Occhio all'Arte web, dicembre 2021

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XV N° 150 dicembre 2021

Mensile d’informazione d’arte

www.artemediterranea.org

nDedicato a: Jenny Saville

Jenny Saville, “Mothers”

nCartoon TV: Zerocalcare

nIn mostra: Corto Maltese

nCinema: Diabolik


Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”

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dall’Associazione

Telefona al 347.1748542

Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2021-2022

Le attività didattiche, aperte dal primo di settembre, comprendono vari corsi suddivisi nei giorni della settimana: Lunedì e Venerdì Martedì e Giovedì Martedì e Giovedì Lunedì e mercoledì Mercoledì Sabato

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corso corso corso corso corso corso

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pittura ad olio pittura ad olio disegno e olio acquarello pastello fumetto

dalle dalle dalle dalle dalle dalle

18 alle 20 e dalle 20 alle 22 9 alle 11 18 alle 20 18 alle 20 20 alle 22,30 9 alle 15

Oltre alle lezioni, l’associazione, guidata dal suo presidente Antonio De Waure, supporterà gli allievi che vorranno fare delle esposizioni, organizzerà gite culturali e mostre estemporanee. Chi vorrà iscriversi potrà farlo negli orari di apertura della scuola.

Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Collaboratori Mensile culturale edito dalla Patrizia Vaccaro, Valerio Lucantonio, Associazione Arte Mediterranea Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Francesca Senna Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org Responsabile Marketing www.artemediterranea.org Cristina Simoncini Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007 Composizione e Desktop Publishing Fondatori Giuseppe Di Pasquale Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche Amministratore parziale Antonio De Waure senza il consenso dell’editore Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

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Sommario

Il Clavigero vaticano Zerocalcare Salman Khoshroo Jenny Saville Hugo Pratt Diabolik “Pandemia 1836. La guerra dei Borboni contro il colera” “labirinti in trastevere” Museo di Roma in trastevere, fino al 13 marzo 2022. Sul filo di china


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la Roma insolita

Il Clavigero vaticano di Nicola Fasciano

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musei Vaticani sono conosciuti in tutto il mondo per essere uno scrigno di capolavori di inestimabile valore concentrato in un percorso di sette chilometri e mezzo. Ed è il Clavigero (in latino Colui che porta le chiavi), il custode delle circa 3000 chiavi dei Musei Vaticani, 300 delle quali utilizzate quotidianamente per l’apertura e la chiusura delle sale. Com’è facile immaginare, non è una unica persona incaricata di fare tutto questo, ma è un servizio garantito da uno staff di una decina di persone coordinate da un responsabile. Poiché i Musei vaticani sono suddivisi in 4 settori, in apertura alle 5.45 sono in 5 i clavigeri che si presentano davanti alla Gendarmeria Vaticana, che materialmente custodisce le chiavi. Oltre a quelle che sono utilizzate quotidianamente, le restanti chiavi sono custodite in un bunker delle chiavi la cui corretta funzionalità viene verificata ogni settimana. Del grosso mazzo di chiavi, tutte numerate, c’è ad esempio la chiave che apre l’appartamento Borgia, la stanza degli Arazzi e dei Candelabri, le chiavi che aprono e chiudono gli spioncini delle porte che durante il Conclave vengono chiuse per garantire il segreto più assoluto. Tra le tante, sono tre quelle più importanti: la numero 1 che attualmente apre l’uscita dei Musei, la numero 401 che pesa circa mezzo chilo e apre il portone di Ingresso del Museo

Pio Clementino e, quindi, quella più grande e importante di tutte, senza numero, che apre la Cappella Sistina, dal 1492 sede del Conclave. La stessa Cappella Sistina è l’ultima a essere aperta ogni mattina ed è l’unica che non viene materialmente aperta dai clavigeri, ma che in realtà assistono alla sua apertura che viene effettuata dagli addetti alla Sagrestia Pontificia, detti in gergo “sistinari”. Quando si devono riunire in Conclave i Cardinali, è il Clavigero, in qualità di erede del Maresciallo del Conclave ovvero di colui che fino al 1966 aveva il compito di sigillare le porte intorno alla Cappella, che si occupa oggi di chiudere le porte e poi seguire, insieme alle autorità competenti, l’opera del fabbro che mette i sigilli. Fatto ciò ripone le chiavi in una cassetta metallica che viene consegnata alla Gendarmeria che la custodirà fino a elezione avvenuta. Non molto tempo prima della pandemia, i Musei Vaticani avevano cominciato ad offrire alcune visite speciali “fuori orario“, per permettere ai visitatori di pagare per un «ingresso esclusivo alle 6 di mattina per compiere con il Clavigero dei Musei il rito solenne dell’apertura porte e accensione luci». I partecipanti alle visite erano contingentati e i prezzi non noti.

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Zerocalcare

Evento dell’anno ‘Strappare lungo i bordi” di Patrizia Vaccaro

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novembre scorso è andata in onda su NETFLIX ITALIA la serie animata di Michele Rech, in arte ZEROCALCARE, fumettista romano, nato nel 1983, anche se originario di Cortona, della quale si parla, ancora molto oggi sui social, dal titolo “Strappare lungo i bordi”. Il successo non arriva a caso: Zerocalcare aveva provato durante la prima quarantena, da autodidatta, a fare piccole animazioni, brevi corti animati intitolati “Rebibbia Quarantine”, proposti 4

in tv nel programma “Propaganda” di Zoro, che ci hanno raccontato con un tono diverso i giorni del lockdown, probabilmente questo tentativo lo ha convinto a cimentarsi in qualcosa di più. Sono sei episodi da circa 20 minuti che si possono gustare pian piano, per apprezzarne ogni dettaglio o tutti insieme come un lungometraggio, ma bisogna aspettare qualche episodio per capire cosa vuole comunicarci l’autore. E’ divertente, toccante al tempo stesso, come un noto detto romano “po’ essere piuma o fero”, riesce ad affrontare un tema delicato con una certa leggerezza, ma dentro puoi trovare altro: dubbi, incertezze, speranze, battaglie, sogni di una generazione, ma arriva al cuore di più generazioni, dai giovanissimi ai quarantenni, fa rivivere un microcosmo interiore che molti di noi hanno vissuto o stanno vivendo. Il titolo e la sigla suggeriscono come spesso si cerchi di ritagliare la figurina di un uomo o di una vita ideale, per poi accorgersi che non si riescono a seguire i bordi o i tratteggi, si sborda spesso ottenendo, alla fine, non qualcosa di perfetto, ma un imperfettissimo Zerocalcare, il protagonista, in cui ci rivediamo e diventiamo consapevoli dei nostri limiti, di chi non riesce ad adeguarsi a modelli di vita precostituiti. Questo ci fa essere insicuri e pieni di sensi di colpa, ma ci pensa il personaggio dell’amica Sarah, a ricordarci la metafora che siamo


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Cartoon TV

solo un filo d’erba tra i fili d’erba e che non dobbiamo portare il peso di tutto sulle nostre spalle. Ci puoi trovare anche contenuti indirettamente femministi, Zerocalcare ci propone stereotipi dei comportamenti maschili e femminili e ci fa sorridere, come nella scena in cui il protagonista si rifiuta di chiedere aiuto per cambiare uno pneumatico forato perché gli uomini non possono chiedere aiuto, salvo poi rivolgersi alla mamma per risolvere la cosa. E poi c’è lui, l’armadillo gigante, la coscienza parlante di Zerocalcare, che lo accompagna sempre e lo costringe a confrontarsi con se stesso, ci auguriamo che molti scoprano in sé l’armadillo disincantato e anche un po’ cinico. La serie è doppiata interamente

dall’autore in romanesco, tranne per la voce dell’armadillo doppiata da Valerio Mastrandrea, una scelta stilistica che ti fa entrare ancora di più nel suo mondo, dove ritroviamo i suoi personaggi, le vicende e gli aneddoti che lo caratterizzano. L’uso del romanesco ha fatto suscitare qualche polemica, ma che dire del napoletano di Totò o Troisi, oppure del toscano di Benigni e Pieraccioni, o il più recente Montalbano col siciliano?... ma è ambientata a Rebibbia, nel cuore della Capitale, dove vive attualmente l’autore, per cui il romanesco diviene fondamentale. Comunque Zerocalcare è riuscito ad esprimere al meglio quell’ovvio di cui nessuno parla, perlomeno non in modo così semplice e diretto. “Consigliatissimo”… 5


Salman Khoshroo

La lana grezza colorata viene intrecciata in busti espressivi di Cristina Simoncini

P

er Salman Khoshroo, modellare con cura fibre spesse in ritratti maschili ha un effetto terapeutico. L’artista iraniano afferma che la sua serie “Wool on Foam” è nata dal recente trauma e dall’esperienza della quarantena. Scolpendo gli stoppini di lana in nasi leggeri, labbra increspate e capelli fluenti, Khoshroo ha evocato la delicatezza e la vulnerabilità che gli esseri umani affrontano in 6

situazioni precarie. “Viviamo in tempi fragili e sento il bisogno di trovare nuovi materiali e la mentalità per reinventare la mia pratica. La lana dona calore e intimità a questi ritratti e gioca con la provocazione dell’istinto nutritivo. Realizzare ritratti maschili con questo materiale abitualmente percepito come femminile fa parte di un viaggio personale nella


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reinterpretazione della condizione maschile.” L’artista afferma di preferire mantenere le matasse pigmentate nella loro forma naturale, piuttosto che filarle in filo o tagliarle prima dell’uso. “Ho steso la lana come pennellate fluttuanti e questi sono i risultati. Immagino che arrivare a un nuovo materiale senza alcuna predisposizione renda più

curiosArt

facile creare qualcosa senza il peso delle “tecniche consolidate”, afferma. Khoshroo vede queste opere come un’estensione della sua pratica consolidata che produce ritratti altrettanto astratti. Fonti: www.thisiscolossal.com

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Jenny Saville

Alla ricerca di Michelangelo di Maria Chiara Lorenti

Jenny Saviille, “Rosetta II”

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irenze, nell’immaginario comune, è la patria del Rinascimento. Tutti sanno che è stata la culla di grandi artisti, da Lippi a Botticelli, al Ghirlandaio, a Brunelleschi, Beato Angelico, Verrocchio, Masaccio, solo per citarne alcuni, per non parlare di Leonardo, ma tra loro, tra i più talentuosi, non si può non citare Michelangelo, lo scultore che più di ogni altro ha saputo incarnare lo spirito imprigionato nella materia. La città è un grande scrigno che custodisce gli incommensurabili capolavori dei suoi figli e ciò la rende una tra le più belle ed affascinanti località da visitare. La passione per questo mostro sacro dell’arte ha indotto la pittrice inglese Jenny Saville ad accettare l’invito del direttore del Museo 8

Novecento, Sergio Risaliti, ad esporre nel capoluogo toscano. La risposta è stata affermativa, a patto che potesse, oltre ad ammirare le sue sculture, “...camminare per le strade dove lui camminò, mangiare quello che lui mangiava, conoscere tutti i dettagli più intimi della sua vita”. Da questa simbiosi nacque l’idea di una mostra itinerante, dinamica, collocata in vari musei, dove i visitatori potessero accedervi durante il tour turistico della città. Così, nei luoghi frequentati da Michelangelo, si ritrovano le opere di questa artista inglese, in muto colloquio con quelle, eterne, dei caposcuola dell’Arte mondiale. Nel Museo Novecento sono visibili un centinaio tra dipinti e disegni, nel Loggiato, il ritratto di una giovane ragazza cieca, Rosetta II, ammira, senza vederlo, il crocifisso ligneo di Giotto, sospeso, come icona della redenzione acquisita attraverso il dolore, al centro della navata di Santa Maria Novella. Al Museo degli Innocenti, una tela monumentale, The Mother’s, si relaziona a due opere della metà del quattrocento, due Madonne con bambino, una di Luca della Robbia e l’altra del Botticelli, dove il sacro amore divino si stempera in quello materno più serafico, mentre il sentimento espresso dalla madre della Saville raffigura un trasporto più umano e possessivo, che

Jenny Saville, “Fulcrum”


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vorrebbe proteggere contro ogni avversità il frutto del proprio ventre, ma che non può, e lo vede scivolare via dalle sue braccia. Forse il contrasto più stridente lo possiamo individuare nella Salone dei Cinquecento, attorniati dagli affreschi del Vasari, cantore delle grandi battaglie della Signoria, e contrapposti al “Genio della vittoria” di Michelangelo, si oppongono i corpi ciclopici di tre donne, che nulla concedono alla grazia ed alla bellezza femminile, anzi, con crudo verismo, si comprimono in uno spazio troppo angusto per le loro forme, accentuando la sensazione di ammasso di carne sovrapposta, soffocando l’individualità e la personalità dei soggetti ritratti in questa tela, “Fulcrum”. Nel Museo dell’Opera del Duomo il dialogo diviene più serrato, di fronte alla Pietà Bandini, forse la più sofferta di Michelangelo, ritratto nelle vesti di Nicodemo che, con infinito affetto misto al dolore, sorregge il corpo di Gesù scomposto dalla morte, si rispecchia un diverso seppur simile strazio, nel disegno dell’artista anglosassone, di dimensioni abenormi, di circa tre metri d’altezza, dove il corpo di un giovane, emigrante? martire politico?, viene sostenuto da un gruppo di persone dallo sguardo attonito per una fine così iniqua. Chiudono il cerchio di questo ipotetico

in mostra

Jenny Saville, “Gestation”

confronto, i disegni, studi e bozzetti, che la Saville ha voluto mettere a contrasto con quelli michelangeleschi, in Casa Buonarroti. Così questo omaggio al divino scultore si conclude, un’ammirazione nata in tenera età, in quel di Cambridge, che l’ha spinta ad indirizzare il proprio estro verso le forme giunoniche e possenti dei corpi, affascinata dalla carne abbondante e straripante, disegnando dal vero si soffermava ad una minuziosa osservazione di come si muovevano occupando lo spazio circostante. Così dipingendo velatura di colore su altre, fa emergere il volume monumentale del soggetto effigiato, dando la sensazione che “...il pigmento stesso, olio, pastello o acrilico si sarebbe trasformato in carne”. P.s. la mostra si potrà visitare nelle sedi succitate fino al 20 febbraio 2022. 9


Hugo Pratt

Da Genova ai Mari del Sud di Maria Chiara Lorenti

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on molti sanno che Corto Maltese, il mitico personaggio alter ego di Hugo Pratt, è nato a Genova. Tornato da poco da un lungo periodo in Argentina, dove era diventato un famoso fumettista, Pratt in Italia non trovava la giusta dimensione, per diversi tempi e modi di realizzazione delle sue strisce. Invitato a trasferirsi a Genova da Fiorenzo Ivaldi per dirigere una nuova rivista, “ Sgt. Kirk ”, come il sergente omonimo da lui creato, non ci pensò due 10

volte, avrebbe potuto pubblicare tutte le sue storie, presenti, passate e future. Così nel luglio del 1967 uscì il primo numero, che tra tanti vide la nascita di un nuovo antieroe Corto Maltese, protagonista di “ Una ballata del mare salato ”, una storia avvincente ambientata nei Mari del Sud. Corto Maltese è un marinaio, un avventuriero, e spesso incarna lo spirito del suo stesso autore, che ha visto e vissuto nei luoghi dove si ambientano le storie


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del suo pupillo. Nato da una famiglia con origini inglesi, turche e di ebrei marrani, con il padre militare e la madre esoterista, il piccolo Hugo si trasferisce in Etiopia, dove entrerà in contatto con un mondo esotico e straordinario che colpisce e si scolpisce nella sua mente avida di avventure, alimentate dalla lettura dei fumetti americani di Caniff. Nel ‘43 si stabilisce a Venezia e lì decide di disegnare fumetti, ma i tempi non sono ancora maturi e quindi trasloca in Argentina, terra misteriosa e multiculturale, dove affinerà la sua tecnica e che lo farà diventare un maestro. In una nazione dagli influssi europei che si fondono con quelli del nordamerica, dall’anima latina ed il cuore selvaggio, Pratt trova terreno fertile per esprimersi al meglio, e con la collaborazione dello sceneggiatore Hector Oesterheld,

in mostra

che lo sceglie come disegnatore, nascono storie indimenticabili come il Sergente Kirk, Ticonderega ed Hernie Pike. Tornato in Italia, comincia la sua avventura a Genova, che dà i natali alla sua creatura più famosa e controversa, appunto Corto Maltese. In una distesa immensa d’acqua, entra per la prima volta in scena lui, legato mani e piedi ad una zattera, mandato alla deriva dalle onde dell’oceano Pacifico. Una storia non può iniziare in un modo più avventuroso e coinvolgente di così. Da qui si dipanano una serie di vicissitudini mirabolanti. Ricche di colpi di scena e di personaggi ambigui, dove sono presenti corsari, la marina inglese, quella tedesca, Polinesiani e Maori. Questo e tanto di più è in mostra al Palazzo Ducale di Genova che ospita duecento opere del maestro, tra acquarelli, tavole e disegni, con sale tematiche che prendono i nomi dai continenti dove i personaggi di Pratt si muovono e vivono le loro avventure. Una rassegna che potrà essere visitata fino al 20 marzo 2022, e che inizierà i visitatori poco edotti alla scoperta di mondi nuovi, esaltanti ed indimenticabili, dove potranno ammirare storie passate dal significato odierno.

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Diabolik

Confronto a caldo tra le due versioni cinematografiche di Valerio Lucantonio

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opo una lunga attesa dovuta ai diversi rinvii dell’uscita durante la pandemia, finalmente il Diabolik dei fratelli Manetti è arrivato in sala. Per adattare all’estetica contemporanea l’immaginario e la cultura degli anni ’60, a cui il personaggio è inestricabilmente legato, questo nuovo film compie una delicata operazione di rilettura dell’universo creato dalle sorelle Giussani, che risulta ancor più interessante e notevole se messa a paragone con l’adattamento cinematografico realizzato da Mario Bava nel 1968. Conosciuta anche con il titolo 12

“ Danger: Diabolik ”, la prima versione cinematografica del personaggio fu prodotta da Dino De Laurentiis per cavalcare il fenomeno editoriale appena esploso. Dopo alcuni cambiamenti la regia fu affidata a Bava, che non potendo calcare la mano su aspetti violenti e macabri (si temeva la censura) si concentrò sulla dimensione eccentrica ed esuberante degli effetti visivi e speciali, “consentita” dalla concezione sensazionalistica del medium fumetto che era particolarmente diffusa all’epoca. In effetti, questa versione usa Diabolik come un pretesto, un aggancio commerciale e promozionale da cui partire per poi sperimentare sul visibile e stupire il pubblico. Le storie di riferimento sono prese soltanto come ispirazione, e vengono intrecciate e alterate con libertà per costruire un racconto filmico al limite dell’episodico. Tra effetti ottici e tagli appariscenti, suoni cartooneschi e brani pop, cromatismi artificiosi e design inconsueti, la cultura anni ’60 è impressa prepotentemente nel film, che si distingue in primis come una contaminazione avanguardistica tra crime e kitsch. Il lavoro di Bava può essere descritto come un’opera camp che attinge con consapevolezza e costante autoironia da forme espressive farsesche, retrofuturistiche e psichedeliche, contribuendo a definire i canoni di ben due filoni che in quegli anni si stavano sviluppando nel cinema italiano: il cinecomic ante litteram (risale al 1966 il Kriminal diretto da Lenzi) e il poliziesco. Se il Diabolik di Bava era dunque uno


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spettacolo divertito e divertente, quello dei Manetti è invece un racconto serio, a tratti serioso, che ricerca con impegno l’essenza originale della serie a fumetti e dell’epoca che l’ha partorita. Il fumetto qui è trattato filologicamente, come una fonte da rispettare e ricostruire in modo da poter avviare una nuova serialità, intesa non come filone o sottogenere, ma come saga autonoma. Il lavoro di adattamento e trasposizione, che parte prevalentemente dalla memorabile storia “ L’arresto di Diabolik ”, è stato eseguito con equilibrio e padronanza narrativa, valorizzando le specificità del mezzo audiovisivo e presentando un punto d’avvio perfetto per la realizzazione di ulteriori episodi (e infatti sono già in lavorazione ben due sequel). Dal punto di vista estetico, ma anche per quanto riguarda la costruzione del mondo narrativo, siamo agli antipodi rispetto al film di Bava: l’opera dei Manetti è talmente fedele alle atmosfere, alle ambientazioni e alle caratteristiche del personaggio, che riesce a rendere coerenti e verosimili gli aspetti più irreali e improbabili che attraverso i decenni ne hanno preservato l’originalità e la riconoscibilità. Rispetto ai lavori precedenti dei due fratelli, caratterizzati solitamente da un’eccessività espressiva figlia di un approccio ludico/performativo di certo cinema di genere, qui si è trovata una perfetta via di mezzo tra realismo e affabulazione, tra ricostruzione storica e invenzione scenica, tra intrattenimento e maestria tecnica. Mentre la regia di Bava era più incentrata sulla costruzione

cinema

di stupore ed eccitazione tramite effetti speciali e di montaggio, lo stile dei Manetti si concentra maggiormente sulla colonna sonora e sulla macchina da presa, guidando l’attenzione e la tensione in un racconto che riesce a preservare la freddezza e il fascino del fumetto. A meno di un anno dall’inizio dei festeggiamenti per il sessantennale di Diabolik è quasi impressionante cimentarsi in una visione incrociata tra le sue due versioni cinematografiche, che pone in prospettiva non solo la storia editoriale e l’influenza culturale del personaggio, ma anche i possibili paradigmi del cinecomic e della produzione italiana.

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“Pandemia 1836. La guerra dei Borboni contro il colera”

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occhio al libro

Di Gigi Di Fiore di Giuseppe Chitarrini

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onostante i quasi due secoli trascorsi, le molte scoperte scientifiche, i miglioramenti delle condizioni generali di vita ecc., risulta sorprendente constatare come l’oscuro morbo che sconvolse l’Europa nella prima metà dell’800, sia assimilabile all’altrettanto oscuro ed ignoto virus che minaccia oggi le nostre esistenze a livello planetario. Forse, una delle cose che distingue la pandemia di allora da quella di oggi è la planetarietà, la portata mondiale del Covid 19 odierno; comunque anche allora pare sia certo che il morbo, comunque, coinvolse, con diversi gradi di intensità, quasi tutta l’Europa. Le analogie fra la pandemia di oggi e quella del 1836 sono evidenti, tanto che le incognite di oggi, ma anche le accuse, le colpevolizzazioni, le contraddizioni, sono quasi del tutto sovrapponibili a quelle di due secoli fa. Anche allora destava interesse il problema della tracciabilità del virus, tanto che - non essendoci app e smartphone - si ricorreva ad un segno di croce ufficiale sulla porta di casa dove il colera aveva colpito: croce unica se l’abitazione ormai era disabitata, croce doppia se invece la casa era ancora abitata da parenti e famigliari della persona contagiata (allora non c’erano problemi di privacy). Di questo colera allora si cercavano le origini nel mondo animale o dell’area geografica di provenienza: si diceva l’India, come oggi si dice della Cina. Come il Covid, anche il Colera era un morbo sconosciuto, misterioso, proveniente da un mondo arcaico, avulso ed totalmente altro rispetto le società che flagellava contraddistinte da un certo livello di evoluta civiltà e dalla incipiente rivoluzione 14

industriale. Le sicurezze fornite dalle scoperte scientifiche di allora, la fiducia nel progresso, il positivismo, il progresso, l’urbanizzazione e la massificazione, la rivoluzione industriale ecc., tutto ciò veniva messo in discussione ed ipotecato. Anche la pandemia ottocentesca interessò in particolare le istituzioni totali, soprattutto nel regno governato dai Borboni: allora i ricoveri per malati poveri, emarginati e senza famiglia, i cronicari, i lazzaretti, gli ‘spitali’; adesso le case di riposo, R.S.A., e le case di cura. Anche allora vi furono due fasi, soprattutto in Campania: nell’autunnoinverno vi furono 5669 vittime, poi la furia calò, ma dopo 7-8 mesi la pandemia riprese e le vittime furono13798. Anche allora le fasi furono due, come la cosiddetta ‘spagnola’ del 1918-20 e come in quasi tutte le pandemia di cui si hanno notizie storicamente accertate. I resti di molti defunti di questa epidemia si trovano all’ossario de “Le Fontanelle”, insieme ai resti di altri morti risalenti all’epidemia di colera del 1656. Si direbbe proprio che la Storia si ripete e il terrore della pandemia si traduce in un terrore ancestrale, un archetipo che fa parte del nostro inconscio collettivo, anche nostro: uomini del terzo millennio, dall‘epidemie del mito e dell’antichità: si pensi a quella che sconvolse Tebe nella tragedia di Edipo, fino alle epidemie globali dei giorni nostri. Ricostruire e ripercorrere analiticamente la Storia ci può aiutare a comprendere meglio il presente e forse anche a limitarne le paure e gli effetti devastanti sulla psiche.


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Roma

“Mario Giacomelli. Il tempo di vivere” Galleria Gilda Lavia, fino al 31 dicembre “Raffaello nella Domus Aurea. L’invenzione delle grottesche” Domus Aurea, fino al 7 gennaio 2022 “All about Banksy” nuova mostra Chiostro del Bramante, fino al 9 gennaio 2022 “Napoleone ultimo atto. l’esilio, la morte, la memoria” Museo napoleonico, fino al 9 gennaio 2022 “Pietro Raspi. Dalla luce al colore. Dipinti 1955 – 2005” Museo di Villa Torlonia, fino al 9 gennaio 2022 “Inferno” Scuderie del Quirinale, fino al 9 gennaio 2022 “Calogero Cascio. Picture stories, 1956-1971” Museo di Roma in Trastevere, fino al 9 gennaio 2022 “Quayola. Re-coding” Palazzo Cipolla, fino al 30 gennaio 2022 “Sebastiao Salgado. Amazonia” MAXXI, fino al 16 febbraio 2022 “Prima, donna. Margaret Bourke-White” Museo di Roma in Trastevere, fino al 27 febbraio 2022 “Dante nelle sculture di Pietro Canonica” Museo Pietro Canonica, fino al 27 febbraio “Thomas Hirschhorn. The Purple Line” MAXXI, fino al 6 marzo 2022 “Klimt. La secessione e l’Italia” Museo di Roma Palazzo Braschi, fino al 27 marzo 2022 “Una rivoluzione silenziosa. Plautilla Bricci pittrice e architettrice” Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Corsini, fino al 19 aprile 2022

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Firenze

“Jeff Koons. Shine” Palazzo Strozzi, fino al 30 gennaio 2022 “Jenny Seville” (articolo a pagg. 8-9) Museo Novecento, Palazzo Vecchio, Museo dell’Opera del Duomo, Museo degli Innocenti e Casa Buonarroti, fino al 20 febbraio 2022

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Gallarate (Varese)

“Impressionisti. Alle origini della modernità” Museo MA*GA, fino al 6 gennaio 2022

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Genova

“Escher” Palazzo Ducale, fino al 20 febbraio 2022 “Hugo Pratt. Da Genova ai mari del sud” (Articolo a pagg. 10-11) Palazzo Ducale, fino al 20 marzo 2022

Milano

“Claude Monet. Opere dal Musèe Marmottan Monet di Parigi” Palazzo reale, fino al 30 gennaio 2022 “L’arte di raccontare storie senza tempo” Mudec, fino al 13 febbraio 2022 “Maurizio Cattelan. Breath Ghosts Blind” Pirelli Hangar Bicocca, fino al 20 febbraio 2022 “Saul Steinberg” Triennale Milano, fino al 13 marzo 2022 “Gran Tour. Sogno d’Italia da Venezia a Pompei” Gallerie d’Italia, fino al 27 marzo 2022 “Realismo magico” Palazzo Reale, fino al 27 marzo

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Napoli

“Gladiatori” MANN, Museo archeologico Nazionale di Napoli, fino al 6 gennaio 2022 “Frida Khalo. Il caos dentro” Palazzo Fondi, fino al 9 gennaio 2022

Piacenza

“Klimt e i maestri “segreti” della Ricci Oddi” Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, fino al 9 gennaio 2022

Ravenna

“Dante. Gli occhi e la mente” Mar, fino al 9 gennaio 2022

Venezia

“Bruce Nauman: contrapposto studies” Punta della Dogana, fino al 9 gennaio 2022

Eventi


“labirinti in trastevere” Museo di Roma in trastevere, fino al 13 marzo 2022. 16


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