Occhio all'Arte web, maggio 2021

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XV N° 145 maggio 2021

Mensile d’informazione d’arte

www.artemediterranea.org

nTurandot Manifesto della “Turandot”

Dedicato a: “Il brutto è nIllustrazione: Marianna Balducci n bello”

Animazione: The Mitchells vs. n the Machines


Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”

Telefona al 347.1748542

Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2018-2019 CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 9,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’ MERCOLEDI’ 18,00 - 20,00

Collaboratori Mensile culturale edito dalla Patrizia Vaccaro, Valerio Lucantonio, Associazione Arte Mediterranea Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Francesca Senna Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org Responsabile Marketing www.artemediterranea.org Cristina Simoncini Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007 Composizione e Desktop Publishing Fondatori Giuseppe Di Pasquale Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche Amministratore parziale Antonio De Waure senza il consenso dell’editore

Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

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CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale

CORSO DI DISEGNO - FUMETTO SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30 - 18,45

Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale,

Direttore responsabile Rossana Gabrieli

CORSI IN ORARIO DA DEFINIRE

CORSO OLIO LUNEDI’ - VENERDI’ 18,00 - 20,00 20,00 - 22,00 MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00

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Sommario

Marianna Balducci Il brutto è bello Gli autoritratti futuristci di Omar Aqil Turandot ”Gli occhi dell’eterno fratello” Un professore di letteratura italiana a Pechino The Mitchells vs. the Machines “Con la cultura non si mangia. Falso!”


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illustrazione

Marianna Balducci inno alla creatività di Patrizia Vaccaro

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arianna Balducci di Rimini, classe 1985 ha diversi progetti all’attivo: lavora come illustratrice per lavori pubblicitari o nell’editoria per bambini e ragazzi. Il disegno è il suo mezzo preferito per comunicare e per sperimentare, spesso con accostamenti tra il tratto e la fotografia, usando strumenti tradizionali e digitali, circola creativamente nel web, ispirata dalle sue potenzialità. Nel 2018 con il libro foto-illustrato “Il viaggio di Piedino” (scritto da Elisa Mazzoli, edizioni Bacchilega Junior) vince il premio “Nati per leggere”. E’ anche docente per dei seminari di comunicazione visuale nella facoltà di moda di Rimini (Alma Mater Studiorum, Bologna). Collabora con diverse case editrici in Italia e all’estero. Tiene workshop in collaborazione con accademie ed enti di formazione nell’ambito dell’illustrazione (Scuola di Illustrazione di Scandicci, Mimaster illustrazione di Milano, Spazio Mec di Chiavari, Accademia The Sign di Firenze). Ma entriamo un po’ più nel dettaglio: abbiamo detto che combina fotografia e disegno, ad esempio partendo dalla fotografia di un oggetto, uno di quelli dati ormai per scontati, uno di quelli che presi singolarmente forse non dicono nulla, ma che lei riesce ad arricchire con dei disegni ed ecco che si può inventare per loro un nuovo ruolo, dandogli nuova vita, poiché vengono posti sotto una nuova luce inaspettata. Lei stessa in alcune interviste ci spiega che “attiviamo un doppio meccanismo: uno puramente formale che agisce sulle consonanze estetiche (quella cosa ha una forma analoga a…, assomiglia a…) e uno più narrativo che, più o meno consapevolmente, può trasformare quell’oggetto nello spunto per un discorso (una presa di posizione, una rivelazione, una storia da raccontare).” Nasce così “La vita nascosta delle cose” con la foto-illustrazione: una raccolta di oggetti quotidiani estrapolati dal loro contesto e fotografati su un set neutro per poi essere trasformati, attraverso il disegno (realizzato a china e poi concluso digitalmente), in nuove macchine impossibili. “ Con lei possiamo anche inventare un nuovo bestiario tutto immaginato: partendo da foto che non ci suggeriscono subito un animale, ma andando proprio alla ricerca di una sua caratteristica: ad esempio “un groviglio di fili e auricolari è intricato, gommoso, dotato di altoparlanti, capace di condurre corrente e onde sonore” può diventare una pecora elettrica che, “invece di stare in silenzio come le altre del gregge, non può fare a meno di far sentire la sua voce, di captare segnali nuovi, di reagire alle scosse.” Oppure un bel paio di forbici prende vita diventando un naso con un paio di occhiali, o un grazioso becco di un pulcino, e la foto di una mora? Ecco che si trasforma in una pecora nera, con la quale “invece dei maglioni ci faremo marmellate. “ Una simpatica idea vista sulle sue pagine social, durante il look down, è stata quella dell’ Esploratore Bianco, un piccolo omino bianco disegnato che si aggira per le stanze di casa andando a scoprire o riscoprire luoghi nascosti che, per magia, diventano avventurosi, “ci inviata ad esplorare il nostro quotidiano con occhi diversi…” proprio a realizzare delle vere e proprie avventure nei cosiddetti “Atlanti domestici”, partendo sempre dalle foto: l ‘autrice ci invita a fare questo gioco fantastico andando a fotografare gli ambienti, stendendoci per terra in modo che il nostro punto di vista somigli il più possibile a quello del piccolo esploratore.. Una volta scelto l’angolo di casa perfetto non ci resta che disegnare l’esploratore in tante pose diverse, ritagliarlo e posizionarlo in modo che diventi l’attore protagonista del viaggio, poi si fa una foto definitiva accompagnandola da un diario di bordo, ed anche una mappa disegnata che ci permetta di ricostruire il percorso.

Se cercate una persona che abbia fantasia e inventiva lei è quella giusta: unisce arte, creatività e gioco, soprattutto scrive di libri e attività educative legate al disegno per i magazine on line “Ad Un Tratto” e” Occhiovolante”, ma puoi trovarla anche sui suoi canali social: www.mariannabalducci.it www.facebook.com/mariannabalducciillustrator/ www.instagram.com/mariannabalducci_chidisegna Vi ho incuriosito abbastanza? Non vi resta che seguirla on-line, sicuramente vi conquisterà.

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Il brutto è bello

Il favoloso mondo di Antonio De Waure di Maria Chiara Lorenti

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’era una volta...”, così iniziano tutte le fiabe del mondo, tutti i bambini lo sanno, ed ogni bimbo quando le ascolta diviene il protagonista di quelle storie. Nella sua testa le avventure narrate cambiano location e vengono ambientate in luoghi più conosciuti, come la propria casa ed il proprio quartiere. Popolate da una moltitudine di personaggi, essi si identificano negli amici più stretti, nei familiari più cari, negli abitanti del rione che si incontrano tutti i giorni. “ Il brutto è bello ” è una mostra di acquarelli 4

e tecniche miste che il maestro Antonio De Waure, presidente dell’Associazione Arte Mediterranea, ha in esposizione, dal 4 giugno al 4 luglio, presso la sede delle Assicurazioni Generali di Via Verdi ad Aprilia. Proposta da Ilaria Iacoangeli, organizzatrice di eventi, è una performance che vedrà coinvolti numerosi artisti locali, e comincerà proprio dal pittore Antonio De Waure. Il brutto ed il bello sono due aggettivi di solito in contrapposizione tra loro, ma in questa accezione sono complementari, perché, attraverso le undici opere in mostra, l’autore vuol ribadire un concetto radicato profondamente nel suo io, un consiglio che suo padre spesso gli ripeteva “ Tonì ricorda che le cose belle della vita non sono quelle esteriori, ma quelle che stanno dentro la nostra anima, la bellezza è dentro di noi ”. Questa lezione di vita, all’inizio non capita perché troppo giovane, con l’andar degli anni si è radicata in lui, acquisendo tutto il suo significato recondito. Ed ogni cosa, ogni esperienza, ogni conoscenza, ha trovato la sua giusta collocazione. Così sono nati i personaggi che lui narra attraverso i ritratti della sua Napoli, persone reali, da lui incontrate e conosciute nell’arco di una vita, quella della sua infanzia, dell’adolescenza e della giovinezza, passate nei vicoli di una città sempre in fermento, dove tutti sanno tutto, in un contesto corale di esistenze comuni. Il brutto è bello perché? Perché nei visi, spesso sofferti e segnati da esperienze traumatiche, negli occhi della gente che


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vive le proprie pene in simbiosi con gli altri, dove non esiste privacy per l’esuberanza caratteriale dei protagonisti, lo sguardo è veramente una finestra dell’anima, un portale che immette nella bellezza interiore che ognuno cerca di celare dentro di se, e quindi una bruttezza esteriore spesso è una scatola che racchiude un grande tesoro introspettivo, un contenitore che, con la giusta chiave, ti introduce in un mondo di meraviglie. Così il sorriso di un padre introverso, che centellinava le sue parole, era il capisaldo a cui si aggrappava, l’eroe delle sue favole infantili, colui che con la sua forza inespressa lo traghettava verso lidi tranquilli, che gli trasmetteva i valori fondamentali per la sua crescita interiore, ed è a lui che viene dedicata

in mostra...

questa mostra, a lui ed a quella variopinta ed incredibile umanità che lo ha formato negli anni più difficili. “E vissero tutti felici e contenti….” così finiscono le fiabe e così dovrebbe finire l’esistenza di ognuno di noi...peccato che sia solo utopia. 5


Gli autoritratti futuristici di Omar Aqil Un collage di oggetti 3D in un rendering digitale di Cristina Simoncini

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’artista pakistano Omar Aqil assembla digitalmente tecnologia, oggetti 3D e masse strutturate in collage figurativi per la sua serie “Autoritrals 2050”. I personaggi futuristici indossano tutti paio di occhiali, ma sono altrimenti distinti, a volte espressi attraverso eleganti forme geometriche impilate nelle caratteristiche del viso e altre con germogli floreali stravaganti e vari elementi organici. La sperimentazione e il gioco sono al centro di questa nuova serie, cui Aqil si riferisce come a “immagini del profilo”, e la sua pratica nel complesso, una collezione eclettica di autoritratti radicati nell’epoca digitale corrente. Omar utilizza software digitale, tra cui Adobe Photoshop, Cinema 4D, Octane e Adobe Illustrator, creando facce “alla Picasso” e li colloca in scene casuali. Le ombre, le luci ed i

curiosArt

colori rendono le sculture renderizzate di Aqil come oggetti costruiti in una posizione fisica. Le caratteristiche implicite del viso danno a ciascun carattere una personalità che è aiutata da espressioni umoristiche e scenari mondani. “Nell’effettuare questa serie ho esplorato la nuova semplicità delle forme per rendere l’espressione interiore di un personaggio che esprime un’intera storia”, scrive Aqil. Aggiunge poi che, mentre le principali fonti di ispirazione per il progetto sperimentale sono i ritratti di Picasso, il lavoro è anche ispirato da situazioni casuali che lui e altri designer hanno affrontato. Fonti: www.thisiscolossal.com

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Turandot

L’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba di Maria Chiara Lorenti

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utto nasce come in un giallo di Agatha Christie, un museo acquista un vecchio baule di cui non conosce il contenuto, apparteneva alla soprano Iva Pacetti, gloria della città di Prato, sede del Museo del Tessuto. Aperto il misterioso baule, all’interno vi è un vero tesoro, che si pensava definitivamente disperso, tra gli effetti della cantante si celavano i costumi originali, completi dei gioielli di scena, della prima alla Scala della “Turandot”, diretta da Arturo Toscanini il 25 aprile 1926. Restaurati, grazie alla campagna di crowdfounding “il costume ritrovato”, sono ritornati al loro primario splendore e così si pensa ad una mostra che ne riveli l’importanza storica. Grazie ad un altro baule, proveniente da un diverso museo, distante molte centinaia di chilometri, l’archivio della Sartoria Devalle di Torino, si è potuta ricostruire la scena con ulteriori trenta costumi dei personaggi primari e comprimari, il principe Calef, che risolverà i tre enigmi e farà innamorare la principessa Turandot, 8

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l’imperatore, i ministri Ping, Pong e Pang, il Mandarino, anch’essi facenti parte della prima rappresentazione dell’opera postuma di Puccini, nonché quelli secondari delle ancelle, le guardie, i sacerdoti ed il popolo. La storia è nota, Turandot, figlia dell’imperatore della Cina, traumatizzata dalla sorte della sua antenata, morta in seguito alla conquista del regno da parte dei Tartari, molti secoli prima, decide che nessun uomo la possiederà mai. In base a ciò determina che il principe che la chiederà in sposa dovrà risolvere tre indovinelli, pena la morte per decapitazione. Molti i pretendenti che periranno per mano del boia, e a tutte le esecuzioni presiederà la stessa principessa, altera e glaciale. All’ultima di esse assisterà Calef, figlio del re dei tartari, esiliato dopo la sopraffazione della Cina. Incontrato fortuitamente il padre con l’ancella Liù, si innamora perdutamente della bellissima Turandot, e, nonostante le preghiere del genitore e dei tre ministri, chiede di risolvere gli enigmi.


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Vasto-piazzale-della-reggia

a-reggia

Davanti alla corte e al popolo, egli li risolverà e, alle suppliche di Turandot, deciderà di desistere dal farla sua sposa se lei, nello spazio di una notte, scoprirà il suo nome. Tutto è deciso, la città di Pechino si svuoterà dei suoi abitanti per suo ordine, e le guardie, pena la morte, dovranno cercare chi sa il vero nome del principe. Portata Liù al cospetto della principessa, per non tradire il suo signore, si farà torturare, ed infine per non cedere al dolore, per amore si ucciderà. Turandot chiederà a Calef di rivelarle la sua identità, ma egli l’accontenterà solo dopo averla baciata. Il giorno dopo, davanti a tutti, ella dichiarerà che il nome del principe è Amore, e vivranno per sempre felici. La mostra “Turandot e l’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba”, allestita al Museo del Tessuto di Prato fino al 21 novembre, è un’esposizione che si avvale non solo dei costumi scenici, disegnati da Luigi Sapelli, in arte Caramba, tra cui i due meravigliosi vestiti indossati da Rosa Raisa, prima soprano ad

in mostra

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aver interpretato il ruolo di Turandot, ma anche dei bozzetti originali per le scenografie di Galileo Chini, voluto dallo stesso Puccini, suo amico, che visti i trascorsi del pittore in terra Thailandese, dove passò vari anni, chiamato dal re di quel paese per affrescare la sua reggia, lo riteneva il più adatto alla ricostruzione scenica, per la sua diretta conoscenza di quei luoghi. Quindi il percorso della mostra sarà arricchito, oltre che dalle tele di Galileo Chini e dei suoi bozzetti, anche da 120 oggetti orientali della sua collezione privata. Tutto il fascino di quella prima rappresentazione alla Scala verrà riproposto, così come aveva immaginato l’autore, morto due anni prima lasciando l’opera incompiuta, poi completata da Franco Alfano, ma che Arturo Toscanini volle interrompere all’ultima battuta del grande musicista.

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occhio al libro

”Gli occhi dell’eterno fratello” Di Stefan Zweig di Francesca Senna

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uesta è la storia di Virata che il suo popolo glorificò con i quattro nomi della virtù, ma di cui non è scritto nelle cronache dei dominatori né nei libri dei saggi e la cui memoria gli uomini hanno dimenticato”. Ci troviamo di fronte ad una piacevolissima lettura, caratterizzata da una particolare sospensione fra Oriente e Occidente, fra mito e realtà, il tutto magistralmente espresso da questo grande scrittore attraverso un racconto breve, ma intenso, una narrazione dal respiro ampio, in cui palpitano il divino e una natura incantata. Protagonista indiscusso del racconto è il concetto di Giustizia e la difficoltà o l’impossibilità di trovare il modo di applicarla con equità, senza che alcuno venga a soffrire per le scelte fatte da altri; fino ad arrivare alla fine di questo percorso in cui il protagonista matura in se la consapevolezza che l’unico modo di vivere senza far soffrire nessuno è di servire un altro. Il testo narra di una leggenda indiana avente per protagonista un nobile e antico guerriero di nome Virata, che nel corso di una cruenta battaglia, uccide involontariamente suo fratello (l’eterno fratello del titolo), il cui sguardo accusatore tornerà a tormentarlo negli occhi di qualsiasi vittima dell’ingiustizia del mondo. A seguito di questo evento egli giura di non impugnare mai più un’arma. Nel decidere di rinunciare a qualsiasi sopraffazione e violenza, il guerriero nel corso del racconto man mano 10

si astiene da tutti gli incarichi e le responsabilità che gli vengono affidati ufficialmente: rifiuta ogni guerra e spargimento di sangue, perché “chi partecipa al peccato di dare morte è lui stesso morto”, rifugge dall’esprimere giudizi e dal condannare; sceglie la passività che possa garantirgli l’innocenza, assumendo su di sé la natura di “morto nella vita e vivo nella morte”, consapevole che ogni potere incita all’azione, e ogni azione interferisce nel destino degli altri uomini. Allora rinuncia anche al suo ruolo di saggio, va a fare il guardiano dei cani e in questo ruolo infine morirà solitario e dimenticato da tutti, ma probabilmente felice o almeno in pace con sé stesso. L’estrema liberazione dall’imposizione di sé si può scoprire soltanto nell’umiltà delle mansioni più modeste e disprezzate, perché “solo chi serve è libero”. L’autore durante tutta la narrazione, sin nei dettagli più piccoli, è desideroso di condividere con il lettore la sua visione etica della vita, per cui ogni scelta ha conseguenze imprevedibili e pericolose, che ricadono necessariamente sull’individuo responsabile, il quale non si deve limitare ad accettare l’usuale andamento delle cose, ma deve operare sempre delle scelte consapevoli. Solo dalla presa in carico della direzione della propria vita, nel bene e nel male, in ricchezza e, soprattutto, povertà, Virata – e da qui l’uomo nel più ampio senso di Umanità - ottiene quella che è oggi banalmente chiamata ‘illuminazione’.


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dalla Cina con...

Un professore di letteratura italiana a Pechino Dalla Beijing Foreign Studies University di 张羽扬

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a Cina ama profondamente l’Italia e, ormai da anni, gli scambi culturali tra i nostri due Paesi sono intensi. Tra coloro che hanno favorito lo studio e la conoscenza della lingua e della cultura del nostro Paese in Cina, il Professor Federico Wen Zheng, docente di Lingua e Letteratura italiana presso la Beijing Foreign Studies University, che si racconta in una lunga intervista: “Ho iniziato a frequentare la facoltà di lingua italiana della Beijing Foreign Studies University (BFSU) nel 1993. La scelta di questo idioma si deve a due motivi, uno dichiarato - sono un appassionato di arte rinascimentale - e l’altro segreto - potevo evitare l’esame di ammissione all’università, soprattutto perché, a quel tempo, odiavo la matematica. È stato il professor Wang Jun, esaminatore al colloquio, a decidere di ammettermi. Profondo conoscitore dell’umanesimo italiano, egli ha dimostrato un atteggiamento consono: saputo che ero interessato all’arte e alla letteratura, ha semplicemente rinunciato alle domande classiche del colloquio, ponendomene molte altre. Ritengo che mie risposte non l’abbiano deluso. Da allora, egli è sempre stato il mio insegnante e maestro, e le sue idee e i suoi metodi di insegnamento della lingua italiana mi hanno molto influenzato. L’amore del professor Wang Jun per l’italiano ha coinvolto non solo migliaia di studenti, ma anche la sua famiglia: una dozzina di suoi familiari e parenti sono impegnati in lavori legati all’Italia. La figlia attualmente è docente universitaria di italiano. Nel 2018, la sua traduzione de “L’Orlando Furioso” si è aggiudicata il Premio di Letteratura “Lu Xun”, il massimo riconoscimento del governo cinese per la traduzione letteraria. La professoressa Shen Emei, famosa traduttrice di letteratura italiana ed educatrice, è stata la mia docente in questa materia, soprattutto moderna e contemporanea. In un’epoca in cui l’apprendimento delle lingue straniere mirava solo a espatriare o a fare del business, la freschezza del suo pensiero era impressionante. In un cinese mandarino con l’accento del nativo Zhejiang, ella ci diceva: una lingua “non curata” non può durare nel tempo, una lingua priva di letteratura è solo un “guscio vuoto”. Quando Alberto Moravia visitò la Cina per la terza volta nel 1986, il suo interprete fu sostituito a causa del linguaggio “non curato”. L’Associazione degli Scrittori cinesi invitò quindi la professoressa Shen Emei a fare da interprete a questo scrittore di livello mondiale, nel suo viaggio di esplorazione in Cina. Un mese dopo il ritorno di Moravia in Italia, ella ricevette un pacco zeppo di libri e una lettera personale dell’autore: Moravia le inviava tutte

le sue opere pubblicate, pregandola di tradurle in cinese. Shen Emei si è fissata l’obiettivo di tradurre e pubblicare due capolavori letterari all’anno, un obiettivo ormai ampiamente superato, visto che ha anche compilato numerosi libri di testo e dizionari. La sua traduzione de “Il nome della rosa” è stata letta con ammirazione da decine di migliaia di cinesi. È stato Lv Tongliu, ricercatore presso l’Accademia Cinese di Scienze Sociali e uno dei primi studiosi cinesi dell’Italia, a portarmi sulla via della traduzione e delle ricerche sulla letteratura italiana. Negli anni cinquanta del secolo scorso, non esistendo ancora scambi ufficiali tra la Repubblica Popolare Cinese e l’Italia, egli apprese l’italiano a Leningrado, in Unione Sovietica. Di poche parole, ma rapido nell’azione, egli era costantemente al lavoro. Amico di numerosi scrittori, critici ed esponenti del settore culturale dell’Italia, ha tradotto un gran numero di opere letterarie del Belpaese e stimolato il più possibile gli studi sull’Italia in tutta la Cina, influenzando due generazioni di studiosi cinesi dell’Italia, che lo consideravano il loro punto di riferimento. Gli studenti cinesi di italiano hanno tutti un “maestro” comune, il “Dizionario italiano-cinese” della Casa editrice “Commercial Press”. Pubblicato una quarantina d’anni fa e soprannominato “grande mattone verde” per via del colore della copertina, praticamente tutti ne sono in possesso. Fu compilato a partire dal 1975 da cinque-sei studiosi cinesi, che in seguito ho conosciuto personalmente. Mancava solo il consulente italiano, il cui nome è scritto sul frontespizio. Nel 2018, su invito dell’Accademia della Crusca, ho partecipato a Ravenna a una conferenza internazionale in commemorazione di Dante Alighieri. Nella piazza vicina alla sua tomba, un anziano italiano mi ha salutato in cinese: era Mario Cannella, il consulente che ha influenzato tutti gli studenti cinesi di italiano! Cannella è ancora attivo a Milano nella compilazione di dizionari, nella veste di responsabile della revisione annuale del “Dizionario Zingarelli”, il più influente d’Italia. Ogni voce del “mattone verde” è intrisa del suo scrupoloso impegno. Quando l’ho chiamato “padre del mattone verde”, egli è scoppiato a ridere come un bambino. Ogni piccolo progresso e risultato che ho ottenuto in 27 anni in campo professionale è imprescindibile dal sostegno dei miei maestri, diretti o indiretti. Se avessi spazio sufficiente, scriverei volentieri tutte le storie che ho vissuto e conosciuto personalmente. Se paragoniamo a un ponte gli scambi amichevoli tra la Cina e l’Italia, essi sono davvero i pilastri che lo sostengono”. 11


The Mitchells vs. the Machines

Euforia digitale nell’animazione contemporanea di Valerio Lucantonio

Nell’ultimo decennio Phil Lord e Christopher Miller si sono affermati nel panorama del cinema d’animazione statunitense tramite pellicole eccentriche e originali come “Piovono polpette” e “The Lego Movie”, per poi arrivare alla consacrazione (in veste di produttori) con l’acclamato “Spider-Man: Into the Spider-Verse”. Se questo mostrava una notevole innovazione nel comparto grafico, con la messa a punto di una particolare tecnica a metà tra elaborazione digitale e chine fumettistiche, la produzione più recente del duo eleva la dimensione visiva a terreno centrale di riflessione e sublimazione della cultura visuale contemporanea. L’esuberanza di “The Mitchells vs. the Machines”, diretto 12

da Mike Rianda per Sony Pictures Animation e distribuito da Netflix, risiede per l’appunto nell’appropriazione onnivora dell’estetica digitale che impera sul web e soprattutto nei social network, nelle app e nei software che permettono di rielaborare foto e video. Le pratiche di mix e remix si fanno decisamente più opache e ostentate, andando a formare un collage in continua mutazione che combina e giustappone plasticamente animazione tridimensionale, disegno manuale, foto realistiche, grafiche, video virali e meme, con un ritmo vertiginoso all’insegna della continua variazione e sovrapposizione. Questa commistione caotica ed euforica supera l’eterogeneità ludica del postmoderno per abbracciare la postmedialità, nella quale le rimediazioni e i supporti tecnologici sono integrati così a fondo in ogni esperienza da diventare indistinguibili e “naturali”. Le implicazioni e gli effetti del progresso trovano riscontro anche sul piano narrativo, al livello delle relazioni e dell’azione. La storia è infatti incentrata sul divario culturale tra Katie, giovane videomaker che crea video compositi e assurdi da caricare su Youtube, e suo padre Rick, tipico genitore impacciato nell’uso di qualsiasi dispositivo digitale, che non riesce a comprendere l’immaginario e le aspirazioni della figlia. Quando lei viene ammessa a una scuola di cinema, e sta per lasciare casa, Rick la coinvolge con il resto della famiglia in un viaggio in macchina per risanare il rapporto, prima che sia troppo tardi. La problematizzazione dell’evoluzione tecnologica assume proporzioni globali quando l’intelligenza artificiale PAL si vede sostituita da un nuovo modello robotico e, per gelosia, fomenta una rivolta delle macchine per conquistare il mondo. Inutile dirlo, sarà proprio la famiglia Mitchell a dover salvare l’umanità, risolvendo nel frattempo anche i propri conflitti interni. Il racconto risulta estremamente efficace nel rappresentare le discontinuità e la pervasività


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delle nuove forme comunicative e iconografiche, adottandone la verve comica e l’estrema velocità di consumo, con il risultato di formulare una proposta inedita per il popolare genere della commedia per famiglie. Ma da questa riuscita sintonia con l’immaginario della generazione Z deriva anche un assottigliamento della coerenza narrativa e una semplificazione della costruzione drammaturgica. Se da una parte il film riesce a disinnescare alcuni dei più abusati cliché della retorica pedagogica disneyiana, dall’altra il suo target lo costringe a rimanere ancorato ad altri luoghi comuni, che ne limitano la piena riuscita dal punto di vista assiologico e morale. La frenesia delle modalità espressive e i continui cambi di ritmo vengono controbilanciati, sul piano tematico, dalla consumata e monotona celebrazione della famiglia disfunzionale e dalla conseguente valorizzazione della stravaganza, con l’intento di proporre un modello meno idealizzato e più realistico. I “difetti” dei Mitchell rimangono tutto sommato più nominali

Animazione

che effettivi, e la loro caratterizzazione è più funzionale alle gag che all’azione. Anche il conflitto generazionale si rivela piuttosto superficiale, a causa di una rappresentazione accomodante ed eccessivamente entusiastica dei costumi della nuova generazione: l’unico problema dei figli, sempre brillanti, è quello di rapportarsi con i genitori, sempre inadeguati o ingenui, e la narrazione accenna soltanto con un paio di battute sfuggenti alle eventuali controindicazioni della cultura digitale. Senza dubbio il film veicola ispirazione e positività per le nuove possibilità offerte dalla tecnologia, rivendicando la legittimità di nuove istanze sociali e creative, ma al tempo stesso rivela come la componente estetica possa prevalere su quella narrativa, trascurando le criticità del nuovo paradigma culturale e relegandole a un apocalittico malfunzionamento tecnico che deresponsabilizza l’apporto umano, senza operare distinzioni tra uso e abuso.

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“Con la cultura non si mangia. Falso!”

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occhio al libro

di Paola Dubini

di Giuseppe Chitarrini

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a tanto proferita e sciagurata espressione “la cultura non si mangia”, pare sia stata detta da un ministro della Repubblica italiana una quindicina d’anni fa, anche se lui nega decisamente, dicendo di essere stato frainteso. Comunque sia, si tratta di un luogo comune becero ed antico: l’autrice nell’introduzione al testo ci ricorda l’esempio del grande scrittore francese Flaubert che, già nell’800 nel suo ‘Dizionario dei luoghi comuni’, evidenziava ironicamente l’inutilità della cultura e della letteratura in particolare. Un’affermazione che al giorno d’oggi, in Italia, più che essere proferita è data per ovvia, sottointesa, assodata e scontata. L’autrice di questo saggio, docente di economia alla ‘Bocconi ’di Milano, intende dimostrare “che la cultura si mangia, ma anche a quali condizioni e come si può mangiare”(p. XVI), esplorando e decostruendo questo luogo comune, parlando a volte di arte e a volte di cultura vera e propria, i due termini non sono sinonimi e fra loro c’è una bella differenza, ma vengono usati per meglio supportare gli argomenti trattati senza perdersi in dissertazioni sul concetto di arte e su quello di cultura. “Nel 1871, l’antropologo Tylor ha fornito una definizione di cultura come insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità ed abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società…comprendendo fatti di ordine materiale e spirituale, pratico e simbolico”(p.4). Capiamo chi siamo grazie alla cultura, in opposizione, - soprattutto nelle società complesse e massificate- “al bisogno di apparire, il consumismo esasperato, la mercificazione dell’esistenza, contrastando i processi di omologazione”(p. 7), acquisendo nella materialità ed immaterialità della cultura gli elementi simbolici ed identitari, per evitare gli offuscamenti e le patologie identitarie, tipiche nelle società complesse, ‘liquide’ e globalizzate(cfr. pp. 8 e 9). Successivamente l’autrice fornisce un elenco di siti, di luoghi, attrazioni paesaggistiche, ambientali ecc. fornite dall’UNESCO e riconosciute in Italia dalla legge 146 del 1990. Ben 1100 sono i siti censiti dall’UNESCO dal 1972 in 167 paesi, solo in Italia ve ne sono ben 54, che costituiscono beni da salvaguardare non solo per gli introiti economici, ma soprattutto perché costituiscono il profilo identificabile di un territorio con delle ricadute positive, non solo economiche e a breve tempo, ma anche a scadenza più lunga. Infatti le statistiche europee e non solo, stabiliscono delle correlazioni positive fra investimenti in cultura, scolarità, riduzione degli abbandoni scolastici, l’abbassamento dei

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livelli di criminalità, l’aumento della qualità percepita della vita(cfr. p 87), delineando anche le linee di sviluppo e di tendenza di un territorio (cfr. p. 113). Così Paola Dubini, conti alla mano, ci mostra che la cultura, è un valore materiale ed immateriale, e il volontarismo, l’associazionismo che ruotano attorno ad essa costituiscono una risorsa aggiuntiva. Il pericolo è quello di una cultura intesa come perimetro fortificato, impermeabile e rigido, sovranista ed identitariamente etnocentrista; la cultura, invece, per essere tale va intesa come processo e percorso, adattamento plastico e flessibile, capace di entrare in contatto con le altre culture, confrontarsi, modellarsi, arricchirsi e contaminarsi rinnovandosi incessantemente. Altro errore sarebbe quello di considerare la cultura come sapere, conoscenza o solo arte e scienza; la cultura è esperienza di vita in determinati contesti sociali, è ethos vissuto e convissuto e ha ben poco di scolastico. Quindi non basta musealizzarla, chiuderla in una teca, istituzionalizzarla, appannaggio delle persone istruite e colte, o consegnarla ai mercati locali o transnazionali, ha bisogno invece dei suoi luoghi e mondi vitali, dei suoi contesti, è pratica quotidiana, elaborazione civica e partecipata. L’evento o l’attrattiva turistica o l’espressività artistica sono cultura quando diventano veicolo di crescita civile, prospettiva, progetto intelligenza collettiva; stare nei musei, nei mercati, nei percorsi turistici non basta. Il sociologo francese P. Bourdieau sostiene che “la cultura contribuisce in modo determinante a definire la posizione sociale di un individuo”(p.30), determinandone i gusti, il suo stile di vita, la scolarità, il patrimonio culturale personale e quello da poter trasmettere ai propri figli ecc. Quindi la cultura non solo si mangia e dà da mangiare, ma è anche, a livello individuale, un veicolo di promozione socioeconomica di ciascuno, permettendo, a livello del singolo e della collettività “la costruzione di immagini potenti, che unificano, attraggono, governano le differenze e i conflitti; al tempo stesso è fragile e va protetta perché è composta da una stratificazione e da una grande varietà di forme espressive…Tanto che gli immaginari che essa crea…devono essere continuamente riproposti e reinterpretati attraverso forme espressive nuove e diverse così da mantenere la sua capacità di suggestione e di significato”(p. 23), riuscendo a rimanere sé stessa, conferendo identità, e, al tempo stesso trasformandosi incessantemente. Quindi non solo si mangia, ma anche, come diceva A. Moravia, “la cultura serve a spendere bene i propri soldi”(p. 31).


A tutt’oggi solo nelle regioni gialle e bianche sono stati riaperti musei e gallerie

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Aprilia

“Il brutto è bello”, Personale di Antonio De Waure (art. a pagg. 4-5) Assicurazioni Generali, via Verdi, dal 4 giugno al 4 luglio

Roma

“Napoleone e il mito di Roma” Mercati di Traiano-Museo dei fori imperiali, fino al 30 maggio “Savinio. Incanto e mito” Palazzo Altemps, fino al 13 giugno “I marmi di Torlonia” Musei Capitolini,fino al 27 giugno “Il Boresta che non ti aspetti” Micro, fino al 30 giugno “Alberto Sordi” Villa di Alberto Sordi, fino al 30 giugno “Manolo Valdes. Le forme del tempo” Palazzo Cipolla, fino all’11 luglio “Women in Comics” Palazzo Merulana, fino al 11 luglio “Dante” Rhinocerus Gallery, fino al 15 luglio “Senzamargine. Passaggi nell’arte italiana a cavallo del millennio” MAXXI, fino al 10 ottobre “L’eredità di Cesare e la conquista dell tempo” Musei Capitolini- Palazzo dei Conservatori, fino al 31 dicembre

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Firenze

“Tesori delle terre d’Etruria” Museo archeologico nazionale, fino al 30 giugno “Dante, onorevole e antico cittadino di Firenze” Museo nazionale del Bargello, fino all’8 agosto

Forlì

“Dante. La visione dell’arte” Musei San Domenico. Fino al 11 luglio

Milano

“Luisa Lambri. Autoritratto” PAC, fino al 30 maggio

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Eventi

“Carla Accardi. Contesti” Museo del novecento, fino al 27 giugno 2021 “Digital Mourning” Pirelli Hangar- Bicocca, fino al 18 luglio “Le signore dell’arte.storie di donne tra ‘500 e ‘600” Palazzo reale,fino al 25luglio

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Napoli

“Gli Etruschi e il MANN” Museo archeologico nazionale di Napoli, fino al 31 maggio 2021 “Paolo La Motta. Capodimonte incontra la sanità” Museo e Real Bosco di Capodimonte, fino al 19 settembre “Peter Lindberg. Untold stories” MADRE, fino a data da definire “Gladiatori” MANN, Museo archeologico Nazionale di Napoli, fino al 6 gennaio 2022

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Parma

“Ligabue e Vitaloni. Dare voce alla natura” Palazzo Tarasconi, fino al 30 maggio

Prato

“Turandot e l’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba” (art. pagg. 8-9) Museo del Tessuto, fino al 21 novembre

Ravenna

“Dante nell’arte dell’ottocento” Chiostri francescani, fino al 5 settembre 2021 “Dante. Gli occhi e la mente. Le arti al tempo dell’esilio” Chiesa di San Romualdo, fino al 4 luglio “Inclusa est fiamma. Ravenna 1921” Biblioteca Classense, fino al 17 luglio

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Torino

“Ritratti d’oro e d’argento” Palazzo Madama fino al 12 luglio


The Transition: Ignat © Oleg Ponomarev, Russia Ignat, un uomo transgender, con la sua fidanzata Maria a San Pietroburgo, Russia, il 23 aprile 2020.

64^ edizione del “World Press Photo Exibition 2021” A Roma presso il mattatoio, fino al 22 agosto.

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