Giovinazzo per partecipare all’appuntamento annuale dei Programmi di Dottorato di Ricerca afferenti ai Dipartimenti di Agraria delle Università di Catania, Foggia e Udine. Non è la prima volta che dottorandi si ritrovano a Giovinazzo, essendo già accaduto agli inizi di ottobre con l’arrivo in città di 32 esperti di packaging alimentare e di sviluppo sostenibile provenienti da diversi Paesi dell’Unione Europea. Il meeting, protrattosi fino al 15 ottobre e che ha beneficiato del sostegno e del patrocinio dell’Assessorato al Turismo del Comune di Giovinazzo, è stato organizzato in forma di workshop offrendo l’occasione ai dottorandi di condividere le loro ricerche in un’ottica multidisciplinare ed avviare possibili collaborazioni, educandoli nel contempo all’esposizione in pubblico dei loro risultati. Non sono poi mancate la visita della città e foto di gruppo in piazza Vittorio Emanuele II. 15 ottobre PASSAGGIO CONSEGNE FIDAPA Cerimonia del Passaggio di Consegne, con la chiusura del biennio Partito il nuovo Progetto di Mobilità Garantita in col- 2019-2021, per la Fidapa - sezione di Giovinazzo. Nuova presidenlaborazione tra Comune di Giovinazzo e PMG Italia, nell’ambito dell’integrazione collaborativa tra pubblico e privato prevista dalla L. n°328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali). Si tratta di un’iniziativa già sperimentata in passato con l’associazione Angeli della Vita, che si è adoperata per effettuare interventi di trasporto sociale a favore di persone in difficoltà. L’obiettivo è consentire alle persone di partecipare attivamente alla vita sociale soddisfacendo il fondamentale bisogno umano di contatti e relazioni, colmando il divario tra le persone e spostando l’attenzione verso ciò che queste ultime possono fare se le si mette in condizione di poterlo fare. Il progetto prevede servizi di trasporto sociale e di accompagnamento di vario tipo: casa/lavoro, attività di tempo libero e socializzazione, terapie, cure mediche, diritti e doveri civici (elezioni/referendum) e tanti altri. Il finanziamento dei veicoli, del loro te per il biennio 2021-2023 è la Dr.ssa Maria Deliso, che subentra mantenimento e la realizzazione del servizio è possibi- alla presidente uscente Dr.ssa Luisa Dagostino. La suddetta cerile grazie alla collocazione da parte di imprese e aziende monia si è svolta presso l’Hotel Riva del Sole, alla presenza delle del territorio di spazi pubblicitari sulla superficie ester- autorità locali e delle Socie di sezione. Questo il nuovo Comitato na degli autoveicoli. Nella foto, il vicesindaco e asses- Fidapa: presidente Maria Deliso; past president Luisa Dagostino; sore alle Politiche Sociali Michele Sollecito, Maria vice presidente Raffaella Montrone; segretaria Maria Fidelia Bavaro Antonietta Lo Giudice (presidente di Angeli della Vita) e tesoriera Enza Vallarella. Per la Fidapa, impegnata da oltre 90 e Gennaro del Grosso (PMG Italia). anni sul territorio nazionale e internazionale nelle attività di pro-


mozione, coordinamento e sostegno delle Donne impegnate in Arti, Professioni e Affari nonché presente da 22 anni 16-17 ottobre 10ma EDIZIONE nella sezione di Giovinazzo, il biennio 2019-2021 rimarrà FAI D’AUTUNNO verosimilmente impresso negli annali per la complessità del drammatico contesto storico in cui si è mosso, contrassegnato dalle difficoltà della pandemia da COVID 19. Tuttavia, la sezione Fidapa di Giovinazzo ha conosciuto, sotto la conduzione della Presidente Dagostino, risvolti di insospettabile tenacia nel prosieguo delle attività associative che sono state condotte in presenza, quando consentito, e a distanza attraverso i collegamenti digitali. Nella foto, scattata a Palazzo di Città proprio nel giorno delle votazioni per le nuove cariche, il nuovo Comitato Fidapa con al centro la presidente distrettuale Maria Nuccio.

GIORNATE

LIBERE DI…VIVERE: MOSTRA ITINERANTE SU PARITÀ DI GENERE E INCLUSIONE SOCIALE 16-17-18 ottobre

Inaugurazione sabato 16 ottobre nella Sala Marano dell’Istituto Vittorio Emanuele II della mostra itinerante Libere di…VIVERE, un progetto di Global Thinking Foundation che nasce per agire fattivamente sulla prevenzione delle situazioni di violenza economica contrastando l’isolamento sociale delle donne. Dopo la detta inaugurazione è andato in scena lo spettacolo Puzzle. Donne a Pezzi di e con Stefania Pascali e con la regia di Luigi Cilli. Alla mostra (svoltasi a Giovinazzo dopo le tappe di Milano, Firenze, Bari e Cagliari) hanno contribuito la Consulta Femminile di Giovinazzo e l’Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Giovinazzo, col patrocinio della Città Metropolitana di Bari, della Commissione Europea - rappresentanza in Italia, Pubblicità Progresso e ASviS (Allenza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile); trattasi inoltre di iniziativa legata ai Global Goals 4, 5 e 8 dell’Agenda 2030 dell’ONU. La mostra tematica, che è stato possibile visitare per tre giorni consecutivi, è stata incentrata sulle seguenti 3 aree allestite nella Sala Marano dell’Istituto Vittorio Emanuele II: le graphic novel originali sulle disuguaglianze di genere; le illustrazioni inedite sul tema della violenza economica; la rappresentazione di 5 eroine del fumetto e degli ideali del femminismo.

La carica dei 700… Tanti sono stati i visitatori delle due Giornate FAI d’Autunno a Giovinazzo. L’evento nazionale di apertura e promozione dei luoghi della cultura e delle architetture del paese, giunto quest’anno alla decima edizione, è finalizzato alla raccolta di fondi utili per il restauro e la valorizzazione dei beni gestiti direttamente dalla Fondazione in tutta Italia. Questa decima edizione è coincisa con un ritorno ad aperture ordinarie dopo le limitazioni dovute alla pandemia (fermo restando la verifica del possesso del green pass da parte di ciascun visitatore ed il richiamo ad indossare le mascherine previste per legge). E ha avuto come filo conduttore la memoria ed il carattere militare dei luoghi visitati; e ciò in occasione del centenario della traslazione del Milite Ignoto, ricorrenza per la quale è stato sottoscritto un protocollo tra Ministero della Difesa, Stato Maggiore della Difesa e delle Forze Armate e Fondo per l’Ambiente Italiano. Per quanto riguarda Giovinazzo, è stata aperta la Vedetta sul Mediterraneo, struttura in pietra, realizzata nel 1920 a cura della Regia Marina come presidio militare, inizialmente adibita a telegrafo e successivamente come fanale marittimo presidiato nel secondo dopoguerra dai militari tedeschi. Grazie alla disponibilità della Associazione Onlus Vedetta sul Mediterraneo e del suo presidente Nicolò Carnimeo, dal piazzale del Fortino aragonese su cui si eleva il corpo della Vedetta i narratori e volontari narratori hanno potuto illustrare ai visitatori intervenuti i punti preminenti della città storica, con un racconto ricco di notazioni storiche, fonti documentarie e suggestioni. I numerosissimi visitatori registrati sono giunti da molti centri della Puglia e da fuori regione, oltre ai turisti stranieri di passaggio come tedeschi, inglesi, olandesi e perfino due israeliani, incuriositi dalla circostanza e dalla bellezza del paesaggio marino. Anche a Giovinazzo vi è stata una cospicua raccolta di fondi. GIANGAETANO TORTORA




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DI

FRANCESCA ROMANA PISCIOTTA

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Documento Unico Di Regolarità Contributiva online sul sito INAIL solo con SPID, CIE e CNS dal 1° ottobre 2021. Le istruzione Inail

modalità ammesse, SPID, CIE e CNS. Il sistema, uno volta che il soggetto interessato ha eseguito l’accesso, lo riconosce in automatico e gli mostra solo i servizi a cui è abilitato. Il servizio per il DURC online, seppure tramite le nuove credenziali, resta accessibile dalle seguenti tipologie di utenti e dai loro delegati: · imprese e soggetti assicuranti, titolari di codice ditta; · utenti abilitati ai servizi dell’INAIL ai sensi dell’articolo 1 delA partire dal 1° ottobre 2021, quindi, chiunque voglia accedere ai la legge 11 gennaio 1979, n. 12 e servizi telematici dell’INAIL, compreso il DURC online, può farlo gli altri soggetti legittimati all’acsolo utilizzando uno dei tre seguenti strumenti: ceso ai servizi online ai sensi di · SPID - Identità Digitale; specifiche norme che, ad oggi, · CIE - Carta d’Identità Elettronica; sono gli utenti registrati nei grup· CNS - Carta Nazionale dei Servizi. pi/profili: DURC online, accesso con SPID dal 1° ottobre 2021: le istruzioo Consulenti del lavoro; ni INAIL o Dottori commercialisti L’accesso al servizio di DURC online dal 1° ottobre continua ad ed esperti contabili; avvenire tramite l’area riservata di INAIL www.inail.it selezionando o Tributaristi; la voce “Accedi ai servizi online”. o revisori e altri professioCiò che è cambiato, ricorda l’INAIL nell’ultima circolare, è che nisti per imprese senza nessuno potrà più utilizzare le vecchie credenziali, ma solo l’Identità dipendenti; Digitale. o Avvocati; Ora, per il DURC online, l’utente deve autenticarsi con una delle tre

A fare il punto delle novità è la circolare INAIL numero 27, con la quale viene ribadito il passaggio dal vecchio nome utente e password alle nuove modalità di autenticazione anche per ottenere il DURC, il Documento Unico di Regolarità Contributiva. Le indicazioni fanno seguito ad un’altra circolare INAIL, la numero 36 del 19 ottobre 2020, che aveva fissato le tappe del cambiamento graduale che ha coinvolto gli utenti, fino all’introduzione dell’obbligo per tutti.


o Agronomi e dottori forestali; o Agrotecnici e agrotecnici laureati; o CAF; o imprese; o Centro servizi per il volontariato; o Consorzi Società Cooperative; o Periti agrari e periti agrari laureati; o Servizi di associazione che siano o meno società; o Società capogruppo; o Società tra professionisti (STP), o Raccomandatari marittimi; · stazioni appaltanti e amministrazioni procedenti e concedenti; · società organismi di attestazione (SOA). Era stata la circolare INAIL numero 36 del 19 ottobre 2020 a riportare il calendario ed i destinatari specifici del graduale passaggio all’utilizzo esclusivo delle nuove credenziali. I primi ad essere coinvolti dal 1° dicembre 2020 erano stati i patronati, e dal 28 febbraio 2021 nessuno ha potuto più richiedere nuovi nomi utente e password. DURC online con SPID: le funzionalità ora disponibili nel portale dell’INAIL A partire dal 1° ottobre 2021 non sono cambiate solo le modalità di accesso , ma anche la disposizione di alcune funzionalità, non più reperibili tramite www.sportellounicoprevidenziale.it, ma inserite nel portale dell’INAIL. In particolare, si tratta delle seguenti operazioni: · creazione o abilitazione delle nuove Stazioni appaltanti/Amministrazioni procedenti; · subentro nell’abilitazione per la richiesta d’ufficio del DURC online; · aggiornamento dell’anagrafica delle Stazioni appaltanti/Amministrazioni procedenti già abilitate.

Tutte queste funzionalità, riferisce l’INAIL, sono state migrate all’interno dei servizi online del portale www.inail.it nella sezione “My Home/Nuova gestione anagrafica Stazioni appaltanti e SOA”. All’interno di questo servizio è presente la voce “Utenti e profili” tramite cui è possibile gestire le abilitazioni associate alle Stazioni appaltanti/ Amministrazioni procedenti. Anche in questo caso l’accesso richiede l’inserimento delle credenziali SPID, CNS o CIE.

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UN POTATORE VICHINGO A GIOVINAZZO L’arte di Ruggero Basile risolve il conflitto tra natura e modernità facendole dialogare Trasforma i monconi di albero in arte. Un ciocco di legno diventa Re Magio, l’ailanto la base di una lampada, i tronchi spiaggiati, come rifiuti dopo una mareggiata, in intarsi di pesce di legno. Vieppiù. Ricicla sempre pezzi di legni bacati restituendoli alla collettività in cestini o vasi per contenitori di rifiuti. E il suo maggior merito è la buona volontà di ricercare, in una terra che non ha grandi boschi, questi rifiuti di legno che come Mastro Geppetto possono anche parlare. Non meravigliatevi se i nostri spazi verdi saranno trasformati in parchi Badden Powell (il militare inglese che insegnò a tutto il mondo il rispetto per la natura e lo spirito di condivisione). Stiamo parlando di Ruggero Basile, il potatore «vichingo» (lui stesso si definisce così per il suo aspetto fisico). Già, un potatore vichingo nella «Città dell’Olio», nato dall’incrocio di una madre dai tratti somatici tipicamente araba con carnagione olivastra e chiome boccolute e di un padre rosso con efelidi. «Tutto ciò - riferisce il “potatore vichingo - in una cornice di Puglia, regione - crocevia di culture». Ruggero che di vichingo ha solo le sembianze fisiche e lo spirito, ha scelto Giovinazzo, città dell’Olio, come «città Powell». Ma come, di potatori che restituiscono vita e frutti specialmente agli ulivi la città è piena. E quindi? Abbiamo davvero bisogno di un potatore vichingo? Il perché è presto detto: «La potatura - spiega Ruggero non si improvvisa, la potatura è un’arte essenziale in una città e io cerco di insegnarla come comandamento di vita». Non un lavoratore dei campi, dunque, addetto alle operazioni di asportazione o soppressione di rami invecchiati o malati. Ma un potatore del cuore, che restituisce la vita a ciò che è morto. Ancora, sempre Ruggero basile: «Tengo così lontano la modernità del 5G e riavvicino l’uomo alla sua vera primitiva natura in simbiosi con la terra. Ho la possibilità di dare un calcio extra - lavoro ai 10 anni di call

center, dalle cui telefonate m’invento un taglio tecnico, un’emozione, una storia da raccontare attraverso la potatura e la lavorazione del legno». Il fine ultimo? Estrarre da un ciocco di legno bacato un artefatto. In paese, nei giardini pubblici si comincia ad apprezzare la sua arte (se vedete dei cestiniportarifiuti sui generis sono opera del potatore vichingo). Giovinazzo dà il benvenuto a questo artista libero, creativo, che estirpa le radici dell’inutilità trasformandola in arte, bellezza per poi riconsegnarla all’ambiente per renderlo più vivibile, più a misura d’uomo VALENTINA BELLAPIANTA


LUIGI SERRONE, OVVERO L’INTEGRAZIONE NEW YORK. Storie belle di giovinazzesi d’America che ritornano per sempre nei luoghi d’origine. Luigi Serrone aveva il cuore qua (a Giovinazzo) e la casa là (a New York). Questo per cinquant’anni. Poi ha capito che la casa è dove si trova il cuore. Dove? A Giovinazzo, naturalmente! Partito per terre assai lontane, il 31 marzo 1971, all’età di 16 anni, fa parte della terza o quarta generazione di emigranti, ovvero di quelli che hanno tratto maggiori vantaggi dal viaggio in Usa perché hanno vissuto in maniera diversa il rapporto con le origini. Luigi è la fotografia dell’ultima traversata dell’Atlantico rispetto ai loro antenati quando già gli italiani di America si erano liberati del senso di inferiorità e della vergogna di appartenere ad una minoranza etnica. E ha realizzato il suo sogno americano. Come? Lavorando e studiando, studiando e lavorando. E arrivando a fare il direttore di banca. Non di una banchetta di paese come era la Banca Maldari prima della sua partenza, ma della Jpmorgan Chase Bank, N.A. In America, Luigi lo chiamano bank manager ma nonostante tutto, alla suo viaggio, alla sua avventura in Usa, alla sua ricerca dei luoghi di origine e all’incontro con i parenti, Luigi ha sempre trovato risposte che profumano di libertà soprattutto sull’identità etnica. Ha accettato la sua condizione di americano dettando però le sue sfumature di italianità: ha vissuto con i giovinazzesi d’America ma si è integrato con le proprie dinamiche nel tessuto americano, diventando «uno che conta». Gli incontri con gli italiani della Little Italy, con i giovinazzesi d’America lo hanno arricchito: Luigi è riuscito a colmare il gap dell’ italiano unskilled e a capire quanto c’è di bello con i colori del tricolore in America. Ci piace scoprire in questa fotografia il personaggio di Luigi che trova un compromesso con la sua parte italiana dedicandosi alle attività dell’associazionismo italiano. Accomunato dall’esperienza personale con suo fratello Mike, Presidente insieme al compianto Jerry Scivetti della Comunità giovinazzese di Saint Anthony in New York, senza di lui, giusto per citare un esempio, il club giovinazzese non poteva essere liquidato. La sua espe-

14 OTTOBRE

2021 CATTEDRALE DELL’ASSUNTA CELEBRATE DA DON ANDREA AZZOLLINI GIUSEPPE LABOMBARDA E ANNA MARIA CATALDO

LITTLE italy DI ROCCO STELLACCI

rienza era importante per chiudere il bilancio e consegnare i registri contabili al Tribunale. Con Luigi, le sfumature di italianità che si rispettano sono anche i percorsi di fede e di sangue con la grande comunità dei giovinazzesi che va oltre gli steccati del piccolo orgoglio minoritario di club per diventare una cosa unica e grande. Ecco, Luigi davanti alla Madonna di Corsignano (l’unica in piena attività), in Long Island, nella chiesa Santa Caterina di Siena la cui società è presieduta dal presidente Rocco Stellacci e coadiuvata dall’infaticabile Pietro Stallone. Luigi rientrerà in Italia l’8 Novembre. Adesso fa il nonno di Matteo un po’ qua a New York, un po’ là a Giovinazzo. Ma soprattutto compirà la traversata dell’Atlantico in senso opposto rispetto ai suoi antenati. E questi suoi viaggi sciolgono i dubbi sulla identità etnica dell’italiano che prima scuoteva il capo in segno di rassegnazione perché imprigionato nella gabbia dei propri affetti. ROCCO STELLACCI

CIRCONDATI DALL’AFFETTO DEI

PAOLO, RINA CON NICOLA, ANDREA CON CLAUDIA, DEI DILETTI NIPOTI (I DUE GIUSEPPE, MARIANNA, GIUSEPPE, MIRYAM, ALICE E LA PICCOLA CARLOTTA), DEGLI AMICI E PARENTI TUTTI,

FIGLI

RINGRAZIANO TUTTI PER LA LORO PARTECIPAZIONE


VINCENZO DEPALMA

DI

QUANN SE SCIAIVE A VINIMÈ che i contadini riempivano di grappoli d’uva. A piedi scalzi, su quella botte, un robusto e giovane contadino saliva e con i piedi pestava l’uva. Il liquido che si formava era il mosto. Quando qualche contadino ci regalava una bottiglia di quel mosto per noi bambini era una delizia. Altro che succo d’uva comprato nei supermercati! Il mosto veniva versato in vari barili e si aspettava l’11 novembre, giorno di S. Martino.

Il progresso, oltre a fare sparire alcune attività, ha anche cancellato dal linguaggio comune alcuni termini e parole che avevano uno specifico significato. Ricordo che l’11 novembre, giorno di S. Martino, «ogni mosto diventa vino». Per le stradine l’odore del nuovo olio prodotto cominciava a sparire, sostituito da quello più intenso dell’uva appena pestata con i piedi e con l’ausilio di qualche torchio. A Giovinazzo a settembre se sciaive a vinimè. Sono anni che non sento più questa parola, non la riporta neppure Il Dialetto di Giovinazzo, il dizionario italiano - giovinazzese dell’avv. Giuseppe Camporeale. Il termine, tradotto in italiano, significa semplicemente a vendemmiare. Ai miei tempi il vino non si comprava nei supermercati, ma si vendeva a la candeine chiamata anche più comunemente a la frasche perché il tralcio di vite con le foglie era l’insegna comune di tutte le cantine. Il nome di una rinomata cantina che ancora ricordo era La candeine di Larenze che era sita all’inizio di via Cattedrale. La vendemmia era una mezza festa alla quale partecipava tutta la famiglia. I contadini, nei loro campi, avevano quasi tutti piantato alcune viti. Quelle a tendone producevano uva da tavola, ma nei campi più diffusa era l’uva da vino. I vitigni erano bassi, li chiamavano u cippaune. C’erano vitigni che davano uva bianca, uva nera e la più richiesta uva barbarossa dal colore rosato che si consumava sia come uva da tavola che come uva per il vino. Quasi tutti i contadini avevano sotto casa la stadde che era il rifugio per la notte dell’asino o del cavallo che col traino portava i contadini in campagna. Nel periodo della vendemmia la stalla si trasformava in laboratorio per la preparazione del vino. Si ripulivano botti. In un angolo campeggiava una botte grande, senza coperchio

Da tempo, non ho visto più queste operazioni, ma non vi nascondo che quando qualche contadino regalava al nonno qualche bottiglia di vino l’omaggio era più che gradito. Una buona bottiglia di vino paesano era, alla mia epoca, un dono graditissimo. Quando c’era quel vino non ho mai visto il nonno mangiare una percoca se non tagliata a pezzetti e ricoperta da quel vino scuro e profumato. Il vino nero con la percoca era lo squisito dessert dei nostri tempi o anche la cena invernale: qualcuno intingeva nel vino prezioso i taralli fatti in casa. Devo concludere il pezzo parlando anche di qualche trasgressione. In occasione di grandi feste anche a noi bambini si dava un poco di vino. Dalla cantina si comprava minz litre di mire e la gazzose. Il vino era allungato dalle eccezionali gassose che producevano o ponde chiuse dalle palline di vetro. Spero ca vinimè non sia più un termine a voi sconosciuto.

Vincenzo Depalma


sport

e

societa’

DI

GIANNI LEALI*

LO SPORT, QUELLO VERO Di sport molti scrivono e parlano, ma i più si soffermano su un concetto troppo generico che ingloba anche l’educazione fisica o la semplice attività motoria. Invece lo sport si identifica essenzialmente con l’attività agonistica, cioè con l’attività finalizzata al risultato, al miglioramento di un record, ad affermare la propria superiorità sugli altri. Vorrei dire che l’agonismo è per lo sport ciò che il sale è per la minestra e cioè un elemento che fa saporosa la vivanda... I cani che corrono nel cinodromo inseguono una lepre. E’ una lepre finta, ma rappresenta la meta ultima, quella più agognata. Chi gareg gia agonisticamente insegue una lepre che può chiamarsi variamente vittoria, miglioramento di un tempo o superamento di una misura. Evidenziare la finalità agonistica dello sport significa sottolineare due tratti peculiari dello sport: l’applicazione intensiva e la ricerca del risultato, della performance. Vediamo meglio queste due caratterizzazioni. La pratica dello sport esige una condizione organica pressoché perfetta che consente sforzi di massima intensità ed in questo c’è una differenza sostanziale con la ginnastica (non quella artistica, ma quella formativa nella sua accezione più elementare). La ginnastica ha la prerogativa dell’universalità, non deve preoccuparsi di una élite, ma della massa (dei normali, ma anche dei deboli). Quindi può essere praticata da tutti e mira al miglioramento totale dell’organismo, nelle sue fondamentali componenti fisiche e psichiche. Per lo sport il problema è diverso. Sotto

la spinta psicologica di un continuo superamento (il record, la misura, l’avversario) non v’è un limite al porsi delle difficoltà, sollecitando al massimo quelle capacità, quelle abilità che servono alla sublimazione del risultato, anche a rischio dell’incolumità fisica. Per lo sport è indispensabile, per le ambizioni competitive che lo caratterizzano, cercare di raggiungere la padronanza tecnica del gesto e una condizione fisica ottimale attraverso un addestramento ed un allenamento intensivo ed opportunamente condotto. Queste sono, ovviamente, le condizioni ideali che si richiedono a chi voglia praticare lo sport con successo. V’è, cioè, oltre a fattori genetici particolarmente favorevoli, la necessità di un allenamento ben organizzato e guidato che spesso raggiunge la soglia dello sforzo massimale e quindi elevati livelli di fatica. I carichi ed il volume di allenamento dello sport di eccellenza non possono essere assimilati ad un puro e semplice hobby e solo con grande sacrificio e facendo leva sulla forza di volontà l’atleta è in grado di sopportarli. Lo sport, a differenza dell’attività motoria, specie di tipo aerobico, che produce sempre effetti benefici sulla salute, può rappresentare un fattore di rischio per la salute e può provocare al corpo umano danni sia a breve che a lungo termine. Ecco perciò la necessità di un allenamento ben condotto che stimoli nell’organismo quegli adattamenti fisiologici (muscolari, scheletrici, cardiovascolari, respiratori) necessari non solo per ottenere la massima performance sportiva, ma anche per tollerare impunemente gli sforzi dello sport praticato. In altri termini, questi processi adattivi di reazione rappresentano dei meccanismi di difesa dalle “offese” che alla macchina umana vengono procurate dal maggior carico fisico delle attività di allenamento e di gara rispetto a quelle normali di routine cui è abituata. A questo punto chiarita la distinzione tra sport e attività motoria ne consegue che soggetti non più giovani o non particolarmente allenati, tutti casa o tutti ufficio o fabbrica,è bene che pratichino preferibilmente attività motoria piuttosto di una qualsivoglia disciplina sportiva che, se praticata con la voglia di vincere a tutti i costi o di conseguire risultati eclatanti, potrebbe provocare danni fisici anche molto seri. Proprio come i farmaci, lo sport rappresenta un fattore di rischio che può avere effetti collaterali anche piuttosto gravi sulla salute. In sostanza, chi decide di avvicinarsi alla pratica di uno sport, soprattutto se un po’ avanti con gli anni, bisogna che lo faccia con prudenza senza richiedere al proprio “motore” prestazioni di gran lunga superiori a quelle consentite dalla propria “cilindrata”. L’esempio tipico è quello delle famose partitelle scapoli-ammogliati, dove soggetti non adeguatamente allenati e non più giovani, corrono forsennatamente dietro al pallone per finire talvolta stramazzati a terra con un infartino. Sia ben chiaro io non intendo drammatizzare o demonizzare lo sport soprattutto se praticato dopo gli “Anta”. Esso va benissimo anche dopo gli “Anta”, purchè però lo si faccia con umiltà e raziocinio, avendo coscienza dei propri limiti e delle proprie possibilità e capacità di prestazione. Indispensabile è poi sottoporsi annualmente a rigorosa *GIÀ DOCENTE DI visita medica, completa di esami strumentali. TEORIA E METODOLOGIA Concludendo: anche i non più giovani di mezDELL ’ALLENAMENTO za età ed oltre possono praticare lo sport, maPRESSO LA SCUOLA gari preferendo le attività all’aria aperta a contatto con la natura, ma con una raccomandaALLENATORI DI zione. Facciamolo oltre che con gli arti, supeCOVERCIANO E PRESSO LA FACOLTÀ riori o inferiori, anche con la testa, ovvero con DI SCIENZE MOTORIE buon senso!


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