Occhio all'Arte (maggio 2019)

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XIII N° 125 maggio 2019

Mensile d’informazione d’arte

n David LaChapelle curiosArt: i ritratti di n Linsey Levendall

ndedicato a: Rembrandt van Rijn

www.artemediterranea.org

Imagine di Linsey Levendall

nocchio al teatro:Tutto dentro


Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”

Telefona al 347.1748542

Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2018-2019 CORSO INTARSIO SU LEGNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 18,00 - 20,00 CORSO DISEGNO PER BAMBINI LUNEDI’ - MERCOLEDI’ - VENERDI’ 18,30 - 20,00

CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 9,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’ MERCOLEDI’ 18,00 - 20,00 CORSO OLIO LUNEDI’ - VENERDI’ 18,00 - 20,00 20,00 - 22,00 MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00

CORSO DI FOTOGRAFIA ORGANIZZATO DA ASS.FOCUSFOTO MARTEDI’- MERCOLEDI’ GIOVEDI’ - VENERDI’ 20,30 - 22,30

Collaboratori Patrizia Vaccaro, Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, Valerio Lucantonio, Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Francesca Senna Responsabile Marketing Cristina Simoncini

Fondatori Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini

Composizione e Desktop Publishing Giuseppe Di Pasquale

Amministratore Antonio De Waure

Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore

Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

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CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale

CORSO DI DISEGNO - FUMETTO SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30 - 18,45

Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Mensile culturale edito dalla Associazione Arte Mediterranea Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org www.artemediterranea.org Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007

CORSI IN ORARIO DA DEFINIRE

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Sommario

“Legosofia. Apologia filosofica del Lego” I ritratti di Linsey Levendall Rembrandt van Rijn David LaChapelle Brian the brain Tutto dentro Richard Scarry e i suoi animali fantastici sul filo di china “Archangel Michael: and no message could been” di David LaChapelle


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occhio al libro

“Legosofia. Apologia filosofica del Lego” di Tommaso W. Bertolotti di Giuseppe Chitarrini

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uesto originale e denso volumetto di T. W. Bertolotti, docente di filosofia all’Univ. di Pavia e presso la Scuola parigina Monphilosophie (un servizio di consulenza filosofica avanzata per scuole ed imprese), traccia un apologo sulla Filosofia sottostante il famosissimo gioco de i Lego: giochi ad incastro che da decenni affascinano bambini, adulti e mercati. I Lego, secondo l’autore hanno la caratteristica della classicità della Grecia e delle Poleis ai tempi di Pericle, Platone e Aristotele e altri grandi filosofi dell’antichità classica. Giochi che sarebbero stati adatti per l’educazione-formazione dei piccoli abitanti di quelle città, rappresentando l’idea di ‘bene’ e bello’, perfezione simmetrica e modellistica, matematica ed estetica e anche di metodo, cioè di giusta via (metà odoes) attraverso la quale dirigere la logica del pensiero, costruendo, strutturando e destrutturando forme, geometrie, immagini, sia quando si segue la tecnica indicata dalle istruzioni, sia seguendo la propria immaginazione. Una pedagogia dell’antichità classica, che si protrarrà poi configurando l’ottimismo pedagogico dell’homo faber: dell’uomo artefice e costruttore del proprio destino, l’ora et labora della tradizione monastica cattolica, poi ereditata dalla Riforma(cfr. pp. 118 e 119). Comunque, il Lego –secondo l’autore- è soprattutto platonico (ma anche, per molti aspetti, democriteo, eracliteo, pitagorico e parmenideo), e, più di recente, potremo dire anche cartesiano, perché in questo gioco convergono la capacità di progettare ed ideare, dando consistenza tangibile a queste idee e tracciare così –fra teoria e pratica- un percorso pedagogico completo ed auto disciplinato (cfr. pp. 42, 43) verso il bello, il giusto e l’ordine ben regolato. Non a caso il termine Lego deriva dal danese ‘Leg godt’ che significa appunto giocare agendo bene, secondo logica e tecnica, un bene che scaturisce dalla riflessività contemplativa,

ma anche dalla meticolosa metodica. Anche la “Lego City ha un carattere unico ed universale che la rende sotto un certo aspetto simile alla kallipolis, la città giusta, il modello di città-stato che Platone aveva delineato ne “La Repubblica”(p.54). “I Lego ci spingono ad interrogarci su come funziona la nostra mente”(p. 87), e ci insegnano molte altre cose, mettendo in campo la nostra riflessività, le nostre capacità estetiche e immaginative e tutto questo li rende argomentabili filosoficamente; questo libro ci mostra, appunto, quali sono le dimensioni e gli aspetti filosofici impliciti. Aspetti inerenti una filosofia metafisica, ma anche, e forse soprattutto, una filosofia analitico-cognitiva, logico-matematica, pragmaticasemeiotica e fenomenologica, che l’autore ci mostra ricorrendo a una scrittura chiara e accessibile. Una attività ludica e esperienza multisensoriale e di pensiero diffusa in tutto il mondo, nata a livello di azienda famigliare in Danimarca nel lontano 1932, sbarcata nella grande distribuzione e sugli scaffali dei supermercati di mezzo mondo fin dagli anni 50 e che poi, nei primi anni 60, ha confermato e rafforzato la sua presenza conquistando sempre più ampie fette di mercato nel segno della qualità, della innovazione e della creatività. Oggi ”Lego conquista il 76° posto nel mondo con un fatturato che si avvicina agli 8 miliardi di dollari… Uno dei più potenti brand del mondo”(p.106). Ma non è solo un gigantesco affare, Lego è anche un giocattolo cult(cfr. p. 105), e, pur essendo un gioco di razionalità immaginativa e di abilità costruttiva (cfr. p.124), suscita, anche in non pochi, sentimenti e passioni che hanno poco di razionale, avvicinandosi –per alcuni- a una vera e propria adesione incondizionata a valori e concetti, simile, sotto molti aspetti, a una fede laica e mondana (cfr. da p. 105 a 109). 3


I ritratti di Linsey Levendall Tratti vorticosi di matita a piĂš colori di Cristina Simoncini

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’ a r t i s t a e i l l u s t ra t o r e L i n s e y L e v e n d a l l e f f e t t u a r i t ra t t i d i p i n g e n d o c e n t i n a i a di minuscole macchie di colore, da cui prendono forma i capelli e la pelle dei suoi soggetti, creando così immagini multi-colore . Le sue opere prismatiche m o s t ra n o u n a g a m m a d i c o n d i z i o n i u m a n e , c a t t u ra n d o o g n i e m o z i o n e , c o n p r o f o n d a i n t r o s p e z i o n e , d a l d o l o r e a l l a p u ra f e l i c i t à . L e v e n d a l l ra c c o n t a c h e l e s u e o p e r e s o n o i s p i ra t e d a u n a va s t a c o l l e z i o n e d i i n t e r e s s i , t ra c u i S a l va d o r D a l ì , a n i m a z i o n e , g ra p h i c novel e cubismo. Linsey è un creativo multidisciplinare autodidatta, originario di Cape Flats a C a p e To w n , i n S u d a f r i c a , m a o ra v i v e con sua moglie e due cani in una piccola c i t t a d i n a r u ra l e d e l S a s k a t c h e w a n , i n C a n a d a . L a v o ra a s t r e t t o c o n t a t t o c o n i gruppi artistici, The Black Heart Gang e Shy The Sun, come designer concettuale per l’animazione pionieristica, sia per il mercato locale che internazionale. Insieme a Daniel Orme ha fondato anche il duo

curiosArt

c r e a t i v o “ B i s o n ”. N e l t e m p o l i b e r o, L i n s e y fa i l l u s t ra z i o n i , i n m o d o c o m p u l s i v o, s u va r i mezzi di comunicazione, sia per il business (su progetti freelance) che per piacere. Egli dice che il suo lavoro complesso e apparentemente inquietante è guidato dal bisogno di essere in sintonia con i suoi pensieri e sogni inconsci. I n fa t t i L i n s e y l o d e f i n i s c e c o m e u n a decadenza coinvolgente, leggermente “ t r i p p y ” e p r o va g ra n d e g i o i a n e l d i v e r t i r e lo spettatore con mondi caotici e oscuri e p e r s o n a g g i s t ra n a m e n t e i n t e r e s s a n t i e complessi. Mentre la sua abilità sta nella sua versatilità e capacità di adattarsi ai va r i s t i l i , è p r i n c i p a l m e n t e a t t ra t t o d a l C u b i s m o, S u r r e a l i s m o e Po p S u r r e a l i s m o . C e r c a , n e l s u o l a v o r o, d i e s s e r e a p e r t o a l l ’ e v o l u z i o n e e a l l a p r e s e r va z i o n e d e l pensiero non convenzionale. Fo n t i : w w w. t h i s i s c o l o s s a l . c o m

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Rembrandt van Rijn

Emblema del secolo d’oro olandese di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi

Autoritratto giovanile -1630

Sposa ebrea -1666

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l volto di un giovane uomo, è colto nel momento in cui si gira e solleva il capo per osservare lo spettatore. Capelli scompigliati ricadono sulla fronte e sulla nuca, accentuando l’espressione quasi sbarazzina e il suo desiderio di approcciarsi al mondo che lo circonda. Un’efficace combinazione di parti scure e chiare permette agli occhi, in penombra, di scrutare l’astante che, a sua volta, non può evitare di andare oltre, oltre le apparenze. Molto particolare anche il modo con cui è stato steso il colore: pennellate spontanee, immediate si alternano a passaggi accuratamente sfumati “Autoritratto con la bocca aperta”, 1630. Un uomo maturo, benestante, lo si deduce dagli abiti che indossa, di broccato e velluto, impreziositi da una pelliccia, appoggia l’avambraccio sulla balaustra in modo da mostrare una preziosa stola, assumendo, quindi, una posizione poco spontanea. I capelli non hanno perso la giovanile morbidezza, ma sono contenuti da un elegante copricapo. Un’ombra di tristezza nel suo sguardo che, solo apparentemente, è rivolto agli spettatori; l’unica cosa che, ormai, assorbe tutti i suoi pensieri è la propria interiorità. L’apertura verso il mondo sembra essere svanita per lasciare il posto ad una delusione profonda che nessun abbigliamento ricercato potrà mai colmare. Il portamento della persona e la perfezione tecnica, fanno pensare ai grandi pittori rinascimentali. Ancora una volta un “Autoritratto” eseguito nel 1640. Del giovane uomo c’è un vago ricordo nell’evanescenza dei capelli ormai ingrigiti; quello che ci osserva, ci scruta, è il volto di un vecchio, apparentemente calmo, in cui “si mescolano in egual misura rassegnazione, incredulità e fiducia, compiutezza e incompiutezza”.


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dedicato a

Sindaci della gilda dei drappieri -1662 Anche in questo dipinto indossa un copricapo che, però, non ha più che appartengono, senza ombra di dubbio, a Rembrandt, quelle che nulla della ricercata eleganza del precedente, così come l’abito di un creano ancora delle perplessità e i falsi. colore sfuggente che sembra sfumare nello sfondo - “Autoritratto”, 1669. I tre autoritratti sopra descritti, oltre ad essere alcune delle opere del pittore olandese Rembrandt, sono la prova più evidente della trasformazione della sua pittura nell’arco di quaranta anni, della sua capacità di amalgamare una tecnica sempre più raffinata e pregevole a quella di penetrare nell’animo umano ed esplorare gli anfratti più segreti e reconditi. Questa sua voglia e capacità di andare oltre le apparenze è un aspetto che lo allontana dagli altri pittori conterranei, più propensi alla riproduzione precisa e minuziosa di oggetti, animali e persone nella loro quotidianità e ritualità, per così dire. Sono passati trecento cinquant’ anni dalla morte del più grande artista olandese del XVII secolo, Rembrandt appunto, e le mostre a lui dedicate saranno sicuramente molteplici. Le prime sono state organizzate ad Amsterdam, in due musei e all’Aja in uno. Nel Rembrandthuis, casa dell’artista, oggi museo, è possibile ammirare anche i tre autoritratti presentati in questo articolo; nel Rijksmuseum, sempre ad Amsterdam, sono stati esposti capolavori notissimi tra cui il dipinto “La sposa ebrea”, potente immagine dell’amore tra un uomo e una donna, rappresentati come due figure monumentali che, emergendo da uno spazio scuro, occupano tutta la superficie della tela. I due personaggi comunicano il loro amore, il desiderio di proteggere e accogliere l’amato, con i movimenti delle mani e con i loro corpi. I curatori della mostra allestita al Mauritshuis, all’Aja, si sono posti un altro obiettivo, quello di mostrare sempre una serie di dipinti, facendo, però, una distinzione, ampiamente motivata, tra le opere Autoritratto -1640 7


David LaChapelle

un visionario popsurrealista di Maria Chiara Lorenti

“Rape of Africa”

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n questi giorni a Roma, presso la galleria Mucciaccia, in Largo della Fontanella Borghese, c’ è una mostra che espone 34 opere dell’artista statunitense “David LaChapelle”. Si parte dai suoi ultimi scatti, ambientati alle Hawai, dove si è trasferito a Maui, e dove, memore dei suoi esordi passati in stretto contatto con Andy Warhol, ha fondato una “factory” per ricercare, come lui stesso ha dichiarato in un’ intervista, un “ spiritual awakening, un risveglio spirituale che porta al Nirvana, a una quiete ritrovata attraverso una crescita spirituale che nella nostra società purtroppo ancora manca. Oggi rischiamo di vivere una New Dark Age ”. Con questi ultimi lavori, LaChapelle, torna a servirsi della carta stampata, ad usare la macchina analogica, per non ritrovarsi invischiato nelle super tecnologie che snaturano il valore dell’ immagine, massificandolo in un prodotto usa e getta, togliendogli ogni potere artistico di poter “fermare il tempo”. L’esposizione, quindi, parte a ritroso, passando dai paesaggi pregni di misticismo, come Lost and Found, o New World, per proseguire con la serie After the Deluge, 8

ispirata dalla visita alla Cappella Sistina, con un mix tra Michelangelo e l’odierna società dei consumi, visto attraverso un’ottica apocalittica. E, spingendosi più indietro, si arriva alle prime suggestive foto, intrise di un’aura onirica che riporta al mondo mitologico. Non dimenticando i numerosi ritratti alle star di Hollywood. Pertanto, entrando nella galleria, si inizia un viaggio surreale, un cammino all’ indietro nel tempo, trovandosi immersi nelle visioni ossessive dell’autore. In “ Lost and found , Haway, New world “del 2017, due figure, Adamo ed Eva, si contrappongono, uniti, si sfiorano, eppur separati dall’albero, del bene e del male, in un intricato Eden, per la prima volta in disaccordo sull’opportunità di poter eguagliare il loro creatore. Soggetto non semplice, eppur risolto con la grazia di un affresco del Masaccio. In “ Rebirth of Venus ”, 2009, il poco velato riferimento alla Nascita di Venere del Botticelli è quantomeno evidente. Qui però manca la soavità dei corpi botticelliani, sostituiti con più prosaici fisici scolpiti dal body building, in un turbinio di svolazzanti nastri pastello, a sostituzione delle brezze


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“Lost and found, Haway, New world“

marine. Nel 2007, “ After the Deluge: Cathedral ”, è una rivisitazione inquietante del diluvio universale di Michelangelo. Al posto della collina dove si assiepano i superstiti, l’ambientazione biblica è trasposta all’ interno di una cattedrale, dove semisommersi un gruppo di fedeli si protende verso la luce divina che squarcia le cupe vetrate. Del 2009 è un’altra trasposizione religiosa, “ Archangel Michael: and no message could been ”. L’ iconografia è chiara, il bene trionfa sul male. Un poco mistico Michael Jackson, con tanto di ali posticce bianche, calpesta, con scarpa fibbiata, il vermiglio Satana, adorno di serpente, prostrato su corvina roccia vulcanica. Dello stesso anno, “ Rape of Africa ”. Anche in questa opera il rapporto è a Sandro Botticelli, a quella meravigliosa tavola “Venere e Marte”, del 1483. Venere, splendida nella

in mostra

“Rebirth of Venus”

sua veste bordata d’oro, veglia sul sonno di Marte, spossato dalle fatiche della guerra. Dei piccoli satiri giocano con le armi del dio, mentre uno soffia nella conchiglia di Tritone a mò di corno. Il potere della dea dell’amore vince sulla forza bruta della guerra. Forse questa foto è la più attinente all’opera d’arte ispiratrice. Una pensosa Venere nera vigila sul riposo del guerriero, mentre tre piccol bambini pestiferi s’ impossessano del bazooka, del mitra e del megafono nell’eterno gioco del conflitto. Con ironia, cinismo e una feroce critica alla società senza più ideali, votata al mordi e fuggi, le opere fotografiche di David LaChapelle denunciano un rifiuto, una negazione dei valori che sono il fondamento di ogni nazione, trasformandole in vessilli che sventolano sulle nostre coscienze. La mostra sarà aperta fino al 18 giugno, ed oltre tutto è pure gratuita. 9


Brian the brain

di Miguel Ángel Martín di Valerio Lucantonio

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elebrato dalla rivista TIME come uno dei migliori fumettisti europei, lo spagnolo Martín si è distinto degli ultimi tre decenni per il suo stile disturbante e provocatorio. Il suo rapporto con l’Italia è controverso: nel 1996 la procura di Cremona ritenne troppo estremo il suo Psychopathia Sexualis, e l’opera venne tolta dal commercio; cinque anni dopo l’editore Jorge Vacca venne assolto, e nel 2016 il fumetto è stato ripubblicato nella raccolta “Total Overfuck”, contenente le storie più estreme dell’autore. Nel frattempo Martín ha ricevuto i più disparati premi e riconoscimenti italiani e internazionali, ed è tornato alle stampe nel 2018 illustrando Cannibal Holocaust 2 di Ruggero Deodato – una collaborazione più che azzeccata, che unisce due maestri dello scandalo colpiti entrambi dalla censura. 10

Nonostante il suo elemento stilistico più riconoscibile sia sicuramente la schiettezza con cui presenta tavole e contenuti espliciti in maniera diretta e irriverente, l’opera di Martín più conosciuta è “Brian the Brain” (apparso in Spagna per la prima volta nel 1990), che punta su un’esposizione sottotono, tutt’altro che sensazionalistica, in cui ogni aspetto straniante è reso implicitamente e normalizzato all’interno del mondo futuristico che ospita le vicende. Il protagonista Brian è nato con il cervello scoperto, privo di protezioni, a causa degli esperimenti ai quali si è sottoposta la madre durante la gravidanza, facendo da cavia per le ricerche del Biolab, società scientifica generica e misteriosa dedicata a qualsiasi tipo di studio riguardante le nuove tecnologie. In quest’epoca collocata nel futuro prossimo, priva di tutti gli elementi caratteristici del genere (salvo la componente della scienza avanzata) come i mezzi avveniristici e i paesaggi fantascientifici, le relazioni sociali sono profondamente incrinate e Brian osserva e vive la realtà con gli occhi non solo del bambino, ma anche del diverso. In generale, l’infanzia è ritratta da Martín come sintomo e vittima della degenerazione sia fisica che morale: molti dei piccoli protagonisti sono affetti dalle malattie più varie e incurabili, mentre quelli sani vivono nell’egoismo, nella cattiveria gratuita o, nel migliore dei casi, nella superficialità e nell’ignoranza. A causare e aggravare la situazione, l’irrecuperabile divario tra i bambini e il mondo adulto, con genitori e istituzioni incapaci di comunicare nitidamente con la nuova generazione. Questo contesto denuncia al lettore il proliferare di contraddizioni evidenti all’interno del presente quotidiano: la questione dell’apparenza impone l’alterazione, tramite la scienza, dei sensi fisici (emblematici i personaggi ciechi che Brian incontra durante il corso della sua vita) e della percezione della gravità etica di alcuni comportamenti già oggi all’ordine del giorno, che presagiscono i risvolti aberranti dell’eugenetica e dell’individualismo. Le contraddizioni si estendono al di fuori della storia raccontata: il tratto semplice, prevalentemente in linea chiara, dall’estetica infantile tendente


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fumetti

caricaturale e da conclusioni perlopiù brusche e anti-catartiche, che di solito vedono Brian subire, più o meno concretamente, i comportamenti degli altri personaggi in una quotidianità deprimente e arida. In “Pieces of life”, la seconda parte, le storie acquisiscono un respiro più ampio, seppur ristretto, intorno alla decina di tavole; andando avanti i disegni evolvono verso un’ulteriore stilizzazione, concentrandosi sui primi piani, e i racconti diventano più lunghi, separati da ellissi temporali sempre maggiori. Con questa estensione contemporanea delle durate della storia e del discorso Martín ritrae un’epopea minimalista, incentrata su un personaggio che soffre silenziosamente fino a diventare apatico, e al tempo stesso una fiaba macabra, universale per la sua capacità di lanciare un monito tramite temi archetipici che prendono forma da un immaginario peculiare, che attinge da fonti eterogenee come Jacovitti, Cronenberg, Ballard e Disney.

alla bidimensionalità, cozza violentemente con i contenuti e le tematiche adulte; anche intento ed esposizione sembrano contraddirsi, con la sensibilizzazione del pubblico che viene perseguita tramite la presentazione di un mondo totalmente desensibilizzato. Grazie al volume integrale distribuito da Nicola Pesce Editore nel 2017, che per la prima volta offre non solo la totalità delle storie di Brian ma anche un prologo e un epilogo inediti, è possibile riscontrare in una sola, lunga lettura un altro livello di discontinuità, stavolta riguardante il formato eterogeneo. Più scorrono le pagine e più la durata degli episodi si amplia, mentre Brian cresce e i temi diventano più introspettivi e complessi. La prima parte, “Bits of Life”, è composta da storie episodiche la cui lunghezza passa da una a due pagine, caratterizzate da un tratto scarno e quasi 11


Tutto dentro di Nicola Fasciano

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iorgio Pompei, prolifico autore di commedie, nonché egli stesso interprete e regista, ha firmato e diretto questa divertente storia familiare deliziosamente intessuta con il più classico degli schemi teatrali, la commedia degli equivoci che, magistralmente sviluppata, ha consentito un godibilissimo intreccio di fraintendimenti e malintesi, a partire dal titolo. Rappresentazione in due atti, racconta una storia di donne che, attraverso le proprie fragilità e insicurezze proiettate verso gli affetti più cari, dimostrano 12

ancora una volta la propria natura e forza prorompente di generatrici di vita. Protagonista è una famiglia romana con i suoi affanni e i consueti contrasti genitori-figli. Patrizia, la madre dei ventenni Marco e Lucrezia, è una donna forte, attiva, il vero motore della famiglia e della quale vorrebbe continuare ad averne il controllo, o quantomeno esserne complice, soprattutto della figlia. Ma si sa, i ragazzi sono presi dai loro problemi e dalla difficoltà di comunicare tra loro e con gli stessi genitori. Attilio ha sempre preso la vita, come si suol dire, con filosofia. Anzi con una filosofia tutta “romana” dove, in buona sostanza, non vale la pena farsi travolgere dagli eventi a meno che questi non siano tali da essere ineluttabili. Insieme ai personaggi principali, tutta una schiera di personaggi secondari fa da importante e sostanziale corollario alla storia, mettendo in evidenza il suo reale insegnamento, la sua morale: non rinchiudersi mai in se stessi, ma condividere ed elaborare sempre le situazioni dolorose con chi ci vuole veramente bene. La pièce di Giorgio Pompei è stata messa in scena dal Laboratorio Teatrale “Lorenzo”, dal 2 al 5 maggio 2019, presso il Teatro “Giovanni Paolo II Attore” in Via Marco Calidio 22 e


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tutto l’incasso delle quattro serate (tutte sold out), è stato devoluto in beneficenza a favore di Alessio, un adolescente costretto alla sedia a rotelle e che necessita di tante e costosi interventi fisioterapici per riprendere una accettabile qualità di vita. Per vedere un trailer dello spettacolo cliccate qui: https:// youtu.be/qDlH7vbZqYc ;per leggere le prime pagine dell’opera on-line, cliccate qui: https://bit.ly/2W30qY6 . Essendo il Laboratorio Teatrale “Lorenzo” realmente una ricca fucina prodotti teatrali originali e non solo, risulta di sicuro interesse raccontarne in breve la sua storia. Nato sotto la direzione artistica di Luciano Bosi e Mario Mosso, nella sua più che decennale attività ha realizzato e messo in scena varie commedie su temi riguardanti diversa umanità, sempre con un occhio attento alle dinamiche interpersonali e sociali. L’autore del lavoro appena recensito, Giorgio Pompei,

occhio al teatro

si inserisce egregiamente per la sua sensibilità di autore e regista nella tradizione del laboratorio e, in modo particolare, si distingue per la sua produzione di opere originali nelle quali possiamo osservare un occhio attento alle storie familiari, a partire da “ Amarsi un po’ ” e proseguendo con “ Era Settembre ” fino ad arrivare a “ Tutto dentro ”. Ma il nostro autore-attore-regista ha raccontato anche spiritose storie di malavita in “ Osteria della Mala ”, oltre che una divertente storia di pettegolezzi ambientata in una parrocchia toscana (“ Scambiatevi un segno di pace ”), che ha rappresentato la sua opera prima oltre che il suo esordio alla regia. Mario Mosso, tra gli “inventori” del laboratorio, ha egli stesso firmato diverse delle opere prodotte dal laboratorio (“ Roba da matti! ” divertente commedia degli equivoci con una vena di satira politica nel pieno dell’epoca berlusconiana, e “ Cosa ci facciamo noi due qui con questa coppia di imbecilli ” dove un tamponamento che mette a contatto tra loro personaggi di estrazione sociali molto diverse, è il pretesto per creare gustosi siparietti, giusto per citarne qualcuna). In definitiva una realtà del teatro romano molto viva e attiva.

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Richard Scarry e i suoi animali fantastici di Patrizia Vaccaro

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ichard Scarry autore ed illustratore statunitense, con oltre 150 libri, le cui storie illustrate sono state tradotte in 20 lingue, cinese compreso, diventa famoso con i suoi animali antromorfizzati. Ricorrono quest’anno i 100 anni dalla sua nascita (Boston, 5 giugno 1919 – Saanen, 30 aprile 1994) e Bologna gli dedica la mostra “1, 2, 3... Scarry”. La particolarità sta nei suoi protagonisti: animali che indossano abiti, lavorano e fanno tutto ciò che fanno gli uomini, diventando lo specchio delle persone, ma nel loro lato migliore, sempre gentili e felici in un luogo dove tutti si rispettano e si rendono utili. I suoi personaggi più famosi sono il verme Zigo Zago, Mamma Orsa, Gatto Sandrino, con le loro storie buffe (ma realistiche) ancora oggi conquistano milioni di bambini, e dove anche gli adulti rappresentati diventano divertenti, vivaci, allegri e sempre interessanti, ma soprattutto ci puoi ritrovare cose ed oggetti da scoprire. Nelle sue storie infatti si cerca di insegnare sempre qualcosa, come vocaboli o principi matematici o il funzionamento di oggetti e macchine, come quello di un’ automobile o la stazione dei pompieri, ma anche meccanismi complessi come le manovre di una barca a vela, utilizzando l’ umorismo e l’ ironia. Con l’ umanizzazione e la ricchezza dei dettagli i bambini possono imparare molto, lo dimostra il famosissimo “Libro delle parole”, pubblicato nel 1963 e mai andato fuori stampa, che conta al suo interno oltre 1.400 illustrazioni. Il suo segno grafico diviene il suo tratto distintivo che fa

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illustrazione

risaltare i personaggi con colori accesi, ma ben bilanciati, e soprattutto scenografie molto dettagliate. La scelta stilistica di rappresentare animali sta nel fatto che, secondo l’ autore, i bambini possono meglio identificarsi in loro: «Se un bambino coi capelli scuri ne vede uno biondo in un libro pensa: “Non sono io”, ma tutti i bimbi possono identificarsi con conigli, cani e maialini» diceva. L’ utilizzo degli animali inoltre avvicina il lettore e lo diverte. A proposito del gatto Sandrino, nome originale Huckle Cat, sappiamo che si è ispirato al figlio, ma ci sono altre curiosità sull’ autore: il suo primo lavoro è stato nell’esercito, durante la Seconda guerra mondiale, dove scriveva per il giornale delle truppe e dove raccoglieva articoli da altre riviste per poi semplificarli per i soldati in battaglia e disegnava delle mappe, tutto questo si è rilevato utile per il suo lavoro successivo rivolto ai bambini. Su internet potete trovare le sue storie in versione cartoon oppure cercate i suoi libri che in questo centenario avranno una nuova veste grafica e sicuramente vi conquisterà.


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Lanuvio

“Cantine aperte con l’arte” Angela Buffa, Antonio De Waure, Mauro Guerani, Cristina Simoncini Mostra di opere pittoriche presso “La Luna del Casale”, via Fontana Parata, 11 Lanuvio (RM), 25-26 maggio

Roma

“World Press Photo 2019” Palazzo delle Esposizioni, fino al 26 maggio “Joint is out of time” GNAM, fino al 2 giugno “La casa delle farfalle” Via Appia Pignatelli, fino al 9 giugno “La ferita della bellezza. Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina” Museo Carlo Bilotti, fino al 9 giugno “Tex. 70 anni di un mito” Ex mattatoio di Testaccio, fino al 14 giugno “Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti” Palazzo Barberini, fino al 16 giugno “Manifesto Jiulian Rosefeldt” Palazzo delle Esposizioni, fino al 16 giugno “Giacomo Balla. Dal Futurismo astratto al Futurismo iconico” Palazzo Merulana, fino al 17 giugno “David LaChapelle” (gratis articolo a pagg. 8-9) Galleria Mucciaccia, fino al 18 giugno “Leonardo da Vinci. La scienza prima della scienza” Scuderie del Quirinale, fino al 30 giugno “Vasari per Bindo Altoviti, il Cristo portacroce” Gallerie nazionali di arte antica. Galleria Corsini, fino al 30 giugno “Robert Mapplethorpe. l’obiettivo sensibile” Galleria Corsini, fino al 30 giugno “Troisi poeta Massimo” Teatro dei Dioscuri al Quirinale, fino al 30 giugno “Natura in tutti i sensi” Palazzo delle Esposizioni, fino al 14 luglio “L’arte di salvare l’arte” Palazzo del Quirinale, fino al 14 luglio “Roma nella camera oscura. Fotografie della città dall’ottocento a oggi” Palazzo Braschi, fino al 22 settembre “Volti di Roma” Centrale Montemartini, fino al 22 settembre “Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione” Galleria d’arte moderna, fino al 13 ottobre “Mortali Immortali. Tesori del Sichuan nell’antica Cina” Museo dei Fori Imperiali, fino al 18 ottobre “Claudio Imperatore. Messalina. Agrippina e le ombre di una dinastia” Museo dell’Ara Pacis, fino al 27 ottobre

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Bologna

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Eventi

“Warhol & Friends. New York negli anni ‘80” Palazzo Albergati, fino al 30 giugno

Ercolano

“Splendori. Il lusso negli ornamenti ad Ercolano” Parco archeologico di Ercolano-Antiquarium, fino al 30 settembre

Ferrara

“Boldini e la moda” Palazzo dei Diamanti, fino al 2 giugno “L’arte per l’arte. Dipingere gli affetti. La pittura sacra a Ferrara tra Cinque e Settecento” Castello estense, fino al 26 dicembre

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Forlì

“Ottocento. L’arte dell’Italia da Hayez a Segantini” Museo di San Domenico, fino al 26 giugno

Genova

“Caravaggio e i genovesi. Committenti, collezionisti, pittori” Palazzo della meridiana, fino al 24 giugno “Giorgio De Chirico. Il volto della metafisica” Palazzo ducale, fino al 7 luglio

Milano

“Il meraviglioso mondo della natura. Una favola tra arte, mito e scienza” Palazzo Reale, fino al 14 luglio

Napoli

“Chagall. Sogno d’amore” Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, fino al 30 giugno

Pompei

“Pompei e gli etruschi” Parco archeologico, fino al 2 maggio

Venezia

“La pelle. Luc Tuymans” Palazzo Grassi, fino al 6 gennaio 2020


“Archangel Michael: and no message could been� di David LaChapelle Galleria Mucciaccia, fino al 18 giugno 16


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