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PRESENTAZIONE

PRESENTAZIONE

Antonello B Iagini

Sono passati giusto dieci anni da quando l'allora capo dell'Ufficio Storico dell'Esercito, accogliendo un progetto di chi scrive, delle vita alla collana <<La difesa nazionale. Il problema della preparazione nell'Italia contemporanea». L'idea era, ed è quella di ricostruire le linee interne attraverso le quali si sono determinate, in Italia , le scelte relative alla politica militare 1• Si trattava di superare l 'histoire bataille per esplorare sistematicamente il retroterra culturale, sociale, economico e tecnologico che costituisce la base di qualsiasi scelta politica. Affermazione, questa, apparentemente ovvia nel 1995 quando alcuni cambiamenti epocali hanno fatto finalmente giustizia dei luoghi comuni che una cultura pigra e appiattita aveva eretto a «sistema» interpretativo, come se le «questioni» militari fossero qualcosa di estraneo alla realtà del Paese.

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In tale ottica La lettura della storia militare e delle vicende belliche non poteva che essere negativa, lasciando quasi esclusivamente ai militari il peso e la responsabilità degli avvenimenti, mentre il potere politico rimaneva confinato in una sorta di Limbo, come se le decisioni relative ai conflitti, alle riforme istituzionali, agli armamenti ecc. fossero espressione autonoma ed esclusiva del così detto «potere» militare. Sulla base di questo equivoco si è costruita una mentalità collettiva che non riesce a collegare gli obiettivi da raggiungere (politica estera) alle risorse da impiegare (bilancio), e in questo modo, come ho già scritto in diverse occasioni, la politica militare in Italia è di fatto condizionata e determinata dai tagli di bilancio piuttosto che da una razionalizzazione, condivisa da una opinione pubblica cosciente, degli investimenti e delle risorse economiche2

1 Preferi sco questa dizione «c lassica>>, di ampio respiro rispetto a quelle, attualmente in voga, di «politica di s icurezza», «politica di difesa», ecc., che a mio giudizio hanno un contenuto limitativo rispeuo alla complessità de ll e forze annate che rappresentano, sempre, uno «spaccato» della società che le produce attraverso scelte di carattere giuridico-istituziona le, politico-ideo log ico, economico- industriale, di politica interna ed estera.

2 Cfr. A. Biagini, Politica estera e politica militare, Alli del Co nvegno «Il nuovo concetto di dife sa e l a condizione militare», Rivi s ta Militare, n 6, 1994, pp. 38-45.

Non fa ecce::,ione il ve11te1111io fascista che sembra ai più, erro11eame11te o supeificialme11te, fortemente compreso dei problemi militari, mentre tende ad 1111a «militari-::.zazione» della società che mortificaattraverso la politiciz:..azione esasperata - la «professionalità ».

La poli1ica estera fascista - come è noto - è caratterizzata, fino alla guerra d'Etiopia, da w1 «dinamismo » diplomatico volto alla revisione dell'assetto internazionale sancito dai trattati di pace del 1919 con i quali le Poten-;:,e vincitrici a1 •eva110 tentato, in maniera non concorde, di disegnare un nuovo assetto europeo e internazionale avente come obiettil'o La costitw::.ione di un nuovo «sistema » di rela:..ioni internazionali che vanificasse, in maniera definitiva, l'uso dello strumento bellico quale elememo risolutore dei conflitti politici.

La dissoluzione dei grandi imperi plurinazionali, la costituzione (o ricosti1uzione) degli S1a1i nazionali, secondo schemi solo in parie rispettosi del «principio di nazionalità», e la tensione ideologica detenninata dall'affenna-::.ione della rivoluzione bolscevica in Russia, produssero fra le due guerre una sostanziale «ingovernabilità» dei rapporti politici i111ernazionali. La politica franco-inglese, enfati-::,zata dallo spirito di crociata contro il militarismo prussiano, aprì nell'Europa centrale una fase di forte instabilità, penalizzando nel contempo le a~pirazioni italiane nei Balcani e nel Mediterraneo.

La vitloria mutilata fu, allora, molto più di uno slogan e la rivendica-::.ione di un diverso ruolo internazionale costituì uno degli elementi del successo della propaganda fascista. Se la sistemazione della «questione adriarica» e La costiruzione dell'impero furono gli elementi portami della politica estera fascista, a questi non corrisposero adeguati investimenti dal pufllo di vista militare (tranne che per l'impulso dato all'Arma aeronautica).

Mentre, d'altra parte, il mantenimento della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale (inutile e costoso doppione dell'Esercito), il ritardo tecnologico (meccanizzazione de/l'Esercito), la politicizzazione (peraltro parzialmente riuscita) dei quadri, gli impegni internazionali sovradimensionati (guerra d'Etiopia, guerra di Spagna, seconda guerra rnondiale) dimostrano ampiamente l'alto tasso di improvvisazione della politica estera del fascismo. Se questo non <<assolve» i vertici militari, certo ne ridimensiona le responsabilità, che pure esistono, ma che debbono essere ricondotte allo stretto ambito professionale.

La storia dello Stato Maggiore Generale e più generalmenre quella dell'Esercito italiano fra Le due guerre, è, per molti aspetti, emblematica e costituisce un ulteriore paradigma attraverso il quale studiare la politica militare italiana, una politica ricca di idee e di buone intenzioni, alla quale è mancato, in fase di applicazione pratica, il sostegno decisionale dei governi e del Parlamento.

L'armistizio concluso nel 1918, pone fine - formalmente - alla guerra con gli imperi centrali e segna l'inizio del processo di smobilitazione per ricondurre gli organici alle necessità di un esercito non più operante. Alcuni impegni di carattere internazionale, relativi anche all'applicazione dei trattati di pace, e problemi di carattere economicosociale, imposero una smobilitazione lenta e progressiva che si conclude solo nel 1920. La prima guerra mondiale aveva d'altra parte determinato negli eserciti belligeranti, compreso quello italiano, una consistente evoluzione dei sistemi d 'a rma, degli apparati logistici e, infine , della dottrina tattica e strategica.

Sul teatro europeo, dopo xli iniziali scontri franco-tedeschi sulla Marna, il conflitto aveva assunto le caratteristiche di una guerra statica e di posizione, dove la vittoria in ultima analisi sarebbe stata dec isa dal logoramento delle risorse umane ed economiche dell 'avve rsario. Dalle esperienze della guerra di trincea e dalle elaborazioni degli alti comandi di entrambi gli schieramenti era scaturita la necessità tattica di sviluppare, in tutte le unità combattenti, una considerevole poten za di.fuoco in grado di spezzare il fronte avversario. Su queste basi anche Le unità minori di fanteria furono dotate, durante la guerra, di mezz i di fuoco e conseguentemente le loro forma zioni organiche subirono un notevole riordinamento. Il binomio fanteria-artiglieria divenne quindi un elemento basilare e inscindibile per lo svolgimento di una qualsiasi azione tattica di rilievo, naturalmente a scapito della mobilità e della rapidità di manovra che erano state, da sempre, le caratteristiche principali della fanteria; queste realisticamente, furono sacrificate in un confronto bellico dove i sistemi d'arma difensivi avevano una netta superiorità ed efficacia rispetto a quelli offensivi.

L'Esercito italiano al termine della prima guerra mondiale era quindi formato da divisioni quaternarie, con un formale quanto ingannevole rapporto di quattro reggimenti a uno fra fanteria e artiglieria, dove La prima era dotata in proprio di molti elementi di fuoco.

Nel 1919, dopo Vittorio Veneto , viene adottato l'ordinamento Albricci, il cui scopo era quello di realizzare un ordinamento funzionale economicamente compatibile con le risorse a disposi z ione attraverso l'eliminazione degli elementi superflui e costosi. L'Esercito fu così ordinato in 15 corpi d'armata territoriali, 30 divisioni di fanteria ( quaternarie) e due di cavalleria; la forza bilanciata fu ponata a 210.000 uomini, inferiore a quella prevista nell'ordinamento pre-bellico; la ferma, obbligatoria, fu ridotta a un anno, con una possibile riduzione a otto mesi. Ulteriori tagli di bilancio imposero a breve scadenza l'elaborazione di un nuovo ordinamento ( ordinamento Bonomi, D.L. n. 451 del 20 aprile 1920) che riduceva La for za bilanciata a 175.000 uomini, La ferma a otto mesi e i corpi territoriali a dieci, su tre divisioni quaternarie. Fu prevista una sola divisione di cavalleria, e i reggimenti di fanteria rimasero fermi al numero di 106, come prima della guerra, ma vennero ridotti a due soli hartaglioni, dividendo il terzo in un «battaglione quadro» da costituirsi e completarsi in occasione di richiami. Altri tagli furono operati nelle armi a cavallo, in artiglieria e in talune specialità del genio assegnate ai corpi d'armara, analogamente fitrono ridotti molti organi giurisdi-:,ionali territoriali e gli stabilimenti militari, adottando per quest'ultimi il criterio di ricorrere largamente all'industria civile.

D'altra parte, il 25 luglio /920 11enne nominata la Commissione parlamentare consultiva incaricata di coadiuvare il ministro della Guerra nella prepara:ione dei disegni di legge relarivi definitivo al reclutamento delle truppe e alla preparazione militare, nonché alla elabora-:,ione di un progetto di «Na:ione armata» che consentisse di alleviare l'onere del servizio militare e quello delle spese, conciliando le esigenze economiche e sociali con le necessità della difesa na-;.ionale.

L'avvento del fascismo e l'ordinamento Diaz del gennaio /923, nel ripudio delle politiche militari precedenti, segnarono un punto di svolta nell'organizzazione dell'Esercito:ferrna di diciotto mesi.forza bilanciata di 250 mila uomini e divisione quaternaria, cos1iluiva110 gli elemellli essenziali di un programma di difficile realizzazione, tanto che si dovettero escogilare alcuni espedienti, quali ritardi nella chiamata alle armi, congedi an1icipati e reggimenti a ranghi ridotti per far quadrare il bilancio, senza poi contare l'inefficienza di quei reparti dove, con le disposizioni Diaz, divenne più forte la sproporzione fra organici e forza bilanciata.

I guasti prodotti da/l'ordinamento Diaz furono i11 breve tempo chiaramente visibili anche a chi quel disegno aveva caldamente appoggiato e tendeva, per convinzione, a propugnare un grande esercito «i11telaiatura» e di massa piuttosto che un esercito, come si scriveva allora, «scudo e lancia» ricco di mezzi, ad alta professionalità e conseguenteme11te poco 11umeroso.

Fin dal 1924, con il progetto Di Giorgio si cercò di porre rimedio alla situazione e L'anno successivo fu srilato l'ordinamento Mussolini, rhe - con lievi modifiche apportate dall'ordinamento del '34 - restò sostanzialmenre i11 vigore fino a/l'ordinamento ?ariani del dicembre 1938.

L'ordinamento Mussolini nasceva comunque da una serie di compromessi, fra una concezione di esercito di massa, ereditata dalla prima guerra mondiale e L'idea di un esercito in qualche modo di élite.fra una dottrina tattira - che teorizzava il ritorno alle classiche guerre di movimento - e La convinzione di molti che un futuro conflitto sarebbe rimasto stalico e di trincea, fra «na:io11i murate» nelle p1vprie linee difensive.

Nelle disfunzioni e nelle incertez.ze di questo ordinamento, la prova più evidente delle contraddizioni già accennate, fu quella fra una politica estera dinamica e di grande potenza - che doveva prevedere, per forza di cose, un appropriato e valido strumento militare - e una struttura economico-produttiva sostanzialmente arretrata e quindi incapace di sostenere e finanziare un esercito adeguato a quella politica.

La mancata congruenza fra potenzialità, strumenti economici e militari e politica estera, costituisce la base fondamentale di quella insufficiente «mobilitazione» del Pa ese durante la seconda guerra mondiale fino alla sostanziale perdita di «identità» e dunque alla lacerazione, profonda e difficilmente rimarginabile, della guerra civile. Il recente dibattito tra storici, politologi e sociologi su questo tema non rientra nell'economia di queste brevi nore, anche se ad esso ci si deve riferire per una ragionevole comprensione della recente storia italiana.

Nell'ordinamento Mussolini, l'esperienza accumulata durante gli anni di guerra aveva dimostrato la necessità di un sempre maggiore coordinamento inrerforze ( Esercito, Marina e il ruolo ancora non ben definito ma di cui si intuiva l'utilizzazione «rivoluzionaria» dell'Aeronautica); si giunse così all'istituzione della carica di capo di Stato Maggiore Generale, la cui mancata definizione di ruoli e attribuzioni vanificò una intuizione sicuramente originale, relegando tale carica a un ruolo meramente consultivo anche nella stessa coordinazione fra le varie a rmi3 • Si scelse d'altro canto la divisione ternaria, che si credeva più adatta alla guerra di movimento, si istituirono i ruoli di comando e di mobilitazione, in modo da conferire più efficienza alle strutture di coma ndo, operative e logistiche.

Nel frattempo se dal punto di v ista dottrinale tattico si teorizzava una guerra di movimento. dall'altro si continuava a ripetere che l'azione offensiva fosse ancora tutta imperniata sul binomio fanteria-artiglieria, esaltando nel co ntempo la presunta azione risolutiva nello scontro delle masse di fanteria, le quali, a tale scopo, venivano dotate di nuovi mezzi offensivi - quali il tromboncino - che si riveleranno, col tempo, del tutto inutili. D'altra parte i mezzi corazzati erano considerati, e non solo in Italia , come arma di mero accompagnamento dell'azione offensiva della fanteria, per azioni di sorp resa e di sostegno e non come facevano - negli stessi anni - i tedeschi come massa di manovra e punta di diamante dell'azione offensiva, cuneo atto a spezzare il.fronte nemico e mezzo per realizzare azioni in profondità per aggirare lo schieramento avversario.

3 Il problema rimane apeno nel dopoguerra e solo in questi ultimi tempi sono in corso di clab<1razione no rm e pe r defini re i compili del capo di Stato Maggiore della Difesa.

L'esperienza fatta n ella guerra d'Etiopia, contro un esercito disorganizzato e scarsamente annato, rim•igorì nel campo strategico-tatlico la convinzione della guerra di movim ento, spingendola fino a concezioni che prevedevano forme ulrradinamiche e all'affennazio11e che per l'avvenire si intendeva fare una «guerra di rapido corso». Lo stesso Badoglio sulla base della propria esperienza africana giudicò, per lo meno i11 quel teatro, troppo pesante e poco manovrabile la divisione ternaria che risultava di difficile coma 11do e impiego.

Si giunse così, con l'ordinamento Pariani, all'introduzione della divisione binaria, c he non fu un semplice mutamento o rgan ico ma una radicale modificazione delle fun:ioni del! 'unità divisionale che perdeva la sua capacità di manovra per trasformarsi in una colonna d'urto e di penetra:ione, la manovra divenil'a così unafurdone specifica del corpo d'armata.

La nuova divisione binaria, formata da due reggimenti di fanteria e da uno di artiglieria, risultò, alla prova dei fatti, priva di mezz i di fuoco pesanti, quali le modeme artiglierie, e con insufficienti elementi di manovra, fa nterie; questa lacuna apparve tanto grave che nel nuovo ordinamento del marzo 1940 fu disposto che venisse assegnata a ogni divisione una legione della Milizia, un provvedimento questo che non risolse com unque le gravi deficienze della nuova divisione binaria, mentre produsse una conflittualità «intenza » decisamente negativa ai fini operati vi

Contemporaneamente la partecipazione alla guerra civile spagnola e l'ammodernamento della flotta diminuivano, in termini relativi, il budget dell'esercito che non poté quindi procedere a un adeguato ammodernamento delle artiglierie di medio e grosso ca libro, all'introduzione di pezzi semoventi, allo sviluppo dell'armamento controcarro, ant ia ereo e, cosa importante, all'accumulo di suffic ienti scorre indispensabili per una g uerra che si vo leva e si credeva di «rapido corso » e di movimento.

AL quadro finora sinteticamente delin ea to si aggiunsero le deficienze nel campo del personale specializzato, ne risultò quindi un macroscopico sfasamento tra una dottrina tattica tutta orientata alla g uerra di movimento e le reali possibilità concrete, le quali erano seriamente e fortemente limitate dall'insufficienza delle scorte, d ei materiali, dei mezzi e degli uomini, deficienze che, se in ultima analisi risalivano alla st ruttura arretrata del capitalismo e della società italiana fra le due g uerre, erano anche riconducibi li a una care nt e quanto supe rficiale sensibilità politica ai problemi militari.

Il primo novembre 1939, delle 73 divisioni mobilitate solo 19 risultavano effet1ivame11te complete e anche quest 'ultime erano nettamente inferiori non solo rispetto alle omologhe unità francesi e tedesche, ma addirittura, in taluni elementi, a quelle jugoslave.

L'inferiorità nel numero dei battaglioni, sia quantitativa che qualitativa, nei gruppi d'artiglieria- che rimanevano sostanzialmente quelli della prima guerra mondiale - nelle armi di accompagnamento, anticarro, antiaeree e, infine, nelle scorte, impedivano al nostro esercito non solo di concepire a z ioni di largo raggio ma in definitiva di affrontare un confronto armato con sufficienti probabilità di successo.

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