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LA PRODUZIONE INDUSTRIALE DURANTE LA GUERRA

Come si ricorderà, all'inizio della sua opera, il gen. Dallolio aveva espresso qualche preoccupazione circa la possibilità di impiegare in pieno e sviluppare le potenzialità industriali del Paese, poiché tutto dipendeva dalla possibilità di importare le materie prime di cui l'Italia era sprovvista. Nel corso del conflitto le preoccupazioni dell'organizzatore della Mobilitazione Industriale non dovevano rivelarsi senza fondamento. A tal proposito basta osservare l'andamento delle importazioni e de lle esportazioni negli anni della guerra:

Tabella 1

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Questi dati dimostrano crudamente da un lato la crescente difficoltà incontrata dall'Italia nel procurarsi quanto occorreva alla conduzione della guerra ed ai bisogni della sua popolazione, dall'altro come il Paese, impegnato in un supremo sforzo per la sopravvivenza, non fosse più in grado di ridurre, con l'esportazione dei propri prodotti, il disavanzo della bilancia dei pagamenti.

Il rapidissimo aumento del valore delle importazioni dal1'estero negli anni della guerra era conseguenza di un complesso di fattori che meritano un ulteriore esame. Prima del conflitto la grande maggioranza (i tre quarti) delle merci importate od esportate dall'Italia viaggiavano via mare. A questo traffico l'armamento italiano partecipava fornendo circa il 50% del naviglio ne- cessario. Con lo scoppio della guerra la situazione si alterò progressivamente a svantaggio dell'Italia; infatti i Paesi centro-europei, che costituivano il principale mercato di scambio per via di terra, si chiusero, prima in parte, ed infine, dopo la dichiarazione di guerra alla Germania, completamente. Per questo fu necessario rifornirsi quasi totalmente via mare. Oltre a ciò Russia e Romania, tradizionali mercati di approvvigionamento del ·grano, che costituiva la principale merce importata, erano inaccessibili per la chiusura dello stretto dei Dardanelli . In conseguenza di ciò e delle particolari condizioni create dalla guerra nei mercati europei, fu necessario ricercare oltre oceano il grano e gran parte delle materie prime essenziali. I percorsi divennero quindi più lunghi facendo lievitare i costi e rendendo ancor più insufficiente il già modesto tonnellaggio italiano. Negli anni del conflitto il tonnellaggio delle merci sbarcate in Italia subì considerevoli riduzioni, come risulta dalla Tab. 2.

Da questi dati risulta che le importazioni italiane mantennero una media mensile quasi costante nel primo periodo della guerra ( 1.365.966 di tonnellate in media nel primo semestre del 1915, 1.345.463 in quello successivo, 1.349.900 nei primi sei mesi del 1916), cominciarono a decrescere sul finire del 1916, scese- ro ad una media di 893.259 tonnellate al mese nel 1917, precipitarono a 789.406 tonn. mensili all'inizio del 1918 e solo negli ultimi sei mesi di quell'anno risalirono ad una media di 978.989 tonnellate.

In definitiva, delle 52.970.729 tonnellate importate in Italia nel corso della guerra, il 30,71 % giunse nel 1915, il 29,02% nel 1916, il 20,24% nel 1917, il 20,03% nel 1918. Il Governo Italiano cercò di far front e alla crisi determinata dal costante ridursi delle importazioni con varie misure, la principale delle quali fu la requisizione, prima parziale (negli anni 1915-1916), poi totale (anni 1917-1918), d el naviglio commerciale nazionale. Il naviglio requisito, compresi i piroscafi germanici ed austriaci sequestrati, comprendeva 113 unità il 31 dicembre 1915, 340 il 30 novembre 1916, 345 il 30 giugno 1917, 306 il 30 dicembre 1917, 298 il 30 giugno 1918 ( 3). Come risulta da questi dati, dopo l'attuazione pressoché totale delle disposizioni di requisizione nei primi mesi del 1917, il numero delle unità disponibili va sempre più riducendosi. Ciò, come la contrazione delle importazioni, è da mettersi in relazione diretta con l'inizio dell'offensiva sottomarina germanica. Nell'ottobre del 1916 infatti: « sebbene 32 navi inglesi, assalite da sommergibili, riuscissero a respingere l'assalitore, fossero salvate e fuggissero , la distruzione totale del tonnellaggio inglese sommava a 176.000 tonn., perdita eccedente di 30.000 tonn. quella avuta nell'agosto 1915 che fino ad ora era stato il mese più nero della guerra. Gli alleati persero 74.000 tonn. e le perdite neutrali sommarono a 85 navi, per 102.500 tonn. eccedendo di 40 navi e di 25.000 tonn. qualsiasi massimo precedente» ( 4 ).

Gli effetti dell'offensiva sottomarina non mancarono di farsi sentire anche in Italia. Infatti, il carbone inglese, che nel luglio 1914 veniva comprato a Genova a 30 lire alla tonnellata, era già salito a f. 86 alla fine del maggio 1915 raggiungendo le 190 lire nel gennaio 1916 ( 5 ). Dopo quella data i prezzi si erano in qualche modo stabilizzati; ad ottobre 1916 oscillavano infatti tra le 190 e le 200 lire, da quella data però « passarono a 195-200 nelle prime tre settimane di novembre, e 210 nell'ultima, a 230-235 nella prima di dicembre, chiudendo l'anno a lire 300-310 » ( 6 ).

Il rapidissimo aumento dei prezzi era causato, da un lato dall'elevarsi dei noli e dei premi di assicurazione (7), dall'altro dalla diminuita disponibilità della merce, sia a causa degli affondamenti, sia a causa della minore quantità di naviglio impiegato nei trasporti con l'Italia.

Nel luglio del 1914 il tonnellaggio mercantile mondiale era così ripartito:

Com e risulta chiaramente da questi dati, la posizione inglese era di assoluta preminenza tra le marine alleate; da ciò conseguiva necessariamente che i trasporti italiani e francesi dipendessero in gran parte dalla disponibilità del naviglio britannico, il quale, per effetto dell'aumentata attività sottomarina germanica ed in seguito alla decisione tedesca di considerare dal 1° febbraio 1917 « zona di guerra» il mare attorno alle isole britanniche, era in primo luogo impegnato ad assicurare i rifornimenti alla madrepatria. Né vi era la possibilità di sopperire al diminuito impiego di unità inglesi con nuovo naviglio italiano, perché « tanto in Francia come in Italia le costruzioni navali erano quasi arrestate. Al 31 dicembre 1916 il tonnellaggio francese ed italiano dimostrava una diminuzione fortissima e non vi era speranza che ulteriori perdite potessero essere rimpiazzate » ( 9 ). In effetti la quantità del naviglio italiano perduto nel corso della guerra fu notevole:

Tabella 4

Causa

Per eventi b ellici

A questo salasso non poteva certamente far fronte l'aumento delle unità della marina mercantile italiana, il quale nello stesso periodo fu il seguente:

Questi complessi fattori determinarono una situazione per cui, benché Ja quantità delle merci importate in Italia si contraesse sempre più, la bilancia dei pagamenti italiani registrava passivi crescenti.

Tutto ciò avveniva non tanto per l'aumentato prezzo delle merci all'origine, quando per il vertiginoso aumento dei noli e delle assicurazioni marittime. Questa situazione gravò pesantemente sullo sviluppo dell'organizzazione industriale italiana nel corso del conflitto, perché influì gravemente sulla possibilità di disporre delle necessarie fonti di energia.

Scrisse infatti l'Einaudi: « Purtroppo la guerra sottomarina riduce alla metà l'importazione di quella che era stata la fonte principale di forza per l'industria italiana: da una media di 10,5 milioni di tonnellate negli anni dal 1911 al 1913 l'importazione del carbone scende a 9,8 nel 1914, al 8,4 nel 1915 cd 8,07 nel 1916, a 5,04 nel 1917 ed a 5,8 nel 1918. Scarsissimo fu l'aiuto porto dalla coltivazione dei giacimenti di lignite, sebbene lo scavo annuo da 608 mila tonnellate nel quinquennio antebellico pregredisse a 953 nel 1915, a 1306 mila nel 1916, a 1722 mila nel 1917 ed a 2171 mila nel 1918. Ma l'uso ne fu limitato quasi in tutto al riscaldamento ed alla cucina. Persino nel gennaio del 1918, quando il carbone straniero maggiormente scarseggiava, le ferrovie dello stato non ne consumarono più di 25.000 tonnellate » (1 2 ).

Nel tentativo di porre rimedio alla insufficienza delle fonti di energia, causata dalla mancanza del carbone, si diede il massimo impulso alla produzione di energia elettrica:

Tabella 6

Ma il pur notevolissimo sforzo, mirante a ricavare il massimo dagli impianti idroe lettrici, non poteva certo sopperire alle necessità dell'industria, per cui fu necessario, negli ultimi due anni di guerra, costituire un Commissariato generale per i carboni, il quale provvide a di s tribuire i combustibili secondo un rigido ordine di precedenza, per cui la r ipartizione del minerale avvenne secondo le proporzioni seguenti:

Tabella 7

Media 1909-1913

Media 1915-1918

Data la limitatezza delle font i di energia, si era forzatamente scelto di tralasciare le esigenze di tutte le imprese industriali non direttamen te connesse con lo sforzo bellico.

Questa decision e aveva avuto al momento effetti limitati sul mercato interno, poich é la domanda veniva in qualche modo soddisfatta e la situazione permetteva il riassorbimento della mano d'opera rimasta momentaneamente disoccupata in altre attiv ità industriali. Sul mercato internazionale provocava, però, la contrazione dell e esportazioni, determinando il rapi do aumento dello squilibrio della bilancia dei pagamenti.

La limitata disponibilità de l carbone influì anche sulla mi- nore o maggiore attività degli stabilimenti ausiliari, a seconda del loro grado di importanza agli effetti del tremendo sforzo bellico che il Paese stava affrontando.

Le imprese estrattive non ricevettero un grande sviluppo in seguito allo scoppio della conflagrazione mondiale; anzi, « nel periodo dal 1914-15, nonostante l'aumento dei prezzi dei metalli, dovuto allo stato bellico, la produzione mineraria diminuì, rispetto alfa precedente, a cagione della scarsezza della mano d'opera e della difficoltà dei trasporti. Nel primo anno di guerra le minjere att ive, e che riuscirono produttive, furono 619 con 41.065 operai; quelle attive, ma che non riuscirono produttive, furono 488 con 1709 operai; la produzione della cave fu di 9593 cave di cui 6939 permanenti, 2654 temporanee con un totale di 50.000 operai » (1 5 ).

Con la concessione dell'ausiliarictà agli stabilimenti ed i conseguenti esoneri, e mediante un massiccio intervento dello Stato, la situazione migliorò, ma non in tulti i settori, come risulta dai dati della produzione mineraria negli anni di guerra: Tabella 8

Come si vede, la produzione mineraria italiana ebbe negli anni della guerra un andamento molto differenziato da settore a settore e ciò dipese, oltre che da fattori inerenti la produzione, anche da altri elementi, quali la maggiore possibilità di impor- tare il minerale (come nel caso del rame) (1 7) e soprattutto l'utilità dei vari metalli per far fronte ai bisogni creati dalla guerra. La brusca contrazione nella produzione di zinco è, ad esempio, da ricercarsi nel fatto che, essendo il metallo in gran parte esportato, si preferì con trarne la produzione per sviluppare altri settori più strettamente collegati con la situazione bellica.

Il vertiginoso aumento della produzione dei combustibili foss ili è da mettersi in relazione con l'estrema carenza di fonti di energia, per cui, nonostante la qualità scadente del carbone estratto da 39 miniere di lignite e 25 torbiere esistenti prima della guerra, « il numero salì, sotto la spinta delle provvidenze statali, a 223 e 149 » ( 18 ).

La brusca caduta che la produzione del minerale ferroso subisce ne l 1918 sembra contravvenire a questa logica, tanto più che non è composta da un aumento delle importazioni dei metalli, le quali, anzi, passano da 1.220.368 tonnellate nel 1917 a 915.567 nel 1918. Il calo si verifica, anche in percentuale, da 11,4% a 8,6% ( 19 ).

Ques ta situazione diviene comprensibile qualora si consideri che in una guerra di materiali, come era appunto il primo conflitto mondiale, il problema non è tanto quello di rifornire il combattente di armi, quanto di munizioni, il cui consumo è enorme. Erano le munzioni che assorbivano la maggior parte della produzione d'acciaio ( 20 ).

Dopo Caporetto e la ritirata al Piave, l'esercito italiano assunse un atteggiamento difensivo che ridusse sensibilmente il consumo di munizioni. Oltre a ciò bisogna considerare che, essendosi accumulato negli anni precedenti un numero ingentissimo di proiettili che non si erano potuti caricare, fu possibile contrarre la produzione de i colpi vuoti incrementando invece il numero dei colpi completati:

Questi dati spiegano esaurientemente perch é nel 191 8 non ci si preoccupasse eccessivamente di incrementare l'estrazione del minerale ferroso.

Le considerazioni svolte per l'industria mineraria sono valide in gran parte anche per le imprese siderurgiche, la cui produzione in quegli anni fu la seguente:

Come si vede anche la ghisa e l'acciaio seguono (né poteva essere altrimenti) la parabola tracciata dall'estrazione dei minerali ferrosi. « D'altra parte, le accresciute difficoltà di importazione del minerale bloccarono ogni ulteriore espansione dei grandi impianti per la produzione di ghisa d'altoforno, e spinsero invece ad un febbrile ampliamento di quelli destinati alla lavorazione del rottame, e alla creazione di tutta una serie di nuove ed imprese in questo settore, con un accrescimento della capacità produttiva assai superiore all'effettivo incremento della produzione consentito dalla disponibilità di materie prime e di mano d'opera addestrata, e con una base economica evidentemente legata solo ell'eccezionale livello raggiunto dai prezzi durante la guerra. Un effetto diretto d el conflitto sulla industria siderurgica, poi, fu anche lo sviluppo assunto dalla produzione delle ferroleghe e specialmente dalla elettrosiderurgia sotto lo stimolo della necessità di supplire alla deficienza di combustibile: sicché la produzione di ghisa al forno elettrico balzava da 2.300 tonnellate nel 1914 a 61.900 tonnellate nel 1918 » (23 )

Le imprese meccaniche ebbero un amplissimo sviluppo nel corso del primo conflitto mondiale e, per quanto, come rileva il Franchini (24 ), sia difficile tracciare un bilancio complessivo « mancando sull'argomento statistiche ufficiali e data la enorme eterogeneità dei materiali», si tenterà egualmente di tracciare un quadro che sia, almeno per le produzioni più importanti, il più completo possibile.

Senza dubbio, il primo posto tra le industrie belliche spet- ta alle imprese che si occupavano della fabbricazione di munizioni. Si consideri infatti che i consumi per i soli proiettili d'artiglieria furono i seguenti:

Si tratta complessivamente di 47.087.397 colpi sparati nel corso della guerra cui sono da aggiungere 15.804.000 colpi di piccolo calibro, 5.070.730 proiettili di medio calibro, 303.219 colpi di grosso calibro esistenti nei depositi e presso le truppe al momento dell'armistizio (25 ). Oltre a questo materiale completo, bisogna ricordare l'esistenza, presso i depositi al momento dell'armistizio, di alcuni milioni di colpi finiti-vuoti (cioè senza cariche) considerando i qupli il totale dei proiettili prodotti in Italia nel corso della 1a guerra mondiale raggiunge e supera i 70 milioni ( 26 ). Alla costruzione di questo munizionamento, come del resto all'intera produzione bellica, contribuirono in varia misura stabilimenti sia privati che militari.

In questa sede ci riferiamo ai dati complessivi della produzione, riservandoci di trattare più oltre dello specifico contributo dato dagli stabilimenti dipendenti dal Ministero della guerra.

P er l'approntamento di tutto questo materiale furono impiegati nel corso della guerra 2.099.000 tonnellate di metalli e precisamente:

Tabella 12

1.667.000 tonnellate di acciaio

280.000 tonnellate di ghisa acciaiosa

131.000 tonnellate di ghisa

21.000 tonnellate di rame (27)

Per valutare a pieno l'importanza della produzione dei proiettili d'artiglieria, nel quadro della produzione nazionale durante la prima guerra mondiale, è necessario tener presente la disponibilità di acciaio, ghisa e ferro in quegli anni:

Questi dati se ci permettono di apprezzare l'enorme sforzo compiuto dall'industria italiana per la fabbricazione di munizioni nel corso della prima guerra mondiale (infatti per il solo munizionamento d'artiglieria fu impiegato poco meno di un quarto, cioè 2.078.000 tonnellate su 9.276.000, di tutto il materiale ferroso disponibile), d'altro canto però, quegli stessi dati testimoniano la scarsa autonomia dell'industria meccanica italiana, che dipendeva per quasi un terzo della sua produzione dalle importazioni dall'estero. Ciò non mancò di avere conseguenze anche sul ritmo di produzione dei proiettili d'artiglieria. « Da un mese all'altro gli scarti sono assai sensibili » scrisse il colonnello Geloso « tanto nel quantitativo complessivo dei singoli mesi come nelle medie giornaliere relative, le variazioni sono certamente dovute in gran parte alla irregolarità del traffico marittimo che, a cagione della guerra sottomarina, non faceva affluire in modo costante le materie prime ed i semilavorati; ed infatti tali variazioni sono in realtà evidenti e gli scarti sono più violenti durante l'epoca in cui l'intensificarsi della campagna dei sottomarini contro il traffico marittimo rese, per qualche tempo, assai aleatori e della massima irregolarità tutti i rifornimenti » ( 29 ).

Il Geloso suffraga queste sue affermazioni con un esame della produzione d i munizioni francese ed inglese che risultano, nel 1917, molto più costanti di quella italiana, la quale per i piccoli calibri va « da un massimo giornaliero di 84.100 colpi completi allestiti nel febbraio, ad un minimo di 14.500 nell'ottobre: lo sbalzo "minimo" percentuale fra un mese ed il successivo è ben del 28%. Appare chiaramente, da questo confronto, che cosa significhino una preesistente buona organizzazione industriale ed il possesso delle materie prime indispensabili per la fabbricazione degli ordigni di guerra; a questi due elementi, ed insieme al fatto che dei rifornimenti erano padroni i Franco-I nglesi (i quali perciò, dovendo prima, com'è naturale, provvedere al proprio fabbisogno, li m i suravano a noi nella quantità a loro non necessaria più che in quella a noi indispensabile), devesi se l'Italia, nelle produzioni industriali di guerra, anche dopo essere arrivata ad una ottima organizzazione capace di alto e costante rendimento, dovette sempre soggiacere ad una grande irregolarità di produzione; e non soltanto per i proiettili d'artiglieria» ( 30 ).

Nonostante queste difficoltà, anche nel settore delle armi portatili fu possibile assicurare, per tutto il corso della guerra, un munizionamento sufficiente . All'inizio del conflitto la situazione in questo campo era tutt'altro che pari al bisogno; i tre stabilimenti impiegati erano infatti in grado di fornire un solo colpo al giorno a tutti i fucili 91 esistenti, mentre producevano complessivamente solo 28.000 colpi per i fucili 70/87 della milizia territoriale.

Nel luglio del 1915 la produzione mensile era già salita a 60 milioni di colpi e sul finire dell'anno fu ulteriormente aumentata. « Così, malgrado le difficoltà per procurarsi le materie prime, dal 1916 in poi la produzione di cartucce risultò sufficiente per il rifornimento di tutti i fucili e di tutte le mitragliatrici in senrizio, anche nel caso di qualsiasi eventuale più elevato consumo, e ciò tanto più perché il fuoco di fucileria erasi ridotto di molto ed il consumo di cartucce era prevalentemente fatto dalla mitragliatrice » ( 31 ).

Nel corso del conflitto furono complessivamente prodotti

3.616 milioni di proiettili per armi portatili ( 32.). Parimenti soddisfacente fu la produzione di bombe a mano che da 5.000 al giorno nel 1915 crebbe fino a 45.000 nel 1918 raggiungendo, nel corso del conflitto, un totale di 22.360.000 bombe prodotte (33 ).

Di meno facile risoluzione si dimostrò il problema di provvedere al munizionamento delle bombarde; la produzione giornaliera aveva, sul finire del 1916, faticosamente raggiunto le 2.300 unità, livello fortemente inferiore alle richieste del Comando Supremo che fu quindi costretto a diminuire le dotazioni e imporre limitazioni ai consumi. Solo nel 1918 per la riduzione dell'impiego di quest'arma, la produzione dei proiettili per bombarda raggiunse un livello sufficiente ( 34 ).

Notevole fu anche la produzione di munizioni per l'aviazione: nel 1918, l'anno in cui la nuova arma ebbe una grande espansione, furono prodotte 417.000 bombe e granate, 490.000 colpi per cannoncini, 5 milioni di pallottole B.T.S. e 660.000 perforanti per mitragliatrici (35 ).

Furono inoltre costruite, per i bisogni della marina 62.247 tonnellate di munizionamento: 13.994 torpedini e 674 siluri ( 36 ).

Per avere un'idea complessiva della capacità produttiva rag- giunta, nonostante tutte le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, dall'industria italiana nel munizionamento, è necessario esaminare il programma per il primo semestre del 1919 fissato, in base alle richieste del Comando Supremo e alle possibilità industriali del Paese, agli inizi dell'ottobre del 1918. « Secondo tale programma la produzione colpi-finiti-vuoti è complessivamente preventivata in 16.231.000 corrispondenti ad una media (per i 180 giorni) di 90.150 proiettili giornalieri. Nel numero dianzi accennato sono compresi anche i piccolissimi calibri (57-42 40V-37/25-25), esclusa però la produzione delle granate da 37 Fant. delle quali è preventivato un allestimento complessivo di 7.500.000 corrispondenti ad una media di 41.500 al giorno» ( 37 ).

Per quanto si riferiva alla fabbricazione dei proiettili da bombarde il programma prevedeva le seguenti medie mensili:

Dai dati appare chiara, nell'ultima fase della guerra, la maggiore importanza data all'impiego del mortaio da fanteria (Stokes) rispetto a quello della bombarda. Era inoltre prevista la costruzione al mese di 1.500.000 petardi offensivi più 50.000 bombe a mano SIPE e circa 20.000 bombe da fucile al giorno (39 ).

In quanto alle armi portatili il programma prevedeva l'allestimento mensile di:

15 mod. 91 :95

910/915

"

L'enorme lavoro necessario alla produzione di una così imponente massa di materiali fu reso possibile, non solo dal pieno sfruttamento del macchinario esistente, ma anche dal grande ampliamento del numero degli impianti dell'industria meccanica,. « L'importazione di macchine utensili dall'estero, che era stata di 13.611 tonnellate nel 1907, nel 1917 raggiungeva le 22.488 tonnellate: massimo assoluto, che non verrà più superato fino alla seconda guerra mondiale, e a cui occorre aggiungere le 14.000 tonnellate di macchine utensili prodotte in quell'anno dall'industria nazionale» (41 ).

Il potenziamento della struttura industriale permise anche il rapido sviluppo dell'industria degli armamenti. Si è già fatto cenno alla lentezza ed ai ritardi con cui, tra il 1911 ed il 1914, l'industria italiana provvide alla costruzione di poche centinaia di cannoni di piccolo calibro (354 alla fine del dicembre 1914) (42 ), nel corso della grande guerra furono invece costruiti ben 16.000 pezzi di tutti i calibri a cui bisogna aggiungere circa 7.000 bombarde e lanciabombe; a queste cifre bisogna sommare i 2.664 pezzi allestiti per la Marina. La produzione delle armi automatiche, partendo praticamente da zero, raggiunse il totale di 37.029 mitragliatrici di vario calibro per il solo esercito. Ciò ridusse il concorso degli alleati, in questo settore in cui la potenzialità produttiva italiana era all'inizio pressocché inesistente, alla fornitura di circa 7.000 armi.

Per quanto si riferisce ai fucili, all'atto della mobilitazione si palesarono alcune carenze per l'insufficienza delle dotazioni di armi moderne; la situazione migliorò verso la fine dell'anno, ma l'arrivo di nuove reclute fece sì che nel febbraio del 1916 si manifestasse una deficienza di 113.000 fucili 91; ciò avvenne proprio mentre la cessione di 400.000 vecchi, ma sempre impiegabili, fucili 70/87 alla Russia riduceva Ja disponibilità di armi di riserva. La situazione migliorò lentamente nel corso degli ultimi mesi di quell'anno. « Negli anni successivi al 1916, la produzione nazionale fu tale per cui non si ebbe alcuna preoccupazione per la formazione quasi continua di nuovi reparti di fanteria e per il loro armamento » ( 43 ).

La grande capacità produttiva raggiunta dall'industria italiana degli armamenti fu messa in risalto dagH avvenimenti che seguirono la rotta di Caporetto.

Nell'ottobre del 1917, all'inizio della battaglia, l'artiglieria italiana disponeva di 7.138 pezzi di ogni tipo; al termine del ripiegamento la situazione era la seguente:

Tabella 16

Per sopperire alle gravissime carenze, l'esercito italiano poté disporre all'inizio solo di quella parte dei 1994 pezzi, costruiti tra il 1° luglio ed il 30 novembre 1917, che era stata tenuta di riserva. La famosa storia dei 600 cannoni da 105 costruiti in più dall'Ansaldo non è che una leggenda (44 ). Di fronte alla gravità della situazione gli imprenditori e le maestranze delle industrie belliche diedero prova di un notevole spirito patriottico (45) permettendo l'approntamento, il 12 dicembre, di un programma di emergenza secondo il quale, sospesa per qualche tempo la produzione dei proiettili d'artiglieria di piccolo calibro in considerazione dell'elevato numero di proiettili scarichi disponibili, e concentrata ogni risorsa nella produzione delle bocche da fuoco, fu possibile approntare, per la fine di aprile, altre 471 batterie nuove, più 682 pezzi di riserva.

Nel maggio poi furono prodotte ben 352 batterie complete per cui la produzione complessiva nei sei mesi considerati superò i 4 .000 pezz i.

« A t u tto aprile 1918, ossia dopo 6 mesi dalla data del nostro ripiegamento sul Piave, tutte le perdite in materiale d'artiglieria erano colmate» ( 46 ).

Per avere un'idea complessiva dei risultati raggiunti nel campo degli armamenti dall'Italia nel corso del primo conflitto mondiale basta comparare la disponibilità di armi all'inizio ed alla fine del conflitto:

Tabella 17

Fucili mod. 91

Fucili 70/87

Fucili a u tomatici

Moschetti mod. 91

Non meno eloquenti i dati relativi alla produzione di armi per l'esercito italiano ( aviazione esclusa) : Tabella 18

Per quello che riguarda la potenzialità raggiunta dall'industria italiana nel campo degli armamenti, essa è chiaramente illustrata dal programma per il primo semestre del 1919 che prevedeva l'allestimento del seguente materiale d'artiglieria: Tabella 19

Importante anche il programma di costruzione delle bombarde e dei mortai che richiedeva una produzione mensile di 2 bombarde da 400, 4 da 320, 80 da 240, 100 da 58 ed 800 mortai da fanteria (Stokes); oltre a ciò era stata finalmente prevista la consegna all'esercito italiano di 1400 carri armati tipo Renault, la cui produzione affidata principalmente alla FIAT, sarebbe dovuta avvenire al ritmo seguente:

Notevole anche la prevista produzione mensile di armi portatili calcolata in:

Tabella 21

Fucili 91 completi

Moschetti mod. 91 completi

Pistole automatiche

Pistole a rotazione

Mitragliatrici 914 Fiat

Mitragliatrici leggere SIA Moschetti mitragliatori

Va precisato che, per quanto si riferiva al1e mitragliatrici Fiat, i responsabili della Mobilitazione Industriale non ritenevano le ditte appaltatrici in grado di rispettare gli impegni assunti. Si sarebbe trattato comunque di una produzione insufficiente, tanto che era prevista la richiesta di 1200 mitragliatrici Vilkers al Governo inglese e di 800 Lewis a quello americano ( 49 ).

Nel corso della guerra l'industria automobilistica conobbe un periodo di grande espansione. Le previsioni relative all'impiego dei mezzi automobilistici, anche le più audaci, furono superate dalla realtà; infatti la pratica delle operazioni rivelò che il nuovo mezzo aveva possibilità quasi illimitate.

Per rendersi conto dell'importanza dell'autotrasporto militare bastano le cifre che testimoniano lo sviluppo del servizio automobilistico nel corso della guerra :

Tabella 22

Si tenga presente che questi dati si riferiscono al solo esercito operante e non tengono conto del personale e del materiale assegnato in territorio per servizi vari ( commissioni di requisizione, motoaratura ecc.). Si trattava di servizi che all'inizio del conflitto o non esistevano o non impiegavano automezzi e che alla fine della guerra impegnavano 20.000 uomini con circa 12.000 autoveicoli ( 51 ).

Alla creazione di questo imponente servizio l'industria italiana contribuì fornendo, nel corso della guerra, i seguenti materiali:

Tabella 23

Autovetture

Autoambulanze, autobus ed autobotti

Autocarri

Carri rimorchio

Carrozzerie per autocarri ed autovetture

Motocicli

Ganci di traino per rimorchi Fusti per benzina

Oltre a ciò il servizio automobilistico militare impiegò 938.750 pneumatici ed effettuò acquisti di parti di ricambio per 128 milioni di lire ( 53 ).

L'industria automobilistica italiana ottenne in quegli anni successi anche nel campo internazionale, come dimostrano i dati delle importazioni ed esportazioni di automezzi negli anni della guerra:

Poiché per i primi due anni gli autocarri sono compresi nel numero delle autovetture, è difficile fare un computo preciso. P er gli anni successivi, cessata completamente l'importazione degli autocarri dall'estero, l'industria italiana poté, in questo settore, affermarsi anche a livello internazionale finché le esigenze interne non divennero assolutamente prevalenti (si consideri che, tra l'ottobre 1917 e i primi di novembre 1918, il numero degli auto- carri dei servizi automobilistici dell'esercito aumentò di 11.000 unità nonostante le perdite causate dalla ritirata al Piave). Nel settore delle autovetture la concorrenza estera fu pienamente sconfitta; soltanto nel campo dei motocicli le fabbriche estere, soprattutto quelle inglesi, continuarono a tenere un indiscusso primato.

Nonostante i grandi progressi realizzati nel corso della guerra dall'industria automobilistica italiana, furono, senza alcun dubbio, le imprese aeronautiche quelle che ricevettero il maggior impulso dal conflitto. Le ditte costruttrici di velivoli passarono da quattro nel 1914 a otto nel 1915 per divenire undici l'anno successivo, ventuno nel 1917, e per raggiungere il numero di ventisette nel 1918. La produzione di aerei si accrebbe anch'essa proporzionalmente: 382 aerei nel 1915, 1255 nel 1916, 3.861 nel 1917 ed infine 6.523 nel 1918, per un totale complessivo di 12.021 velivoli. Sviluppo analogo ebbero le fabbriche che si occupavano di produrre le eliche: tre ditte nel 1915, undici nel 1916, trentuno nel 1917, sessantadue nel 1918, con una produzione di 1.700 eliche nel primo anno di guerra, 7.585 nel 1917 e 30.498 nel 1918. Estremamente significativi sono poi i dati relativi alla produzione dei motori di aviazione:

Tabella 25

« Un'idea abbastanza precisa dell'impulso assunto dall'industria aeronautica durante la guerra è fornita dalla constatazione che, nel solo anno 1918, furono prodotti il 53% dei velivoli, il 61 % dei motori e il 76,5% di eliche isolate di tutta la produzione del periodo bellico. All'armistizio rimasero in sospeso (e fu. rono poi annullate) commesse per altri 15.592 apparecchi e 26.111 motori» ( 55 ).

Al termine del conflitto il servizio aeronautico disponeva di 1.055 apparecchi alla fronte e di 1.600 nelle scuole, di 7 dirigibili, 1.200 apparati R.T., 3.468 mitragliatrici per aerei, 2.069 cannoncini e pistole mitragliatrici, 515.240 bombe di vario tipo ( 56 ).

L'enorme sviluppo dell'industria aeronautica nell'ultimo an- no di guerra fu reso possibile dalla concentrazione degli sforzi e dei mezzi in questo settore, riducendo, come già si è detto, altre produzioni. Si manifestava anche in ciò l'azione di stimolo e al contempo di controllo della Mobilitazione Industriale.

L'industria meccanica italiana provvide anche all'allestimento dei « mezzi tecnici ausiliari» per l'esercito, che comprendevano una svariatissima qualità di articoli di cui elenchiamo qui solamente i più notevoli per quantità:

Tabella 26

Filo spinato

Paletti di ferro per reticolato

Ferri a doppio T

Lamiere dei vari tipi

Elementi curvi di trincea

Filo d'acciaio

Fune metallica

Reti metalliche varie

Tubi di ferro e di acciaio bulloni, chiodi e viti

Tutto questo materiale, ad eccezione del filo spinato per cui si dovette ricorrere per il 58% del fabbisogno all'importazione dagli Stati Uniti, fu prodotto dall'industria italiana che provvide anche alla fornitura di 3.000.000 di badili e a quella di 3.000.000 tra picconi e gravine ( 57 ).

Negli anni della guerra la produzione di materiale ferroviario subì invece un forte rallentamento. Si preferì infatti sfruttare al massimo il materiale esistente e impiegare le industrie e i capitali nelle lavorazioni necessarie allo sforzo bellico. La produzione del materiale rotabile ferroviario fu in quegli anni la seguente:

Tabella 27

La carenza di nuove costruzioni non mancò di far sentire il suo peso e rese più difficili e faticosi i trasporti. « Numericamente le FF.SS. entrarono in guerra con 5.047 locomotive e ne escono con 5.207. Il materiale è tuttavia invecchiato, l'età media della locomotiva a vapore FF.SS. è salita dai 14½ anni del 1914 a 16 anni nel 1918. Il materiale dà, col durare della guerra, malgrado le sforzate cure di manutenzione, un evidente accenno di stanchezza al termine della stessa » ( 59 )

Venne invece fortemente sviluppata, partendo praticamente da zero , la produzione di materiale per ferrovie a scartamento ridotto Décauville .

Nel 1917 era in servizio un'ampia rete che permise in quell'anno il trasporto di 888.977 tonnellate con l'impiego di ben 156.145 treni, per un percorso medio di 11 ,2 Km. In seguito al ripiegamento al Piave, si dovette abbandonare gran parte della linea.

Sulle posizioni raggiunte fu però costituita un'altra rete con nuovo materiale. Attraverso queste reti furono trasportate nel corso del 1918, 715.713 tonnellate di materiali con l'impiego di 127 .333 treni con percorsi medi di 9,2 Km. Alla fine del conflitto le linee a scartamento ridotto approntate dagli Italiani avevano raggiunto un'estensione complessiva di 800 chilometri ed avevano richiesto la posa complessiva di 3.000 chilometri di binario (60 ).

Queste linee ferrate in miniatura erano servHe da 300 locomotive e da ben 10.000 veicoli (esclusi i carrelli per il trasporto della terra) (61 ).

L'industria cantieristica italiana, nonostante l'estrema necessità di disporre di un gran numero di navi, non fu particolarmente potenziata, come risulta dai dati relativi alle costruzioni navali:

Benché il diminuito rapporto tra il numero delle unità e il tonnellaggio dimostri che ci si stava orientando verso la produzione di unità di lungo corso, lo scarto tra il naviglio varato durante la guerra e quello sceso in mare negli ultimi quattro anni di pace è molto modesto. Si tratta infatti di 39.479 tonnellate di più, che, rispetto alla necessità di naviglio determinatasi nel corso della guerra, sono irrilevanti. A determinare questa situazione non fu certo la capacità degli impianti, ma oltre alla carenza delle materie prime, vi fu il fatto che l'attrezzatura cantieristica fu molto impegnata per effettuare riparazioni di naviglio nazionale ed alleato. I dati seguenti si riferiscono ai giorni di permanenza in cantiere delle navi in riparazione:

Tabella 29

Anche le industrie dell'ottica e della meccanica di precisione potenziarono considerevolmente la loro produzione in seguito alle commesse militari.

Considerando il panorama dello sviluppo complessivo delle industrie meccaniche italiane nel corso della prima guerra mondiale, non si può che convenire con quanto ha scritto il Romeo: « Si può dire veramente che solo con la guerra l'Italia abbia visto il nascere di una industria meccanica di dimensioni adeguate all'apparato produttivo nazionale, e anzi, eccedente in larga misura i bisogni della produzione di pace» (64 ).

Oltre alle industrie siderurgiche e meccaniche, anche l'industria chimica conseguì, negli anni della guerra, un forte sviluppo. E necessario tener presente che fino allo scoppio del conflitto il mercato italiano era in questo settore dominato dall'industria tedesca. Negli anni della guerra quindi le imprese chimiche italiane si trovarono in una particolare situazione di favore per svilupparsi; tuttavia, per le carenze delle materie prime, fu necessario anche in questo campo contrarre alcune produzioni per poterne sviluppare altre. « Ridotto il consumo di sapone per usi civili e quello dei concimi chimici, la produzione d ei perfostati cadde da 925.000 tonnellate nel 1914 a 432.000 nel 1918, e quella della calciocianamide da 15.500 tonnellate nel 1914 a 7.000 nel 1918; e si dovette invece fronteggiare la larghissima domanda di esplosivi e dei relativi elementi, accrescere la produzione di medicinali, moltiplicare quella dell'idrogeno e dell'ossigeno (il quale ultimo passava da 712.500 mc. prodotti nel 1914 a 2.960.000 mc. nel 1918) » (65 ). Nonostante il concentramento degli sforzi nel settore degli esplosivi la carenza di materie prime incise pesantemente sulla capacità produttiva delle industrie italiane del settore. Per quanto riguarda gli esplosivi da lancio « di fronte a un fabbisogno mensile di balistite che mediamente fu di poco inferiore alle 3.000 tonnellate, la produzione nazionale non raggiunse neppure le 2.000 tonnellate» {66 ). « P er l'esattezza, la capacità produttiva degli stabilimenti italiani assommava a 1.750 tonnellate mensili; tali risultati costituivano però la potenzialità massima visto che "in genere" non furono neppure raggiunti » ( 67 ). « Per sopperire alla carenza di materie prime si dovette ricorrere largamente all'aiuto degli alleati». « Il problema della cellulosa fu da noi risolto con importazione, essenzialmente dall'America, di cascami di cotone e di linters (fibre corte di cotone) » ( 68 ).

Notevoli difficoltà presentò anche« l'approvvigionamento delle altre materie prime organiche necessarie alla fabbricazione degli esplosivi appartenenti alla serie degli idrocarburi aromatici (prodotti dalla distillazione del carbon fossile) e comprendenti inoltre la glicerina e l'acetone» (69 ). Minori difficoltà incontrò invece l'approvvigionamento degli acidi. « Per la nostra forte disponibilità di piriti di zolfo, fu possibile preparare acido solforico in gran copia sia col vecchio processo delle camere di piombo, sia col processo più recente di sintesi dell'anidride carbonica» (1°).

Riguardo all'acido nitrico si riuscì più che a quadruplicarne la produzione ( 71 ). Infatti, « la produzione bellica mensile media di acido n itrico è stata di oltre 70.000 quintali in confronto ai 15 .000 antebellici » (7 2 ).

La carenza delle altre materie prime necessarie all'approntamento delle cariche fu però tale che non permise, per un lungo tempo, che la capacità di caricamento dei proiettili eguagliasse quella di produzione e nello stesso 1918, quando la situazione era decisamente migliorata, con un fabbisogno previsto di 3.850 tonnellate mensili « l'industria nazionale e il rifornimento dall'estero di esplosivi vari poterono provvedere a circa 3.600 tonnellate di esplosivo lasciando insoddisfatta la residua domanda di 250 tonnellate » (7 3 ).

Per gli esplosivi di scoppio, nonostante si fossero introdotti esplosivi al nitrato di ammonio, ai clorati e perclorati in sostituzione del tritolo, la cui produzione abbisognava di materiali in gran parte importati, non si poté sopperire con la produzione nazionale alle necessità della guerra. Infatti nel 1918, su una richiesta di 6.600 tonnellate mensili di esplosivo, l'industria italiana fu in grado di produrne solamente 2.900 in media. Si dovette quindi ridurre il programma di costruzione dei proiettili d'artiglieria e contemporaneamente ricorrere all'importazione dai Paes i alleati. La produzione totale degli esplosivi ( di lancio e di scoppio) effettuata in Italia negli ultimi anni di guerra è illustrata dalla seguente: Tabella 30

Se si considera che dal gennaio 1917 al giugno 191 8 la pr~ duzione era pressocché raddoppiata, non si potrà fare a meno di constatare quanto sia stato grande lo sforzo dell'industria italiana nel settore. Tuttavia bisogna rilevare che, nonostante i risultati raggiunti, si era ben lontani dal soddisfare le richieste del Comando Supremo che assommavano nel 1918 a 10.250 tonnellate di esplosivo mensili. I programmi di munizionamento furono, forzatamente, ridotti; nonostante ciò si dovette ricorrere massicciamente alle importazioni di esplosivi dall'estero. Per avere un'idea dell'importanza di questi aiuti ottenuti dagli alleati, si consideri che nel 1918 poco meno della metà dell'esplosivo di scoppio impiegato in Italia era stato importato ( 75 ).

Per quanto riguarda gli aggressivi chimici, ne furono prodotti in Italia complessivamente 13.000 tonnellate, in gran parte cloro e fosgene, benché nell'ultimo anno di guerra l'esercito italiano disponesse di granate all'iprite. Questa era di provenienza francese per la quasi totalità, poich é la produzione su larga scala di questo gas iniziò in Italia solo poco prima dell'armistizio. Oltre al cloro ed al fosgene, l 'industria italiana produsse anche piccole quantità di gas lacrimogeno (76 ).

Successi ben maggiori furono fortunatamente conseguiti dall'industria ch imica italiana nel campo dei medicinali, settore in precedenza controllato dall'industria germanica e in cui si riuscì a far fronte, sia pure non senza sforzo, alle richieste provenienti dal Paese e dall'esercito. Per quel che riguarda l'industria della gomma, si è in precedenza fatto cenno a ll a notevolissima quantità di pneumatici acquistati nel corso della guerra dall'amministrazione militare.

Tali commesse non esaurirono tuttavia le capacità produttive dell'indus t ria italiana, nonostante questa dipendesse totalmente dall'importazione per quanto riguarda le materie prime:

Tabella 31

La contrazione delle esportazioni di pneumatici dopo il primo anno di guerra, nonostante il progressivo aumento delle importazioni di gomma greggia, è da mettersi in relazione con l'aumento della domanda interna, cosa di cui ci si rende facilmente conto se si considerano le cifre relative al progressivo aumento della motorizzazione militare.

Per quanto riguarda le industrie conciarie e delle ca lzature, esse dipendevano per gran parte delle materie prime provenienti dall'estero; la produzione delle calzature, che al giugno 1915 era di 395.000 paia al mese, fu portata nel settembre 1916 a 810.000. Nonostante questo aumento, fu necessario importare grossi quantitativi di scarpe già pronte per coprire una richiesta m ensile che era circa di un milione di paia ( 78 ).

Il commercio con l'estero in questo settore, in quegli anni, è contraddistinto da grosse importazioni sia di materie prime che di prodotti finiti ; eccone i dati alla tab. 32.

Dai dati risulta come, sia pure lentamente e con l'utilizzazione di una grande quantità di materia prima di importazione, l'industria italiana delle calzature si avviasse a fronteggiare il fabbisogno nazionale; infatti l'importazione di scarpe già confezio-

Tabella 32

Anno Pelli gregge e salate Pelli conciate Paia di scarpe importaz. esportaz. importaz. importaz.

nate, dopo la massima espansione raggiunta nel 1916, tende a contrarsi rapidamente, per il progresso conseguito dalla industria italiana nel settore.

L'indu stria cotoniera si trovava, allo scoppio della guerra, in una crisi di sovrapproduzione. Le condizioni particolari create dal conflitto d eterminarono la risoluzione di questa crisi. Si verificò infatti una contrazione dell'importazione di tessuti e filati esteri cd un forte in cremento dei consumi interni. « Questo consumo fece assorbire rapidamente gli stoks accumulati e sollecitò la produzione che, specialmente nei primi due anni di guerra, si riaccese anche per il fatto che le importazioni di materia prima si potevano effettuare senza eccessiva difficoltà » ( 80 ).

L'industria cotoniera fu anch'essa vittima della guerra sottomarina illimitata intrapresa dalla Germania, come risulta dai seguenti dati:

Come si vede, con il 1917 le importazioni , e quindi la produzione, si contraggono. Degno di nota è il fatto che sebbene la produzione di quell'anno fosse scesa al di sotto della media prebellica, gli utili dichiarati dalle industrie del settore furono del 12,77 % mentre quelli del 1914 erano stati dello 0,94 % ( 82 ).

Questo fatto non deve sorprendere; infatti le commesse militari, che per il solo vestiario furono pari al 16% della intera produzione del periodo, avevano fatto aumentare la domanda provocando un aumento dei prezzi.

Anche nel settore laniero vi fu una notevole espansione « stimolata dalla domanda interna quasi triplicata, ma allargatasi anche all'esportazione » ( 83 ).

Tuttavia l'industria laniera, come quella del cotone, dipendeva in gran parte dalle importazioni per le materie prime; la produzione nazionale di lana grezza era infatti paurosamente insufficiente. Si pensi che« nel 1917, mentre il fabbisogno era stato preventivato in circa 500.000 quintali, di cui 340 000 per l'esercito e 160.000 per la popolazione civile, la produzione di lana lavata si contenne in quintali 68.000 e nel 1918 per quintali 55.000 » ( 84 ).

Fu quindi necessario ricorrere all'importazione di lana greggia e di semilavorati nella misura seguente: Tabella 34

La produzione di tessuti di lana come quelli di cotone subì una riduzione in seguito all'offensiva sottomarina germanica, come è evidenziato dai dati sull'esportazione e l'importazione dei panni di lana:

Il crollo delle esportazioni fu conseguenza dell'emanazione di norme che vietavano di espo rtare tessuti di lana. Nonostante questo provvedimento la situazione produttiva si aggravò ulteriormente. « Negli ultimi mesi del 1917 le difficoltà dei trasporti e delle importazioni, nonché la limitazione della forza motrice agli stabilimenti industriali, ridussero, per esempio, la produzione dell'industria laniera ad un terzo di quanto era necessario ai rifornimenti. Nel maggio 1918 erano inattivi decine di stab ilimenti, molti dei quali importanti, per mancanza di materie prime, ferme nei porti di sbarco per deficienza di mezzi di scarico e di trasporto. Nel luglio 1918 la crisi dei rifornimenti di vestiario, specie degli oggetti di panno e di tela, venne ad accentuarsi; le cause principali erano sempre: la deficienza di materia prima, le difficoltà dei trasporti, e, per alcuni generi, la scarsa efficienza di impianti e di mano d'opera nelle industrie » ( 87 ).

Nonostante ciò, « l'industria nazionale soddisfece quasi completamente alle richieste dell'ese rcito dal punto di vista quantitativo» ( 88 ). Le imprese italiane non si limitarono a questo ma approfittarono della guerra per colmare lo svantaggio che le separava dalle industrie estere dello stesso setlore. Infatti, mentre precedentemente alla guerra l'Italia dipendeva quasi completamente dall'estero per i tessuti pettinati, nel corso del conflitto l'industria italiana si pose in grado di fornire all'esercito ben 45.830.000 metri di questi tessuti ( 89 ).

Gli jutifici trassero grande vantaggio dalla guerra fornendo con facilità , data la larga disponibilità nazionale d elle materie prime, i 271 milioni di sacchi a terra e i 56.303 mq. di tela juta richiesti dall'amministrazione militare (90 )

Le cose non andavano però altrettanto bene nel settore dell'industria serica, nel quale « la guerra aggravava la crisi della trattura , dove le bacinelle si ridussero del 20 % e la produzione di seta greggia da 4.479 tonnellate nel 1914 precipitò a 2.134 tonn ellate nel 1919, nonostante qualche progresso nella tessitura e nella tintoria, dovuto, quest'ultimo alle nov ità prodottesi nell'industria chimica nazionale » (91 ).

Una delle novità realizzate dalle imprese chimiche italiane era s tata la creazione di fibre sintetiche che avevano preso il nome di « seta artificiale»; la produzione su vasta scala dei nuovi filati non aveva potuto fare a meno di danneggiare le tradizionali attività seriche.

L'industria dei materiali da costruzione non ebbe un grande sviluppo negli anni del conflitto. La carenza di mano d'opera arrestò quasi del tutto l'industria edilizia. Nello stesso periodo la richiesta di materiali da costruzione da parte dell'esercito fu la seguente:

Tabella 36

Mattoni

Cemento a lenta presa

)) a presa rapida

Calce idraulica e comune

50.000.000

1.579.900 quintali

754.000

786.000 )) )) (92)

Questa modesta domanda non poteva certo da sola incentivare la produzione, visto che la capacità produttiva nazionale era di 10 milioni di quintali annui di cemento, mentre quella della calce si aggirava intorno ai 14 milioni di quintali ( 93 ).

La domanda provocata dalle esigenze militari fece aumentare tuttavia la produzione di altri materiali da costruzione. Furono richieste dalle necessità dell'esercito 1.935.200 mq. di Eternit e 6.815.450 mq . di cartone incatramato; in qualche caso, come per il feltro catramato, di cui furono impiegati 1.360.400 mq., nell'insufficienza della produzione nazionale, si dovette ricorrere all'importazione. Ebbe anche enorme espansione, nel corso della guerra, l'industria del legno: per le sole necessità dell'esercito occorsero 2 225.500 metri cubi di legname da costruzione e 11.000.000 di metri cubi di legna da ardere ( 94 ).

Anche sul mercato interno per la diminuita disponibilità di carbone, la legna da ardere fu largamente impiegata. L'aumentata richiesta di legname si tradusse, purtroppo, in ampi e non sempre razionali disboscamenti e ciò, anche se non immediatamente, non avrebbe mancato di avere un'influenza negativa sul patrimonio boschivo e sulla sistemazione idrologica del Paese.

Considerando complessi vamente lo sforzo bellico italiano esso appare senza dubbio notevolissimo; tuttavia per valutarlo a pieno è indispensabile raffrontarlo a quello degli altri Paesi belligeranti. L'esame della tab . 37 consente di comparare la produzione degli armamenti per l'esercito francese e italiano.

Come si vede l'Italia appare nettamente surclassata. Non sarà male però ricordare che la produzione di guerra francese iniziò un anno prima rispetto a quella italiana, che la Francia disponeva già prima della guerra di una grande industria degli armamenti, infine va rilevato questo elemento fondamentale: che la potenzialità industriale francese anteguerra era ben altra in

Tabella 37

Materiali Francia Italia

confronto a quella italiana. Bisogna considerare infatti che, nel biennio precedente al conilitto, la media della produzione di ghisa in Francia era di 4.600.000 tonnellate contro le 400 .000 italiane e ch e nello stesso periodo si producevano oltral pe 3.500.000 tonnellate d'acciaio contro le 900.000 dell'Italia ( 96 ). Considerando questi punti di partenza e le difficoltà per l'approvvigionamento delle materie prime si comprende quanto, nel complesso, sia stato notevole lo sforzo industriale italiano nel cor so della prima guerra mondiale.

No T E

(l) Cfr. R. ROMBO: Breve storia della grattde industria i1t Italia, Bologna 1967, p . 237. dati sono in milioni di lire.

(2) Ministero dei trasporti marittimi e ferroviari: Dati e notizie relative alla situai.ione e all'impiego del tonnellaggio naziouale ed estero sorto il co11trollo italiano ed al traffico marilltmo di importazione. (Citato da qui innanzi come Dari e notizie), Roma 1919, tabelle 7-9.

(3) C. ROSTAGNO: Lo sforzo i,idustriale dell'Italia cit., marzo 1927, p. 381.

(4) B. FAYU!: Il traffi co maritrimo, Roma 1931, voi. II, p. 345.

(5) cfr. L. EINAUDI: La questione del carbone ed il porto di Genova, in • 11 Corriere della Sera• del 12 1.1916.

(6) L. ErNAtiD1: La condorta economica, cit., p. 149.

(7) Secondo calcoli dell'Einaudi, già sul primo aumento i noli ed i premi assicu· rativi avevano influito per ben 75 lire su 160 L. Enu\11>1: La questione del carbone, cit .,

(8) J.A SALlEl: Il controllo i11tcralleato del traffico marircimo, Torino 1938, p. 8.

(9) C.E. FAYLB: op clt.: p. 372.

(10) Dati e notìzle cit.: tabella I. Le perdite si riferiscono al periodo 31 dicembre 1914, 1 luglio 1919.

(11) Ibidem.

(12) L. E1muo1: La condotta economica, cit.: 81.

( 13) Cfr. R. ROMEO: op. cit., p. 234. I dati sono in milioni di KWh

(14) L Enuuor: La condotta eco nomica, op. cit., p. 153.

(15) V. FRANCHJNI : La Mobilita zione , cìt., p. 189.

( 16) I dati, espressi in tonnellate, sono desunti da V. FRANClllNI in La mobilitatlo· ne , cit., p. 190 e da R ROMEO: op. cit., p. 217 ss

(17) Cfr. V FRANCHINl: La Mobilitazione , op. cit., pp 193-195.

(18) L EINAUDI: La co11do11a economica, cit. , p 155.

( 19) Dati e 1101itie, cit., pp. 13-15.

(20) Si consideri che secondo i dati di fabbricazione dell'epoca erano necessari 9,8 Kg. di acciaio per la costruzione di un proiettile di piccolo calibro, 45,3 Kg. per un colpo di medio calibro e 255 Kg. per uno di grosso calibro. Cfr. C Gel.OSO: Produzione, rifornimento e consumo di munizioni per artiglieria durante la guerra italo-austriaca 1915-1918, in « Rivista d'Artiglieria e Genio•, marzo-aprile 1918, p. 7 dell'estratto.

(21) Ibidem, p. IO.

(22) Cfr. V. FRANCHINI: La Mobilitazione , cit. , p. 196 e R. ROMEO: op. cit., p. 227.

(23) R. ROMEO: op. cii., pp. 117-118.

(24) V. F'RAKCHINJ: La Mobilitazione ...• cit., p. 197.

(25) C. Gaoso: art. cit., p. 30-31.

(26) Ministero della Guerra: I rifornimenri dell 'eserci to mobilitato durante la guerra alla fronte italiana, (1915-1918), Roma 1924, p. 238.

(27) c. GELOSO: art. cit., p. 21.

(28) Cfr V. FRANCHINI: op. cir., p. 193. I dati sono in migliaia di tonnellate.

(29) C. Gm.oso: art. cit., p. 13.

(30) C. Gm.oso: art. cit., pp. 14-15.

(31) C. MoNTtl: Storia dell'artiglieria italiana, Roma 1934-1955, voi. XI, pp. 643-644.

(32) Ibidem, voi. X, p. 558.

(33) Ibidem.

(34) Ibidem, voi. XI, pp. 647-650.

(35) R. ABATE: Storia dell'aeronautica italiana , Milano 1974, p. 139.

(36) C. Mo~Tù: op. cit., voi. XI. pp. 681-682.

(37) A.C.S. Ministero Armi e Munitioni b. 16. Promemoria in data 10.10.1918, dell'Ufficio dati e statistiche: « Programmi d'armamento per il 1919 •.

(38) Ibidem.

(39) Ibidem. Vedi anche l'allegato alla lettera 335 R.V. dell'Ispettore Superiore Tecnico in data 1 ottobre 1918.

(40) ibidem. « Programmi d'armamento per il 1919 •, cit..

(41) R. Ro~mo: op. cit., p. 119

(42) R.U.I. voi. I (narrazione), p. 89

(43) I dati relativi alla produzione delle armi sono desunti da C. MoNTù: op. cit., voi. X, pp. 556-558 e voi. XI, pp. 640-642 e 680.

(44) La leggenda dei 600 cannoni diffusa dagli autori vicini all'Ansaldo ed ai Ferrone viene, purtroppo, accettata pressocché da tutti. la realtà dalle carte Dallolio risulta chiaramente che tulio il materiale prodot10 dall'Ansaldo era stato in precedenza regolarmente commissionato. Le particolari condizioni di commozione nazionale del novembre 1917 permisero un lavoro particolarmente intenso (vedi allegato n. 7) nulla di più. Gli unici pezzi prodotti in eccedenza rispetto alle ordinazioni furono gli obici da 105 che però risultarono un fallimento. Fu probabilmente per ottenere che il Ministero si addossasse la totalità del costo di questo fallimento che il 3 gennaio 1918 Perrone scrisse a Dallolio per avvertirlo che non avrebbe più potuto costruire nuovi pezzi senza nuove commesse come sosteneva di aver fatto fino ad allora. Il Presidente dell'Ansaldo aggiunse poi: « Gli uffici tecnici dipendenti da V .E. possono facilmente, quando lo vogliono, controllare l'esattezza di queste nostre affermazioni; basterà che contino i cannoni in lavorazione nelle nostre officine per constatare che il loro numero supera quello dei cannoni ordinatici •. Era un invito temerario con un uomo come Dallolio che Perrone avrebbe dovuto conoscere meglio. Infatti il 20 iennaio, rispondendo alla leltera del 3 e ad una successiva offerta, il Ministro comunicò l'es110 della indagine in base alla quale gli unici materiali costruiti in eccedenza sulle commesse erano appunto gU obici da 105. (Per tutta la vicenda vedi gli allegati: 8, 9, 10).

(45) vedi allegato n. 7.

(46) c. MONTll: op. cit., voi. Xl, p. 637.

(47) Ministero della Guerra: Alcuni dati sulla prima guerra mondiale 1915-1918, Roma 1935, p 29. Le cifre comprendono sia i materiali presso le truppe, sia quelli conservati nei magazzini.

(4S) Minlstero della Guerra: / rifornimenti , cit p. 238.

( 49) A.C.S. Ministero Armi e Munizioni b. 16, lettera e promemoria citati.

(50) A. P uGNANI: Storia della motorizzazione militare italiana, Torino 1951, p. 245.

(51) Ibidem.

(52) Si noti che su 43.390 autoveicoli ben 37.019 furono fomìti dalla FTAT. Cfr. A. PUGNANI: op. cit., p. 244.

(53) Ibidem: pp. 246-248.

(54) Cfr. c. ROSSAGNO: arr. cir., gennaio 1927, p. 49.

(55) R. ABATE: op. cit., p. 138. Da questa opera sono ricavati anche i dati relativi alla produzione aeronautica.

(56) Ministero della Guerra: I rifornimenti, cit., pp. 263-265. Le armi elencate sono in più di quell.e costruite per conto dell'esercito i cui dati sono stati forniti in precedenza.

(57) c. ROSTAGNO: art. cii., rebbralo 1927, p. 247.

(58) Cfr. R. ROMEO: op cii., p. 229.

(59) P. LAINO: Le ferrovie italiane nella guerra italiana 1915-1918, Roma 1928, p. 87.

(60) Ibidem: pp. 100, 105.

(61) Ministero della Guerra: I rifornimenti, cit., p 254.

(62) Cfr. R. Ro>.tllO: op. cit., p. 228.

(63) C. MoSTù: op. cii., vol. XI, p. 680.

(64) R. ROMEO: op. cii., p. 119.

(65) Ibidem: p. 120

(66) C. Moi.'Ttl: op. cii., voi. Xli, p 347.

(67) C. PlrrRA 01 CACCUlu: T.'industria degli esplosivi in Italia durante la guerra e la loro Lllilizza zione nel dopoguerra, in • Rivista di Artiglieria e Genio•, settembre 1923, p. 216.

(68) c. MONTt/: op. cit., voi. XII, p. 347.

(69) V. FRAscm.'-1: La Mobilitazione, cir., p. 214.

(70) C. Moi.--rù: op. cit., voi. XII, p. 247.

(71) V. FRAXCffiNI: op. cii., p. 214.

(72) c. Pl!TRA DI CACCVRI: art. cit., luglio-agosto 1923, p. 119.

(73) V. FR.U,CHINI: op. cii., p. 214.

(74) C. Pl!TRA DI CACCI.JlU: art. cit., settembre 1923, p. 247.

(75) Cfr. C. MoNTCl: op. cit., voi. X, p. 562.

(76) 1bidem: voi. XI, pp. 636-641.

(77) I dati sono io migliaia cli quintali e sono tratti da C. RosTAGNO: art. cit., febbraio 1927, p. 280.

(78) Camera dei Deputati: Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta per le spese di guerra, Roma 1923, (citata d'ora innanzi come Commìssione Parlamentare), voi. II, p. 557.

.

(79) I dati sono io migliaia cli tonnellate e sono desunti da C. MoSTù: op. cii., ~ol. Xi, p. 728.

(80) V. FRANCIJJ!\L: La mol,ititazione , cit., p. 217.

(81) I dati sono in migliaia di quintali. Cfr. C. ROSTAGNO: op. cii., febbraio 1927, p. 268. Vi era una minima esportazione di cotone in bioccoli ed una piccola importa· ziooe di filati entrambe di scarsissimo rilie\'o.

(82) R. ROMEO: op. cit., p. 116.

(83) Ibidem, p. 120.

(84) V. FRA.NCHINI: La mobilitatione, cit., p. 220.

(85) I dati sono in migliaia cli quintali. Cfr. C. ROSTAGso: op. cit., febbraio 1927, p. 270.

(86) Cfr. ibidem, p. 271. I dati sono in quintali.

(87) Mlolstero della Guerra: Statistica dello sforzo militare italiano nella guerra mo11diale: I servizi logistici, a cura di F. Zugaro e R. Ratiglia, Roma 1929, pp. 278-279.

(88) V. FltANCRJNI: op. cit., p. 223.

(89) Cfr. c. ROSTAGNO: op. cii., febbraio 1927, pp. 271-273.

(90) Ibid em, p. 275.

(91) R. Ro~lEO: op. cit., p. 120.

(92) V. FRA.,,;CJum: op. cit., p. 224.

(93) Ibidem, p. 225.

(94) Cfr. c. MoNTCl: Op. cii., voi. XI, p. 729.

(95) I dati relativi alla produzione di armi italiane sono riassunti dalle pagine precedenti, queUi francesi provengono dalla nota Idee generali sulle fabbricaz.iom di guerra in Francia e sui loro rapporti cou la nawra della guerra, pubblicata dalla • Rivista d'Artiglieria e Genio • nel m:irzo del 1923, pp. 134-138.

(96) R. ROMEO: op. cit., pp. 115-116.

Capitolo Iii

L'Italia, come altre nazioni europee, possedeva già prima dello scoppio del conflitto una vasta gamma di stabilimenti militari. Questa situazione non derivava soltanto dal perpetuarsi di vecchie strutture in buona parte risalenti al periodo pre-unitario, ma rispondeva anche a considerazioni di estrema attualità. Si riteneva, infatti, non senza qualche fondamento, che sarebbe occorso un certo tempo prima che tecnici e maestranze dell'industria privata acquistassero l'esperienza necessaria alla produzione dei vari e complessi materiali necessari all'esercito. Bisogna considerare, come già abbiamo accennato, che dopo il 1870 si era andata formando in tutti gli Stati Maggiori europei la convinzione che un'eventuale guerra continentale sarebbe stata di rapidissima risoluzione.

All'epoca della guerra russo-giapponese non vi era commentatore che, dopo aver oservato l'andamento delle manovre dei contendenti su vasti spazi, non si sentisse in dovere di precisare come, in caso di un conflitto europeo, la celerità delle operazioni sarebbe stata di gran lunga maggiore in considerazione della migliore rete stradale, della grande ampiezza dei trasporti ferroviari , della maggiore disponibilità di artiglierie. Tutto ciò avrebbe dovuto rendere gli scontri più rapidi e decisivi. Si sarebbe trattato, in definitiva, di una guerra combattuta in gran parte dall'esercito peQ:nanente contando soprattutto sulla disponibilità dei materiali di mobilitazione tempestivamente aumentati dall'incessante lavoro degli stabilimenti militari. In realtà proprio l'impiego strategico delle ferrovie e la grande disponibilità di artiglierie ed armi automatiche, uniti alla mobilitazione di milioni di uomini, favorì le azioni difensive e la stabilizzazione dei fronti. Infatti, il trasporto ferroviario permise al difensore di spostare truppe nei punti minacciati rintuzzando le offensive dell'attaccante le cui truppe avanzanti, muovendosi a piedi, erano molto più lente di quelle che viaggiavano in ferrovia. L'aumentata capa- cità distruttiva delle armi facilitò il compito della difesa permettendo di arrestare col fuoco il movimento avversario . La mobilitazione di grandi masse permise al difensore di disporre sempre di riserve sufficienti e infine fece sì che il fronte di battaglia venisse s aturato rendendo impossibile qualsiasi manovra avvolgente.

La realtà della guerra, così diversa dalle previsioni, costrinse tutti gli Stati che vi presero parte a compiere un enorme sforzo impiegando tutto il proprio potenziale industriale. Ovviamente gli stabilimenti militari furono i primi ad essere impegnati nella produzione.

Il gruppo più importante degli impianti militari italiani interessati alle costruzioni belliche fu, senza dubbio, quello delle costruzioni d'artiglieria. Il numero degli stabilim enti, già alquanto esteso, non aumentò nel corso del conflitto, ma gli impianti stessi conobbero un grande ampliamento e la produzione fu enormemente aumentata. Fu infatti fabbricata dagli enti militari, la totalità dei fucili e moschetti 91 (officina di Roma 244.377 fucili, fabbrica di Brescia 534.000 mosch etti più 5.131.000 parti di fucile, ed il resto dalla fabbrica di Terni); furono ricalibrati

709.768 fucili 70/87 (officina di Roma); anche gran parte delle mitragliatrici italiane furono costruite dagli stabilimenti militari (24.879 dalla fabbrica di Brescia), notevole fu anche il contributo neJla costruzione, ma soprattutto nell'allestimento e completamento, dei pezzi d'artiglieria (officina di Torino, arsenali di Torino e di Napoli, direzioni d'artiglieria di Torino, Piacenza, Venezia, Genova, Roma). L'organi zzazione militare provvide anche alla costruzione di una quanti tà notevolissima di affusti e di altri materiali d'artiglieria (1). Per quanto riguarda il munizionamento i laboratori pirotecnici di Capua e Bologna provvidero a gran parte del munizionamento per le armi leggere; infatti per il solo fucile 91, la capacità produttiva giornaliera complessiva era di 2.450.000 cartucce complete. Nella fabbricazione delle spolette dei proiettili, delle cariche di lancio e di scoppio, anche se non così ril evante come per le armi leggere, l' attività degli stabilimenti militari fu notevolissima; oltre a ciò furono costruiti materiali di ogni genere . :E. da segnalare a tal proposito l'attività del laboratorio di precisione di Roma c he produceva anche per l'industria privata. Oltre alla produzione di materiali nuovi, va considerato che questi stabilimenti riparavano una quantità enorme di materiali danneggiati.

L'organizzazione delle costruzioni d'artiglier ia ebbe nel corso della guerra una notevolissima espansione; nel 1914 infatti gli stabilimenti avevano un personale di complessivi 10.280 tra ufficiali addetti, impiegati ed operai. Nell'ottobre del 1918 la situazione del personale era invece la seguente:

Complessivamente quindi il personale degli stabilimenti d'artiglieria raggiungeva le 61.551 unità. Si era verificato, rispetto l'anteguerra, un aumento di oltre il 600% del personale imp egnato, con un incremento che non trova riscontro nelle imprese industriali private. Riguardo alla composizione delle maestranze operaie si conoscono i dati relativi all'occupazione femminile:

I dati si riferiscono ai mesi di agosto degli anni conside rati.

Come si vede l'incremento della mano d'opera femminile fu, percentualmente, molto superio re ( oltre il 1000%) a quello complessivo delle maestranze. Il che è ovvio in relazione alla carenza della mano d'opera maschile, creata dalla particolare situazione bellica.

Oltre che degli stabilimenti d'artiglieria bisogna tener conto, parlando dell'industria militare, dell'officina di costruzioni del genio di Pavia e di quella del battaglione specialisti del genio di Roma. L'officina di costruzioni di Pavia, nel periodo prebellico, costruiva artifìzi e attrezzi per minatori, equipaggi da ponte e carreggi del Genio. Nel corso del conflitto questo stabilimento produsse o mantenne in efficienza circa il 30% di tutto il materiale del genio occorrente in zona di guerra ( 4 ). Le officine del battaglione specialisti di Roma furono impegnate dapprima nella produzione di aerostati e, successivamente, in quella di materiali per gli aeroplani. Allo scopo di poter sopperire in breve tempo a svariate lavorazioni, vennero costituite, nel 1918, a Castenaso, presso Bologna, officine del genio alla diretta dipendenza dell'Intendenza Generale. Questi stabilimenti tra l'altro provvidero, in brevissimo tempo, alla costruzione dei 10 chilometri di ponte di tipo speciale occorrenti per l'offensiva finale italiana ( 5 ). Inoltre, col progresso della radiotelegrafia, si fece sentire la necessità di disporre di uno stabilimento specializzato; sorse quindi, a fianco del preesistente Istituto Radiotelegrafico Militare, l'Officina Costruzioni r.t. Questi stabilimenti nel comples so impiegavano circa 3.000 persone tra operai militari, borghesi e donne ( 6 ).

Oltre a questi enti, bisogna tener presente l'esistenza delle officine di riparazione di materiali del genio, costituite una per ogni armata, oltre a quella dell'Intendenza Generale. Questi impianti non si preoccupavano soltanto di mantenere in efficienza le dotazioni, ma costruivano anche baracche, barche, apparecchi da ponte, carreggio vario ed anche altri materiali (7).

Il Servizio Automobilistico militare che, come abbiamo visto, ebbe un grande sviluppo nel corso del conflitto, disponeva di una propria organizzazione di officine di riparazioni.

Per le piccole riparazioni vi erano gli autoparchi che, al termine del conflitto, erano 9 ed impiegavano 4.000 operai-militari, la cui opera è illustrata dai dati seguenti :

Tabella 3 Anni

Vi erano anche 7 parchi trattrici con deposito laboratorio che impi e gavano 1.000 operai ( 9 ).

Per le grandi riparazioni, quelle cioè che necessitavano di oltre 75 giorni di lavoro, il Servizio Automobilistico disponeva di un deposit o centrale con sei stabilimenti di riparazione che impiegavano 3.300 operai, in gran parte militari, e che, nel corso della guerra, ripararono i seguenti materiali:

(10)

Non meno importante fu, nel corso della guerra, l'opera degli stabilimenti de l servizio di vettogliamento. Prima del conflitto erano in funzione: 26 panifici, 12 molini, 3 gallettifici, 2 stabilimenti per la produzione di conserve alimentari; 27 magazzini di distribuzione viveri; vi erano inoltre altri 26 panifici militari, chiusi ma predisposti ad entrare in funzione in caso di mobilitazione ( 11 ). La capacità di produzione giornaliera massima di questi impianti era la seguente: i panifici militari in funzione potevano produrre 764.440 razioni, quelli chiusi 446.480.

I mulini potevano macinare 3.370 quintali e i gallettifici confezionavano 535 quintali di gallette da 200 grammi (1 2 ).

« Durante la guerra nulla fu fatto per aumentare la capacità produttiva dei molini, la quale pertanto fu insufficiente per i crescenti bisogni militari. Tale insufficienza sarebbe stata ancora più forte se al posto del grano non si fosse importato dal1'estero, in quantità cospicua, lo sfarinato. Ad ogni modo si dovette ricorrere largamente al concorso di molini privati, adottando prudenziali misure per evitare qualsiasi sostituzione o adulterazione del grano durante la macinazione » (13 ). I mulini militari maciranono durante la guerra 3.765.464 quintali di grano, 73.850 di segala, 80.665 di orzo, 261.807. di riso, 13.603 di granone e 998 di fave ( 14 ). Nonostante si trattasse, nel complesso, di quantità notevoli non erano assolutam ente sufficienti, fu quindi l'industria privata a fornire la maggior parte (circa 1'80%) della farina occorrente ai bisogni dell'esercito ( 15 ).

Nel corso del conflitto furono prodotti in Italia 4.960.250.000 razioni di pane la cui produzione era stata così ripartita: stabilimenti militari 4.542.774.000 impianti privati 417.476.000

Gli stabilimenti privati impegnati nella produzione di pane per l'esercito furono riforniti dall'amministrazione militare di circa i 2/3 della farina occorrente (16 ). La maggior parte delle razioni fu prodotta in zona di guerra dai forni da campo delle truppe e dai panifìici delle retrovie quali quelli di Edolo, Ala, Vicenza, Marostica, Mestre, Belluno, Palmanova, P ortogruaro, Latisana, Cervignano, Udine. La produzione dei panifici militari territoriali fu invece la seguente:

Tabella 4 Anni

1.006.831.000 (17)

Per quanto si riferisce alla produzione di gallette, i gallettifici di Torino, di Camigliano Ligure e di Foligno, già esistenti allo scoppio della guerra, si dimostrarono ben presto insufficienti, per cui fu necessario devolvere ai panifici militari anche la produzione di gallette. A questo scopo furono ampliati gli impianti o, come nel caso di Roma, furono affittati stabilimenti privati.

Anche così aumentata la capacità produttiva degli stabilimenti non riuscì a far fronte alle richieste e pertanto si fece ricorso, anche in questo campo, all'industria privata ( 18 ).

Nel corso del conflitto furono prodotti in Italia oltre 970.000 quintali di gallette di cui: in stabilimenti militari in stabilimenti privati

740.000 quintali

230.000 quintali ( 19 )

In quanto alla mano d'opera, fu impiegato nei mulini, panifici, gallettifìci militanti il seguente personale:

5

Nell'ultimo anno di guerra l'amministrazione militare requisì undici impianti per la produzione e lavorazione dei vini, trasformandoli in stabilimenti vinicoli militari che « ricevevano il vino di varie qualità e gradazione alcolica, acquistato o requisito dalle commissioni militari, per eseguire il taglio, allo scopo di ottenere un tipo unico del prescritto grado alcoolico (10%) » ( 21 ).

Questi impianti furono poi restituiti ai proprietari tra il 1919 ed il 1920 (22 ).

All'inizio del conflitto l'esercito italiano, se disponeva di una vasta rete di impianti per la lavorazione di cereali, non aveva, a differenza dei maggiori eserciti europei, nessuna possibilità di disporre di frigoriferi per la conservazione della carne congelata; pertanto « si dovette provvedere nei primi mesi della guerra al servizio carneo per le truppe mobilitate, con bovini nazionali che venivano concentrati in appositi parchi, sistema questo quanto mai costoso e deleterio per il profondo logorio del nostro patrimonio zootecnico » (23 ).

Si cercò, in un primo tempo, di servirsi degli impianti privati che risultarono insufficienti alle necessità militari. Fu decisa allora la costruzione di una serie di « frigoriferi militari» precisamente

Nel 1917 l'esercito ottenne la cessione, da parte della Marina, di due stabilimenti frigoriferi l'uno a Taranto, con una capacità di 1.000 tonnellate di carne, e l'altro a Venezia per 600 tonnellate ( 24 ). Con queste costruzioni, che supplivano alle carenze degli impianti privati, fu possibile disporre, nel 1918, di uno spazio frigorifero di mc. 60.000, sufficiente per 20.000 tonnellate di carne ( 25 ). L'amministrazione militare italiana, se all'inizio del conflitto non disponeva di impianti per la conservazione della carne congelata, aveva però predisposto efficacemente per la produzione della carne in scatola che, assieme allla galletta, costituì la classica razione viveri di riserva dell'esercito italiano. All'inizio del 1915 infatti era stato ultimato il grande stabilimento di Scanzano nei pressi di Foligno che, assieme a quello già esistente a Casaralta (Bologna), fornì la maggior parte della carne in conserva prodotta in Italia per i bisogni dell'esercito ( 26 ) A questi due stabilimenti si unì nel 1917 quello minore di Alghero di nuova costruzione. Questi impianti, che effettuavano il ciclo completo di lavorazione, dalla confezione delle scatolette alla spedizione del prodotto finito, raggiunsero livelli produttivi veramente notevoli, come dimostra il numero di scatolette prodotto negli anni della guerra:

Tabella 6

La produzione degli stabilimenti militari è senza dubbio d egna di nota, visto che su 245.481.230 scatolette di carne prodotte in Italia nel periodo 1915-1917 ( 28 ), 176.926.849 erano state prodotte da loro e solamente 68.454.381 dall'industria privata.

Gli stabilimenti militari produssero anche 799 838 flaconi di brodo concentrato pari a 14.400.000 razioni di brodo, 682.537.785 razioni di condimento in conserva, infine lo stabilimento di Casaralta preparò 184.700 lingue di bue e 12.300 lingue di suino (29 ).

« Quanto alla forza di lavoro, Casaralta si è servito, in media di 1.500 militari e 300 donne; Scanzano, che alla sua apertura im- piegava 415 militari e 7 borghesi, ne impiegava rispettivamente 1.150 e 12 a cominciare dal luglio sino a tutto il maggio successivo (1916). Il 12 giugno di quest'anno, a seguito di un ordine di intensificazione della produzione, lo stabilimento ricevette un rinforzo di 600 militari. Il 13 ottobre dello stesso anno la maestranza borghese (donne) saliva a 402 e alla fine del mese a 692; i militari venivano contemporaneamente ridotti da 1920 a 1846 » ( 30 ). Sensibilmente inferiore era invece il numero delle maestranze del piccolo stabilimento di Alghero.

Il servizio di vestiario ed equipaggiamento dell'esercito italiano disponeva, all'inizio della guerra, dei seguenti impianti: 4 magazzini centrali vestiario ed equipaggiamento: un opificio vestiario ed equipaggiamento; 40 magazzini casermaggio di cui 27 principali e 13 succursali ( 31 ).

I magazzini centrali vestiario ed equipaggiamento erano organi di raccolta e di rifornimento ai depositi della rispettiva circoscrizione territoriale; avevano un organico di alcuni ufficiali, 70 operai di ruolo ed alcuni avventizi.

All'atto della mobilitazione i magazzini furono trasformati in stabilimenti di riserva viveri ed equipaggiamento con il compito di rifornire le unità territoriali e i reparti mobilitati oltre che dei viveri e del vestiario anche dei materiali di servizio generale e di cucina, della cancelleria, degli stampati ecc. La ripartizione degli oneri fu così stabilita: lo stabilimento di Torino doveva rifornire i depositi centrali di due armate, quello di Verona doveva essere a disposizione della Intendenza Generale, quello di Napoli doveva restare a disposizione del Ministero, mentre lo stabilimento di Firenze e quelli di nuova costituzione di Milano e di Alessandria dovevano rifornire ciascuno il deposito centrale di un'armata. Fu inoltre costituito a Roma un deposito di riserva vestiario ed equipaggiamento. Per far fronte a queste esigenze, organici ed impianti furono convenientemente ampliati ( 32 ).

A differenza di quanto avvenne in altri settori dell'industria militare, in cui si provvide ai bisogni di guerra con ampliamenti degli impianti esistenti, nel settore dell'approntamento del vestiario si procedette alla costruzione di numerosi nuovi stabilimenti. In effetti, prima della guerra esisteva il solo opificio militare di Torino che provvedeva alla fabbricazione di manufatti di vestiario, di equipaggiamento e di scarpe ( con una produzione massima giornaliera di 1.000 paia) e con una maestranza di 270 operai. Nel corso della guerra la capacità produttiva fu enormemente aumentata; allo stabilimento fu inoltre assegnato il com- pito di recuperare calzature, zalill e tascapani fuori uso sgombrati dal fronte. In conseguenza dell'aumentato lavoro il numero degli operai fu portato a 500 unità in media. Per il servizio di riattamento dei materiali di vestiario e di equipaggiamento fu costituito un nuovo grande opificio vestiario ed equipaggiamento a Milano il quale, in un secondo tempo, provvide anche, oltre che al riattamento degli oggetti di vestiario, alla lavorazione di oggetti di lamiera e di ferro (borracce, gavette, marmitte, casse di cottura ecc.) .

Data la sempre crescente mole di lavoro fu necessario aggregare all'opificio laboratori privati con una maestranza complessiva di 28.000 addetti. « Una idea della mole del lavoro svolto dal detto opificio può trarsi da alcune cifre relative all'anno 1917: carri ferroviari ricevuti 4.214, carri ferroviari spediti 3.507, movimento di autocarri e carri ordinari 18.280, oggetti riattati: cappotti 294.806, mutande 419.254, pantaloni 195.285, gavette 565.197; oggetti confezionati: berretti 1.354.447, corregge di pantaloni in tela 1.122.183, sacchetti diversi 630.210 » ( 33 ). Per il riattamento del vestiario e dell'equipaggiamento furono inoltre costituiti numerosi opifici minori. L'opificio di Borgo Panigale (Bologna), sorto dalla trasformazione di un piccolo stabilimento per la disinfezione dei materiali ospedalieri, aveva una capacità di disinfezione e di riattamento di capi di vestiario di 250 quintali al giorno ed impiegava 650 operai tra civili (in gran parte donne) e militari.

L'opificio di Torre Annunziata (Napoli), il quale oltre che al riattamento dei materiali fu incaricato di confezionare oggetti di vestiario ed equipaggiamento, raggiunse una produzione giornaliera di 60 quintali di materiali disinfettati e 20 quintali di materiali lavati, riattando al contempo 500 capi di vestiario e 4.000 sacchi e impiegando 340 operai.

L'opificio di Modena fu incaricato dapprima di riattare calzature, zaini e tascapani, successivamente ebbe anche il compito di approntare i materiali di cuoio occorrenti ai laboratori della zona di guerra per la riparazione delle calzature. Oltre a ciò fu incaricato della costruzione di materiali nuovi ed infine anche della produzione di spazzole.

L'opificio dell'Aquila fu invece incaricato di fabbricare scarpe; impiegava 200 operai fra borghesi e militari ed aveva una capacità produttiva di 1.000 paia di scarpe al giorno.

L'opificio di Caserta aveva lo stesso personale e la stessa capacità di produzione di quello de L'Aquila, fu addetto però anche al riattamento di materiale sgombrato dalla zona di guerra e riparò oltre 200.000 paia di scarpe, 150.000 tascapani e 35.000 zaini.

L'opificio di Firenze, sorto come sartoria, fu successivamente trasformato in calzaturificio con personale e capacità produttiva simile a quella degli stabilimenti di Caserta e de L'Aquila.

L'opificio di Pontedera (Pisa) con una maestranza di 320 operai provvide al riattamento di 70.000 quintali di zaini, scarpe e tascapani sgombrati dal fronte.

Oltre a questi stabilimenti bisogna ricordare l 'opificio militare laniero di Biella, istituito nel 1917 e chiuso nel 1919, che disponeva di ben dieci reparti specializzati.

Tutti questi impianti erano in territorio; nella zona di guerra « presso ogni armata furono gradualmente istituiti laboratori di recupero con stazioni di disinfezione, con il compito di eseguire il riattamento degli oggetti di vestiario ed equipaggiamento, delle calzature ed anche delle pelliccerie. Da t i i mezzi n ecessariamente limitati di cui i detti laboratori potevano disporre, i materiali che richiedevano trasformazioni o riparazioni di maggiori entità erano fatti sgombrare sugli opifici militari territoriali » ( 34 ).

Al momento dell'armistizio erano in funzione 17 di questi stabilimenti.

Non si può concludere la panoramica delle industrie militari senza fare un cenno alla Farmacia Centrale Militare che concorse validamente, con l'industria farmaceutica nazionale, all'approntamento dei mezzi sanitari occorrenti. Il « Laboratorio militare siero antitetanico» di Bologna produsse tra il maggio 1915 ed il novembre 1918 1.120.539 fiale ( 35 ).

Considerando gli impianti industriali dipendenti dal Ministero della guerra nel loro insieme, non si può fare a meno di notare che si trattava di un complesso notevole sia per il numero e le dimensioni degli stabilimenti, sia per il personale impiegato ( dalle 120.000 alle 130.000 persone) sia per i livelli produttivi raggiunti. Tutto ciò fu però reso possibile dal fatto che l'organizzazione industriale militare partiva da una consistente base pre-bellica. L'esistenza di una rete così ampia di stabilimenti militari dimostra la scarsa integrazione esistente prima del conflitto tra strutture militari ed organizzazione industriale nazionale. Questa sfasatura fu causa non ultima della impreparazione dell'industria italiana a soddisfare le esigenze belliche. Oltre a ciò, se l'esistenza di un grosso apparato di stabilimenti militari testimonia il distacco e la reciproca sfiducia tra gli ambienti dell'industria privata e quelli militari all'inizio del conflitto, l'espan- dersi di questa struttura con ritmi celerissimi che non trovavano riscontro nelle imprese civili, denuncia che, nonostante la mobilitazione industriale, la diffidenza dei militari nei confronti degli imprenditori civili era ben desta ed operante. Il quadro delle attività industriali militari non sarebbe però completo se non si considerasse il servizio del genio civile dell'esercito mobilitato. Il regolamento dei servizi in guerra, in vigore nel 1915, nella seconda parte in cui trattava dei servizi, accennava, assai sbrigativamente, tra l'altro, al servizio della manutenzione stradale a tergo dell'esercito mobilitato. In base a quanto stabiliva il R.D. 1° dicembre 1912 n° 1462 tale servizio avrebbe dovuto essere disimpegnato da funzionari del Genio Civile appositamente mobilitati. I lavori che venivano affidati a tale organo erano quelli di manutenzione ed ampliamento della rete stradale e di riattamento e costruzione di ponti. Al principio del 1915 furono iniziati gli studi per l'ampliamento della rete stradale del probabile teatro di operazione. Nell'aprile si diede inizio ad alcuni lavori, per il modesto importo di 450.000 lire, che non poterono essere ultimati prima dell'inizio del conflitto (36 ). All'atto della mobilitazione si rilevò tutta l'insufficienza dei provvedimenti posti in opera e si dovette pagare il fio degli scarsissimi collegamenti esistenti tra il Ministero della guerra e quello dei lavori pubblici. Questa mancanza di contatti aveva fatto sì che sorgesse un grosso malinteso. « Lo Stato Maggiore dell'esercito, nel prevedere e nel proporre l'opera del genio civile a tergo dell'Esercito, aveva, forse, immaginato che esso vi giungesse munito di propri mezzi, di operai, di attrezzi, di cariaggio, di macchine stradali ecc. Il Ministero dei lavori pubblici, invece, riteneva di dover dare soltanto il personale tecnico per la costituzione delle Direzioni: né poteva ritenere diversamente: sia perché ogni spesa occorrente alla guerra era di pertinenza del Ministero della guerra; sia perché, come è noto, il genio civile non era, come non è ancora, costituito per l'esecuzione dei lavori con mezzi propri» ( 37 ). In realtà il regolamento prevedeva l'impiego, quali organi esecutivi del Genio Civile mobilitato, di « quelli esistenti fino dal tempo di pace per la manutenzione delle strade nazionali, provinciali e comw1ali, il cui personale, funzionari ed agenti subalterni, che agisce nella zona delle operazioni, in guerra passa alla dipendenza dell'intendenza dell'armata rispettiva». In pratica, i funzionari del Genio Civile mobilitati, avrebbero dovuto servirsi, come organi esecutivi, degli uffici tecnici comunali e provinciali pre-esistenti. In realtà la direzione del Genio Civile poté avvalersi di questi organismi « assai raramente, stipulando però con le de- putazioni provinciali e con i comuni interessati, speciali convenzioni con le quali l'amministrazione militare si assumeva le spese straordinarie. Ma in genere gli organi provinciali e comunali erano rimasti atrofizzati dalla guerra » ( 38 ).

Anche se la cooperazione degli uffici tecnici degli enti locali, fosse stata piena ed entusiastica, essa sarebbe rimasta comunque insufficiente. Considerando le disposizioni del Regolamento di servizio in guerra, il generale Guido Liuzzi osservò: << :È evidente che l' "ameno volumetto" non poteva lontanamente prevedere l'enorme tormento cui dovettero sottostare tutte le strade; ma a me pare che sarebbe bastato di considerare un pò l'impiego dei mezzi automobilistici, ch'esso medesimo stabiliva e l'impiego di un parco d'assedio d'artiglieria e del genio, sia pure del tipo prebellico, per capire che il servizio così com'era previsto no potevasi ritenere sufficientemente organizzato» ( 39 ).

In definitiva, l'imprevidenza e la mancanza di coordinamento degli enti interessati all'organizzazione, posero la situazione del Genio Civile presso le truppe mobilitate, in una difficile posizione all'inizio delle operazioni belliche, per alleviare la quale non si poteva ricorrere alla requisizione in loco com e prevedeva il regolamento. Infatti « tale requisizione in sito fu praticamente impossibile, in quanto tutto ciò che poteva occorrere era già stato requisito localmente, per scopi strettamente militari durante il periodo immediatamente precedente alla guerra e durante la mobilitazione; né risultò pratico e possibile rivolgersi alle imprese locali, ché i vari e successivi tentativi fatti in proposito ne dimostrarono fin dal principio l'inefficacia, poiché gli stessi mezzi che non trovavano sul sito le Direzioni, non potevano trovare neanche le imprese, che già ne erano state private dalle requisizioni anteriori e a provvedersene fuori trovavano ostacoli ben più gravi per i trasporti ferroviari, tutti, naturalmente, impegnati in servizio dell'Esercito » ( 40). Fu pertanto necessaria una serie di interventi dell'amministrazione militare per mettere il Genio Civile, al seguito delle truppe, in condizione di svolgere i compiti che gli erano stati affidati. Si provvide quindi ad integrare il personale con ufficiali di complemento o di milizia territoriale laureati in ingegneria. Per i lavori si impiegarono reparti di milizia territoriale, contemporaneamente si iniziò a ricercare tra i mobilitati, il personale specializzato per assolvere determinati compiti. Le intendenze delle armate provvidero ai più urgenti bisogni di materiali. Il problema maggiore fu quindi costituito dalla carenza dei mezzi di trasporto « Si tentò, da prima, di organizzare alcune squadre di carri borghesi, ma risultò essere difficoltà troppo grave anzitutto il provvedersene, quindi il loro mantenimento per il foraggio, infine la loro circolazione in zona di guerra. Onde, in generale, risultò indispensabile, che carri, quadrupedi e camions automobili fossero forniti dall'autorità militare, e cioè dalle Intendenze d'armata.

Pel trasporto della ghiaia o pietrisco occorse provvedere, da prima con carriole, con carrette a mano e perfino con squadre di donne, che le trasportavano dai ghiaieti o dalle cave, a schiena, nei gerli, ai depositi che si andavano costituendo lungo le strade. Non occorre illustrare come ciò risultasse, oltre che immensamente dispendioso, assolutamente inadeguato al bisogno per la lentezza e per l'eccesso di operai occorrenti, mentre questi sarebbero stati assai meglio utilizzati per tutti gli altri lavori, ove necessitavano anche in gran numero. Finalmente, dopo continue insistenze dell'Ispettorato e delle Direzioni del Genio Civile d'armata, le varie Intendenze si convinsero della necessità di provvedere il carreggio, ma il numero e l'organizzazione di questo fu sempre inadeguato al bisogno» (41 ). Superate, sia pure faticosamente, le prime difficoltà, il servizio prese a funzionare alacremente; si impose però ben presto il problema di reclutare personale civile su vasta scala per far fronte ai lavori resi necessari dall'aumento continuo del traffico.

La formazione di una vasta maestranza alle dipendenze degli organi del Genio Civile mobilitato si rendeva necessaria anche perché le centurie lavoratori, che si erano incominciate a costituire con personale della milizia territoriale, operavano anche alle dipendenze dei comandi dell'arma del genio e quindi la disponibilità di questo personale era alquanto precaria. Infatti, i lavori affidati al Genio Civile mobilitato erano lavori di 2° linea, vi era quindi la tendenza, non del tutto ingiustificata del resto, nei comandi che disponevano dell'utilizzazione del personale, di dare la precedenza ai lavori di P linea affidati al genio militare. Pertanto, il 28 dicembre 1915, l'ufficio affari civili del Comando Supremo inviava a tut6 i Prefetti del Regno la circolare n. 24328 che stabiliva le « norme regolatrici del servizio relativo al reclutamento della mano d'opera per i lavori militari in zona di guerra » ed una copia del contratto base Questi documenti ci permettono di stabilire qual'era il trattamento riservato alla mano d'opera dipendente dal servizio del Genio Civile. Gli operai dovevano avere un'età compresa tra i 17 e i 60 anni, eccezionalmente erano accettati fanciulli tra i 15 e 17 anni purché fossero accompagnati da un parente ed il loro numero non superasse il 10% dei singoli gruppi. Coloro che venivano reclutati si impegnavano a lavorare da 6 a 12 ore di tutti i giorni della settimana, dovevano restare sul luogo del lavoro per tutto il periodo del contratto e portare con sé alcuni indumenti e stoviglie. Questo personale veniva trasportato dai luoghi di reclutamento in zona di guerra a cura dell'amministrazione militare, che provvedeva al vitto e all'alloggio per tutto il periodo dei lavori. Al personale veniva assicurata anche una percentuale della paga per i giorni di inattività dovuti a forza maggiore (intemperie, ordini superiori, malattia) pari rispettivamente al 30%, 50% e 50% su una giornata lavorativa di sei ore. Tutte le maestranze venivano assicurate contro gli infortuni sul lavoro nonché contro i rischi di guerra. I salari venivano fissati nel modo seguente:

Fanciulli L. 0,10-0,20 all'ora

Operai non qualificati (manovali, braccianti) » 0,30-0,40 »

Operai qualificati (fabbri, minatori, carpentieri) » O,40-0,SO »

Capi squadra » 0,60-1 »

Questi salari orari potranno sembrare non disprezzabili se si considera che il salario medio orario di un manovale della Fiat era nel 1915 di L. 0,43 ( 42 ), tuttavia bisogna tener presente che le condizioni di lavoro erano alquanto diverse perché l'attività del personale del Genio Civile era soggetta ad una molteplice serie di interruzioni per cui in zona di guerra « le mercedi giornaliere furono, all'inizio di L. 1,50 a L. 2,00 per i ragazzi, di L. 2 a L. 2,50 per le donne, di L. 3,50 a L. 4,50 per gli uomini» ( 43 ). I capi squadra poi percepivano dalle 5 alle 10 Jire al giorno a seconda delle attitudini.

Si trattava di paghe modeste a cui però bisogna aggiungere che « per gli operai venuti in zona di guerra dall'interno del paese, si provvedeva direttamente all'alloggio e si somministrava ad essi la razfone viveri del soldato, ciò che equivaleva ad una spesa in più, oltre alla mercede, di circa L. 2 al giorno» (44 ).

In definitiva il salario, per quanto modesto, restava per le maestranze completamente disponibile, ciò facilitò indubbiamente il successo della campagna di reclutamento. Infatti il segretario generale dell'ufficio affari civili del Comando Supremo, nella circolare 37053 del 7 giugno 1916 ai comandi del Genio, poteva annunziare che dal mese di gennaio a tutto l'aprile erano stati reclutati 126.154 operai abolendo quasi completamente gli intermediari privati che in precedenza effettuavano il 75% dei reclutamenti. Nonostante il successo dell'operazione, esisteva a quella data una forte richiesta di personale ( circa 22.000 unità).

La carenza di mano d'opera fece sì che il 13 agosto si disponesse che il periodo minimo di lavoro previsto dal contratto fosse portato da 60 a 90 giorni. La preoccupazione di fornire il maggior numero di operai possibile fece si che sì verificassero nei reclutamenti una serie di inconvenienti che il Segretario generale segnalò nella circolare 56917 del 16 agosto 1917, ai Prefetti del Regno: « arrivo di operai pregiudicati, ammalati, mutilati e non più atti a proficuo lavoro; di fanciulli in numero considerevole e molti di età inferiore ai 15 anni compiuti, vecchi di oltre sessant'anni, persone che mai furono operai e costoro in parte compresi e in parte non compresi negli elenchi».

Questa situazione impose una serie di provvedimenti di vigilanza e di controllo. D'altra parte la carenza di mano d'opera, che il buon esito dei reclutamenti non riusciva a diminuire poiché buona parte del personale non rinnovava il contratto alla scadenza, provocò un fenomeno particolare, segnalato dal segretariato generale con la circolare 78518 del 5 ottobre 1916 diretta alle direzioni del Genio. Sovente i cantieri, nel tentativo di assicurarsi una maestranza stabile, aumentavano le paghe al disopra dei minimi stabiliti, il che finiva per comportare un trasferimento di mano d'opera da alcuni cantieri ad altri.

D'altro canto, non tutti i cantieri offrivano le stesse condizioni di lavoro e era inevitabile che il maggior disagio o rischio venisse maggiormente retribuito . Per mettere un po' d'ordine in questa situazione, il segretariato generale indicò il 29 novembre cinque tipi diversi di zone di lavoro:

1) vicino all'abitato e in condizioni non disagiate;

2) in media montagna e lontano dall'abitato, disagiate per i ricoveri;

3) disagiate per lavori e ricoveri (malariche o di alta montagna);

4) non disagiate, ma soggette al tiro d'artiglieria avversaria;

5) disagiate e soggette al tiro d'artiglieria.

Queste cinque ripartizioni dovevano costituire ognuna una sottoclasse dei gruppi di salario prefissati, comportando ciascuna un diverso trattamento economico ( di cui, sia pure sotto il pretesto di rilevarne l'entità, si indicavano i limiti) all'interno delle varie categorie di operai.

D'altra parte, la sempre crescente richiesta di manodopera fece sì che il 31 dicembre si stabilissero le norme per il « reclutamento di operai per lavori militari nel Comune di dimora ».

A questi lavori potevano essere adibiti non soltanto gli operai con le caratteristiche già indicate in precedenza, ma anche le donne tra i 17 e i 50 anni e ragazzi tra i 13 ed i 15 anni.

I salari previsti erano i seguenti:

Capi squadra da L. 0,55 a L. 0,70

Operai qualificati » » 0,40 » » 0,55

Operai non qualificati » » 0,30 » » 0,45

Donne e fanciulli (fino a 17 anni) » » 0,20 » » 0,35

La carenza di personale induceva infine il segretariato generale a stabilire, con la circolare 110457 dell'll gennaio 1917, le norme relative al reclutamento di maestranze femminili anche fuori della zona di operazioni. Tali disposizioni prevedevano tra l'altro il divieto di assunzione per le donne in gravidanza, il divieto di impiegare le maestranze femminili in zone battute dal fuoco nemico; l'orario massimo di lavoro previsto era di 10 ore, il salario doveva essere compreso tra i 25 e i 40 centesimi l'ora. Queste disposizioni venivano a regolare una situazione di fatto, poiché le maestranze femminili locali erano, come si è visto, impiegate fin dall'inizio del conflitto. Poiché la carenza di mano d'opera continuava a farsi sentire, con le norme emanate il 31 maggio 1917, si giunse ad estendere il limite massimo d'età per gli operai destinati a lavorare nel comune di residenza, al 65° anno.

Le campagne per il reclutamento del personale per il servizio del Genio Civile non ottennero, nel 1917, il successo che avevano conseguito nel 1916, e ciò è facilmente comprensibile ove si consideri che i nuovi richiami alle armi avevano ridotto il numero della mano d'opera disponibile ed al contempo accresciuto le necessità dell'agricoltura. Il reclutamento ebbe nel biennio l'andamento di cui alla successiva tab. 7.

Questi dati non forniscono però il quadro esatto della situazione del personale; infatti, i rinnovi dei contratti non erano infrequenti, per cui gli operai impiegati nei lavori dal 1915 all'ottobre del 1917 furono in media 140.000 (46 ).

Questo personale disponeva nel 1917 del seguente materiale: 3.600 carri da trasporto, 85 km. di binario Decauvilles, 728 carrelli Decauvilles, 923 botti d'inaffiamento, 4 sfangatrici, 616 spartineve, 107 compressori, 70 frantoi, 18 perforatrici, 5 escavatori, 3 locomotive stradali con rimorchio, 150.000 attrezzi vari ( 47 ).

Buona parte di questo materiale andò perduto nella ritirata dell'ottobre-novembre 1917 e si dovettero superare notevoli difficoltà per il suo ripristino ( 48 ). Il disastro di Caporetto implicò anche una brusca e notevole riduzione della mano d'opera a disposizione del servizio del Genio Civile sia per le vicende del- la rotta, sia per gli ulteriori richiami e revisioni del personale precedentemente considerato inabile, la media degli operai impiegabili s i ridusse a 100.000 unità ( 49 ).

Benché i salari fossero stati aumentati portandoli ad un massimo di 4,50 lire per le donne, di 6 lire per gli uomini ( 50 ), si trattava di aumenti estremamente modesti dato che non avevano per nulla seguito l'incremento subito dai salari industriali che nel frattempo erano più che raddoppiati . È certo inoltre che la distribuzione gratuita della razione di tabacco spettante ai militari o la vendita di oggetti di vestiario a prezzi convenienti disposta nel maggio del 1917 a favore degli operai che lavoravano per il Genio Civile, non potevano essere elementi sufficienti a favorire le operazioni di reclutamento. Alla carenza di personale si cercò di ovviare impiegando, nei lavori, ove era possibile, reparti di prigionieri di guerra ( 51 ).

Il principale compito del servizio del Genio Civile mobilitato fu sempre quello della manutenzione, del riattamento ed eventualmente del potenziamento della rete stradale a tergo dell'esercito operante. Per far fronte a que~to compito « le singole Direzioni del Genio Civile d'armata furono divise in Sezioni, a capo di eia- scuna delle quali fu posto un ingegnere d i classe. Le Sezioni, poi , a loro volta, furono suddivise in reparti, ad ognuno dei quali fu preposto un geometra del Genio Civile, oppure, in alcune località e Direzioni, un tenente di complemento del Genio militare passato in aiuto al Genio Civile. Come criterio generale fu adottato quello di assegnare ad ogni sezione dai 300 ai 500 chilometri di strade in manutenzione e dai 40 ai 60 chilometri ad ogni reparto, riducendo tale assegnazione quando ad una sezione o reparto era assegnato anche il compito di curare notevoli sistemazioni o nuove costruzioni , aumentandola se le strade in manutenzione richiedevano una cura limitata. In qualche caso fu trovato anche conveniente costruire speciali sezioni di lavoro, destinate ad occuparsi esclusivamente delle costruzioni di maggiore importanza. Centurie di cantonieri furono distribuite fra le varie Sezioni. Alla dipendenza immediata delle Direzioni furono assegnati ufficiali d'ordine per il servizio di protocollo, di archivio e per quello contabile, quando questo non fu disimpegnato da ufficiali ragionieri, e militari scritturali » ( 52 ).

Per la sola manutenzione della rete stradale fu necessario impiegare una media di 3 o 4 uomini ogni ch ilometro. « Per la scarsità progressivamente crescente della mano d'opera maschile e valida, in conseguenza dei successivi richiami alle armi, si provò l'impiego della mano d'opera femminile, che corrispose assai bene alla cura del buon governo delle strade, ove, più che grande sforzo, si richiede pazienza ed attenzione » ( 53 ). Per avere un'idea dell'ampiezza e dell'importanza di questo servizio basta pensare che la manutenzione della zona delle retrovie si esercitava su circa 10.000 chilometri di strade ed impegnava 40.000 operai al giorno nei periodi normali e 50.000 nel periodo di sgombero delle nevi ( 54 ). Nonostante che la mano d'opera disponibile fosse sempre inferiore alla richiesta delle Direzioni, furono affidati al Genio Civile numerosissimi altri compiti oltre alla manutenzione della rete stradale, compiti di cui il Gen. Guido Liuzzi fornì un dettagliato elenco: « opere di consolidamento, amp liamento, rettifica, finimento, ripristino in seguito a frane, nuove costruzioni di strade, rinforzi e allargamenti di ponti, nuove costruzioni di ponti, sgombro neve, linee décauvilles, nuovo tronco ferroviario a scartamento ridotto, impianto ospedali in baracche, acquedotti, spiazzi per artiglierie, traverse di abitati, baraccamenti, cimiteri, fognature, idranti da incendio» ( 55 ).

Nel corso della guerra furono costruite, in zona di operazioni, strade camionabili per 3.200 km., carr arecce per 1.200 km., mulattiere per 1.000 km ( 56 ). Tali nuove costruzioni furono effettuate per la maggior parte dal Genio Civile, il quale provvide anche al rinforzo di 380 ponti cd alla costruzione di 130 ponti nuovi per la lunghezza complessiva di ml. 4.000 (57 ).

Buona parte delle 40.000 baracche mobili inviate in zona di guerra furono montate dal Genio Civile come gran parte delle baracche fisse. Anche per quanto riguarda la costruzione di acquedotti il contributo del Genio Civile fu notevole; infatti esso costruì la maggior parte dei 530 km. di acquedotti ch e rifornivano le armate schierate nel 1918 t ra il Garda e il mare (58 ). Come si vede l'opera svolta dal Genio Civile mobilitato ne l corso del conflitto fu, nel complesso, senza dubbio imponente.

Note

(1) Per questi e per gli altri dati qui riportati vedi: Ispettorato delle costruzioni d'artiglieria, Da.ti statistici dell'attivitt} degli stabilimenti e direzio11i d'artiglieria. durante il periodo bellico, luglio 1914 - ottobre 1918, Roma 1922.

(2) Ibidem. Per quanto riguarda i dati del Laboratorio pirotecnico e della Direzione d'Artiglieria di Bologna bisogna tener presente che come ufficiali ed impiegati vengono indicati rispettivamente 81 e 80 persone senza ulteriore specificazione di categoria.

(3) Cfr. Comitato per la Mobilitazione civile. Il co111ributo delle maestranze femmi11i/i all'opera. dì allestimento dei materia.Ii bellici (1915-1918), Milano s.d. p. 54.

(4) Cfr. C MONTù: op. cit., voi. XI, pp. 609 - 610, 665

(5) Ministero della guerra: I rifornimemi cii., p. 79.

(6) Questi dati sono ricavati per sottrazione. Infatti dalle cifre fornite in: Comitato per la Mobilitazione Ci\'ile, /I co11tributo delle ma.estra.nze femminili , cii., p. 55, si desume che gli addetti alle officine militari fossero in complesso 64.300 (42.300 uomini e 22.000 donne). Sottraendo da questa cifra gli addetti agli stabilimenti d'artiglieria, si ricava approssimativamente il numero degli operai degli stabilimenti del Genio.

(7) Cfr. C. MONTù : op. cii., voi. Xl, pag. 665.

(8) Ministero della guerra: I rifomimemi, cit ., p. 261.

(9) Ibidem, p. 262.

(10) Ibidem, p. 261.

(11) Ministero della Guerra: I serviti logistici, cit., pp. 56, 129.

(12) Ibidem, pp. 123; 129, 132.

(13) Ibidem, p. 123.

(14) Ibidem, p. 126.

(16) Ibidem, p. 127.

(17) Ibidem, p. 131.

(18) Cfr. G. ZINCALI: /I rifornimento di viveri dell'esercito italiano in R. Bachi L'alimen1azìo11 e e la. politica. annonaria. in Italia, Bari 1926, pp. S72, 577 e 578.

(19) Ministero della Guerra: I servizi logistici, cit., p. 134.

(20) G. Z!NGALJ: op. cit., p. 134.

(21) Ministero della Guerra: I serviti logistici, cit., p. 209.

(22) Ibidem, p. 210.

(23) Ibidem, p. 161.

(24) Ibidem, pp. 162·163, e G. ZINCALI: Op. cii., p. 607.

(25) Ministero della Guerra: / serviti logistici, cii., p. 163.

(26) Va rilevato che nel corso del conOiuo furono importati 232.777 quintali di carne in scatola. Cfr. G. ZINCAI.I: op. cit., p. 628.

(27) G. ZINCALI: op. cii., p. 622.

(28) Cfr. A. Puioocm: L 'indust ria zootecnica considerata in rapporto all'era presente e al dopo-guerra, Torino 1918, p. 18.

(29) Cfr. G. ZINCALI: op. cit .• pp. 623-626.

(30) Ibidem, p. 627.

(31) Ministero della Guerra: I servizi logistici, op. cit., p. 56.

(32) Ibidem, pp. 280-281.

(33) Ibidem, p. 283.

(34) Ibidem, p. 286.

(35) Minislcro della Guerra: l rifornimenti, op. ci t., p. 250.

(36) Ministero dei Lavori Pubblici: l'opera del Ge11io Civile nella guerra mondiale 1915-1918, Roma 1922, pp. 3-4.

(37) Ibid em, pp. 5-6.

(38) G. L1u1.z1: Ricordi e pensieri di rm ex inrendente d'armata, Roma 1922, p. 188.

(39) Ibid em, p. 185.

(40) Ministero dei Lavori Pubblici: L'opera del Genio Civile, cii., p. 6.

(41) Ibid em, pp. 7-8.

(42) C. PRATO: li Piemo11te e gli effet ti della guerra sulla sua vita eco11omica e sociale, Bari, 1925, p. 134

(43) Mini~tero dei l.a\'Ori Pubblici: !.'opera del Genio Civile, cit., p. 41.

(44) Ibidem, p 41.

(45) I dali degli ultimi mesi del 1917 si ri(eriscooo ai soli mesi di luglio, agosto, settembre ed ouobre.

(46) Minhtcro della Guerra: L'Arma del Genio nella Grande Guerra 1915-1918, Roma, 1940, p. 36.

(47) Mini~tcro dei Lavori Pubblici: l'op era del Genio, op. cit., p. 14.

( 48) Ibidem, p. 15

(49) Ministero della Guerra: L' Arma del Genio, cit., p. 36.

(50) Ministero dei Lavori Pubblici: op. cit., p, 41.

(51) Ministero della Guerra: L'Arma del Genio, cit., p. 36.

(52) Ministero dei Lavori Pubblici: op. cit., p. 13.

(53) Ibidem, p. 40-41.

(54) Minis tero della Guerra: I rifornimenti, cii., p 275.

(55) G. Lruu1: op. cit., p. 189.

(56) l\tinislero della Guerra: I rifornimenti, cir., p. 275.

(57) Minis tero dei Lavori Pubblici: op. cii., p. 53-54.

(58) Ministero della Guerra: I rifornimenti, cit., pp. 273-274.

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