Occhio all'Arte, giugno 2019 web

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XIII N° 126 giugno 2019

Mensile d’informazione d’arte

www.artemediterranea.org

n Paradise garage Jeff Bark a Roma curiosArt: Not longer n life

Jeff Bark, “Just After Hour”, 2018

ndedicato a: Tra natura, arte e artisti nstreet art: Jorit Agoch


Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”

Telefona al 347.1748542

Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2018-2019 CORSO INTARSIO SU LEGNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 18,00 - 20,00 CORSO DISEGNO PER BAMBINI LUNEDI’ - MERCOLEDI’ - VENERDI’ 18,30 - 20,00

CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 9,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’ MERCOLEDI’ 18,00 - 20,00 CORSO OLIO LUNEDI’ - VENERDI’ 18,00 - 20,00 20,00 - 22,00 MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00

CORSO DI FOTOGRAFIA ORGANIZZATO DA ASS.FOCUSFOTO MARTEDI’- MERCOLEDI’ GIOVEDI’ - VENERDI’ 20,30 - 22,30

Collaboratori Patrizia Vaccaro, Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, Valerio Lucantonio, Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Francesca Senna Responsabile Marketing Cristina Simoncini

Fondatori Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini

Composizione e Desktop Publishing Giuseppe Di Pasquale

Amministratore Antonio De Waure

Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore

Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

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CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale

CORSO DI DISEGNO - FUMETTO SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30 - 18,45

Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Mensile culturale edito dalla Associazione Arte Mediterranea Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org www.artemediterranea.org Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007

CORSI IN ORARIO DA DEFINIRE

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Sommario

“Leopardi come educatore” Not longer Life Tra natura, arte e artisti Paradise garage Black Mirror Jorit Agoch Nei dintorni di Roma sul filo di china Volti di Roma alla centrale Montemartini


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occhio al libro

“Leopardi come educatore” di Franco Cambi, Mario Gennari di Giuseppe Chitarrini

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. Leopardi, si sa, è il sommo poeta italiano per eccellenza, studiato fin dalla prima media. Si sa anche che è stato un importante intellettuale: filosofo, storico, filologo e critico letterario oltre, ovviamente, poeta; un pensatore che ha sprovincializzato il panorama letterario italiano dell’epoca con la prosa, oltre che con la poesia, in qualche modo si può considerare un anticipatore di Nietzsche(cfr. p. 10 e 11). Su di lui si è molto detto spesso generalizzando, tanto che sono nati diversi luoghi comuni: Leopardi nichilista, machiavellico, introspettivo, Leopardi cantore del pessimismo più o meno imbelle, figura triste, malinconica ed infelice. Si è parlato di lui molto meno, qualche anno fa, come educatore (A.Gramsci, C.Luporini G.T. Gentile), ma in maniera comunque subalterna rispetto la sua poesia e non come educatore della modernità. “La sua vita fu infelice, ma non triste, non solo e non sempre” (p.7), piuttosto fu una vita esemplare, problematica, improntata da una solida prospettiva etica e valoriale autentica, e il suo pessimismo fu quello di una persona mossa da una coscienza modernamente inquieta, quanto poi al suo nichilismo possiamo dire che fu un vitalismo vitalistico (pp.19, 20), in una prospettiva di “speranze possibili”(p.9). Tutto ciò fa di lui un pensatore estremamente attuale (p.63), in sintonia con la disincantata complessità che caratterizza le nostre società attuali (cfr.p. 53 e 54). Un democratico radicale(cfr.p. 35), animato da antidogmatismo e mosso da uno scetticismo attivo e dal dubbio sistematico come strumento

di ricerca e di pensiero (cfr.p. 40). Il primo saggio di M. Gennari, docente di Filosofia della formazione e di Pedagogia generale all’univ. di Genova ci parla della trasversalità pedagogica, il suo sistema etico-formativo (cfr. p. 45 e 46), espresso sia nei contenuti espliciti ed intenzionali, ma anche impliciti ed indiretti, che impregna tutta l’opera leopardiana. Una idea di formazione ‘dell’intimo’ (cfr. 44), inteso non come individualismo psicologistico (cfr. p. 22), ma come lavoro e pratica su di sé stessi attraverso la conoscenza di sé in relazione con l’altro. (cfr. p. 22). F. Cambi, docente di Filosofia dell’educazione e Pedagogia generale all’univ. di Firenze, nel suo saggio individua ed illustra le valenze pedagogiche di quello che può essere considerato a tutti gli effetti un vero e proprio sistema filosofico-antropologico –oltre che poetico - articolato e complesso, messo a punto nel corso della sua vita dal pensatore recanatese. Un insegnamento che ci conduce all’accettazione e al superamento del Tragico proprio della condizione e nella coscienza dell’uomo moderno (cfr.p. 60). Questo superamento è la parte cospicua del ‘messaggio etico’ che egli elabora attraverso una originalissima ed ereticizzante commistione di alcuni aspetti del pensiero illuminista e radicaldemocratica alcune tesi rivisitate di J.J. Rousseau depurate da ogni incantamento ‘naturalistico’ e attraverso il filtro della disillusa consapevolezza ‘critica-critica’(p. 56): un educatore del moderno ed oltre (cfr. p. 83).

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Not longer Life

Nature morte rivisitate in maniera moderna di Cristina Simoncini

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S

i stima che nel 2020 la produzione di plastica raggiungerà circa 500 milioni di tonnellate. La maggior parte impiegherà circa 600 anni per biodegradarsi. Lungi dal trovare una soluzione reale, le poche misure prese per affrontare questo problema sono populiste e con l’unico scopo di fare una pulizia dell’immagine invece di risorverlo. Non siamo consapevoli del consumo energetico e dell’impatto ambientale che significa utilizzare un assurdo involucro di plastica. Nel frattempo, migliaia di prodotti vengono commercializzati, raddoppiando e triplicando una pelle sintetica o addirittura peggio, sostituendo il loro naturale involucro di pelle con un pacchetto di plastica per “facilitare” il loro consumo. La serie “Not longer Life” reinterpreta e riproduce dipinti di maestri classici come Monet o Caravaggio contestualizzandoli nella situazione attuale, come se fossero artisti contemporanei. Si persegue questa

curiosArt

visione per portare la definizione di “still life” ad un altro livello: una vita zombi, una vita avvolta. Dal supermercato al set fotografico. L’evoluzione di un formato nutrizionale caratterizzato dall’usura di un involucro di plastica monouso. Questa serie intende far riflettere sulla direzione che sta prendendo la società dei consumi e sull’atteggiamento inconscio che stiamo perseguendo riguardo le risorse naturali, alla ricerca di un conforto assoluto e assurdo, solitamente frainteso come progresso, benessere o lusso. Fonti: https://quatrecaps.com/not-longer-life

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Tra natura, arte e artisti Un racconto di pietre e di colori di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi

“Buchi nell’acqua” - 2005

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icembre 2008, destinazione Puglia: regione bella, accogliente, più volte meta d’indimenticabili vacanze estive, ma mai visitata durante il periodo invernale. Una quindicina di giorni per vagare da un luogo all’altro, tra storia, arte, buon cibo e cordialità. Il fascino di quella terra, si sa, non è dovuto solo ai colori cangianti del suo mare o alla sabbia finissima delle sue lunghe spiagge alternata a scogliere alte e frastagliate, ma anche ai castelli, ai borghi intatti nel passare dei secoli, alle chiese, al barocco … a Lecce, la bella tra le belle. Tra tepori primaverili, scrosci di pioggia che si alternavano ad una pioggerella piagnucolosa e persistente, tante beltà si dipanavano ai nostri occhi. Dal nord al sud. Mai saremmo ripartiti senza visitare < l a lingua di terra bagnata dai due mari, arsa dal sole e accarezzata dal mare>, il Salento. Il giorno in cui raggiungemmo la città di Nardò, tutto ci apparve perfetto, l’aria, calda e luminosa, profumava di primavera. Tutto intorno, un vero tripudio di arte barocca e non solo. Una grande piazza, un imponente castello, un certo fermento vicino a uno degli ingressi, ci avviciniamo, curiosiamo, c’è un allestimento in corso, pensiamo a dei quadri, osiamo, quantomeno con lo sguardo, ci sembrano dei mosaici, qualche altro passo e una 6

signora dai modi gentili e colloquiali ci invita a ripassare il giorno successivo perché il nuovo <Museo Mosaico oggi> necessita degli ultimi accorgimenti. Siamo invitati per l’indomani, per l’inaugurazione insomma, ma noi eravamo di passaggio, ci potevamo limitare a una chiacchierata. La signora è un’artista, Fernanda Tollemeto, una mosaicista, per essere precisi, le opere sono sue e, poi … noi veniamo da Anzio, dove lei aveva insegnato molti anni prima, nella stessa scuola nella quale insegnavo io … fummo i primi a visitare il nuovo museo dedicato solo alle sue opere. Tanto ci raccontò e ci spiegò la bruna artista dallo sguardo profondo e penetrante, molto osservammo e approfondimmo una volta rientrati ad Anzio ed anche negli ultimi tempi. L’artista nasce a Nardò, dove in un primo momento, studia sotto la guida dello scultore Aldo Calò. Sul finire degli anni ‘50 si trasferisce a Roma con tutta la sua famiglia, dove, però, i suoi sogni artistici sembrano svanire perché, presso l’Istituto d’Arte della Capitale, non esiste il corso di scultura. Poi, come nella più affascinante tradizione fiabesca, incontra il principe azzurro … no o meglio non nel senso tradizionale del termine! Il suo maestro di scultura leccese, diventa direttore dell’Istituto d’Arte romano e, profondamente convinto delle potenzialità artistiche della sua allieva, decide di offrirle l’opportunità di svilupparle, continuando a creare con e nella materia. Così, in alternativa alla scultura, decide di organizzare appositamente per lei un Corso di Mosaico, richiedendo la collaborazione del Maestro Futurista Gino Severini, che, all’epoca si trovava fortuitamente a Roma! Inizia così il percorso artistico che ha dato alla neretina onori e fama nazionale e internazionale. Dopo aver approfondito ed essersi ispirata, quanto meno in gioventù, all’arte musiva tradizionale, ha dedicato tutta la sua vita alla sperimentazione nella tecnica, allontanandosi sempre più dalla rappresentazione


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della realtà tangibile per esplorare ed evocare i sentimenti, le emozioni, l’inconscio nei suoi anfratti misteriosi. Tramite l’astrazione, Fernanda Tollemeto < porta in superficie gli abissi infiniti dell’irrappresentabile e dell’invisibile, presenti nella nostra realtà e le sue opere non vivono più un tempo lineare, ma sono squarciate dall’istante e dall’eternità >. Dalla malta al plexiglass, dalle piccole alle grandi tessere, alle sabbie, ai metalli, ai blocchi di cristallo, ai frammenti di vetro di tutte le dimensioni, grossi e aggettanti, con forme irregolari e non levigati. L’artista cambia il modo di fare mosaico anche incarnando in sé i ruoli da sempre indipendenti del pictor imaginarius e del musivarius, non scinde i due momenti, pensa e crea! Esegue direttamente l’opera sul supporto preparato da lei in precedenza.

dedicato a

“... e venne una gran luce” - 1994

“ogni giorno io nasco ... “- 1988 7


Paradise garage Jeff Bark a Roma di Maria Chiara Lorenti

“Joy”

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alazzo delle Esposizioni non è nuova alle grandi mostre fotografiche, ma Jeff Bark, fotografo statunitense, è la prima volta che espone in Italia, e ha scelto Roma perché dalla città eterna ha tratto ispirazione per questa performance. Due anni di studio per progettare un gran tour nel nostro Paese.

“Paradise Garage”

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Un viaggio virtuale, che si rifà alla tradizione settecentesca degli artisti stranieri in visita in Italia, dove, tra riferimenti all’arte barocca, al surrealismo e al rinascimento, fino alla cinematografia di Fellini, si ritrova a percorrere chilometri nella storia dell’arte della penisola, ma mentalmente, perché il percorso si svolge all’interno del suo garage, che è anche il titolo della mostra: “ Paradise garage”. Opere monumentali scandiscono gli spazi del museo, grandi quinte bianche ospitano le sue foto, in un susseguirsi di suggestioni che portano il visitatore ad esplorare le sue visioni magrittiane, a volte, così oniriche e distaccate da una realtà oggettiva. Infatti, in “hash”, la statua di San Michele Arcangelo, sovrastante il corpo sconfitto di un demone alato, si cela tra un albero di agrumi e una sviluppata pianta di marijuana, come un frammento di storia sacra sospeso in una scena straniante al soggetto stesso. Il garage di Jeff Bark è stato trasformato in un set teatrale, dove ogni scatto è stato allestito meticolosamente, ogni particolare, spesso oggetti di vita quotidiana introdotti come punteggiatura di un racconto mai letto, illuminato vividamente, lasciando in ombra il contesto della composizione, evidenzia un contrasto


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in mostra

“The Conversation Piece” “Rape Romeo“ of Africa” “Little

chiaroscurale, ove la luce squarcia il buio, con chiaro riferimento a Caravaggio. Cambiano le quinte, cambiano gli allestimenti ed anche gli oggetti, ma il contenitore, la scatola è sempre la stessa, il garage del paradiso…. delle meraviglie. Il suo standard lavorativo lo identifica come un precursore dell’assemblaggio, dove ogni set è una scatola magica che aperta lascia intravedere il mondo fantastico di questo fotografo che, tralasciando l’ovvio, tramuta i complementi semplici, d’uso comune, in metafore di realtà alternative, ricche di pathos. “Ho trasformato questo piccolo spazio in una scatola magica per raccontare la mia storia. È l’illusione la parte che preferisco di più, rendere temporaneamente possibile ogni universo: come fosse un film racchiuso in uno scatto, dove ogni immagine è traccia della mia presenza. In questo modo la mia fotografia è come scultura...” così parlò Jeff Bark, nel 1963, spiegando il rapporto tra il suo posto di lavoro, il garage nell’Upstate New York, con il suo modus operandi, per creare opere fotografiche che hanno la valenza di vere e proprie pitture neodadaiste che, attraverso accostamenti improbabili, rievoca mondi non consueti, assolutamente surreali, ma ricchi di significati esoterici, con una una potente carica espressiva.

“Hash” 9


Black Mirror Stagione 5

di Valerio Lucantonio

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a serie ideata da Charlie Brooker nel 2011 per l’emittente britannica Channel 4 ottenne fin dalla prima stagione il riconoscimento della critica e un seguito internazionale. L’efficacia e la lucidità della scrittura di Brooker sono riuscite a rendere popolare questo prodotto basato sul formato antologico, riportando in auge le stagioni con episodi auto-conclusivi e proponendo al grande pubblico un approccio al genere fantascientifico che si distacca dalla tendenza action odierna. La riflessione attuata e stimolata da Black Mirror può essere inserita nella categoria della “soft science fiction”, incentrata non sulle implicazioni scientifiche e sull’accuratezza dell’evoluzione tecnologica proposta, ma sui suoi effetti sociali. In ogni episodio il device è – a prescindere dal suo grado di estensione e influenza – un pretesto che ha la funzione di creare condizioni antropologiche sempre riconducibili a temi caldi legati al progresso e alle tensioni della contemporaneità. Lo scarso interesse per lo scenario futuristico, in quanto ambientazione necessaria a costruire il racconto, è dimostrato dall’alternanza, nel corso di tutti gli episodi, tra storie che hanno luogo in un presente simile al nostro e storie distopiche di difficile collocazione temporale. Le tre puntate della prima stagione seguivano già questa libertà cronologica: le vicende di The National Anthem sono talmente plausibili che potrebbero essere 10

avvenute un anno prima della messa in onda (come sarà esplicitato da un intertitolo nel caso di Smithereens, seconda puntata della recente quinta stagione); Fifteen Million Merits è invece, all’opposto, una trama distopica che richiama film come THX 1138 di Lucas; nel terzo episodio, The Entire History of You, l’ambientazione è una via di mezzo tra le due precedenti, con una realtà piuttosto simile alla nostra in cui è presente un unico elemento di divergenza, il congegno in grado di registrare e riprodurre l’esperienza di ciascun individuo. Nel 2015 Netflix ha acquisito i diritti della serie e commissionato in blocco dodici nuovi episodi, poi pubblicati in due stagioni (la terza e la quarta). L’aumento delle puntate, la volontà di Brooker di spaziare verso toni meno cupi e pessimistici, e probabilmente anche la policy di Netflix, sono i fattori che hanno determinato la qualità altalenante dei prodotti in questione: per esempio, si passa dal romance virtuale e intimista di San Junipero e Hang the DJ a esercizi di stile come Crocodile, Playtest e Metalhead, che risultano moralmente ridondanti o inespressivi, oltre che pretestuosi per quanto riguarda la componente tecnologica. A seguire, a fine 2018 l’esperimento del film interattivo Bandersnatch, anch’esso più un esercizio ludico e retorico che una riflessione drammatizzata; la causa stavolta risiede nella natura necessariamente ibrida


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dell’opera, che sacrifica la possibilità di articolare un discorso complesso a livello narrativo per sperimentare con l’estetica del libro-game e del videogioco. Con la quinta stagione, pubblicata lo scorso 5 giugno, sembra che la produzione e lo showrunner abbiano giustamente cercato di riaggiustare il tiro. Si è tornati alle tre puntate per condensare la qualità di ciascuna storia, ma alcuni problemi sussistono. In primis si riscontra una difficoltà insita nel concept e nell’approccio della serie, la quale con il passare degli anni subisce l’avvicinarsi del futuro e l’avanzare frenetico del progresso, perdendo in parte la capacità di stupire lo spettatore con nuovi scenari che generino un forte contrasto con la realtà; conseguenza diretta di tale ostacolo temporale è la riproposizione di tecnologie già apparse in episodi precedenti, le quali vengono di volta in volta usate in modi differenti, ma simili. Ripercorrendo brevemente i tre episodi si può riconoscere anche un’altra differenza rispetto alle prime stagioni, forse conseguenza indiretta del sopracitato avvicinamento temporale: un ammorbidimento della prospettiva cinica e del giudizio graffiante che avevano portato Black Mirror al successo e alla definizione di uno stile narrativo riconoscibile. Striking Vipers usa il sistema di gioco in realtà virtuale per problematizzare e riflettere sulla questione del gender e dell’orientamento sessuale, con una conclusione che sembra approvare

serieTV

l’uso della tecnologia a condizione che essa venga usata con moderazione (un finale simile nel messaggio a Ready Player One di Spielberg); Smithereens ripercorre, come già notato, il discorso intrapreso da The National Anthem sul rapporto tra istituzioni e piattaforme di informazione, stavolta declinato in chiave thriller dal punto di vista più specifico dei social network, ed è tra i tre episodi quello più tragico e disincantato (anche se non manca una piccola parentesi che considera un risvolto positivo); Rachel, Jack and Ashley Too si avventura invece nel territorio della fiaba e spinge maggiormente su nuovi strumenti tecnologici, ma lo sviluppo della sceneggiatura trasforma un soggetto interessante in quello che sembra il delirio di onnipotenza di una teenager, secondo una logica idealizzata e sdolcinata che conduce a un lieto fine infantile e consolatorio. Forse Black Mirror ha fatto il suo corso perché Charlie Brooker ha esaurito non la sua bravura, ma i suoi argomenti sul tema, o forse come succede spesso nella serialità si è semplicemente superata la soglia della ripetitività. In ogni caso, si spera che la prossima stagione aggiusti ancora di più il tiro e torni a ottenere l’effetto urticante e provocatorio che per ora ha lasciato il posto a un didascalismo superficiale ancora in grado di sollevare questioni, ma raramente capace di trattarle in maniera compiuta. 11


Jorit Agoch

ex “Banksy italiano” di Patrizia Vaccaro Realizza giganteschi murales sulle facciate dei palazzi di periferia, principalmente in Campania, dove gli obiettivi sono due: «Migliorare l’aspetto dei quartieri più difficili. E “santificare” la gente del popolo» Uno dei primi murales è stato quello di Ael, la bambina rom nel Parco Merola di Ponticelli, il suo gigantesco viso, ma soprattutto il suo sguardo ci osserva da una facciata di 20 metri di una palazzina popolare nella periferia di Napoli, per non dimenticare sia il rogo doloso del 2008 che distrusse il campo rom, ma soprattutto la tragedia avvenuta nel 2011 in un campo rom della periferia romana in cui persero la vita 4 bambini. Lui definisce i suoi murales, dipinti realizzati con le bombolette, dove si concentra più di tutto sulle emozione che i volti trasmettono, fotografando il soggetto e studiandolo. I suoi soggetti sono attori, calciatori, cantanti, rivoluzionari, il cui volto è il protagonista e dietro al quale c’è sempre una storia. I giganteschi visi sono accomunati da un suo segno distintivo: tutti i volti hanno due strisce rosse sulle guance che per l’artista, «richiamano i rituali africani, in particolare la procedura della scarnificazione, cerimonia che segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta ed è legata al momento simbolico dell’entrata dell’individuo nella tribù».

A

vevamo anche in Italia il nostro “BANKSY”, uno street artist semisconosciuto tanto da associarlo a quello ben più famoso, ma lo stesso artista si è fatto avanti in occasione dell’ inaugurazione del murales dedicato a Ilaria Cucchi nel quartiere di Arenella a Napoli, così ora di lui sappiamo che si chaima Jorit Agoch, 28 anni, street artist partenopeo col padre napoletano e madre olandese. Come gran parte dei writer anche lui ha iniziato con lo scrivere tag (il nome in codice dei graffitisti) sui muri, ha poi proseguito gli studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli ed alla scuola internazionale d’arte Tinga-tinga in Tanzania (che ha influenzato anche l’artista americano Keith Haring), e ha viaggiato in Sud America e negli Stati Uniti. 12


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Altro murales è quello di Forcella, quartiere popolare di Napoli, dove Jorit ritrae San Gennaro: il patrono di Napoli, con sguardo sereno e deciso, che invita cittadini e turisti ad attraversare una zona famosa particolarmente per i fatti di camorra. Poi ricordiamo i ritratti del campione Diego Armando Maradona e di Niccolò, un bambino autistico, nel “Bronx” di San Giovanni a Teduccio , poi anche l’immenso Che Guevara realizzato sulla parete di 40 metri di un palazzo a Taverna del Ferro, periferia est di Napoli. Inoltre ci sono i due edifici speculari a Scampia, ove sono dipiunti i volti del regista Pier Paolo Pasolini e Angela Davis, la più nota attivista afroamericana per

street art

i diritti civili, Jorit ha anche ritratto il medico Antonio Cardarelli sulla facciata di un edificio nell’omonimo complesso ospedaliero napoletano, per sottolineare l’importanza del diritto alla salute. L’ultima opera di Jorit si trova a Palma Campania: dedicato al bambino che migrando verso l’Italia morì annegato nelle acque del Mediterraneo con cucita in tasca la pagella scolastica. Sceglie di disegnare i suoi murales nei quartieri difficili come San Giovanni, Quarto, Pianura o Forcella, perchè ci rivela: «Non possiamo illuderci che l’arte cambi il mondo, che sia la soluzione ai problemi. Ma la street art è un mezzo per migliorare l’aspetto delle periferie. E per sostenerne il recupero sociale».

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Nei dintorni di Roma di Nicola Fasciano

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e bellezze di Roma non devono far dimenticare quanto di magnifico possiamo trovare percorrendo appena pochi km fuori dal Grande Raccordo Anulare. Nella Tuscia, in provincia di Viterbo, per esempio, sono ospitate due delle più belle ville rinascimentali italiane: Villa Farnese a Caprarola e Villa Lante a Bagnaia. Lo splendido palazzo di Caprarola, voluto dal cardinale Alessandro Farnese il Vecchio, era stato inizialmente progettato con caratteristiche difensive, come era tradizione nelle dimore signorili del territorio laziale tra XV e XVI secolo, e la realizzazione fu commissionata ad Antonio da Sangallo il Giovane che, pertanto, progettò un fortilizio pentagonale con bastioni angolari. I lavori, iniziati nel 1530, furono però sospesi nel 1546 a causa della morte del Sangallo. Il cardinale Alessandro il Giovane, insediatosi a sua volta a Caprarola, fortunatamente per noi amanti del bello, volle riprendere il progetto del nonno affidando il cantiere al Vignola il quale, pur mantenendo la pianta pentagonale dell’originaria fortificazione, ne modificò radicalmente il progetto originale, trasformando il tutto in un grandioso palazzo rinascimentale che il cardinale fece diventare la sua residenza estiva. Assolutamente degna di nota la Scala Regia, ovvero la stupenda scala interna che ruota intorno a 30 colonne di peperino, attraverso le quali, secondo la leggenda, il cardinale vi passava a cavallo per raggiungere il 14

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La Roma insolita

piano nobile. Per la sua bellezza, il palazzo è stato utilizzato come set per diversi film, tra i quali diverse scene della serie tv I Medici Masters of Florence. Nel 1568 il Cardinale Giovan Francesco Gambara, molto vicino al Cardinale Alessandro Farnese il giovane, inizia a costruire Villa Lante a Bagnaia. Benchè di questa villa non ci sia giunta molta documentazione relativa alla sua realizzazione, le si attribuisce la progettazione al Vignola. Molto diversa dal precedente palazzo dello stesso progettista, la particolarità della villa è evidente nella predominanza del giardino rispetto all’opera architettonica. Infatti i giardini risultano essere la maggiore attrazione e fonte di meraviglia della villa, poichè sono disposti a gradoni salienti con un percorso ascensionale aumentandone il senso di stupore del visitatore, che non riesce a vederne la fine. La parte residenziale è costituita da due piccoli edifici gemelli, simmetrici rispetto all’asse centrale del giardino che domina l’intera composizione attraverso il percorso d’acqua, rendendola una delle maggiori realizzazioni del Cinquecento italiano. Il nome attuale della villa le è stato attribuito nel XVII secolo quando la costruzione, che aveva già 100 anni di vita, passò nelle mani di Ippolito Lante Montefeltro della Rovere, il duca di Bomarzo. Per chi non lo avesse ancora fatto, suggeriamo una visita a questi due incanti rinascimentali che non deluderà le aspettative.


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Aprilia

Mostra di fine anno Associazione Arte Mediterranea, via Muzio Clementi 49 Dal 6 al 13 luglio

Roma

“Leonardo da Vinci. La scienza prima della scienza” Scuderie del Quirinale, fino al 30 giugno “Vasari per Bindo Altoviti, il Cristo portacroce” Gallerie nazionali di arte antica. Galleria Corsini, fino al 30 giugno “Robert Mapplethorpe. l’obiettivo sensibile” Galleria Corsini, fino al 30 giugno “Troisi poeta Massimo” Teatro dei Dioscuri al Quirinale, fino al 30 giugno “Natura in tutti i sensi” Palazzo delle Esposizioni, fino al 14 luglio “L’arte di salvare l’arte” Palazzo del Quirinale, fino al 14 luglio “Party Politics” Fondazione Giuliani, fino al 19 luglio “Jeff Bark. Paradise Garage” (articolo a pagg. 8-9) Palazzo delle Esposizioni, fino al 28 luglio “Mostre in mostra. Roma dagli anni 50 ai 2000” Palazzo delle Esposizioni, fino al 28 luglio “Terra e oro. Lucio Fontana alla Galleria Borghese” Galleria Borghese, fino al 28 luglio “Immaginario giapponese” Doozo, fino al 30 luglio “Art works#3-Errare” Talent Garden, fino al 31 luglio “ArtSTRETT” Tancredi Fornasetti e Jos Diegel ospiti a Pietralata Atelier Montez, fino al 31 luglio “Terre in movimento” MAXXI, fino al 25 agosto “Lost in the pool of shadows. Un rifiuto comprensibile” Galerie Emanuel Layr, fino al 31 agosto “40 scatti della mia dolce vita” Mostra di Rino Barillari Castel Romano, fino al 31 agosto “Leonardo brivido contemporaneo-mostra personale di Briivido Pop” Il Margutta Veggy food &art, fino al 15 settembre “Roma nella camera oscura. Fotografie della città dall’ottocento a oggi” Palazzo Braschi, fino al 22 settembre “Volti di Roma” (controcopertina, pag.16) Centrale Montemartini, fino al 22 settembre “Fotografi a Roma” Museo di Roma-Palazzo Braschi, fino al 22 settembre “Ritratto di famiglia” Gnam, fino al 29 settembre

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“Emiliano Mancuso. Una diversa bellezza. Italia 2003-2018” Museo di Roma in Trastevere, fino al 6 ottobre “Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione” Galleria d’arte moderna, fino al 13 ottobre “Mortali Immortali. Tesori del Sichuan nell’antica Cina” Museo dei Fori Imperiali, fino al 18 ottobre “Claudio Imperatore. Messalina. Agrippina e le ombre di una dinastia” Museo dell’Ara Pacis, fino al 27 ottobre “Elisabetta Catalano. Tra Immagine e Performance” MAXXI, fino al 22 dicembre “L’arte prende vita alla Rinascente ” gratis Rinascente Tritone, fino al 31 dicembre

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Eventi

Ercolano

“Giorgio De Chirico. Il volto della metafisica” Palazzo ducale, fino al 7 luglio “Splendori. Il lusso negli ornamenti ad Ercolano” Parco archeologico di Ercolano-Antiquarium, fino al 30 settembre

Ferrara

“L’arte per l’arte. Dipingere gli affetti. La pittura sacra a Ferrara tra Cinque e Settecento” Castello estense, fino al 26 dicembre

Firenze

“Verrocchio. Il maestro di Leonardo” Palazzo Strozzi e museo nazionale del Bargello, fino al 14 luglio

Genova

“Giorgio De Chirico. Il volto della metafisica” Palazzo ducale, fino al 7 luglio

Milano

“Il meraviglioso mondo della natura. Una favola tra arte, mito e scienza” Palazzo Reale, fino al 14 luglio “Giorgio Andreotta Calò. CittàdiMilano” Pirelli HangarBicocca, fino al 21 luglio

Venezia

“Maurice Marinot. The glass 1911-1934” Le stanze del vetro. Fondazione Cini, fino al 28 luglio “La pelle. Luc Tuymans” Palazzo Grassi, fino al 6 gennaio 2020


Volti di Roma alla centrale Montemartini Fotografie di Luigi Spina Centrale Montemartini fino al 22 settembre 16


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