Occhio all'Arte web, febbraio 2021

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XIV N° 142 febbraio 2021

Mensile d’informazione d’arte

www.artemediterranea.org

nConoscenza e libertà

“Donna con colomba” - Roberta Meldini

nIn mostra: Roberta Meldini

nCuriosArt: Pittori pazzi

nCinema: Fuocoammare


Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”

Telefona al 347.1748542

Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2018-2019 CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 9,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’ MERCOLEDI’ 18,00 - 20,00

Collaboratori Mensile culturale edito dalla Patrizia Vaccaro, Valerio Lucantonio, Associazione Arte Mediterranea Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Francesca Senna Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org Responsabile Marketing www.artemediterranea.org Cristina Simoncini Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007 Composizione e Desktop Publishing Fondatori Giuseppe Di Pasquale Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche Amministratore parziale Antonio De Waure senza il consenso dell’editore

Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

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CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale

CORSO DI DISEGNO - FUMETTO SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30 - 18,45

Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale,

Direttore responsabile Rossana Gabrieli

CORSI IN ORARIO DA DEFINIRE

CORSO OLIO LUNEDI’ - VENERDI’ 18,00 - 20,00 20,00 - 22,00 MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00

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Sommario

Destinatario sconosciuto Roberta Meldini Pittori pazzi CONOSCENZA E LIBERTA’ “Bainian, l’arte della busta rossa” L’utopia dell’educazione e dell’arte FUOCOAMMARE Tor Marancia, i murales che hanno riqualificato un intero quartiere Sul filo di china


Destinatario sconosciuto

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occhio al libro

di Kressmann Taylor di Francesca Senna

Un libro che mi è arrivato per caso in uno scambio di libri “usati” e sinceramente, non so neanche da quanto tempo facesse oramai parte del mio personale bagaglio di libri da leggere…perché poi alla fine chi è compulsivo come me nel “raccogliere tesori” spesso finisce per leggere i soliti autori che ama e a cui è affezionato. Ma arriva sempre il momento in cui un libro, per un motivo o l’altro, richiama la nostra attenzione. Come in questo caso dove il binomio di destinatario e sconosciuto presente nel titolo, è stato vincente per la mia. Ci troviamo di fronte ad un breve racconto epistolare scritto nel 1938, ma ambientato nel novembre dell’anno 1932, dove l’ebreo americano Max Eisenstein e il tedesco Martin Schulse, soci in affari di una galleria d’arte a San Francisco e amici fraterni, decidono di intraprendere due nuove vite poiché Martin, pochi anni prima della Seconda Guerra mondiale, decide di tornare in Germania con moglie e figli. I due rimangono in contatto attraverso un sentito e sentimentale scambio epistolare in cui condividono parole di perenne amicizia e rispetto, fino a quando il velo nero della storia che nel 1933 vede Hitler prendere il potere, cala impietoso sul loro legame: Martin infatti si lascia sedurre dall’ideologia nazista e col passare dei mesi trasforma il proprio pensiero, soprattutto nei confronti di Hitler che diviene ai suoi occhi uomo di grande fascino e carisma. Le sue lettere si trasformano, da questo istante, nello specchio di quello che con probabilità è stato il meccanismo propulsore del nazismo, ossia il desiderio di rivalsa dei tedeschi oppressi dalle terribili condizioni susseguenti la prima guerra mondiale. Hitler è visto come colui che può risollevare la Germania dalla polvere in cui gli alleati l’hanno trascinata; poco importa se ciò si porta dietro degli sgradevoli “effetti collaterali” visto che sempre “il fine giustifica i mezzi“. L’autrice, grazie ad un coinvolgente quanto drammatico crescendo scandito dallo scambio epistolare che si svolge nell’arco di due anni, ci rende partecipi della evoluzione degli stati d’animo dell’uno e dell’altro personaggio, passando attraverso la felicità e il desiderio di riscatto,

la preoccupazione poi, la speranza, l’esaltazione, la disperazione, e la distruzione di un’amicizia, di fronte agli eventi del nazismo. Evoluzione di stati d’animo che nel loro piccolo non sono altro che manifestazione di uno stato generale di una intera nazione. Max nota questo cambiamento radicale, se ne stupisce, non sembra credere che l’amico di sempre pensi quelle cose e lo voglia allontanare. Cerca quindi di fargli prendere coscienza di quanto assurde possano sembrare le sue parole agli occhi della loro amicizia. Purtroppo Martin non cambia atteggiamento neanche quando Max, disperato, lo supplica di accogliere e proteggere sua sorella Griselle, attrice ebrea che è stata amante di Martin e che, nonostante gli avvertimenti ricevuti dal fratello, ha voluto ugualmente recitare a Berlino, andando a finire esattamente nelle braccia del nemico. Nel comportamento di Martin, nel suo egoismo nei confronti di questa giovane donna vediamo la massima espressione, il punto di rottura della loro amicizia, tradita nel nome della cieca ideologia imperante. E proprio questo comportamento trasporterà il racconto verso un simbolico rovesciamento dei ruoli fino a far scatenare in Max un odio tale che lo porterà ad ordine una raffinata quanto terrificante vendetta nei confronti dell’ex amico. La stessa storia personale dell’autrice – che sin da principio aveva manifestato la pericolosità per l’Europa dell’ascesa del nazismo – ci rende concreto il periodo storico, dovendo lei stessa nascondere il proprio nome Kathrine Kressmann, dietro quello di Taylor, ricorrendo al cognome del marito per non incorrere in discriminazioni di carattere sessuale. Il racconto ebbe un successo clamoroso nel 1995 quando, in occasione del 50esimo anniversario della liberazione dei campi di concentramento, venne ristampato, tradotto in oltre venti lingue, raccogliendo tutto il merito di aver svelato al mondo le cose indescrivibili che stavano accadendo in Germania. Perché la storia è ciclica nei suoi eventi, anche quando sono di carattere distruttivo e l’uomo nel suo spesso limitato ed egoistico modo di vedere, non riesce ad imparare dalle esperienze passate. 3


Roberta Meldini

Plastica linearità e sinuosa tridimensionalità di Maria Chiara Lorenti

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on è da tutti aver studiato con professori come Domenico Purificato e Giuseppe Capogrossi, nomi di un certo peso nella panoramica dell’arte, soprattutto nella scuola romana degli anni quaranta e cinquanta del novecento. Eppoi Lorenzo Guerrini che le insegnò la passione per il cesello, solo per citare alcuni degli artisti che ebbe la fortuna di seguire come docenti all’Accademia delle belle arti di Roma. Una formazione dove la sperimentazione era la norma da seguire, dove le materie prime, quali il marmo ed il bronzo, da sempre usate nella scultura, si affiancarono al più industriale dei materiali, il cemento, in un rapporto

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simbiotico tra arte museale storica e modernismo. Quindi Roberta Meldini imparò molto bene la lezione, e la fece propria, attingendo dal passato, che le diede solide basi, per elevarsi nel presente, affinato con un linguaggio originale, dove si denota uno studio attento della tradizione figurativa che alla sintesi formale contrappone la plasticità delle forme femminili. Del resto la donna, con tutte le sue sfaccettature e le sue fragilità, che diventano la forza stessa della sua essenza, sono il tema più caro alla scultrice che ne sviscererà lo spirito ritraendole nei momenti di normalità quotidiana. E’ così che nascono le forme monumentali e non finite di “figura a riposo”, morbide eppur così massicce, priva di arti, la concentrazione è pilotata verso la plasticità della posa e l’imperturbabilità del volto, un viso che, seppur privo di espressività, suggerisce un abbandono dei sensi ed una dolcezza di pensiero. Alla concretezza di quest’opera fa eco la curiosità per l’infinito, il raccoglimento in se stessi per concentrarsi sull’identità


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in mostra

il cielo a cercar risposte, dal titolo “Concentrazione”. “Donna con palla” e “Amazzone”, in maniera diversa, e con tecniche diverse, raffigurano i momenti ludici, dedicati al gioco ed allo sport, dove la prima ricorda la plasticità monumentale delle sculture di Henry Moore, e la seconda la pulizia delle linee di Emilio Greco. Del resto essendo contemporanea dei grandi del novecento, è normale che abbia riferimenti a Giacomo Manzù, a Marino Marini, a Venanzio Crocetti ed Emilio Greco, per non dimenticare Costantin Brancusi ed Henry Moore. In questi giorni, finirà il 5 marzo, la mostra dedicata ai novant’anni di Roberta Meldini, è visitabile presso Palazzo Merulana a Roma. La mostra è stata protratta per la chiusura data dalla pandemia, ma ora, visto che il del proprio io, l’astrazione dal reale Lazio è in zona gialla, è nuovamente per meglio focalizzare il concetto, aperta. Buona visione a tutti. tutto racchiuso in una granitica figura sferica, completamente incentrata, dalle braccia che cingono le ginocchia, dove solo la testa si protende verso

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Pittori pazzi

IL CASO DI LOUIS WAIN di Cristina Simoncini

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rmai sono poche le persone che rimangono insensibili al fascino dei gatti, ma nell’Ottocento non era così. A contribuire in modo decisivo ad aumentare l’amore verso i nostri piccoli amici felini, fu l’artista londinese Louis Wain (1860-1939). Era nato con il labbro leporino e i medici ordinarono ai genitori (padre commerciante di stoffe e madre francese), di non mandarlo a scuola fino ai dieci anni. Louis si sentì così sempre diverso dagli altri, però rimase comunque di carattere buono e ingenuo tutta la vita. Alla morte del padre dovette provvedere al mantenimento della famiglia e essendo bravo a disegnare, accettò di lavorare come illustratore per le riviste londinesi. Già ventenne, dovendo raffigurare spesso casali, poderi e il bestiame delle fiere agricole, si esercitò molto nel ritrarre animali. Ebbe cinque sorelle che non si sposarono mai, rimanendo sempre a vivere con la madre e a ventitre anni sposò la loro governante, Emily Richardson, una donna di dieci anni più vecchia di lui (fatto scandaloso ai suoi tempi). Emily fu da Louis molto amata, ma purtroppo morì di cancro dopo soli tre anni di matrimonio. Nel periodo di malattia della moglie, egli notò che Peter, il gatto da lui adottato quando lo trovò 6

a miagolare sotto la pioggia fuori dalla porta di casa, tirava su il morale ad Emily e la aiutava ad affrontare meglio la sua sofferenza. Prese così a disegnarlo, per divertirla, con caratteristiche umane riuscendo così a far sorridere l’adorata moglie, la quale si fece promettere che quei piccoli capolavori, li avrebbe tutti pubblicati. Purtroppo lei morì prima che questo progetto andasse in porto. L’illustratore mantenne la sua promessa e, nei trenta anni che seguirono, illustrò circa un centinaio di libri sempre con gatti antropomorfi ispirati a Peter, che ebbero grande successo perché conquistarono, come avevano fatto prima con il cuore di Emily, prima Londra e poi il mondo intero. Di questi disegni furono fatte stampe e cartoline ancora oggi ricercatissime dai collezionisti. Louis Wain troppo buono e ingenuo fu, nonostante il successo, afflitto da problemi economici per l’intera l’esistenza perché venne raggirato e convinto a vendere ogni diritto dei suoi lavori. Alla fine la sua mente cedette e le sorelle (con cui visse quasi costantemente) incapaci di gestirlo, lo fecero ricoverare nel 1924 in un ospedale psichiatrico. Non è sicuro il disturbo mentale di cui soffrì, si parlò di schizofrenia, tuttavia se così fosse stato, il suo talento artistico


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curiosArt

sarebbe dovuto diminuire con il tempo, invece Louis Fonte: www.falsodautoregiulioromano.it continuò a raffigurare splendidi gatti antropomorfi fino www.pitturaomnia.com alla morte, prendendo spunti da una colonia di felini sostanti nel giardino dell’ospedale psichiatrico.

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CONOSCENZA E LIBERTA’

L’Arte Mediterranea a servizio della città di Antonio De Waure

L’

ultimo lavoro murales eseguito dall’Arte Mediterranea presso i locali dell’ASL di Aprilia si intitola “Conoscenza e Libertà”. Rappresenta, in maniera molto significativa, la conclusione di un racconto iniziato circa un anno e mezzo fa con l’esecuzione di

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un gruppo di lavori che si prefiggeva lo scopo di rendere gli ambienti sanitari più allegri e confortevoli dal punto di vista visivo. Pensiamo e speriamo di aver colto in pieno il nostro intento, con un progetto visibile e nello stesso tempo leggero e pieno di significati, esplicati dai vari lavori eseguiti. Abbiamo iniziato dal “Movimento e Salute”, dove si affronta una serie di tematiche molto sobrie e quasi fiabesche sulla salute e il movimento del corpo umano. Nel secondo gruppo lavoro abbiamo affrontato il tema della natura come simbolo importantissimo per la nostra esistenza. Titolo dell’opera: “Natura e Vita”. Anche questo lavoro è stato eseguito e condotto con grande leggiadria e vivacità di colori. Tutto ciò è stato realizzato con spirito di abnegazione e volontariato dagli artisti della nostra associazione, che si sono resi disponibili nel regalare il loro tempo


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libero per uno scopo umanitario. Gli ultimi lavori eseguiti, “La parabola della vita” e “Conoscenza e Libertà”, raffigurano senza alcun dubbio l’anello di congiunzione terminale del nostro racconto sulla vita e ciò che ci circonda. Essere sempre se stessi, e mai come gli altri vogliono che tu sia, questa è la linea guida per tutti i nostri lavori, eseguiti nei locali dell’ASL. Pertanto voglio ringraziare il Dott. Rossi , il responsabile di Cittadinanza Attiva, Claudio Frollano, gli artisti dell’Arte Mediterranea che si sono intercambiati durante tutto il periodo dell’esecuzione di tutti i murales: Antonella Stecca, Giovanna Cappellano, Ekaterina Tcakarova, Orietta Giorlandino e Claudia Grigatti.

dedicato a...

Vi ringrazio infinitamente per la vostra disponibilità sempre positiva e per il vostro amore incondizionato verso il bello. Voglio ricordare che tutto questo rappresenta per noi non solo la conoscenza, ma soprattutto il lungo cammino verso la crescita.

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“Bainian, l’arte della busta rossa”

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dalla Cina con...

Dalla Beijing Foreign Studies University di 拜年文化 李晓婉

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ainian (拜年) è un’usanza popolare tradizionale cinese, un modo per esprimere gli auguri e le benedizioni più sinceri. Indubbiamente è uno degli elementi rappresentativi e radicati nella millenaria storia del paese. La benedizione agli anziani scaturisce dalla cultura filiale cinese; il ringraziamento ad amici e parenti è la derivazione della cultura morale tradizionale nei confronti della gentilezza verso il prossimo; il saluto ai vicini è la continuazione della cultura del galateo nella civiltà cinese. Per esempio, la mattina del primo giorno del Capodanno lunare, le giovani generazioni si svegliano e augurano agli anziani un felice anno e una vita sana. Dopodiché gli anziani consegnano delle buste di colore rosso sgargiante (note come 红包, hongbao) preparate in anticipo. L’usanza di regalare buste rosse ha origine in alcune delle più antiche storie cinesi. Secondo la leggenda, un demone noto come Sui terrorizzava i bambini mentre dormivano la vigilia di Capodanno, e i genitori cercavano di tenerli svegli tutta la notte per proteggerli. Oggi la busta, conosciuta come yasui qian(压岁钱), simboleggia la lotta contro il demone Sui. In altre parole, i soldi contenuti in essa servono a tenere lontani gli spiriti maligni. Nonostante la tradizione sia incentrata sui bambini, le buste rosse vengono date anche ad amici, familiari, colleghi e molti altri parenti. Inoltre, diverse somme di denaro sono consuetudine per ogni relazione. L’importanza di hongbao non consiste nel denaro contante all’interno. In realtà, è il colore rosso che simboleggia buona fortuna e prosperità nelle culture cinesi.

Generalmente si preferisce usare banconote nuove appena uscite dal bancomat. I multipli di otto, come 80, o 800 yuan (la valuta cinese) sono più adatti dal momento che l’otto per tradizione è un numero fortunato in Cina. Invece dovrebbe essere evitata qualsiasi cifra contenente il numero quattro, perché la pronuncia di esso è simile alla parola cinese che

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significa la morte. Con il passar del tempo, nuovi contenuti e forme delle usanze tradizionali del Capodanno si sono aggiunti alla consuetudine. Negli ultimi anni, il denaro digitale ha preso il sopravvento, e banconote e monete sembrano ormai appartenere al passato. Le buste rosse digitali su Wechat (un servizio di comunicazione molto popolare in Cina) sono diventate un nuovo trend dal Capodanno 2014. Invece di essere consegnate di persona, le buste rosse digitali vengono inviate tramite Wechat da uno smartphone all’altro. Il denaro all’interno viene accreditato al portafoglio digitale del destinatario quando lo apre. Sulle buste rosse digitali è anche possibile allegare le distinte parole di auguri oppure una emoji fatta con la propria foto, il che aggiunge con un semplice click un senso di maggior vicinanza. Essendo così facile, è diventato abbastanza comune inviare hongbao ai propri contatti durante le vacanze. La nuova forma delle buste rosse rompe il limite della distanza e mette in contatto parenti e amici dappertutto, così da trascorrere insieme le vacanze a prescindere dal limite fisico. È una combinazione di tecnologia e tradizione, trasformandosi in un nuovo modo per socializzare. Attraverso questa speciale forma di comunicazione, si possono non solo esprimere le reciproche congratulazioni e benedizioni, ma anche aiutare a promuovere l’amicizia profonda e i contatti frequenti. Vale a dire, la busta rossa digitale funziona solo come un supplemento. La busta rossa tradizionale ha ancora la sua indelebile vitalità e la sua profonda connotazione culturale, mai sostituibile, nonostante la società sia assai moderna e avanzata. Pure per un adulto, ricevere una busta rossa in mano, risveglia la gioia più schietta e sincera provata fin dall’infanzia. Lì dentro, è racchiuso il segreto della memoria tradizionale esistente nel profondo di una persona, di una nazione, di una cultura.


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occhio al libro

L’utopia dell’educazione e dell’arte di Giuseppe Chitarrini

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a Paura è per l’antropologo, filosofo e sociologo francese Marc Augé (uno dei più attenti osservatori delle attuali società occidentali), la tonalità emotiva tipica della nostra contemporaneità, è il sentimento, la cifra profonda, diffusa e tipica dell’umanità odierna. Pervasiva e trasversale si manifesta in mille modi diversi: nell’incertezza per il futuro, per il lavoro sempre più precario, svalorizzato e delocalizzato, paura per una retrocessione del livello acquisitivo e nello status di consumatore, paura della malattia, dell’incidente nucleare e della guerra, del terrorismo e dell’invasione dell’Altro ecc. ecc. Ebbene, l’esperienza del coronavirus, riassume in sé tutte queste paure, conferendo loro drammatica operatività e concretezza; è la realizzazione di tutti gli incubi. Sempre secondo Augé, il più efficace strumento di contrasto di questa condizione di paura, sarebbe quella che lui definisce ‘Utopia dell’educazione’, e cioè il fatto che questa ultima (per estensione credo si possa parlare anche della cultura, conoscenza e l’arte) sia in grado di riconciliare gli uomini fra loro e con il futuro, rimpiazzando la paura con la curiosità e la conoscenza (1) Un’utopia, appunto, però non come un astruso rinviare ad un impreciso futuro, ma una realtà che si realizza nella concreta pratica riflessiva e conoscitiva di ciascuno, giorno dopo giorno, mossi dalla curiosità nei confronti dell’Altro e del mondo. Non si tratta certo di una novità: prima la civiltà classica, con il suo ‘amore’ per la ‘conoscenza’ (philos sophia); ma è soprattutto con l’Illuminismo, che l’idea di una innovazione dell’umanità possa realizzarsi attraverso l’educazione e la conoscenza prende piede nella modernità. Più prosaicamente Augé, vede nella curiosità, nella formazione personale una chiave per l’uscita dalle paure e dalle superstizioni. Ma la paura del Coronavirus è una paura reale e concreta, non sono superstizioni né una paura vaga non immediata, siamo di fronte alla più reale e drammaticamente tangibile delle paure, non una rappresentazione astratta o una ideologia più o meno paranoide. Il virus ha invalidato nel giro di un giorno le relazioni sociali, culturali, di lavoro e i canali d’accesso all’educazione, all’arte e alla cultura: le scuole e le università sono state chiuse, così i musei, i cinema, le mostre, gli auditorium e le biblioteche….il male ci ha segregato nelle case (per chi ha una casa) che sono diventate delle vere e proprie ‘istituzioni totali’ e segreganti; e non è vero che stare in casa è bello, è beatamente intimo, che si riscopre questo o quel valore domestico o famigliare: stare coattivamente a casa è nè più nè meno che la materializzazione di un inferno, di un corto circuito epocale. Credo di non uscire troppo fuori tema a proposito del potere salvifico dell’educazione, dell’arte e della cultura, ricordare che come antidoto nei confronti della paura e dell’orrore, uno strumento di sopravvivenza nell’inferno mortale di Auschwitz (racconta Primo Levi), fu la lettura delle uniche pagine della ‘Divina Commedia’ che era riuscito a nascondere e conservare, salvandole dalle quotidiane perquisizioni e requisizioni: le pagine relative alla figura di Ulisse nel Canto

XXVI. Anche l’auspicato ritorno alla normalità post covid non dovrebbe avvenire sotto il segno della normalità consueta, così come essa si è determinata storicamente. La solita normalità causa remota della Paura, delle differenze socio economiche, del razzismo, del saccheggio ambientale, dell’assalto alle biodiversità, sotto il segno della ragione strumentale e calcolante, condizione preliminare dell’iperliberismo che ha dominato l’ordine mondiale nell’ultimo quarantennio. Paolo Giordano, nel suo libriccino sul Contagio (2), dice che il contagio è anche un difetto dell’immaginazione e della nostra rete di relazioni e in questo senso occorre guardare anche agli aspetti espressivi, simbolici, artistici, culturali, educativi (non in senso della mera scolasticità), ma nel senso espresso da Augé. E’ in sostanza auspicabile un nuovo rapporto fra economia e società, fra sviluppo e cultura, fra patrimonio artistico-simbolicocreativo e crescita. Una ripresa di educazione, e in particolare, di educazione all’immagine –quindi all’arte- ci aiuterebbe a diventare esteticamente più recettivi, più solidali, più sensibili verso il mondo, riconoscere con curiosa e attenta pietas i bisogni e le diversità. L’educazione artistica nella scuola e nelle istituzioni amministrative locali e centrali è alquanto trascurata, nei programmi scolastici la storia dell’arte, a parte le ‘scuole artistiche’, è materia secondaria, l’ora di musica o di disegno, è, più o meno, ‘un’ora di buco’, mentre sociologia o antropologia dell’arte, nelle scuole italiane, non sono mai esistite. Molte istituzioni, anche amministrative periferiche, ma anche centrali, guardano all’arte come possibilità utilitaristica: ‘la cultura non si mangia’ diceva un non rimpianto nostro ministro della Repubblica, allora bisogna che essa dia un tornaconto, un utile nell’immediato, per questo l’attività culturale-artistica è vista come appendice di attività economiche più redditizie, p. es quelle legata al turismo. Una maggior attenzione alla creatività e all’espressione può, nell’ambito di una visione progettuale, essere funzionale anche all’incremento redditizio, mentre può incentivare, nell’immediato, l’economia locale di un sito, di un luogo, di un paesaggio, di un patrimonio monumentale o tradizionale ecc. Molte sono le nuove professioni che scaturiscono dopo un percorso di istruzione e educazione artistica e all’immagine (design, web, fondali d’ambiente, moda, cinema-fiction ecc). Ma soprattutto la produzione espressivoartistica e l’educazione nel suo complesso, costituiscono un progresso di civiltà per tutti, e, se non altro, ci preservano dalla banalità imperante, dalla omologante indistinzione e dalla paura che dicevamo prima. 1) Cfr. F. Nodari, “Intuizioni surmoderne per un mondo migliore”, saggio introduttivo a M. Augè, “Sulla gratuità: per il gusto di farlo”. Ediz. Mimesis, Milano-Udine 2018. 2) Cfr. P. Giordano, “Nel contagio”, Einaudi–Corriere della Sera, Torino-Milano 2020. 11


FUOCOAMMARE

Mediazioni e brutalità nel cinema del reale di Valerio Lucantonio

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ianfranco Rosi è uno dei documentaristi più apprezzati e discussi della scena contemporanea internazionale. A contraddistinguere il suo stile contemplativo, diretto, penetrante, è soprattutto l’assunzione dei ruoli fondamentali durante le riprese (e non solo, dato che si occupa anche di scrittura e produzione): essere regista, operatore e spesso anche fonico gli permette di esercitare un controllo più immediato e istintivo sulla cattura di immagini e suoni, nonché di potersi insinuare e muovere agilmente nei luoghi da raccontare. Questo approccio si è rivelato particolarmente efficace per “Fuocoammare” (2016), la sua opera più conosciuta e apprezzata, tanto da animare il dibattito pubblico e ottenere candidature e riconoscimenti in tutto il mondo, 12

tra cui il prestigioso Orso d’Oro del Festival di Berlino. Per più di un anno Rosi ha esplorato il panorama naturale e sociale di Lampedusa, isola ormai tristemente nota in quanto uno dei punti più caldi del flusso migratorio clandestino tra Africa ed Europa. La permanenza prolungata sul luogo ha permesso al contenuto del documentario di espandersi e deviare dal prevedibile resoconto cronachistico sulla tragedia delle morti in mare, adottando una prospettiva più eterogenea dal complesso portato etico e poetico. Il narratore/testimone, che occulta quasi totalmente le tracce della propria presenza scenica, intreccia anche grazie alla fine partitura di Jacopo Quadri (montatore prediletto di Rosi), un insieme variegato di linee narrative che si differenziano nettamente per soggetti, estensione e modalità rappresentative. In ordine crescente di durata e rilevanza, nel susseguirsi di scene scrutiamo le routine di un’anziana casalinga (Maria Signorello) e del conduttore della radio locale (Pippo Fragapane); ci avventuriamo sott’acqua insieme al pescatore Franco Paterna; empatizziamo con il dottor Pietro Bartolo, responsabile fino al 2019 delle prime visite e delle autopsie sui migranti; assistiamo alle peripezie di questi ultimi, dal primo contatto con i soccorsi alla vita nei centri di accoglienza; e infine osserviamo con partecipazione le avventure quotidiane di Samuele Pucillo, candido e vispo ragazzino che si afferma come figura principale del racconto. La decisione di riservare lo spazio maggiore alle azioni spesso banali di un giovane isolano, invece che allo scottante tema degli sbarchi, ha fatto sollevare più di una critica, ma è in verità fondamentale per la stratificazione di significati attuata da Rosi. Il regista non si limita a osservare e registrare i soggetti e gli eventi, né a sensazionalizzarli per sensibilizzare, ma compie un’operazione comparativa e combinatoria da cui far proliferare relazioni e riflessioni inaspettate. L’accostamento tra i valori opposti della tragedia migratoria e degli spensierati e


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imperturbabili scorci di vita dei lampedusani è soltanto il livello più immediato del discorso, individuabile anche da uno sguardo superficiale, come il contrasto tra mare e terraferma che scandisce tutta la narrazione. Il livello profondo di significazione del film, a differenza della maggior parte dei dibattiti politici e critici sull’argomento, non si basa su semplificazioni binarie, ma sull’articolazione problematica delle diverse modalità di mediazione possibili. Si rileva su diversi piani la drammatizzazione di un tentativo più o meno riuscito di avvicinamento, traduzione, adattamento: nella dimensione linguistica con l’alternarsi di dialetto siciliano, italiano e lingue africane che porta a inevitabili incomprensioni e approssimazioni; nella dimensione tecnologica e mediale, che assiste sia il soccorso della guardia costiera sia gli interventi medici di Bartolo, e si incarna nella funzione informativa ed emotiva della radio locale o in quella memoriale delle foto familiari e cliniche; nella dimensione rappresentazionale e comunicativa nei diversi gradi di verosimiglianza in cui si rimodula il patto con lo spettatore, passando per racconti, interviste, sguardi invasivi e messe in scena a

cinema

favore di macchina. Le situazioni in cui ci viene mostrato Samuele tematizzano tutte queste mediazioni disturbate e parziali, ma non solo. Oltre ai compiti d’inglese letti ad alta voce, all’ascolto curioso dei ricordi degli adulti, ai nuovi occhiali per guarire l’occhio pigro e ai ludici teatrini a tu per tu con la videocamera, la purezza spensierata del piccolo protagonista si confronta anche con fenomeni non razionalizzabili come la fame d’aria o il mal di mare, che lo debilitano e spiazzano sfuggendo al controllo. Allo stesso modo lo spettatore viene destabilizzato dalle immagini brutali dei corpi esanimi e spersonalizzati dei migranti, che vengono presentate schiettamente senza alcun tentativo di spettacolarizzazione. L’impatto raggelante e viscerale di queste visioni denota lo scacco di qualsiasi mediazione, l’impossibilità di andare oltre al visibile quando ci si trova davanti a tragedie indicibili, ma ribadisce anche la necessità di confrontarsi, a maggior ragione e nonostante tutto, con i risvolti più terrificanti della realtà. È così che fa il pescatore subacqueo quando si immerge di notte nel mare mosso, in una brillante metafora e dichiarazione etica sul cinema documentario. 13


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la Roma insolita

Tor Marancia, i murales che hanno riqualificato un intero quartiere di Nicola Fasciano

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a borgata di Tor Marancia è una delle dodici borgate nate dagli sventramenti fascisti del Centro storico. In particolare, la borgata di Tor Marancia fu tirata su nel 1933 in soli 50 giorni e, a causa del sovraffollamento e dei continui allagamenti dovuti all’infelice collocazione, fu presto chiamata la piccola Shanghai. Infatti, mentre via della Conciliazione e via dei Fori Imperiali venivano svuotate per essere trasformate in ampi viali, a Tor Marancia le case venivano costruite una sull’altra, con pavimenti in terra battuta, tramezzi pericolanti, senza acqua né servizi, in un’area prevalentemente paludosa. I palazzi che vediamo oggi lungo viale di Tor Marancia sono una ricostruzione del quartiere che nel 1948 fu raso al suolo e costruito nuovamente. Nel 2015, grazie ad un progetto di riqualificazione sorto sotto l’amministrazione Marino, il quartiere ha subito una ulteriore trasformazione che ha fatto diventare il comprensorio di viale di Tor Marancia 63 una galleria d’arte a cielo aperto. Quello che oggi viene identificato come Museo Condominiale di Tor Marancia, è costituito da 22 gigantesche tele, alte ben 14 metri, per altrettanti artisti nazionali e internazionali che hanno dato libero sfogo alla propria creatività, dopo aver ascoltato le storie del quartiere e reinterpretando. Per esempio il ricordo del piccolo Luca, un bambino morto mentre giocava con gli amici, è affidato ai colori e alla sensibilità del noto street artist parigino Julian Seth che lo ritrae di spalle, intento a guardare il cielo azzurro oltre il muro del palazzo, arrampicato su un’immaginaria scala di colori. Nata come forma d’arte spontanea, la street art si è evoluta nella realizzazione di grandi murales su commissione, in posti che non sono scelti dall’artista, ma che gli sono stati assegnati, e i cui colori hanno valorizzato il quartiere diventando un potente strumento di riqualificazione.

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A tutt’oggi solo nelle regioni gialle e bianche sono stati riaperti musei e gallerie

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Roma

“A’Rebours. Controcorrente: viaggio antologico nel disegno di Roberto Di Costanzo” Roberto Di Costanzo atelier, fino al 28 febbraio “Roberta Meldini. Plastica linearità e sinuosa tridimensionalità” Palazzo Merulana, fino al 5 marzo ( Art. pag. 4-5) “Bulgari Prize 2020” MAXXI, fino al 7 marzo “Roma. Massimo Siracusa” Musei di Roma in Trastevere, fino al 14 marzo “Masakatsu Sashie. Loop” Doroty Circus Gallery, fino al 20 marzo Mostra virtuale “3 Decades of dissent” su Lieu.City Galleria d’Arte Moderna-Lieu.City-www.lieu.city, fino al 26 marzo “Beatrice Pediconi. Nude” Z20 Sara Zanin gallery, fino al 27 marzo “Rami. Veronica Montanino” Musei di Villa Torlonia-Casino Nobile, fino al 28 marzo “Un mondo fluttuante” opere su carta di Anna Onesti Musei di Villa Torlonia-Casina delle civette, fino al 28 marzo “Sten Lex. Rinascita” Galleria d’Arte Moderna. Chiostro, fino al 28 marzo “Mario Monicelli” Casa del Cinema,fino al 31 marzo “La signora dell’arte” Museo di Villa Torlonia-Casino dei Principi, fino al 5 aprile “Cuor” di Renata Rampazzi Museo di Carlo Bilotti aranciera di Villa Borghese, fino al 5 aprile “Banksy A visual protest” Chiostro del Bramante, fino al 11 aprile 2021 “Navin Rawanchaikul. Ciao da Roma” MAXXI, dal 4 febbraio al 2 maggio “Il tempo di Caravaggio” Musei Capitolini, fino al 2 maggio “Josef Koudelka. Radici” Museo dell’Ara Pacis, fino al 16 maggio “Napoleone e il mito di Roma” Mercati di Traiano-Museo dei fori imperiali, fino al 30 maggio “I marmi di Torlonia” Musei Capitolini,fino al 27 giugno “Il Boresta che non ti aspetti” Micro, fino al 30 giugno “Senzamargine. Passaggi nell’arte italiana a cavallo del millennio” MAXXI, fino al 10 ottobre “L’eredità di Cesare e la conquista dell tempo” Musei Capitolini- Palazzo dei Conservatori, fino al 31 dicembre

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Milano

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Eventi

“La forma del Tempo” Museo Poldi Pezzoli, fino al 1 marzo “Tiepolo. Venezia, Milano” Gallerie d’Italia, fino al 21 marzo 2021 “Frida Kahlo. Il caos dentro” Fabbrica del vapore, fino al 28 marzo 2021 “Divine e Avanguardie. Dalle icone a Malevic e Gondarova, le donna nell’arte russa” Palazzo Reale, fino al 5 aprile 2021. “Carla Accardi. Contesti” Museo del novecento, fino al 27 giugno 2021

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Napoli

“Gli Etruschi e il MANN” Museo archeologico nazionale di Napoli, fino al 31 maggio 2021 “Paolo La Motta. Capodimonte incontra la sanità” Museo e Real Bosco di Capodimonte, fino al 19 settembre

Parma

“Ligabue e Vitaloni. Dare voce alla natura” Palazzo Tarasconi, fino al 30 maggio

Ravenna

“Dante nell’arte dell’ottocento” Chiostri francescani, fino al 5 settembre 2021

Torino

“Sulle tracce di Raffaello nelle collezioni Sabaude” Musei Reali, fino al 14 marzo “Ritratti d’oro e d’argento” Palazzo Madama fino al 12 luglio


Josef Koudelka - “Radici” Roma - Museo dell’Ara Pacis, fino al 16 maggio.

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