Occhio all'Arte web, settembre 2021

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XV N° 147 settembre 2021

Mensile d’informazione d’arte

www.artemediterranea.org

nDedicato a:

Shamsia Hassani Arte Mediterranea inizia n i nuovi corsi

Shamsia Hassani, “Death to darkness”

Illustrazione: Personaggi di n Luca Cecchinato

In mostra: Mirò.Il colore n dei sogni


Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”

Telefona al 347.1748542

Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2021-2022

Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Collaboratori Mensile culturale edito dalla Patrizia Vaccaro, Valerio Lucantonio, Associazione Arte Mediterranea Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Francesca Senna Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org Responsabile Marketing www.artemediterranea.org Cristina Simoncini Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007 Composizione e Desktop Publishing Fondatori Giuseppe Di Pasquale Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche Amministratore parziale Antonio De Waure senza il consenso dell’editore Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

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Sommario Arte Mediterranea inizia i nuovi corsi I personaggi di Luca Checchinato Shamsia Hassani Il colore dei sogni “ERIC CARLE e il suo bruco” ”Il treno dei bambini” DUNE Part One Ponte LUPO, il gigante dell’acqua Concorso di pittura: i CPIA a colori!


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dall’Associazione

Arte Mediterranea inizia i nuovi corsi di Maria Chiara Lorenti

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on l’inizio del mese di settembre, archiviate le vacanze, per chi le ha fatte, ricominciano i corsi di apprendistato delle materie artistiche all’associazione Arte Mediterranea. Divenuta ormai un’istituzione in questo campo, la scuola si è sempre prefissa lo scopo di indirizzare le persone interessate ad esprimersi attraverso il disegno ed il colore. Molti allievi sono poi riusciti ad avvalersi degli insegnamenti ricevuti per divenire pittori semiprofessionisti, manifestando ed esternando la loro arte attraverso mostre personali e collettive, estemporanee e concorsi. La connessione tra l’associazione ed il comune e la cittadinanza di Aprilia è strettissima, avendo spesso partecipato, e a volte proposto, a molte iniziative culturali della città, per non parlare dell’abbellimento decorativo della stessa, attraverso murales a tema che hanno colorato molti siti a carattere pubblico e arredi urbani. L’aggregazione tra le persone che frequentano i corsi è uno dei motivi per cui la scuola ha tanto successo, lo scambio d’idee, le discussioni inerenti la materia in studio, i suggerimenti e la critica costruttiva fanno sì che le lezioni siano motivo di momenti di crescita e di stimolo a proseguire la conoscenza che gli insegnanti trasmettono con passione. Le attività didattiche, aperte dal primo di settembre, comprendono vari corsi suddivisi nei giorni della settimana: Lunedì e Venerdì : corso di pittura ad olio dalle 18 alle 20 e dalle 20 alle 22 Martedì e Giovedì : corso di pittura ad olio dalle 9 alle 11 Martedì e Giovedì : corso di disegno e olio dalle 18 alle 20 Lunedì e mercoledì : corso di acquarello dalle 18 alle 20 Mercoledì : corso di pastello dalle 20 alle 22,30 Sabato : corso di fumetto dalle 9 alle 15 Oltre alle lezioni, l’associazione, guidata dal suo presidente Antonio De Waure, supporterà gli allievi che vorranno fare delle esposizioni, organizzerà gite culturali e mostre estemporanee. Chi vorrà iscriversi potrà farlo negli orari di apertura della scuola. Quindi non aspettate e traducete in realtà quel desiderio inespresso di imparare a fare arte. Buona scuola a tutti.

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I personaggi di Luca Checchinato Le donne e il fumetto di Patrizia Vaccaro

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u facebook un giorno sono apparse delle illustrazioni insolite che, a guardarle meglio, assomigliavano ai personaggi famosi dei film, dei fumetti, dei quadri..., ma avevano qualcosa di insolito ed originale.. per cui approfondiamo l’ argomento. L’autore è un illustratore di Latina: Luca Checchinato, oltre a lavorare nella comunicazione aziendale, arricchisce le sue pagine social, luch illustrations, di personaggi con un tratto del tutto personale, in cui anche gli sfondi non sono per niente in secondo piano. Sono spesso immagini in bianco e nero a china, che vengono poi colorate, le fattezze dei protagonisti sono cosi stravaganti, perchè l‘autore gli da forme morbide, con una certa rotondità. Sembrano bambole di pezza illustrate, grazie alle tecnica Oignon, proprio per la forma a cipolla dei soggetti rappresentati, con una testa tonda a ricordare il bulbo, più grande del corpo, il cui volto viene

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decorato con quelle che vogliono essere sia cuciture, rattoppi della stoffa, ma anche cicatrici della pelle. Gli Oignon nascono nel 2014: l’ ispirazione arriva, in modo casuale, grazie ad una bomboniera tondeggiante con alcuni bastoncini di essenze profumate, scrive così una graphic novel Oignon, cercatori di stelle, autoprodotta dall’artista, che viene presentata alla Biennale di Roma nel 2015, ciò fa partire la serie dei Ritrattoignon, con cui Luca, partendo da una foto, trasforma le persone nei suoi buffi personaggi. Altra tecnica utilizzata è l’Ubi Humunculus, che si basa sul risalto in modo caricaturale di alcune parti del corpo, cosi il volto e le mani risultano più grandi rispetto al resto del corpo. Basato su questo concetto è un interessante progetto di Luca Checchinato con lo scrittore Loris Fabrizi, il protagonista è Ubi un omino di legno, con delle foglioline verdi per capelli e un nodino per occhio: Ubi, storia di un Homunculus. Sempre del 2015 rappresenta la riproduzione del quadro di Johannes Vermeer La ragazza con l’orecchino di perla, un’illustrazione che si fa notare, riceve un importante riconoscimento dal critico d’arte Vittorio Sgarbi a Palermo per l ‘evento, L’isola che c’è , che vince. Poi segue la riproduzione del quadro di Leonardo da Vinci Dama con l’ermellino con cui prende sia il riconoscimento di Maestro d’arte al Monreale Art History, che un premio ricevuto da José Dalí, figlio del noto artista Salvador Dalí, presso Palazzo Clerici a Milano. Sono tantissimi oramai i personaggi oignon, tra cui spiccano l’Escher Oignon remake, riproduzione dell’opera più famosa di Escher, Mano con sfera riflettente, del 1935, ma anche Dante Alighieri che osserva una mezzaluna


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illustrazione

spigolosa aggrovigliata tra i rovi della selva oscura, disegno pubblicato su Instagram il 10 aprile 2020. E ancora “Il trono di spade” Game of “thrOignon” e poi Pinocchio… insomma personaggi dell’immaginario collettivo si trasformano in personaggi oignon. Non indugiate oltre, andate a curiosare tra le sue opere, cercate di riconoscere i personaggi che ha trasportato nel suo mondo.

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Shamsia Hassani

La prima street artist afgana, illustra la rinnovata minaccia di Cristina Simoncini

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dedicato a...

talebana sulle donne Centinaia di follower hanno risposto, preoccupati e pregando per le donne afghane e per la sicurezza di Hassani, con sede a Kabul. Nell’ultima settimana, le donne hanno in gran parte evitato gli spazi pubblici della capitale e molti artisti hanno cancellato messaggi di chat e account di social media, temendo ripercussioni violente e potenzialmente fatali da parte dei talebani. Dopo l’acquisizione di Kabul da parte dei talebani, gli account sui social media di Hassani sono rimasti in silenzio per alcuni giorni, lasciando i fan a interrogarsi sulla sua sicurezza. Martedì è stata finalmente pubblicata una nuova immagine nella sua recente serie, intitolata Death to Darkness, conferma che stava continuando a lavorare e a dare voce all’esperienza delle donne afghane. Il manager di Hassani ha detto che l’artista non era disponibile per un’intervista, ma si trovava in un luogo sicuro e segreto.

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Fonti: Frontline.thehindu.com; www.shamsiahassani.net

ata nel 1988 in Iran da genitori afghani rifugiati, Shamsia Hassani è tornata in Afghanistan nel 2005 per studiare pittura e arti visive all’Università di Kabul. Aveva già completato i suoi studi quando ha iniziato a dedicarsi ai graffiti e alla street art nel 2010. È entrata nella lista dei 100 migliori pensatori globali di Foreign Policy 2014 ed è stata inclusa nel secondo volume di Goodnight Stories for Rebel Girls, una raccolta bestseller di ritratti di donne rivoluzionarie di tutto il mondo. Le rappresentazioni del corpo delle donne nelle opere di Hassani esprimono un ampio spettro di emozioni: desiderio e sfida, speranza e dolore, libertà e paura. Tendono ad essere figure geometriche, dai contorni audaci con colori brillanti, le cui molte sfumature si fondono insieme senza soluzione di continuità. Ciglia lunghe e spesse cadono sugli occhi chiusi mentre i capelli scorrono da sotto il velo o liberamente come rotoli di pellicola o tentacoli di medusa. Non hanno bocche, ma spesso hanno elementi della natura o strumenti incorporati nelle loro figure. La scorsa settimana, quando i talebani hanno preso il potere, in una provincia afgana dopo l’altra, conquistando infine Kabul, la presenza di Hassani sui social media ha trovato una risonanza ancora maggiore. Due figure potenti che mostrano ragazze vestite di un blu radioso che trasportano immagini di speranza, mentre combattenti oscuri e minacciosi armati incombono su di loro - espressioni dell’estrema paura, disperazione e violenta repressione che le donne afghane ora affrontano - hanno guadagnato decine di migliaia di Mi piace su Instagram e sono state condivise migliaia di volte su Facebook. 7


Il colore dei sogni

Viaggio nell’universo variopinto di Mirò di Maria Chiara Lorenti

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a sua pittura è intessuta con lo stesso filo dei sogni, partendo da un particolare realistico, si dipana nella fantasia, ispirato dalla poesia. A metà tra Surrealismo ed Astrattismo, i tratti che delinea sulla tela sono il frutto della sua originalissima interpretazione, che traduce in segni e colori il linguaggio artistico che lo identifica. Maturato in un ambiente artistico in pieno fervore rivoluzionario, Mirò, a Parigi negli anni venti, frequenta Picasso e comincia ad elaborare i concetti innovativi espressi dagli artisti frequentanti il Circolo di Tristan Tzara, filtrandoli e trasponendoli in uno stile inconfondibile, energico e vibrante. 8

In pieno contrasto con il suo aspetto fisico e la vita borghese che conduceva, Joan Mirò aveva una visione onirica e surrealistica del suo mondo interiore, un bisogno primario di trasgredire attraverso le sue opere, una necessità espressiva assoluta per raffigurare una realtà spogliata da ogni orpello e ridotta all’essenziale, trasfigurata dai sogni e dalla musica, manifestata in forme primarie che, a livello inconscio, esalta le visioni dell’artista. A Parma, fino al 12 dicembre, presso la prestigiosa sede di Villa dei Capolavori, a Mamiano di Traversetolo, si può ammirare la mostra dedicata a Mirò, “Il colore dei sogni”. Nata dalla collaborazione tra la Fondazione Magnani Rocca, che la presenta, e la Fundaciòn MAPFRE di Madrid, l’esposizione conta una cinquantina di opere che, attraverso un iter formativo spaziante dagli anni trenta ai settanta, ripercorre lo sforzo creativo di Mirò per combattere la pittura convenzionale. Con tele come “Cheveaux mis en fuite par un oiseau”, massacra letteralmente la pittura tradizionale per esprimere l’idea che essa dovesse essere un getto continuo scaturito da una profonda esplosione creativa, in un parallelismo con l’Espressionismo americano, come evidenziato dal curatore, pur mantenendo alle forme la propria integrità individuale, malgrado le metamorfosi subite. I tre colori primari, giallo, rosso e blu, più il verde ed il nero caratterizzano la tavolozza del pittore catalano, colori vividi, profondi, dove


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la mente sembra poter penetrare, ed il nero, usato in grassetto, pronto a delimitare le forme. Il blu, adoperato di solito come sfondo, è il colore predominante, e, come spiegato da Mirò, viene utilizzato come proiezione dei suoi sogni e catalizzatore del suo subconscio, il pennello guidato dalle emozioni e dalle sensazioni è libero di muoversi e creare forti contrasti con le altre tinte impiegate, pennellate brevi e spezzettate che irrompono sulla base accentuandone l’intensità, con la tecnica dell’ “automatismo psichico”. Nella sua maturità, alla fine della sua carriera, egli abbandona ogni riferimento al passato, le influenze del cubismo e del periodo fauve, il primitivismo delle forme e si applica all’uso del colore puro, con sporadiche presenze di punti e linee che ne equilibrano la composizione. Lo studio del colore ha determinato la sua ricerca artistica, e l’incontro con Andrè Breton, le dissertazioni sul surrealismo, l’influenza dei poeti Dada, l’amicizia con Tristan Tzara, hanno illuminato la sua palette cromatica. Nella mostra parmense è ben rappresentata anche la sua attività come illustratore, grazie al libro “Parler seul”, accompagnato dai testi poetici del suo amico Tzara e composto da settantadue tavole a colori di Mirò. “Visitare la mostra significa viaggiare dentro i sogni di Mirò, perché questa è la trama della sua arte” come suggerito dal suo curatore Stefano Roffi.

in mostra

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dedicato a...

“ERIC CARLE e il suo bruco” di Patrizia Vaccaro

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o scorso maggio (23/05/2021) è venuto a mancare un noto scrittore ed illustratore statunitense, cogliamo così l’ occasione per conoscerlo: Eric Carle aveva 91 anni ed aveva illustrato oltre 70 libri per l’infanzia. Nato a Syracuse il 25giugno del 1929, a sei anni si trasferì con la famiglia in Germania dove studiò e si laureò nella Scuola d’Arte Akademie der bildenden Kùnste a Stoccarda, ma rimase legato ai ricordi d’ infanzia negli Stati Uniti, tanto che nel 1952 tornò a New York con una certa esperienza grafico-pittorica e, come capita a molti illustratori, gli esordi furono nel settore della grafica pubblicitaria. Il suo primo albo illustrato fu quello di una storia per bambini scritta da un altro autore: “Brown Bear, Brown Bear, What Do You See?”. Nonostante i tanti lavori, ha iniziato a scrivere libri per bambini a 40 anni. Lo stile artistico di Eric Carle è ormai riconoscibile in tutto il mondo: le sue opere vengono realizzate con la tecnica del collage, usando pezzi di carta velina colorata da lui stesso, che poi ritaglia creando immagini coloratissime, allegre e che, seppur semplici, sono di grande effetto visivo. In un video è possibile vedere il suo studio colmo di pezzetti di carta in cui realizza le illustrazioni. Il suo capolavoro è un libro del 1969 “Il piccolo Bruco Maisazio” (titolo originale “The very hungry Caterpillar”), tradotto in 62 lingue, che ha venduto 46 milioni di copie: dove racconta la metamorfosi di un bruco in una bellissima farfalla. Secondo l‘autore, in un video diffuso durante il 50esimo anniversario dell’opera, è un libro di speranza che è in grado servire ai bambini nel passaggio dall’infanzia alla scuola, in cui possono identificarsi: il bruco che si trasforma in farfalla, che lascia la sicurezza e il calore delle casa per volare verso il futuro. “I bambini hanno bisogno di speranza. Tu, piccolo insignificante bruco, puoi diventare una bellissima farfalla e volare per il mondo con il tuo talento”. Ma non solo Bruco, ci sono altre indimenticabili opere di Eric Carle come “Papà, mi prendi la luna per favore?”, è la metafora di ciò che un genitore è disposto a fare per i propri figli, ma poi racchiude anche altro. Monica, la protagonista,

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giocando con la Luna, ne impara le fasi, capisce che tutto cambia e nulla è per sempre. Ma ricordiamo anche altri titoli, le cui illustrazioni si trovano facilmente sul web: “La coccinella prepotente”, “Il mio primo libro dei colori”, “Dalla testa ai piedi”, “Una casa per il paguro Bernardo” … Nel 2002 molto importante è il progetto dell’Eric Carle Museum of Picture Book Art, ad Amherst, nel Massachusetts, creato in collaborazione con la moglie Bobbie, che amava l’arte e i bambini, il cui scopo è diffondere l’importanza dei libri illustrati per l’infanzia, strumento fondamentale per l’ introduzione al linguaggio visivo e all’arte universale. Il museo propone molte attività educative e creative che, proprio a seguito della chiusura per la pandemia, sono state inserite online, come i video Storytimes presenti sul canale youtube del museo. Su internet si trova tantissimo materiale se si vuole approfondire la sua conoscenza.


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occhio al libro

”Il treno dei bambini” di Viola Ardone di Giuseppe Chitarrini

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uesto romanzo della scrittrice napoletana V. Ardone, racconta la storia di Amerigo, uno delle migliaia di bambini del meridione d’Italia che nel primo e nel secondo dopoguerra attraversarono la penisola da sud a nord per trascorrere un periodo con una famiglia del nord: dell’Emilia-Romagna, Lombardia, Liguria, Marche, Umbria, Toscana. Una iniziativa del Partito Comunista Italiano e dell’Unione Donne Italiane, per allontanare anche per un breve periodo i bambini da situazioni di povertà estrema, miserie e privazioni conseguenza delle devastazioni della guerra appena terminata. Amerigo Speranza (il nome già è tutto un programma) è uno dei diecimila bambini che, solo da Napoli, dal 46 al 52, salirà su quei treni per recarsi presso una famiglia emiliana in affidamento (oggi si direbbe ‘affidamento etero-famigliare condiviso e temporaneo’). In sette anni partiranno dal sud: Campania, Calabria, Sicilia, Puglia, Lucania, basso Lazio circa 70.000 bambini, che, come Amerigo avevano ‘la tristezza nella pancia’ e male ai piedi perché portavano sempre scarpe usate e spaiate sempre fuori misura. Amerigo ha quasi otto anni e vive con la madre Antonietta e –sul comodino- la foto del fratello maggiore, morto quando lui aveva appena cinque mesi, in un basso nei vicolo di Napoli. Il padre non c’è e non si capisce bene dove sia e chi sia, madre e figlio, per sopravvivere, vanno a fare le ‘pezze’: pezzi di stoffa avanzati e pescati nei rifiuti, per poi lavarli e rifornire così i ‘magliari’ che le riciclano come stoffa di qualità e altri piccoli espedienti più o meno truffaldini. La donna riesce a malapena a prendere in mano la penna per apporre la croce in calce al documento di assenso all’affido temporaneo. Nonostante gli scongiuri, le minacce, le superstiziose profezie e gli avvertimenti della monarchica Pachiochia (‘i comunisti mangiano i bambini, tagliano loro le mani e le cucinano al forno’), della suora e delle dame della carità che portano nel quartiere mensilmente i pacchi viveri (quasi sempre riso). Nonostante tutto questo mamma Antonietta e altre mamme dei bassi capiscono che quel viaggio e la relativa permanenza ‘a nord’, possono costituire un ‘bene’ per i bambini per la loro salute, per la possibilità di vedere altre realtà e avere opportunità di crescita e formazione.

Dopo un lungo viaggio in treno da Napoli, un viaggio dalle caratteristiche quasi iniziatiche, il gruppo dei bambini arriva a Modena, dove ciascuno incontra e viene accolto dalle reciproche famiglie affidatarie. Famiglie modeste, ma solidali: artigiani, piccoli proprietari terrieri, impiegati, quasi tutti iscritti, militanti, simpatizzanti del P.C.I., intellettualmente ed eticamente emancipati: quel popolo sul quale, in quegli stessi anni, ironizzava ingiustamente e pretestuosamente Guareschi con i suoi Pepponi e don Camilli. Amerigo è accolto amorevolmente in una famiglia di piccoli agricoltori ed artigiani, amanti della musica classica e lirica; sarà un quarto figlio che si aggiunge agli altri tre: Rivo, Luzio e Nario (rivoluzionario). Non solo si integrerà, all’inizio con qualche sorpresa e contrarietà, ma conoscerà un nuovo mondo, nuovi modi di vivere e scoprirà una passione per la matematica e il violino: lui che a Napoli era andato a scuola solo per pochi giorni. Dopo un anno Amerigo dovrà tornare a casa, ma non riuscirà ad integrarsi nella vecchia realtà sociale e famigliare, la madre gli venderà anche il violino che il ‘papà del nord’ gli aveva regalato (i bisogni primari hanno la meglio sulla cultura che è roba che non si mangia!). Amerigo fuggirà, ripercorrerà il viaggio in treno Napoli-Modena, da solo, senza biglietto, con l’amorevole e fortuita compagnia di una donna sconosciuta che viaggia in compagnia della sua bambina. L’autrice termina la sua narrazione, mostrandoci Amerigo ultracinquantenne, che, con il suo inseparabile violino (è diventato un apprezzato musicista) fa ritorno a Napoli per i funerali della madre. Aveva fatto ritorno diverse volte negli anni e si era incontrato con la donna, erano stati insieme, a pranzo al ristorante, ma non aveva mai più messo piede nel basso e nel quartiere dove aveva vissuto fino a otto anni. Sarà l’occasione per uno struggente addio alla madre (che, come scoprirà, frugando nell’abitazione gli aveva conservato il violino, probabilmente riscattandolo dal banco dei pegni) e per fare i conti con il passato. Un racconto italiano, una storia di grande solidarietà agli albori della nostra repubblica; un grande libro, un caso editoriale ormai dello scorso anno, un successo all’ultima fiera di Francoforte, tradotto in 25 lingue. 11


DUNE Part One

Ambizione e rivoluzione nella fantascienza hollywoodiana di Valerio Lucantonio

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opo l’affascinante, ma fallimentare tentativo di riavviare produttivamente l’universo di Blade Runner, Denis Villeneuve torna al cinema con il progetto ancora più ambizioso di rilanciare il franchise di Dune. In attesa dei risultati al botteghino per la conferma da parte di Warner Bros. sulla produzione della seconda parte, che dovrebbe concludere la trasposizione del primo romanzo della saga letteraria, si può intanto riflettere sul ruolo e sul valore che questo lungometraggio si attribuisce e assume nel panorama del cinema di fantascienza statunitense e, più in generale, in quello del blockbuster contemporaneo. Il Dune di Villeneuve si inserisce innanzitutto nel ricco filone di adattamenti e reboot che ormai da più di due decenni guida le dinamiche produttive non soltanto di Hollywood. Dal celebre universo ideato da Frank Herbert, 12

infatti, erano già stati tratti – sulla spinta del sogno mai realizzato di Jodorowsky negli anni ’70, raccontato dall’incredibile documentario Jodorowsky’s Dune – un film diretto da David Lynch, che lo ritiene il suo più grande fallimento artistico, e due miniserie televisive trasmesse negli Stati Uniti da Sci Fi Channel. Anche a uno sguardo superficiale appare chiaro che l’opera di Villeneuve vuole porsi in aperto contrasto con entrambi i suoi predecessori: da un lato si avvale delle tecnologie contemporanee più evolute per presentare uno spettacolo audiovisivo senza precedenti, ineguagliabile dalla televisione del passato e da buona parte di quella presente; dall’altro riduce all’estremo le influenze surrealiste, letterarie e postmoderne che caratterizzavano la versione di Lynch, a favore di una rappresentazione più sobria e realistica. Ne risulta un kolossal ambizioso, ma essenziale, radicalmente sontuoso eppure sottile, che costituisce una declinazione più organica ed equilibrata dell’autorialità ad alto budget di Nolan e Snyder, entrambi registi da anni legati alla Warner e famosi per la loro magniloquenza. Il progetto è stato senza dubbio preparato abilmente anche in termini di marketing e posizionamento, andandosi a collocare ben lontano dalle produzioni fantascientifiche di Disney e rivali. La natura e la popolarità generaliste in Dune sono ricercate non tramite la costruzione narrativa, – laddove quasi tutti i blockbuster odierni, tra cui spiccano quelli dei Marvel Studios, dosano con perizia quasi matematica elementi di azione, comicità, amore e fanservice puntando ad accontentare diversi tipi di pubblico – ma attraverso la composizione di un all-star cast eterogeneo, che sappia intercettare più target, e la tempistica azzeccata nella presentazione di un nuovo universo, a ridosso del termine di due narrazioni epiche come Game of Thrones e


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Star Wars (se si considera la conclusione della cosiddetta “Saga degli Skywalker” con il nono episodio). Ogni aspetto di questa nuova impresa di Villeneuve parla dunque del senso e del peso di una missione tanto assegnata quanto inseguita. Lo stesso protagonista, Paul, è rappresentato come schiacciato tra passato, presente e futuro, ovvero tra i poteri e i doveri ereditati dalla casata Atreides e dalla sorellanza Bene Gesserit, gli intrighi politici che mettono a repentaglio la sua vita e le visioni che sembrano mostrargli realtà possibili sempre più incombenti. In questa prima parte del suo percorso di formazione, nel quale dovrà accettare il proprio ruolo da eletto e trovare una nuova via per ristabilire giustizia e prosperità nell’universo, il personaggio incarna la filosofia e gli obiettivi che il film stesso vuole attribuirsi impattando sul cinema dei nostri tempi. La tematizzazione di questa missione

cinema

programmaticamente rivoluzionaria si riflette anche nella dimensione estetica e nell’impianto discorsivo dell’opera. Scenografia e fotografia ci mostrano costantemente esterni sterminati e accecanti e interni spogli e tetri, tombali, dove gli umani si muovono oppressi da antichità austere e habitat spietati. I personaggi sono spinti ad agire come nani sulle spalle di giganti ormai sconfinati e decrepiti, i quali esigono un cambiamento che tarda a verificarsi ormai da millenni. Allo stesso tempo, come sempre in Villeneuve, il film interroga eticamente lo spettatore, sia come abitante di un pianeta messo in crisi da nuove forme di colonialismo e dal conseguente sfruttamento delle risorse, sia come parte del pubblico globale che decreterà l’avvenire dell’esperienza cinematografica, tanto insostituibile quanto in continua rimodulazione.

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Ponte LUPO, il gigante dell’acqua

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la Roma insolita

La Roma insolita di Nicola Fasciano

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er portare acqua da sorgenti distanti nella loro città e rifornire terme, abitazioni private, fontane, etc.. gli antichi romani hanno costruito nei secoli ben undici acquedotti che nel III secolo a.C. riuscivano a sostenere una popolazione di oltre un milione di persone. Del primo degli acquedotti di Roma, l’Acquedotto Appio, costruito nel 312 a.c. , non ci risulta conosciuta l’esatta dislocazione della sua sorgente mentre è noto che attraversando la via Prenestina concludeva la sua corsa nei pressi della Porta Trigemina, nell’area dell’attuale basilica di Santa Maria in Cosmedin. La maggior parte degli acquedotti erano sepolti nel terreno e ne seguivano i contorni, mentre i picchi che ostruivano il passaggio venivano aggirati o, più raramente, forati con un tunnel. Quando invece si incontravano valli o pianure, il condotto era sostenuto da strutture con arcate e Ponte Lupo è, usando le parole di Thomas Ashby, il famoso archeologo britannico che dedicò gran parte dei suoi studi alla campagna romana, “il più interessante di tutti i ponti degli acquedotti” sia per la grandiosità di costruzione che per l’incantevole contesto di Agro Romano Antico in cui si trova. Alto più di 30 metri e lungo oltre 80, sulla sua sommità correva una strada che congiungeva le due alture che lo delimitano. La porzione visibile è un frammento colossale dell’acquedotto costruito nel 144 a.C. dal pretore Quinto Marcio

Re e realizzato per tenere l’acqua Marcia in quota ed evitare, per dirla con Plinio il Vecchio, che questo “dono fatto all’Urbe dagli Dei” di acqua purissima e buona, giungesse a Roma con forza eccessiva. Raccoglieva l’acqua, considerata la migliore tra quelle che arrivavano a Roma, dell’Alto Bacino dell’Aniene attingendo direttamente dalle sorgenti (Arsoli ed Agosta) al contrario dell’Anio Vetus (il secondo acquedotto costruito a Roma) che invece prendeva acqua dal fiume. L’acquedotto Marcio o Acqua Marcia, uno tra i più lunghi (91,4 km) e tra quelli con maggior portata, circa 190.000 metri cubi d’acqua al giorno, fu realizzato in speco sotterraneo, emergendo con ponti e strutture in corrispondenza degli attraversamenti di fossi e valli. Ponte Lupo è il più significativo di questi straordinari monumenti, ed è stato possibile visitarlo nell’ambito del Festival del distretto archeo-rurale Agro Romano Tiburtino Prenestino, in alcune giornate che l’Associazione Ponte Lupo e il FAI - Delegazione di Roma hanno dedicato nell’estate 2021 all’insegna della cultura e della sensibilizzazione sull’importanza di questi luoghi. Ponte Lupo si trova all’interno della tenuta di San Giovanni in Campo Orazio di proprietà del Baliaggio di San Sebastiano della famiglia Barberini istituito da Papa Urbano VIII nel 1633 e attuale residenza di campagna dei discendenti del ramo primogenito della famiglia.

Concorso di pittura: i CPIA a colori! Di Rossana Gabrieli

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CPIA (Centri Provinciali di Istruzione per gli Adulti) sono scuole statali aperte a studenti che abbiano compiuto almeno 16 anni di età e che vogliano riprendere un percorso di studi al di fuori delle scuole tradizionalmente intese. Gli studenti dei CPIA costituiscono un patrimonio multiculturale ricco e variegato per provenienze, culture,

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linguaggi, storie di vita. Nelle nostre scuole si può studiare potenzialmente…tutto: lingue straniere, informatica, arte: domanda e offerta si cercano e si ritrovano. Quest’anno, abbiamo progettato di dedicarlo, in particolare, alla pittura, rivolgendoci a tutti i CPIA d’Italia per cercare di far emergere i talenti nascosti tra tutti i nostri studenti. A breve, sarà trasmesso il bando completo.


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Aprilia

“Salotti cuturali” Piazza delle erbe, sabato 25 ore 18,00

Roma

“Tempo Barocco” Galleria Nazionale d’Arte antica Palazzo Barberini, fino al 3 ottobre “Le donne di Roberta Meldini. Tra ieraticità classica ed espressività del sentimento” Circolo degli esteri, fino al 5 ottobre “La carica dei 600” Casa del Cinema, fino al 7 ottobre gratuito “Carole A. Feuerman” Galleria d’Arte Moderna, fino al 10 ottobre “Felice Barnabei. Gocce di memorie private” Museo Nazionale Etrusco Villa Giulia, fino al 10 ottobre “Senzamargine. Passaggi nell’arte italiana a cavallo del millennio” MAXXI, fino al 10 ottobre “Senzamargine. Passaggi nell’arte italiana a cavallo del millennio” MAXXI, fino al 10 ottobre “La parata degli Yokai. Creature soprannaturali del Giappone” Istituto Giapponese di Cultura, fino al 22 ottobre “Damien Hirst. Archeology Now” Galleria Borghese, fino al 7 novembre “Casa Balla. Dalla casa all’universo e ritorno” MAXXI, fino al 21 novembre “L’eredità di Cesare e la conquista dell tempo” Musei Capitolini- Palazzo dei Conservatori, fino al 31 dicembre “Raffaello nella Domus Aurea. L’invenzione delle grottesche” Domus Aurea, fino al 7 gennaio 2022 “All about Banksy” nuova mostra Chiostro del Bramante, fino al 9 gennaio 2022 “Napoleone ultimo atto. l’esilio, la morte, la memoria” Museo napoleonico, fino al 9 gennaio 2022 “Sebastiao Salgado. Amazonia” MAXXI, fino al 16 febbraio 2022 “Prima, donna. Margaret Bourke-White” Museo di Roma in Trastevere, fino al 27 febbraio 2022

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Mamiano di Traversetolo (Parma)

Mirò.Il colore dei sogni - (Art. pagg. 8-9) Villa dei capolavorim, fino al 12 dicembre

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Firenze

“Giuseppe Penone. Alberi in versi” Gallerie degli Uffizi, fino al 3 ottobre “Solo. Arturo Martini e Firenze” Museo Novecento, fino al 14 novembre

Milano

“Maurizio Cattelan. Breath Ghosts Blind” Pirelli Hangar Bicocca, fino al 20 febbraio 2022 “TinaModotti. Donne, Messico e libertà” Mudec, fino al 7 novembre

Napoli

“Paolo La Motta. Capodimonte incontra la sanità” Museo e Real Bosco di Capodimonte, fino al 19 settembre “Peter Lindberg. Untold stories” MADRE, fino a data da definire “Gladiatori” MANN, Museo archeologico Nazionale di Napoli, fino al 6 gennaio 2022 “Frida Khalo. Il caos dentro” Palazzo Fondi, fino al 9 gennaio 2022

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Piacenza

“Klimt e i maestri “segreti” della Ricci Oddi” Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, fino al 9 gennaio 2022

Prato

“Turandot e l’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba” Museo del Tessuto, fino al 21 novembre

Ravenna

“Dante nell’arte dell’ottocento” Chiostri francescani, fino al 5 settembre 2021 “Dante. Gli occhi e la mente” Mar, fino al 9 gennaio 2022

Venezia

“Biennale Architettura 2020: How will we live together?” Giardini della Biennale e sedi varie, fino al 21 novembre “Bruce Nauman: contrapposto studies” Punta della Dogana, fino al 9 gennaio 2022

Eventi


A. Porry Pastorel. “Seggiolai in bicicletta a Piazza di Pietra”

“L’altro sguardo” di Adolfo Porry-Pastorel Museo di Roma, fino al 24 ottobre 21

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