Occhio all'Arte web, dicembre 2020

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XIV N° 140 dicembre 2020

Mensile d’informazione d’arte

www.artemediterranea.org

nTiepolo. Venezia, Milano, l’Europa nAntoni Gaudì

nGlenn Brown

nWalter Bio


Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”

Telefona al 347.1748542

Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2018-2019 CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 9,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’ MERCOLEDI’ 18,00 - 20,00

Sommario

Responsabile Marketing Cristina Simoncini

Tiepolo. Venezia, Milano, l’Europa.

Amministratore Antonio De Waure

Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore

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Natale e dintorni

Composizione e Desktop Publishing Giuseppe Di Pasquale

Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale

Collaboratori Patrizia Vaccaro, Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, Valerio Lucantonio, Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Francesca Senna

Fondatori Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini

Direttore responsabile Rossana Gabrieli

CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure

CORSO DI DISEGNO - FUMETTO SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30 - 18,45

Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Mensile culturale edito dalla Associazione Arte Mediterranea Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org www.artemediterranea.org Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007

CORSI IN ORARIO DA DEFINIRE

CORSO OLIO LUNEDI’ - VENERDI’ 18,00 - 20,00 20,00 - 22,00 MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00

Antoni Gaudì Glenn Brown

I fuochi d’artificio in Cina Valter Buio Nei dintorni di Roma Sul filo di china


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dedicato a...

Natale e dintorni di Giuseppe Chitarrini

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e festività natalizie costituiscono un ciclo rituale di 12 giorni, l’ultimo ‘ciclo lungo’ di festività nelle società occidentali. Uno spazio temporale che interrompe la serialità della vita convenzionale in un arco di tempo che va dalla Vigilia alla Epifania e che, nella sua sacralità, segna l’inizio dell’uscita stagionale dall’infero regime notturno dominato dall’oscurità invernale. Costituisce così il primo piccolo appena accennato passaggio verso la luce e il rinnovamento che segue il solstizio invernale: la vita riprende il suo ciclo dopo la sospensione ‘notturna’. L’elevato livello di consumismo natalizio dell’attuale occidente, è il punto ultimo di un percorso che ha inizio dal primo medio evo, caratterizzato dall’austerità spartana, severa e penitenziale; secoli dopo, nella rivoluzione industriale e nell’800, il Natale assume i toni festosi lasciandosi alle spalle le auree mistiche e ascetiche-allegoriche medioevali e rinascimentali; poi, con la ‘costruzione sociale dell’infanzia’ (cfr. A. Censi, “La costruzione sociale dell’infanzia”, F. Angeli edit., Milano 2001), il Natale assume sempre più le caratteristiche di gioiosa festa dei bambini. Con l’istallazione dell’illuminazione e dei lampioni pubblici, prima a gas e poi elettrici, si intensifica la luminescenza della festa (evocativa della ‘festa delle luci’ di lontana ispirazione ebraica), contrassegnando l’aspetto auspicale di queste festività, segnalando l’avvento progressivo della luminosità solare. Con l’aumento delle circolazioni delle merci, i doni si fanno più numerosi e sempre più ‘gratuiti’, nel senso che diventano sempre più funzionali alla solidità sociale, a conferma delle relazioni di amicizia, parentela e scambio. Il tempo cronologico, scandito, frenetico e progressivo della ferialità, in questi dodici giorni, si dilata e sembra, almeno la notte di Natale, lasciare spazio a un tempo inteso come ‘durata’, un tempo sospeso, rarefatto, evocativo, vissuto con intensità affettiva ed emotiva, soprattutto nei bambini. E’ un tempo antico al quale il Cristianesimo ha dato nuove modulazioni e nuovi significati, de-paganizzando e trasformando le cerimonie di passaggio solstiziale pre-cristiane, in celebrazioni rivolte a un Dio unico, che viene alla luce per redimere l’umanità dalle infere tenebre del peccato e del paganesimo. Un tempo sacrale che mette fra parentesi il divenire regolare del cronos in una una stratificazione simbolica di avventi e di riti che il consumismo, quello mediatico e di massa dei nostri ultimi decenni, ha trasformato sempre più profondamente, ibridandolo di un neo paganesimo spurio e festaiolo. Molti sostengono, storcendo la bocca in un risolino cinico, che Babbo natale abbia, almeno parzialmente e a fini edonistici, preso il posto di Gesù Bambino. Francamente non so confermare né controbattere, una affermazione così prosaica e apodittica; posso però dire che Babbo natale non è di natura divina

o sacra, e appartiene ad un repertorio mitico assai incerto e confuso, una sfilacciata leggenda nordica, inscritta in un facile folclore senza alcun sostegno di supporti mitici, sacrali o religiosi. Nessun adolescente e nessun adulto crede a Babbo natale. Egli è soprattutto, come sostiene C. Levi Strauss(“Babbo Natale giustiziato”, Sellerio editPalermo, IV^ ediz. 2004.), l’espressione –consumerizzata - di uno di quei differenziali che distinguono il pensiero infantile (e magico) da quello adulto: il bambino crede in Babbo natale, l’adulto e l’adolescente no. Una prosaica iconografia (soprattutto il Babbo natale con la coca cola in mano) sulla quale far convergere tutti i luoghi comuni del consumismo natalizio. Una specie di colorato e rubizzo capro espiatorio al quale imputare le ‘colpe’ degli eccessi compulsivi da shopping. Insomma la kermesse natalizia, omologata in tutto l’occidente, è una grande fusione, un sincretistico ‘bricolage’ di riferimenti mitici, simboli, tradizioni, narrazioni leggendarie (dalla nascita del Fanciullo divino, all’incontro fra lo zoroartrismo iranico rappresentato dai Magi –forse il primo accenno ecumenico nella storia delle religioni monoteiste- alla cometa, alla epifania che si materializza e personalizza nella befana maga-strega benefica ecc.), un intreccio di celebrazioni religiose, sacralità, tradizione e shopping, spiritualismo, materialità ed economia. Come è andato questo ciclo festivo a Nettuno? E’ presto per esprimere un parere, finora alcuni eventi annunciati nel programma, sono risultati di discreta fattura (come l’appuntamento storico-artistico-performativo sulla Natività organizzata dall’IBIS, o il concerto della Corale o quello degli Ottoni), altri meno. Le luminarie cittadine (Natale è stato detto è anche festa delle luci), fatta salva la buona volontà di molti cittadini comuni e molti commercianti, che hanno dato lustro ai balconi di casa e alle vetrine di propria pertinenza soprattutto nell’area centrale della piazza, mi sono sembrate alquanto scarse, almeno se confrontata con quella degli anni passati o con quelle delle cittadine vicine. A colpo d’occhio mi sembra che lo scenario illuminatorio sia stato –diciamo- molto ‘contenuto’. Mettendola sul piano della virtuosa sobrietà e del contrasto all’inquinamento da luminescenza; infatti lo scenario luminoso sembrava evocare lo scenario natalizio di quando, bambino nella seconda metà degli anni 50, trascorrevo i Natali nel bianco e nero del secondo dopoguerra; solo che adesso i tempi sono drasticamente cambiati e la luminosità fa parte della spettacolarità della circolazione delle merci e non siamo più agli ‘Umberto D’ e nemmeno a ‘Pane amore e fantasia’ o ‘Poveri ma belli’.

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Antoni Gaudì

L’ultimo degli antichi maestri. Il primo dei moderni - 2° parte di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi il soprannome rende giustizia all’aspetto trasognato del piccolo edificio, collocato in una zona immersa nel verde a Camillas, presso Santaderes, come se fosse caduto dal cielo, provenendo da un altro mondo. Tra anticipazioni moderniste e l’uso della tecnica del “trencadìs”, cioè l’utilizzo di frammenti policromi di ceramica per rivestire superfici curve la”finca” Guell, la tenuta estiva di Eusebi Guell, un ricco industriale, mecenate colto e liberale, grande amico e protettore di Gaudì. Tale opera può essere considerata la più letteraria e ermetica del nostro. Famoso il cancello di ferro battuto a forma di drago cui si affianca un alto pilastro, colorato, in sommità, con il giallo di antimonio, allusione a un passo dell’Atlantida, il poema simbolo della riabilitazione del catalano tra le lingue letterarie moderne. Seducente, sottilmente ambigua, completamente rivestita con un mosaico in pasta vitrea dalle straordinarie qualità pittoriche, la cui brillantezza varia con il variare della luce, Casa Batllò, nell’Ensanche barcellonese, dà al passante l’impressione di essere di fronte alla creazione di una mente che si è staccata dalla realtà per immergersi nei propri sogni e nelle proprie visioni. Tra le colonne possenti che fanno pensare alle zampe

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l vero debutto di Gaudì, un debutto che si potrebbe definire fastoso per un giovane architetto, fu la costruzione di ”Casa Vincent”, nella Calle Carolins n.24 a Barcellona, che si erge davanti al visitatore come un castello fiabesco. La casa né grande né dimora di un principe, ma di un fabbricante di laterizi e maioliche, è un mirabile esempio di tradizione borghese spagnola (anche se i materiali impiegati sono tutt’altro che pregiati) con quella centenaria araba. Gaudì realizzò un edificio personalissimo: la parte inferiore è spagnola e diventa, man mano che si sale, sempre più araba, se non addirittura persiana. Leggiadria tipica delle residenze orientali e medioevo, periodo aureo della Catalogna, anche in un’altra creazione del nostro inimitabile visionario “El Capricho”. Non si sa a chi sia venuta l’idea di chiamare “El Capricho” la casa progettata da Gaudì. Comunque sia, 4


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dedicato a

di un elefante e i suoi contorni, costituiti da una linea a zig zag, che ricordano la spina dorsale di un dinosauro, spicca una facciata provvista di piccoli balconi eleganti ed arrotondati, dalla sagoma buffa, rivestita da pietre levigate del Montjuic, il cui color sabbia crea l’effetto d’argilla modellata. <Gaudì conferisce al tutto una configurazione arcuata, in movimento. La casa sembra una casetta di zucchero piuttosto che di pietra>. Indimenticabile! Sentieri ondulati come fiumi, foglie di palma intrecciati nei portoni di ferro battuto, colonne in pietra somiglianti a tronchi di albero o a stalattiti, grotte, fontane, sculture in calcestruzzo rivestite da variopinte tessere colorate che rappresentano animali fantastici, fontane, arcate artificiali di roccia. E poi ancora un’imponente scalinata dominata da una salamandra decorata con ceramiche e vetri rotti, una panca a forma di serpente da cui si gode una spettacolare vista su Barcellona e molto di più, tutto sempre straordinario per le forme, il colore, lo stile … siamo entrati nel parco Guell, nato dalla collaborazione di Gaudì e il suo mecenate Eusebi Guell. Il progetto iniziale, che prevedeva la costruzione di un quartiere residenziale per famiglie benestanti, non incontrò il successo sperato

perché i Catalani ricchi ritenevano il quartiere troppo poco urbanizzato e troppo decentrato. Nel 1922 la città di Barcellona ha acquistato l’intero comprensorio e lo ha trasformato in un parco. La Sagrada Familia è il progetto a cui Gaudì ha lavorato per oltre quarant’anni, dedicando a tale impresa gli ultimi anni della sua vita. Una tale dedizione ha fatto della Cattedrale l’opera della sua vita. Progettata come tempio espiatorio da edificare solo con le offerte dei fedeli, alterne vicende, tra cui la prematura morte dell’artista, hanno fatto sì che l’opera sia ancora incompiuta. Gaudì non voleva costruire un luogo di preghiera, pensava a qualcosa di più e cioè a un catechismo di pietra, un libro dalle dimensioni gigantesche, nel quale il credente potesse ”leggere”. In questo luogo di culto dominano la grandiosità e se non il gigantismo, la verticalità dell’ascetismo gotico e il simbolismo. 5


Glenn Brown

Una tempesta di colori intreccia i soggetti enigmatici dei suoi ritratti sinuosi di Cristina Simoncini

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curiosArt

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inee avvolgenti e fili sinuosi formano i labirinti testurizzati che circondano i soggetti di Glenn Brown. La straordinaria ritrattistica che compone la sua serie “E così siamo esistiti” rivitalizza perfettamente le icone della cultura pop e della storia dell’arte con l’estetica distinta dell’artista londinese. Audaci tonalità prismatiche turbinano in tratti arricciati che si intrecciano verso l’esterno su ogni pannello, centrando le figure e sottolineando le singole linee che forniscono la loro forma. Prima di dipingere uno sfondo o un soggetto enigmatico, Brown inizia con un’immagine sorgente, che poi altera digitalmente prima di trasferirla sulla tela. Mentre evoca l’estetica di surrealisti o artisti come Karel Appel, Frank Auerbach, Georg Baselitz e Chris Foss, ciascuno dei dipinti ad olio e acrilici di Brown trascende la semplice appropriazione. Invece, egli identifica le possibilità inesplorate all’interno dell’immagine originale, gettando linee insolite e complesse che rafforzano le qualità misteriose e inquietanti delle opere. La sua deviazione dalla fonte primaria intreccia anche la sua narrativa con quella dei suoi predecessori. “E così siamo esistiti” sarà visibile in due degli spazi di Max Hetzler a Berlino, Bleibtreustraße 45 e Bleibtreustraße 15/16, fino al 23 gennaio 2021. Fonte: www.thisiscolossal.com

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Tiepolo. Venezia, Milano, l’Europa.

La grandiosità di un genio che seppe decorare il cielo di Maria Chiara Lorenti

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’Italia è sempre stata una fucina che, nel campo artistico, ha forgiato innumerevoli geni, caposcuola di movimenti che si sono divulgati in tutta Europa. Dal medioevo al rinascimento, dal barocco al rococò, dai macchiaioli ai futuristi, fino ad oggi, noi siamo stati e siamo all’avanguardia. In questi giorni doveva essere aperta al pubblico la prima grande mostra che Milano ha dedicato ad uno dei pittori più rappresentativi del suo secolo, Giambattista Tiepolo. Purtroppo, a causa dell’epidemia di Covid 19, l’esposizione rimarrà chiusa fino a data da destinarsi. L’artista, come Antonio Canova, fu messo in discussione e la sua opera sminuita a favore di altri, ma proprio come Canova venne riabilitato, e fu il grande scultore che lo riportò in auge con il suo apprezzamento pubblico, tanto che ne collezionò tantissime opere, tra incisioni e disegni ed arrivò a possedere anche sei suoi dipinti. In occasione del terzo centenario dalla nascita, le Gallerie d’Italia ne tributano la genialità con una mostra antologica che ne ripercorre la fortunata carriera. Perchè fu Milano a consacrare l’affermazione di Tiepolo 8

al di fuori dei confini veneziani. Fu un trampolino per le grandi commesse internazionali che lo videro protagonista sia alla corte di Wurzburg, in Germania, che in quella di Spagna, a Madrid, dove si spense. Siamo nel settecento, e Venezia brilla per la sua vivacità artistica-culturale. Molti suoi figli si distingueranno nelle sedi europee, come il Canaletto che passò dieci anni della sua vita presso la reggia di re Giorgio II in Inghilterra, o come Sebastiano Ricci che dispensò la sua arte sia a Vienna che in Gran Bretagna, solo per citarne alcuni. Tra tutti Giambattista Tiepolo si innalzò nell’olimpo dell’arte per la sua tecnica pittorica, così luminosa, per la leggerezza del tratto che rese i suoi affreschi così sereni ed ariosi, i suoi soggetti così leggiadri, sospesi su rosee nubi soffici da dove si affacciano con ardite prospettive. Tanti gli argomenti trattati di natura religiosa, soprattutto per decorare pareti e soffitti delle più rinomate chiese, ma anche molti tratti dalla mitologia e dalla storia, eseguiti per residenze private ed edifici pubblici. Tanto onore per questo pittore che, pur essendo nato da un umile famiglia completamente a digiuno di conoscenze artistiche, ha saputo elevarsi nel


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gotha della storia dell’Arte, e ha instillato questa passione anche nei due figli Giandomenico e Lorenzo, che lo seguiranno nel suo iter fino alla fine. La mostra è suddivisa in sezioni che ne facilitano la visione cronologica. La sua grandezza, dovuta principalmente all’acuta osservazione della natura, lo porterà a soddisfare le aspettative che il clero e i grandi dell’epoca avevano per le sue interpretazioni un po’ teatrali e molto sceniche, ricercate e grandiose che esaltavano i temi illustrati. I suoi dipinti su tela e a fresco si ispiravano a storie che guardandole si può seguirne la narrazione, soggetti dai colori tenui, quasi acquarellati, delicati seppur venati da una grande forza descrittiva, illustrano senza prevaricare. Basta fare un visita a Palazzo Clerici, a Milano, suggerito peraltro dai curatori della mostra, per ammirare la maestria con cui il Tiepolo ha saputo rendere “la corsa del carro del Sole”, ove Apollo, contornato dagli altri dei, conduce l’astro celeste a rischiarare i quattro continenti, con un contrasto chiaroscurale che , al contrario degli squarci caravaggeschi, risulta tenue e delicato senza perderne la forza.

in mostra

Settanta opere a confronto con i suoi contemporanei, che ci fanno intravedere la grandiosità di questo interprete dell’arte, che si potrà approfondire solo con la visita diretta ai luoghi dove i suoi affreschi dimorano.

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I fuochi d’artificio in Cina

Dalla Beijing Foreign Studies University di 张羽扬

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ovunque ci siano i cinesi, i fuochi artificiali creano esplosioni colorate e portano allegria per gli eventi festosi, come il matrimonio, la costruzione di una nuova casa, il trasloco o l’apertura di un nuovo negozio e, soprattutto, il Capodanno del calendario lunare. La tradizione cinese di accendere i fuochi d’artificio alla fine dell’anno simboleggia auspici per un anno prosperoso, la gioia della riunione, la speranza di poter cacciar via qualsiasi malanno o calamità. Per quanto riguarda l’origine di questo gioco pirotecnico, non si trovano fonti certe, alcuni ritengono che sia un frutto degli esperimenti alla ricerca dell’elisir da parte degli alchimisti cinesi, ma nelle province dello Jiangxi e dello Hunan 10

che godono della riputazione di “città natale dei fuochi d’artificio”, si ritiene che l’inventore dell’arte pirotecnica, Li Tian, sia di Yichun, nello Jiangxi. L’inventore nacque intorno al 621 d.C., durante la dinastia Tang, e mescolando carbone, sali di bario, salnitro e zolfo in un tubo di bambù trovò una proporzione giusta per innescare l’esplosione, la quale poteva cacciare via l’epidemia, dissipare miasmi nelle montagne e intimidire le bestie feroci. Oggi per commemorarlo si festeggiano la costruzione delle piazze di Li Tian e il Festival dei Fuochi d’Artificio di Liuyang. I fuochi d’artificio sono presenti anche nella mitologia tradizionale cinese. Infatti, esiste un episodio ben diffuso e conosciuto da tutti


n sull’invenzione dell’arte pirotecnica, ovvero la leggenda di Nian, che nella lingua cinese significa “anno”. Nell’antichità si riteneva che l’accendere dei fuochi d’artificio potesse terrorizzare questo spirito maligno (Nian) che spuntava fuori il primo giorno del calendario lunare. Si trattava di un mostro ibrido con la testa di un leone e il torso di un toro, il quale compariva ogni primavera, intorno al Capodanno del calendario lunare, con lo scopo di saziarsi ingoiando animali e abitanti, tra cui prediligeva i bambini. La tensione tra il popolo e Nian durò a lungo, fino a quando si capì che la belva era sensibile al colore rosso, al fuoco ed ai rumori. In seguito, ogni famiglia appese i tavolini di mogano rosso sulla porta, fece scoppiare petardi e suonò gong e tamburi, così Nian scappò terrorizzato, si nascose nelle montagne inaccessibili e non osò più uscirne. Tale usanza fu tramandata di generazione in generazione, fino ad oggi. La presenza dei fuochi d’artificio è ovunque, anche nelle poesie. Per esempio “Il primo giorno” di Wang Anshi descrive dei festeggiamenti tipici cinesi, inalterati fino ai nostri giorni: Nello scoppiettare dei petardi trascorre un anno/ la brezza primaverile porta un tepore al vino Tusu/ Gli usci di centinaia di migliaia di case sono illuminati dal sole albeggiante/ i vecchi amuleti vengono sostituiti da quelli nuovi. Ad oggi questa tradizione di accendere i fuochi d’artificio viene mantenuta, e nel 1991 viene celebrato il primo festival internazionale di Liuyang per questa invenzione, ovvero il “China Liuyang International Firework Festival”. Liuyang risulta essere la più grande base mondiale di produzione ed esportazione di fuochi artificiali. Oltre a questo centro, in Cina ogni zona possiede le proprie usanze. Nella provincia dello Zhejiang, gli abitanti della

dalla Cina con...

contea di Wuchengbai impacchettano l’erba su un lungo palo e lo bruciano, sostituendo i petardi; a Ningbo, dopo i rituali ancestrali, si mangia farinata di fagioli e si fanno esplodere i fuochi d’artificio prima di chiudere la porta, tale azione significa la fine strepitosa dell’anno passato e l’augurio di un anno ancora migliore. Le consuetudini delle province di Suzhou e Jiangsu riflettono il desiderio del popolo di poter salire la scala gerarchica: loro accendono tre volte i petardi. Tale tradizione significa “essere promosso per tre volte” e deriva dal fatto che, se in una famiglia spicca uno che studia bene e viene assunto dal governo come un funzionario, tutta la famiglia sarà orgogliosa di lui e spera che lui possa diventare potente. Nella provincia dello Shandong, ai vecchi tempi, c’era l’abitudine di “mandare via i poveri” al quinto giorno del Capodanno lunare, facendo esplodere polvere nera stipata in contenitori tubolari di cartone, per cacciare via i “cinque poveri”, ovvero la mancanza dell’intelligenza, dell’abilità nell’apprendere, del talento letterario, di una vita felice e di comunicazione interpersonale. In conclusione, si può ben dire che i fuochi d’artificio cinesi rappresentano un elemento indispensabile sia per gli eventi formali che quelli folkloristici. Attualmente il problema ambientale mette in discussione questa tradizione perchè la combustione di fuochi d’artificio contenenti rame può emanare diossine, che risultano essere velenose e nocive per la salute degli animali e degli uomini. Infatti l’utilizzo dei petardi elettrici, che si vanno diffondendo in Cina, ne preserva le tradizioni, mantenendo un ambiente puro e incontaminato.

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Valter Buio

Alla riscoperta di un cult atipico del fumetto popolare di Valerio Lucantonio

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n occasione del Free Comic Book Day (quest’anno esteso all’intero mese di dicembre), ha fatto la sua comparsa nelle fumetterie lo spillato promozionale de “Gli uomini della settimana”, nuova serie scritta da Alessandro Bilotta e disegnata da Sergio Ponchione. Quest’opera venne anticipata insieme ad altre ancora in cantiere nella mostra “Dalla parte della scrittura” tenuta a Palazzo Ducale durante il Lucca Comics & Games 2019, a dimostrare come il già pluripremiato sceneggiatore romano stia vivendo un lungo periodo d’oro cominciato con la pubblicazione di Mercurio Loi per Sergio Bonelli Editore. Ulteriore prova del successo di Bilotta è la riedizione del 2017 del suo primo cult “Valter Buio”, miniserie di 12 albi pubblicata da Star Comics tra 12

il 2010 e il 2011, lettura perfetta per attendere i suoi prossimi lavori e per conoscere meglio uno degli scrittori di fumetti più capaci ed eclettici del panorama italiano. Già in Valter Buio si affermava la centralità di Roma nell’immaginario di Bilotta, che se in Mercurio Loi la ritrarrà nella sua versione ottocentesca qui invece la mostrava in una contemporaneità che viene comunque vissuta ed esplorata con lo sguardo rivolto alla Storia, tra piazze e monumenti tanto concreti e influenti nella narrazione presente quanto evocativi di passati sospesi e suggestivi. L’altro tratto già riconoscibile dello stile bilottiano è il tentativo di forzare tradizioni e usi consolidati, alla ricerca di nuove potenzialità registiche e poetiche giocando entro i codici espressivi e i formati del fumetto popolare. L’insolita professione di Valter, ovvero “psicanalista di fantasmi”, lo accosta ad altri eccentrici personaggi come l’Indagatore dell’Incubo (Dylan Dog), il Detective dell’Impossibile (Martin Mystère) o il più recente Demonologo di Edimburgo (Samuel Stern), ma fin dal primo albo si coglie la connotazione atipica del protagonista. Valter Buio è un antieroe squattrinato e alcolizzato, tradito e poi lasciato dalla moglie, che affronta il mondo con malinconia e doti empatiche le quali lo costringono a un costante senso di vuoto. Il suo “superpotere”, la capacità di vedere gli spiriti dei defunti rimasti a infestare la realtà a causa di traumi irrisolti, lo porta ad avvalersi del dialogo e dell’introspezione al posto dell’azione e del confronto fisico. Il formato della miniserie permette inoltre a Bilotta di delineare un’evoluzione del personaggio non lineare, ma marcata, percepibile di albo in albo. Il protagonista non deve sottostare alle necessità della serialità lunga che imporrebbero tratti e comportamenti stabili e parossistici, perciò nell’arco delle dodici storie lo vediamo degenerare da outsider


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scalcinato e romantico a fallito autolesionista, con conseguenze concrete e (quasi) irreversibili. La progressione della trama orizzontale è dunque molto accentuata, e, con l’affinarsi dello stile di Bilotta, si assiste a storie sempre più eterogenee e sperimentali in un susseguirsi di colpi di scena e cambi di registro repentini. I singoli episodi godono comunque di una forte identità individuale, con le trame autoconclusive che passano dai casi di investigazione psicologica a un graduale approfondimento dell’interiorità di Valter tramite l’utilizzo di complessi flashback, contaminazioni di genere e digressioni liriche. La prima storia (“I morti”) dal carattere necessariamente introduttivo è piuttosto debitrice nei confronti di Dylan Dog per atmosfera, struttura e tematiche; le successive tre (“Un giro di giostra”, “Il giorno che verrà” e “I nostri debitori”) collaudano un tono più personale e mostrano la “normale” attività lavorativa di Valter alle prese con dei casi ordinari; la quinta e la sesta (“Buona notte e buona fortuna” e “Ricordi di un’amnesiaca”) costituiscono un dittico incentrato su due figure femminili tormentate, introducendo elementi di maggior lirismo e un montaggio più ellittico; la settima (“Vita in tempo di guerra”) sfrutta il team-up con Cornelio, altro personaggio della scuderia Star Comics, per aprire una parentesi autoriflessiva e metatestuale che potrebbe suggerire il primo finale possibile della serie; l’ottava e la nona (“Il signor Buio” ed “Elena Fioravanti”) minano definitivamente lo statuto ontologico e discorsivo sfociando in un secondo finale ben più spietato e nichilista; la decima (“Villa Torlonia”) rappresenta il momento di massima perdizione virando sul thriller psicologico per poi tornare alla realtà; l’undicesima (“Riservami un valzer”) prova a ristabilire l’equilibrio narrativo, proponendo un ritorno alla struttura dei primi episodi, ma lasciando intuire che la

avventura grafica

fine è prossima; la dodicesima (“L’uomo nero”) chiude il cerchio addentrandosi nel passato e nella psicologia di Valter Buio, lasciandocene un’immagine complessa e delicata, impossibile da risolvere come sembra suggerire il finale vero e proprio, solare, ma sommesso e anticatartico. Ripercorrendo i dodici capitoli di questa avventura esistenzialista essa si rivela una serie che è riuscita ad adattarsi al contesto di pubblicazione (già nel 2010 il fumetto da edicola accusava i primi affanni e ostacoli), sfuggendo a facili categorizzazioni e manifestando sempre di più la propria originalità, grazie ai tratti moderni dei vari disegnatori e alla maestria di un Alessandro Bilotta che dimostrava proprio su quelle pagine la propria maturità artistica. 13


Nei dintorni di Roma

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conoscere Roma

Bolsena: il borgo e le catacombe di Nicola Fasciano

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onosciuta per lo splendido lago vulcanico, il più grande d’Europa, da cui prende il nome, Bolsena è uno dei borghi più interessanti da visitare della Tuscia, il luogo abitato dagli antichi etruschi. Il suo centro storico è stupefacente, pieno di angoli suggestivi e tesori nascosti che celano una storia millenaria. Come, ad esempio, la catacomba di Santa Cristina che si può visitare dentro la bella Basilica romanica a tre navate del secolo XI. Delle 1600 sepolture, che si articolano in un percorso a forma di albero di natale, solo 1100 tombe sono state aperte e ripulite, mentre le altre sono ancora chiuse. La storia di Cristina comincia nel 292 dove lei, giovane figlia di un prefetto romano, convertitasi al cristianesimo contro il volere del padre fu, per ordine dello stesso, prima spietatamente seviziata e quindi gettata nelle acque del lago con un macigno legato al collo. Il masso, tuttavia, prodigiosamente, 14

non andò a fondo e, galleggiando, la salvò dalla morte mostrando a tutti la sua santità. Ma Bolsena è anche nota come Città del Miracolo Eucaristico che sarebbe avvenuto nel 1263: mentre un sacerdote stava celebrando la messa, al momento della consacrazione l’ostia avrebbe sanguinato. Nel vestibolo della basilica ipogea di santa Cristina a Bolsena sono conservate le quattro lastre di marmo macchiate di sangue. Il borgo medioevale, accogliente e ben tenuto, è diviso in 4 rioni sovrastati dalla rocca Monaldeschi della Cervara che ospita il Museo territoriale del lago di Bolsena. A pianta quadrata e guarnito di quattro torri, il castello fu eretto dagli Orvietani tra il XIII e il XIV secolo in una posizione da mozzafiato: infatti il magnifico panorama che si può ammirare dagli spalti della rocca, spazia sull’intero lago e sugli scavi della città etrusco - romana di Volsinii, a brevissima distanza dal museo.


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Roma

“The Torlonia Marbles, Collecting Masterpieces” Musei Capitolini, fino al 10 gennaio 2021 “Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi” Palazzo Caffarelli, Musei Capitolini, fino al 10 gennaio 2021 “Manolo Valdès. Le forme del tempo” Palazzo Cipolla, fino al 10 gennaio 2021 “Cruor” di Renata Rampazzi Museo di Carlo Bilotti, fino al 10 gennaio 2021 “Sulle tracce del crimine.Viaggio nel giallo e nero RAI” Museo di Roma in Trastevere, fino al 6 gennaio 2021 “Isaac Julien, Lina Bo Bardi. Un meraviglioso groviglio” MAXXI, fino al 17 gennaio 2021 “Alberto Sordi, mostra nella sua villa a 100 anni dalla nascita” Villa di Alberto Sordi, fino al 31 gennaio 2021 “Banksy A visual protest” Chiostro del Bramante, fino al 11 aprile 2021

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Bologna

“La riscoperta di un capolavoro” Palazzo Fava, fino al 10 gennaio 2021 “Vittorio Corcos. Ritratti e sogni” Palazzo Pallavicini, fino al 14 febbraio 2021 “Monet e gli impressionisti. Capolavori dal Musee Marmottan Monet, Parigi” Palazzo Albergati, fino al 14 febbraio 2021

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Firenze

“Imperatrici, matrone, liberte. Volti e segreti delle donne romane” Gallerie degli Uffizi, fino al 14 febbraio 2021

Milano

“Trisha Baga. The eye , the eye end the ear” Pirelli Hangar Bicocca, fino al 10 gennaio 2021 “The Porcelain Room Chinese Export Porcelain” Fondazione Prada, fino al 10 gennaio 2021 “Kasper Bosmans” Fondazione Arnaldo Pomodoro, fino al 29 gennaio 2021 “Prima, donna Margaret Bourke-White” Palazzo reale, fino al 14 febbraio 2021 “Chen Zhen. Short-circuits” Pirelli HangarBicocca, fino al 21 febbraio 2021 “Tiepolo. Venezia, Milano” (articolo a pagg. 8-9) Gallerie d’Italia, fino al 21 marzo 2021 “Frida Kahlo. Il caos dentro” Fabbrica del vapore, fino al 28 marzo 2021 “Divine e Avanguardie. Dalle icone a Malevic e Gondarova, le donna nell’arte russa” Palazzo Reale, fino al 5 aprile 2021. “Carla Accardi. Contesti” Museo del novecento, fino al 27 giugno 2021

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Napoli

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Eventi

“Santiago Calatrava. Nella luce di Napoli” Museo e Real bosco di Capodimonte, fino al 13 gennaio 2021 “Luca Giordano. Dalla natura alla pittura” Museo e Real bosco di Capodimonte, fino al 10 gennaio 2021. “Gli Etruschi e il MANN” Museo archeologico nazionale di Napoli, fino al 31 maggio 2021

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Parma

“Fornasetti. Theatrum Mundi” Complesso monumentale della Pilotta, fino al 14 febbraio 2021 “L’occento e il mito di Correggio” Palazzo della Pilotta, fino al 14 febbraio 2021

Prato

“Dopo Caravaggio. Il seicento napoletano nelle collezioni di Palazzo pretorio e della Fondazione De Vito” Museo di Palazzo pretorio, fino al 6 gennaio 2021

Ravenna

“Dante nell’arte dell’ottocento” Chiostri francescani, fino al 5 settembre 2021

Rovereto

“Il sogno di lady Florence Phillips. La collezione della Johannesburg Art Gallery” Santa Maria della Scala, fino al 10 gennaio 2021

Rovigo

“Marc Chagall. Anche la mia Russia mi amerà” Palazzo Roverella, fino al 10 gennaio 2021 “La quercia di Dante” Visioni dell’Inferno Palazzo Roncale, fino al 17 gennaio 2021

Siena

“Il sogno di lady Florence Phillips. La collezione della Johannesburg Art Gallery” Santa Maria della Scala, fino al 10 gennaio 2021

Soliera (Mo)

“Arnaldo Pomodoro. {sur}face” Castello Campori, fino al 10 gennaio 2021


“Nel momento� di Remo Salvatori. Mostra: Treccani Arte / MAXXI sito web Treccani Arte, fino al 31 gennaio 2021

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