LA PIAZZA DI GIOVINAZZO MAGGIO 2021

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don Andrea Azzollini, Parroco della Concattedrale




prima

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DI

SERGIO PISANI

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Via Cairoli, 95 Giovinazzo 70054 (Ba) Edito da ass. La Piazza di Giovinazzo Iscr. Trib. di Bari n. 1301 del 23/12/1996 Telefono e Fax 080/3947872 Part. IVA 07629650727 E_MAIL:lapiazzadigiovinazzo@libero.it FONDATORE Sergio Pisani PRESIDENTE: Sergio Pisani DIRETTORE RESPONSABILE Sergio Pisani REDAZIONE Agostino Picicco - Porzia Mezzina Donata Guastadisegni - Giovanni Parato Vincenzo Depalma - Onofrio Altomare Mimmo Ungaro - Velentina Bellapianta Enrico Tedeschi - Giangaetano Tortora Alessandra Tomarchio - Michele Decicco CORRISPONDENTI DALL’ESTERO Rocco Stellacci (New York) Giuseppe Illuzzi (Sydney) Grafica pubblicitaria: Rovescio Grafica Responsabile marketing & pubblicità: Roberto Russo tel. 347/574.38.73 Sergio Pisani tel. 080/3947872

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Una modella e un corpo in perfetta armonia con i colori della Fontana. Ma non è la Ekberg. E non lo è in bianco e nero. Ci gioca con le luci della fontana dei Tritoni., lei. L’acqua che zampilla e scintilla sul suo corpo la mette a suo agio, in condizioni di naturalezza. Biondi i capelli, rosa il corpo. Non è la Ekberg. Sembra di essere sul set di un film. Un remake, ma in cui sembra riecheggiare il mitico «Marcello, come here. Hurry up!». È solo un attimo, prima di scoprire l’inganno dell’immaginazione. Non é La Dolce Vita, quella di Fellini. Anzi, è un grido d’allarme. Lasciateci però passare il paragone con la scena cult e immortale della Ekberg, in questo momento in cui facciamo una Brutta Vita. E cioè una Vita che ci fa fare a botte con i sogni. Niente a che fare, insomma, con la scena iconica ed eterna firmata dal grande Fellini, quella impressa nella mente di tutte le generazioni. Fellini, lui sì che sapeva unire onirismo e ironia sensuale. Ma noi non siamo Fellini e, se vogliamo, alla fine qui non c’è da unire un bel niente. Di onirico questa copertina non ha nulla. Anzi, con una velata vena psicoanalitica da tempi del Covid, la stucchevole ironia della mascherina unita ai protocolli di sicurezza altro non può essere che trash art (che non si fa solo con gli oggetti ritenuti non più indispensabili) ma che si può realizzare anche attraverso questo recupero di “Bellezza perduta”. Se proprio dobbiamo trovare qualche componente discriminante con Fellini, parliamo del Photoshop, o del Photoshock, come lo avrebbe sarcasticamente ribattezzato lui stesso oggi, sessant’anni dopo l’anniversario del bagno eterno della Ekberg nella Fontana di Trevi. Fellini ne avrebbe fatto comunque a meno di questo moderno artificio, perché amava fare le cose dal vivo, senza ingannare la realtà. Noi invece ci serviamo di questo inganno per mistificare la realtà di questo “ciak, si gira” attraverso uno strumento tutto digitale per realizzare una fotocomposizione da Brutta Vita. È il Photoshop che ha consentito alla nostra Marilena di girare questa scena non durante la notte, in pieno inverno e dentro la fontana dei Tritoni… ma senza congelarsi come Anita Ekberg e rimanendo completamente nel tepore di casa sua, limitandosi a riversare i clic delle immagini digitali, a mezzo mail, al grafico che realizza “mostri” per le nostre copertine


alla velocità di Usain Bolt. Con il Photoshop anche i bambini possono creare quelle fotocomposizioni della Brutta Vita che Fellini non avrebbe mai voluto girare, fedele com’era al suo credo per cui non può esserci Brutta Vita se c’è Arte, se c’è la Bellezza vera e viva con cui realizzare le scene iconiche ed eterne che la consacrano. Lo ripetiamo a beneficio dei più anziani che non conoscono come si è evoluto il mondo dell’immagine: Marilena, la nostra donna - copertina, non si è immersa nelle acque della Fontana dei Tritoni. Anche perché lei non è la Ekberg, e noi siamo La Piazza e non Dino De Laurentiis, il produttore di Fellini, con le mille autorizzazioni della Roma Capitale del Mondo. Per questo gesto non ordinario, di un bagno nella famosa fontana di casa nostra, si può star certi che si sarebbero fiondati i gilet gialloblù della Polizia Locale. E giù pesanti multe alla modella e a noi. Domanda: ma qualcosa vorrebbe pur significare questo bagnetto nella fontana? Solo un rimando, una citazione, ma nulla che possa scalfire quella cifra originale di riferimento. Proprio nulla se non il solito grido d’allarme che lanciano anche da Live Barbara D’Urso e da Uomini e Donne la De Filippi: «Mettete tutti in pausa i baci e risparmiatevi la dolce vita. La città dello spritz a tutte le ore, della happy hour può e deve attendere». Giovinazzo è malata di Covid-19, i lampeggianti dei Carabinieri e i gilet gialloblù della Polizia Locale vigilano e disciplinano la colorimetria dei nostri giorni più dei Dpcm del Governatore Draghi. Mala tempora currunt! SERGIO PISANI

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COPERTINA

Mala tempora currunt. Mettete i baci in pausa e risparmiatevi la dolce vita. COPERTINA: Marilena Farinola FOTOCOMPOSIZIONE: Rovescio Grafica di Rosalba Mezzina


IL

CONTRAPPUNTO

dell ’alfiere

LA FORTUNA È CIECA MA IL VIRUS CI VEDE BENISSIMO «La fortuna è cieca ma il virus ci vede benissimo» scrisse il professor Pierluigi Lopalco con una certa dose di malcelata soddisfazione in occasione della notizia della positività di Boris Johnson al covid19. I sorrisetti e le battute si sprecarono. Johnson aveva fatto dichiarazioni ai limiti del negazionismo sul virus cinese. Insomma era il bersaglio giusto. Certo il professore, allora ancora “solo” responsabile della gestione dell’emergenza covid19 in Puglia e nominato personalmente come avviene spesso in Puglia, dal sempre presidente della giunta regionale pugliese Michele Emiliano, avrebbe dovuto ricordarsi di essere prima di tutto un medico e quella battuta risultò assai infelice a molti, ma ad altri piacque moltissimo. Nel centro sinistra usano la solidarietà, la misura, la tolleranza a corrente alternata. Come la giustizia per Giovanni Giolitti, «la legge si applica per i nemici e si interpreta per gli amici». Così fra sorrisetti per la battuta spiritosa e le comparsate televisive a sostegno del governo regionale pugliese e dell’allora felice situazione pandemica della nostra regione, l’esperto professore fu eletto con tantissimi voti e fu nominato subito assessore alla sanità dal presidente Emiliano. La Puglia, come tutto il Sud, era stata solo sfiorata dal covid19. L’emergenza era stata gestita apparentemente bene perché i numeri dei contagi si erano mantenuti bassi per ragioni che, appare oggi chiaro, non sono tutte da attribuire a effettivi meriti del super - esperto di Emiliano. Oggi che non si possono non constatare le falle organizzative, il pressapochismo, la sottovalutazione nella gestione della pandemia a cui si è aggiunto la presunzione e l’arroganza con cui è stato trattato chi si era permesso di avanzare dubbi sulla conduzione della lotta alla pandemia nella nostra regione. Peraltro, il governo pugliese aveva goduto, e in parte ancora oggi gode, di un diffuso favore nei media, tutti o quasi silenziosi, sia a livello locale che nazionale. In altre regioni, per casi simili, titoloni sui giornali e inchieste della magistratura mentre in Puglia solo qualche voce isolata e null’altro. Invece al presidente Emiliano non è sfuggita la gravità della situazione tanto da indurlo, nello stupore generale, a rimuovere il suo super esperto dalla responsabilità della gestione dell’emergenza covid19. E sì, ripeto, nel silenzio dei media, forse perché il duo Lopalco – Emiliano è sempre stato presente nelle trasmissioni televisive e sui giornali, forse perché la Puglia è governata da una coalizione di centro sinistra allargata al movemento dei 5 stelle e, quindi, laboratorio politico di una coalizione tanto auspicata a sinistra per vincere le elezioni, sia come sia nessuno fiatava.

Lo diceva il prof. Lopalco che nel silenzio dei media è stato rimoso dalla gestione della pandemia e della campagna vaccinale I

gestione delle temperature della fiala. Ebbene, l’autore del famoso intervento su twitter, che aveva divertito molti ed era piaciuto a sinistra, oggi viene sollevato dal suo mentore. Ora Boris Johnson potrà piacere o meno ma, dopo aver compreso la gravità del covid19, ha provveduto ad organizzare una campagna vaccinale decente. Nei mesi in cui il ministro Speranza scriveva il libro, subito ritirato dalle librerie, sulla vittoria italiana sul coronavirus e il dottor Arcuri perdeva tempo prezioso sulle siringhe e sui banchi a rotelle e sulle ambulanze e il governo Conte, lo ricordate spero, organizzava gli stati generali fra il frastuono elegiaco dei media di regime, ecco, mentre succedeva tutto questo, il criticatissimo primo ministro inglese firmava i contratti per la fornitura e preparava contemporaneamente il piano vaccinale. Il governo Conte, turbo europeista, si era affidato per le forniture alla Commissione Europea. Ricordo la conferenza - stampa in cui erano zittiti i pochi giornalisti che osavano esprimere dubbi sull’organizzazione del piano vaccinale e le puntute espressioni di tanti esponenti della sinistra che, al solito, elargivano patenti di ignoranza e irresponsabilità a coloro che avanzavano i primi timidi dubbi sui contratti sottoscritti con le case farmaceutiche. «Meno male che c’è L’Europa» era l’affermazione sulla bocca della quasi totalità dei commentatori e dei politici di centro sinistra. Già, si è visto. Non so come andrà a finire realmente ma il realismo e la maturità della Gran Bretagna è emersa ancora una volta. Johnson ha riaperto tutto, i dati sanitari sono più che positivi e la Nazione è ormai vicina all’immunità di gregge, ma ha avvertito tutti senza giri di parole o fumose dichiarazioni che ricoveri e decessi sono destinati ad aumentare fra qualche tempo a seguito della libertà riacquistata. Ha trattato il popolo inglese da cittadini e non da sudditi beoti. Ha detto la verità, semplicemente. In Puglia, la gestione emergenziale viene, ora, affidata al capo della protezione civile della Puglia. L’avvicendamento non è stato molto enfatizzato, come in casi analoghi per altre regioni, dai media. Il governo PD-5S rappresenta il futuro del centro sinistra e non deve fallire la prova, è troppo importante il laboratorio pugliese per FINANCIAL TIMES BACCHETTA LA PUGLIA. Ecco, subire battute di arresto. irrompere il pericoloso foglio reazionario, il Finalcial Times, che in una corrispondenza dall’Italia bocciava la nostra Nazione per la E QUALE LABORATORIO POLITICO gestione della pandemia e l’organizzazione del piano vaccinale e SARÀ GIOVINAZZO NELLE PROSSIME AMMINIportava d esempio del fallimento, nella sorpresa generale, la Puglia. STRATIVE? Sorpresa generale ma non degli addetti ai lavori. Del resto le di- Le elezioni si avvicinano e tutto va bene pur di sollevare polemiche sfunzioni erano evidenti se si pensi all’utilizzo dei medici di base, e ingraziarsi settori grandi o piccoli dell’elettorato. Come non legperaltro ancora oggi senza un protocollo relativo alla cura del gere secondo questa lente, l’improvviso interesse per la Polizia Locoronavirus, accusati di inerzia ma mai coinvolti nella lotta alla cale di Giovinazzo da parte del centro sinistra? [...] pandemia e destinatari di una fiala a singhiozzo ritirata da ciascun medico negli uffici preposti con i rischi legati agli spostamenti e alla E fa piacere constatare l’utilizzo, in senso positivo, della parola “sol-


dati” finalmente citati positivamente nella nota del PD quando per anni erano considerati, ma lo sono ancora ufficiosamente, tutti un po’ fascisti, golpisti e guerrafondai. Come non ricordare, infatti, le polemiche per il tratto di lungomare intestato all’Aeronautica militare in chiave pacifista per il presunto, disinteresse dell’amministrazione per il molo del porto della nostra città intestato ai Costruttori di pace? Ma l’occasione era ghiotta e hanno messa da parte la diffidenza e la repulsione e sono andati all’attacco, lancia in resta. I voti dei dipendenti comunali sono importanti e ogni occasione è propizia, visto l’incauto intervento del sindaco. Chiaramente i dipendenti, in maggioranza, voteranno da cittadini, giudicando l’operato dell’amministrazione per la città al di là della categoria ma anche solleticando l’orgoglio di categoria può far acquisire qualche voto. E allora sotto con la polemica! La campagna elettorale è iniziata e i voti contano tutti. Evviva!

L’ALFIERE: «Il sindaco si sfoga, con poca attenzione, alle parole per gli assembramenti e si chiede dove sia la Polizia Locale. Che già chiedersi dove sia e un po’ come chiedere a se stessi dove ci si trovi. Il sindaco avrebbe dovuto e potuto alzare il telefono e chiedere l’intervento delle forze dell’ordine locali. E quindi, secondo me , il sindaco ha sbagliato ma appare strumentale la presa di posizione della sinistra, in tutte le declinazioni, da sempre refrattaria a tutto ciò che richiama a divise e ordine»

alfiere.2000@libero.it


I PREZZI DELLE CASE TORNANO A SCENDERE Le banche vendono diamanti e prodotti farlocchi. Che fare? Investire nel mattone, l’unico bene rifugio sicuro. In tempi di coronavirus, il settore immobiliare è in ascesa in città. E non solo per il bonus del 110% che spinge all’acquisto di un usato preferendolo al nuovo (anche perché di nuovo, di palazzi in costruzione c’è una fortissima contrazione complice il blocco attuale dell’edilizia di espansione), ma anche perché il Covid dà più tempo alla prima casa. O, meglio, all’acquisto di un’abitazione con la riduzione delle aliquote fiscali e la possibilità di detrarre gli interessi passivi del mutuo. Casa dolce casa, sogno di tutte le famiglie. Già, vediamo però quanto mi costa? In questo viaggio ci siamo avvalsi della collaborazione del titolare di un’agenzia immobiliare di Giovinazzo

casa casa

nostra nostra DI SERGIO PISANI

Chi va in cerca di un appartamento in paese, spesso s’imbatte in disavventure d’ogni genere a causa della presenza di un mercato rigido e povero di proposte. «Giovinazzo - spiega Giuseppe Piccininni, titolare di Mondocasa - resta un centro dove il mercato immobiliare si sviluppa quotidianamente tra contraddizioni e mille difficoltà. A dispetto dei tantissimi annunci e degli immancabili passaparola tra amici e vicini, trovare casa è spesso un’impresa». Chi, invece, non può permettersi di comprare casa perché e senza denari, è costretto a rincorrere un appartamento in affitto - vedremo - con discriminazioni a prezzi diversi dello stesso immobile a seconda del conduttore! Abbiamo detto che Giovinazzo è un mercato immobiliare difficile. Ed è verissimo. Ma non perché i prezzi di vendita degli appartamenti sono molto alti. Anzi, smentiamo queste antiche voci, non è più così da almeno un quinquennio se raffrontiamo i prezzi con altre città viciniore in cui non mancano sevizi e comfort. Sembra paradossale ma non lo è. «Avete dimenticato – ricorda Giuseppe Piccininni -


l’esodo dei molfettesi, iniziato una trentina di anni fa, in cerca di una casa a Giovinazzo, a prezzi più adeguati di mercato? Adesso sta succedendo il contrario. I molfettesi stanno rivendendo le case acquistate a Giovinazzo per rientrare nella loro città. E non per ritrovare quella piacevole atmosfera di comunità perduta. Semplicemente perché il prezzo delle case a Molfetta è variegato, in alcune zone della città puoi trovare un appartamento più basso del nostro».

TAMENTO A GIOVINAZZO? Iniziamo il nostro viaggio. «Per quanto riguarda le case in vendita - spiega l’immobiliarista Giuseppe Piccininni, titolare di Mondocasa - è prioritaria la distinzione tra gli appartamenti in centro, in periferia e centro storico dove il prezzo al metro quadro può variare per alcune caratteristiche. Tipo: stabile in buone condizioni, presenza di ascensore (se parliamo di un piano alto) oppure appartamento piano basso, buone condizioni interne. «Ad esempio, un appartamento al MA QUANTO COSTA UN APPAR- primo piano senza ascensore non può

avere lo stesso valore di uno al terzo, anche questo senza ascensore». Ancora: «Il prezzo al mq di un appartamento può variare rispetto ad un altro, rimanendo nella stessa zona, anche oltre 500 euro». Senza versare fiumi d’inchiostro, riportiamo di fianco una tabella illustrativa che fuga tutti i dubbi in merito ai prezzi delle nostre case, oggetto di intermediazione delle agenzie immobiliari. (NB. La vendita, invece, delle abitazioni di nuova costruzione avviene direttamente negli uffici delle imprese di costruzioni).

LETTERA FIRMATA


AFFITTI E DISCRIMINAZIONI E gli affitti? Qual è il termometro sociale? Stiamo vivendo un periodo di locazione selvaggia. «Un appartamento è affittato - precisa il titolare di Mondocasa - a prezzi di mercato. Escludiamo le locazioni del famigerato sottano estivo a 1.000 - 1500 euro al mese. Che non è un appartamento residenziale, ma un monolocale». Che in inverno resta sfitto o locato per 250 euro a normali inquilini, puntualmente sbattuti fuori il periodo estivo per far posto ai forestieri che per poche settimane sono disposti a pagare quelle cifre! Dall’entrata in vigore della legge n. 431 del 9 dicembre 1998 che, nelle intenzioni del legislatore, liberalizzava i canoni di affitto con la previsione di incentivi fiscali per i proprietari e di interventi assistenziali per gli inquilini più bisognosi, di fatto, non si è beneficiato in città di quel processo virtuoso che avrebbe dovuto sbloccare un mercato immobiliare ingessato per introdurre un’effettiva concorrenza, capace di assicurare prezzi di mercato equi ed accessibili. Invero, senza più controllo, la spinta alla liberalizzazione dell’affitto, sembra essere stata interpretata dalla maggioranza dei proprietari come un invito a perseguire il massimo profitto fuori da ogni regola. Così alcuni canoni di affitto sono saliti alle stelle. «Per uso commerciale indubbiamente. Ma forse è una manovra artatamente pensata dagli stessi proprietari per tenere lontano le attività di commercio e di ristorazione per paura che non vengono corrisposti i canoni». Al massimo si affitta per uso commerciale al baretto, al negozio di piccole dimensioni». C’è di più. I locatori di case sono intolleranti. Ce lo confessa amaramente sempre Giuseppe Piccininni: «Esiste in paese una discriminazione latente provocata da un pre-

giudizio infondato, quello secondo cui non conviene affittare una casa ad un immigrato, sebbene esso non sia un clandestino ma lavori, abbia una famiglia e possa permettersi di pagare un affitto». Ma il fenomeno della discriminazione non è circoscritto solo agli immigrati: «Cercasi coppia referenziata solo giovinazzese. Alcuni proprietari non desiderano in casa forestieri della zona che siano monoreddito, magari sono proprio loro, che per primo, nelle spese mensili decurtano il canone di affitto dai loro risparmi». E così i locatori preferiscono tenere i propri alloggi chiusi e sfitti. Una scelta, questa, che causa oltre al ristagno del mercato delle locazioni, il lievitare dei canoni. ATTENZIONE ALLE AGENZIE IMMOBILIARI In questi ultimi anni abbiamo assistito in paese a un incremento delle agenzie immobiliari. Giusto per dare un’idea, Giovinazzo, città di 20mila abitanti, conta 8 agenzie. Tutto fa pensare ad un mercato florido e forte rispetto all’hinterland. Ed invece non è così. «Questo forte incremento è dovuto al fatto che oggi la figura dell’agente immobiliare è una di quelle che vanno più di moda per lavorare ed è anche più facile da inventarsi visto che serve “solo” il diploma di ragioniere e un’iscrizione all’Albo. Il lavoro di agente immobiliare a Giovinazzo è oggi diventato più difficile, perché bisogna sgomitare con sempre nuovi concorrenti che ti rendono la vita più dura». E poi, un’agenzia immobiliare non è sempre il riferimento più immediato e sicuro. Molti optano per il passaparola per piazzare un buon appartamento, quello che si definisce un “vero affare”. Basta mettere in giro la “voce”, senza che ci sia la necessità di rivolgersi ad intermediari. Per molti può

essere fastidioso dover pagare tanti soldi a un agente! «E in questo mare tempestoso - denuncia l’agente immobiliare - si nascondono, poi, anche i “clandestini”: faccendieri simpaticoni che assumono le vesti di agenti immobiliari senza essere abilitati alla professione». Si tratta, molto spesso, di amministratori tuttofare o professionisti maneggioni, geometri, avvocati. Approfittano dell’ignoranza dei proprietari, sostituendosi alla figura dell’agente e richiedendo anche parcelle non irrisorie, senza il rilascio di alcuna fattura, non dichiarando nulla al fisco. Cosa significa questo? «E’ la conferma - fa notare l’agente di Mondocasa - che, pur in presenza di un’offerta poco dinamica e limitata di proposte, le case, ai prezzi di cui sopra, si vendono e si locano. Tuttavia, se il professionista si comporta da tale, non si ha idea di quanti problemi può risolvere. Le agenzie davvero professionali, ahimè, non sono così tante: ne sono presenti infatti molte il cui unico scopo è quello di venderti la casa, senza “se” e senza “ma”. Dunque potrebbero essere disposte a mentirti o a non essere molto chiare pur di chiudere la trattativa. Quindi occhio soprattutto al prezzo. «Se è trattabile, se l’agente vuole prendersi il mandato, ti esporrà una sua idea sui valori di mercato, sparerà 100 per poi abbassare una eventuale proposta col tempo e procacciarsi alla fine il mandato». Ancora. Occhio alle provvigioni riconosciuti all’atto della vendita. Solitamente per chi compra, la percentuale richiesta è del 3%. «Sta a te riconoscerne il valore o di chiederne almeno una riduzione, in questo caso al 3%». Inutile dire che molti cercheranno di approfittarsene. SERGIO PISANI


problema casa

DI SERGIO PISANI

AFFITTO, SOSTEGNO E DISCRIMINAZIONI Ass. Michele Sollecito: «Nell’anno 2020 gli interventi di emergenza abitativa sono stati 10 per un totale di 10.730 euro erogati a famiglie in difficoltà» Il contributo agli affitti per l’annualità 2019 in corso. Innanzitutto partiamo con una buona notizia. La Regione Puglia ha ascoltato la richiesta di maggiori fondi per il sostegno agli affitti (legge 431/98) avanzata da diversi Comuni tra cui il nostro. Qualche mese fa abbiamo infatti segnalato alla Regione Puglia come i nuovi criteri stabiliti dalla giunta regionale tendevano ad escludere dal beneficio tutti i cittadini di “fascia B” che per oltre 10 anni avevano usufruito di questo aiuto. E questo ci risultava davvero anomalo nell’anno della crisi da Covid-19. Così, insieme ad Anci Puglia abbiamo chiesto alla Regione di rivedere criteri e dotazione economica del bando e così è stato. Il 6 aprile scorso la giunta regionale ha concesso altri 5 milioni di euro su questa misura che serviranno a soddisfare le domande di diversi cittadini che presentavano i requisiti previsti dal bando ma che inizialmente non erano tra i destinatari del beneficio. A breve saremo quindi in grado di erogare i contributi alle famiglie giovinazzesi.

A cavallo degli anni 1999-2000 la quota di risorse economiche messe a disposizione dal governo per la nostra Regione era pari a 30 mln di euro. Nel 2004 vi erano 24 mln di euro da parte del governo e 15 mln di euro di cofinanziamento dalla Regione. Nel 2011 la quota del governo è scesa a 650.000 euro mentre restava il cofinanziamento regionale da 15 mln di euro. Nel 2015 e 2016 nessuna risorsa economica è stata concessa dal governo, il sostegno agli affitti si è

basato solo sul cofinanziamento di Regione (15 mln di euro) e Comuni. Quest’anno la dotazione economica torna a basarsi su risorse straordinarie concesse dal governo (euro 3.581.636,23 - assegnati con Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 195 del

ULTIMI 20 ANNI TUTTI I FONDI PER IL

SOSTEGNO ALL’ABITAZIONE IN LOCAZIONE

La contrazione delle risorse economiche da parte del Governo. C’è da dire che la misura di sostegno agli affitti nel corso degli anni ha subito una fortissima contrazione di risor- 2015 E 2016 NESSUNA RISORSA ECONOMICA È STATA CONCESSA DAL se economiche da parte dello Stato GOVERNO, IL SOSTEGNO AGLI AFFITTI SI È BASATO SOLO SUL centrale. COFINANZIAMENTO DI REGIONE (15 MLN DI EURO) E COMUNI


06/05/2020; euro 8.357.151,20 assegnati con Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 12 agosto 2020, n. 343) e cofinanziamento regionale (12 mln di euro).

aiuti che invece sono stati erogati a seguito della crisi generata dalla pandemia. Con le risorse destinate ad hoc dalla Regione Puglia avete emanato due avvisi pubblici destinati ad aiutare diverse famiglie col pagamento delle utenze o dei canoni di locazione. Al di là di questa straordinarietà abbiamo anche strutturato il primo servizio di housing di emergenza insieme al Comune di Molfetta. Grazie ai fondi concessi dal governo agli ambiti territoriali per il Piano di Lotta alla Povertà, i Comuni del nostro Ambito (Giovinazzo e Molfetta) hanno varato un servizio innovativo di Pronto Intervento Sociale (PIS) che annovera anche interventi di collocazioni provvisorie per nuclei in emergenza abitativa. Si tratta di un servizio sperimentale per i 2 Comuni e che consente ai nostri servizi sociali di avere una opzione in più in situazioni di estremo disagio.

Il ruolo dell’ente locale. Il Comune di Giovinazzo da oltre un decennio cofinanzia il fondo per gli affitti (nella misura percentuale prevista per legge, con una cifra che oscilla tra i 25.000 e 30.000 euro) consentendo così anche l’ottenimento della quota di premialità, ovvero altre risorse che vengono concesse agli enti locali da distribuire agli aventi diritto. Oltre a questo intervento ci siamo dotati da qualche anno di un fondo comunale ad hoc di “emergenza abitativa” per far fronte alle situazioni di sfratto ovvero per contributi destinati al pagamento dei mesi arretrati o per aiutare i nuclei familiari nella ricerca di un nuovo alloggio. Nell’anno 2020 gli interventi di emergenza abitativa sono stati 10 per un totale di 10.730 euro erogati La situazione sul nostro territorio. a famiglie in difficoltà. Finora abbiamo discusso di aiuti e risorse. Purtroppo, al netto delle buoCapitolo a parte meriterebbero gli ne intenzioni e della rete del welfare

resta il problema dell’autosufficienza economica di molti nuclei familiari. Difficilmente si affitta una casa a chi non può dimostrare di avere un lavoro stabile. Difficilmente si affitta anche a chi dimostra di avere un sostegno al reddito quale può essere il Reddito di Cittadinanza. Questi aiuti vengono considerati transitori e dunque poco affidabili per lunghi periodi. A queste considerazioni occorre aggiungere un’ultima constatazione: la richiesta media di affitto non è affatto proporzionale rispetto alle entrate di una famiglia monoreddito. In sintesi, troppo poco resterebbe alle famiglie monoreddito in affitto per far fronte alle altre necessità. Da quest’anno i Comuni, compreso il nostro, si doteranno di una agenzia per la Casa che cercherà di promuovere sul territorio accordi vantaggiosi per proprietari ed inquilini nella speranza di poter incidere positivamente in questo quadro attuale di difficoltà diffusa.

SERGIO PISANI




terza

pagina PADRE MARIANO BUBBICO*

CON DON TONINO NEL CUORE Ricordo le innumerevoli volte che veniva a trovarmi sul posto del mio lavoro (Servizio di igiene mentale di Molfetta), mi portava le storie di persone disperate, mi parlava di Giuseppe l’ubriaco, di Teresa la prostituta, di Giulia, violentata dal marito

Don Tonino è entrato gradualmente nella mia vita: con il tempo sono passato dall’ammirazione ad un approfondimento del suo stile di vita: un percorso che si va sempre più concretizzando nel mio mondo interiore e nella mia attività quotidiana. Mi ha sempre affascinato la sua spontaneità e la sua capacità di relazione in ogni circostanza e situazione di vita: in chiesa era creativo, nuovo nel linguaggio, appassionato ed entusiasta quando parlava di Cristo e di Maria, sua madre; fuori della Chiesa si faceva compagno di strada, interlocutore di tutti, capace di cogliere la domanda anche la più piccola ed offrire la risposta che metteva in crisi chi la poneva. UN GIORNO NELLA CHIESA DEL CROCIFISSO. E’ sorprendente notare la sua coerenza tra quanto scaturiva dalle situazioni (letture incontri, eventi) e la facilità di passare all’azione: una sera mi trovavo con lui nella nostra Chiesa del Crocifisso di Molfetta. Leggendo, durante la Messa, le parole del Canone: «Signore, dacci occhi per vedere le necessità dei poveri», si fermò ed evidenziò il bisogno urgente di una casa che una donna chiedeva per la sua famiglia con 5 figli perché sfrattata. Disse con tono di voce energico ed autorevole: «Io non vado avanti nella celebrazione se uno di voi non va a casa a prendere la chiave per ospitare questa famiglia». Miracolo! Si alzò un signore e disse: «Don Tonino, vai avanti nella messa, io vado a casa a prendere la chiave di una casa che metto a disposizione di questa famiglia». Don Tonino era fatto così: quello che sentiva o vedeva lo voleva veder subito realizzato e metteva in moto energie personali e di per-

sone a lui vicine per realizzare quanto aveva pensato o sentito. Gli interessavano le persone: dovunque si trovava instaurava un dialogo, ascoltava richieste e ti guardava con una intensità di sguardo luminoso che ti faceva intravedere la bellezza di Gesù Cristo. Il vivere intensamente e con grande coerenza la problematica della pace lo ha reso profeta di pace e anche se non ci sono scritti sistematici a riguardo, nei suoi interventi la pace veniva proclamata in tante espressioni: «La pace non è una parola, ma è un vocabolario». E continuava: «La pace è non violenza, giustizia, accettazione della diversità e …». La sua parola divenne impegno di vita quando scoppiò la guerra del Golfo. STORIE DI UBRIACHI E PROSTITUTE. La sua sensibilità e la sua compassione evangelica gli hanno permesso di incontrare i poveri e di essere cercato da loro. Ricordo le innumerevoli volte che veniva a trovarmi sul posto del mio lavoro (Servizio di igiene mentale di Molfetta), mi portava le storie di persone disperate, mi parlava di Giuseppe l’ubriaco, di Teresa la prostituta, di Giulia, violentata dal marito. Mi raccontava la sua sofferenza di fronte ai mali della società e ai bisogni sempre più emergenti di tanta gente. Una volta gli ho chiesto: «Perché non ti riposi mai ed hai il tuo Episcopio sempre a disposizione di tutti?». La risposta fu decisa e immediata: «Non posso tollerare la sofferenza di chi mi si avvicina senza che io possa far qualche cosa per lui». Parlava con tanto amore dei poveri e dei bisognosi che avevo la percezione che quelle persone gli stavano a cuore come i suoi amici o parenti. E io mi domandavo e mi domando: chi gli dava tanta forza e tanto entusiasmo nelle innumerevoli situazioni in cui si trovava? La risposta è quella di sempre: l’intimo colloquio con Gesù Cristo. Se Don Tonino ha coniato la parola contemplativo, la spiegazione la si trova affermando che l’attenzione all’altro per un cristiano per essere

efficace e significativa necessità dell’esperienza intima con Gesù Cristo. Le notti trascorse davanti al tabernacolo diventavano per Don Tonino vita nella giornata nei tanti incontri che effettuava, che non erano mai di semplice presenza, ma manifestazione di un mondo interiore ricco di riflessione, di meditazione e di esperienza vissuta. L’INCONTRO PRIMA DI RITORNARE ALLA CASA DEL PADRE. Andando a visitarlo negli ultimi mesi della sua vita rimasi sbalordito nel vedere come parlava del suo avvicinarsi all’incontro con il Padre e quanta serenità e pace sprigionava dal suo viso: le persone (specie donne) andavano per consolarlo e venivano consolate. Diceva: «La malattia non è il frutto dei nostri peccati personali, perché il Signore non dà la sofferenza ed il dolore a secondo dei meriti e dei demeriti di una persona. La sofferenza è un mistero che ci trascende e che va oltre di noi». Parlava del Cielo, dell’incontro con Gesù e con Maria facendo intuire che avesse con loro un dialogo quotidiano. Di tanto in tanto ripeteva: «Ho bisogno di andare ad abbracciare il Padre. So che Lui è impaziente di rivedermi ed io non ho paura dei miei peccati». Mi rimangono sempre nella mente e nel cuore le parole da lui pronunciate verso la fine dei suoi giorni. Non potendo abbracciare tutti coloro che erano andati a salutarlo, con il volto luminoso e con il sorriso sulle labbra disse: «Vorrei dire a tutti, ad uno ad uno, guardandolo negli occhi: ‘Ti voglio bene’. Così come, non potendo adesso stringere la mano a ciascuno, però venendo vicino a voi così, personalmente vorrei dire: ‘Ti voglio bene’». Don Tonino è stato un profeta del nostro tempo! Ci ha affidato una missione; sta a noi portare nel cuore e nella mente il suo messaggio e tradurlo in pratica ogni giorno e dovunque ci troviamo.

*FRATE CAPPUCCINO


l intervista

DI

SERGIO PISANI

AMARSI E DIRSI ADDIO Va via il Comandante della Polizia Locale Evangelista Marzano. Che si confessa ai nostri taccuini «Ti sbattono a dirigere il traffico a Giovinazzo». Volendo rispondere all’ispettore di Polizia Lolita Lobosco, tu che hai diretto il traffico da Comandante della PL, è stata un’esperienza meravigliosa, come meravigliosa è la nostra città? Il traffico che non c’è? Per molti sarà stata una battuta infelice, a me è piaciuta, ci ha fatto pubblicità. Inutile negare la bellezza di Giovinazzo e l’assenza di traffico Ho usato il tempo al passato, Comandante. La gratitudine nella vita è un sentimento che invecchia presto. Dal 1° Aprile con l’Amministrazione vi siete detti addio o magari Arrivederci? Tutti sanno il perchè. Sono stati 15 mesi vissuti intensamente e meravigliosamente. A Giovinazzo lascio il cuore. Spero che sia solo un arrivederci al 2022! Dal tuo avvento al Comando della Polizia Locale, la città ha subito una grande trasformazione: dalla Viabilità, al Commercio, all’Ambiente. I tuoi sforzi hanno prodotto risultati apprezzabili. Proviamo ad elencarli! Dopo 24 anni ho fatto ristrutturare internamente il locale del Comando di via Cappuccini per dare più decoro a chi ci lavora. Il sindaco Depalma mi ha affidato l’incarico della realizzazione della Sala Operativa che con 50 telecamere distribuite in diversi punti strategici della città, individuati in accordo con le forze dell’ordine, monitorano il territorio e la viabilità. Ho ripristinato il ponte - radio: gli agenti in servizio potranno comunicare con le radio ricetrasmittenti che avevamo in soffitta. Proviamo a mettere anche un po’ di cacio sui maccheroni. Parliamo sempre di risultati. Dal 29 ottobre 2019 e fino al 14 febbraio 2020, sono stati installati dal Comune di Giovinazzo sulla strada che collega Giovinazzo a Santo Spirito rilevatori della velocità. In tale arco temporale sono state elevate quasi 5.500 contravvenzioni al codice della strada. Marzano detiene il record del mondo in tema di sanzioni pecuniarie? Nessun record. La sicurezza su quella strada era a rischio, abbiamo imposto soprattutto ai pullman di viaggiare sotto la velocità di 50/kmh. Ottobre 2020, Marzano decide di spegnere definitivamente i rilevatori di velocità. Perché li ritiene illegittimi? O sono serviti soltanto a vessare i cittadini e a far cassa? Oppure perché, da tutta questa operazione, alla fine ci ha guadagnato soltanto l’azienda appaltatrice

del servizio? Già, ho posto in discussione l’aspetto contrattuale (era stato stipulato dal vecchio Comandante, l’Amministrazione e la ditta appaltatrice) molto nebuloso nell’appalto, della fornitura mediante installazione, noleggio e gestione dei rilevatori di velocità. Non si può far un affidamento diretto per 12mila euro a fronte di 5.500 verbali (entrate di 500mila euro). Il contratto prevedeva una sperimentazione di sei mesi, con una cifra più elevata in considerazione di introiti molto elevati. Così ho spento i rilevatori di velocitàaltrimenti saremmo andati oltre… Parlano chiari i debiti fuori bilancio: 160mila euro. Sono gli emolumenti che l’Amministrazione ha pagato per l’intero servizio alla ditta appaltatrice! Dicembre 2020, la lettera con cui gli agenti di P.L. hanno chiesto la riconferma di Marzano non è stata firmata da ben 5 agenti, di cui 3 col grado di ispettori. Vuol dire che anche il Corpo era spaccato sulla tua riconferma? I mal di pancia erano diffusi? Non si può piacere a tutti, ma avevo il placet della mag-


gioranza. Qualcuno non era d’accordo? Marzano a qualcuno era scomodo? Forse perché ad ognuno ho assegnato un preciso ruolo all’interno dell’organico? In questi ultimi 3 mesi il comandante è stato Marzano o Stallone? Marzano… Marzano. Da chi arrivavano gli ordini? Da me, da me. Dal Comandante! Come ti spieghi la sua volontà di costituire una pattuglia a piedi, con Depalma, Sifo e Favuzzi, nella domenica delle Palme? Un affronto, forse l’ultimo, a Marzano? Forse il maggiore desiderio di qualcuno è di indossare la divisa, di fare il Comandante? Parliamoci chiaro: loro hanno ruoli istituzionale politici, devono impartire gli indirizzi programmatici al Comandante. Se quest’ultimo non ottempera con i risultati, è giusto che venga rimosso. Non mi va di fare polemica da cortile. Parlano i numeri, i risultati da me conseguiti. Il sottotenente Bonasia non ha accettato l’incarico. E’ stata tirata troppo per la gonnella oppure c’è dell’altro? La conosco molto bene perché appartiene al mio comando. Ha analizzato la situazione ritenuta molto complessa e, giudiziosamente, ha preferito declinare l’invito. Così come hanno fatto altri della provincia di Bari. Forniscici un’indiscrezione sul tuo possi-

bile successore. Nome, cognome. E un consiglio forte da accettare per non farsi trasferire in un batter di ciglia! Sarei un cattivo consigliere. Bisogna vivere il territorio, conoscere gli uomini dell’Amministrazione. Io sono stato mandato via per un capriccio. Mi lusinga la percezione dei giovinazzesi comuni che hanno avuto di me: mi hanno rispettato. Il prossimo comandante può anche non avere la pistola e la fondina, ma solo una lapis indelebile per firmare i numerosi provvedimenti amministrativi relativi ai prossimi 6 mesi, magari sono gli stessi che tu non volevi firmare. C’entra come i cavoli a merenda? C’entra, c’entra. Come il sale nella minestra. Deve fare attenzione a cosa firma. Io ho lasciato come previsione di bilancio numerosi futuri bandi di appalto. Basta con gli affidi diretti! Per concludere. Un grazie con il cuore. A chi? Agli agenti di Polizia locale in primis che mi ha supportato. E poi commercianti, artigiani, tutte le categorie dei lavoratori. E tanta gente comune. Porterò loro tutti nel cuore. SERGIO PISANI

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Angelo D. De Palma*

IL FALLIMENTO DELLA CAMPAGNA VACCINALE ED I POSSIBILI RIMEDI. IL RICORSO ALLA COSTITUZIONE Il contenimento della pandemia in Italia sta procedendo male. E non bene sta andando la campagna vaccinale. Il risultato complessivo è, dunque, fortemente negativo. Sembra che il confinamento, il distanziamento sociale, le mascherine ed i guanti, che consentirono un risultato, poi evidenziatosi come provvisorio lo scorso anno, non pervengono ad alcun risultato utile. Ed infatti a dati epidemiologici giornalieri in, sia pur lieve, calo sono subentrati numeri sempre più preoccupanti, con un aumento esponenziale delle vittime da ‘Covid – 19’ (per probabile influsso negativo portato dalla c.d. variante inglese). Le misure restrittive sono, quindi, state mantenute (e talvolta, come in Puglia, anche esasperate), ma senza risultati apprezzabili, mentre avanza e dilaga la povertà delle categorie più colpite (ristoratori, baristi, etc.), fino a lambire la miseria. Si moltiplicano gli interventi di sostegno, ormai oltre il ragionevole limite della sopportabilità per le casse pubbliche. Nel frattempo, c’è chi invita al disordine ed alla ribellione al grido «liberi tutti». Il nuovo Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha nominato il generale degli Alpini Figliuolo nuovo commissario straordinario, il quale, malgrado ogni impegno, stenta a dare una svolta positiva e decisiva alle vaccinazioni. Che sta succedendo? Sicuramente è il crollo del S.S.N., quello che, tradizionalmente, è stato un orgoglio del sistema istituzionale italiano. Un problema del tutto nuovo, che richiede sistemi e risorse nuovi e diversi rispetto al passato, pare mandare in fumo una grande organizzazione di sanità sociale. Tutti hanno almeno un suggerimento per migliorare la situazione. La vaccinazione è stata inizialmente impostata su categorie sociali, ma senza risultati apprezzabili (e con la diffusione dei c.d. ‘furbetti del vaccino’: fenomeno non encomiabile ma comprensibile alla luce della lentezza nel superamento della pandemia e della necessità, per ciascuno, di salvarsi la pelle). La nuova vaccinazione sta avvenendo per fasce di età, a cominciare dalle più avanzate (ma, con l’attuale ritmo, i soggetti particolarmente esposti e non anziani rischiano di essere abbandonati al loro destino). La verità è che, fissato il principio dell’età, occorre contemporaneamente provvedere anche a soggetti che sono ad alto rischio per il particolare lavoro che svolgono (funzionari ed impiegati di pubblici servizi, magistrati, avvocati, cassieri e cassiere della grande distribuzione, etc.). La verità è, ancora, che per fare ciò non basta coinvolgere le strutture territoriali (medici di base, etc.), ma occorre prima sensibilizzare tutte le strutture cliniche e para-cliniche private, nonché i posti di medicina delle aziende. Tutto ciò ora

non si può fare, a cagione della distribuzione (che si avvale di strani contratti e strane clausole stipulati dall’UE), da parte di produttori, di vaccini col contagocce (proprio dei produttori di Astra Zeneca, che avrebbero qualcosa da farsi perdonare). Per il futuro, che sarà verosimilmente interessato da altri grandi fenomeni planetari dello stesso tipo, che fare? Occorre, anzitutto, che l’Italia abbia ed incoraggi aziende italiane idonee alla produzione, sul nostro territorio, di vaccini di nuovo tipo (come quello di Pfizer). In secondo luogo, ad evitare sovrapposizioni, personalismi ed orgogli regionali (questi ultimi, con la trasmissione al centro di dati non genuini ma artefatti, hanno, in alcuni casi, determinato la scorretta classificazione di alcune aree) occorre pensare ad un organismo stabile, nazionale e governato da personalità di veri ricercatori, a cui affidare la prevenzione e la cura delle pandemie. Così la norma dell’art 120 della Costituzione non sarebbe più una mera enunciazione formale. Come è noto, la norma del detto art. 120, nella versione previgente, vietava a ciascuna Regione di istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, così come di emettere provvedimenti ostacolativi della libera circolazione, fra le Regioni, di persone e cose o di limitare il diritto, di ogni cittadino, di esercitare in qualunque parte del territorio nazionale la propria professione, impiego o lavoro. Con l’art.3 della legge cost. 18 ottobre 2001 n.3, tale testo è stato sottoposto ad attenta revisione: il 1°c. è rimasto sostanzialmente invariato (divieto per le regioni di imporre dazi e gabelle nella circolazione delle merci e delle persone e divieto di limitare l’esercizio del diritto al lavoro di ogni cittadino, che è libero di esercitare il proprio lavoro in qualunque parte del territorio nazionale), mentre il 2° prevede il c.d. «potere sostitutivo del Governo» nei confronti di Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni. Tale potere sostitutivo può essere esercitato «nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica», inclusa la tutela dei c.d. ‘L.E.P.’ (Livelli Essenziali delle Prestazioni), così comprendendo i diritti civili e quelli sociali. In tali casi, a tutela dell’unità giuridica e dell’unità economica nazionale, la legge ordinaria può definire le procedure idonee ad assicurare che i poteri sostitutivi del Governo siano esercitati (in caso di omissioni o ritardo da parte dell’ente titolare) nel pieno rispetto dei principi di ‘sussidiarietà’ e di ‘leale collaborazione’ fra enti pubblici territoriali. Dunque è possibile disciplinare, proprio in tema di pandemia, il potere sostitutivo del Governo quando, come nel caso presente, siano in grave pericolo l’incolumità e la sicurezza pubbliche. Ciò impedirà balzi in avanti ed indietro delle Regioni, assicurando a tutti i cittadini di tutte le Regioni parità di * GIA’ AVVOCATO trattamento. GENERALE DELLO STATO A VENEZIA


echi

del

mese

DI

GIANGAETANO TORTORA

DONAZIONE SANGUE: TRA I GRUPPI FRATRES SPICCA GIOVINAZZO

Il gruppo FRATRES Luigi Depalma Giovinazzo O.d.V. secondo nella Regione e primo nella Provincia di Bari 27 marzo Grande soddisfazione per il gruppo FRATRES Luigi Depalma Giovinazzo O.d.V., da anni sempre in trincea sul fronte delle donazioni del sangue. In occasione infatti dell’assemblea regionale tra i gruppi FRATRES, tenutasi ovviamente in videoconferenza a causa dell’emergenza sanitaria, sono stati resi noti i dati ufficiali al 31 dicembre 2020 in materia di donazione. Ebbene, il gruppo giovinazzese figura in seconda posizione a livello regionale, dopo quello di Andria, e al primo posto nell’ambito della Provincia di Bari. Per il direttivo locale questa bella notizia rappresenta l’occasione quanto mai propizia per rivolgere un appello ai nostri giovani, al duplice scopo di rinfoltire l’organico del gruppo FRATRES e di implementare l’elenco dei donatori. Nella foto di repertorio, il direttivo FRATRES Giovinazzo alla Festa del Comune di Giovinazzo rappresentato dall’assessore Michele Soldonatore svoltasi quando non c’era ancora il lockdown… lecito, ha avuto come coronamento questo momento on line, in cui gli allievi del Liceo hanno interagito con Maria Giuseppina 24-26 marzo LE NUMEROSE INIZIATIVE Muzzarelli, professoressa ordinaria di Storia Medievale dell’UniCULTURALI DEL LICEO MATTEO SPINELLI versità di Bologna, autrice del libro Nelle mani delle donne (Laterza La Didattica a distanza non ha frenato l’offerta culturale del Liceo 2019). Un’incursione estremamente affascinante grazie alla relatrice, Matteo Spinelli, sede giovinazzese dell’IISS Amerigo Vespucci, di- che ha condotto i presenti in un viaggio tra Medioevo e retto dal prof. Carmelo D’Aucelli. Il Liceo di Giovinazzo (che contemporaneità, esaminando gli snodi del rapporto tra la figura prevede al suo interno tre indirizzi: Liceo classico, Liceo scientifico femminile e l’alimentazione, alla luce dell’attenzione alle relazioni di tradizionale e opzione Scienze applicate) ha infatti offerto alcune cura; interessanti conferenze on line, con l’alternanza di prestigiosi relatori - il 26 marzo 2021 è stato invece il turno di Giuseppe Solaro, che hanno saputo catturare l’attenzione degli studenti, i quali hanno professore ordinario presso il Dipartimento di Studi Umanistici interagito con loro sottoponendo dubbi e curiosità o condividen- dell’Università degli Studi di Foggia. Il docente è intervenuto sul do riflessioni. Queste le ultime iniziative in ordine di tempo: tema Che cos’è un classico?, tenendo desta l’attenzione degli inter-il 24 marzo il Matteo Spinelli ha aderito al terzo incontro del venuti con una fitta disamina, dalle Noctes Atticae del romano Progetto Lettura della rete Scolastica 2020-2021 in collaborazione Aulo Gellio a Qu’est-ce que un classique? di Charles-Augustin Saintecon la libreria Laterza di Bari. Il progetto, fortemente voluto dal Beuve, scrittore francese dell’Ottocento, che poneva l’accento sulla


capacità di esprimere “scoperte interiori” in uno “stile universale”. Dai riferimenti all’interesse di Thomas Stearns Eliot nei confronti di Virgilio alle feconde osservazioni calviniane, il tema ha suscitato riflessioni di studenti e docenti, anche in merito alla nostra attuale capacità di approcciarci al concetto e alla lettura di un classico. Insomma, un ciclo interessante di conferenze in cui un ruolo importante a livello organizzativo è stato rivestito dal professor Fabio Caruso, addetto alla funzione strumentale per la progettazione didattica per competenze, e dalla collaboratrice del Dirigente scolastico, prof.ssa Patrizia Petta. Sono inoltre in fase di avvio le attività di un PON che avrà notevole efficacia ai fini dell’integrazione della didattica a distanza e sarà utile tanto per il potenziamento della lingua inglese, della lingua madre, della matematica e dell’informatica, quanto per la conoscenza di linguaggi di programmazione come Arduino e per l’eventuale acquisizione di certificazioni. Particolarmente significative e coraggiose anche le tematiche delle ultime assemblee studentesche, condotte dai rappresentanti di Istituto con la supervisione della docente Pasqua Triggiani, addetta alla funzione strumentale per l’Orientamento e i servizi per gli alunni. Tra queste, la violenza esercitata ai danni delle donne: ospite dell’assemblea del mese di marzo è stato infatti il personale del Centro Antiviolenza di Molfetta, che ha interloquito con gli studenti in merito a una preoccupante realtà di abusi spesso perpetrati nell’indifferenza generale. Nella foto, un’immagine di repertorio degli studenti liceali prima della pandemia. 26 marzo OMAGGIO AL SOMMO POETA DANTE ALIGHIERI

dia, che sarà in grado di offrire servizi efficienti in ambienti consoni e accoglienti nella zona 167, lì dove, per oltre trent’anni, c’è stato un rudere. Alla cerimonia svoltasi in forma ristretta, volutamente non annunciata per evitare assembramenti, hanno partecipato il sindaco di Giovinazzo Tommaso Depalma, il Direttore del Dipartimento per la promozione della Salute della Regione Puglia Vito Montanaro, il Direttore Generale della Asl Bari Antonio Sanguedolce, il responsabile dell’Ufficio Tecnico della Asl Ba ing. Nicola Sansolini e Monsignor Domenico Cornacchia, Vescovo della nostra Diocesi che ha benedetto il cantiere. L’opera, finanziata dalla Regione Puglia con oltre 5 milioni di Euro nell’ambito della programmazione FESR 2014-2020, sarà realizzata dalla Asl Bari e i lavori dovrebbero terminare a settembre 2022. 27 marzo-2 aprile NICOLA GIOTTI SUPERSTAR

Il Comune di Giovinazzo ha omaggiato il sommo Poeta Dante Alighieri in occasione dei 700 anni dalla sua scomparsa, patrocinando l’evento Lectura Dantis- L’Amor che move il sole e l’altre stelle organizzato dalla locale Associazione Culturaly. La manifestazione, trasmessa in diretta streaming sul canale Youtube di Culturaly, è stata caratterizzata da una breve ma quanto mai coinvolgente lettura, mediante staffetta, di tre Canti tratti da ciascuna delle Cantiche dantesche. Al leggio si sono infatti alternati Francesco Tammacco (che ha letto il canto dell’Inferno dedicato al Conte Ugolino), Pantaleo Annese (con il canto del Purgatorio riguardante Manfredi) ed Elisa Barucchieri (lettrice infine del canto del Paradiso di Invocazione alla Vergine). L’incontro, primo evento di Culturaly trasmesso in streaming, è stato condotto dall’avv. Enzo Varricchio con la direzione artistica di Nicola De Matteo ed ha ottenuto il patrocinio anche del Teatro Pubblico Pugliese e della Città Metropolitana di Bari.

Enorme ribalta per il noto pasticciere giovinazzese Nicola Giotti, ospite su Rete 4 del programma Sempre Verde condotto da Luca Sardella. Per qualche minuto Giotti è infatti riuscito a catalizzare l’attenzione di giovinazzesi e non con la propria decorazione delle uova di cioccolato realizzata mediante la tecnica dell’aerografia insieme a Damaride Russi di Scarmagno, altra maestra del settore e ormai giovinazzese d’adozione. Una straordinaria vetrina pubblicitaria anche per la nostra città, menzionata nel programma e della quale è stato possibile ammirare in tv il suggestivo scenario della Cattedrale sapientemente raffigurato da Giotti su una delle sue creazioni. Qualche giorno dopo, venerdì 2 aprile, lo stesso Giotti e Damaride Russi hanno bissato su Rai-radio1, intervenendo in diretta nazionale nella trasmissione Sportello Italia dove ancora una volta è stata nominata Giovinazzo.

27 marzo CASA DELLA SALUTE DI GIOVINAZZO: BENEDIZIONE CANTIERE La Casa della Salute di Giovinazzo è diventata realtà. E’ stato infatti benedetto il cantiere del nuovo presidio sanitario all’avanguar-

13 aprile RITROVATE LE DUE SORELLINE SCOMPARSE Tutto è bene quel che finisce bene… Grazie ad una segnalazione sono state infatti ritrovate dai Carabinieri della Compagnia di


Molfetta e della Stazione di Giovinazzo, all’interno della stazione ferroviaria di Molfetta, le due sorelline Melania e Simona Sigrisi (di 12 e 14 anni) allontanatesi venerdì 9 aprile dalla comunità educativa Legàmi e Talenti di via Trieste a Giovinazzo, nella quale vivevano da circa sei mesi. Erano fuggite con uno zaino, lasciando gli smartphone e facendo così perdere le proprie tracce. Di qui la procedura per le persone scomparse attivata dai Carabinieri in collaborazione con la Procura della Repubblica di Bari e il tam-tam mediatico per ritrovarle. Una volta ritrovate, Melania e Simona sono state dapprima portate in caserma per poi venire riaffidate alla suddetta comunità. 14 aprile PUNTO VACCINALE SAN GIOVANNI BOSCO

Allestito il Punto Vaccinale di Popolazione nella Palestra della scuola San Giovanni Bosco, con ingresso da Corso Dante, su decisione della ASL Bari in accordo con il Comune di Giovinazzo. Nel corso del primo sopralluogo effettuato dal sindaco Tommaso Depalma e dal vicepresidente del Consiglio Comunale Pietro Sifo, trasmesso in una breve diretta Facebook sulla pagina Tommaso Depalma Sindaco, sono stati illustrati tutti i servizi disponibili ai cittadini non appena il Punto Vaccinale sarà attivato, sempre su decisione della ASL. Il Sindaco ha ringraziato medici, odontoiatri e farmacisti per l’apporto che presteranno nelle somministrazioni, nonché la dirigente scolastica Maria Paola Scorza. 18 aprile MADONNA PELLEGRINA A GIOVINAZZO Arrivata a Giovinazzo dal Salento la statua della Madonna Pellegrina. La liturgia di accoglienza della sacra immagine, presieduta

dal nostro Vescovo Domenico Cornacchia, è avvenuta nella parrocchia San Domenico. Il pellegrinaggio della statua vuole portare speranza e rappresentare un atto di necessario affidamento alla Madonna nel difficile momento di pandemia che stiamo attraversando. Queste le origini del culto: nel 2020 sono ricorsi i 190 anni delle apparizioni (verificatesi il 19 e 27 novembre 1830) della Santa Vergine a Santa Caterina Labourè, novizia delle Figlie della carità di San Vincenzo de’ Paoli, nella Casa Madre della Congregazione delle Figlie della Carità a Parigi in Rue du Bac. Apparizioni in cui la Madonna paventava l’arrivo di calamità di ogni genere per il mondo intero, ma allo stesso tempo assicurava tutto il suo sostegno ai fedeli. Tale anniversario ha quindi suscitato nella Famiglia Vincenziana il desiderio di ridare vitalità al culto in questa difficile situazione di emergenza sanitaria, attraverso l’iniziativa di un pellegrinaggio della suddetta statua nelle varie comunità. Lo scorso 11 novembre Papa Francesco ha pertanto accolto in Vaticano e benedetto la statua che raffigura la Vergine Maria che apparve proprio a Santa Caterina, mettendole al collo una Corona del Rosario. Da lì è appunto partito il pellegrinaggio della stessa effigie in tutta Italia. (foto e testo Donata Guastadisegni)


Coronavirus a Giovinazzo

I GIOVANI, I PIÙ COLPITI

14 APRILE 2021 Si registrano 156 casi positivi, 16 i decessi e 943 i guariti. Saliamo sopra i mille casi (1.115) i contagiati dall’inizio della pandemia. Per quanto riguarda invece il trend tra i contagiati, si può osservare come UNO DI QUEI GIORNI Oggi è uno di quei giorni in cui sia sensibilmente quell’acerrimo nemico ci ha privato diminuito il peso della nostra libertà, dei contagi tra i quella di vivere. Oggi è uno di quei giorni in cui più anziani 70non vorrei fare altro che pensare al 79enni (n.113) e passato in misura minore e tornare indietro nel tempo, come se nulla fosse successo. anche quello tra Oggi è uno di quei giorni in cui i 60-69enni una videochiamata ci rende con il cuore più vicini, (n.144), mentre se lontani. quella tra i 50-59 anche Oggi è uno di quei giorni che anni è la fascia non avrei voluto che arrivasse mai più colpita. Segue per il dolore e la sofferenza di tanti cari, la fascia tra i 40oggi non più tra noi. 49 anni (190) così Oggi è il giorno tanto atteso in cui la libertà di vita torna a splendere come quello tra i assieme alla luce della speranza. 20-29 anni (132) MASTROPASQUA Alfredo

numeri, dati e tabelle

UN BRUTTO SOGNO E’ come se un giorno sul punto di volare ci abbiano spezzato le nostre ali. E’ come se un giorno la triste realtà ci abbia messo a dura prova nella nostra quotidianità. E’ come se un giorno i nostri sogni si siano improvvisamente infranti ed il mondo crollato addosso. E’ come se un giorno l’impossibile improvvisamente sia diventato tanto possibile da dipingere di buio ogni giorno. E’ come se un giorno sia finito un brutto sogno e vorrei cancellarlo dalla mia mente questo brutto ricordo che ha fatto soffrire tutto il mondo.

MASTROPASQUA Alfredo




il ricordo di un Uomo

ANTONELLO TARANTO, PSICHIATRA*

LE ALI DEGLI ANGELI E GLI ANGELI DELLA VITA FRA GLI UOMINI SPECIALI DI GIOVINAZZO RICORDO SENZ’ALTRO PINO TULIPANI. QUANDO LO CONOBBI RIMASI IMPRESSIONATO DALLA INCREDIBILE RICCHEZZA DI ARGOMENTAZIONI CHE PRODUCEVA PER SOSTENERE I SUOI PROGETTI E PER SPIEGARE LE SUE IDEE...

Il nostro primo incontro durò quasi un paio d’ore; la sintesi di quel lunghissimo discorso era, però, brevissima: ‘’gli angeli della vita sono i ragazzi diversabili che aiutano a volare le persone normali, che sono angeli con un’ala sola’’ (ovviamente era devoto di don Tonino Bello). Mi incuriosì il suo modo di pensare e cominciai a frequentare il mondo che stava faticosamente e tenacemente costruendo. Mi appassionai perché ciò che accadeva fra gli angeli della vita era, secondo me, la migliore interpretazione degli insegnamenti della psichiatria sociale, della rivoluzione ‘’basagliana’’ (quella che ha portato alla chiusura dei manicomi, per intenderci) e dell’evoluzione del motto ‘’mente sana in corpo sano’’ nel motto ‘’mente sana in corpo sano in comunità sana’’. Infatti gli ‘’angeli della vita’’ erano una piccola comunità di volontari che avevano in comune la caratteristica di avere una persona diversabile nella propria famiglia. Nessuno si lamentava, nessuno

contestava l’insufficienza o l’inadeguatezza dei servizi pubblici: tutti cercavano, continuamente, di creare occasioni di convivialità che consentissero alle persone diversabili (prevalentemente ragazzi) di vivere momenti di assoluta normalità. Lunghe tavolate con pasta al forno e carne alla griglia, danze scatenate, produzione di salsa di pomodoro o di dolci ma, anche, ‘’salotti culturali’’ e spettacoli teatrali erano le attività che si svolgevano. Spesso con la presenza di ospiti illustri ai quali veniva offerta la possibilità di farsi collaboratori dei camerieri e cuochi diversabili e, sempre, con la compagnia degli amici animali. Quest’ultima, infatti, era la colonna portante delle attività degli angeli della vita. Gli animali hanno bisogno di cure quotidiane, anche nei giorni festivi e anche quando il tempo è cattivo. I ragazzi angeli della vita, qualunque fosse la loro abilità, sentivano il peso di quella responsabilità e non facevano mai mancare agli amici animali la dose quotidiana di cibo e la pulizia di stalle e gabbie. Terapia e riabilitazione, senza nulla togliere a tutto ciò che è scientifico (farmaci e tecniche scientificamente validate) si svolgevano in quel contesto che Foulkes, a

metà ‘900, chiamava ‘’milieu’’ terapeutico, cioè l’ambiente culturale che cura. ‘’Fattoria Angela Lauriola’’ era il nome del luogo fisico in cui quelle cose accadevano. I volontari (quelli veri, animati da spirito di solidarietà e non da secondi fini lavorativi o politici) non aiutavano i diversabili ma si dividevano con loro i compiti da svolgere. Ognuno faceva quello che sapeva fare, in autonomia, e chi non sapeva fare nulla, piano piano trovava il suo modo per stare li, in quel posto, sentendosi parte del milieu. Il piccolo miracolo quotidiano che accadeva era che anche gli animali, vuoi che fosse l’asino, vuoi che fosse una gallina, riconosceva chi di lui si prendeva cura e gli restituiva quelle manifestazioni di gioia che gli animali sanno fare quando vedono il loro amico\padrone. Allora anche la persona che si era sempre sentita emarginata, diversa, inutile scopriva di essere portatrice di un valore e di un’amabilità. E si attivava nel percorso di rinascita. Certamente Pino è insostituibile ma gli Angeli della Vita esistono ancora. Nel suo *Direttore nome continueranno Dipartimento a costruire la comu- Dipendenze nità che cura. Patologiche ASL Ba


il ricordo di un Uomo

GIOVANNI FALAGARIO*

PINO COME UN PADRE Un anno fa moriva il Cavalier Giuseppe Tulipani. Per i tanti, tutti, che gli volevano bene Pino. Io mi onoro di essere uno dei suoi amici. Ma Pino non era per me solo un amico, era molto di più. Era una guida sicura. Un faro che illuminava la vita. Un punto di riferimento davanti alle grandi sfide della quotidianità. Io parlo del mio rapporto personale con Pino, del suo essere per me un fratello maggiore che mi prende per mano, sempre, ma soprattutto nei momenti difficili o tristi. Ma chi era Giuseppe Tulipani. Uno che spendeva la sua esistenza per il prossimo. Un convinto assertore dei principi cattolici, che metteva in atto nella quotidianità. Una persona che si prendeva cura di chi gli era vicino, chi viveva accanto a lui,, che rinunciava alla propria vita per donare agli altri. Ecco perché ha speso tutta la sua esistenza nel volontariato. A Molfetta negli anni 80 e 90 del secolo scorso è stato vicino a don Tonino Bello, il vescovo degli ultimi, per supportarlo nella sua opera di bene verso l’altro. È stato anche un validissimo uomo delle istituzioni sia come esponente del Municipio di Giovinazzo, la sua città, ove ha ricoperto la carica di vicesindaco, sia come efficace e solidale verso chi ha bisogno come operatore della Protezione Civile e in fine come impiegato regionale. Ma la sua unica vera missione di vita era ed è, continua a farlo dal cielo, aiutare le persone diversamente abili, come diceva dovessero essere chiamate le persone che avevano una disabilità. Io sono fra quelle. Per questo l’ho conosciuto. Avevo anche io bisogno di una mano. Avevo anche io bisogno di abbracciare qualcuno per poter volare. Scusate se parafraso le parole di don Tonino. Le ricordo nella loro interezza: gli uomini sono angeli speciali, hanno un’ala sola, per volare devono abbracciarsi. Questo messaggio di Don Tonino era la stessa ragione di vita di Pino Tulipani. Aiutare gli altri era per lui, certo, soccorso nelle difficoltà, supporto nei bisogni, ma era soprattutto amore, era condivisione, era, in ultima analisi, un abbraccio. Ecco perché Pino fondò a Giovinazzo l’associazione “Angeli della Vita”, una associazione di famiglie in cui almeno un componente è diversamente abile. Pino ha saputo tradurre l’amore per il proprio figlio, Edoardo, in amore per i tanti che avevano ed

hanno forme di handicap, parola terribile scusate, più o meno grave. Pino Tulipani fede dell’Associazione “Angeli della vita” uno strumento per esplicitare le capacità e la personalità di persone che, a causa di una disabilità, fanno fatica mettere a frutto le proprie doti, pur preziose. Ebbe un’intuizione: l’approccio con la natura e con gli animali aiuta a migliorare la vita di tutti e soprattutto quella delle persone speciali. Ecco perché fu un pioniere, nella nostra terra, di quella che si chiama, con termine anglofono, “pet terapy”. Cioè l’idea di poter superare gli ostacoli che alcuni tipi di invalidità creano alle persone loro soggette attraverso il contatto diretto con gli animali domestici. Pino organizzo incontri fra disabili e cavalli, pensò a una sana passeggiata con cani addestrati a vivere con soggetti fragili, bambini, anziani e, appunto, diversamente abili. Organizzo corsi e simposi perseguendo l’idea che un sano approccio con la natura aiutasse coloro che hanno difficoltà psicomotorie a vincerle e a superarle. In nome di questa sua convinzione Pino Tulipani scelse di allevare asini e cavali, galline e altri animali da cortile, con la finalità di renderli amici affezionati delle persone in difficoltà, facendoli parte di un percorso innovativo ed efficace di riabilitazione. Per compiere questo costruì, con le sue mani letteralmente assieme con quelle di altri preziosi volontari, la fattoria Auriola Olia dedicata a una sua zia e la tendostruttura sita nel centro di Giovinazzo, a lui oggi dedicata. Quest’ultima è magnifico abbinamento fra cultura libraria e cultura agricolo pastorale. Infatti in tale sito ha voluto che fosse una splendida biblioteca, con alcuni libri di studio e molti di piacevole intrattenimento letterario, all’interno di un giardino in cui i molti avventori potranno scegliere se leggere un buon libro o coltivare e beneficiare dei frutti dei campi, infatti è lì un vasto orto, o magari fare entrambe le cose. Pino Tulipani, in collaborazione con la Regione Puglia e il Comune di Giovinazzo, ha realizzato molte iniziative volte a istituire corsi di formazione e di studio per persone disabili. Ricordiamo che a una sua intuizione di deve la nascita di officina diversamente abili: Jorge Mario Bergoglio. Questa è una palestra della mente e del fisico per le persone in difficoltà. Pino gli dette il nome

di battesimo di papa Francesco, non solo per la sua fede profonda, ma anche perché ha sempre manifestato profonda sintonia con il pensiero dell’attuale sommo pontefice. Anche Pino era sinceramente amante del mondo naturale e preoccupato per le sorti del creato oltraggiato da uno sfruttamento scriteriato dell’uomo. Era rimasto molto colpito dall’enciclica Laudato sì, in cui il papa si ergeva a monito contro l’inquinamento dei siti naturali e lo sfruttamento estremo del suolo e dei mari. Da qui Pino partiva dalla convinzione che coloro che un certo tipo di società reputa ultimi, i disabili, potevano e dovevano essere la salvezza dell’umanità. Partendo dai loro sentimenti, si poteva ritrovare la purezza che avrebbe salvato il mondo. Ma per arrivare a questo obbiettivo occorre che noi, diversamente abili (io per primo), acquisiamo strumenti di conoscenza e di abilità tali da essere protagonisti, prima di tutto, della nostra vita, e poi delle sorti del mondo intero. Ecco perché L’officina diversamente abili: Jorgè Mario Bergoglio è un lascito prezioso che Pino ci lascia affinché tutti noi diventiamo padroni del nostro destino. Il suo sforzo per aiutare chi è in difficoltà lo ha spinto perfino ad essere «Garante pugliese delle persone con disabilità», carica che ha mantenuto fino a quando non è volato in cielo. In questo ruolo ha saputo brillantemente conciliare, con risultati splendidi, il suo essere competente uomo delle istituzioni e persona che vuole bene a tutti. Si è speso per rendere la nostra regione, la Puglia, un territorio accogliente per tutti, soprattutto per chi «ha un’ala sola». La sua tenace lotta per garantire l’accessibilità in luoghi pubblici è encomiabile. Il suo spendersi per farsi portavoce dei diritti calpestati è encomiabile. È volato via a causa di un infarto, proprio un anno fa. Ma le sue idee, le sue convinzioni, il suo amore è ancora con noi. Si sente ancora forte la sua presenza nelle vie della sua città, Giovinazzo. Ma soprattutto Pino è con noi, è nei nostri cuori, è nell’animo delle persone che lo hanno conosciuto e apprezzato come padre, come marito, come cittadino, come rappresentante dello stato e come volontario che si adopera indefesso per gli altri. Ciao. Pino, ti voglio bene!

*ANGELO DELLA VITA


storia

nostra

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1° MAGGIO, FESTA DI S. GIUSEPPE LAVORATORE Altre testimonianze del suo culto a Giovinazzo nell’anno a lui dedicato FESTA DEL LAVORO O DI S. GIUSEPPE? La data del 1° maggio fu scelta come festa dei lavoratori nel 1890 per commemorare una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago nel 1886, che era stata repressa nel sangue. Con la Rivoluzione industriale degli Stati Uniti d’America, si raggiunse l’importarne traguardo del non superamento delle Otto ore giornaliere di lavoro. In Italia invece tale riconoscimento delle otto ore è stato stabilito solo nel 1923 con il Regio Decreto Legge n. 692; dal 1990 i sindacati per celebrare il primo maggio hanno promosso come manifestazione un grande concerto, evento rivolto soprattutto ai giovani: la manifestazione, sino a prima della pandemia, tenuta a Roma in piazza San Giovanni in Laterano, dal pomeriggio sino alla notte, vedeva la partecipazione di molti gruppi musicali e cantanti, ed era seguita da centinaia di migliaia di persone dal pomeriggio sino alla notte, alla stregua di altre manifestazioni pubbliche che si svolgevano in tutto il mondo. Questa grande kermesse ha finito per oscurare le intenzioni della Chiesa che negli anni ’50 aveva voluto solennizzare in questa giornata la figura di S. Giuseppe Lavoratore. San Giuseppe già nel 1871 fu eletto patrono della Chiesa Universale; nel 1937 poi papa Pio XI con l’enciclica Divini Redemptoris, con la quale condannava il comunismo, lo propose come ‘modello e patrono degli operai’ e oltre quella del 19 marzo, la chiesa celebrava il secondo mercoledì dopo Pasqua la Solennità di San Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria e Patrono della Chiesa universale. SAN GIUSEPPE LAVORATORE Nel 1955 in occasione della celebrazione del decennale della fondazione delle ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), papa Pio XII, per sottolineare l’importanza e la dignità del lavoro, anche quello svolto umilmente e nel silenzio della propria dimora, volle presentare San Giuseppe come protettore ideale di tutte le classi della società e di tutte le professioni. Non a caso in tale circostanza abolendo la festa mobile del secondò mercoledì dopo Pasqua, fissò la festa liturgica di S. Giuseppe Lavoratore al 1° maggio, poiché in questa giornata NON si doveva celebrare il potere del comunismo, ma scopo delle manifestazioni doveva essere focalizzare l’attenzione sul lavoro e sul lavoratore dal punto di vista del cristianesimo. Dietro le parate, seguendo quanti predicavano la lotta di classe, si rischiava infatti di allontanare i fedeli dalla Chiesa per chiamarli al servizio del comunismo e della rivoluzione. Anche se San Giuseppe appartenne “alla classe operaia”, non fu mai un rivoluzionario; conobbe la povertà, a lui fu affidato Gesù perché lo proteggesse e così fece fin dalla persecuzione di Erode, fu marito e padre sempre affettuoso e attento ai bisogni della sua “Sacra Famiglia”. Compiendo sempre il suo dovere quotidiano, con la sua vita ha lasciato un esempio a tutti quelli che devono guadagnarsi il pane col proprio lavoro, e

UNICO MARMOREO, CHIESA DI S. DOMENICO Leonardo Rodogni commissionava al marmista napoletano Antonio Basso ed ai suoi figli Simone e Nicolò la costruzione dell’altare di S. Giuseppe per un costo totale di 450 ducati

Pio XII che istituì la festa di San Giuseppe artigiano, volle anche che a tutti i lavoratori, soli, in gruppi o associazioni, e a tutte le associazioni lavorative arrivasse la sua protezione. L’augurio del Papa era, ed è quindi, che in questo giorno, dedicato a San Giuseppe artigiano, seguendo il suo esempio, nessuno accenda l’odio o i conflitti, ma che ogni anno, tutti gli uomini si impegnino per la pace civile. Mentre fino alla riforma del Concilio Vaticano II il giorno dedicato a S. Giuseppe artigiano era una Solennità, oggi è una mera memoria facoltativa ovvero resta alla libera scelta del celebrante fare memoria o meno di San Giuseppe Lavoratore durante la messa, forse elemento che ha contribuito anch’esso ad oscurare le intenzioni di chi l’aveva istituita. Con la lettera apostolica, Patris Corde, dedicando l’anno 2021 a San Giuseppe, il Papa ha fatto notare come questo Santo, Padre putativo di Gesù sia «l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta». E discreta e probabilmente anche inosservata è una immagine di S. Giuseppe presente sul secondo altare della navata destra della chiesa di S. Domenico. Avendo tempo addietro rinvenuto note documentarie relative alla committenza di questo altare, cogliamo l’occasione per divulgarle, in quest’anno a Lui dedicato ed in occasione della Sua memoria del 1° maggio. Sono gli atti del notaio Francesco Paolo de Musso a rivelare quale sia stata l’origine del culto di S. Giuseppe nella chiesa di S. Domenico. L’ALTARE NELLA CHIESA DI S. DOMENICO Con atto del 26 agosto 1748 infatti il coratino Leonardo Rodogni, residente in Giovinazzo da diversi anni, aveva disposto un lascito a favore del convento di S. Domenico poiché «per sua particolar divozione intende eriggere e far eriggere dentro questa chiesa, fuora le mura della predetta città in una delle cappelle site dentro la chiesa predetta di questo venerabile convento di S. Domenico e propriamen-


te in quella più vicina al presente altare maggiore in cornu epistolae, un altare sotto il titolo del prenominato glorioso S. Giuseppe». La spesa preventivata per la costruzione dell’altare era di ducati 500, mentre 1000 ducati venivano impegnati come rendita di quell’altare affinché i padri domenicani potessero «in perpetuum et mundo durante … solennizzarsi la festività di detto Santo con messa cantata sollenne, con sparo di mortaletti nella Gloria, ed elevazione, con recitarsi ogn’anno un’orazione panegirica in lode del Santo infra missarum sollemnia. Che debba in detto giorno festivo ornarsi l’altare con sufficienti candele». Tale disposizione era stata preventivamente autorizzata, in pari data, da mons. Paolo de Mercurio Vescovo di Giovinazzo (ASBa, piazza di Giovinazzo, sk. 23, not. F. P. de Musso, vol. 422, f. 238). Cinque mesi più tardi Leonardo Rodogni commissionava al marmista napoletano Antonio Basso ed ai suoi figli Simone e Nicolò, la costruzione di quell’altare, unico marmoreo nella chiesa di S. Domenico, per un costo totale di 450 ducati. Tale somma sarebbe stata saldata non appena i marmisti «averanno finito il lavoro ed averanno a loro spese costrutto, situato e posto in opera l’altare con cona ed altri finimenti come appresso si spiegheranno ... secondo l’infrascritte misure e spieghe ut infra e secondo il disegno delle parti sottoscritte che si conserva da detti padre e figli per fare detta opera». Nel contratto infatti si fornisce una dettagliata descrizione dell’altare: «In primis che il grado deve essere d doppiezza once 2 e ½ e di larghezza palmi 1 e ½ et il sottogrado deve essere commessa di Sicilia con il tassello di negro attorno; La predella deve esser doppia once 2, come anco il sottogrado deve esser commessa come sopra; Il paliotto deve esser di marmo bianco doppio mezzo palmo e tutto intagliato e commesso come appare dal disegno di verde antico e persichino; Il modiglione che attacca col paliotto deve essere doppio un palmo, e di lacciata un palmo e ½ commesso di giallo antico, et intagliato come appare dal disegno; Il piedestallo attaccato al modiglione deve esser commesso (con incassi) di fiore di persico con il tassello di negro attorno; La cartella e cantone deve esser doppia palmi 1 e di cacciata palmi 1 intagliata e commessa di giallo antico col tassello attorno; La basa e cimasa deve essere di marmo bianco e scorniciata; Il primo gradino deve essere scorniciato ad uso di petto di palumbo e commesso di verde antico; Il secondo gardino deve essere di giallo antico ed un pezzo d’intaglio in mezzo; Devono fare due teste di cherubini e devono essere di marmo statuario bianco; Tutti li marmi bianchi della cona devono essere di doppiezza mezzo palmo e commessi (incassi) di persichino e verde antico ed intagliati come appare dal disegno; La cornice del quadro deve esser di marmo bianco doppia mezzo palmo; Il nicchio deve essere di pardiglio; Li due puttini devono essere di marmo bianco statuario di Tilieno di lunghezza palmi 3 e situarsi nella maniera che appare dal disegno; La corona si deve fare di lunghezza palmi 4 ed altezza palmi 2 e di cacciata palmi uno e mezzo senza la palla e croce di marmo e commesso (con incassi) di rosso antico; Tutti li detti marmi devono essere lustri e a specchio; Più devono fare due credenzole per le garraffine con li gattoni di marmo intagliati e lustri a specchio; E di più devono fare due imprese al detto altare uno dalla via dell’epistola e l’altra dell’evangelo di detto d. Leonardo, in dove potranno venire, senza toccare il disegno, e più presto migliorarlo di [...] ed altro, che mutarlo» (ASBa, piazza di Giovinazzo, sk. 23 not. F. P. de Musso, vol. 423, f. 22v, atto del 20 gennaio 1749). LO STEMMA DEL DEVOTO RODOGNI Sono i due stemmi che si notano sulle volute reggi mensa dell’altare di S. Giuseppe e che fino ad oggi si è solo supposto potessero essere del Rodogni, poiché la sua famiglia non essendo ascritta alla nobiltà, non aveva uno stemma censito in alcun blasonario. Questo atto consente invece di fugare ogni dubbio. Per quanto l’altare sia stato dettagliatamente descritto, non è specificato chi fosse l’autore del disegno cui si fa riferimento e che peraltro, purtroppo non è più allegato all’atto. Alcuni anni dopo, il 9 giugno 1757 con altro atto notarile, lo stesso Leonardo Rodogni appaltò ad un altro marmista napoletano la fattura dell’altare dell’Immacolata per la cappella da lui fatta erigere nella chiesa di S. Felice, e nel capitolato, richiamando lo scalpellino al «disegno fatto dal magnifico Gennaro Borsella della città di Foggia», relativamente ad alcune parti, dispose che fossero fatte «come apparisce dal disegno e dall’altare di S. Giuseppe posto dentro la chiesa del convento di S. Domenico di questa suddetta città» (ASBa, piazza di Giovinazzo, sk. 27 not. V. N. Garofalo, vol. 461, f. 312316). Si può ipotizzare quindi che progettista dei due altari sia stato lo stesso Gennaro Borsella. Sinora nulla è stato trovato circa l’autore della statua lignea di San Giuseppe, esposta su detto altare. Si tratta di un’opera di scuola Napoletana, attribuita recentemente, da Francesco de Nicolo, allo scultore napoletano Gennaro Franzese (F. De Nicolo, La scultura lignea del Settecento in Capitanata tra persistenze napoletane e produzione locale, in Atti 39° Convegno Nazionale … S. Severo 2019, p. 270). La statua, che si evidenzia per

la sua pregiata fattura e l’intenso impatto estetico. L’impostazione iconografica ricalca principalmente i lineamenti classici, il simulacro è intagliato a tutto tondo con grande perizia tecnica. Il Santo dal volto di uomo maturo, con barba lunga e ricciuta e capelli ondulati, indossa una tunica verde decorata con fini motivi dorati ed è avvolto in un manto color ocra, dal panneggio sobrio ed elegante. Sorregge teneramente tra le braccia il Bambino Gesù, parzialmente coperto da un panno verde drappeggiato. Il Bambinello tende la manina aperta verso il mento del papà, che ha lo sguardo perso nel vuoto. Nel suo abbraccio paterno, San Giuseppe cinge anche un elegante virgulto di giglio fiorito.

DIEGO DE CEGLIA


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ieri e oggi la scuola che cambia di AGOSTINO PICICCO Agli antichi studenti: «Nella vita continuate sempre a studiare»

IL PRESIDE FRANCESCO MARTINELLI Quando il preside si identifica con la sua scuola Per generazioni di studenti che hanno frequentato la Scuola Media Marconi, Francesco Martinelli è stato il preside per eccellenza. Per i tanti che negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta non hanno più proseguito gli studi, è rimasto l’unico riferimento istituzionale del mondo scolastico, il classico esempio di un preside che si identifica con la scuola che dirige (in anni in cui non esistevano gli istituti comprensivi, i “dirigenti scolastici”, gli incarichi a tempo, ecc.).

Il preside Francesco Martinelli con il vice preside Fedele Piscitelli Fa piacere segnalare agli studenti giovinazzesi di quei decenni che il preside Martinelli ha compiuto 99 anni il 26 marzo ed è lucido e in buona salute. Ricorda sempre il mondo della scuola, i colleghi docenti e anche gli alunni. Se lo si incontra per strada, a braccetto con i suoi familiari, e ci si avvicina per un saluto, volentieri rammenta vicende, riconosce persone e contestualizza eventi degli anni che furono. Gli è motivo di gioia rivedere docenti ormai attempati e studenti ora affermati professionisti, e suscita ancora in loro quel timore reverenziale che è anche il segno della stima e della gratitudine che prosegue oltre gli anni dell’infanzia. Nella memoria di quegli anni la sua figura si colloca in modo naturale nell’edificio scolastico (ai tempi di recente costruzione), composto da ambienti ampi e accessoriato con gli strumenti di una scuola moderna. Tutte le

aule erano brulicanti di ragazzini e ragazzine che iniziavano a confrontarsi con la vita. Oggi è triste sapere che la denatalità ha svuotato alcuni piani dell’edificio. Qualche minuto prima dell’inizio delle lezioni ci si trovava nell’atrio della scuola in attesa di essere chiamati rigorosamente in ordine di sezione e di classe dal distinto signor Procopio e ad attendere ogni giorno gli studenti all’ingresso c’era il preside Martinelli, con la sua sobria eleganza istituzionale, per la giustifica delle assenze. Durante la giornata poteva capitare di vederlo entrare in classe, mentre tutti scattavano in piedi in segno di saluto e di rispetto, per rivolgere comunicazioni sul cambio degli orari contenuti in ampi fogli che consultava attraverso gli occhiali tenuti sulla punta del naso (una posa che lo rendeva identificabile nelle imitazioni degli studenti). Quella scuola, alla quale ha dedicato le migliori energie, l’ha voluta rivedere e visitare il 29 ottobre 2019, accolto da un corpo docente emozionato, composto anche dai suoi docenti di un tempo. E qualche mese dopo, il 23 dicembre dello stesso anno, ha ricevuto durante un consiglio comunale il riconoscimento per la carriera al servizio della comunità scolastica giovinazzese. IL DOVERE COME PRIMO ESEMPIO E’ proprio così, i ricordi col passare del tempo si affievoliscono e le immagini perdono nitidezza, ma ciò che resta, anzi cresce, è la riconoscenza verso coloro che hanno fatto


parte di quel percorso di formazione scolastica e umana, che lo hanno coltivato e, con la loro presenza, lo hanno fatto crescere nell’amore e nella fiducia. Con questo spirito abbiamo incontrato il preside Martinelli, lieto dell’attenzione che la nostra testata giornalistica gli dedica, ma non la intende come un privilegio: «Mi dovete trattare come tutti gli altri, ho fatto solo il mio dovere in questi anni e spero di esserci riuscito». Il timore di affaticarlo nella conversazione è subito fugato quando, come un fiume in piena, inizia a ricordare persone e situazioni dei decenni precedenti: i ricordi personali e familiari anche verso chi scrive si uniscono a quelli degli anni della “sua” scuola, il pensionamento, la stima dei tanti che ancora oggi inviano saluti e messaggi: «Mio figlio viene a trovarmi tutte le sere e ogni volta mi fa l’elenco delle persone che ha incontrato e che chiedono di farmi pervenire il loro ricordo. Lo ritengo un segno di aver agito rettamente nei miei compiti di preside». La domanda viene spontanea: come considera il mondo della scuola oggi? «Posso dire che adesso la scuola è più democratica, prima c’era maggiore distanza tra professore e alunni, oggi si parlano, c’è più dialogo. E questo va a beneficio della cultura, perché parlando da amici è più facile arricchire il patrimonio culturale delle persone». E ancora: «Oggi è difficile coltivare i ragazzi. Io penso che molto faccia l’esempio che gli si dà. Tocca ai docenti fare per primi il loro dovere nel rispetto reciproco, poi i ragazzi seguiranno i modelli proposti. La qualità degli allievi nasce da quella degli educatori». Mi permetto di chiedere un messaggio dell’indimenticato preside alle generazioni di studenti che ha formato, con un pensiero rivolto a tutti i suoi allievi da quelli che si sono subito riversati nel mondo del lavoro a quelli che hanno studiato e … hanno fatto strada. La sua esortazione è immediata e chiara: «Studiate, studiate ancora, non allontanatevi dai libri. Anche se avete terminato da tempo la formazione propriamente scolastica, continuate a studiare perché così sarete sempre utili alla società e conoscerete meglio voi stessi. Seguo con gioia e orgoglio i successi dei tanti allievi che ho avuto: sono grato a te, Agostino, per le attività che segui, e al sindaco Tommaso, anche lui mio studente, per le attenzioni che sempre mi dedica quando mi incontra». IL SENSO DI UN COMPLEANNO IMPORTANTE Papa Francesco, incontrando un gruppo di bambini nel giugno 2018, ebbe a dire: «Non dimenticatevi mai dei primi maestri, non dimenticatevi mai della scuola. Perché? Sentite bene. Perché sono le radici della vostra cultura. Cosa significa sradicato? Senza radici. Io non devo essere sradicato, cioè senza radici. E per questo ricordare la scuola, le maestre, sempre nella vita ci aiuterà mantenere le radici per dare fiori e frutti». Anche per noi oggi ricordare il preside Martinelli, e far tesoro della sua lucidità e sapienza, è un modo per ritrovare le nostre radici e rinnovare il debito di

99 ANNI E NON SENTIRLI! riconoscenza verso questo insigne educatore. Festeggiamo un anniversario importante per la sua vita, ma – ancora più! – celebriamo il suo impegno e la sua dedizione pluriennale in un settore vitale per la crescita della società e per la promozione della persona, quello dell’educazione delle giovani generazioni, soprattutto in questo periodo in cui i capisaldi del tradizionale mondo scolastico sembrano venire meno o essere messi in discussione. Grazie e buona vita, preside Martinelli! AGOSTINO PICICCO


Altre

Piazze

DI ENRICO

TEDESCHI

UN PARADOSSO: CHIUDE BARI APRE LONDRA

40 store nel Mondo, rappresentati sui planisferi che campeggiano in tutti gli Eataly a celebrare il successo del brand e il primato indiscusso del cibo italiano sulla Terra, dal 20 maggio prossimo appare Londra ma scompare Bari. Apparentemente solo un puntino con un nome, Bari su quelle mappe giganti, ma in termini geopolitici forse il più importante e strategico d’Europa, considerando che la Città di S. Nicola è, anche in suo Nome, il più assoluto e credibile ponte tra Occidente e Oriente. E soprattutto in termini religiosi e culturali oltre che, per posizione, commerciali. A dimostrarlo la sua Storia millenaria o, agli inizi del ’900, la illuminata visione di Araldo di Crollalanza che divenne subito realtà concreta quando, ridisegnando Bari per come l’ha lasciata ai posteri, la attrezzò di tutto e ne fece una moderna “Porta d’Oriente” dell’Italia aperta alle relazioni e commerci con l’estero: non a caso, infatti, la creazione di una “Fiera del Levante” che era, ed è rimasta per decenni, una importante vetrina della migliore produzione italiana aperta agli scambi internazionali, ma anche un irrinunciabile punto di incontro politico del Sud con il resto del Paese, oltre che con le altre nazioni. Cosa peraltro ribadita, andando al più vicino 1990, quando sotteso al convegno tra i Capi di tutte le religioni del mondo “Uomini e Religioni – Un mare di pace fra Oriente e Occidente” - inutile cercarlo su Wikipedia, non c’è?! – fu in realtà scelta Bari, e non Roma, per un tentativo diplomatico internazionale, guidato dall’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, per cercare di scongiu-

rare in extremis l’intervento armato dell’ONU in Iraq. Giusto un po’ di Storia dimenticata, prima di andare ad un deludente presente, per cercare di spiegare come la chiusura di Eataly qui, vada ben oltre le 54 posizioni lavorative perse: è un danno di immagine enorme per la Puglia e la Nazione, ma anche e soprattutto per lo stesso gruppo che ne detiene la proprietà. E, quasi un paradosso, tutto questo sta avvenendo proprio alla vigilia dell’approvazione da parte dell’UE di un geniale piano di rilancio internazionale che, nel nome di un unico Dio e con Bari al centro, potrebbe finalmente portare l’Italia in cima alla classifica dei paesi più visitati del mondo. Certo i conti son conti ed è più che com-


Cultura e Territorio

prensibile la delusione del gruppo Farinetti per i passivi cronici del suo store barese, ma perché abbandonare proprio ora? Dove è finito quel visionario di successo, Oscar Farinetti, che in un video promozionale di qualche minuto ha forse spiegato cos’è l’Italia meglio di chiunque altro? O che, facendo suo lo slogan «cibo per il corpo, cibo per la mente» ha generosamente realizzato con la regia di Vittorio Sgarbi (vedi La Piazza n.07/2015) quel “Tesoro d’Italia” - una sorta di Accademia di Brera delle opere d’Arte italiane meno conosciute - che era il solo e vero fiore all’occhiello del nostro Paese all’Esposizione Universale di Milano del 2015? Di certo Farinetti aveva visto giusto e forse non sa neppure del piano di rilancio accennato, ma questa chiusura è l’effetto del micidiale combinato disposto tra le piccole invidie commerciali del posto e una politica che non ha forse aiutato come avrebbe dovuto la sua impresa. Ovvero un marchio che – non dimentichiamolo - insieme al nostro food di migliore eccellenza, in realtà esporta anche la cultura e l’immagine di un’Italia che è ancora il Belpaese, se rimarrà veramente tale di nome e di fatto: e cioè se la no-

stra insuperabile bellezza non sarà stata totalmente comprata da chi lo sta già facendo, a prezzi di saldo, grazie alla sua liquidità senza pari e approfittando della crisi planetaria scatenata con il virus del Covid. Tornando in tema, ora non sappiamo se si possono ancora trovare margini di trattativa per salvare questo nostro geostrategico Eataly locale, però, se la politica non è solo quello che stiamo vedendo, vale la pena provarci nell’interesse non solo di Bari, ma della Nazione. Di certo resta che è quasi un ossimoro chiudere qui, mentre all’Eataly di Mosca molti russi stanno impazzendo per il nostro pane e la focaccia, oppure ditte come Tutto Food+, grazie pure ad una imprenditrice di là ma praticamente di casa nostra, vanno affermando prodotti soprattutto pugliesi nei migliori centri commerciali di Mosca. Un pianto al cuore allora, se la chiusura di Bari non avrà ripensamenti, vedere oggi lo stesso sorriso di Farinetti di qualche anno fa e quello attuale sul sito russo Eataly Moscow. Quasi un’ambasciata aggiunta in territorio straniero, l’Eataly di Mosca – e qui spieghiamo il nostro titolo – stiamo parlando di uno store barese che, quasi facendo pendant con il Consolato Onorario in loco, è anch’esso un simbolo importante del forte legame che, sotto l’egida di S. Nicola, unisce Bari, e per essa l’Italia, alla Russia. O meglio alla grande Confederazione di Stati (ex satelliti compresi) che, molto più vicini a noi per tradizioni e cultura, sono forse più europei della stessa Gran Bretagna, oltre ad essere mercati dalle enormi prospettive e in particolare per il nostro Paese. Concludendo e rispondendo in primis alla domanda in redazione, e poi a quella di qualche eventuale lettore: «Sì, ma alla fine cosa c’entriamo noi con tutto questo discorso?» Beh, ci entriamo e come perché, al centro del centro della Puglia, Giovinazzo è un Omphalos di grandezza assoluta e, come tale, rientrerebbe a pieno titolo nei piani del rilancio internazionale cui abbiamo fatto cenno. Ma ci vuole ben altro che un articolo per spiegare ciò di cui stiamo parlando. O quantomeno trovare, con una politica regionale sorda e già in affanno di suo sul contingente, un punto di ascolto vicino da cui cominciare nell’interesse di tutti. Eccoci allora all’ennesimo appello ad invertire tendenza a chi gestisce le nostre sorti e probabilmente non ha ancora capito, volendo esser buoni, che la fortuna economica della nostra Città non può essere certo legata ad una visione econonsocosa e smart, ma al suo enorme, misconosciuto patrimonio storico e artistico ancora tutto da promuovere e sfruttare. Cultura uguale turismo, turismo uguale economia, il futuro, alla fin fine, è tutto qua. ENRICO TEDESCHI

Tutte le foto, eccetto le ultime due, sono in esclusiva e dell'autore di questo articolo


IERI E OGGI LA VACCINAZIONE «ca jè le mbrividd me le so fatt!»

L’altro giorno è toccato a me la vaccinazione. Avevo sentito tante persone parlarne male, c’era chi aveva accusato dolori, chi febbre. Soprattutto c’era chi lamentava le lunghe attese fuori dalle strutture mediche prima di essere chiamato, dopo essere rimasto esposto al freddo e al vento proprio in quei giorni che si è registrato un forte calo delle temperature. Di lamentele contro queste strutture pubbliche ne ho sentite fino alla noia, tanto che avevo paura, alla mia tarda età, di incappare in qualche brutta ventura. Dopo tutto il male che hanno detto su queste strutture, devo confessare che sono rimasto favorevolmente sorpreso dalla sede della ASL in cui sono capitato: non conoscevo nessuno ma sono stato trattato al pari di tutti i convocati, in una maniera che definire encomiabile è riduttiva. Dottori, infermieri di una gentilezza e di praticità nell’espletamento del loro lavoro veramente ammirevole. In una ventina di minuti avevo fatto tutto e sono tornato a casa. Naturalmente non

VINCENZO DEPALMA

DI

ho perso il vizio di fare paragoni, di raffrontare gli avvenimenti odierni con quelli dei miei tempi. Pensate davvero che alle timbe meje non c’era la vaccinazione? Sbagliate! La malattia da combattere non si chiamava covid19 ma vaiolo. La vaccinazione si chiamava Mbrividd e non vaccino contro il covid. Mbrividd non è un inglesismo o una parola americana: jè scevenazzaise! Agli amici che ti chiedevano se ti eri vaccinato, mostravi con orgoglio il cerottino sopra il braccio commentando “iosce me so sceute a fè le Mbrividd”. IL MEDICO FASCIDDE L’assistenza medica era assicurata dal dottor Fascidde che qualche volta veniva a praticarla fino a scuola. Fascidde era un medico amato da tutti i giovinazzesi, non conosceva pause nello svolgimento del suo lavoro. Era di una magrezza estrema, tanto che noi giovinazzesi dicevamo ca se mettaive le pet inz a la palte quanne ammenaive u vind. Veniva spesso a scuola e per quelli più sciupati prescriveva la cura a base di olio di fegato di merluzzo che passava lo Stato. La cura iniziava il giorno dopo. Il bidello verso le ore 10 di mattina passava per le classi munito di una bottiglietta di olio di fegato di merluzzo e un cucchiaio con il quale somministrava il rimedio ai bambini segnalati dal medico. Il cucchiaio? Era monouso, nel senso che iave cudde pe tutt le piccinin. La plastica non era ancora stata inventata e poi ai miei tempi na se scettave nudd! Difficile raccontare il cattivo odore che si diffondeva nell’aula dopo che il bidello era uscito. Il puzzo dell’olio di fegato si scontrava con l’odore de le scorze di marange, di mandarin, di limone che le mamme avevano messo nelle cartelle dei figli per ripulire la bocca dalla cucchiaiata di olio di fegato. Aprire le finestre serviva poco. Qualche altro più fortunato aveva avuto quatte solt dalla mamma. Con quelli aveva potuto comprare da un ambulante che la mattina sostava sui gradini di ingresso della scuola u castagnacce. U castacce piaceva moltissimo anche a noi bambini e vederlo mangiare suscitava la nostra invidia e golosità. Spero di avervi sufficientemente parlato delle nostre vaccinazioni. Agli scettici sono ancora in condizioni di mostrare la macchiolina più chiara sul braccio sinistro che testimonia a distanza di anni ca jè le mbrividd me le so fatt! VINCENZO DEPALMA


il mio diario DI DON PAOLO TURTURRO*

ILIL VACCINO VACCINO DELLA DELLA FELICITÀ FELICITÀ Non basta piangere con tutte le lacrime del mondo per quietare la sofferenza delle madri per i figli massacrati nell’eccidio di Mosul. Vacciniamoci di felicità. Ecco il vaccino della pazienza a sopportare le insolenze dei politici avidi di denaro nello spalmare persino i morti di Covid. Ecco il vaccino della speranza ad aprire un nuovo giorno di lavoro e di benessere per i giovani. Ecco il vaccino della fede che ci inebria di forza a guarirci dalla disperazione. Ecco il vaccino degli occhi a vedere non più con la vista della terra ma con lo sguardo dello spirito. Ecco il vaccino della felicità che ci irrora di coraggio a non mollare in questa pandemia di ansia. Ecco il vaccino del discernimento a schierarci con i più fragili e con i più deboli. Ecco il vaccino del lavoro a costruire una città a misura d’uomo. Ecco quella minuta suor Anna a bloccare l’esercito del potere nella voce: «Uccidete me e lasciate i dimostranti». La forza dei semplici fa inginocchiare persino i poliziotti. Ecco il vaccino del soccorso di papa Francesco a celebrare nella cappella del cardinale Becciu, per riprenderci la gioia della vita. Amici de La Piazza di Giovinazzo, non dimenticatevi di vaccinare l’anima, affinché sbocci nella vostra famiglia la Primavera dello Spirito Santo.

*PRETE ANTIMAFIA


DI MIMMO

etimologia UNGARO

ALL’INFAME FAI SAPERE QUANTO È BELLO … METTERE ‘IL ZIPPO’ AL CAMPANELLO (I fatti descritti potrebbero essere frutto di fantasia. Ma anche no….) Al nord dici “zippo” e ti passano un accendino. Ma da noi, da che mondo è mondo, il zippo (lo so, si dovrebbe dire lo zippo, ma quant’è cacofonico?) è un rametto di legno o un bastoncino e d’altro canto lo affermava già Epicuro nel famoso proverbio greco «opou afikesomen, entade epereiosomen ton kladiskon», ossia «a do arrevem, chiantem u zipp». Etimologicamente deriva dal termine zipolo, corruzione del ben più italianissimo “zeppa”: un pezzo di legno per rincalzare un mobile (la sciond per i puristi) o per turare un buco (per esempio in enologia) e per questo ha assunto anche il significato di tacco (la zeppa), nonché di un gioco enigmistico o di articolo giornalistico di riempimento. Messo da parte ogni sterile nozionismo, ciò che conta è che nel gergo dei ragazzi degli anni 80, “u zipp” era solo lui: il famigerato e temutissimo stecchino al citofono, messo alle prime ore della notte, che obbligava la vittima designata a scendere giù stordita, con tanto di pigiama (se andava bene) e ciabatte. Già…il campanello … rimanda a ricordi ancestrali di inconscia memoria d’infanzia, come i cuscinetti a sfera delle carriole, le palline Ferrari tirate col piombino e i maccheroni per le bombe trovati alle Piramidi. «Ti spacco il campanello!!!» era la minaccia più infamante che potevi ricevere da un altro bambino, un affronto micidiale che fuoriusciva dal rapporto interpersonale ed intaccava la sfera familiare.

Inaccettabile. E così adesso, la banda del zippo, un branco mai cresciuto, in età molto post-adolescenziale, permeata di codardo anonimato, sostituiva quella frase con «Andiamogli a mettere il zippo al campanello». Ma perché? Più per noia, per dare un finale alla serata, che per mera vendetta. Ma non era improvvisazione. Il zippo era un’arte: il sopralluogo, lo studio della zona. E poi accertarsi che ad una certa ora non rientrasse qualcuno, preparare il piano di fuga e individuare dove nascondersi per godersi la scena finale senza farsi vedere . Ma la parte difficile subentrava dopo, quando tutto andava avanti da un bel po’ di sere. La vittima si ingegnava e così si presentavano agli occhi scene incredibili, come quella di quel padre di famiglia che si appostò per tutta la notte in macchina con tanto di figli, di fronte al portone per cercare di sorprendere in flagrante l’odiato serial-zipper. E i poverini si acquattarono piccoli piccoli sui sedili per non essere visti. Una scena fantozziana, straziante e tragi-comica. Ma il zippo più gustoso era quello suscitato da sete di vendetta. E chi se non lui, Saverio (nome di fantasia, ma gli indizi non mancano), rappresentava la vittima ideale della ritorsione di Pasquale (altro nome di fantasia?). Punto primo: Saverio stava a tutti un po’ sui c... Punto secondo: Pasquale era stato lasciato da poco dalla sua girlfriend e stava tentando inutilmente di riconquistarla. Punto terzo: Saverio ne aveva approfittato e si era messo con lei. Una zerofollia: il triangolo lo aveva considerato, ma il zippo no. E così vai di stecchino, una, due, tre sere e poi ancora e ancora. Una tortura cinese. Pasquale gongolava, ma non era soddisfatto e così si era messo in testa di fare all’infame una telefonata


minatoria, tipo “Attento, siamo la banda del zippo, colpiremo ancora e molto presto”. Piccolissimo dettaglio: Pasquale era bleso, ossia affetto da rotacismo… insomma aveva la erre moscia. «Gliela devo fave pagave» continuava a dire posseduto dal demone della vendetta. E gli altri ad insistere: «La facciamo noi la telefonata, lui ti sgama, ti riconosce subito». «Non se ne pavla pvopvio, la devo fave pev fovza io». A volte sembrava facesse apposta a scegliere accuratamente le parole con più erre. Non era facile riuscire a scrivere frasi di senso compiuto senza una evve. E così, riuniti nel loro improvvisato quartier generale (all’epoca i locali della gloriosa Radio Azzurra), la banda iniziò a buttare giù qualche frase. L’inizio era promettente: «Siamo la banda del zippo, non è finita qui». Ma poi? «Non riuscirai a dormire per il resto della tua vita...».«No, non va bene, ci sono troppe erre…». «Sentite questa: adesso è giunto il momento che fai i conti col tuo passato poiché siamo la tua maledizione! Firmato: la band del zippo». «Bella, bravo!!!». «No ragazzi, ‘firmato’ ha la erre, è meglio: in fede, la banda del zippo». Insomma, tre ore e più per scrivere sì e no quattro righe, soppesando accuratamente le parole. Poi le prove finali e finalmente tutti in direzione cabina telefonica. «Ci sei?». «Sì, sì ci sono, fai il numevo». Gettone. Linea libera. Numero. Squilli. «Ecco, tieni… suona… oh! Mi raccomando!!!». Silenzio tombale. Dopo interminabili frazioni di secondo, dall’altra parte del filo la voce di qualcuno ancora al primo sonno. «Sì, chi è?». Era pro-

prio lui, il buon Saverio. La tensione era al massimo, si tagliava non con una lametta, ma con un grissino. E proprio allora avvenne l’irreparabile: dopo ore ed ore a spremere meningi, Pasquale, furbo come una volpe (o come una lepre?), esordì con un sonoro e non programmato: «Pvontoooo? Savevio». E quello: «Pasquale, sei tu? Che c’è a quest’ora?». Panico. L’aspirante James Bond rimase imbambolato, confuso… dopo qualche istante abbassò mestamente il telefono e, autocelebrandosi, farfugliò qualcosa che all’orecchio umano riecheggiò come un «Sò pvopv nu tvmaun!!», mentre gli altri lo riempivano di irripetibili insulti che coinvolgevano per lo più i suoi avi più recenti. E quella fu l’ingloriosa fine della banda del zippo. MIMMO UNGARO

LA RELAX

LA FOTO DEL MESE

Relax, don’t do it (rilassati non farlo). Da questo tormentone dell’estate 1980, nacque la «Relax» (non il Relax, un po’ come succede con il zippo), la banda dei terribili giovincelli più amata dai giovinazzesi. I ragazzi la AGOSTO 1986 Non era «La Relax» al completo bensì la squadra allesti- elessero subito a ‘squadra del cuore’ ta dalla famiglia Lanza (Pezzalord). LA FOTO è quella della finale al Torneo di Calcetto della Madonna dei Martiri (Molfetta) persa contro la festeggiandola con cori, coriandoli squadra di Terracenere e Corrieri. Da sx si riconoscono Pino Minafra, e tamburi al Campo Savino Depalo, Nino Pazienza (u Pazz), Angelo Digiaro (Falconett). Marconi ACCOSCIATI Mimmo Ungaro e Ginetto Depalma


INFORMAZIONE PUBBLICITARIA


LITTLE italy italy JERRY SCIVETTI STREET LITTLE DI ROCCO STELLACCI

NEW YORK. Se a Giovinazzo, a suo zio (il sindaco cavaliere Scivetti) è stata intitolata una strada, a Jerry Scivetti,Bill de Blasio, sindaco di New York, dovrebbe intitolargli l’intera Mulberry street. Semplicemente perché il Presidente della Comunità di S. Antonio faceva vivere, donava ogni bene a tutto l’indotto della Little Italy. Era il Presidente della seconda festa italiana più importante in New York. Lo battevano solo i napoletani con il loro San Gennaro. Voglio solo ricordare cos’era La Piccola Italia di New York con la celebrazione del Santo da Padova: una festa grandiosa, varia e ricca. Tanta pompa magna che a Giovinazzo non c’è più da anni. Dopo Jerry Scivetti, è crollato il mercato del torrone, delle caramelle, dei consumi, dei ristoranti, del made in Italy e dei gadget legati ai Santi e alle Madonne. Ecco l’importanza di aver Jerry Scivetti come pilastro del sodalizio di S. Antonio di New York. Un piccolo sole italiano a Manhattan che si difendeva dalla Chinatown che stava fagocitando la Little Italy e i negozi italiani. Adesso, Jerry è un pezzo di cielo in terra, dopo di lui anche i bambini piangono perché non potranno più acquistare le tipiche leccornie del dì di festa. C’è di più. La Comunità di S. Antonio è prossima allo scioglimento, sta per essere messa in liquidazione. Tutti i giovinazzesi hanno l’anima oppressa da un’infinita tristezza. Jerry era uno spettacolo che strappava le lacrime. Mi piace ricordarlo in quella mattinata di inizio aprile, quando dall’ospedale mi riempì il cuore di gioia. Squillò il mio telefono: «Ciao Rocco, volevo assicurarti che andrà tutto bene!». Lo disse con voce flebile, voleva tranquillizzarmi. Era fatto così. Non avrei mai immaginato che si fosse fatto spirito e tornato nella casa di S. Antonio. Addio galà, dinner dance, ritiri e processioni spirituali. finisce con Jerry una storia di tante cose.Senza di lui, qui a New York, i giovinazzesi si sentono più soli! ROCCO STELLACCI

«Come quando chiami un taxi, lui arriva e lo fa salire in macchina. Senza sapere chi è. E alla fine, questo maledetto virus, questo sconosciuto, è venuto a bussare propria alla porta di Jerry Scivetti, il tassinaro giovinazzese a New York». CIAO JERRY, FOREVER GENTLEMEN

LUTTO Non sappiamo dove vanno i nonni quando cessano di vivere. Sappiamo dove restano: nel nostro cuore DEPALMA LETIZIA n. 07.01.1931 m. 30.03.2021


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DI

FRANCESCA ROMANA PISCIOTTA

AP IO: COME FUNZIONA E QUALI SONO I SERVIZI È disponibile per Android e Apple: di seguito, vediamo passo dopo passo come scaricarla e quali servizi si possono richiedere, come il bonus vacanze e il cashback di Stato L’App IO della Pubblica Amministrazione diventa sempre più indispensabile per usufruire di molti servizi. Ma come funziona? Lo scopo è raggruppare tutti i servizi della Pubblica Amministrazione e tenerli a portata di cellulare: tramite l’app IO si possono pagare l’iscrizione al nido, il bollo auto, ma anche ricevere una notifica quando sta per scadere la carta d’identità. Inoltre, tramite l’app IO si poteva richiedere il bonus vacanze fino al 31 dicembre 2020 (il cui utilizzo è stato prorogato dal decreto Milleproroghe fino al 31 dicembre 2021). Non solo: l’app serve anche per il bonus bancomat, che fa parte del piano Italia Cashless. L’app IO ha un’ambizione non indifferente: quella di promuovere una nuova generazione di Servizi Pubblici, progettati insieme ai cittadini a partire dai loro bisogni.

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VEDIAMO COME FUNZIONA L’APP IO E QUALI SONO I SERVIZI CHE OFFRE. IO, arriva l’app della Pubblica Amministrazione: come funziona e quali sono i servizi L’app IO è di base un promemoria di scadenze, che permette di gestire gli avvisi, pagare i conti come il bollo auto, la mensa scolastica, le multe o la Tari, la tassa sui rifiuti, attraverso il servizio PagoPA. Si possono anche ricevere notifiche in casi particolari, come le allerte dalla Protezione Civile. L’app funziona anche come archivio di dati personali, come quelli catastali o anagrafici, e infine come canale di comunicazione con gli enti che attraverso IO possono confermare appuntamenti, formulare iscrizioni ad asili nido o centri estivi e notificare il passaggio all’interno di una zona ZTL. Il lancio pubblico dell’app, che si può scaricare sia per


Android che per Apple, è avvenuto il 18 aprile 2020. Ora serve che sia la Pubblica Amministrazione che gli Enti locali salgano a bordo, vincendo la mentalità restia e puntando alla digitalizzazione e alla semplificazione delle procedure. I servizi che ad oggi sono disponibili sull’app dipendono quindi anche dalle amministrazioni locali.

Per fare richiesta del bonus è necessario avere un ISEE valido e non superiore a 40.000 euro. Entrando nell’app IO nella sezione Pagamenti si potrà aggiungere un nuovo Bonus/ Sconto scegliendo “Bonus Vacanze” dalla lista di quelli disponibili. È possibile richiedere il bonus fino al 31 dicembre 2020.

APP IO, COME SCARICARLA E ACCEDERE Scaricare l’app IO su Android tramite Playstore e iOS (per Apple) è molto semplice. Basta infatti digitare “IO” o “App IO” oppure “app io servizi pubblici” nel motore di ricerca degli store. Una volta scaricata, bisogna registrarsi tramite Spid oppure tramite la Carta d’Identità Elettronica. Dopo la prima registrazione, si può accedere più velocemente tramite lo sblocco biometrico (cioè l’impronta digitale oppure riconoscimento del volto). Dopo l’accesso l’app si apre con tre menu principali, oltre a quello del profilo: · i messaggi (ricevuti, in scadenza, archiviati) provenienti dalle PA e dalla stessa app; · i pagamenti, c’è anche la possibilità di pagare qualsiasi avviso cartaceo tramite scansione di QR-Code; · l’elenco dei servizi, che si possono filtrare tramite area geografica di interesse.

BONUS BANCOMAT CON L’APP IO Il bonus bancomat si basa sul meccanismo del cashback: il Governo lo ha attivato in via sperimentale per il mese di dicembre 2020 per ridurre l’uso del contante e, di conseguenza, contrastare l’evasione fiscale. Tra i vari modi per partecipare al piano Italia Cashless c’è anche l’app IO: nella fase di registrazione si deve abbinare il proprio codice fiscale alle carte di credito, debito o applicazione di pagamento che si intende usare, e indicare l’Iban su cui si vuole ricevere il rimborso.

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SERGIO PISANI

NINO LEALI ai «Soliti ignoti» Se fosse un quiz dei «Soliti ignoti» di Amadeus, il passaporto del concorrente varrebbe 250mila euro, l’intero montepremi. Qualsiasi indizio partirebbe da quelle braccia asimmetriche e da quella mano destra callosa: il ragionamento deduttivo che ricondurrebbe all’identikit perfetto di un maestro di tennis. Nulla di più fuorviante se riferito ad un fuoripista come un pattinatore o uno sciatore. «E no, risposta sbagliata!» - pronuncerebbe dispiaciuto Amadeus. Cerchiamo di capire. E’ facile che cada in errore qualsiasi concorrente dei «Soliti ignoti» che non faccia caso a quel dimorfismo, ma per un giovinazzese che sia tale questo sarebbe impossibile persino da lontano. Impossibile per lui sbagliarsi vedendo per strada quell’uomo alto che cammina con il passo ricurvo, con il suo fedele cagnone bianco e l’abbigliamento del tennista. Non lo conoscono come una bottiglia di vino antico perché troppo giovane d’età. La sua primigenia identità professionale è stata quella del pattinatore, ma il resto che ora lo caratterizza è venuto dopo. Spiegato l’enigma di quella risposta errata? Nino Leali, infatti, è su un album di ricordi, è un patrimonio sportivo cittadino di un tempo, di quel tempo così lontano, così diverso dal nostro in cui anche le piccole cose ci emozionavano. Insomma, Nino Leali, prima di essere un maestro di tennis e di educa-

zione fisica a scuola, è stato un impavido pattinatore. Insieme a Michele Vestito, è stato l’atleta più medagliato, quello che si è cucito sul petto più tricolori (sette per l’esattezza) di pattinaggio - corsa. E pensare che Nino si era presentato, a 12 anni, col cuore pieno di paura, sulla pista di pattinaggio del Parco Scianatico, rispondendo a un invito del prof. Massari che cercava qualche ragazzo da avviare alla pratica dei pattini a rotelle. Da quel momento, quell’educatore sarebbe diventato il suo vate. «All’inizio si presentarono in 12, - ricordando Gianni Massari il suo primissimo incontro con lui - e tra quelli tra quelli c’era Nino Leali. Braccia e gambe esili. Anche la voce era sottile, come se avesse paura di contro-


HANNO DETTO All’inizio ci educano i genitori, per il resto della vita ci pensano i Maestri. Come ha fatto Nino Leali con tantissimi ragazzi Prof. GIANNI MASSARI

battere qualche mia idea. Si accese subito la luce in me». È così che Nino Leali poi diventò subito il suo pupillo. Ancor prima che lo cantasse De Gregori, il ragazzo si sarebbe fatto le ossa anche se aveva le spalle strette. Gianni Massari ne Siamo legati tratteggiò i lineamenti, disegnò il volto consegnandogli le tavole del successo. a Nino da un Nino capì fin dal primo momento che l’allenatore sembrava contento. E così forte sentimise sempre il cuore dentro i pattini in ogni competizione correndo più veloce del vento. Lo stesso Massari - che batté il record del mondo del miglio e del mento di mezzo miglio di pattinaggio su strada nel 1969 - lo volle fortissimamente come la gratitudine. A lui si nuova lepre che nessuno poteva raggiungere: «Dissi no a De Cesaris, campione deve la crescita del del mondo su strada dei 5 km. Ho i miei ragazzi qui e siamo una grande famiglia, e il record deve essere anche loro». Così la parola di Massari aprì le porte dei movimento e la forsuccessi che vennero, entrando nelle case e nel cuore della gente, contagiando mazione della persoben presto tutta una città. Perché la gente più vedeva e più credeva. E imparò tutta a camminare o correre sui pattini. Diventarono tanti, tantissimi (circa 2.300) nalità di tanti ragazzi i ragazzi “in cerca d’autore” che si presentarono sulla pista del Parco Scianatico, che hanno mosso i finché “l’autore” non finì col vestire non solo i panni dell’allenatore, ma anche primi passi calcando i dell’educatore di vita capace di rendere facili e belle anche le cose più difficili. Come successe anche a Nino. Ed ecco che imparò subito a camminare con diver- nostri campi sa, orgogliosa postura da uomo subito dopo aver cominciato a correre con i patFAM. RENNA tini più veloce di un treno. E giù aneddoti che fanno bene allo spirito, ricordi che colorano di vita i momenti più sbiaditi, tipo: quando in allenamento sulla calesse al di là della banchina della straGiovinazzo – Terlizzi, un cavallo, impaurito dalla carovana dei pattinatori che da. In quel gruppo c’era naturalmente sfrecciava in direzione opposta, si imbizzarrì catapultando il cocchiere con il suo Nino con i pattini ai piedi, lo stesso che in altre occasioni correva pure più veloce della muta di cani randagi che regolarmente lo inseguivano sempre sulle strade di campagna, ma non riuscivano mai ad addentarlo. Chi avrebbe fermato mai Nino insieme a quella allegra brigaNINO ta di pattinatori? Forse la musica, quella LEALI elettrizzante di una canzone dei Pooh? Ma no, solo e sempre Massari! La sera e i giorni di festa con le corde elettriche della sua chitarra addomesticava la meglio gioventù con le canzoni più gettonate di sempre oppure suonava la carica con le note dei Queen: e anche così si spiega come quei ragazzi di allora non avrebbero potuto perdere mai, nemmeno l’ultimo giro o l’ultima corsa prima che si spegnessero le luci delle competizioni. Il nostro Leali, tra l’altro, nei sogni di ragazzo trasformò, grazie al prof. Massari, la sua chitarra in una spada di battaglia


CIRCOLO TENNIS M. RENNA - 1975

NINO LEALI

(come in una canzone di Bennato) per vincere poi, anche con i pattini e la stecca, a Modena nel 1966, il primo tricolore allievi di hockey su pista. C’erano con Nino anche Camporeale, Cortese, Beltempo, Gimignani, Siracusa, Gasparri, Casaburi: i pionieri che scrissero la storia del pattinaggio e dell’hockey. Poi, Nino trasformò anche la sua chitarra in una racchetta da tennis di successo. Ma tutto questo appartiene ormai al presente, a un pellicola a colori. Nino non sarebbe stato questo personaggio così misterioso se quel concorrente sfigato dei «Soliti ignoti» avesse letto prima questa storia da Libro – Cuore e forse si sarebbe regalato il passaporto della felicità. Lo stesso che Nino come educatore ha regalato ad almeno tre generazioni di ragazzi portandoli lontano, tenendoli sempre per mano. Maestro a sua volta, come aveva imparato dal suo Maestro quando era ragazzo. SERGIO PISANI


il

corsivetto

DI SERGIO PISANI

«Andiamo avanti» Fine anche della telenovela sui social che mostravano il campo di patate Depergola in un cartone animato di Heidi e Petal che facevano brucare l’erba a qualche capretta. «Andiamo avanti (ci mancava!) con determinazione» – fa sapere il sindaco Tom. «Il Depergola era l’ultimo impianto non ancora coinvolto dai nostri interventi dedicati alle strutture sportive». La Regione Puglia ha, infatti, finanziato per 496.000 euro (più 140.000 euro di cofinanziamento del Comune) i lavori di rifacimento del campo di gioco e del perimetro esterno del campo sportivo Depergola. Ci piace ascoltare il sindaco Tom. «Andiamo avanti» è la frase che pronuncia ogni volta che raggiunge un obiettivo? «Andiamo avanti» ci ricorda un po’ quel «l’Allegria» di Mike Buongiorno con cui il presentatore salutava gli italiani felici e vincenti alla fine del suo programma a quiz in cui si vincevano i milioni. Altre volte, però, quell’«Andiamo avanti» di Tom ci è sembrato un motteggio stucchevole perchè si è esposto, come fece il patriota Amatore Sciesa, alla forca dei suoi nemici. Tant’è. Questa volta l’«Andiamo avanti (con determinazione)» ci sembra qualcosa di più di un semplice obiettivo, un successo ottenuto più grande del solito. Ci ricorda l’«Andiamo avanti», il motto d’incoraggiamento che pronunciava del grande Eduardo De Filippo per dire che il teatro non deve morire. «Andiamo avanti (con determinazione)» perché come il teatro anche il calcio non deve morire. Anche se poi è morto da qualche anno. Ad ucciderlo non è stato Natalicchio della precedente amministrazione ma i giovani calciatori che con gli scarpini fluorescenti di Cristiano Ronaldo non potevano mostrare le proprie scintille d’estro in un campo di patate. Semplicemente perché in un campo che non è in erba non ha una platea di intenditori, non avrà mai un osservatore della rappresentativa nazionale che ti chiederà “Dai, vieni a provare per la Juve”. Adesso l’incubo è proprio finito, i giocatori d’estro non avranno più alibi. Applaudiamo alla voce telefonica dell’assessore ai Lavori Pubblici e allo Sport, avv. Gaetano Depalo (ha seguito l’iter per quel finanziamento dall’inizio alla fine): lui resta un malato di nostalgia, è cresciuto con le immagini Rai del pantano del Cibari di Catania (parliamo di serie A) ma anche di quello polveroso del Martina Franca che giocava la C1 senza un manto erboso. «Restituiamo in primis un contenitore sociale e sportivo che tornerà a vivere. Non resta che auspicare subito l’erogazione dei finanziamenti e l’assegnazio-

IL RAFFAELE DEPERGOLA. Da campo sportivo di epiche battaglie (memorabile un derby seguito da 3000 spettatori) a campo di patate negli ultimi anni. Adesso avrà il manto in erba sintetica ne dell’appalto per la posa del manto sintetico e far correre sul verde le giovani speranze!». Almeno la finiscono i fans da radiolina da polso in mano con i cattivi pensieri: una città senza calcio, senza la propria domenica italiana, senza pallone, è una città senz’anima. Sempre l’assessore al ramo, Gaetano Depalo, sorride e scommette anche sul futuro agonistico: «Saremo - mi auguro - anche una città che riuscirà a far sfogare la bravura, l’inclinazione di giovani e meno giovani al calcio, strumento di aggregazione civile e sociale». Insomma, ci farà vedere al Raffaele Depergola (sembra una pellicola di Nuovo Cinema Paradiso), anche i Mastropasqua, i Tonello, i Milella, gli Ungaro. Staremo a vedere! SERGIO PISANI


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DI

GIANNI LEALI*

LA RACCOMANDAZIONE Dai furbetti del vaccino alla Pubblica Amministrazione con assunzioni non suffragate da curriculum e professionalità adeguati. Fortuna che lo sport di alto livello sfugge a questa regola

E’ costume del nostro tempo – di tutti i tempi, forse – muoversi nella società per mezzo di raccomandazioni. Si cerca la raccomandazione per ottenere il posto di lavoro, per migliorare la propria posizione, per raggiungere il comando o il potere, perfino per acquistare o vendere della merce. QUANDO ERO IL RESPONSABILE DEL SETTORE GIOVANILE DEL BARI – CALCIO, mi arrivavano valanghe di raccomandazioni soprattutto da parte di genitori che volevano che il loro figlio, tesserato con una società dilettantistica, fosse ingaggiato dal club professionistico da me rappresentato. Si aveva un bel dire, ai genitori premurosi, che una società professionistica aveva interesse a tesserare solo giovani con prospettive agonistiche di eccellenza e quindi sarebbe stato controproducente, anche e soprattutto dal punto di vista psicologico, accogliere elementi con scarse attitudini di base. La motivazione non convinceva i genitori che allora si rivolgevano al politico amico o a qualche personaggio altolocato per ottenere ciò che a loro non era riuscito. Questi personaggi solitamente, bypassandomi, contattavano direttamente il presidente della società, il quale però non mi ha mai sollecitato a tesserare un giovane che non ritenevo idoneo per una pratica sportiva di livello professionistico. Certamente per me è stata una fortuna avere avuto un presidente come Vincenzo Matarrese, che nonostante avesse un fratello onorevole, ha sempre considerato lo sport un mondo a sé, da difendere da qualsiasi interferenza, anche e soprattutto di tipo politico. Vincenzo Matarrese è stato veramente un ottimo presidente, sotto la cui gestione il Bari - Calcio ha disputato ben 10 campionati in serie A e sfornato dal settore giovanile una miriade di talenti di altissimo livello. E come succede quasi sempre che, solo dopo morti, tutti diventano bravi e buoni, anche Vincenzo Matarrese, che per anni era stato contestato dai tifosi baresi, subendo perfino atti intimidatori, è stato rivalutato dopo la sua morte e riconosciuto addirittura il migliore presidente della storia del Bari. Sotto la sua gestione, infatti, si è giustamente messo in risalto, non solo hanno preso il volo da Bari per una straordinaria carriera molti giocatori (Cassano, Bonucci, Ranocchia, Zambrotta, Protti, Tovalieri, Legrottaglie, Ventola, Amoruso, Bigica, Carbone ecc.), ma anche diversi allenatori, due dei quali (Conte e Ventura) sono arrivati a guidare addirittura la nazionale azzurra.

IL PAESE PIU’ RACCOMANDATO D’EUROPA. Ora, ritornando a parlare di raccomandazioni che in Italia rappresentano un fenomeno molto diffuso, anche in ambito sportivo, è veramente amaro e umiliante prendere atto che il nostro Belpaese sia considerato il meno meritocratico di tutta l’Europa. Troppi sono infatti gli scandali inerenti i concorsi “vellutati” nella Pubblica Amministrazione con assunzioni non suffragate da curriculum e professionalità adeguati. Tanti sono coloro che ricoprono ruoli di prestigio che non dovrebbero ricoprire perché assolutamente incompetenti e dannosi nella gestione delle mansioni loro affidate. E’ vero. Non si può negare che la cultura delle raccomandazioni, avallata e diffusa soprattutto dai partiti politici, permea tutte le classi e i settori della società, addirittura anche nel campo della magistratura, della sanità e dell’università, con effetti devastanti sul piano economico e morale. Non meravigliamoci allora se un numero sempre più crescente di giovani si trasferisce all’estero soprattutto in quegli Stati, come l’Inghilterra e la Germania, dove si premia il merito, l’efficacia, la competenza. E, poiché la maggior parte dei giovani che vanno via dall’Italia sono laureati, propriamente si parla di fuga dei cervelli dal nostro Paese, che così sta perdendo le menti più brillanti ed intelligenti. I FURBETTI DEL VACCINO. Né poteva mancare, in piena pandemia, che scoppiasse lo scandalo dei cosiddetti furbetti del vaccino, cioè di coloro che sempre tramite raccomandazione e forzature varie riescono a farsi iniettare il prezioso siero pur non essendo arrivato ancora il loro turno e ciò a discapito delle persone che ne avevano diritto, come gli anziani e i malati affetti da gravi malattie croniche. Un comportamento veramente squallido e vergognoso, meritevole di sanzioni anche penali per tutti i disonesti benevolmente chiamati furbetti. Ed ora voglio chiudere l’articolo (limitato solo su pochi esempi di un fenomeno in realtà diffuso in quasi tutti i settori della nostra) società) con un simpatico aforisma di un ano*GIÀ DOCENTE DI nimo. «In Italia la raccomandazione è una TEORIA E METODOLOGIA regola così ineluttabile DELL’ALLENAMENTO che perfino le lettere, se PRESSO LA SCUOLA vuoi essere sicuro che ALLENATORI DI arrivino a destinazione, COVERCIANO E PRESSO LA vanno raccomandate». FACOLTÀ DI SCIENZE MOTORIE




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