Rivista Paperless - Numero 5

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N. 05 / MAGGIO 2020

IL PRIMO MAGAZINE SULLA DIGITALIZZAZIONE A NORMA DEI PROCESSI

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BE DIGITIZERS

SMART WORKING O TELELAVORO: RIFERIMENTI NORMATIVI E SCENARIO L’IMPORTANZA DELLA SICUREZZA NELLA DIGITALIZZAZIONE DEI PROCESSI COME FIRMARE DIGITALMENTE ORDINI E CONTRATTI LA CASE HISTORY NELL’INDUSTRIA MARITTIMA: GALLOZZI GROUP


COVER STORY

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EDITORIALE

NON ESISTE SMARTWORKING SENZA DIGITALIZZAZIONE di Nicola Savino Direttore Editoriale

I

n questo numero di Paperless, parliamo di argomenti che ti aiuteranno a gestire la situazione d’emergenza Covid19, ma non solo.

reingegnerizzarlo, non ci sono altre strade. Efficacia: devo fare in modo che i miei risultati e il mio output lavorativo siano sempre UNA COSA È CERTA: allineati con quelli sperati e che NON PUÒ ESISTERE Perchè un aspetto fondamentale siano raggiunti nel minor tempo SMARTWORKING SENZA che, in questo momento storico, possibile e nel modo migliore DIGITALIZZAZIONE. tutti gli imprenditori hanno compossibile. Per raggiungere quepreso è l’importanza dello smart sto obiettivo, anche in questo working. caso non basta uno strumento, Attenzione però a non confonderlo ma devo avere un processo agile con il telelavoro. La maggioranza capace di rendere il mio lavoro di noi, infatti, ancora oggi non è talmente produttivo che i risulin una modalità di smart working, tati attesi rimangono invariati. bensì di telelavoro, che è cosa ben Sicurezza: devo fare in modo diversa. Troverai un articolo ad che il processo digitale nativo hoc su questa importante differensia conforme alle disposizioni za, che è bene comprendere. legislative e alle leggi. Per raggiungere questo obiettivo, devo Una cosa è certa: non può esistere fare in modo che i miei processi smartworking senza digitalizzazioaziendali digitali siano conformi ne. alle normativa italiana ed euQuesto è un dato di fatto e ti spiego ropea sulla digitalizzazione. Ad perché. esempio, se devo sottoscrivere La digitalizzazione dei processi documenti a distanza, direttaaziendali, impone una reingegnerizmente da casa, devo sapere che zazione dei processi stessi in chiave digitale, affindevo usare solo strumenti digitali che rispondano chè siano efficienti, efficaci e sicuri. alla normativa attualmente in vigore. Altrimenti il Questo vuol dire che ho tre asset che devo cambiare mio processo rimane un bellissimo processo diginei miei processi aziendali. Vediamoli insieme. tale, ma che non ti offre garanzie legali e di validità Efficienza: devo fare in modo che la mia capacità giuridica. E questo è molto pericoloso. rimanga costante in termini di rendimento e di rispondenza alle proprie funzioni lavorative e nel Ti lascio alla lettura del quinto numero di Papermodo migliore possibile. Questo vuol dire che non less. Come vedi noi non ci siamo fermati, continubasta usare strumenti digitali, come ad esempio iamo la nostra divulgazione scientifica e culturale. strumenti di call conference, messagistica, condiEd è il nostro secondo anno di Paperless. Spero che visione, etc.. Serve anche una cultura digitale e una apprezzerai il nostro sforzo. gestione nativa digitale del processo, che quindi deve cambiare in chiave digitale. Per farlo serve Che il Digitale sia Con Te.


COVER STORY

"Un viaggio nel mondo della digitalizzazione e dell'archiviazione informatica, della conservazione sostitutiva e digitale a norma di legge"

Sai come conservare una PEC? Sei sicuro di archiviare correttamente e conservare a norma di legge i documenti e i dati informatici trattati ogni giorno dalla tua azienda? Sai cosa succede quando pensi alla sanitĂ digitale e quali rischi legali, progettuali e finanziari corri? O ancora Sai che non basta gestire e conservare soltanto il file XML della fatturazione elettronica? QUESTE E ALTRE DOMANDE TROVANO RISPOSTA NEL LIBRO

"IL DEMATERIALIZZATORE" Autore Nicola Savino Edito da Il Salvagente

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EDITORIALE

ESSERE DIGITALIZZATORI NON È PIÙ UNA SCELTA MA UNA NECESSITÀ di Antonio Vitolo Direttore Responsabile Paperless

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ggi è possibile restare fuori dalla rivoluzione digitale? Le modalità di lavoro post emergenza del Coronavirus saranno le stesse di prima? Terranno conto della digitalizzazione a norma? Ce lo siamo chiesti in questo quinto numero del nostro magazine, che non a caso si intitola “Be Digitizer” (Essere Digitalizzatori), tema che si presta a una doppia lettura: da un lato rappresenta l’invito a chi ha intrapreso il percorso di digitalizzazione a “fare community” e a condividere le proprie esperienze, dall’altro un’ultima chiamata a digitalizzare i propri processi. Il tempo è scaduto. Non possiamo fare a meno di far notare come la crisi del coronavirus abbia reso improvvisamente palese la necessità di ricorrere alle tecnologie digitali per far funzionare tutto quello che ci serve per vivere quotidianamente, comprese le nostre aziende, costrette a rivedere organizzazione e processi. Quello che anni di incentivi delle agenzie governative non sono riusciti a fare per accelerare i processi di digitalizzazione delle imprese l’ha fatto in poche settimane la crisi, con notevoli disagi da parte di chi non si è adoperato per tempo a digitalizzare i propri processi. Tutti quelli che hanno potuto hanno lavorato in smart working e molti si sono cimentati per la prima volta con software di videoconferenza, servizi cloud per condivisione documenti, VPN per accedere alla rete aziendale e tutte le tecnologie che molti, prima della crisi, ignoravano o non avevano mai utilizzato. Il titolo di questo numero - “Be Digitizer” - mai come in questo momento sembra catturare efficacemente lo spirito del tempo, perché oggi, come dimostra questa emergenza sanitaria, essere digitalizzatori è l’unica strada percorribile per il successo imprenditoriale. Dematerializzare, digitalizzare e trasmettere a distanza tutto quello che è possibile ora è imprescindibile, ma diventerà nell’immediato futuro l’unica modalità per

approcciarsi al flusso di processi aziendali. Ostinarsi a fare ricorso alla carta è impensabile, perciò noi di Paperless ci sentiamo chiamati al compito importante di riunire la community di digitalizzatori che si riconosce nel nostro brand e dare informazioni chiare e corrette in un contesto che, stando alle ultime statistiche, registra per la parola “digitalizzazione” quasi 4 milioni di ricerche. In questo numero diamo grande spazio a tutto quanto riguarda transazioni di tipo contrattuale, flusso di ordini e fatturazione. Lo spazio dedicato alle case history ospita la storia dell’imprenditore nel settore portuale Agostino Gallozzi, che ci offre uno spaccato sul ruolo e sul significato della digitalizzazione nell’ambito del trasporto merci internazionale. Anche questo numero è ricco di contributi di esperti e rappresentanti del mondo dell’impresa e delle associazioni, con le loro opinioni e previsioni su tutto quello che sta accadendo a livello nazionale nell’impresa digitalizzata. L’emergenza sanitaria ha fatto sentire i suoi effetti anche sul marketing. Le aziende hanno fatto largamente ricorso agli strumenti digitali per raccontare quello che sta accadendo nell’impresa, con articoli, annunci e video sui social network. È prevalso un approccio di comunicazione responsabile, unito al rafforzamento del mindset creativo, finalizzato all’individuazione e definizione di iniziative e progetti sociali a favore dei propri collaboratori e per la comunità, con cui inserirsi nella narrazione sul Coronavirus. Le imprese si sono mostrate capaci di utilizzare i canali digitali per gestire la comunicazione in stato di crisi, cioè dare risposte efficaci e non danneggiare il business aziendale in condizioni fortemente a rischio, migliorando così la reputazione aziendale in un’ottica di responsabilità sociale di impresa. Buona lettura e Be Digitizers!

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SOMMARIO

BEDIGITIZERS 03

EDITORIALE

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EDITORIALE

Nicola Savino

Antonio Vitolo

DENTRO LA DIGITALIZZAZIONE DEI PROCESSI

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DIGITALIZZAZIONE E PROCESSI AZIENDALI, COSA ABBIAMO IMPARATO DA QUESTA EMERGENZA Nik Panzalis

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NON CHIAMATELO “SMART WORKING”

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L'IMPORTANZA DELLA SICUREZZA PER LE AZIENDE CHE DIGITALIZZANO E CONSERVANO A NORMA I PROPRI PROCESSI

Pietro Montella

Biagio Garofalo

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LA DIGITALIZZAZIONE DEL SETTORE SANITARIO: I SOFTWARE MEDICALI Luca Romanelli

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IL MANAGER DELL’INNOVAZIONE E LA DIGITALIZZAZIONE DELLE PMI Paolo Rocca Comite Mascambruno

ASPETTI NORMATIVI

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COME FIRMARE ELETTRONICAMENTE I CONTRATTI E GLI ORDINI? Rossella Ragosta


DIRETTORE EDITORIALE NICOLA SAVINO DIRETTORE RESPONSABILE ANTONIO VITOLO

SCENARI

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INNOVAZIONE E SOSTENIBILITÀ: LA SFIDA DELLA DIGITALIZZAZIONE NELLA FILIERA DEL PACKAGING Marco Gambardella

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DIGITALIZZAZIONE E TURISMO: COME NASCE L’“HOSPITALITY BOND”, IL PRIMO BOND TURISTICO CERTIFICATO A NORMA Federico Del Grosso

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UN ESEMPIO DI DIGITALIZZAZIONE DEI PROCESSI NELL’AMBITO DEI SERVIZI LEGALI: IL CASO CONCILIA LEX Elisa Di Martino

CASE HISTORY

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IN REDAZIONE GIUSEPPE ALVIGGI MAURIZIO CRESCENZO ANTONIO DEL VECCHIO VALERIA FIGLIOLIA FRANCESCA MIANO NIK PANZALIS HANNO COLLABORATO ALFONSO AMENDOLA FEDERICO DEL GROSSO ELISA DI MARTINO MARCO GAMBARDELLA BIAGIO GAROFALO PIETRO MONTELLA ROSSELLA RAGOSTA PAOLO ROCCA COMITE MASCAMBRUNO LUCA ROMANELLI PROGETTO GRAFICO STRATEGO COMUNICAZIONE SRL IMMAGINI FREEPIK SHUTTERSTOCK RESPONSABILE MARKETING GIUSEPPINA D’AMBROSIO RESPONSABILE COMITATO SCIENTIFICO EDOARDO GISOLFI DATI RIVISTA PAPERLESS È UNA TESTATA GIORNALISTICA IN ATTESA DI REGISTRAZIONE PRESSO IL TRIBUNALE DI SALERNO AUTORIZZAZIONE RICHIESTA IL 23.10.2018 MARCHIO DEPOSITATO www.rivistapaperless.com

LA DIGITALIZZAZIONE NELL'INDUSTRIA MARITTIMA: LA VISIONE DI AGOSTINO GALLOZZI Giuseppe Alviggi

NUOVE FRONTIERE

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L'ESPERTO RISPONDE

GAMEJOBS: IL DIGITALE, IL GAME E IL LAVORO Alfonso Amendola

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DENTRO LA DIGITALIZZAZIONE DEI PROCESSI

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di Nik Panzalis Direttore marketing Savino Solution

Digitalizzazione e processi aziendali, COSA ABBIAMO IMPARATO DA QUESTA EMERGENZA Questo numero di Paperless prende corpo nel bel mezzo di una pandemia mondiale, che ha messo a repentaglio l'esistenza di tutte le imprese italiane. Chi più chi meno, chi prima e chi dopo, questa "guerra" ci tocca tutti. Non so se preferisci vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma senza pretendere di importi interpretazioni pessimistiche o ottimistiche, provo a darti un'indicazione positiva. Se la mattina del 1° gennaio qualcuno ti avesse detto: "guarda, fra circa due mesi l'Italia finirà in quarantena e perderemo il 20% del PIL", tu non ci avresti creduto. Io stesso non ci avrei creduto. Non solo perché la notizia di un simile disastro e della totale perdita di libertà basilari in sé sarebbe risultata troppo scioccante per essere accettata, specie con i postumi del Capodanno trascorso a casa di Nicola Savino ancora ben presenti nel mio organismo. Ma anche perché, davanti a uno scenario così apocalittico, l'idea che l'Italia avrebbe potuto rimetterci "solo" il 20% del PIL non sarebbe risultata credibile. Sia io che te avremmo probabilmente pensato a un azzeramento quasi totale del nostro Prodotto Interno Lordo. "Capirai, una nazione come questa – che è talmente abituata alla burocrazia da creare piccole e grandi imprese altrettanto burocratiche, con una cultura scarsamente incline al cambiamento, alle decisioni repentine e all'innovazione – come può preservare l'80% del suo PIL se la gente non può uscire di casa, non può andare al ristorante e se i dipendenti delle aziende non possono andare in ufficio a stampare e firmare gli immortali "moduli in triplice copia", onnipresenti nei processi documentali anche nel 2019?". 9


DENTRO LA DIGITALIZZAZIONE DEI PROCESSI

E invece, di punto in bianco, abbiamo scoperto una straordinaria resilienza digitale che, in quattro e quattr’otto, ha permesso a circa l'80% delle aziende italiane (queste sono le ultime stime mentre scrivo questo articolo) di continuare a "proteggere " l'80% del nostro PIL nazionale. Per alcune imprese è stato relativamente facile, è stato sufficiente mettere in condizioni i dipendenti di lavorare da casa. Ma questa facilità è solo apparenza! Ripeto, pensa a come avresti reagito se ti avessero detto "entro 2 mesi l'80% delle imprese italiane lavorerà in Digitale". Per altre realtà è stato ancora più difficile. Pensiamo ai ristoranti, agli imprenditori della ristorazione che – fino all'altro ieri – erano restii persino all'uso del POS e che improvvisamente si aprono al Food Delivery, a Paypal, ai social network! Tutto questo a testimoniare anche come – nel mondo globale di oggi – TUTTO cambi in una frazione di secondo. Ora, però, entrando nella fase 2 di questo dannato Covid, ci rendiamo conto di quanto la situazione sia ancora fragile. I governi, a differenza del mondo globale, reagiscono con estrema lentezza, brancolano nel buio, i comitati scientifici montano e smontano le nostre consapevolezze. Mentre ti scrivo, i contagi ricominciano a oscillare e i vari rappresentanti politici non sanno che altro fare, se non pensare a nuove chiusure, al ripristino delle restrizioni, a nuovi lockdown, in attesa che sia il virus a decidere per loro quando andarsene. Non è assolutamente un attacco politico, semplicemente perché ormai la politica non esiste. Chi fa impresa è SOLO, perché solo chi fa impresa ha dimostrato di saper prendere le decisioni in modo reattivo, determinato, tempestivo. Non esiste più autorità perché chi decide del nostro destino dimostra di non saper decidere. E quindi siamo soli. Come manager e come imprenditori. Siamo i detentori delle chiavi di ciascuna "Ragione Sociale" iscritta in camera di commercio, siamo gli artefici dei destini di tanti dipendenti, di così tante famiglie, da non poterci permettere il lusso di non essere previdenti, facendo finta di non sapere che questa nazione può entrare e uscire da fasi di lockdown più volte nei prossimi mesi. Uno scenario tragico che però occorre tenere nello spettro di possibilità, sperando a questo punto che sia il virus a escludere nuove, inquietanti, complicazioni. E nello spettro di possibilità, dobbiamo avere ben presente l'importanza di mantenere e – anzi – raffor-

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zare questa capacità di resilienza aziendale, di entrare e uscire da regimi di lavoro "officeless" nei quali ci viene impedito di tornare a lavorare nei nostri uffici, condividendo spazi di lavoro con i nostri colleghi, i nostri dipendenti e i vari responsabili di reparto. Se, durante la fase 1, le imprese italiane sono state straordinarie nell'adottare contromisure efficaci per continuare a lavorare sfruttando il Digitale, produrre fatturato e restare "sul mercato", nella fase 2 sarà obbligatorio prepararsi a un livello di resilienza ancora superiore. Perché le oscillazioni dei contagi possono determinare una oscillazione delle restrizioni. Dalle nostre ricerche e survey di queste prime settimane post-fase 1, la maggiore criticità espressa dalle aziende è stata quella di non avere più la possibilità di riunire nello stesso luogo le figure operative con le figure apicali. Ad esempio: i reparti amministrativi – pur avendo gli strumenti necessari per continuare a lavorare da casa – hanno trovato difficoltà nell'assecondare alcuni step di processo che – normalmente – prevedono un "intervento fisico, analogico e manuale" di un legale rappresentante. Pensiamo alla firma di un contratto, la firma di un ordine, ma anche la firma digitale dei documenti da inserire in una procedura di gara telematica. Sarai forse sorpreso di questa casistica: finché un CEO non può firmare un documento cartaceo, dal momento che lui/lei e il suo addetto dell'amministrazione non sono nella stessa stanza, e non possono scambiarsi fogli di carta, la situazione ti è chiara. Ma come è possibile che lo stesso problema si riproponga anche con le firme digitali? È semplice! Perché, nel 99% dei casi, il concetto di "Firma Digitale" è sinonimo di "chiavetta OTP" per generare i file ".p7m". E normalmente quella chiavetta è ovunque, ma non è mai nel posto giusto al momento giusto. Può essere nel cassetto dell'ufficio (già, ma durante un lockdown in ufficio non ci puoi andare), nel cassetto della macchina del CEO, oppure a casa sua, o in altri casi dal commercialista. Qui allora subentra la necessità di andare oltre, di andare più in profondità di quanto – prodigiosamente – è stato fatto nei mesi scorsi, per consentire all'organizzazione aziendale di adattarsi con un'incredibile velocità a un nuovo e inesplorato contesto lavorativo "officeless". Per questo motivo, nella fase 2 sarà fondamentale scindere il principio di "officeless" in due metodologie di lavoro a distanza, che sono distinte – ancorché correlate - ma troppo spesso confuse:


TELELAVORO vs SMART-WORKING Vediamo in dettaglio quali sono le differenze: Il telelavoro è la delocalizzazione dei processi di lavoro fuori dagli uffici. Quando metto un dipendente nella condizione di allestire, in casa sua, una postazione con cui svolgere le sue mansioni come se fossi in ufficio, quello è il telelavoro. Se consideriamo l'80% delle attività che ha continuato a lavorare durante il lockdown, questa è la metodologia che quasi tutte hanno adottato come forma di resilienza d'impresa. Il telelavoro, di fatto, consiste nell'attivazione di una VPN per collegarmi alla rete dell'ufficio, per ritrovare nel mio PC lo stesso ambiente informatico che sfrutto quando sono in ufficio, e – grazie a questo – continuare a seguire le stesse procedure, le stesse regole e gli stessi processi di quando mi reco in azienda. Lo Smart-working è qualcosa di profondamente diverso. Certo, si tratta sempre di delocalizzare la produzione dei miei servizi, i processi e le procedure aziendali dall'ufficio verso l'esterno, ma con un approccio differente. La sintesi dello smart-working è: lavora dove vuoi, lavora il tempo che vuoi, sappi solo che hai una scadenza da rispettare e che su quella non si transige. Se hai una pratica da gestire, puoi anche lavorare la sera dopo cena e andare al mare tutto il giorno, puoi anche trascorrere una giornata su Netflix, se sei particolarmente veloce, puoi anche stare a letto fino a

un'ora prima della scadenza e svolgere tutta l'attività che ti è stata assegnata un'ora prima di consegnarla. Non importa. Hai una scadenza e la devi rispettare, nel mentre fai come ti pare. Cosa implica questa metodologia? Tante cose. Implica, ad esempio, che se collabori a un progetto in team con altre persone e devi – ad esempio – scrivere una parte di un progetto da presentare a una gara d'appalto, essendo libero da orari e restrizioni, viene molto difficile organizzare delle riunioni con gli altri collaboratori, proprio perché ognuno è libero di gestirsi il proprio tempo. Magari quando sei libero per la riunione, le altre persone vogliono fare sport. Quando gli altri lavorano, tu stai dormendo. Ne hai pieno diritto, non esiste il concetto di "orario di lavoro" nello smart-working quindi diventa difficilissimo – se non impossibile – mettere d'accordo tutti sul "quando trovarci su Zoom". Ora, per quale motivo per un'impresa può risultare determinante spostarsi verso il concetto di smart-working, mentre andiamo verso una fase 2 e una fase 3 con tantissime incognite, anche se in questi 2 mesi hai sempre lavorato in telelavoro e presumi che sia andato "tutto bene"? Ma perché il telelavoro ha tutte le limitazioni che abbiamo visto! Fino a quando si tratta di utilizzare dei software per lavorare da casa, rispondendo così a un'emergenza imprevista e imprevedibile, il telelavoro – come abbiamo detto – può essere una risposta, e lo è stato. Ma quando il processo richiede degli step "analogici", o addirittura degli step espletabili solo "di presenza" (come dicono pragmaticamente i miei amici siciliani) il telelavoro mostra la corda. Si inceppa e ti costringe a ripiegare su delle formule "acconciate" che vanno bene, sono passabili, fin tanto che vieni colto dalla prima pandemia mondiale dopo quasi 100 anni e devi correre velocemente ai ripari. Ma, alla lunga, anche in previsione di quelle che possono diventare nuove consuetudini di efficienza aziendale (di certo molte imprese non torneranno mai totalmente indietro, dopo aver scoperto quali "savings" si possono ottenere applicando regimi di telelavoro e di "presenza fisica" a turnazione) o nuove possibili situazioni di emergenza, questo modo di gestire le cose è dannoso. Se per due–tre mesi fai di necessità virtù e ti inventi dei modi "caserecci" per superare gli ostacoli dovuti all'impossibilità di implementare alcune procedure analogiche, e allora ricorri a "fotografie di contratti firmati", firme dell'amministratore delegato applicate

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sui PDF apponendo l'immagine della firma autografa in ".jpeg" su un documento, cosa può succedere? Ma se questi due-tre mesi diventano prima sei, poi 9, poi diventano un termine indefinito perché – alla fine dell'emergenza sanitaria – preferisci mantenere una gestione promiscua di "lavoro a distanza" e "lavoro in ufficio", ottimizzando i costi di gestione, ti ritrovi ad avere il 70%/80% del tuo patrimonio documentale gestito così, alla "bell’e meglio". Con qualche documento analogico e qualche documento digitale "acconciato" con un uso sapiente dei programmi di grafica, scansioni, fotografie di documenti fatti con lo smartphone, screenshot e un po’ di fantasia, secondo lo stile "scarpe grosse, cervello fino" che spesso contraddistingue noi italiani. Questo sarebbe un disastro, perché esporrebbe l'azienda a situazioni di rischio inaccettabili, col 70% dei documenti prodotti assolutamente privi di alcuna consistenza formale, normativa e legale. E puoi dare per assodata una cosa: là fuori gli uffici legali questa cosa la sanno, lo sappiamo perché li intervistiamo. Gli avvocati di tutta Italia sanno che – un domani – se un loro assistito vorrà disconoscere un ordine, per svincolarsi da un contratto sottoscritto (per insoddisfazione, perché ha trovato un'offerta migliore o perché vuole effettuare un taglio dei costi), la prima cosa da fare sarà analizzare la "consistenza" dei contratti con cui lo stesso assistito si è vincolato. Ecco perché il futuro è dello smart-working, anche se pensi che nel tuo caso sia sufficiente il telelavoro. Devi pensare allo smart-working come a una "filosofia" di vita applicata al business. Una filosofia che permette un uso della tecnologia orientato alla libertà dei dipendenti e dei collaboratori esterni, cui vengono tolti i ”doveri" in termini di frequentazione del posto di lavoro, lasciando loro soltanto i "doveri" in termini di performance e di rispetto delle scadenze. Applicare le metodologie dello smart-working alla tua impresa significa però – al tempo stesso – renderla realmente libera e indipendente dalla burocrazia interna. Permette, ad esempio, al CEO dell'azienda di svegliarsi una mattina alle 5 per andare a correre, di vedere sul proprio smartphone che i suoi collaboratori hanno completato la redazione dei documenti da presentare a una gara, e di firmare tutto il plico digitalmente con un “tap”, in una frazione di secondo, mentre affonda i denti su una fetta biscottata spalmata di Nutella, preparandosi a bruciare le sue calorie giornaliere prima di tuffarsi a capofitto nella sua giornata.

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Significa “firmare sulla fiducia”, perché è il processo di smart-working a determinare se il plico è completo, se i documenti previsti per quella gara sono stati interamente compilati, non c’è bisogno di fare una riunione, o di scriversi delle e-mail per vedere se “è tutto a posto”. Gli strumenti che coordinano il processo fanno questo lavoro di verifica al posto delle persone, quindi ognuno può focalizzare il tempo speso lavorando su un “range” di mansioni estremamente verticalizzato. Significa uscire da qualunque schema o regime burocratico, cosa che il telelavoro non permette realmente di fare, e di superare le problematiche legate al “file p7m”, piuttosto che alla VPN. Permette a un dipendente di avere sotto controllo non solo la propria "to do list" ma anche lo stato di avanzamento delle attività per le quali dipende da altre persone. Fingi di essere un dipendente assunto in un’azienda che realizza degli e-commerce. Tu sei responsabile degli aspetti grafici del sito e sei la persona deputata alla pubblicazione online del prodotto finito, nel giorno stabilito dalle scadenze prefissate. Ma hai solo queste mansioni, perché della creazione dei database, dei sistemi di pagamento online e dello sviluppo dei “carrelli” con cui gli utenti acquisteranno i prodotti, se ne occupano altri colleghi e altri collaboratori, e supponi di dover cooperare con loro a distanza. In regime di telelavoro come funziona? Tutti sanno che il team di lavoro è operativo dalle 9 alle 18 dal lunedì al venerdì, e in quelle fasce orarie ci si scambiano delle e-mail, si fissano delle riunioni online, ognuno di loro segue gli stessi processi di quando si lavora in ufficio. Se accade un imprevisto, se il bambino del collega che si sta occupando del database – in un momento


di distrazione di chi lo doveva guardare – ha trovato il modo di allagare mezzo appartamento giocando con il bidet, oppure se gli salta il collegamento internet, il processo si interrompe. Devi comunicare a tutti che il sito non sarà pronto nel giorno previsto, devi organizzare un’altra riunione, devi dirlo al CEO che era lì pronto con la sua Smart card a firmare il verbale di consegna a fine lavoro con il suo bel file p7m, devi avvisare l’amministrazione di non mandare ancora la fattura al cliente, ecc. Paradossalmente, quello del telelavoro è un meccanismo che RALLENTA l’azienda. Se tu e tutti gli attori coinvolti nella consegna del sito web foste nello stesso ufficio a lavorare come sempre, tutto sarebbe più immediato. Posto che il collega non dovrebbe trovarsi costretto a gestire l’allagamento provocato dal bimbo che – smarcatosi dalle attenzioni dell’adulto – fa esondare il bidet, qualsiasi altro imprevisto sarebbe gestibile con un semplice “giro di uffici”. Busseresti alla porta del capo dicendo “siamo in ritardo col sito”, poi faresti un salto veloce in amministrazione per dire “aspetta a fatturare”, poi andresti in sala riunioni a riorganizzare la consegna con i tuoi colleghi per poi farti uno schifoso caffè alla macchinetta per staccare un attimo. Uno dei vantaggi dello smart-working è che diminuisce drasticamente – fino all'80% – l'esigenza di comunicazione diretta tra persone coinvolte in un determinato processo. Si calcola che le aziende italiane, durante il lockdown, abbiamo aumentato del 1287% il consumo di piattaforme come ZOOM. Questo è un altro esempio di come – in realtà – lavorare a distanza sia stato tradotto nell'applicazione scientifica delle metodologie di telelavoro, dove le riunioni su Zoom e Skype hanno sostituito le riunioni fiume fatte nelle affollatissime sale riunioni nei quartier generali. Ma questo, dal momento che si lavora a distanza, è un enorme spreco di risorse temporali che lo smart-working – grazie a una metodologia di cooperation basata su eventi e step autorizzativi, condivisi attraverso algoritmi orchestrati dall'ecosistema di lavoro – azzera completamente. Tuttavia, lo smart-working è inapplicabile in modo efficace se non si introducono in azienda altri "sottoprincipi", come quello dell'accreditamento al sistema informativo aziendale, o quello dell'identità digitale. Tutti coloro che partecipano alle attività di smart-working devono essere “iscritti” a un sistema di cooperazione e devono essere muniti di un “avatar”, un’identità digitale che permetta a ciascun collaboratore di interagire con l’ecosistema di lavoro agile.

Non si tratta di avere semplicemente una username e una password, ma di creare un alter ego digitale della persona fisica con cui diventa possibile prendere parte a un processo totalmente disintermediato, in cui tante “identità digitali” lavorano a distanza, negli orari che preferiscono, senza la necessità di dover comunicare ogni 5 minuti, diminuendo drasticamente gli imprevisti e la presenza di variabili che possono creare scompiglio, azzerando riunioni fiume, liberandosi dal concetto di VPN, ma soprattutto eliminando quasi del tutto i processi analogici e quindi quelle forme di burocrazia interna che intralciano il lavoro a distanza! Solo così possiamo creare un ambiente di lavoro nel quale ciascuno dei componenti può lavorare in un reale regime di flessibilità e di resilienza. Per entrare nel merito di tutti i segreti dello smart-working – e per raccontartelo in modo pragmatico e profondo – non basterebbero mai le pagine a disposizione di un singolo articolo su carta stampata. Voglio quindi invitarti nel solo posto dove puoi entrare in profondità nel merito di tutti questi principi e di queste metodologie, e comprendere: a. Come puoi passare dal telelavoro allo smart-working, anche se ti sembra di aver già compiuto diecimila passi avanti sul fronte della digitalizzazione in questo folle 2020, e anche se i tuoi collaboratori, i tuoi clienti e i tuoi fornitori sono più conservatori di Norberto Bobbio negli anni d’oro. b. Come puoi adottare – realmente – una metodologia di smart-working in azienda, beneficiando così di tutti i vantaggi che puoi acquisire in termini di resilienza e deburocratizzazione dei tuoi processi di business, per andare incontro a un futuro nel quale variabili impazzite come “pochezza dei governi” ed “evoluzioni dell’emergenza sanitaria” non possano più minimamente incidere sulla produttività e sulla quotidianità dell’azienda, in termini di mansioni, attività individuali e lavoro in team, allestendo un impianto documentale legalmente solido, inattaccabile da qualunque cliente disonesto che voglia sciogliersi dai propri impegni contrattuali, giocando su cavilli formali che devono sparire dalla tua organizzazione. Trovi questo – e molto di più – registrandoti GRATUITAMENTE al Centro di Competenze Digitali, dove potrai scoprire tutto – ma proprio tutto – ciò che devi sapere sullo smart-working, senza perdere tempo in inutili e infruttuose ricerche su Google. Ti aspetto su www.centrocompetenzedigitali.it/paperless 13


COVER STORY DENTRO LA DIGITALIZZAZIONE DEI PROCESSI

NON CHIAMATELO

“SMART WORKING” Dai riferimenti normativi alla necessità di nuovi modelli organizzativi, ecco a che punto siamo

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di Pietro Montella Avvocato studio Montella Law

I

n questi ultimi mesi ci siamo trovati dinanzi alla necessità di dover lavorare a distanza e probabilmente dovremo farlo ancora per qualche tempo. In molti all’inizio hanno avuto difficoltà ad organizzarsi essendo impreparati a dover affrontare tale situazione di emergenza, altri hanno reagito bene e si sono adeguati immediatamente, ma tutti con una certa fierezza parlando con amici e colleghi hanno esclamato “stiamo facendo smart working”. In realtà, mi dispiace dover essere fonte di profonda delusione, non è proprio così. La maggior parte delle aziende che ha potuto continuare la propria attività ha semplicemente spostato l’abituale sede o luogo di lavoro consentendo ai dipendenti e collaboratori di lavorare da casa durante una situazione di emergenza al fine di mantenere una certa continuità operativa. Ebbene il telelavoro consiste proprio nello svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali utilizzando gli strumenti messi a disposizione dell’azienda, da una postazione di lavoro e secondo orari determinati nel contratto di assunzione. Nulla di diverso dal normale espletamento della prestazione lavorativa presso la sede aziendale ad eccezione del luogo ove viene svolta e nulla di più lontano dallo smart working. Il lavoro agile o smart working è disciplinato dalla L. n. 81 del 23 maggio 2017 che all’art. 18 lo definisce “quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa”. Lo scopo dello smart working è, per definizione, quello di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Lavorare in smart working significa adottare una nuova filosofia e cultura del lavoro e non lavorare chiusi in una stanzetta di casa per le canoniche sette, otto ore tra pause pranzo, caffè e sigaretta. Lavorare meno, lavorare meglio e soprattutto abbandonare il concetto di tempo, paga oraria, luogo, per concentrarsi sul raggiungimento degli obiettivi. Sempre l’art. 18 comma 1 della l. 81/2017 prevede, infatti, che “La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.” Significa ridisegnare i luoghi di lavoro riorganizzando gli spazi e favorendo open space e ambienti di lavoro in coworking. Il lavoro agile, a differenza del telelavoro, non è isolamento ma condivisione di spazi e idee, collaborazione tra le persone.

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DENTRO LA DIGITALIZZAZIONE DEI PROCESSI

L’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 ha imposto l’adozione di questa modalità di lavoro e sono state semplificate le modalità di implementazione del lavoro agile per aziende private e pubblica amministrazione, attraverso l’eliminazione del requisito dell’accordo individuale previsto dall’art. 19 della l. 81 del 2017. In particolare il DPCM del 4 marzo all’art 1 lett. n), il quale ha disposto che “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all'articolo 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro”. Ovviamente ciò ha comportato un aumento esponenziale dei lavoratori “smart”, con immediato riflesso anche sulla sicurezza delle infrastrutture informatiche delle imprese e delle pubbliche amministrazioni. Il datore di lavoro è, infatti, responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell'attività lavorativa. E proprio uno dei primi ostacoli pratici incontrati dalle aziende ha riguardato la necessità di provvedere alla dotazione tecnologica per i dipendenti nonché alla necessaria formazione e supporto a distanza, oltre alla necessità di adeguare l’infrastruttura informatica, onde evitare di esporre il proprio patrimonio di dati aziendali. Lo smart working non si organizza dall’oggi al domani ma richiede una trasformazione della cultura dell’organizzazione aziendale, in primis da parte del management, che dev’essere aperto ad un radicale cambiamento e disposto a garantire una maggiore flessibilità e autonomia ai lavoratori. In secondo luogo, la trasformazione culturale è richiesta anche ai dipendenti, i quali devono essere orientati al raggiungimento del risultato e in qualche modo responsabilizzati. È opportuno, pertanto, che venga sfruttato questo periodo di emergenza e di crisi per ripensare all’organizzazione dell’azienda approntando procedure e implementando le tecnologie in modo da attuare davvero lo smart working.

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APPUNTI NEWS, IL PRIMO PORTALE DEL MARKETING DELLE PROFESSIONI Appunti News è un portale di informazione specialistica sui temi del marketing delle professioni edito dall’Associazione Sogno 22. Nasce dall’esperienza ultradecennale del Gruppo Stratego e del suo team al servizio di studi professionali e imprese su tutto il territorio nazionale. Il progetto editoriale, concepito senza nessuna finalità commerciale ma solo a scopo divulgativo, si propone di promuovere la cultura della comunicazione legata al mondo delle professioni e raccontare le buone prassi, le “good news” attivate da professionisti e imprenditori, attraverso la pubblicazione di contenuti esclusivi a cura della redazione e un “hub digitale”, con una selezione di articoli e approfondimenti sul tema, realizzati da testate giornalistiche locali e nazionali, generaliste e di settore. Appunti News vuole fornire una fotografia e una lente di ingrandimento sul mondo delle professioni dal punto di vista di chi, quotidianamente, affianca imprenditori e professionisti nello sviluppo dei loro piani marketing e comunicazione.

www.appuntinews.it 17


DENTRO LA DIGITALIZZAZIONE DEI PROCESSI

L'IMPORTANZA DELLA SICUREZZA PER LE AZIENDE CHE DIGITALIZZANO E CONSERVANO A NORMA I PROPRI PROCESSI

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a storia dell’uomo è carica di insegnamenti, ossia di buone e cattive prassi grazie alle quali, molto spesso, l’uomo potrebbe comprendere meglio il proprio futuro e, soprattutto, il presente. Le grandi lezioni della storia, quindi, sono foriere di saggezza e di sapienza. Le stesse “storie” dei nostri nonni sono attimi di questa saggezza che potremmo riportare nella realtà che ci circonda e ottenere ben più che qualche beneficio. Lo facciamo? La domanda è retorica perché in realtà poche volte ci soffermiamo su riflessioni così approfondite e procediamo, invece, ad applicare il nostro sentimento immediato piuttosto che meditato. Ci sono però, situazioni, in cui sappiamo riflettere e comprendiamo che le lezioni del passato sono in realtà concrete ed immediate. Un aspetto molto importante, nella nostra evoluzione, è stata la sicurezza e tutto ciò che ha richiesto questo stato. Abbiamo appreso che le cose importanti devono essere difese e protette, che è necessario discernere bene cosa proteggere perché non si può proteggere tutto, bensì solo cose selezionate. Un tempo si proteggeva l’oro e la famiglia prediligendo questi due aspetti rispetto, per esempio, al cavallo, al carro, all’automobile etc. Mettere in sicurezza questi elementi primari è fondamentale per l’essere umano, che di fatto esercita una selezione in base agli elementi base per la sopravvivenza.

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di Biagio Garofalo CEO e Founder Garofalo and Partners

Un imprenditore o, in senso più ampio, un’azienda\ ente deve proteggere in modo primario alcuni elementi rispetto agli altri e quindi effettuare delle scelte. Nel periodo dell’impero Romano era necessario e fondamentale mettere in sicurezza le città con le Legioni, nel periodo medioevale era necessario proteggere i centri abitati con le mura e le fortezze, nel Rinascimento era necessario inseguire la bellezza per rappresentare il proprio status, negli anni dell’Ottocento era necessario produrre carbone e rendere le linee di rifornimento sicure, durante la Rivoluzione industriale era necessario rendere sicuro l’approvvigionamento di mano d’opera, nella seconda metà del 900 era necessario che tutti potessero andare a lavoro e che quindi non solo le città, ma anche le strade fossero sicure, era necessario sempre che le “banche” fossero sicure etc. Tutti fattori, quelli testé indicati, che, assolutamente, richiedevano una messa in sicurezza proprio per poter sostenere l’intrinseca consistenza dell’esistenza. Nel mondo bellico, ancor di più, potremmo descrivere casi in cui è stato necessario mettere in sicurezza “informazioni”, “castelli”, “navi” o “codici”. Non dimentichiamoci di Enigma o del supporto che gli Indiani d’America diedero per decifrare la crittografia dei segnali nella WORLD WAR II nel Pacifico. Oggi ci premuriamo che i nostri figli possano scendere per una passeggiata ed esser sicuri di poterli monitorare nel percorso piuttosto che nelle amicizie. Oggi chiudiamo la porta di casa a chiave e le portiere


dell’auto con un chiave digitale e un antifurto. Bene, allora è necessario che, come una volta, l’essere umano percepisca l’essenza della propria sopravvivenza e cominci ad applicare a questa coscienza una condotta di messa in sicurezza. La deduzione è immediata. Perché allora non si mettono in sicurezza i dati e le proprie infrastrutture informatiche? Probabilmente dobbiamo lavorare nel far comprendere che ci sono altri elementi, oggi, differenti da quelli solo materiali di un tempo, che sono fondamentali per il nostro lavoro e per la nostra vita e che, meglio, senza alcuni elementi immateriali non è possibile riuscire a sopravvivere e a lavorare. Il problema, oggi, non è come mettere in sicurezza le cose importanti per la vita e per il lavoro, ma percepire realmente cosa sia importante. Nessun uomo, una volta avvertito il pericolo, non si proteggerà e non si metterà in sicurezza. Dobbiamo, dunque, lavorare sulla coscienza non del pericolo e del rimedio, ma sul comprendere da dove provenga il pericolo. La comprensione prevede conoscenza e la conoscenza prevede studio e capacità di osservazione. Tutte queste doti sono fondamentali per l’uomo tant’è che ne hanno contraddistinto lo sviluppo. Tutti gli ingredienti ci sono, ossia la capacità di comprendere che a un pericolo è necessario rimediare con delle misure e che per comprendere il pericolo bisogna applicarsi. Un osservatore ingenuo potrebbe allora dedurre: visto che le informazioni e le rete informatiche sono fondamentali per la sopravvivenza del mondo del lavoro, delle attività primarie della società e della propria vita personale e visto che il pericolo appreso è evidente, lo è altrettanto la necessità di evitarlo con un sistema o più sistemi di sicurezza attivi e passivi. Bene, l’osservatore ingenuo, in realtà, non è ingenuo, bensì pragmatico; infatti nulla si può obiettare in merito e, cosa più divertente, nessuno obietterebbe. Tutto quanto considerato è palese e alla mercé di tutti: la conoscenza di continue frodi informatiche, di attacchi malevoli a strutture sanitarie piuttosto che strategiche come centrali elettriche, a persone fisiche, a persone giuridiche che hanno responsabilità di decine, centinaia e migliaia di collaboratori etc. È un fatto che la guerra sia ormai digitale su molti fronti, compresi tra paesi nemici ed amici. Un'azienda che utilizza un ERP (enterprise resource plain) in ambito industriale, probabilmente collegato ad un MES (measuremenet execution system) sincrono con un BPM(business process management) potrebbe mai considerare accettabile, per la propria sopravvivenza, la perdita di funzionalità di questi si-

stemi trasversali e verticali?Riuscirebbe a lavorare ancora, riuscirebbe a localizzare un cliente e\o un fornitore e\o un consulente? Sarebbe totalmente in ginocchio. Una azienda con un processo produttivo compliant Industry 4.0 potrebbe permettersi un fermo completo dei suoi sistemi di gestione delle interconnessioni? Un sistema di gestione sanitaria potrebbe essere possibile senza una cartella digitale e\o una diagnostica digitale? Il vero punto comune di queste osservazioni è che oggi non stiamo leggendo la storia e non stiamo ascoltando il presente. Già oggi il digitale ha completamente permeato la nostra vita e il nostro lavoro. Il mondo digitale non solo ci permette di lavorare, ma ci permette di sopravvivere. La sintesi ci indica che è assolutamente necessario proteggerci e adottare comportamenti e sistemi di protezione, per evitare che non si sia più in grado di salvare gli elementi fondamentali della nostra esistenza. I metodi e i modelli da adottare per mettersi in sicurezza nel mondo delle informazioni esistono, benché in continua evoluzione. È assolutamente necessario modificare la nostra mentalità, affinché diventi una priorità la difesa del “nostro” mondo digitale. Ritengo, vivendo ormai nel mondo della sicurezza delle informazioni e delle strutture delle tecnologiche da molti anni, che sia necessario cambiare l’attenzione e predisporsi ad accettare che è necessario, quasi ovvio, adeguare la propria politica di sicurezza inglobando in essa tutto il mondo digitale. La mail, i social, i mobile device, il gps, i motori di ricerca, le auto, le firme digitali, i documenti di produzione personale, etc. sono tutti elementi della nostra vita quotidiana dai quali nessuno può sfuggire e di cui nessuno può fare a meno. Tutti elementi di “elevazione” della nostra persona e della nostra professionalità, ma se non messi in sicurezza elementi di debolezza e di criticità. Cosa lasciare al lettore? Una serie di regole infinite e complesse per mettersi in sicurezza? No, perché sarebbero inutili e forse incomprensibili. Lascio al lettore solo una categoria di pensiero, una categoria di consapevolezza, una sensazione di valore della sicurezza allargato al mondo digitale. Come risolverlo? Ci sono tante strade, tanti professionisti, tante tecnologie, ma nessuna migliore dell’atteggiamento che sarà necessario adottare da oggi in poi. Che la forza sia con Voi… Scusatemi, Che la “sicurezza” sia in Voi. 19


COVER STORY DENTRO LA DIGITALIZZAZIONE DEI PROCESSI

LA DIGITALIZZAZIONE DEL SETTORE SANITARIO: I SOFTWARE MEDICALI di Luca Romanelli CEO e Founder RIATLAS

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l settore della salute digitale negli ultimi anni evidenzia un continuo percorso di crescita e di sviluppo. La digitalizzazione sanitaria è trainata dai rapidi progressi nella tecnologia, dalla spinta a fornire una assistenza sanitaria sempre più personalizzata, dalla richiesta di accesso in tempo reale alle informazioni e dal massiccio aumento dei dati socio-sanitari (big data). Per digitalizzazione non deve intendersi solo uno sviluppo tecnologico ma un vero e proprio cambiamento culturale, che sta rivoluzionando sia l’organizzazione interna degli ospedali, che l’aspettativa dei pazienti verso il mondo della sanità. La digitalizzazione del settore sanitario riguarda sia interventi di carattere pubblico, in termini di risposta ai nuovi bisogni di salute della popolazione e di miglioramento del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), che di carattere privato, in termini di soluzioni e applicazioni software che abbiano come destinazione d’uso l’ambito sanitario. Tra gli interventi di carattere pubblico rientrano, ad esempio, iniziative quali la Tessera Sanitaria, il Fascicolo Sanitario Elettronico, la Certificazione di malattia online; i servizi per la continuità assistenziale ospedale-territorio; la gestione della cronicità; i centri unici di prenotazione (cup), la ricetta elettronica, la dematerializzazione dei documenti sanitari, ecc. Tra gli interventi di carattere privato, ambito del presente articolo, rientrano i software per la prevenzione, diagnosi e cura, che aziende private e/o start-up intendono immettere sul mercato come dispostivi medicali. Il livello di utilizzo di tali strumenti è ancora limitato alle prime fasi di introduzione e diffusione sul mercato. In tale contesto, le soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, da un lato stanno consentendo di ottenere prestazioni più veloci e una accuratezza superiore nei risultati clinici, dall’altra stanno introducendo aspetti etici, di sicurezza e privacy da tenere in considerazione. Il vantaggio dell’Intelligenza Artificiale è la possibilità di progettare strumenti di salute digitale per valutare potenziali rischi di evoluzione di determinate patologie, analizzare possibili effetti di trattamenti terapici e/o farmacologici su singoli pazienti, integrare fonti diverse e correlare dati, grazie alla capacità di acquisire, immagazzinare ed elaborare grandi moli di dati e informazioni sui pazienti, dispositivi medici

e sistemi informativi. Tali strumenti supporteranno sempre di più il medico nel “decision making”, accompagnando le decisioni in maniera più accurata e personalizzata, e offrendo la possibilità di dedicarsi ad attività a valore aggiunto. La principale barriera all’adozione è principalmente dovuta ad aspetti culturali e organizzativi, dovuti a un ambiente complesso, con un processo decisionale multi frammentato, con differenti esigenze e bisogni da soddisfare. Non da meno lo scarso livello di digitalizzazione del Sistema Sanitario, la difficoltà di interoperabilità tra i sistemi informativi ospedalieri. Da questo punto di vista, a differenza di altri paesi europei, in Italia manca anche una legislazione specifica per l’acquisto e la messa in opera di tali soluzioni. Ad esempio, in Germania una nuova legislazione consente la prescrizione di una app mobile ai pazienti. Tutto ciò pesa molto sullo sviluppo del settore, soprattutto per il mondo delle start-up, che per prime hanno creduto e investito in questo ambito. I principali ostacoli da affrontare nella sfida dell’introduzione di soluzioni digitali (dispostivi medicali software) nel settore sanitario riguardano: - Aspetti regolatori, in termini di certificazioni da soddisfare per l’immissione e commercializzazione sul mercato come “dispositivo medicale” software, anche alla luce dell’introduzione del Nuovo Regolamento Dispositivi Medici (MDR). - Evidenze scientifiche, in termini di protocolli di studi e clinical trial, atti a dimostrare i miglioramenti della soluzione proposte (es. aderenza e appropriatezza alla terapia). - Qualità di dati, in termini di sicurezza e privacy (garanzia della fonte dei dati, qualità degli algoritmi, sicurezza, validità e utilizzo corretto dei dati). Tali soluzioni devono, inoltre, rispettare stringenti normative (es. GDPR) per la condivisione e trasmissione dei dati dei pazienti. - Aspetti etici, in termini di rischio, proveniente dagli algoritmi sviluppati, che potrebbero rispecchiare pregiudizi umani nelle scelte decisionali, oppure indirizzare e favorire il consumo di dispostivi medici, senza che gli utenti lo percepiscano; oppure affidarsi in maniera eccessiva alle risposte suggerite dalle tecnologie; oppure, infine, problemi di confidenzialità dei dati.

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COVER STORY DENTRO LA DIGITALIZZAZIONE DEI PROCESSI

di Paolo Rocca Comite Mascambruno Innovation Manager Certificato Federmanager Salerno

IL MANAGER DELL’INNOVAZIONE E LA DIGITALIZZAZIONE DELLE PMI

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on le misure a sostegno dell’innovazione, si è fornita l’opportunità alle imprese di coinvolgere nei propri processi strategici e decisionali professionalità manageriali in possesso di specifiche competenze certificate nell’ambito dell’innovazione. Anche Federmanager, rispondendo alle sollecitazioni del MISE, ha fornito il proprio elenco di Innovation Manager certificati, che si caratterizzano per la loro pluriennale esperienza nella conduzione di progetti di innovazione industriale in ambito nazionale e internazionale. Essi, coinvolti dalle PMI e attraverso l’impiego di opportune deleghe direttive, hanno il compito di individuare specifiche misure innovative, sia di tipo incrementale (atte a migliorare l’esistente e perciò dette “rafforzative”) sia di tipo radicale (anche dette “trasformative” che modificano il posizionamento dell’impresa attraverso la proposta di prodotti/servizi completamente nuovi). Il manager individua il budget necessario, lo concorda con la proprietà e si fa carico della gestione dell’intero processo e di tutte le risorse coinvolte.

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In concreto, l’attività dell’innovation manager si espleta attraverso l’analisi del contesto, l’individuazione delle risorse materiali e immateriali necessarie, la verifica e ridefinizione dei processi e delle relative apparecchiature e tecnologie, il dimensionamento di un budget realistico sulla base delle risorse rese disponibili dalla proprietà e, infine, la conduzione dell’intero processo innovativo con tempi certi e obiettivi predefiniti. La prima fonte di risorse finanziarie per il manager dell’innovazione è rappresentata dalla riduzione dei costi aziendali. Attraverso l’analisi di flusso di tutti i processi aziendali, egli individua in primis tutti i supporti documentali prodotti in azienda, ne avvia la digitalizzazione che garantisce il risparmio e, mediante l’utilizzo della tecnologia, semplifica le attività. Il passaggio successivo è quello dell’introduzione di tecnologie digitali di controllo, che consentono una lettura in tempo reale di tutti i parametri gestionali e produttivi. Si rilevano, così, ridondanze, errori e sprechi, fornendo un sistema di supporto alle decisioni istantaneo ed efficace. Concretamente si pensi


alla gestione aziendale di una commessa. È frequente in tutte le attività di PMI (ad esempio della falegnameria industriale piuttosto che della piccola produzione in serie) che le specifiche della stessa commessa siano trasferite attraverso un modulo d’ordine cartaceo. Questo stesso modulo attraversa tutte le fasi della produzione, con annotazioni da parte degli operatori, fino a giungere alle fasi finali di stoccaggio temporaneo in magazzino o di spedizione. Per gli uffici amministrativi, così, risulta pressoché impossibile avere una visione istantanea dello stato della commessa. Digitalizzando la documentazione relativa alla commessa, automatizzandone la compilazione delle diverse sezioni e interfacciando i documenti ai software per clienti e magazzino, si consente di virtualizzare l’ambiente di gestione, rendendolo accessibile da un qualunque dispositivo collegato in rete. Si possono poi interfacciare al sistema documentale anche le apparecchiature produttive che rilevano i parametri relativi alla specifica fase e li inseriscono automaticamente nel “fascicolo di produzione”. Lo stesso vale per gli operatori coinvolti che, mediante tablet o altri dispositivi in rete, compilano le schede di pertinenza e fanno avanzare il processo. Con questi semplici passaggi, si assicura un consistente guadagno in termini di efficienza e rapidità e il pieno controllo del flusso dei dati. Su questa strada, si riducono gli errori di produzione, si ottimizzano LE IMPRESE HANNO tempi e scorte di magazzino, si incrementa la capacità L'OPPORTUNITÀ DI COINVOLGERE produttiva e la possibilità di acquisire nuove commesNEI PROPRI PROCESSI STRATEGICI se. E DECISIONALI PROFESSIONALITÀ Per il ruolo che gli è conferito, il manager dell’innoMANAGERIALI IN POSSESSO vazione ha la responsabilità delle scelte idonee, che DI SPECIFICHE COMPETENZE siano economiche, recentissime in termini di innovaCERTIFICATE NELL’AMBITO zione tecnologica, adeguate allo scenario aziendale e DELL’INNOVAZIONE. nel contempo siano scalabili, nel senso che prevedano possibili opzioni di sviluppo futuro. Egli si trova coinvolto in questa sfida, che necessita di un rapporto fiduciario con l’imprenditore che gli consegna il timone della sua azienda per condurla in questo percorso. Ma l’innovazione in azienda, pur realizzata attraverso la tecnologia, non può prescindere dal fattore umano. La responsabilità del manager dell’innovazione è anche quella di coinvolgere attivamente i collaboratori, renderli partecipi, mostrare loro come l’utilizzo della tecnologia (utile e non imposta) consenta di lavorare meglio (a titolo di esempio la previsione di un controllo preventivo può evitare un errore e consentire all’operatore di riservare maggiore attenzione alla qualità della sua attività). Solo grazie all’impegno corale di tutti gli attori coinvolti, opportunamente motivati e coordinati dal manager, l’innovazione consente il raggiungimento dei risultati attesi. L'Innovation Manager certificato di Federmanager, qualificato e in possesso di competenze certificate, è consapevole delle sue responsabilità e spesso subordina parte della sua retribuzione al raggiungimento degli obiettivi. Egli accompagna l’azienda, ne segue le sorti e sa condurla su rotte innovative, proprio come un buon capitano al quale l’armatore affida la propria nave.

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ASPETTI NORMATIVI

di Rossella Ragosta Esperta in conservazione digitale e privacy

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asce sempre più l’esigenza, da parte di tutti noi, di sostituire la penna e la carta con il digitale e con i bit. Stiamo, infatti, vivendo e subendo l’evolversi delle nuove tecnologiche informatiche che ha cambiato e che sta cambiando anche la modalità di acquisto di prodotti e servizi. Al posto della tradizionale firma su fogli di carta, oggi vediamo spesso campi vuoti, che sono stati preceduti da un click sul Pc o fogli scansionati con firme “autografe” che perdono del tutto la validità legale e quindi privi di rilevanza probatoria. Ecco, proprio di questo voglio parlarti!

COME FIRMARE ELETTRONICAMENTE I CONTRATTI E GLI ORDINI?

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Le libertà di forme di espressione della volontà, atte a garantire e a determinare l’accettazione di quanto si voglia espressamente concludere, sono varie. L’art. 1325 c.c. si fonda sul principio della libertà di forma, in base al quale le parti possono scegliere di concludere un contratto anche oralmente. Analizziamo però l’ipotesi in cui un contratto venga concluso oralmente. Che prova avrei in caso di contenzioso? La risposta è semplice, nulla! Nulla si avrebbe anche se il contratto venga firmato con firma autografa e poi scansionato o quando si appone un solo click sul Pc. Mi spiego meglio. In questi contesti l’accordo sussiste, ma la validità del contratto manca. Manca se non la si dimostra e la dimostrazione che ci sia un contratto o qualsiasi altro accordo la si fa solo in un’aula di tribunale. In verità la soluzione è del tutto semplice e ti spiego il perché. Quante volte avrai sentito parlare di firma elettronica negli ultimi anni? Il Regolamento Eidas 910/2014 definisce la firma elettronica ovvero “dati in forma elettronica, acclusi oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici e utilizzati dal firmatario per firmare”. Lo stesso Regolamento dispone, altresì, quali sono gli effetti giuridici delle firme elettroniche. All’art. 25 del suindicato Regolamento rubricato “Effetti giuridici delle firme elettroniche” si dispone che: “a una firma elettronica non possono essere negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il suo motivo della sua forma elettronica o perché non soddisfa i requisiti per firme elettroniche qualificate. Una firma elettronica qualificata ha effetti giuridici equivalenti a quelli di una firma autografa”(…). E come posso firmare elettronicamente contratti o ordini? Nel nostro ordinamento giuridico tre sono le firme elettroniche: • La firma elettronica semplice; • La firma elettronica avanzata; • La firma elettronica qualificata.

Nel caso di firma elettronica semplice, essa stessa soddisfa sì il requisito della forma scritta, ma non può essere discriminata come prova solo per la sua forma elettronica. Tuttavia, il fatto di eleggere a prova valutabile in un processo un contratto o un ordine con firma elettronica semplice non implica che la stessa debba essere valutata come veritiera dal giudice. Il giudice deve tenere conto di varie circostanze accessorie (es. la policy di sicurezza applicata a livello organizzativo e tecnico) e sicuramente anche delle caratteristiche oggettive di immodificabilità di un documento (per tale ragione, ad esempio, una mail è sicuramente una prova meno schiacciante rispetto a una PEC, essendo la prima facilmente modificabile per ragioni tecniche che non sto ad elencare). Allo stesso modo, una firma elettronica avanzata (es. firma grafometrica) è sicuramente molto più attendibile da un punto di vista tecnico rispetto a una firma semplice, per cui un giudice nella valutazione della stessa avrà delle motivazioni tecniche aggiuntive per valutare l'autenticità del documento ma, sicuramente, non è tenuto a valutare il contratto o un documento informatico necessariamente come autentico, in quanto manca la presenza di una terza parte qualificata (come il certificatore qualificato per la firma digitale). Nel caso, invece, di firma digitale di fornitore qualificato, tale firma è invece oggettivamente inoppugnabile come prova, ciò significa che il presunto firmatario non potrà disconoscerla semplicemente demandando all'opponente l'onere della prova opposta, ma dovrà personalmente procedere con una querela di falso e dimostrare, pertanto, egli stesso che qualcun altro avrebbe potuto firmare al suo posto (onere della prova inverso). A tal proposito, il certificatore di firma è tenuto a fornire al firmatario una procedura che permetta il blocco immediato della firma e ciò è stato pensato dal legislatore proprio a causa dell'estrema difficoltà di poter disconoscere la propria firma digitale in caso di contenzioso. Si conclude che assume rilievo l’applicazione di queste tipologie di firme elettroniche, in particolar modo l’applicazione di firme digitali, per firmare elettronicamente contratti o ordini. Dunque, una firma autografa scansionata o un click sul PC non ha alcun effetto per la legge e si può considerare inesistente.

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SCENARI

INNOVAZIONE E SOSTENIBILITÀ: LA SFIDA DELLA DIGITALIZZAZIONE NELLA FILIERA DEL PACKAGING

I di Marco Gambardella Presidente di Atif (Associazione Tecnica Italiana per la Flessografia)

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mmaginiamo di andare a fare la spesa e voler acquistare un pacco di biscotti. Sarebbe bello poter inquadrare l’involucro con lo smartphone e conoscere in un attimo i valori nutrizionali, gli allergeni e perfino le recensioni di chi li ha assaggiati prima di noi. Tutto ciò renderebbe l’acquisto molto più semplice e veloce ma permetterebbe anche di ridurre gli sprechi alimentari, limitando i consumi energetici e proteggendo l’ambiente. Tutto questo sarà presto possibile grazie alla tecnologia. Nel settore del packaging, la digitalizzazione è la strategia più efficace per soddisfare le esigenze dei consumatori e ridurre il più possibile l’impatto sull’ambiente, garantendo sempre altissimi standard di qualità, sicurezza ed efficienza. La digitalizzazione è anche ciò che ci ha permesso di far fronte comune contro l’emergenza COVID-19. Laddove è stato possibile, le aziende della filiera del packaging hanno riconvertito a tempo di record le linee di lavorazione per dedicarsi alla produzione di dispositivi di protezione individuale (DPI), mascherine e camici per il personale ospedaliero. In generale, è stato favorito il ricorso allo smart-working e i processi produttivi sono stati resi ancora più efficienti. Tutto ciò è stato possibile grazie a software gestionali, infrastrutture IOT e processi di automazione all’avanguardia. Anche in questa terribile circostanza, quindi, le aziende del packaging hanno confermato di essere in prima linea sul fronte della digitalizzazione investendo risorse, sforzi e grande impegno. Questa vera e propria trasformazione riguarda tutte le fasi della nostra filiera: dalla produzione alla gestione aziendale, dalla logistica alla distribuzione.


All’interno degli stabilimenti produttivi utilizziamo macchinari interconnessi e capaci di effettuare autodiagnosi e manutenzione preventiva. Ogni fase della filiera produttiva è progettata per ridurre al minimo gli sprechi e viene sottoposta a continui controlli attraverso software gestionali innovativi ed efficienti, sviluppati per soddisfare specifiche esigenze logistiche e aziendali. La gestione di tutte le fasi della filiera e l’implementazione di un’infrastruttura digitale all’avanguardia garantiscono la tracciabilità completa di ogni lotto, assicurando la conformità, anche normativa, dei prodotti. Collegare tra loro macchine, persone e sistemi ci permette di pianificare e ottimizzare ogni singola risorsa produttiva, gestire in modo dettagliato l’intera filiera aziendale, monitorare tutte le fasi della produzione e le relative statistiche attraverso una visione generale del piano avanzamenti. Digitalizzare significa anche investire nella formazione del capitale umano e nello sviluppo di nuove skill trasversali. Penso ai campi dell’ingegneria chimica e gestionale, dell’informatica e dell’economia 4.0. Nelle nostre aziende abbiamo bisogno di collaboratori dinamici, capaci di lavorare in team e soprattutto in continuo aggiornamento. Proprio per questo motivo, l’ATIF ha deciso di investire sulla formazione dei giovani laureati. Insieme all’Università di Salerno abbiamo lanciato il MATESPACK, il primo Master in MAteriali e TEcnologie Sostenibili per PACKaging Polimerici e Cellulosici. Il percorso prevede 1500 ore di formazione spe-

cialistica, in aula e in azienda, per laureati in materie tecnico-scientifiche che vogliono verticalizzare le proprie competenze nel settore del packaging. L’obiettivo è investire sui giovani laureati e formare figure professionali altamente specializzate. E’ un’esperienza win-win: vincono gli studenti – perché hanno l’opportunità di perfezionare le proprie competenze e testare sul campo quanto appreso sui libri - e vincono le aziende perché “incontrano” figure altamente qualificate. La prima edizione è stata un successo: 14 dei 15 partecipanti sono stati assunti dalle aziende coinvolte. Formazione e tecnologia sono i due asset principali sui quali il nostro settore è chiamato a investire per continuare a crescere e giocare un ruolo da protagonista nel quadro economico globale. La sfida per il futuro è riuscire produrre soluzioni per il packaging sempre più rispettose dell’ambiente e capaci di soddisfare le esigenze dei produttori e dei consumatori. Stiamo lavorando su veri e propri packaging intelligenti, prodotti capaci di dialogare con gli acquirenti e fornire informazioni utili sulla conservazione o l’utilizzo del prodotto. Le confezioni intelligenti ci diranno quando il prodotto sta per scadere, magari inviando un promemoria al nostro smartphone o suggerendoci qualche buona ricetta tramite mail. Ovviamente, ci sarà molta attenzione anche alla tutela dell’ambiente. Già oggi le aziende del settore del packaging stanno facendo grossi investimenti per realizzare imballaggi con materiali sostenibili, ricavati da materie prime seconde, in base ai principi dell’Economia

Circolare. Ancora una volta è fondamentale che i diversi attori della filiera del packaging si concentrino in progetti e attività collaborative con il mondo della ricerca per sviluppare imballaggi resistenti, macchinabili e buoni per l’ambiente. E ovviamente anche belli: anche nei prossimi anni, non dovremo mai dimenticare che la bellezza è ciò che contraddistingue i prodotti Made In Italy. All’estero, l’Italia è vista come la patria della Dolce Vita, della moda, del lusso e della creatività. L’ATIF sta cercando di legare questo concetto al mondo della flessografia, facendo del packaging un vero e proprio “ambasciatore” del Made in Italy. Sono convinto che proprio la digitalizzazione possa essere la leva strategica più efficace per il rilancio dopo l’emergenza COVID-19, non solo nel settore del packaging. Saranno necessari forti investimenti da parte dello Stato e, parallelamente, grandi investimenti privati. Occorrerà intervenire in settori strategici come l’industria farmaceutica, il comparto manifatturiero e la Green Economy. Nei prossimi mesi l’ATIF dovrà svolgere un fondamentale ruolo di networking tra Aziende, Istituzioni ed Enti di Ricerca. Lavoreremo a una plastic strategy sempre più efficace e sostenibile, rafforzeremo la coesione tra brand-owner ed enti d’istruzione. Oggi più che mai le aziende, gli imprenditori e tutti i lavoratori devono sentirsi parte di un meccanismo complesso che ha bisogno anche della sua rotella più piccola per non fermarsi, continuare a vivere e tornare a crescere. Con fiducia, accortezza e voglia di guardare avanti.

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SCENARI

DIGITALIZZAZIONE E TURISMO: COME NASCE L’“HOSPITALITY BOND”, IL PRIMO BOND TURISTICO CERTIFICATO A NORMA

di Federico Del Grosso Hotel Manager Hotel Palace Battipaglia e consigliere Federalberghi Salerno

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onostante tutti gli sforzi delle istituzioni per contenerne il più possibile gli effetti, la pandemia del Covid-19 ha prodotto sull’economia nazionale un contraccolpo violentissimo. I consumi sono crollati, con un calo di oltre il 31%, e il debito pubblico è schizzato alle stelle. Tutti i settori sono interessati dalla recessione istantanea che si è prodotta, ma forse il settore colpito più duramente è quello del turismo, che ha ovviamente registrato una caduta verticale di domanda per tutto il periodo del lockdown. Per oltre due mesi spostarsi e soggiornare in località diverse dalla propria residenza è stato semplicemente vietato, e questo ha gettato nello sconforto molti operatori del settore. Ma non tutti si sono lasciati sopraffare. Tanti imprenditori hanno continuato a investire nelle loro strutture e nel personale, confidando in un rilancio del settore a partire da una maggiore sicurezza per tutelare gli ospiti nel post-Covid e dal mantenimento di elevati standard di qualità. Gli imprenditori dell’accoglienza più lungimiranti, infatti, hanno impiegato il periodo di pausa per elaborare nuovi modelli di offerta in vista della ripartenza. In questo senso, è significativo l’esempio dell’Hotel Palace di Battipaglia, che si è posto l’obiettivo di affrontare il dopo-crisi nel segno dello spirito di resilienza ispiratore di idee innovative. Dopo la realizzazione – tra i primi nel settore - di una carta dei valori finalizzata a infondere fiducia negli ospiti, abbiamo deciso di procedere al lancio degli “Hospitality Bond”, il primo voucher turistico in Italia certificato a norma di legge dalla società accreditata AGID Savino Solution, per garantirne la certezza, l’integrità e l’autenticità a tutela dell’ospite che lo acquista. La certificazione garantisce al cliente e all’hotel di gestire la prenotazione totalmente al riparo da eventuali frodi informatiche, purtroppo oggi molto comuni anche nel settore turistico, che più di altri ha abbracciato

entusiasticamente la rivoluzione del computer connesso alla Rete. Il progetto dei bond è nato con una finalità sociale, ovvero garantire liquidità alla struttura alberghiera, in modo da salvaguardare i livelli occupazionali e le partnership consolidate con i fornitori durante il periodo di crisi. Il voucher certificato a norma di legge ha rappresentato una novità per il mercato italiano ma sono tante le possibili applicazioni della tecnologia digitale nella filiera dell’accoglienza. In questi mesi si sta rapidamente facendo strada nel settore la tecnologia blockchain, già sperimentata da anni nelle criptovalute e in ambito industriale, ad esempio per il tracciamento di ordini e prodotti. La blockchain applicata alla prenotazione di biglietti per trasporto e soggiorno promette di diventare una rivoluzione paragonabile all’affermarsi delle OLTA (Online Travel Agency) e delle piattaforme centralizzate di prenotazione negli ultimi quindici anni, perché permette di eliminare gli intermediari, tracciare i pagamenti, tracciare con estrema precisione la posizione dei bagagli, garantire autenticità delle recensioni online, ridurre i costi di gestione. In un’Italia sotto shock e ancora ufficialmente in stato di emergenza, guardare oltre la crisi per imprimere una direzione alla ripresa economica può essere difficile a tutti i livelli della società, dell’impresa e della politica. Nel futuro incerto che ci si prefigura, è però una certezza la centralità del settore turistico, da sempre cruciale per l’economia italiana. Nel nuovo contesto, il settore alberghiero deve imparare a reinventarsi e a ripensare l’offerta, adeguandola agli standard aggiornati che il mercato richiede. Con l’operazione di portare il sistema di voucher prepagato nell’era della tecnologia digitale certificata, Hospitality Bond vuole rappresentare un passo in avanti decisivo per la nuova fase dell’accoglienza turistica che ci aspetta.

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SCENARI

Un esempio di digitalizzazione dei processi nell’ambito dei servizi legali: il caso CONCILIA LEX

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di Elisa Di Martino Referente nazionale Concilia Lex

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romuovere una diversa idea di giustizia. E’ questa la vision con la quale, ormai quasi dieci anni fa, è nata Concilia Lex, tra i primi organismi di mediazione civile e commerciale in Italia ad ottenere la registrazione presso il Ministero di Giustizia. Oggi il nostro network, nel frattempo trasformatosi anche in SpA, conta oltre 50 sedi attive su tutto il territorio nazionale, più di cento professionisti, tra mediatori, avvocati e formatori ed una segreteria nazionale che, dalla sede principale di Nocera Inferiore, coordina e gestisce H24 le attività del nostro organismo. Nell’ultimo anno abbiamo gestito oltre 4500 procedure di mediazione. Numeri importanti, in costante crescita, che impongono però una altrettanto veloce evoluzione dei nostri sistemi informativi, per garantire sempre all’utenza un servizio veloce, efficace e, soprattutto, sicuro. Fin dalla sua apertura, il nostro organismo ha investito in modo significativo nella digitalizzazione dei processi e nella dematerializzazione dei documenti in totale sicurezza. Il nostro Founder, l’avvocato Gennaro Cavallaro, che vanta un’esperienza di oltre 40 anni nel settore legale, ha da sempre sposato la filosofia dell’innovazione in ambito gestionale, anticipando in molti casi ciò che il legislatore avrebbe de-

liberato solo qualche anno dopo. Siamo stati tra i primi in Italia ad adottare un software proprietario, perfettamente customizzato, direi quasi “tailor made”, sulle nostre esigenze, grazie al quale oggi avvocati e mediatori possono gestire online in modo efficace tutta la procedura di mediazione, dal deposito dell’istanza fino alla possibilità di verificare l’autenticità dei verbali tramite la tecnologia QR Code e svolgere, laddove richiesto, gli incontri di mediazione in telematica, una modalità che anche nelle settimane di emergenza Coronavirus ci permette di non interrompere i nostri servizi. Tutto ciò ha rappresentato un’innovazione di processo importante, che non si è tradotta solo in un banale risparmio di carta, ma che ha permesso ai nostri utenti di velocizzare, semplificare e snellire l’intera procedura e al nostro team di ottenere un vantaggio competitivo rispetto agli altri organismi di mediazione, rimasti ancorati per molto tempo a un vecchio modello di business. Il nostro processo di digital transormation ci ha permesso, inoltre, di ottenere grandi benefici in termini di riduzione dei classici “colli di bottiglia”, migliorando la flessibilità aziendale e dando vita a workflow automatizzati; in termini di maggiore soddisfazione da parte dei nostri stakeholder, che hanno apprezzato la possibilità di usufruire

di un’infrastruttura di comunicazione agile e sicura; in termini di coinvolgimento di tutte le risorse aziendali, ognuna delle quali ha potuto acquisire competenze specifiche all’interno del workflow; in termini di sicurezza, certezza e trasparenza dei dati, tema di fondamentale interesse quando parliamo di servizi legali; in termini di comunicazione e marketing, perché la corretta comunicazione delle nostre procedure innovative si è tradotta in un miglioramento del nostro posizionamento e della nostra reputazione all’interno del settore di riferimento; in termini di decision making, con la possibilità di prendere decisioni migliori in tempi ridotti, grazie all’opportunità garantita da un monitoraggio costante ed efficace di tutte le informazioni. Questo approccio, orientato al soddisfacimento dei bisogni dell’utenza e alla digitalizzazione dei processi, ci ha consentito, anche in una fase di generale difficoltà dovuta all’emergenza da Covid-19, di riprendere le attività in totale sicurezza e senza subire grandi ripercussioni, ottemperando in modo efficace alle disposizioni del legislatore. L’obiettivo, in futuro, è quello di continuare a investire nell’innovazione e nella digitalizzazione dei processi, magari sfruttando anche le tecnologie di AI, che potrebbero determinare importanti cambiamenti anche nel settore dei servizi legali.

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COVER CASE HISTORY STORY

LA DIGITALIZZAZIONE NELL'INDUSTRIA MARITTIMA: LA VISIONE DI AGOSTINO GALLOZZI “Digitalizzazione non vuol dire solo eliminare la carta in azienda, ma poter fruire in maniera tempestiva delle informazioni sul trasferimento delle merci e transazioni economiche”.

Q di Giuseppe Alviggi Redattore - Partner del Gruppo Stratego

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uesta frase sintetizza la vision del Presidente di Gallozzi Group Agostino Gallozzi sulla digitalizzazione aziendale. Gallozzi Group è il gruppo salernitano che opera nell’industria marittima e nel turismo nautico, con oltre 20 realtà aziendali e sedi a Shanghai, Londra, Istanbul e Izmir. Per Gallozzi, l’innovazione è sostanzialmente uno stato mentale e si collega al concetto di competitività a livello globale, a parole sue “qualsiasi cosa si faccia oggi, in qualsiasi settore dell’economia, bisogna essere consapevoli che il palcoscenico è il mondo”. Due condizioni sono assolutamente imprescindibili: la capacità di muoversi con iniziative economiche che siano in sintonia con l’ambiente e la capacità di sviluppare processi produttivi o aziendali che siano totalmente digitalizzati. Oggi non si può proprio immaginare che si possa ragionare in termini di azienda, se non partendo da questi due pilastri, che sono ciò che posiziona un’azienda in maniera competitiva nel mondo, ma anche in una posizione di vantaggio rispetto agli sviluppi futuri.


Riguardo a questo ultimo punto, il Gruppo Gallozzi è stato all’avanguardia, perché tra le prime aziende, nel campo del trasporto marittimo, a elaborare tutta la documentazione di trasporto delle merci con i computer dell’epoca, rudimentali rispetto agli standard di oggi. Allora era una novità assoluta ma oggi è un elemento indispensabile, dal momento che il settore del trasporto marittimo e della logistica internazionale viaggia di pari passo con il trasferimento fisico di merci e il trasferimento digitalizzato di informazioni. Paperless per Gallozzi non vuol dire solo abolire le carte ma anche e soprattutto dare la capacità, come la sua azienda fa da trent’anni, di fruire in maniera tempestiva delle informazioni relative al trasferimento delle merci e alle transazioni economiche. Bisogna passare dal just-in-time al winning time, che vuol dire intercettare la scelta del consumatore di merci prodotte in Italia sui mercati internazionali nell’istante in cui si manifesta, battendo così la concorrenza. Questo significa non soltanto essere fisicamente disponibili con i prodotti sui mercati internazionali, dove ci si confronta con altri player sempre mondiali, ma anche dare a tutta la catena della distribuzione la capacità di conoscere in tempo reale la posizione delle merci e della transazione commerciale. Il Gruppo Gallozzi comprende circa venti aziende che si occupano della parte più mercantile del trasporto marittimo internazionale. Il terminal container nel porto di Salerno si occupa della movimentazione fisica dei contenitori, mentre il porto turistico è un presidio della blue economy, nell’ambito del turismo internazionale. Per il funzionamento del Gruppo, è fondamentale lo scambio tempestivo di informazioni e l’elaborazione di una grande mole di dati, che consente di implementare ottimizzazioni di processo assolutamente indispensabili con gli strumenti a disposizione dell’azienda. Il percorso di digitalizzazione di tutti i processi operativi, gestionali, di funzione è iniziato circa trent’anni fa e ha consentito al terminal contenitori di proiettare il Porto di Salerno ai vertici delle classifiche nazionali e internazionali per quantità di merci movimentate. Un sistema porto viene valutato sul livello di connettività, cioè il numero di connessioni fisiche con il resto del mondo. Da questo punto di vista Salerno, che nel 2019 si è collegata con 300 porti del mondo, mettendo in campo relazioni fisiche a tutto vantaggio delle aziende esportatrici del Centro-Sud, è un esempio di necessità che diventa virtù. La Salerno Container Terminal è seguita da un gruppo Neozelandese con uffici in Olanda e si doterà a breve di gate automatici, in grado di leggere automaticamente i numeri dei contenitori e trasferirli all’interno del sistema di gestione dell’attività terminalistica. Un’infrastruttura strategica per l’economia locale che richiede nuove energie in termini di risorse umane, dotate di nuove skill e competenze, ad esempio i millennial, che oggi sono ancora a scuola e che, una volta diventati manager, daranno un’ulteriore accelerazione, portando nelle aziende un modo ancora più avanzato e innovativo di utilizzare i sistemi digitalizzati. 33


NUOVE FRONTIERE

GAMEJOBS

di Alfonso Amendola Professore associato di Sociologia dei processi culturali e Internet Studies presso l’Università degli Studi di Salerno

IL DIGITALE, IL GAME E IL LAVORO Leonard: “Sheldon ti rendi conto che stai per chiedere a Howard di scegliere tra il sesso e Halo?” Sheldon: “No, sto per chiedergli di scegliere tra il sesso e Halo 3! Da quel che so, il sesso non ha avuto aggiornamenti con grafici ad alta definizione digitale e armamenti potenziati” (da The Big Bang Theory, st.1, ep.7, “Il paradosso del raviolo a vapore”)

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egli ultimi vent’anni, l’industria videoludica digitale è diventata la prima industria di intrattenimento mondiale. Questo ha prodotto non soltanto un enorme sviluppo di nuove forme di lavoro legate sia alla produzione che al consumo di prodotti videoludici, ma anche una crescente spettacolarizzazione dei videogiochi (a questo proposito basti pensare alle quasi 300.000 persone collegate via Twich in diretta per assistere alla finale del campionato del mondo di League of Legends o le enormi masse di persone che partecipano ad eventi live come la Champions League del videogioco FIFA). Proprio a questo proposito si rende necessario “indagare” il lavoro videoludico e cercare di capire le logiche attraverso cui le forme di lavoro non strettamente legate all’orizzonte dei videogiochi vengono modificate dalle prassi videoludiche. Lungo questa linea dobbiamo, quindi, tener conto di due aspetti. In primo luogo vanno analizzati i lavori legati all’orizzonte dei media digitali in generale - del medium videoludico in particolare - e strettamente connessi con la produzione di videogiochi, o dei giocatori professionisti (gamerpro) o ancora legati all’orizzonte degli e-sport che sempre più rappresentano delle professioni specifiche. In seconda battuta, bisogna rintracciare quelle professioni che si sono sviluppate intorno al medium videoludico e che rappresentano oggi un enorme capitale umano e sociale (youtubber, cosplayer, ecc. ecc.) Inoltre, altro fattore importante da tenere presente è che molte delle professioni contemporanee sono organizzate e gestite a partire da pratiche di gamification. Per analizzare tale plesso semantico, molto complesso e frastagliato, molto utile risulta essere il concetto di gaming capital, che potremmo tradurre con la definizione di “capitale ludico”, coniato dalla sociologa americana Mia Consalvo. E così il medium videoludico riesce a tenere

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insieme pratiche di produzione e pratiche di consumo culturale, quadri sociali, modelli di innovazione digitale e una sempre più forte dimensione economica. E con una straordinaria capacità di riuscire a far interagire il capitale ludico con le pratiche lavorative contemporanee e il loro sviluppo odierno. A mio giudizio si definiscono almeno 3 diversi piani tra di loro strettamente interconnessi e di interesse per la nostra digital society: 1. L’analisi delle professioni legate alla produzione videoludica. Su questo punto bisognerà tenere conto del fatto che tali professioni, strettamente convergenti, sono sempre più diffuse e legate alla diffusione oramai capillare dei videogiochi, che oggi sempre di più rappresentano uno spazio di produzione di senso continuo (basti pensare al fatto che, se prima si videogiocava in luoghi specifici, come la sala giochi o la propria casa, oggi, con i dispositivi digitali contemporanei, in pratica si videogioca ovunque). A questo proposito, si dovrà tenere presente che i videogiochi non sono più uno spazio di nicchia relegato

a computer o consolle casalinghe ma che essi oramai hanno colonizzato tutti i nostri dispositivi digitali diventando così fondamentali per le logiche di fruizione e di pensiero che questi veicolano. In prospettiva, sarà importante verificare tutele, tipi di contratti e le poche e fantomatiche associazioni di categoria, per capire anche sul piano giuridico come queste figure professionali si vanno configurando e il tipo di funzione che esse hanno per la produzione e il consumo del capitale ludico. 2. Il mondo dei pro gamer e di quelle professioni che si configurano intorno a quel mondo. Su questo punto risulta fondamentale un'analisi comparata tra l’universo dei pro gamer e quello dello sport professionistico e dello spettacolo (tanto è più vero che oramai sempre più insistentemente si parla di includere gli e-sports all’interno delle discipline olimpiche), atta a mostrare i fondamenti del professionismo videoludico da un lato, e come le professioni legate all’intrattenimento videoludico seguano le logiche di produzione e consumo post-televisive tipi-

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NUOVE FRONTIERE

che dei contenuti della rete (su questo punto molto interessanti sono le figure dei Lest’s Player, youtuber che giocano ad un videogioco mostrandone il funzionamento e che a oggi rappresentano gli youtuber più seguiti al mondo). A questo proposito, per chi come noi si occupa di sociologia dei consumi, è importante incoraggiare studi di natura empirica sulle professioni legate alla produzione di contenuti on-line per comprenderne modelli di retribuzione, spazi di sponsorizzazione, di produzione e avanzamento del capitale ludico. 3. La gamification delle forme di lavoro. Oggi è sempre più comune trovarsi di fronte a logiche di gamification del lavoro, cioè dell’applicazione dei principi ludici alle forme di lavoro contemporanee. E il fatto che tali forme di gamification producono sempre più forme alienate di lavoro, che si traducono in un aumento decisivo delle disuguaglianze (emblematiche in questi termini sono le forme di gamification del lavoro proprie di alcune aziende della Silicon Valley, in particolare quelle attuate da Amazon, atte a massimizzare il tempo lavorativo spingendo i lavoratori a “giocare” uno contro l’altro). In questo orizzonte, fondamentale rimane uno studio sia teorico che empirico. Teorico perché ad oggi non esiste, non solo nei confini nazionali ma anche internazionali, uno studio sul capitale videoludico e le sue forme di diffusione contemporanee. Empirico perché molte delle forme di lavoro prodotte direttamente o riconducibili all’industria videoludica sono legate a diverse pratiche che devono essere prese sia singolarmente che in chiave generale. Penso sia ben chiaro, quindi, che ragionare attorno al tema videoludico è cosa di densa prospettiva. Ma non pochi sono i nodi ancora da sciogliere. Il primo problema reale, quando si parla di videogiochi e nuove frontiere videoludiche, è quello di individuare e comprendere le diverse competenze, i ruoli e le professionalità richieste da questo vasto settore. Sebbene alcune di queste attività, come Game Designer, Programmatore, Artiste e Animator, Ingegnere del suono, sceneg-

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giatore e redattore tecnico e Traduttore, siano riconosciute o quantomeno prese in prestito da cinema e teatro. Esiste tutta una frangia che questo riconoscimento non lo ha. Mi riferisco, in particolare, ai Tester sia alpha che beta il quale compito è di individuare, in via preliminare, bug e errori critici. Il pagamento del lavoro svolto per queste figure non è quasi mai sottoforma di denaro, bensì di regali, e il più utilizzato è regalare il gioco al momento dell’uscita tramite download, o l’invio di action figure e materiale inerente il videogioco. L’intento è quello di incrementare il proprio livello tra i videogiocatori in maniera del tutto gratuita, spesso trascorrendo anche 100 ore di gioco per poter raggiungere determinati steps. Gli introiti per le case sono elevati, in quanto il comparto pubblicitario e di micro-transizioni all’interno del videogioco incrementano a dismisura in base alle ore di gioco che ogni singolo utente apporta, generando una sorta di fidelizzazione di Publisher all’interno dei Forum, all’interno dei quali il videogioco viene studiato, sviscerato in ogni suo aspetto, spiegato e poste in evidenza le criticità per l’acquisizione di trofei. Inoltre dobbiamo ricordare che gli Youtubers si differenziano in due categorie, da un lato coloro che registrano i gameplay e dall’altro coloro che valutano il prodotto, recensendolo. A tal proposito e a partire da quest’ultimo punto, oggi vediamo un rovescio di questa medaglia. Nonostante la maggior parte di video, gameplay e recensioni non sono retribuiti, c’è una parte che questa retribuzione la riceve, sotto forma di introiti derivanti da pubblicità e da inviti. Da un lato troviamo gameplayer famosissimi, i quali arricchiscono i propri contenuti inserendo percorsi narrativi unici e, dall’altro, troviamo recensioni in mini-show, caratterizzate da battute e nuove forme di cabaret. Due esempi classici del panorama italiano sono rispettivamente, lo YouTuber Sabaku no Maiku e gli YouTuber del canale Player Inside. Tuttavia, esistono anche sistemi di monetizzazioni maggiori al di là di YouTube o che almeno utilizzano questa piattaforma solo come appoggio. Si parla degli e-gamers. ovvero i videogiocatori professionisti, assunti da società e/o associazioni che, grazie alla generazione di grossi introiti derivanti da offerte di altri utenti (il caso emblematico è Twitch), da sponsor che elargiscono enormi quantità di fondi e premi dei tornei, garantiscono “contratti” agli e-gamers. Insomma, un capitolo totalmente da scoprire e valorizzare sempre più nell’incrocio tra digital innovation, nuove economie e consumi ludici.


I NOSTRI SERVIZI

Bilancio Sociale Per comunicare la vision, le scelte di spesa e quelle di contenuto.

Contratti Collettivi Offriamo un modello di relazioni industriali fondato sul dialogo e sulla collaborazione, anche a livello aziendale e territoriale.

Cultura di impresa e manageriale

Diario Agenda politico-parlamentare e News sugli interventi istituzionali di Federemanager.

Gruppi e Network Iniziative per favorire la creazione di network utili e influenti.

Il Sistema Welfare Ci impegniamo a garantire un sistema di Welfare che ti accompagni nella carriera e nella vita privata.

Temporary Management Per offrire alle aziende un’efficace alternativa ai consueti canali di recruiting.

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RD Rivista digitale Il nostro magazine digitale “Progetto Manager” che ti informa sui temi del mondo della managerialità.

Tutele e impegno sociale Garanzia di un equo trattamento pensionistico, solidarietà e responsabilità sociale.

FEDERMANAGER SALERNO Tel. 089 2580480 Fax 089 2576491 info@federmanagersalerno.com Corso Garibaldi, 194 - 84121 SALERNO (SA)

Dal lunedì al venerdì dalle ore 10.00 alle 13.00 Per un appuntamento in altro orario della settimana contattare: Presidente Ing. Indennimeo cell. 333 7476640 Segretario Dott. Bonifacio cell. 328 4932491

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COVER STORY

L'ESPERTO RISPONDE

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L’emergenza sanitaria dovuta al COVID-19 ci ha costretto a ricorrere allo smart working e in azienda ci siamo adattati con non poche difficoltà. Quello che di fatto è stato un esperimento ci ha portato a riconsiderare l’opportunità di consolidare tale modalità di lavoro. Cosa dobbiamo prevedere? Gentile, questa domanda apre una serie di considerazioni che non possono essere esaurite in questa sede. Sicuramente il passaggio al lavoro agile richiede una trasformazione della cultura dell’organizzazione aziendale, una rivalutazione e implementazione delle misure di sicurezza, onde evitare di mettere in pericolo il patrimonio di dati aziendali, una maggiore responsabilizzazione dei dipendenti, cui dev’essere garantita flessibilità e autonomia. Inoltre è assolutamente indispensabile digitalizzare i processi aziendali e disporre di strumenti adeguati per gestire e organizzare il lavoro con il proprio team.

Le firme digitali in formato .p7m e .pdf hanno la stessa validità?

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Assolutamente sì. La differenza non consiste tanto nella validità e/o nell’efficacia probatoria della firma, quanto nel fatto che con la firma in formato CADES viene generata una "busta crittografica” e quindi il documento sottoscritto avrà una nuova estensione .pm7 che si aggiunge all’originaria estensione del file. La firma PADES viene incorporata nel documento .pdf senza modificarne l’estensione. La Cassazione ha chiarito che le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES sono entrambe ammesse ed equivalenti, e devono essere riconosciute parimenti valide ed efficaci.

Nel mese di marzo abbiamo avviato un e-commerce per poter proseguire la nostra attività sul web. Abbiamo quindi attivato un servizio di newsletter promozionali per i clienti che, registrandosi sul sito, hanno acconsentito al trattamento dei dati per finalità di marketing. Dobbiamo conservare la prova del consenso? È necessario conservare la prova che il consenso è stato lecitamente ottenuto e quindi essere in grado di dimostrare di aver gestito e conservato a norma il log generato a seguito della presa in carico del consenso da parte del gestore del sito web, ovvero a seguito della ricezione del primo click sulla spunta con cui l’utente autorizza il trattamento dei propri dati per finalità di marketing.


Salve, nel nostro studio dentistico effettuiamo un triage mediante la somministrazione ai pazienti di una scheda di valutazione del rischio COVID-19. C’è qualche adempimento dal punto di vista della privacy al quale dobbiamo ottemperare? Gentile, come ribadito dal Garante Privacy, tutti i professionisti sanitari possono raccogliere le informazioni che ritengono necessarie nell’ambito delle attività di cura dei loro pazienti, ivi comprese quelle legate alla presenza di sintomi da COVID-19. Si consiglia, in ogni caso, anche di affiggere in sala d’attesa una informativa dettagliata che descriva, tra le altre cose, le modalità del trattamento dei dati, finalità e tempi di conservazione.

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C'è un modo per distribuire le firme digitali a tutti i medici della mia clinica, senza utilizzare smartcard e impostando una procedura che li renda autonomi? Non solo c’è questa possibilità ma aggiungo che all’interno di un progetto di digitalizzazione delle cartelle cliniche, ove la firma digitale diventa fondamentale per i medici e per il direttore sanitario, è assolutamente auspicabile l’utilizzo di strumenti che consentano di facilitarne il lavoro. La firma digitale remota è, ad esempio, uno strumento che consente di firmare digitalmente i documenti senza la necessità di possedere token o smart card e che, integrata in un sistema di gestione dei workflow documentali, renderebbe l’intero processo maggiormente sicuro, efficiente ed efficace.

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a cura di Pietro Montella

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COVER STORY

www.rivistapaperless.com 40


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