LA PIAZZA DI GIOVINAZZO MARZO 2021

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Via Cairoli, 95 Giovinazzo 70054 (Ba) Edito da ass. La Piazza di Giovinazzo Iscr. Trib. di Bari n. 1301 del 23/12/1996 Telefono e Fax 080/3947872 Part. IVA 07629650727 E_MAIL:lapiazzadigiovinazzo@libero.it FONDATORE Sergio Pisani PRESIDENTE: Sergio Pisani DIRETTORE RESPONSABILE Sergio Pisani REDAZIONE Agostino Picicco - Porzia Mezzina Donata Guastadisegni - Giovanni Parato Vincenzo Depalma - Onofrio Altomare Mimmo Ungaro - Velentina Bellapianta Enrico Tedeschi - Giangaetano Tortora Alessandra Tomarchio - Michele Decicco CORRISPONDENTI DALL’ESTERO Rocco Stellacci (New York) Giuseppe Illuzzi (Sydney) Grafica pubblicitaria: Rovescio Grafica Responsabile marketing & pubblicità: Roberto Russo tel. 347/574.38.73 Sergio Pisani tel. 080/3947872

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DI

SERGIO PISANI

Il titolo con cui ho deciso di aprire la prima pagina di Marzo l’ho rubato al Mattino e al Sole 24 Ore. FATE PRESTO per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla: titolava così, a caratteri cubitali, tre giorni dopo il terremoto del 23 novembre dell’80 che sconvolse l’Irpinia. FATE PRESTO. Così anche per il giornale economico il 20 novembre 2011 per salvare il risparmio e il lavoro degli italiani quando il differenziale dello spread BTpBund superò i 550 punti e i titoli pubblici biennali arrivarono a un tasso del 7,25%. FATE PRESTO anche per noi de La Piazza (che presunzione, vero?) anziché listare di nero la Prima Pagina con il seguente testo. «Dopo 366 giorni di agonia, sono tornati alla “Casa del Padre” Bar, Ristoranti, attività varie. Chiusi per dignità. La Piazza ne dà il triste annuncio». FATE PRESTO perchè i dati del Registro delle Imprese, per come elaborati dall’ufficio Settore e Territorio del Comune, parlano ancora, al momento, di una «dinamica piatta», anche in attesa di capire l’evoluzione della crisi pandemica. Nascono e chiudono in realtà poche imprese: il saldo ufficiale tra inizio e fine, alla data del 31 dicembre 2020, è di solo 12 unità in meno. La pandemia colpisce duro le imprese, ma la voglia di restare in piedi, di resistere insomma, a Giovinazzo evidentemente resta. A dirlo i numeri. E comunque, rispetto a un anno fa, la contrazione maggiore è quella delle imprese del commercio all’ingrosso e al dettaglio (con un -21, pari al 4,29%) e poi quella delle attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (un -13, pari al 3,37%). Ma forse il peggio deve ancora venire. Si attendono i dati relativi ai primi tre mesi del nuovo anno che, quelli sì, faranno realmente chiarezza sulle ripercussioni da crisi Covid: le molte comunicazioni di chiusura dell’attività pervenute al registro delle imprese negli ultimi giorni dell’anno, infatti, vengono tutte statisticamente inserite nel conteggio del primo trimestre 2021. Non ci resta frattanto che registrare una situazione allo stremo, sull’onda delle nuove restrizioni che stanno via via bruciando anche l’ultimo barlume di ottimismo. Né si vede una via d’uscita nonostante l’arrivo del vaccino, poiché i tempi si moltiplicano e le speranze di reggere alla crisi Covid si sciolgono sempre più come neve al sole. Dalle colonne del nostro giornale, provati come non


mai dalla pandemia e dai lockdown, gli operatori commerciali ora lanciano un accorato appello, visti i cospicui investimenti già fatti alla luce dei più stretti protocolli sanitari preventivi, per una riapertura in sicurezza. D’altronde l’unica soluzione possibile, all’ormai quasi annunciato e imminente fallimento, è quella di riprendere l’attività serale di ristorazione sino alle 22.00. Almeno, e fintanto, quando Giovinazzo è in zona gialla. Il vero allarme rosso, adesso, è quello delle imprese che altrimenti rischiano inesorabilmente di chiudere. Servono provvedimenti straordinari per far fronte a un’emergenza straordinaria, dunque, che rischia di far scomparire un settore che dà lavoro, scusate se è poco, a 1.372 tra addetti familiari e subordinati, oltre a rappresentare una componente essenziale dell’economia locale e dell’offerta turistica della nostra Città. Parliamo di lavoro e di ricchezza che, una volta persi, finiranno con lo sgretolare del tutto non solo il nostro tessuto economico, ma anche quello sociale. No, proprio stavolta di questo non possiamo farne a meno di parlarne. Non chiedetecelo neppure. FATE PRESTO per salvare il risparmio e il lavoro dei giovinazzesi! SERGIO PISANI

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NIENTE

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RAGAZZE AMMICCANTI, IL MOMENTO È DIFFICILE PER TUTTI, DRAMMATICO PER TANTI.

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IL

CONTRAPPUNTO

dell ’alfiere

MOZIONE DI SFIDUCIA La disputa è tutta tecnica e giocata in punta di diritto I MEDIA DI REGIME. Circa un mese fa, quando uscì il Il numero di febbraio, i giornali di regime in perfetta sintonia con il resto dell’informazione esaltavano con lodi sperticate dirigente quanto ingiustificate il ruolo insostituibile di unità e sintesi e dell’Ufficio capacità di governo e spessore di statista e, forse, ho dimenTecnico ticato, nella necessità della sintesi, ulteriori espressioni di lode per il Presidente del Consiglio, l’ex avvocato del popolo, pripur in ma a capo di una coalizione M5S e Lega e poi M5S con PD e pensione Leu. Insomma tutto e il suo contrario. Ma siamo in Italia e tutto è permesso ed anzi portato a simbolo di quella furbizia ha firmato insopportabile per me ma tanto cara a tanti italiani e ai nostri atti che si detrattori stranieri che vedono, in quella, il segno distintivo dovrebbero della nostra mancanza di serietà, di affidabilità. Troppo facile e assai faziosa la lettura sull’Italia che ci vede inaffirevocare e dabili all’estero con i governi di centro destra ed affidabili considerare e seri con i governi di segno opposto. Una Nazione è o no seria se esprime governi che sappiano difendere l’innulli teresse nazionale al di là degli schieramenti e delle pressecondo sioni esterne. Cosa avranno pensato realmente a Bruxelles o nelle altre cancellerie a vedere un capo di governo cambiaPD e PVA re così rapidamente e radicalmente coalizione e idee e profese la moneta unica dagli attacchi speculativi e a favogrammi? re dei Paesi più esposti alle turbolenze speculative, e, NELLE DEMOCRAZIE LIBERALI con il cambio di allo stesso tempo, però, non possono far cancellare il coalizione cambiano gli uomini. Invece in Italia no. E questo ruolo, molti anni prima, nella svendita del patrimonio anche perché è meglio non votare, un governo si farà e ma- delle partecipazioni statali. Su questa pagina della storia gari verrà eletto un Presidente della Repubblica che sarà sem- italiana ancora assistiamo a nebulose ricostruzioni se non a pre organico alla coalizione che lo ha eletto. Ecco il punto. vere e proprie totali dimenticanze e cancellature. Fatto sta Magari all’estero le vedranno così le cose italiche. Comun- che in nome dell’Europa (non l’Europa dei popoli ma quella que, mentre erano tutti impegnatissimi a consumare fiumi di della burocrazia e degli interessi preminenti della Germania), inchiostro per manifestare la nauseante consueta piaggeria è nato questo governo. Tutti hanno il loro strapuntino, il loro per esaltare l’insostituibilità dell’ex avvocato del popolo, si è pezzo di potere e la coraggiosa posizione del partito della materializzato all’orizzonte il professor Mario Draghi. In men Meloni restituisce un minimo di dignità alla democrazia itache non si dica, alla velocità della luce, ecco tutti i media di liana. In una parte del centro destra è emersa la necessità di regime abbandonare l’ex avvocato del popolo e saltare sul rassicurare quest’Europa, senza il cui benestare, si sono concarro del nuovo insostituibile professore, già Governatore vinti, non potranno mai governare, e hanno abbandonato i della Banca d’Italia e Presidente della Banca centrale Euro- toni veementi contro l’attuale costruzione europea e l’euro. pea e con un curriculum di assoluto valore. Lo sport più dif- A sinistra, beh, a sinistra, va tutto bene se si rimane al potere fuso nel nostro Paese, sempre il più praticato e non da oggi. e si possono occupare poltrone e effettuare nomine, sempre Così «per salvare l’Italia» è nata una maggioranza impensabi- numerose, di quelle poltrone del sottobosco politico di agenle se non negli scenari più fantascientifici. Nel Consiglio dei zie, consigli di amministrazione e commissari vari. E infatti, Ministri siedono rappresentanti di tutti i partiti dall’estrema tutti insieme, hanno invocato il bene dell’Italia come nella sinistra di Liberi e Uguali (uguali nell’attaccamento al po- Costituente del 1946. Lasciamo stare. Sarebbe, comunque, tere), al PD («mai con Salvini»), a Forza Italia («mai con il stata necessaria una discontinuità ed invece i ministri più M5S»), alla Lega («contro l’Europa delle banche e mai con contestati sono stati confermati. Fra tutti lo scrittore del liil PD»), al Movimento 5 stelle («mai più con la destra e men bro uscito e ritirato sulla pandemia, il rappresentane di Leu, che meno con Berlusconi»). Ora, con l’eccezione di Fratelli Roberto Speranza, che siede nel Gabinetto Draghi. E, and’Italia e di qualche deputato e senatore in ordine sparso del cora, il supponente ministro alla cultura, il potente esponete M5stelle, tutti hanno votato a favore del nuovo governo. Il del Pd, Dario Franceschini, distintosi per l’assenza di mipresidente Draghi è, sicuramente, uomo di valore e dalle sure a favore del mondo della cultura. E’ ancora lì e godrà indiscutibili capacità. Capacità che ricordiamo, nitidamen- della copertura mediatica dei media come nel secondo gote, nella sua difesa dell’euro e dell’unità monetaria e fi- verno Conte. Se a guidare il ministero della cultura ci nanziaria dell’Europa quando, alla guida della BCE, di- fosse stato un esponete del centro destra avremmo avu-


to girotondi, petizioni, richieste di intervento dei caschi blu dell’ONU, pagine strappalacrime e servizi giornalistici a reti unificate, sulla rozzezza e inconsistenza culturale di quella parte politica. Vedremo come il presidente Draghi saprà conciliare le varie e multicolori anime del suo governo. Tutti dobbiamo fare il tifo per questo tentativo autorevole. Vedremo. Un aspetto non mi sfugge. Domani, quando tutto sarà finito e si potrà tornare a votare come si usa nelle vere democrazie e si aprirà il confronto elettorale nessuno potrà vantare purezze ideologiche e accusare l’altro di non avere cultura di governo e legittimazione democratica. Nessuno, e, soprattutto a sinistra, avranno meno armi dialettiche per delegittimare l’avversario. UN’ARIA DI UNITÀ CHE A GIOVINAZZO, OVVIAMENTE, NON ESISTE. I toni sono accesi. La sinistra, PD e PVA, ha presentato una mozione di sfiducia per aver, l’amministrazione Depalma, messo «a rischio la certezza dei rapporti giuridici tra cittadini, operatori economici ed ente locale». Tutto nasce dal pensionamento del dirigente dell’ufficio tecnico che pur in pensione ha firmato atti che si dovrebbero revocare e considerare nulli. L’opposizione lamenta di non essere stata ascoltata circa la situazione che si sarebbe, comunque, determinata e a supporto delle contestazioni porta i pareri del collegio dei Revisori dei Conti , del dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio e della sezione regionale di controllo per la Puglia della Corte dei Conti. L’opposizione di sinistra ribadisce il pressapochismo e il dilettantismo della maggioranza che, pur avvisata, ha confermato la validità delle

determinazioni sottoscritte dall’ex dirigente che, intanto, ha lasciato il suo posto di responsabile dell’ufficio tecnico del nostro Comune. La disputa è tutta tecnica e giocata in punta di diritto come piace alla sinistra sempre attenta ai cavilli giuridici e formali che il nostro diritto concede in modo copioso. Attenta ma quando non è al governo. Al cittadino interessa che gli atti siano conformi alla legge e siano emessi in tempi ragionevoli la qual cosa avviene solo se il dirigente si assume la responsabilità dell’atto e non tergiversa per timore, comprensibile ma non giustificabile, di incorrere in violazioni di legge. Questo può avvenire solo se il dirigente ha capacità professionali tecniche e conoscenze giuridiche che gli consentono di firmare atti nella consapevolezza di non violare la legge ma allo stesso tempo di fornire risposte adeguate al cittadino. Come per il governo Draghi, faccio il tifo perché si trovi una strada legale per non rendere nulli gli atti firmati. Non dimentico, però, quello che è stato fatto, tanto, in questi anni. Molto di buono è stato realizzato con errori che solo chi opera commette. L’immobilismo non è la cura degli errori compiuti ma, semmai, l’esaltazione. La mozione di sfiducia porterà all’ennesimo momento di contrapposizione che non avrà altro risultato che esacerbare ancor di più i già tesissimi rapporti maggioranza-opposizione. Del resto si avvicinano le elezioni amministrative e la sinistra dura e pura di PVA avrà tutto l’interesse ad alzare i toni per conquistare la leadership della coalizione e dettare le condizioni agli altri partiti e formazioni dello schieramento. Evviva!

alfiere.2000@libero.it


l inchiesta

DI SERGIO PISANI

I NUMERI SULLE IMPRESE GIOVINAZZESI La pandemia colpisce duro, ma la voglia di fare impresa a Giovinazzo resta. Poche imprese nate e cessate, molte imprese inattive e meteore, sintomo di una diffusa incertezza sul futuro (da monitorare nei prossimi mesi): sono gli effetti della pandemia sul tessuto imprenditoriale giovinazzese nel 2020 analizzando i dati del Registro delle Imprese elaborati dall’ufficio Settore e Territorio del Comune

LE ISCRIZIONI AL REGISTRO Hanno fatto segnare un rallentamento, si sono fermate a quota 1.331 le imprese nei 12 mesi del 2020: 67 cessazioni rispetto alle 55 iscrizioni (-12 è il saldo negativo di rispetto al 2019). Ci sono però le imprese inattive (182) che non producono reddito: dovrebbero preoccuparci. Così come i fatturati delle 1.149 imprese attive che sono in affanno, con una perdita di attività che va ormai avanti da 6 anni e su cui la pandemia ha ulteriormente impattato nel 2020. Ci spaventa la realtà futura che sarà ben diversa dall’attuale perché ci spinge a ipotizzare che la dinamica di non abbassare le serrande sia condizionata dalla politica dei ristori, che ha aiutato le imprese a resistere o dalle prospettive di rilancio dell’economia legate al Recovery Plan o da questioni di tipo amministrativo, relative cioè alle comunicazioni di chiusura pervenute al Registro delle Imprese negli ultimi giorni dell’anno e che saranno conteggiate nel primo trimestre 2021. Tant’è, la pandemia colpisce duro le imprese, ma la voglia di fare impresa a Giovinazzo resta. Parlano i numeri. IN RIBASSO. Tra i settori produttivi, la contrazione maggiore delle imprese attive rispetto a un anno fa riguarda il commercio all’ingrosso e al dettaglio (-21 pari al 4,29 % su base annua), le


attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (-13 pari al 3,37 %), agricoltura, silvicoltura, pesca (-10 pari al 1,97%), le attività manifatturiere (-4 pari al 1,21 %), i servizi di informazione e comunicazione (-3 pari al 14,28%), le attività immobiliari -3 pari a 11,11%), Attività finanziarie e assicurative (-1 pari al 4,54%), Attività artistiche, sportive, di intrattenimento (-1 pari al 4,54%). (-1 pari al 4,54%). IN RIALZO. La contrazione non interessa almeno nei numeri i servizi di supporto alle imprese (+4 pari a +3,17%), le attività professionali (+2, pari al +6,25%), i servizi di informazione e comunicazione (+16, pari a +0,8%), le attività di servizi (+4 pari a +6,34%) e le imprese non classificate (prive del codice relativo all’attività economica svolta) che registrano un vero boom (+14, pari a +14,89%). Discorso a parte con le imprese di costruzioni che registrano un saldo positivo di +9, pari a +5,20% su base annua. Eppure ci sembrerà strano. L’edilizia è ferma e i cantieri sono chiusi. Rimangono aperti solo quelli relativi ad opere pubbliche. La maggior parte di attività artigiane, imbianchini, imprese di edilizia sfruttano la legge del superbonus del 110% e gli incentivi statali (ecobonus del 90% per le facciate, del 65% per le ristrutturazioni, cappotti e impianti termici): misure che hanno creato grandi aspettative e una mole notevole di richieste di interventi nel settore dell’edilizia e dell’impiantistica e che hanno certamente contribuito a dare una forte scossa a tutto il settore. LE IMPRESE FEMMINILI. Sono per la precisione 189 e incidono per il 14.19% sul totale delle aziende. Sono così distribuite: 84 Commercio all’ingrosso dettaglio; 50 Agricoltura, silvicoltura, pesca; 49 Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione; 14 Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese, 11 Attività manifatturiere; 5 Attività finanziarie e assicurative; 5 Attività professionali, scientifiche e tecniche; 4 Attività immobiliari; 4 Servizi di informazione e comunicazione; 4 Sanità e assistenza sociale; 4 Attività artistiche, sportive, di intrattenimento; 2 Costruzioni; 1 Istruzione; 1 Trasporto e Magazzinaggio. Danno lavoro tra addetti familiari e Addetti subordinati a 350 persone, con una media del 10,05% sulla totalità dei

FONTE Ufficio Settore e Territorio del Comune di Giovinazzo lavoratori. Le imprese straniere presenti sul territorio sono 35 (il 2,61%) impegnate soprattutto in servizi di alloggio e di ristorazione (6), Agricoltura, silvicoltura, pesca (3), Attività manifatturiere (3), costruzioni (3)… LA FORMA GIURIDICA. La tipologia imprenditoriale maggiormente presente con più del 70% è l’impresa individuale. Seguono le società di capitale, le società di persone. In incremento le altre forme giuridiche (cooperative, consorzi, ecc.): sono 51 unità (il 3,8% del tessuto imprenditoriale), la parte del padrone la fanno le Imprese non classificate (n.36) ovvero quelle imprese che nascono senza codice relativo all’attività economica svolta, ma poi se le cose vanno bene si perfezionano attribuendosi un codice di attività distribuendosi fra i vari settori di attività economica. GLI OCCUPATI. Le iscrizioni al Registro delle Imprese elaborati dall’ufficio Settore e Territorio del Comune permettono di evidenziare il numero degli addetti familiari (892) e subordinati (2440). Le Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione addetti familiari guidano la classifica (140 addetti familiari e 617subordinati), seguono le attività di Commercio all’ingrosso eLETTERA al dettaglio (307 adFIRMATA


sfide del futuro. Gli enti locali non hanno competenza diretta sulle politiche del lavoro ma possono sicuramente impegnarsi a rendere al meglio i loro servizi ai cittadini e alle imprese e a creare condizioni sempre migliori perché ognuno possa preferire il proprio territorio per impiantare un’impresa piuttosto che andare altrove. Quest’ultimo dato è interessante: la qualità di vita delle nostre città del Sud è stata ampiamente rivalutata proprio a seguito della pandemia». La ricetta del futuro? Si chiama smart working. «In tanti credono diverrà in gran parte “strutturale” e non più legato all’emergenza, sta diventando uno strumento a favore delle amministrazioni delle città del Sud per incentivare i propri lavoratori a lavorare da casa qui al Sud piuttosto che recarsi in pianta stabile al Nord. Queste scelte potrebbero generare altri effetti virtuosi come i maggiori consumi in loco e nuove opportunità di impresa per quanti sapranno cogliere le opportunità di questo temLE IMPRESE GIOVANILI GIOVINAZZESI Sono poco po».

detti familiari e 308 addetti subordinati), le costruzioni (110 addetti familiari e 479 subordinati), le Attività manifatturiere (81 addetti familiari e 353 subordinati), Sanità e assistenza sociale (1 addetto familiare e 222 subordinati), Agricoltura, silvicoltura, pesca (78 addetti familiari e 87 subordinati), Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (32 addetti familiari e 87 subordinati), Trasporto e magazzinaggio (16 addetti familiari e 67 subordinati). In controtendenza, rispetto all’andamento nazionale nel 2020, si registra uno storico incremento delle imprese giovanili (12) in agricoltura. Il rinnovato fascino della campagna per i giovani si riflette nella convinzione comune che l’agricoltura sia diventata un settore capace di offrire e creare opportunità occupazionali e di crescita professionale, peraltro destinate ad aumentare nel tempo.

più di un centinaio e impiegano 285 addetti familiari e subordinati (8,64%). La voce grossa la fanno il commercio al- DANIELE DE GENNARO l’ingrosso (37 imprese e 45 addetti) e le attività dei servizi (Cons. PVA). Ma davvero l’amministrazione locale non può dare imdi alloggio e di ristorazione (24 imprese e 115 addetti).

VOCE ALLA CITTÀ TOMMASO DEPALMA (SINDACO). Fissare la centralissima Piazza, i lungomari e il centro storico vuoti è un pugno forte allo stomaco, è il trionfo del silenzio dell’assenza di vita. Ma al 1° cittadino lo sostiene la speranza che le cose possano cambiare, i numeri non sono poi la fotografia economica del tramonto. «Il dato sulle imprese giovinazzesi inerente il 2020, seppur nel suo piccolo saldo negativo tra nuove iscrizioni e cessazioni (-12), è meno “catastrofico” del previsto. Probabilmente dovremo aspettare i dati del 2021 per capire meglio quanto la pandemia da Covid-19 ha impattato negativamente sul nostro sistema lavorativo. Ma è anche vero il contrario: le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sicuramente incentiveranno lo sviluppo e la nascita di nuove imprese in grado di rispondere alle nuove

pulso alla ripresa? Davvero che il sindaco governa con la palla al piede, lavora quando sa di non avere fondi a disposizione? Forse, se non fa accesso ai DUC. «Basti pensare che Giovinazzo è uno dei pochissimi comuni che non ha attivato e, conseguentemente, goduto dei benefici economici dei ‘Distretti Urbani del Commercio’, istituiti per realizzare progetti nei quali i cittadini, le imprese e ogni soggetto pubblico e privato sono liberamente aggregati per fare del commercio il fattore di integrazione e valorizzazione di tutte le risorse di cui dispone un territorio». Vieppiù. «Le imprese che lavorano nell’edilizia sono state annichilite dall’assenza di una visione di città e da politiche urbanistiche meramente “distruttive” (emblematico l’annullamento del piano della zona di espansione C3). La mazzata finale è stata poi l’esclusione dalle zone Zone Economiche Speciali (ZES); una atroce beffa ed un danno economicamente incalcolabile per la città, se si considera che Giovinazzo è dotata di una stazione di scambio intermodale e che tutti i comuni a noi confinanti (Bari, Molfetta e Bitonto) sono rientrati nella ZES Adriatica!?. E poi a rendere ancor più grave e pesante la situazione sono arrivati gli effetti devastanti


della pandemia. «A chi sta soffrendo va la mia vicinanza umana ed un messaggio di speranza: verrà il tempo in cui i fatti, la pianificazione e la programmazione prenderanno il posto della propaganda, dell’immobilismo e dell’improvvisazione!». ENZO FUSARO (Presidente ConfArtigianato). Su 1331 imprese almeno il 20% sono iscritte alla locale sezione. Il saldo tra cessazioni e iscrizioni delle attività artigianali di servizio e produttivo (servizi di supporto alle imprese, attività professionali, costruzioni e attività manifatturiere) è positivo, la contrazione economica non ha colpito il settore. Vero ma non troppo, i numeri non devono ingannare: «Andrebbero visti subito dopo il primo trimestre, subito dopo la fine del blocco dei licenziamenti, dei ristori e dei decreti di rilancio per far fronte all’emergenza Coronavirus al fine di prevenirne ed arginarne l’espansione e gli effetti sul sistema economico. In primavera le aziende si troveranno ad attraversare un periodo storico per cui la mancanza di lavoro prolungata non può che determinare una forte riduzione del personale e mancanza di liquidità per far fronte agli impegni con i fornitori. La filiera artigianale produttiva e di servizio non può resistere senza una vera politica di sostegno per l’anno in corso».

LUCA BARBONE (già Presidente Arac). Commercio all’ingrosso e al dettaglio e attività dei servizi di alloggio e di ristorazione sono i settori più colpiti dalla pandemia. Molte attività hanno abbassato le serrande. La chiave di lettura dell’Associazione che raccoglie i ristoratori, albergatori e commercianti non scende a compromessi. «Le chiusure territoriali a macchia di leopardo, i cromatismi regionali pressoché ridicoli, la sanità allo sbando, gli orari lavorativi beffardi, l’indisciplina della popolazione e la furbizia di qualche esercente, hanno portato al disastro che stiamo vivendo da un anno ormai». Ancora Luca Barbone va giù pesante: «La politica nazionale ha cercato di tamponare le emorragie, deve fare di più e meglio. E la politica locale adesso si deve caricare di responsabilità e cominciare ad azzardare: si limitasse tutta la spesa pubblica superflua e si intervenisse nel settore del turismo e a favore di tutte le piccole attività massacrate dai vari lockdown con detassazioni, incentivi, marketing territoriale e sfruttamento capillare del territorio con concessioni temporanee, una tantum, estensione dei dehors, così da poter “dilatare” la gente su spazi maggiori rispettando le normative. So che non è facile, so che non ci sono ricette, ma so altrettanto per esperienza vissuta che se amministratori e commercianti non vanno a braccetSERGIO PISANI to, il disastro è assicurato».


terza

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ANTONELLO TARANTO, PSICHIATRA*

Dai riti eleusini alle sale per ricevimenti

STORIA DELLE FESTE Tanto tempo fa la vita degli umani era piuttosto dura e le feste erano veramente poche ma genuine... L’occasione per festeggiare era rappresentata, solitamente, da un punto di cambiamento fra due diversi periodi di tempo. Le feste che venivano celebrate parecchi secoli prima di Cristo, agli albori della nostra civiltà, erano due: la vendemmia, punto di cambiamento fra la stagione della coltivazione e quella del freddo, e la rinascita, punto di cambiamento fra la stagione del riposo della natura e quella del risveglio della vita. Successivamente, in epoca romana, furono aggiunte altre feste. In quei tempi, come già detto, la vita era dura, perchè, oltre alla fatica di coltivare la terra con le mani e attrezzi rudimentali, bisognava difendersi da tanti pericoli. Perciò gli umani sentivano il bisogno di rimanere nelle grazie degli dei. Il guaio era che anche gli dei non erano esattamente Il modello di bontà del nostro Dio. Infatti si raccontavano strane storie di tradimenti di Giove, di figli bruciati vivi, di lotte dure e spietate. Alcuni umani si affidavano alla protezione di Apollo e altri alla protezione di Dioniso. Il primo desiderava che le feste fossero celebrate secondo i «riti eleusini o apollinei», l’altro desiderava i «riti dionisiaci». I riti apollinei erano molto disciplinati: si svolgevano nei templi , non si mangiava carne, si rispettava un codice di bellezza fatta di bei vestiti di tessuti preziosi, si suonava alla lira musica ispirata dalle muse, molto soave, dolce e armoniosa. I riti apollinei erano molto liberatori: si svolgevano nei boschi, i maschi indossavano abiti da satiri (ispirati a sembianze animali), le femmine si vestivano da menadi (ornate di foglie e

scollacciate), si ascoltava musica di flauto dal ritmo ossessivo e incalzante, si dava la caccia ad un caprone selvatico, che veniva fatto a pezzi e mangiato crudo, accompagnato da fiumi di vino. Le feste dionisiache finivano in orgia. I riti apollinei erano legati alla cultura dell’umano, che cercava di impreziosire la propria esistenza mortale; i riti dionisiaci erano legati al rapporto divino con la natura immortale, autorigenerantesi. Circa 600 anni prima di Cristo, un eroe di nome Orfeo, uomo così innamorato della sua compagna che andò a riprendersela dal mondo dei morti, cercò di fondere i due riti in uno stile «orfico», unendo la dimensione culturale dell’esistenza mortale del corpo con quella immortale dell’anima. Non ci riuscì. Alcune donne dionisiache, gelose del suo incorruttibile amore per la defunta sposa, lo uccisero e lo fecero a pezzi. Morto Orfeo, non è morto, però, lo stile orfico. Infatti tutte le feste successive contengono sempre una dimensione spirituale e una terrena. In ogni festa pagana ritroviamo una dedica agli dei (un sacrificio rituale di qualche animale) ed un momento di gioia terrena, fatto di banchetti e danze. La benevolenza degli dei viene ottenuta mandando verso Il cielo il fumo profumato della carne arrostita e il corpo mortale degli umani viene appagato mangiando la carne e danzando, più o meno liberamente. Con l’evoluzione della civiltà anche il rapporto fra uomo e donna acquista una sorta di valore orfico. Infatti le feste tendono a diventare meno o per nulla

orgiastiche e sempre piú formali e codificate. In particolare i matrimoni vengono celebrati con la sottoscrizione di contratti, validi sia al cospetto del potere terreno che di quello divino. La festa collegata al matrimonio deve essere rispettosa della solennità del contratto sottoscritto. Con l’avvento del cristianesimo, la struttura della festa non cambia: l’evento è sempre consacrato a Dio ma Il sacrificio diventa simbolico. Gesù è chiamato «agnello», esattamente come l’animale preferito per i sacrifici agli dei pagani, ma è simbolicamente rappresentato da una semplice ostia. La civiltá progredisce, le culture del mondo si intrecciano sempre di più e il rapporto con la divinità si complica sempre di piú: ogni religione ha le sue liturgie ma i riti sono sempre seguiti da una festa in cui si mangia e si danza in compagnia. Nei tempi moderni il valore religioso si è fortemente ridotto e, spesso, è scomparso. Per contro, almeno nei nostri territori, si è fortemente ritualizzata la festa: il luogo non è nè un bosco nè un tempio, ma una sala per ricevimenti; il banchetto non gode di gioiosa spontaneità ma segue una rigida regia relativa a menù, tempi, movimenti e gesti; le danze, per quanto possano essere ammiccanti e sfrenate, obbediscono anch’esse alla regia del nuovo sacerdote: il wedding manager. È tutto sotto controllo. La legge dell’uomo morta- *Direttore le c’è; la legge del- Dipartimento Dipendenze l’anima, chissà? Patologiche ASL Ba


visto

da... PADRE MARIANO BUBBICO*

A TAVOLA CON GESÙ Gesù dà l’avvio alla sua attività apostolica con la partecipazione ad un banchetto: le nozze di Cana. Gesù, a festa inoltrata, viene pregato dalla madre a compiere un miracolo cambiando l’acqua in vino per risolvere il disagio degli sposi (è venuto a mancare il vino) e incrementando la gioia della festa con un buon vino... I vangeli abbondano di episodi della presenza di Gesù in momenti conviviali: la convivialità della tavola appare uno dei tratti più significativi dell’insegnamento di Gesù che siede alla mensa dei buoni (gli sposi di Cana, le sorelle di Betania...) e dei cattivi(Zaccheo, Simone il fariseo e i pubblicani). Gesù ama stare con la gente anche a tavola, anzi agli occhi della gente appare come un mangione e beone: «E’ venuto il Figlio dell’uomo e dicono ‘ecco, è un mangione e un beone, un amico di publicani e di peccatori’ (Mt 11,19)» Non va dimenticato in questo contesto l’evento più raccontato nei Vangeli: la moltiplicazione dei pani, un contesto in cui Gesù si commuove nel vedere che si è giunti alla fine di una giornata in cui la gente è stata tutto il giorno con lui. Gesù dice agli apostoli: «Fateli sedere; e compì il miracolo della moltiplicazione dei pani e sfamò tanta gente procurando gioia ed esultanza nella gente accorsa per ascoltarlo. Non vanno dimenticate ancora le parabole del regno di Dio in cui Gesù presenta il suo messaggio con parabole di nozze (un re fece una grande cena…). Non possiamo tralasciare – a proposito di cene - il momento solenne dell’addio: l’ultima cena della sua vita. Gesù, nell’intimità del Cenacolo, mangia con gli apostoli e fa il dono della sua perma-

nenza tra i suoi fino alla fine dei secoli trasformando il pane e il vino – misteriosamente - nel suo corpo e nel suo sangue. E dice loro: «Fate questo in memoria di me».

sei comunista?». Mi rispose : «Quando ci siamo sposati, io le ho detto: «puoi andare a messa a tuo piacimento, però sappi che ogni Domenica devi prepararmi un pasto che io devo offrire ad una persona bisognosa». Mi colpì questa confidenza spontanea e dissi tra me e me: quanto è fallace il giudizio che ci facciamo delle persone! Quell’uomo aveva capito bene il messaggio di Gesù: ogni volta che fai quacosa per uno più piccolo, l’hai fatto a me.

Gesù, in fine, appare ai discepoli dopo la risurrezione sul mare di Tiberiade e si rivolge a loro e dicendo: «portate un po’ di pesce». E li invita: «Venite a mangiare». Gesù prese il pane lo diede a loro e così pure il pesce; e mangiarono. Gesù risorto incontra i discepoli e nel mangiare insieme rivela la sua vicinan- In questo tempo di pandemia riflettiaza, l’intimità della relazione e la gioia di mo sul beneficio del mangiare insieme stare insieme. tenendo conto dell’importanza delle relazioni che si vengono a creare e del Gesù accettava inviti a tavola superan- valore simbolico del cibo. Dopo la do pregiudizi e divieti di ogni genere, pandemia, mangiamo con gli amici e con perchè riteneva molto importante il i parenti e non dimentichiamo i bisognomangiare insieme e offrendo numerose si. Gesù ha mangiato volentieri con la valenze del mangiare insieme anche con gente! la presenza di un buon vino. Teniamo davanti al nostro sguardo una delle pagine più significative del VangeGESÙ A TAVOLA mi ricorda lo di Matteo: «Venite, benedetti dal Paun’esperienza che ho vissuto tanti dre mio, perchè ho avuto fame e mi avete anni fa a Giovinazzo. dato da mangiare, ho avuto sete e mi Mi trovavo fuori del nostro convento ed avete dato da bere... E i giusti rispondeaspettavo una macchina che mi portas- ranno: Signore, quando ti abbiamo vise a Molfetta. Improvvisamente passa sto affamato e ti abbiamo dato da manun signore e mi invita a salire sulla sua giare o assetato e ti abbiamo dato da macchina. Mi apostrofa dicendo «Io mi bere? E il re risponderà loro: tutto quelchiamo VINCENZO PALMIOTTO lo che avete fatto a uno solo di questi e ti ho fatto salire in macchina perchè miei fratelli più piccoli , l’avete fatto a sei un frate, altrimenti non ti avrei fatto me» (Mt 25, 38-40). Sono parole che salire». Dopo i saluti rituali, mi disse: «Ti dobbiamo scolpire nella nostra mente e voglio fare questa confidenza: io ti co- nel nostro cuore perché il prenderci cura nosco, e so che conosci bene mia mo- del bisognoso ci fa uscire dal nostro picglie perchè spesso la incontri nella Chie- colo io e ci apre al mondo dell’altro e sa delle suore di San Giuseppe». a quello dell’Altro. E questo messagVisto il tono confidenziale del nostro dia- gio non è di poco conto! logo, gli chiesi: «Come fai a stare *FRATE CAPPUCCINO con tua moglie, molto cattolica, tu che



Badoglie, Mattè dell’ove, Michèl Pezzott, Chiangàune, Biuck, Rarudd, N’zilipp, Pallmodde, U’accellìn, L’aeroplan, L’ammannùtt e l’ammavenn, La reclàm: erano questi gli attori di Piazza Garibaldi quando era lì che si faceva il mercato. Erano icone di seduzione, pronte ad ammaliare la clientela con i loro suoni caratteristici. Declamavano a gran voce nomi e prezzi dei loro prodotti. Parole e suoni spontanei e vivi che diventavano poesia. I cartellini dei prezzi, scritti rigorosamente a mano su un pezzo di cartone grezzo... spesso sgrammaticati. Come non dimenticare «i percocchi». Che ce ne fosse uno solo di quei venditori che scrivesse percoche o precoche!? I prezzi? Ovviamente si trattava, non erano mai fissi. La contrattazione, poi, lo spettacolo dentro lo spettacolo! C’era però la lira e si vendeva il pesce a chilo e non a pezzo. Pesce ma non solo, ma generi alimentari, frutta e verdura tutta rigorosamente fresca di giornata. Le bilance erano a piatti, il venditore usava dei pesi di cui non abbiamo capito mai la reale misura. Però il piatto con la merce ‘pendeva’ sempre a favore del cliente: la tecnica infallibile per fidelizzarlo. Alzi la mano chi ha mai capito come funzionassero quelle bilance! Alzi la mano chi non si è mai lasciato ammaliare al momento della pesata. In realtà si comprava alla fiducia. C’era una volta il mercato di Piazza Garibaldi. Un momento di socializzazione dove si incontravano persone di tutti i ceti sociali, dall segnèur a l zappatèur. Nu merchèt che oggi rivive attraverso queste foto e resta nel racconto di chi lo ha vissuto. Un’altra epoca! SERGIO PISANI

Si ringrazia Lello Fiorentino (commerciante) per la preziosa collaborazione che ci ha consentito di associare volti e nomi in questa pagina d’album


altri

tempi

DI

SERGIO PISANI

SAN FELICE, IL 1° MERCATO DI FRUTTA E VERDURA Un album dei ricordi che ci riporta indietro negli anni... Tutti ricordano il mercato di Piazza Garibaldi, anni in cui le cose andavano meglio e la vita era più semplice. Ma qual è stato il primo mercato di frutta e verdura? Era quello della ex chiesa di San Felice, prima della Grande Guerra. Certo la vita di quegli anni non era certo facile ma anche in quel luogo ed allora si respiravano i profumi e l’atmosfera della comunità. Siamo a cavallo tra il 1913 – 1916. Durarono quattro anni gli interventi di sgombero e trasformazione dell’ex Chiesa S. Felice a primo mercato coperto della storia giovinazzese. Fu il sindaco Palombella a dotare la città di quel polo alimentare e naturalmente lo volle a pochi passi dalla Piazza e nel vicino centro storico. Un mercato polifunzionale per le sue capacità aggregative (nel cuore della città) e urbanistiche (sede di deposito per le plance elettorali del Comune e successiva-

ILLIS TEMPORIBUS Il mercato in Piazza S. Felice. Inaugurato nel 1916 chiuse nel 1983 mente anche ricovero delle motociclette dei vigili urbani). Il Comune si riservava nell’ex Chiesa S. Felice il diritto di superficie di due locali ubicati a destra, in fondo (guardando dall’ingresso della struttura). A sinistra qualcuno ricorda il reparto macelleria gestito da Bologna, a destra le bancarelle di frutta e verdura di Onofrio Depalma, alias Sannofrio. Un ricordo ancora fresco perché poi questo mercato coperto chiuse nel 1983, complice l’espansione urbanistica della città e la fuga dal centro storico. Ma tutto qui, il danno. Infatti non c’era nè la salumeria nè la pescheria. E no, perché c’erano a pochi metri Generoso, in via Gelso, e in Piazza Umberto, ad angolo la

pescheria per chi non scendeva addirittura sul porto, abbasc o tammurr o direttamente all’attracco delle barche dei pescatori al loro ritorno. Questo in regime di normalità, ma alla Madonne le cose cambiavano radicalmente. Piazza S. Felice si trasformava in una sorta di N’derr a la Lanz di Bari con tanto di tavolini e sedie, ovvero un dehors alla buona che Bonserio che dalla contigua via S. Lorenzo occupava così parte della Piazzetta ma condividendola con Sannofrio e i suoi meloni freschi e la popolare brasserie all’aperto de Cutte e Crèut di Casaburi. Ed è qui che era la festa! SERGIO PISANI



echi

del

mese

DI

GIANGAETANO TORTORA

CENTRO COMUNALE RACCOLTA RIFIUTI: PRONTI, PARTENZA, VIA! Apertura al pubblico dell’impianto nei pressi del campo sportivo 22 febbraio Si scrive CCR, si legge Centro Comunale di Raccolta. Stiamo parlando dell’impianto gestito dalla società Impregico nei pressi del campo sportivo, che ha aperto al pubblico in sostituzione del Punto Ecologico di via Bari. Sarà possibile conferirvi i rifiuti nei seguenti giorni e orari: dal lunedì al sabato, dalle ore 9.00 alle ore 13.00; 30 gennaio 2HANDS GIOVINAZZO E OPA OPA ON il giovedì, in aggiunta, dalle ore 15.00 alle ore 18.00. THE BEACH UNITE PER IL FLASHMOB NAZIOIn proposito, il Comune di Giovinazzo ha ottenuto un fi- NALE SONS OF THE OCEAN nanziamento regionale, sia per il suddetto CCR che per le isole ecologiche, pari complessivamente a circa 600mila Euro. 28 gennaio GIORNATA DELLA MEMORIA CON FREDIANO SESSI

Per celebrare la Giornata della Memoria 2021, incontro pubblico in videoconferenza alla presenza delle scolaresche di Giovinazzo con lo scrittore Frediano Sessi, autore del libro «Prof, che cos’è la Shoah?» (Einaudi editore). Trattasi di uno dei massimi esperti nazionali in materia di Olocausto, tanto vero che sempre per Einaudi ha curato l’edizione definitiva del Diario di Anna Frank ed è anche membro del comitato scientifico della Fondation Auschwitz di Bruxelles. Vista la nota emergenza sanitaria, l’iniziativa organizzata dall’Assessorato alle Politiche Educative del Comune di Giovinazzo è stata trasmessa in streaming sul canale YouTube dell’Ente.

Pregevole iniziativa dell’associazione 2hands Giovinazzo in collaborazione con Opa Opa on the beach (che tra le sue finalità ha anche quella di promuovere la tutela del territorio e favorire lo sport in acqua) in occasione del flash mob nazionale SONS OF THE OCEAN #unitiperilmare. In perfetta sinergia tra le due realtà si è infatti svolta un’opera di pulizia ambientale a Levante, dalla zona Cappella alla passerella del centro storico, con uno scambio di sostegno per le attrezzature, la logistica e le risorse umane, il tutto nel pieno rispetto delle regole anti-covid. Il soddisfacente bilancio della giornata è stato questo: 111,64 kg di rifiuti raccolti, di cui in particolare 21,84 kg di polistirolo, 39,89 kg di plastica, 9,67 kg di vetro e 39,42 kg di altri materiali. L’associazione 2hands Giovinazzo, composta da più di 100 vo-


lontari tra ragazzi e adulti e non nuova a queste iniziative di sensibilizzazione ambientale, rivolge con tutto il suo entusiasmo il proprio appello alla cittadinanza per crescere ancora di più e fare ancora meglio. 1 febbraio AREE A VERDE IN VIA PAPA GIOVANNI XXIII: PARTECIPAZIONE BANDO RIQUALIFICAZIONE E RIFUNZIONALIZZAZIONE

Dopo Piazzetta Cairoli e Piazzetta Stallone, in via di completamento, nonché Piazzetta Iacobellis, l’Assessorato ai Lavori Pubblici del Comune di Giovinazzo, in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Giovanili, sta partecipando a un nuovo bando indetto dalla Città Metropolitana per la riqualificazione e rifunzionalizzazione di spazi a verde in via Papa Giovanni XXIII. L’idea progettuale, in un’ottica di continua ricucitura urbana, prevede la realizzazione di un importante spazio ludico, la creazione di un’area riservata all’attività ginnica per invogliare i giovani alle buone pratiche sportive e il posizionamento di panchine oltre a nuova piantumazione. Il progetto nasce dall’esigenza di ridare slancio e creare spazi di aggregazione in un quartiere che ne è privo, altresì favorendo la realizzazione di un’area ad oratorio, che potrà servire alla parrocchia S. Giuseppe, prospiciente agli spazi oggetto di futuro intervento. 4 febbraio NUOVE MULTE ABBANDONO RIFIUTI

Ancora verbali e multe per abbandono illegale di rifiuti a Giovinazzo. Nonostante le misure sempre più aspre messe in atto nei confronti dei trasgressori dal sindaco Tommaso Depalma, altri incivili sono stati infatti pizzicati dalle telecamere disseminate in varie zone della città e nelle campagne. Sei le multe elevate dagli agenti del Comando di Polizia Locale grazie al sempre più sofisticato sistema di video trappole che ha permesso di risalire all’identità dei trasgressori. I verbali sono stati elevati sia per l’abbandono di rifiuti nella

campagna, in particolare nella zona Pietre Rosse, sia per l’abbandono di rifiuti domestici nei cestini stradali. Ammonta a 600 Euro la multa per l’abbandono dei rifiuti in agro e a 100 Euro quella relativa ai cestini urbani. Un’altra multa, sempre di 100 Euro, è stata elevata per la mancata pulizia nel posteggio del mercato settimanale. 11 febbraio MADONNA DI LOURDES Festa in onore della Madonna di Lourdes presso la parrocchia S. Agostino. In mattinata si è svolta la tradizionale Supplica guidata dal nostro Vescovo mons. Domenico Cornacchia ai piedi della caratteristica grotta, cui è seguita l’esposizione del Santissimo Sacramento per l’adorazione personale e poi comunitaria. In serata non ha invece avuto luogo la processione Eucaristica che ogni anno vede sempre la partecipazione di una grande fiumana di devoti, ovviamente a causa della pandemia. Al suo posto, al termine della messa vespertina il parroco don Massimiliano Fasciano ha impartito una suggestiva benedizione Eucaristica all’intera città di Giovinazzo da 4 diverse angolazioni della chiesa.


16 febbraio BEATO NICOLA PAGLIA Anche i festeggiamenti in onore del Beato Nicola Paglia, Gloria cittadina, sono stati caratterizzati, per i noti motivi di emergenza sanitaria, solo da celebrazioni liturgiche, in questo caso all’interno della parrocchia S. Domenico. Tutto ha avuto inizio sabato 13 febbraio, con la messa celebrata dal Vescovo mons. Domenico Cornacchia alla presenza delle Autorità civili e militari e dei rappresentanti delle Confraternite e delle Associazioni. Per poi proseguire nei giorni successivi, fino al culmine dei festeggiamenti di martedì 16 febbraio, giorno appunto dedicato alla memoria liturgica del Beato Paglia. Le celebrazioni si sono concluse con la messa solenne officiata dal parroco don Pietro Rubini, con la partecipazione dell’Arciconfraternita della Beata Vergine del Rosario e del Terz’Ordine Domenicano. 11 febbraio CARATTERIZZAZIONE E PROGETTAZIONE AREA VICO CONCEZIONE

Iniziate le attività di caratterizzazione della zona di Vico Concezione, nella parte del centro storico di confluenza con via Spirito Santo, con l’obiettivo di dare nuova linfa alla precitata area e in particolare al rudere ivi presente. E ciò su impulso da tempo arrivato dall’Assessorato ai Lavori Pubblici del Comune di Giovinazzo e a seguito dell’avvenuto affidamento, da parte dell’Ufficio tecnico comunale, delle attività preparatorie alla progettazione e della progettazione stessa. Tappe successive, innanzitutto la mappatura del sito ad opera degli archeologi e architetti incaricati, di concerto con la Sovrintendenza di Bari, e la pulizia della medesima zona. Dopodiché si entrerà nella fase fattiva della progettazione, finalizzata alla realizzazione di un nuovo spazio di aggregazione ovvero alla ricostruzione-rilettura di quanto storicamente esistente. GIANGAETANO TORTORA

a

proposito

...

di

Gli ultimi ruderi del centro storico E’ di qualche settimana fa che la notizia che gli organi preposti del Comune hanno iniziato le procedure di riqualificazione dell’area di Vico Concezione nei pressi di via Spirito Santo, al centro del borgo antico, a pochi passi da piazza Costantinopoli. Praticamente si tratta di un grande rudere, già messo in sicurezza, che stonava con la bellezza e la cura del paesaggio circostante. Sicuramente è previsto un enorme lavoro di caratterizzazione che richiederà, oltre agli interventi propriamente edili, anche quelli della Soprintendenza alle belle arti, al fine di dare adeguata sistemazione alla zona e di eliminare quello che è stato definito un pugno nello stomaco per i residenti e i turisti. Così verrà creato un angolo suggestivo nel nostro rinomato centro storico, che andrà ad aggiungersi agli altri. E magari la novità attirerà maggiormente i turisti o gli abitanti dei paesi vicini che volentieri giungono a Giovinazzo durante il fine settimana per un gelato e una passeggiata. Confesso, però, che a me quell’angolo, come era ridotto ora, mancherà un po’. Si, è vero, è un pugno nell’occhio, non se ne capiva la ragione, e sicuramente in futuro farà posto ad uno scorcio più bello. Ma quel rudere di pietra ricoperto di erba o di arbusti a me ricorda il “paese vecchio” di circa quarant’anni fa, il borgo antico della mia infanzia, cadente e a tratti pericoloso, con travi in legno tra i palazzi, e le vestigia di un tempo glorioso, meta di scorribande di monelli, adatto per giocare a nascondino e per esplorazioni sul modello dei ragazzi della via Pal, narrativa che leggevamo proprio in quegli anni. Era il tempo in cui quei sottani erano ancora abitati da persone anziane, che lì erano nate e che vi alloggiavano precariamente, talvolta senza neppure i servizi. La loro giornata era scandita dal suono delle campane delle chiese circostanti, da dialoghi in dialetto, da cortesie di vicinato, con quella complicità pettegola che faceva tanto paese. Non c’erano i turisti, ma c’era tanto mistero, che promanava dagli antichi palazzi nobiliari e dalle rovine di luoghi che in passato avevano un significato, una importanza, un interesse per gli uomini, e oggi nulla più, solo un recinto ad evitare che qualcuno possa farsi male. Il tempo passa, i costumi evolvono, cambiano i luoghi, e la storia procede il suo cammino. I ricordi si appannano e vengono meno i pochi elementi che possono ancora offrire una testimonianza come quei luoghi che oggi la gente non riconosce più, non interpreta, non ama. Luoghi che però riescono ancora a parlare a chi sa ascoltarli. AGOSTINO PICICCO


Angelo D. De Palma*

GOVERNO DRAGHI: NONOSTANTE TUTTO CE LA FARÀ Il nuovo Governo, presieduto da Mario Draghi, pare ormai definitivamente avviato. In un momento storico, nel quale gli impegni presi e le dichiarazioni fatte dai partiti sembrano sorti per essere ogni giorno sempre più disattesi e smentiti, non si è trovato di meglio che varare un esecutivo nel quale ci sono tutti (o quasi). Miracolo compiuto dalle somme più che cospicue che i governanti si apprestano a maneggiare fra non molto? Forse sì. Ma forse anche no. L’UNICA STRADA PERCORRIBILE La verità è che le elezioni politiche, che a lungo si sono invocate, al momento nessuno - o quasi - le vuole. Anche perchè, come ha affermato il Capo dello Stato, esse potrebbero comportare una pausa di tempo non breve, in un frangente in cui occorre agire ed agire velocemente. Dunque, scartata l’idea delle elezioni, non resta che la soluzione universale: tutti dentro e nessuno fuori; con l’immediata conseguenza che soggetti, che fino a ieri hanno litigato (e spesso in modo plateale), sono obbligati a lavorare gomito a gomito, facendo tacere il loro particulare. E devono farlo per forza ed al meglio delle loro possibilità, anche perchè, sulle ‘pecore matte’, vigila e digrigna i denti un cane da guardia di nome Draghi. Ci riusciranno? E, soprattutto, riuscirà Draghi a fare tutto, presto e bene? IL PERSONAGGIO È di quelli che ambiscono a vestire i panni del ‘salvatore della patria’. Si dice che, alla guida della BCE, ha ‘salvato l’euro’. In realtà, a ben guardare, probabilmente ha già una prima volta salvato l’Italia, adottando soluzioni economiche e finanziarie assolutamente nuove ed inedite, per di più decise in presenza di un atteggiamento intemperante e duro del Presidente della Bundesbank e della stessa signora Merkel. I risultati gli hanno dato ragione ed oggi Draghi raccoglie i frutti di quello che ha seminato. Che la soluzione, sotto il profilo personale, sia idonea lo dicono subito gli effetti che il suo nome ha determinato sul debito pubblico italiano, sullo spread e sui mercati. Ma è tutt’oro quello che luccica? Cerchiamo di vederlo insie-

me, in poche battute. DATI POSITIVI E DATI NEGATIVI Come si appena accennato, all’esterno gli effetti paiono tutti positivi. Ma qualche nota non lieta c’è pure, ed è all’interno. Ci aspettavamo un Governo del tutto nuovo e senza legami, nè personali nè fattuali, con il precedente ‘Conte due’. In altri termini, pensavamo che la personalità titanica del soggetto fosse tale da consentirgli di nominare, ancorchè nell’ambito dei partiti forzosamente alleati, persone nuove, esperte e preparate in ciascuno specifico settore (ciò che, in mancanza di ruggini precedenti, avrebbe favorito una maggiore intesa per gli interessati ed un risultato complessivo migliore, anche per l’intervento di tecnici, di persone, cioè, dedite da una vita a svolgere particolari funzioni oggi grandemente richieste). È accaduto, invece, che il nuovo gabinetto, più che presentarsi come nuovo ed originale, è parso giungere quasi come semplice trasmigrazione della precedente compagine, della quale parzialmente ha pure ereditato l’inesperienza e la scarsa attitudine; sicchè taluni si trovano nominati solo perchè già occupavano una postazione, che è stata quindi semplicemente confermata. L’individuazione di parte dei ministri nasce, quindi, come inevitabile portato della politicizzazione dilagante (per la quale ogni partito, anche se talvolta indebitamente, deve avere la propria ‘visibilità’) e non come operosa scelta dell’uomo giusto al posto giusto. Vi è di più. Anche secondo le regole della politica invasiva, compaiono - a voler proprio ammettere la necessità di questo procedimento - alcuni errori di sintassi, giacchè non è stato riconosciuto a ciascun gruppo secondo i numeri riportati nelle ultime elezioni politiche, ma secondo altre e diverse ragioni. Alla fine, il Movimento 5 stelle, la cui compagine risulta ora più ristretta e meno prestigiosa, risulta sicuramente ridimensionato e mortificato, mentre il PD appare almeno sulla carta - il vero detentore delle leve del potere. I c.d. ‘tecnici’? Al di là di

quanto appare - e fatta eccezione per alcuni pochi - la loro scelta è avvenuta nelle ‘aree politiche di appartenenza’, ciò che ha comportato che buona parte di essi non solo non sia estranea alla logica dei partiti, ma anche le loro ‘aree politiche’ di provenienza non siano certamente nè di destra, nè di centro. Si dice che le scelte, in linea generale, sono state operate in accordo con il Quirinale. Non siamo in grado di confermare, nè di disattendere tale indiscrezione. Sta di fatto che avremmo, dinanzi ad una situazione straordinariamente grave, preferito un vero e proprio Governo Draghi, composto alla maniera di Draghi. In ogni caso, un fatto sembra certo e verificabile: da ora in poi come ha detto Supermario, «poche parole e molti fatti». Un’ultima osservazione: nel passaggio fra il Conte bis e l’attuale Governo, la maggioranza dei ministri è passata dal centro-sud al centro-nord (ed anche questa novità è suscettibile di avere delle conseguenze). Tre sono, sostanzialmente, gli obiettivi del nuovo esecutivo: superamento della pandemia (con l’intensificazione delle vaccinazioni, fin qui effettuate troppo a rilento); ripresa economica ed industriale (anche grazie agli aiuti europei); riforme (della Giustizia e del Fisco). Draghi farà bene, in sede di avvio, a spronare tutte le energie verso il raggiungimento dei primi due bersagli. Quanto alle riforme, abbia presente che quelle vere ed effettive devono essere organiche e che per farle è necessario molto tempo. Nel frattempo, si accontenti di rendere più fluido il processo civile e di semplificare, anche nel pagamento, alcune imposte. Già così, la prova sarà molto ardua. Ma abbiamo ragione di pensare che Draghi (e, con lui, l’Italia tutta) ce la farà. * GIA’ AVVOCATO GENERALE DELLO STATO A VENEZIA


il corsivetto

DI

Angelo D. De Palma*

GRANDI EVENTI E PICCOLI UOMINI LA POLITICA. Dal centro alla periferia: la corsa alla poltrona e i problemi sociali non risolti Unicuique suum (a ciascuno il suo) è una delle regole fondamentali dell’ordinamento per l’antico giurista Modestino. Ed, in effetti, in una società ordinata, fondata sul principio della specializzazio ne, deve essere riconosciuta a ciascun cittadino la possibilità di seguire il proprio naturale talento, se tutti crediamo nella preziosa collaborazione di ciascuno al raggiungimento del progresso sociale, senza disordini, senza sovrapposizioni. Sta di fatto, tuttavia, che talvolta la storia si ferma e che molti ritengono, pur senza essersi preparati per farlo, di essere in grado di fare tutto ed il contrario di tutto. Il campo di azione, ai nostri giorni, è la politica. Tutti ritengono di essere in grado di praticarla e di conseguire risultati utili. Ed indipendentemente dai meriti o dagli studi compiuti. Il risultato è che molto spesso i cosiddetti politici sono soggetti che hanno, al massimo, seguito un corso serale ed accelerato di retorica. Avviene, così, che quella che dovrebbe essere la più diffi-

cile delle discipline, perché scienza militante, come spesso affermava il nostro Maestro, diventa mero e sterile esercizio di mantenimento di poltrone traballanti, mentre, tutto intorno, prendono sempre più forma concreta ed inquietante i flutti impietosi che sopraggiungono inarrestabili, finché, come per il Titanic, mentre la gente balla e festeggia senza ragione, la nave affonda. L’ESEMPIO DALL’ALTO. Uno spettacolo indecoroso, fra i tanti, è quello messo in scena alcuni giorni or sono a livello della cosiddetta Grande Politica o Politica Nazionale: una piccola componente della maggioranza di governo ha richiamato l’attenzione delle forze politiche sul fatto che, al di là delle promesse e delle belle parole, i provvedimenti dirimenti annunciati dal governo si erano rivelati, in gran parte, un semplice flatus vocis, mentre, a causa delle drastiche normative imposte per la pandemia, i cittadini soffrivano fortemente, abbisognando di rimedi concreti e non di pannicelli caldi, o di sperpero di pubblico denaro verso finalità improduttive o, ancor peggio, di risorse seminate a pioggia e senza criterio; con una coda velenosa: la società fornitrice dei vaccini Pfizer preferiva sospendere in atto la fornitura all’Italia per avviare, sotto banco, cospicue quantità del farmaco alla Germania. Ne è seguita una vera e propria crisi di fiducia, conclusasi avventurosamente,

con una conclusione tale da consentire a chi comanda la conservazione delle poltrone (memorabile la supplica in pieno Parlamento: «Aiutateci! Aiutateci!») almeno per il momento. Eppure non poche delle osservazioni presentate sono apparse opportune e fondate; ciò che non è bastato, per esempio, per chiedere agli esperti di rimpolpare adeguatamente i piani ed i programmi, piuttosto deludenti, necessari a consentire all’UE di accordarci i finanziamenti richiesti. LA PICCOLA POLITICA. Passiamo alla nostra piccola politica cittadina. Come si sa, con una recente sentenza definitiva, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di alcuni privati contro la mancata effettiva urbanizzazione delle aree edificabili poste oltre la linea ferroviaria (la previsione era basata su di un incremento demografico della città in realtà mai avvenuto). Tale pronuncia arrivava, peraltro, al momento in cui l’attuale Amministrazione comunale contava di accelerare l’iter approvativo del P.U.G (Piano Urbanistico Generale), una volta licenziato il documento programmatico preliminare (D.P.P.) non ancora ultimato e prodromico rispetto allo stesso P.U.G. Agli interessati che ora sollecitano e protestano si risponde che “non c’è tempo per individuare delle soluzioni condivisibili”, offrendo unica prospettiva quella della probabile perequazione con l’area di sedime della ex A.F.P. Ci sia consentito osservare a chi ha fretta che non è importante fare presto quanto fare bene, almeno tanto da evitare, sul corpo già martoriato della città, una nuova e grave offesa. E già! Perché non si tratta solo di risolvere la questione prospettata dalla intervenuta decisione. Di questioni ce ne sono ancora tante e tutte particolarmente rile-


COSA SUCCEDERÀ? Dopo la sospensione dell’esecutività del Piano Particolareggiato sulla Zona Residenziale di Espansione di Nuovo Impianto (Zona C3) il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di alcuni privati contro la mancata effettiva urbanizzazione delle aree edificabili vanti. Vanno dal recupero nel territorio cittadino della c.d. zona artigianale (trasformata in zona residenziale) al nuovo utilizzo della costa (dopo il fallimento del grande porto turistico), dal recupero del principio della crescita della città per fasce circolari concentriche alle zone litoranee, con quella verso S. Spirito (afflitta dalla presenza del centro depo-

sito mezzi e raccolta rifiuti urbani, dall’insufficiente impianto di depurazione, da spostare altrove, e dalla classificazione obsoleta come zona agricola) e quella verso Molfetta (spostamento del cimitero in altra area, classificazione nuova e più adeguata delle aree ancora definite come zone agricole). La legge regionale n. 20/2001, come è noto, ha trasformato il vecchio piano regolatore nel nuovo P.U.G. (Piano Urbanistico Generale), articolando quest’ultimo in piano strutturale e piano programmatico e dettando (art. 4) le regole attraverso il D.R.A.G.(Documento Regionale di Assetto Generale) di creazione delle forme e del contenuto del P.U.G. e ponendo, così, come atto propedeutico allo stesso P.U.G il Documento Programmatico Preliminare (D.P.P.) che viene adottato dal consiglio comunale, pubblicato ed offerto alle eventuali osservazioni, in tal modo consentendo un controllo pubblico degli obiettivi fatti propri del P.U.G. in itinere. In definitiva, il complesso procedimento risulta così circostanziato; la giunta comunale approva il cosiddetto atto di indirizzo, contenente una prima presentazione degli obiettivi generali del nuovo P.U.G.; il consiglio comunale provvede, successivamente, all’adozione del D.P.P., previo superamento della fase delle osservazioni; indi lo stesso consiglio adotta il nuovo piano. Poiché il D.P.P. attinge dall’atto di indirizzo i criteri e le scelte della pianificazione, rendendoli funzionali ed avendo a parametri sostenibilità, qualità, efficienza, bellezza della città e del territorio, trasparenza, partecipazione, equità, flessibilità ed operatività del piano, co-pianificazione e collaborazione interistituzionale, si comprende a piene mani la necessità di approfondire, per appianarle, tutte le situazioni cui sia possibile riconoscere preliminare ed equa riso- * GIA’ AVVOCATO GENERALE DELLO luzione. Ora e non alle calende greche. STATO A VENEZIA




quella

strada

DI

SERGIO PISANI

VIA CAV. LUIGI SCIVETTI

FOTOGRAFIA DI UN SINDACO D’ALTRI TEMPI Se esistesse allora la classifica dei Sindaci più amati d’Italia redatta da Il Sole 24 ore, il cav. Scivetti sarebbe indubbiamente su uno dei gradini più alti. Per tanti motivi. ERA FIGLIO DEL POPOLO. Invitava i figli di papà, quelli che potevano permettersi il lusso di non sporcarsi le mani lavorando, a rimanere nel calduccio della casa borghese a leggere Topolino. ERA UN SINDACO OPERAIO. Se c’era una buca da rattoppare, prima che il tempo la trasformasse in una voragine, aspettando l’impresa affidataria per la manutenzione delle strade (oggi accamperebbero sempre pretese di maggiori compensi) provvedeva direttamente lui, insieme al vice sindaco Piscitelli, Fedele di nome e di fatto, a chiuderle con una carriola d’asfalto. AVEVA SOLO LA 5^ ELEMENTARE. Eppure dispensava correzioni di partito, lezioni di lealtà anche al giurista nonchè Primo Ministro Aldo Moro al quale riuscì addirittura a estorcere più di una promessa. Per due volte, infatti, durante il suo mandato, il cav. Scivetti si fiondò al Comando dei Vigili Urbani: «Devo andare a Roma, mi serve la macchina e un Vigile». Il viaggio verso Roma era una corsa contro il tempo, costringeva il vigile - autista a premere sempre più forte sull’acceleratore. Arrivato a Palazzo Chigi, espletati gli oneri di riconoscimento davanti alla Guardia d’onore, entrò senza bussare (glielo aveva detto personalmente Aldo Moro)

nel suo ufficio. Sì proprio quello della Presidenza del Consiglio dove fu firmato il provvedimento che assegnava a Giovinazzo 120 milioni di lire per iniziare a costruire la Casa di Riposo San Ciardi erano nemici solo in campo politico e in pubblico, nelle piazze e nelle strade, invece nella vita erano legati da un’amicizia sincera. GALEOTTO FU QUELL’ATTO EDILIZIO. Benigni dice che le mogli dei politici fanno tutte beneficenza, hanno il senso di colpa per quello che rubano i mariti. Beh, non fu il caso della moglie del cav. Scivetti. Proprio lei che ha continuato a corrispondere ai legali difensori gli onorari dovuti per la difesa del marito Sindaco, anche dopo la sua morte, davanti al «Pretore Penale». E la vicenda la voglio ricordare perché la storia non si può e non si deve imbellettare. 1973 – 1975, infatti, erano gli anni in cui l’economia locale cominciava a scricchiolare: la sirena dell’AFP preannunciava la crisi produttiva dell’acciaio, la campagna, la pesca e l’edilizia erano paralizzate. A Giovinazzo si assisteva a una quarta emigrazione, all’ennesima fuga verso la Germania e Oltreoceano. Il sindaco, stretto tra troppi vasi di acciaio, tra le lamentele della gente e l’assenza di dotazione del Piano Regolatore, decise alla fine di far decollare comunque l’economia. Si assunse pertanto il coraggio e la responsabilità di firmare alcune licenze edilizie davvero bordeline, al limite della regolarità. Quello stesso coraggio e quella stessa responsabilità che erano mancati ai suoi predecessori. Furono licenze giudicate illegittime dall’opposizione e che portarono il sindaco Scivetti davanti al Pretore Penale. Dopo due gradi di giudizio, il sindaco - operaio venne però assolto in Appello. E’ morto senza neanche una casa di proprietà, mentre dalla quella sua iniziativa che lo portò in disgrazia, cominciò la fortuna dei tanti palazzinari


FOTO STORICA La 1^ giunta comunale democristiana. Da sin.: Cav. Luigi Scivetti, ing Lozzupone (sindaco), dott. Colamaria, Guastadisegni, ing. Martinelli, Pasquale Dagostino che misero mano alla speculazione edilizia più indovi- VITA CITTADINA nata del secolo scorso, cementificando la costa fino al Il vice sindaco Fedele Piscitelli, il sindaco Lido Lucciola, oltre la Contrada S. Matteo. Scivetti, la guardia E’ IL 6 FEBBRAIO 2021. Dopo trent’anni dalla morte municipale Giovanni del sindaco - operaio (o anche del 1° sindaco elettricista Parato poiché manutentore della rete elettrica presso le Ferrovie dello Stato), il suo “collega” Tommaso Depalma, insieme alla sua Giunta, ha intitolato la III traversa via Bari al Cav. Luigi Scivetti. Una strada nel ricordo di quel sindaco operaio con la carriola che, mentre la spingeva, gridava alla sua gente «Inda… al Cuore». Fotografia di vita in bianco e nero, ma con tutti gli splendidi colori di una comunità che non c’è più. SERGIO PISANI


storia

nostra DI D IEGO

DE

C EGLIA

ARCICONFRATERNITA DEL CARMINE

STORIA DELL’ATTUALE APPARATO QUARESIMALE Lo scorso 17 febbraio, mercoledì delle ceneri, è cominciato con la Quaresima il nostro cammino verso la Pasqua, che in Puglia nella settimana santa è caratterizzata dalle processioni con immagini sacre, la maggior parte delle quali, insieme ai rispettivi basamenti ed ornamenti sono vere e proprie opere d’arte. Delle immagini che componevano, e compongono, le processioni pasquali a Giovinazzo ci siamo occupati già in altre circostanze; cogliamo qui l’occasione per trattare di un oggetto che funge da basamento per una immagine di Gesù morto esposta nella chiesa di S. Giovanni Battista e che, sebbene non componga la processione del venerdì santo, da qualche tempo, è utilizzato dall’Arciconfraternita del Carmine per un “allestimento scenografico quaresimale” che a volte si arricchisce di una coltre di raso nero ricamata in oro. Questo panno nero ed il basamento, che si presenta come una cassa funebre riccamente decorata, altro non sono che l’antico apparato funebre dell’Arciconfraternita del Carmine. Diversi erano i catafalchi funebri, una volta utilizzati dalle confraternite per i funerali e per l’ottavario dei defunti, dei quali avevamo già offerto una rassegna fotografica di quelli superstiti con il numero di dicembre 2019. Alcuni di questi antichi manufatti in alcune città sono esposti nei musei, in altre acquistando nuovo valore, sono stati riutilizzati in tutto o in parte: vedasi il caso dei ricami a filo d’oro degli antichi drappi funebri che sono stati trasferiti su nuovi tessuti per il decoro degli altari. Con l’articolo del dicembre 2019 rivelammo il nome dell’autore del catafalco dell’Arcicongrega del Santissimo, ovvero l’architetto Vincenzo Mastropasqua; ora ci è possibile anche conoscere il nome degli artisti che crearono quello dell’Arcicongrega del Carmine, meglio nota come “congrega dei galantuomini”. Per pura casualità, infatti abbiamo rinvenuto presso l’Archivio Diocesano tutto l’incartamento relativo alla sua realizzazione. L’apparato si componeva di più pezzi, di materiali differenti, com’è possibile dedurre dalla descrizione che se ne fa in un inventario ottocentesco della confraternita, senza data, ma stilato sicuramente dopo il 1884 anno in esso citato. In detto inventario in realtà sono menzionate due casse; quella indicata come “vecchia” aveva in dotazione «una coltre di seta nera con fodera di tela con gallone e frangia di argento»; quella indicata come “nuova”, anzi nuovissima aveva «una

Funerale ante 1938

(per gentile concessione

del Circolo Leonardo)

grandissima coltre di velluto in seta nero… foderata di tela nera, con galloni di falso oro e riccamente ricamata di oro fino …quattro grossi fiocchi, con lacci ed tutti di seta nera ed oro falso … per i quattro angoli della detta coltre». Questa cassa funebre fu realizzata nel 1878, come possibile rilevare dalle note di spesa che riportano, oltre alle distinte e al totale della cifra impiegata (lire 4.269,62), anche il nome degli artigiani, veri artisti del momento. Ci piace qui ricordarli tutti, insieme alla manovalanza impiegata, perché l’opera finale, che si può ancora apprezzare per la sua magnificenza, è il risultato di un lavoro di squadra i cui componenti furono tutti retribuiti in proporzione alla professione esercitata e all’impegno profuso, diverse infatti sono le mance extra elargite e debitamente registrate. Al priore pro tempore della confraternita, sig. Vincenzo Goffredo, indicato anche nella fattispecie come “direttore dei lavori”, fu riservato il compito di coordinare e controllare l’operato di ciascuno: di Santoro, mastro falegname che realizzò a Bari la cassa funebre; di Donato Maiellaro intagliatore barese; di Cataldo Galiano, barese anch’egli, indoratore; di Giovanni Affatati, col suo facchino, incaricato del trasporto in Bari del materiale occorrente. Si può solo dedurre che quest’ultimo fosse anche il mercante di tessuti perché, a fronte di un totale di lire 4.269,62 per tutto l’apparato, il solo suo compenso ammontò a £ 1.800,00. Alcune spese per “facchinaggio” furono liquidate a diverse persone, delle quali non è indicato il nome e a un fabbro per alcuni forchettoni e altri articoli in ferro necessari per sostenere la cassa funebre. Preziosa fu l’assistenza assicurata dal falegname Luigi Molinini. Nicola Pancotto, cocchiere, più volte accompagnò il priore ed altri a Bari per “sorvegliare” gli artigiani nell’avanzamento dei lavori e per l’acquisto tra l’altro dei tessuti necessari, e a Bitonto. A proposito di tali viaggi si forniscono più precise informazioni. Piuttosto complesso dovette essere stato individuare e scegliere sarta e ricamatrice per la coltre di velluto. Sempre nelle note di spesa infatti si precisa che alcuni viaggi furono compiuti a Bitonto per proporre il ricamo alle suore dell’Orfanotrofio di quel paese, e a Bari per trattare con talune altre ricamatrici. Grazie però alla mediazione della nobildonna signora marchesa di Rende, che si era anche interessata per l’acquisto del velluto, l’incarico fu affidato alla ricamatrice


e

Coltre funebre dell’Arciconfraternita del Carmine riutilizzata come addobbo

grandi colonne, dipinto tutto a fazione di marmo con vernice, in ottimo stato, perché riparato in settembre 1884, completo con quattro aste fornite di bandiere di tela nera con teschio dipinto e due paia di fiocchi anche neri per ornati» (descrizione dall’inventario ottocentesco). Di «una nuova coltre e cassa funebre per la tumulazione dei confratelli defunti essendosi rese le vecchie, che da oltre mezzo secolo preesistevano, del tutto inservibili per il lungo loro uso e vetustà» si parla nella delibera del Consiglio di Amministrazione del 3 gennaio 1887, precisando che le vecchie coltre e cassa «eransi rese indecentissime eppur ignominiose per il bisogno dell’Arciconfraternita, che di nobili signori di questa città si compone». Nella stessa delibera si legge che la costruzione del nuovo apparato era già stata approvata fin dal 1878 con due deliberazioni del 24 marzo e 24 novembre e commissionata nel 1880 ai diversi artigiani individuati per l’esecuzione dei lavori. Sette anni più tardi moriva a Giovinazzo la marchesa di Rende, e il figlio conte don Luigi Siciliano per il funerale della nobildonna, che sarebbe stato celebrato nella cappella dell’Istituto vincenziano di S. Giuseppe il 15 marzo 1887, chiese alla congrega del Carmine il prestito del suo catafalco. Con delibera del 5 marzo 1887, anche se l’apparato funebre doveva servire solo «per la tumulazione de’ fratelli defunti, i funerali dei quali … cadono a carico del Pio Sodalizio», l’Assemblea dei confratelli di buon grado accolse “in linea eccezionale” la richiesta del conte «visto i molti servizi resi a questa Arciconfraternita dalla defunta signora marchesa, fra cui va notato quello di essersi ella cooperata assai per l’acquisto del velluto e lavoro della coltre funeraria dalle suore di S. Agostino alla Zecca di Napoli, con perfezione d’opera e pochissima spesa, viste le sublimi doti dell’illustre estinta di un animo informato ad ogni sorta di vera bontà, virtù si aveva; visto le innumerevoli opere filantropiche della intera famiglia di rende prodigata che benemerita la rende, e benedetta fra la gente beneficata, poiché in ogni tempo larga d soccorso e di consigli è sempre stata alla classe indigente di ogni parte», Non fu questa l’unica occasione in cui l’apparato funebre fu eccezionalmente concesso in prestito. Infatti con delibera del 12 gennaio 1890, «visto i servizi che il Capitolo in vari rincontro ha resi a questo pio sodalizio», fu accolta la domanda del provicario del Capitolo Cattedrale di Giovinazzo «con cui chiede ad imprestito la coltre e cassa funebre di nostra Arciconfraternita dovendo erigere nel mezzo della Chiesa Madre un catafalco per i funerali ad eseguirsi in memoria del defunto monsignor Rossini Arcivescovo delle diocesi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi».

suor Teresa, Figlia della Carità di S. Agostino alla Zecca in Napoli (precisazione questa contenuta in una delibera dell’Assemblea dei confratelli del 5 marzo 1887). La commissione del prezioso lavoro a quest’Ordine di religiose di Napoli è caratterizzata da varie fasi, meticolosamente appuntate nel libro dei conti per le spese che comportarono. Inizialmente fu loro spedito a Napoli, per ferrovia, prima il disegno della coltre e quindi la cassa con il velluto occorrente che era già stato preventivamente tagliato in pezzi a misura dal sarto giovinazzese Nicola Scarda. A consegnare il prezioso tessuto alle suore provvide però personalmente il sig. DIEGO DE CEGLIA Goffredo che si portò in “gita” nella città partenopea. Nel corso del lavoro, costante fu il rapporto epistolare tra il prio- Cassa funebre dell’Arciconfraternita del re e la Superiora delle Figlie della Carità che, quando suor Carmine riutilizzata come basamento per Teresa completò il ricamo, affidò il tessuto a Monsignore Filippo D’Amico, prestigioso prelato presso la Curia napoleta- la statua del Cristo morto na, intermediario per la restituzione al committente. Per il ricamo, e per il materiale occorrente, oro compreso, le suore ricevettero £ 1.800,00. Dopo essere stato temporaneamente depositato in casa del sig. Goffredo, il prezioso manufatto tessile fu trasferito presso un locale della confraternita, non prima però che fosse «posto il magazzino in buone condizioni». Il sarto giovinazzese Scarda ebbe il compito di completare la coltre con fettucce, cordicelle, bottoni di osso, anelli, asole. Con grande soddisfazione di tutti, il sodalizio ebbe così, con il «catafalco, che si usa per l’ottavario della commemorazione dei defunti, composto di base e piramide troncata, in tre pezzi e quattro


DI SERGIO PISANI

TOM TOM ADDOMESTICA ADDOMESTICA LA LAPANTERA PANTERADEL DEL TERRORE TERRORE DI DI PUGLIA PUGLIA «Sorella Pantera, in nome di Dio ti ordino di non fare male a me e a tutti i pugliesi»... La supplica del sindaco Tom che fa da didascalia alla foto in cui addomestica la pantera, è diventata la foto del 2021. Più virale del panda cinese che abbraccia il custode dello zoo di Everland (cliccata su Instagram da 5 milioni di followers). Più cliccata della vecchia Panda 4×4 guidata da Roberto Baggio mentre si dirige in campagna a caccia. Seconda solo a Cristiano Ronaldo, abbracciato a Maradona (ci mancherebbe, come loro nessuno mai!), che ha ricevuto, nel giorno del suo addio, 19.7

mln di like. A questo punto anche il suo agiografo Michele Sollecito deve darci una spiegazione plausibile di quanto accaduto: scegliamo il Pacco della Fortuna da 500mila euro se dobbiamo gridare al miracolo, o il pacco Sgambetto se si tratta della più classica bufala da photoshop di Tom adventure per terrorizzare gli sporcaccioni più reticenti dell’agro pubblico (nella foto alle spalle) che profuma di storia con le sue cento chiese rupestri? Chi conosce Tom, sa che non avrebbe mai affidato la cura dei suoi capelli al tricologo del Cavaliere perché, Lui, B. come lo chiamano Travaglio e Fusaro, ci ha fatto vedere solo il miraggio del miracolo italiano. Noi che conosciamo Tom da prima che scivolasse sullo sterco, in volata con la bici sul traguardo di Andria, possiamo riconoscere solo la bellezza della sua purezza

d’animo e della filantropica opera verso la sua Giovinazzo senza cadere in tentazione, come fa chi frequenta la piazza dell’ovvio, del “così fan tutti”, del “così son tutti”. Siamo, dunque, tentati di aprire il pacco 1, di credere che il saio che indossa Tom non sia una favola, un gioco o una fiction ma profumi davvero di santità come San Francesco mentre la sua fascia istituzionale somiglia al crocifisso dell’esorciccio per scongiurare il demonio degli inzivosi seriali (poteva anche evitare di indossarla davanti alla pantera perché omnia munda mundis vale solo per chi paga la monnezza). Spieghiamoci meglio. Così il sindaco promulga, divulga e minaccia contro i suoi sporcaccioni inquisitori: «Adesso basta, ho deciso di applicare la sanzione più alta nei confronti di questi vigliacchi che continuano a sfregiare la città e


l’ambiente. La multa per l’abbandono illegale di rifiuti non sarà più di 100 euro bensì di 600. E vediamo se da questo momento in poi qualcuno inizia a pensarci due volte prima di fare l’incivile». Bravo, ben detto. Anzi, ben detto il cavolo! Solo parole, parole, parole. Parole soltanto parole. Che cosa sei Tom? Un Santo o un Mistificatore? A Giovinazzo funziona così. Faccio la differenziata non per senso civico ma per pagare di meno la Tari. E quando la Tari non scende di prezzo, sale lo spirito di abbandonismo, il numero degli sporcaccioni, non sei mica Santo, nemmeno un Sindaco, ma solo chiacchiere e distintivo. Madooo, come fan presto ad appassire le rose. «Giovinazzesi ingrati, patiscono tutti di amnesie» ricorda Tom ai nostri taccuini. «Tom Boonen, Niki Terpstra, Paolo Bettini, Filippo Pozzato…». No grazie, non sono interessato. Lo stoppiamo mentre inizia a recitare la formazione della Quick Step che invitò per promuovere Giovinazzo già nel lontano 2003. Che fare? A Tom che è il 2° sindaco - elettricista della storia repubblicana (il 1° fu il cav. Scivetti) si accende la lampadina. «Portatemi nel bosco di Mercadante, di sera possibilmente. Vi assicuro che non è un capriccio. Ogni cosa ha il suo tempo. Anche l’amore perduto, ritornerà». C’è una pantera da andare visitare. Essa continua a seminare il panico nel barese. Il suo collega sindaco di Acquaviva ha firmato un’ordinanza con la quale vieta lo svolgimento di qualsiasi attività sportiva o agricola e il transito ciclo - pedonale ai cittadini in tutte le strade di campagna e sulle strade extra urbane del territorio. «Noo, le bici noo. Caro sindaco Carlucci, toglimi tutto, calcio, calcio a 5 e badminton, ma i biker non li dovevi proprio discriminare. Datemi un saio, portatemi dalla pantera nera e restituirò la bici ai biker, i monopattini ai Conteboys, la pace e la pulizia a chi se la merita». Tutto vero. Pare secondo il racconto della guardia forestale che la pantera sia rimasta narcotizzata dal Cantico

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delle Creature del sindaco Tom: «Sai dov’è… l’isola di White?...». La pantera stranita non capiva ma incuriosita ha accettato l’offerta, voleva conoscere la pioggia di farfalle della vallata in Cala Ponte. Così Tom le ha dato un nome e cognome, Dik Dik, l’ha messa a guisa di leone come sentinella dalle Pietre Rosse a Sette Torre per gli inzivosi che abbandonavano la monnezza, mentre, nell’avveniristico parco naturalistico dell’ex area della Ferriera, come Pink Panther attraction (come la scimmietta che c’era una volta nel Parco Scianatico) a beneficio di chi pagava la Tari e il canone Rai. In cambio, potevano on demand rivedere Oggi le comiche, il sabato a mezzogiorno in tv e SuperGulp, Fumetti in TV ogni sera. Risultato: l’animalhouse - poll ha registrato nella prima settimana una riduzione del 90% di rifiuti abbandonati lungo le banchine delle strade vicinali. Il Sindaco Depalma «E’ merito della presenza della pantera, non delle foto - trappole. Il mozzico della pantera è brutto assai». Il capogruppo di PVA, l’avv. de Gennaro, non ha mai mostrato tanta felina dialettica. E per rimanere in tema prende in prestito da de André pensieri e parole di don Raffae’ per fotografare il vero Tom: «Tutto il giorno se la fa con quattro infamoni, briganti, papponi, cornuti e lacchè. Tutte l’ore co’ ‘sta fetenzia che sputa minaccia e s’a piglia co’ me, co’ PVA e PD che non lo fanno lavorà…». Anche di questo l’agiografo Sollecito deve offrirci una spiegazione plausibile. A noi della carta stampata non resta che registrare, dopo l’arrivo del Giro d’Italia e delle Frecce Tricolori, il terzo miracolo di Tom: aver addomesticato la Pantera del terrore di Puglia. Proprio come fece S. Francesco con il lupo di Gubbio. Tom? Santo subito! FAKE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE

SERGIO PISANI


l’angolo del lettore di ALESSANDRA TOMARCHIO

DALLE GUERRE CIVILI ALL’EMERGENZA SANITARIA

ROCCO DEPALO, UN MEDICO SENZA FRONTIERE L’emergenza Covid ha riportato in luce l’importanza dell’azione umanitaria, per comprenderne l’essenza, in un momento così difficile, abbiamo voluto incontrare un nostro illustre concittadino, il dott. ROCCO DEPALO, che si è distinto per impegno e professionalità, in qualità di medico, ma anche di militare svolgendo la sua attività a fianco dei pazienti, nei luoghi più disperati del nostro pianeta. Una interessante chiacchierata che vuol essere un invito per tutti a riscoprire il naturale istinto all’aiuto, ricordando che le persone appartengono tutte a un unico genere: quello umano.

FOTOGRAFIA, MICHELE DECICCO

Negli anni ’80 ha inizio quella che sarà una lunga carriera «Dopo essermi laureato in medicina nel 1983, ho conseguito tre titoli di specializzazione: il primo in ginecologia ed ostetricia, il secondo in medicina legale e infine quello in igiene e medicina preventiva. Nel 1986, mentre mi preparavo a conseguire la prima specializzazione, partecipai ad un concorso per diventare ufficiale nelle forze armate e lo vinsi, così presi servizio come tenente medico iniziando la mia carriera nella sanità militare, durata fino al 26 febbraio dello scorso anno quando, per sopraggiunti limiti di età, sono stato congedato, anche se per noi militari non si tratta mai di una quiescenza vera e propria ma diventiamo ufficiali di riserva in quanto, in caso di grave emergenza, potremmo essere richiamati a prestare servizio. Io continuo comunque a svolgere la mia attività professionale come medico legale, in collaborazione con il tribunale di Bari; sono infatti consulente per il tribunale civile e perito per la sezione penale, un’attività devo dire molto intensa». Tutta la sua carriera è stata molto intensa viste anche le numerose missioni in

territori devastati da pesanti conflitti, a cui a preso parte. «Ho partecipato a ben cinque missioni all’estero: nel 1991 presi parte all’operazione “Pellicano” in Albania, poi nel 1993 all’operazione “Ibis” in Somalia, l’ anno successivo a quella in Mozambico, nel 1996 in Bosnia a Sarajevo e l’ultima, nel 2007, in Afghanistan». LE MISSIONI UMANITARIE Sicuramente la prima missione deve essere stata un’esperienza molto forte «certo, nei contesti di emergenza ci si ritrova ad affrontare situazioni di estremo bisogno a cui non si è preparati, e per di più in contesti di estremo disagio». Tutto cominciò con lo sbarco dei primi profughi albanesi all’inizio degli anni ’90 «Quando giunsero a Brindisi i primi ottocento profughi albanesi, poi subito radunati a Restinco, fui chiamato come medico militare, ad allestire un punto di primo soccorso dove per più di 24h visitai tutti, c’erano molte urgenze e lì scoprii anche che gran parte erano affetti da scabbia, malattia ormai rara da noi, per la quale procedemmo con urgenza. Fu questo il primo intervento che segnava


MEDICI SENZA FRONTIERE: «Vedevamo la differenza tra due mondi: lì il valore della vita e della salute, per noi fondamentali e inalienabili, erano alquanto relativi, quasi nessuna attenzione alla vita umana che al massimo poteva valere un centinaio di dollari» l’inizio della missione che di lì a poco avrebbe portato le nostre forze armate ed anche me direttamente sul territorio albanese per pianificare gli aiuti sanitari di cui necessitavano gli ospedali. Messo piede nella città di Valona, trovammo una realtà alquanto anomala, per le strade fummo colpiti da due cose: da una massa di uomini disoccupati, giovani e non, che affollavano le aree principali e da una serie di bunker in cemento, lungo le vie di collegamento, voluti dal dittatore ossessionato da una possibile invasione occidentale. Scoperta un po’ la città giungemmo infine all’ospedale dove c’erano sì circa cento posti letto ma era privo di strumentazione, non esisteva nemmeno un elettrocardiografo, non avevano i monouso e persino i ferri chirurgici erano pochissimi. Per un taglio cesareo usavano solo quattro ferri e due fili non riassorbibili che nell’uso ti segavano quasi le dita; però devo dire che i medici erano davvero bravi a far fronte alle necessità con una simile penuria di mezzi. Tutto era davvero affidato alla loro sola capacità. Una cosa che mi colpì molto fu vedere che molti interventi venivano praticati senza anestesia, tipo i raschiamenti abortivi e

quando le donne, nonostante fossero di una forza incredibile, si lamentavano per il dolore, venivano picchiate. Cominciammo per questo fin da subito anche a disciplinare il rapporto medico paziente. Fu un’esperienza veramente incredibile e con soddisfazione collaborammo e facemmo pervenire ciò che mancava, dai farmaci in primis, alle strumentazioni di base. Instaurammo profondi rapporti umani con gli abitanti della città di Valona. Da allora il rapporto tra le due nazioni è diventato molto profondo, tanto che l’Albania sembra quasi una regione italiana». Oggi l’Albania è sicuramente cresciuta, al punto che i rapporti sembrano quasi invertiti, visto che possiamo parlare di una specie di turismo sanitario, in particolar modo per quanto concerne le cure odontoiatriche, lì decisamente meno costose «Io ho le mie riserve su questo anche in ragione del semplice rapporto assistenziale che gli interventi odontoiatrici richiedono con costanza». Quella in Albania è stata la prima missione ma, nonostante abbia rappresentato il primo impatto con l’emergenza, forse non è stata quella che ha lasciato il segno più profondo «No, quella che forse mi ha segnato di più è stata la missione di peace keeping in Somalia, dove una sanguinosa guerriglia dilaniava le popolazioni locali che già vivevano in condizioni di povertà e profonda arretratezza, uno scenario veramente inimmaginabile. Ponemmo un ospedale da campo nel quale il mio ruolo non fu solo di ginecologo ma anche di chirurgo generale viste le infinite emergenze. Come ginecologo mi sono trovato ad aiutare partorienti con gravi difficoltà dovute alle mutilazioni genitali femminili subite, mentre come chirurgo d’urgenza mi trovavo ad operare continuamente i numerosi feriti che arrivavano senza sosta. Spesso andavamo anche nei villaggi più miseri dove distribuivamo i farmaci e curavamo chi ne aveva bisogno creando un buon rapporto con la popolazione locale e favorendo la pacificazione.». Non di impatto minore è stato tastare con mano, ai giorni d’oggi, cosa è una vera guerra e parliamo ovviamente dell’inter vento nell’ex Jugoslavia, a Sarajevo. «In Bosnia non si trattava più di un’operazione umanitaria ma si en-

trava proprio all’interno di una guerra cosa per noi (per fortuna) sconosciuta. Il fine era separare i serbi dai bosniaci e imporre finalmente una pace, il rischio individuale qui fu molto alto anche per l’uso di armi chimiche e radioattive. Non dissimile è stata anche l’operazione in Afghanistan, nel 2007, dove abbiamo vissuto anche l’attentato in cui esplose una mina causando perdite e feriti. Di certo non è semplice per chi non ha mai conosciuto la guerra rapportarsi a simili realtà, non dimenticherò mai lo stupore di un collega di fronte allo scenario di guerra che si presentò a noi, all’arrivo nell’ex Jugoslavia». L’EMERGENZA COVID Torniamo ad oggi e passiamo ad un’altra guerra di certo non militare e senza gli inquietanti carri armati per le strade di città sventrate dai bombardamenti ma pur sempre una guerra, con tanto di coprifuoco, e che non ha mancato di trasformare le nostre città in lande desolate. «Definire la pandemia in atto una guerra non è una sopravvalutazione, si tratta di una situazione molto grave che mette a rischio l’integrità di tutta la popolazione mondiale e gli sforzi che si stanno facendo volgono verso il tentativo di contenere e magari debellare questo virus. Purtroppo va rilevato che le diverse forze politiche non hanno avuto un approccio univoco e questo non ci voleva, il contenimento era ed è misura fondamentale. Nella prima ondata, la pressione sugli ospedali è stata fortissima e alla nostra categoria è stato chiesto troppo, anche di scegliere quali vite salvare, lo posso testimoniare. Questi sono traumi purtroppo indelebili. Colgo l’occasione per sottolineare l’importanza della campagna vaccinale in corso, unico strumento al momento per evitare che simili scenari si ripropongano e per sperare davvero di debellare questa grave minaccia». Tuttavia sussistono molti dubbi sul vaccino «Sono legati un po’ alle nuove tecnologie impiegate per la realizzazione e soprattutto per il lungo tempo di sperimentazione necessario ma che è mancato, di certo abbiamo questa incognita, ma siamo in emergenza e non è possibile fare diversamente o rischiamo di non uscirne più». ALESSANDRA TOMARCHIO HA COLLABORATO MICHELE DECICCO



DI ANGELO illis temporibus GUASTADISEGNI

Natèl che le teu, Carnvèl e Pasque che ci vu tèu Il carnevale fallo con chi vuoi, Natale e Pasqua falli con i tuoi. Lo diceva anche il Verga, 150 anni fa, in una sua novella per bocca di compar Menico. Invece il coronavirus ci ha costretto a rileggere il Verga e il suo racconto di Carnevale in casa, come è successo a Natale, come succederà il 4 aprile pv, giorno di Pasqua di Liberazione. Quindi, nessun party tra amici, né tra conoscenti o dirimpettai. Il contrario del nostro Carnevale povero e felice di 70 anni fa. Il lockdown ci fa mettere indietro le lancette del tempo per tuffarci nei ricordi. Carnevale: Crist son e mezzadeje naun. Un adagio che si rifletteva davvero sule nostre tavole. Compariva quel tanto di cibo non per saziare ma per alleviare i morsi della fame. Si sa che quando la pancia è vuota non si suona e non si canta. Ma non a Carnevale! Allora, la baldoria del Carnevale iniziava dopo l’Epifania e durava un mese e passa fino al mercoledì delle Ceneri. Si mettevano maschere di cartone sul viso e panni “riciclati” addosso: con poco ci si divertiva molto! Addirittura da soli, realizzavamo coriandoli di carta e le varie maschere. La festa iniziava quando si andava a bussare alle case portando allegria. A volte si cantava chiedendo qualcosa in cambio. Tutti davano uova sode, 50 o 100 lire, oppure ceci abbrustoliti o fritti, fave secche che si preparavano durante il Carnevale. Di questo, erano felici soprattutto i bambini. Ancora: una volta

si andava vestiti in maschera nelle case dei vicini a ballare e a mangiare i calzoncelli, le chiacchiere (le specialità tipiche del Carnevale) e si bevevano gassose o rosolio annacquato. C’era anche chi organizzava la veglia, cioè chi invitava i vicini per stare svegli a lungo, divertendosi insieme suonando la fisarmonica, ballando o giocando a carte. Il Carnevale si festeggiava fino al Martedì Grasso, ultimo giorno. E proprio il Martedì Grasso succedeva di tutto. Le vie principali della città si trasformavano in sale da ballo. Il punto principale dei festeggiamenti era comunque la centralissima piazza V. Emanuele. Tanti giovani e vecchi si vestivano con abiti e maschere tali da non farsi riconoscere e si riversavano lì per dare spettacolo del loro travestimento. Era quella la pista da ballo per antonomasia. La musica ed i balli, allora, accomunavano tutti, poveri e ricchi, giovani ed anziani, sotto il simbolo della spensieratezza, del divertimento, della gioia di vivere. Ci si divertiva “burlando” anche chi non ballava, coinvolgendolo spesso ad essere trasportato dal gruppo che festeggiante serpeggiava tra la folla al ritmo dell’altoparlante che ti inseguiva con l’ultimo motivo musicale premiato al Festival di Sanremo! Nella baraonda del Martedì Grasso, il carro allegorico simboleggiante il Re Burlone, allestito dai ragazzi alla meno peggio, veniva letteralmente bruciato in piazza, tra i pianti

di morte degli insaziabili festaioli del tempo! Dalle ultime faville del Re, moriva il Carnevale mentre cadevano a terra gli ultimi coriandoli e con essi la nostalgia di un tempo che ormai non c’è più! La società ritornava come prima: i ricchi proseguivano a fare i ricchi ed i poveri restavano poveri. Questi ultimi rientravano a casa a dormire un paio d’ore per ripresentarsi, all’alba, nella stessa piazza in cerca di lavoro. Erano i lavoratori della notte (i cavamonti, i braccianti della terra) che lavoravano da mattina a sera al soldo dei padroni. In quella stessa piazza dove vi era stato prima il rogo di Carnevale, l’umile netturbino spazzava i coriandoli in tutta fretta perchè già le campane della Chiesa di S. Domenico annunciavano la sacralità delle Ceneri. Era questo il nostro Carnevale povero ma felice. Adesso il Carnevale si festeggia nell’austerità delle sale-ricevimento che ti propinano serate con menù a tema senza scherzare molto con i prezzi con premiazione finale dei vestiti più belli. Il Carnevale di allora è uscito di scena per dare spazio a quello dei giovani ed adulti in ascesa. Il Carnevale appartiene a loro, che si trasformano in gruppi in maschere, confezionate su misura dalle abili mani di stilisti e modellisti. Il coronavirus si è portato via anche le feste in maschera!

ha collaborato Sergio Pisani


vita

da

liceale

DI AGOSTINO PICICCO

PROF. ANTONIO SALVEMINI

IL GIORNO DELLA INTERROGAZIONE DI MATEMATICA SCAMPATA La scomparsa di un docente, la cui figura è stata significativa negli anni dell’adolescenza, porta la memoria, ormai sempre più lontana, ai ricordi di un periodo unico, che ancora - a dispetto del tempo - riesce a farci sorridere e talvolta anche ad emozionare. E’ quello che è accaduto quando ho saputo della scomparsa del professor Antonio Salvemini, il temuto docente di matematica e fisica del liceo classico Spinelli. La matematica, si sa, è una materia anomala al Liceo Classico, quanto meno circa trentacinque anni fa quando la formazione era fortemente caratterizzata dallo studio delle materie umanistiche. Del resto chi frequentava il classico lo faceva proprio per sfuggire alla matematica, oggetto di non particolare passione, talvolta anche di terrore. Il docente di matematica del liceo, quindi, rischiava di passare per colui che doveva gestire una materia marginale e non amata. Penso che il professor Salvemini fosse consapevole di questo e si impegnava per renderne …. più sopportabile il peso. La marcata cadenza molfettese, l’uso di espressioni tipiche e il commento arguto su piccole vicende della vita di classe durante la lezione lo rendevano simpaticamente riconoscibile dai suoi studenti. Ma il professor Salvemini non concedeva sconti alla sua materia anche se nel liceo classico poteva sembrare la cenerentola delle materie. Così alternava spiegazioni a interrogazioni, e queste ultime erano quelle più tremende perché così garantiva la serietà della materia e ne imponeva lo studio e la considerazione. Dato che tale disciplina era comunque ostica a noi abituati per lo più a masticare latino, greco e letteratura, ricordo che le sue interrogazioni erano le più temute, e … quanti fiati trattenuti e attimi di terrore mentre – scorrendo il registro, allora cartaceo individuava il malcapitato che doveva “andare alla lavagna” per essere interrogato.

Una volta in occasione della lezione della quinta ora aveva preannunciato una interrogazione a tappeto di fisica. Già la fisica … era peggio della matematica. E chissà perché poi una interrogazione a tappeto (che avrebbe coinvolto tutti e non solo due vittime sacrificali, coma accadeva di solito). Quella mattina l’aria in classe risentiva di tanta preoccupazione (senza contare il pomeriggio e la sera precedenti, trascorse sui libri) e la quinta ora non arrivava mai. Ma alle 12.10, al cambio d’ora, invece del professor Salvemini arrivò il preside a dirci che il docente non c’era e che, visto che si trattava dell’ultima ora, potevamo andare a casa (allora si poteva). Io non so perché il Salvemini ci fece quello scherzo, so solo che ricordo ancora il sospiro di sollievo che tirò tutta la classe, con in più il vantaggio di uscire prima, quasi una compensazione o un premio per la tensione accumulata. L’uomo, talvolta così scanzonato, aveva anche capacità di comprensione e dimostrava gran classe. Una volta, durante l’assemblea d’Istituto, un nostro compagno lo attaccò pubblicamente contestando non so più quale metodo didattico. La questione finì lì ma, alla fine del quadrimestre, questo studente ebbe un voto molto alto – non usuale allo Spinelli – peraltro meritatissimo, che il docente avrebbe potuto per ripicca tenere nella media visto l’ingeneroso attacco ricevuto. Anche queste sono lezioni di vita. Un’altra volta l’assemblea fu più goliardica e, durante la proiezione del film Il bisbetico domato con Adriano Celentano e Ornella Muti, capitò che il professor Salvemini entrasse – quando si dice la. … sfortuna! - proprio durante l’unica scena in cui era inquadrata una poco vestita Ornella Muti e, chissà come la intese, uscì dall’aula scuotendo la testa. Lo ricorderò con il suo sorriso bonario, la battuta in molfettese e con il dito alzato ad illustrare sulla lavagna espressioni algebriche e formule matematiche. AGOSTINO PICICCO


Così lo ricordano i suoi allievi

«FACìM U BLìTZ» Gli aneddoti, le espressioni linguistiche, gli epiteti (molfettesi) che sono entrati nei cuori dei ragazzi del liceo Spinelli ANTONELLA GIURI Va via un pezzo di storia del nostro liceo! MIMMO UNGARO Verba volant scripta arimanent NANDO DEPALO «Depà, forza!» poco prima di iniziare l’esame orale LUCA BARBONE «Barbò, tau si sfadgat!!!Tau nan vu fa nudd!» GIUSY PISANI «Facimm u blitz» per le interrogazioni a sorpresa DEBORAH HAROBED Continuerò a rabbrividire ogni volta che vedrò un indice scorrere un elenco o qualcuno pronunciare la parola «Blitz». Ed ogni ciuccio che incrocerò sarà rigorosamente «d Mondmlon» GIUSY PISANI: «Metti la maglia della salute» ovvero la canottiera intima di lana

Michelangelo Depalma … e se non la mettevi e starnutivi ti diceva: «Che fai, il gradasso termico?» Antonella Covella Quando andavamo in giro con i pantaloni strappati ci chiese di portare il 730 per giustificare il fatto che potessimo comprare i pantaloni sani VINCENZO PRUDENTE Dolcezza fanciullina la sua mascherata di finta durezza JACK BRISTOW «Quando arriva la Candelora…» VALERIA BALENZANO E ora tocca a noi ricordare ogni Candelora MIRIAM MASSARI Durante una supplenza mi ha detto: «Signorina apri la finestra a 45 gradi. Non di più e non di meno» EX ALUNNI DEL LICEO SPINELLI Sentiamo ancora la sua voce dire «Poliziotti, poliziotti». Quest’ultima la capiranno in pochi come la matematica

E ora... tutti alla lavagna!!!


vite

parallelle

DI SERGIO

PISANI

ENZO DEPALO

DESTINAZIONE PARADISO

Il 14 settembre 2018 è stato il suo ultimo viaggio in servizio. Poi Vincenzo ha riposto con cura il suo berretto senza treccia (quello appartiene solo ai capi dei capitreno) nell’armadio, e si è finalmente messo a correre con la sua moto da strada in giro per il Belpaese. E già, la voglia di girare dappertutto era sempre quella di sempre, ma stavolta libero, fuori dai binari e percorsi fissi e programmati da altri. Il cuore di un capotreno come Vincenzo ora si poteva infine sincronizzare col numero di giri della sua moto. La moto in fondo ha la stessa anima di un treno, è fatta di ferro, ma alla fine può anche arrabbiarsi, se provocata, ma è una cosa che gestisci tu un po’ come avviene con l’ira dei viaggiatori di un treno in ritardo. E come era nelle corde e sapeva ben fare Vincenzo. Chi fa il capotreno ha un diario pieno di ricordi e di aneddoti come pochi altri che fanno un diverso mestiere. Per Vincenzo era però diverso: il suo diario personale era invece pieno soprattutto di colori e di accostamenti a quella che era la sua grande passione, la moto. Anche lui ci è nondimeno arrivato, passo dopo passo, quasi passando dal bianco e

VITO E MARIA DE SANTIS

PLACE CLOSTER N.J AFTER COVID-19 Vaccine

nero al colore. Come dalla prima moto d’epoca a quella ultima. Così pure in ferrovia, per lui: dai primi treni che facevano tu-tun con finestrini apribili che portavano gli emigranti in seconda classe al Nord, senza aria condizionata, ai treni che somigliano oggi ad aerei in cui si parla sottovoce al telefonino per non interrompere il silenzio. Sui treni con Enzo Depalo hanno viaggiato sentimenti e speranze, oppure delusioni e sofferenze, e tutto è rimasto immutato allora come adesso: in fin dei conti è solo cambiato il mezzo ma l’umanità che trasporta è più o meno la stessa. E cioè senza tempo. Faceva gli Intercity (i rapidi di una volta), Enzo. Treni che portavano lontano, da Bari a Torino, con tutto il loro carico di sogni e progetti di vita e di lavoro. Viaggi per lo più alla ricerca di una “terra promessa”, da quaggiù a laggiù, e non molto diversi da quelli, se vogliamo, di quell’ ultimo viaggio di ciascuno di noi dalla Terra al Cielo. Insomma “l’ultimo treno”. Quello su cui è salito Enzo per il suo ultimo viaggio senza fermate. Destinazione Paradiso. SERGIO PISANI

VINCENT CACCAVO STATEN ISLAND NEW YORK

AFTER 65 CM OF SNOW


un ricordo ricordo sempre sempre vivo vivo DI MICHELE RENNA un

EVELINA MALGIERI

UNA MAESTRA PER TUTTA LA VITA

La maestra delle elementari ha sempre rappresentato, nella vita e nell’immaginario di ognuno di noi, una figura particolare: un po’ mamma, un po’ zia, un po’ insegnante, un po’ tutto. La maestra Evelina Civa Malgieri, di origine mantovana, è stata questo, e tanto di più, per intere generazioni di piccoli studenti che hanno mosso i primi passi nel mondo della conoscenza. Sono tantissimi i giovinazzesi che, sotto la sua guida, hanno appreso ad impugnare la penna in maniera corretta, a scrivere in bella grafia, a leggere con espressione, a contare senza usare le dita, e via via più su fino ad imparare a formulare in maniera chiara e corretta i propri pensieri, fino ad apprendere il senso di parole bellissime come “amicizia”, “fratellanza”, “solidarietà”. Tutto questo accompagnato sempre da uno sguardo dolce, da una carezza, una parola di conforto, o anche un rimprovero al momento opportuno, insomma da tutto quel contorno di affetto che non ci veniva mai a mancare e che ci faceva sentire unici, importanti. Di ricordi ce ne sarebbero tanti, ognuno ne conserva di personali e collettivi: Paola, intimorita i primi giorni di scuola dalla sua imponente presenza, che viene rassicurata dalle sue carezze; Beppe, “sorvegliato speciale” spesso dietro la lavagna; Lucrezia che voleva farsi bocciare in quinta per non lasciarla mai. E poi, ancora, l’invito ad alcuni genitori, insegnanti e non, a prendere parte attivamente alle lezioni condividendo con

l’intera classe le proprie competenze; oppure l’invito a casa sua, sempre ospitale con l’intera famiglia, per completare i lavoretti in varie occasioni. Erano, quegli anni Settanta, anni difficili per il nostro Paese e noi eravamo troppo piccoli per capire cosa ci accadeva intorno ma, proprio in quei frangenti, la maestra Malgieri, animata da una profonda fede religiosa, amante della musica e della lirica (ci faceva cantare in coro “La montanara”, chi lo dimentica!) ha rappresentato per noi tutti, allora, un punto di riferimento insostituibile, una guida sicura, ben al di là dell’apprendimento strettamente scolastico. Grazie di tutto, Maestra, per quei pensieri, quelle parole, quei gesti che come lievito hanno continuato a lavorare segretamente dentro ciascuno di noi, nei nostri pensieri, nelle nostre azioni e nella vita di ogni giorno. Un lievito che ancora oggi, a distanza di anni, non smette di produrre i suoi effetti, in tutte quelle piccole donne e quei piccoli uomini che hanno avuto la fortuna di conoscerla negli anni più belli e spensierati della propria infanzia. Lo dimostra il fatto che, a distanza di quasi quarant’anni, quella classe ha sentito il bisogno di ritrovarsi, sui social e non, e di riannodare i fili delle proprie vite intorno a quella straordinaria esperienza condivisa da piccoli e mai dimenticata. MICHELE RENNA E I SUOI COMPAGNI DI CLASSE



il mio diario DI DON PAOLO TURTURRO*

Aprirsi e accogliere

I GEMITI DELL’UMANITÀ LA

CRISI DELLA CHIESA È

UNA CRISI DI CONTEMPLAZIONE.

NON

RIUSCIAMO PIÙ A CONTEMPLARE SERENAMENTE

MISTERO PASSIONE, DELLA

E CON FRUTTI IL DELLA

MORTE E DELLA RISURREZIONE DI GESÙ CRISTO. NON RIUSCIAMO PIÙ A CONTEMPLARE IL

MISTERO DELL’UOMO NEL SUO GEMITO, NELLA SUA SPERANZA DI UN MONDO NUOVO.

NON ABBIAMO PIÙ FIDUCIA IN DIO... Non contempliamo più l’Assoluto. E’ troppo lontano, è troppo distaccato da noi che vogliamo l’immediato, il subito, il presto, il toccabile con il nostro corpo e più di un corpo. Non contempliamo più la Croce. Quel costato insanguinato di Cristo ci ha fatto troppo patire. La nostra è l’epoca del non sentire il dolore dell’altro, di fuggirlo. E’ l’epoca del piacere veloce, del piacere che passa. La contemplazione è lunga, è estenuante, non è immediata, non conviene, non ci dà sicurezze umane. Cosa allora mettere nel braciere nel giorno delle ceneri? Quale cenere imporre sul nostro capo, cremato di profumi? Una cenere di rami e di fo-

glie di ulivo? Ci basta per cambiare? O le ceneri delle nostre superbie, delle nostre guerre che consumano e massacrano i popoli? Quali ceneri imporre in questa società delle sicurezze effimere? E come non guardare le ceneri degli oppressi, le ceneri dei torturati in Iraq, dei derelitti delle metropoli, dei drogati delle nostre case, degli avviliti dei nostri cuori? Come non guardare le ceneri dei continui suicidi. Delle paure di tante sette che venerano persino il diavolo, la droga, le vendette? Allora guardiamo Dio. Contempliamo la sua pazienza. Contempliamo il suo gemito. Oggi, non solo quello di ieri. La crisi della chiesa è la crisi di contemplazione. «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi oppressori» (es. 3,7-12). Dio contempla. Non passa inosservato il nostro gemito. Non è inascoltato, non è sordo alle orecchie di Dio. Non è un urlo che non prende. Non è un gemito che non muore.Dio sente. Dio soffre. Dio geme nell’uomo e con l’uomo. Io gemo per le ingiustizie sui poveri. Io gemo per l’oppressione delle guerre. Io gemo nelle notti delle droghe, delle discoteche di ecstasy, delle calunnie, dell’odio. Io gemo in ogni lacrima. Io gemo in ogni sofferenza. Io gemo in ogni cuore, in ogni croce d’uomo. Io gemo. Ecco, perché vi mando mio figlio, oggi. Non solo a distribuire i cinque pani e i due pesci. Non solo a donare la vista ai ciechi. Non solo a muovere la mano inaridita. Non solo a far camminare gli zoppi. Non solo a cambiare l’acqua in vino. Non solo a donare la risurrezione a Lazzaro che poi rimuore. Non solo a togliere il peccato del mon-

do. (Oh! Gesù Cristo non è lo spazzino dei nostri peccati). Tu, nella contemplazione del tuo gemito puoi sapere, puoi adorare il Mistero del mio Amore, che ha condiviso l’uomo in tutto, eccetto il peccato. Ma come Dio può condividere il gemito di chi ha un cancro? Come può condividere il gemito di una moglie abbandonata dal marito con cinque figli? Come può condividere il putiferio della pandemia d’oggi? Del terrorismo d’oggi? Condividere non vuol dire forse dividerci assieme il dolore. Spezzare assieme la gioia del pane, la gioia del sorriso. Come rendere più umano il mondo, quando noi tuoi figli così vicini siamo nell’indifferenza? La tua grazia non ci prende. Il gemito del Tuo Spirito non lo sentiamo. Come sentire il gemito dello Spirito Santo che urla dentro di noi? E’ così. In ogni cuore geme. In ogni persona urla la speranza di un mondo migliore, della civiltà dell’amore. Quante lacrime, Signore, ho asciugato. Ma ora qualcuno ci vuole asciugare, come Cristo sulla croce. Per eliminare il dolore dell’altro, te lo devi addossare, prendere su di te. Ecco la vera contemplazione: farsi carico della croce dell’altro, di Cristo. Farsi dolore per eliminare per sempre il peccato e la morte del mondo. E’ un travaso lacerante. Ecco oggi noi, contemplando i gemiti del mondo, travasiamo con la nostra azione attiva, tutto dentro di noi. I gemiti dell’umanità ci appartengono. Ecco la nostra preghiera: Signore, cambia, non più l’acqua in vino, ma il nostro gemito in gioia divina. *PRETE ANTIMAFIA


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DI

FRANCESCA ROMANA PISCIOTTA

POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA Perché è sempre utile averla sia per privati che per aziende

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GARANZIA DELL’INTEGRITÀ DEL CONTENUTO CON I SERVIZI CERTIFICATI PEC Un’altra peculiarità di questo servizio rispetto ai mezzi tradizionali è rappresentata dal fatto che la posta elettronica certificata non solo certifica la trasmissione e l’avvenuta consegna di un messaggio, ma ne garantisce anche l’integrità del contenuto rendendo lo strumento ancora più versatile e adatto a svariati utilizzi che vanno oltre la mera trasmissione di un messaggio o di un file. Per spedire un messaggio di posta certificata dopo aver attivato la propria casella ci si comporta come per la posta elettronica tradizionale disponibile su Internet. Sulla propria casella si ricevono una serie di ricevute elettroniche (che devono essere conservate secondo la specifica normativa sulla conservazione dei documenti digitali). Tali ricevute attestano, con opponibilità ai terzi, la spedizione del messaggio di PEC e la sua consegna al destinatario. Non è opponibile ai terzi l’avvenuta lettura del messaggio ma una ricevuta di consegna al destinatario è sufficiente. Cioè se ricevo una raccomandata cartacea A/R e poi non la leggo potrei avere dei problemi. L’utilizzo del digitale aiuta anche nei contenziosi perché quanto trasmesso arriva a destinazione integro e dovrei dimostrare in giudizio che quello che ho ricevuto è diverso da COS’È LA POSTA CERTIFICATA (PEC), L’OBBLIGO E quello spedito anche se non ci sono tracce informatiche di alterazione QUANDO È NATA L’istituzione della Posta Elettronica Certifi- (integrità e immodificabilità del documento informatico). cata (PEC) è di circa dodici anni fa: obbligatoria per le aziende, la Pubblica Amministrazione e i professionisti, viene anche utilizzata A COSA SERVE LA PEC: OPPORTUNITÀ E OBBLIGHI dai cittadini in misura sempre più consistente. La PEC italiana DELLA POSTA CERTIFICATA La PEC ha lo stesso valore leha così acquisito un valore determinante e oggi costituisce un servi- gale della tradizionale raccomandata con avviso di ricevimento; quindi zio esclusivo nel panorama europeo. Un’alternativa (più economi- consente l’opponibilità a terzi dell’avvenuta consegna (il valore legale è sancito dal DPR n.68 dell’11 febbraio 2005). La prima grande difca) alla raccomandata A/R, la webmail PEC La PEC è un’alternativa alla raccomandata A/R, poiché ne ha lo fusione della PEC si è avuta con l’obbligo di associare caselle di questesso valore legale, (per l’esattezza è equivalente a una notifica a sto tipo alle Aree Organizzative Omogenee (AOO) relative al protomezzo posta) con l’evidente vantaggio che per spedire un mes- collo informatico nella PA. Poi la Posta Certificata è stata diffusa saggio tramite PEC non serve uscire di casa o dall’ufficio, si con gli obblighi per i soggetti tenuti all’iscrizione nel registro delle può mandare un messaggio di posta elettronica certificata con un PC imprese (comprese le nuove partite IVA e ditte individuali) e i professionisti iscritti ad albi ed elenchi. L’iscrizione al registro o con i dispositivi mobili (tablet o smartphone). La forte diffusione della Posta Certificata è stata anche favorita da delle imprese poteva avvenire solo comunicando la specifica casella. offerte a prezzo contenuto anche per le categorie business: la PEC Anche un tassista è titolare di una casella di PEC. può costare annualmente quanto un paio di raccomandate A/ La PEC è obbligatoria nell’ambito degli scambi documentali previsti nell’ambito dei processi telematici. Viene utilizzata in R, ma consente l’invio di messaggi illimitati.

LA posta elettronica certificata, valida alternativa alla raccomandata A/R nasce circa 12 anni fa. Obbligatoria per aziende, PA e professionisti, veicola quasi 4 milioni di messaggi al giorno. Vediamo quali sono le caratteristiche, i vantaggi e l’evoluzione della PEC. La Pec (Posta elettronica certificata) si presta a diventare uno strumento sempre più utile, non solo per professionisti e aziende – per i quali è già obbligatoria – ma anche per il cittadino. Ad oggi è infatti il solo strumento concretamente utilizzabile per il domicilio digitale, su cui ricevere tutte le comunicazioni della PA. LA conferma di questa nuova importante vita della Pec, tassello cruciale di digitalizzazione, da ottobre, è scattato il regime sanzionatorio per imprese e professionisti che non hanno la PEC: si rischia fino a duemila euro d’ammenda. Nella Pubblica Amministrazione in linea con numerosi obblighi normativi la Posta Elettronica Certificata (PEC) ha raggiunto nei quasi 15 anni di vita istituzionale una notevole diffusione sia in termini di caselle attivate che di messaggi scambiati. Un dato che non ci si aspetta è che, quasi il 40% delle caselle attive di posta elettronica certificata sono utilizzate da persone fisiche e cittadini in associazione a quanto derivante dagli obblighi di legge per imprese e professionisti.


molte altre situazioni come l’iscrizione a concorsi pubblici, la richiesta di informazioni alle PA nell’ambito delle regole di trasparenza (FOIA) e per scambi di dati tra mondo finanziario e Agenzia delle Entrate. COME FARE LA PEC E OTTENERE UNA CASELLA DI POSTA CERTIFICATA Una casella di Posta Elettronica Certificata con caratteristiche a norma di legge ma con offerte stabilite dal mercato può essere acquisita presso uno dei gestori pubblicati sulla pagina dedicata del sito AgID. Utile ricordare che una serie di gestori non rilasciano caselle di PEC al pubblico (per esempio il Notariato) ma l’offerta è ampia e strutturata. Altri gestori si rivolgono a mercati dedicati come il processo telematico e i servizi accessori utilizzati dagli avvocati. QUANTO COSTA UNA PEC Per la pec sono anche offerte gratuite per periodi di avvio o al costo di pochi euro l’anno, fino a poche decine di euro, salvo convenzioni con gli ordini professionali che abbassano ancora più il costo. Molti si chiedono se ci sono pec gratuite, ma la risposta è no. È un servizio a pagamento. Ci sono però convenzioni con gli ordini per dimezzare il prezzo. E anche periodi gratuiti. CARATTERISTICHE DELLA PEC, ACCESSO E COME ACCEDERE ALLA CASELLA DI POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA È possibile scegliere lo spazio della casella, meccanismi di notifica della ricezione del messaggio, servizi di gestione dei messaggi e delle relative ricevute con la possibilità offerta dal gestore di PEC di un servizio di conservazione digitale conforme alle norme primarie. Accedere alla PEC è molto semplice, ed è gestito attraverso l’accesso ad una webmail. Alcuni gestori, come Aruba, hanno un’app ad hoc. Per ogni scopo necessario è possibile richiedere al gestore di PEC i log delle trasmissioni e ricezioni dei messaggi al fine di avere prova di una avvenuta trasmissione o deposito nella casella del destinatario. PEC, AL VIA LE SANZIONI PER CHI NON CE L’HA Il Decreto Semplificazioni ha introdotto uno specifico regime sanzionatorio per imprese e professionisti non dotati di PEC. Il regime è attivo dal primo ottobre 2020. L’obiettivo, è avviare il do-

micilio digitale. INIPEC: le pagine gialle e come cercare un indirizzo di posta elettronica certificata Sul sito Inipec tenuto da Infocamere per conto del Ministero dello Sviluppo Economico è possibile reperire gli indirizzi di Posta Elettronica Certificata di professionisti e imprese. L’indice viene aggiornato con i dati provenienti dal Registro Imprese e dagli Ordini e dai Collegi di appartenenza, nelle modalità stabilite dalla legge. Obbligo pec per gli automobilisti nel nuovo codice della strada: la proposta Il nuovo codice della strada, ora in via di modifica, potrebbe contenere l’obbligo ad avere una pec per tutti gli automobilisti, per ricevere le sanzioni (“multe”) per le violazioni dello stesso codice. È una proposta del CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. L’obiettivo è ancora una volta quello di sostenere il domicilio digitale, quindi l’arrivo delle sanzioni alla pec dell’automobilista, in automatico, abolendo la raccomandata cartacea. Sarebbe un vantaggio per l’automobilista, evitando quei casi in cui è costretto a ritirare alle poste la raccomandata arrivata quando non c’era nessuno a casa; ma soprattutto un vantaggio per la PA, che non subirebbe più i costi della raccomandata cartacea, né il rischio che la sanzione sia recapitata in ritardo (il che consentirebbe all’automobilista di fare ricorso con successo e non pagare).

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sport

e

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SERGIO PISANI

DI

GIANNI LEALI*

IL FAIR PL AY PAOLO DI CANIO E’ suo il gesto fair play più bello della storia del calcio

Anzitutto un breve preambolo. Qual è il significato della nozione di fair play? Il termine, concepito inizialmente per le competizioni sportive, significa letteralmente «gioco corretto, gioco leale». Solo con il passare del tempo si è diffuso anche in altri ambiti, come quello della politica, dell’economia, del lavoro, dei rapporti sociali in generale e rappresenta un “modo di essere” che comporta onestà, lealtà, gentilezza, coraggio, rispetto degli altri. Quindi un comportamento eticamente corretto, non più prerogativa solo di coloro che sono impegnati nello sport, ma di tutti coloro che, nei vari settori della società, vogliono apportare un contributo essenziale per il miglioramento della qualità della vita e dei rapporti umani. NELLO SPORT. Stringendo però il concetto di fair play all’ambito sportivo, cioè a quello in cui ha preso vita, in che cosa esso consiste di concreto? Innanzitutto nel rispetto totale e costante delle regole e nell’accettare senza discussione le decisioni arbitrali. Ovvia-

mente nello sport obiettivo primo ed essenziale è quello di vincere, ma il fair play esige il deciso rifiuto di tentare di acquisire la vittoria a qualunque prezzo: imbroglio, gioco sleale, consumo di stimolanti o altri prodotti proibiti dal regolamento. Esso implica modestia in caso di vittoria, serenità nella sconfitta e una generosità adatta a creare relazioni umane calorose e durature. Tutto bello e facile a parole, ma estremamente difficile da mettere in pratica a causa dell’eccessiva importanza che si dà ai nostri giorni alla vittoria, sorgente di prestigio per il partecipante stesso, per il suo club, per il suo Paese e fonte di profitti materiali. La preoccupazione eccessiva della vittoria incita sempre più i partecipanti a violare i regolamenti, a contestare le decisioni dell’arbitro, a considerare i loro avversari come dei nemici da abbattere, a ricorrere, talvolta con la complicità dei dirigenti e degli allenatori, a pratiche scorrette e perfino brutali. Tali eccessi sono alimentati peraltro dall’onda crescente di indisciplina ed di violenza che investe la nostra società

contemporanea, per cui anche nel mondo dello sport sempre più numerosi sono gli episodi di disordine e di violenza che si verificano dentro e fuori dal campo. I LUOGHI DEL FAIR PLAY. Lo sport ha bisogno di essere sostenuto in molti modi e da molti organismi, tra i quali i poteri pubblici, le autorità locali, i mecenati, che dovrebbero preoccuparsi anche della salvaguardia del fair play, dei cui valori, però, è soprattutto la scuola che deve essere la promotrice principale. Anche le società sportive giovanili e gli oratori, luoghi di aggregazione dei giovani, possono recare un contributo importante nell’insegnamento del far play. Infatti gli allenatori o gli educatori, quali che siano, grazie al loro contatto stretto con i giovani in età evolutiva, hanno un’influenza molto potente sulla formazione del carattere dei loro allievi: a tal punto da farli diventare fieri di un comportamento disciplinato, leale, generoso, eticamente corretto. Ovviamente è necessario che la loro condotta di vita sia in linea con i valori etici pro-


GAETANO SCIREA. pagandati e quindi un esempio reale di far play per i loro Il campione di giovani atleti. L’allenatore, per esempio, a rischio di perFair Play per dere una gara o perfino un campionato, deve prendere antonomasia delle misure contro ogni competitore che trasgredisce (una sola deliberatamente il fair play. Ed è necessario che lo faccia senza esitazione perché lo spirito e il comportamenammonizione to del competitore sono molto spesso il riflesso fedele in turtta la sua del grado di convinzione dello stesso allenatore nei concarrieiera), fronti del fair play. E’ dunque dovere dell’allenatore e di nella foto tutti coloro che assumono una posizione direttiva nello ripreso in un sport cercare energicamente di diffondere l’ideale del fair play, definendo chiaramente l’etica del comportaallenamento mento sportivo per mezzo di regole e regolamenti, di sui campi di cui si preoccuperanno affinchè vengano interamente riCoverciano spettati. L’ESEMPIO DI PAOLO DI CANIO. E ora, per concludere, mi piace citare un esempio concreto di fair play proveniente dal calcio, un mondo spesso messo sotto accusa, ma che nell’episodio sotto riportato ha mostrato il suo lato migliore. Il protagonista dell’avvenimento è l’ex attaccante della Lazio, Napoli, Juventus, Milan e West Ham, Paolo Di Canio che il 16 dicembre del 2000,

sotto la guida del prof. Leali

durante la gara del campionato inglese Everton - West Ham, un attimo prima di calciare a rete a porta vuota e vincere così la partita per 21, fermò il pallone con le mani, indicando subito all’arbitro il portiere avversario a terra bisognoso di cure mediche a causa di un infortunio. Un gesto formidabile, meraviglioso, di altissima sportività per il quale Di Canio ottenne il premio F.I.F.A. Fair Play. Eppure l’ex attaccante era considerato un giocatore scontroso, facilmente irritabile, violento al punto di prendere 11 giornate di squalifica per uno spintone all’arbitro, non simpatico alla stampa da cui veniva spesso aspramente criticato anche per le sue posizioni politiche “di destra” e per le sue simpatie, apertamente manifestate in più occasioni, per la figura di Benito Mussolini. Questo era Di Canio, un personaggio discutibile e controverso, che oggi però viene ricordato non tanto per le sue bravate in campo e le sue idee politiche reazionarie, quanto soprattutto per quel nobile gesto sportivo di cui si rese protagonista inimitabile perchè, come da lui stesso dichiarato in un’intervista, si era in periodo natalizio. E a Natale bisogna essere buoni. *GIÀ DOCENTE DI TEORIA E METODOLOGIA DELL’ALLENAMENTO PRESSO LA

SCUOLA

ALLENATORI DI COVERCIANO E PRESSO LA FACOLTÀ DI SCIENZE MOTORIE


il personaggio

DI

SERGIO PISANI

GIUSY LABARBERA, IRON WOMAN

NUOTARE IN ACQUA FREDDA: I BENEFICI

Fa bene a cuore e alla mente. Ecco il decalogo per i neofiti Nome: Giusy Cognome: Labarbera Professione: Paramedico Età: 50 Incredibile ma non troppo. Le temperature rigide non ti spaventano. Continui a fare il bagno in mare tutti i giorni in località Marmi Barbone. Ti senti una Iron Woman? Beh, se continuo così (nda le ridono un po’ gli occhi) lo diventerò anche per il Corrie-

re della Sera! Chi non ti conosce bene, penserebbe subito a un forte desiderio di spettacolarizzazione. Suvvia, tacitiamo i cattivi, se non ci fossero i cuoricini su facebook sarebbe la stessa cosa? Facebook è arrivato 10 anni dopo. Avevo vent’anni quando cominciai a sperimentare questa pratica. I social li utilizzo solo per promuovere questa mia fantastica esperienza di vita. Diciamo allora che vorresti diffondere la pratica del bagno in acque fredde per dimostrare che questo cimento è fonte di benessere! Già, non è un semplice tuffo in mare. E’ fatica, allenamento, gioia! Gli esperti spiegano che fare il bagno nei mesi freddi aumenta le difese immunitarie, migliora le facoltà cognitive, impedendo o rallentando l’insorgere di processi di decadimen-

to della memoria (Alzheimer) e fa bene al cuore. Già ma se uno il coraggio non ce l’ha? Tutto vero. Il coraggio? Quello viene da sé se prepari il corpo atleticamente, facendo almeno 8 km a passo veloce, aumentando la temperatura corporea che fa sciogliere prima tutti i muscoli. Istruzioni per l’uso per i principianti. Per favorire l’avvicinamento a questa pratica, cosa occorre? Gradualità e tanta prudenza. Ci si avvicina alla battigia con costume, accappatoio e ciabatte. E poi? Ci si spoglia completamente solo prima di entrare in acqua. E’ importante immergersi gradualmente e resistere uno due minuti alla sensazione del freddo. E’ importante bagnarsi gradualmente. E quando si avverte la sensazione di punture di spilli? E’ solo l’inizio. Poi il corpo assume un colorito acceso e brillante, i sensi diventano più intensi fino a raggiungere quello stato di euforia che è alla base del raggiungimento del benessere psico-fisico. La testa si bagna per ultima o è meglio usare la cuffia da piscina? Per ultima. Ma se si riesce a nuotare senza bagnarla o usando una buona cuffia è meglio. Tempo di durata in acqua. Io resto un paio di minuti. Ma è scientificamente dimostrato che 5 minuti in acqua corrispondono a un dispendio energetico pari a quello di 30 minuti di corsa. I benefici del calore interno sono superiori al calore che ci viene dall’esterno. E ancora? Il sistema immunitario si attiva, il sangue si muove e i batteri vengono uccisi Come fare quando ci sono pioggia, neve e mare mosso? Se cade un fulmine muori folgorata! Chi fa il bagno in mare d’inverno non prende neppure il raffreddore. Solo quello? Si sviluppano di più i sensi. Il raffreddore scappa via insieme agli altri acciacchi. Per concludere. Che emozione si prova d’estate in mare se non si provano gli spilli del freddo sul corpo? L’estate è solo una parentesi. Rimedio con le vacanze in paese nordici (Scozia, Svezia, Norvegia, Irlanda). Purtroppo quest’anno per la seconda volta mi toccherà immergermi nei fiumi delle Dolomiti! SERGIO PISANI




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