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LA MOBILITAZIONE INDUSTRIALE
All'inizio del XX secolo la produzione dei materiali bellici per le forze armate avveniva in Italia in modo singolarissimo. Mentre i materiali d'armamento necessari all'esercito erano prodotti quasi esclusivamente da stabilimenti militari, la marina ricorreva in larga misura a ditte private. Le ragioni di questa diversità di orientamenli vanno ricercate in una pluralità di circostanze. Per quanto atteneva gli armamenti navali una potente spinta all'utilizzazione dell'industria privata derivò senza dubbio dalla rapidità con cui i cantieri privati approntavano il naviglio, mentre negli arsenali di Stato le unità rischiavano di invecchiare prima ancora che si potesse vararle ( cosa che talvolta ebbe a verificarsi). D'altra parte fornire commesse all'industria cantieristica italiana costitutiva, agli occhi dei governanti, un mezzo per sostenere un seltore di grande importanza per l'intera economia del Paese. Diversa era la situazione degli armamenti terrestri che, in primo luoiz;o, non avevano subito il rapidissimo sviluppo tecnico che aveva caratterizzato le costruzioni militari marittime nella seconda metà dell'ot tocento, e, secondariamente, erano molto meno complessi. A quell'epoca « sconosciuti erano infatti i mezzi chimici, ancora nell'infanzia i mezzi aerei; la fanteria aveva come arma principale il fucile; la massa dell'artiglieria era costituita da cannoni da campagna di calibro unico; la quasi totalità dei trasporti per via ordinaria era a trazione animale; i mezzi per le trasmissioni erano limitati quasi esclusivamente al telegrafo» (1). Del semplice armamento base non era peraltro indispensabile produrre grandi quantità in breve tempo; si poteva, poco per volta, costituirne convenienti scorte. Si contava, infatti, di combattere un even luale conflitto in gran parte attingendo alle riserve preparate fin dal tempo di pace. In quel periodo infatti « lo spettro di una guerra di lunga durata sembrava oramai dileguato dopo i magnifici esempi delle campagne prussiane del 1866 e del 1870, e, pur avvertendosi una tendenza marcata di tutte le nazioni verso un aumento considerevole degli eserciti in armi, non si riteneva che la entità delle masse messe in campo avrebbe potuto, in una eventuale guerra europea, costituire ostacolo ad una rapida e pronta decisione del conflitto. Perciò, pur non disconoscendo le difficoltà di alimentare e rifornire una massa così ingente di uomini, si presupponeva che la brevità di durata delle operazioni avrebbe potentemente contribuito ad alleviarle » (2).
I n base a queste considerazioni era pressocché opinione generale che, in caso di guerra, i rifornimenti « sarebbero stati favoriti dalla semplicità d'armamento, mentre la loro entità sarebbe stata automaticamente limitata dal carattere di movimento, che la guerra avrebbe assunto. Le vere preoccupazioni si concentravano su quelli che erano ancora i rifornimenti tradizionali degli eserciti in campo, e cioè su quelli che si rivolgevano alla soddisfazione dei bisogni materiali del soldato (essenzialmente viveri) » (3) .
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Per tutte queste ragioni in Italia si era preferito contare per l'armamento dell'esercito sull'opera degli stabilimenti militari invece di promuovere ex novo la costituzione di un'industria privata degli armamenti terrestri. Tuttavia, già nel 1906, in occasione dell'adozione del nuovo pezzo da campagna a deformazione, la constatata insufficienza degli stabilimenti militari italiani fece sì che buona parte della lavorazione del nuovo materiale fosse attuata presso la ditta ideatrice del cannone, la tedesca Krupp. Frattanto, stimolate dalla corsa agli armamenti e da alcuni successi nella vendita di naviglio militare a nazioni estere, le industrie italiane specializzate nella produzione di artiglierie navali ampliarono i propri impianti. Ciò rese possibile, nel 1911, in occasione di un ulteriore rinnovo del materiale da campagna con l'introduzione del cannone da 75/27 Déport, la costituzione di un consorzio per la produzione dei nuovi pezzi. Il consorzio raggruppava, per la costruzione dei vari materiali (dai pezzi veri e propri al munizionamento), 27 tra le maggiori imprese italiane metalmeccaniche. Si trattava della prima grossa commessa di materiale bellico a favore dell'esercito ed è comprensibile quindi che non tutto filasse liscio e che i materiali finissero per essere consegnati con un certo ritardo. Nonostante tutto ciò, però, l'esperienza di questo consorzio doveva dimostrarsi utile negli anni seguenti. I nfatti, con la guerra italo-turca, iniziava un periodo di tensioni internazionali, che si sarebbe concluso con lo scoppio della guerra mondiale. Nel corso dell'impresa libica, esattamente il 18 gennaio 1912, era stata istituita una « Commissione consultiva per gli approvvigionamenti dello Stato » allo scopo di coordinare le richieste dei singoli ministeri ed in qualche modo programmare lo sforzo industriale necessario per fronteggiarle. La Commissione non riuscì, però, per vari motivi, a svolgere praticamente i compiti che le erano stati demandati, l'iniziativa fu quindi lasciata alle singole amministrazioni. Per quanto atteneva agli armamenti alJo scoppio della grande guerra, dopo la dichiarazione di neutralità dell'Italia nell'agosto del 1914, le ipotesi di un intervento a fianco della Triplice Alleanza persero consistenza; conseguentemente i problemi navali passarono in seconda linea (l'Intesa disponeva già del dominio del mare) mentre acquistò grande importanza la preparazione dell'esercito. Perciò fu praticamente la « Direzione Generale di Artiglieria e Genio» presso il Ministero della guerra, che si interessò principalmente dell'apprestamento dei materiali bellici. Fortunatamente per il Paese a capo di quest'ente era un ufficiale di eccezionali capacità, che avrà un ruolo di grandissima importanza nella conduzione dello sforzo industriale dell'Italia in guerra : il generale Alfredo Dallolio. La preparazione bellica italiana si svolse tra non lievi difficoltà di ordine finanziario: infatti nei primi giorni dell'agosto 1914, Da1lolio e il generale Tettoni (direttore generale dei Servizi Logistici) si recarono, per ordine del Ministro della guerra Grandi, dal Ministro del tesoro Rubini per esporgli le necessità dell'esercito; ottennero una risposta sostanzialmente negativa alle loro richieste, a causa della grave situazione finanziaria del Paese ( 4 ). In effetti a tutto il 13 ottobre 1914 le somme assegnate a carico del capitolo « spese per la guerra » per i « servizi di artiglieria » ammontavano a 54.000.000.000 di lire. Dopo la sostituzione di Grandi con il generale Zuppelli la situazione migliorò, ma di poco, visto che fra il 17 e il 27 ottobre Dallolio dové ridurre le sue richieste da 277.424.000 lire a 90 milioni (5). In effetti a tutto il 25 maggio 1915 furono stanziate per l'armamento dell'esercito 273.883.450 lire ( 6 ) e tutto ciò mentre le potenze con cui ci si intendeva misurare stavano spendendo miliardi in armamenti. Per valutare la comprensione con cui la burocrazia dei ministeri finanziari seguiva la preparazione militare italiana basterà rilevare come, ancora il 5 aprile 1915 , la Giunta del Bilancio chiedeva al Ministero della guerra se non fosse possibile realizzare qualche economia, sulle cifre precedentemente stanziate, in cons iderazione degli ingenti stanziamenti straordinari degli ultimi mesi! (7)

In questa situazione è comprensibile come i margini di manovra del Dallolio, in teoria amplissimi ( 8 ), fossero in pratica molto modesti. La non facile condizione in cui si trovava a dover operare il direttore dei servizi di artiglieria non fu, almeno al momento, compresa dal generale Cadorna il quale già 1'8 dicembre

1914, con lettera numero 3675, sollecitava il Ministero della guerra a ricorrere all'industria privata per accrescere la produzione bellica ( 9 ). Qualche tempo dopo il Capo di Stato Maggiore riprese questo problema in due lettere, rispettivamente del 23 e del 26 febbraio 1915, nell'ultima delle quali suggeriva di attuare una vera e propria mobilitazione industriale (1°).
Il 28 di quello stesso mese, in un lungo promemoria al Ministro (preparato probabilmente in previsione dell'incontro che Zuppelli ebbe quello stesso giorno con Cadorna) il Dallolio, dopo aver sottolineato come le dotazioni stabilite fossero state notevolmente ampliate, richiamò l'attenzione del Ministro sul problema finanziario per poi illustrare quanto era stato fatto per potenziare l'opera degli stabilimenti militari e per assicurarsi la collaborazione dell'industria privata in caso di mobilitazione. Dopo di ciò il documento affronta il problema vitale delle materie prime sottolineando le particolari caratteristiche dell'industria italiana: « Disgraziatamente in Italia la preparazione industriale tecnica non è all'altezza delle grandi industrie d'Oltr'Alpe meravigliosamente organizzate , possenti, esiste invece un'industria metallurgica fittizia, giacché mancano le relative materie prime. Vivono è vero alcune industrie meccaniche perché hanno per principale cliente lo Stato, ma appena mancano il carbone , il rame, il nikel, l'antimonio, il nitrato, il ferro manganese, il cromo etc. tutto s'arresta per fare delle dolorose constatazioni » ( 11 ). Alla luce di queste considerazioni il Dallolio aveva provveduto a rifornire di materie prime gli stabilimenti militari ponendoli in condizioni di lavorare per tutto il 1915 senza dover ricorrer.e alle« scorte intangibili ». Quanto alle imprese private l'azione della c, Direzione d'Artiglieria e Genio » si era per lo più limitata a delle intese in vista di un'eventuale mobilitazione. Riguardo a questa eventualità il Dallolio sottolinea due esigenze : quella di garantirsi la quasi totalità della produzione di acciaio nazionale e quella di lasciare, in caso di guerra, gli operai specializzati agli stabilimenti impegnati nella produzione b e llica Nel complesso l'azione del capo della « Direzione di Artiglieria e Genio » era conforme alle esigenze del momento, tenuto conto delle limitate disponibilità finanziarie. Tale sostanzialmente dové essere anche il parere del generale Cadorna che scrivendo il 4 marzo lodava « l'oculata previdenza e la solerte attività» dimostrata dal Ministero nell'approntamento dei materiali. Il Capo di Stato Maggiore richiamava però l'attenzione del Ministro sulla necessità di approntare convenienti scorte in previsione di una campagna di « lunga durata» (1 2 ). A proposito di questa lettera, in un appunto del 15 mar- zo per il Ministro, il Dallolio, dopo essersi richiamato a quanto già aveva esposto nella relazione del 28 febbraio, poneva nuovamente il problema del personale, concludendo: « Ma per non sbagliare la soluzione occorre accordare tutti i mezzi, per non trovarsi neUe condizioni di varare le macchine e non avere le intelligenze che devono guidarle » (13 ). Il problema del personale specializzato era indubbiamente vitale e le pressioni del Dallolio non rimasero senza esito. I nfatti, come ricorda il Franchini: « La Direzione generale di Artiglieria e Genio assunse l'iniziativa della risoluzione; mentre le altre Direzioni Generali della guerra, il Comando del Corpo di Stato Maggiore ed il Ministero della marina, si associarono, la Direzione Generale leva e truppa annuì, intravedendo peraltro nella concessione di uomini per gli stabilimenti, soltanto una pericolosa sottrazione di combattenti. Venne nominata all'uopo una Commissione per studiare il problema ed essa, tra opposizioni e difficoltà, riuscì a concretare il provvedimento disciplinante l'istituto delle "esonerazioni temporanee" (R.D. 29/4/1915 n. 561) dal servizio effettivo sotto le armi, dei militari richiamati, col quale si ]asciavano gli operai specializzati agli stabilimenti privati che provvedevano materiali o lavoro per l'Esercito o l'Armata. Si rivolse subito dopo il lavoro alla compilazione del Regolamento di applicazione d el sopracitato decreto, e, con circolare del 2 maggio 1915, furono diramati gli ordini ai Comandi di Corpo d'armata» (1 4 ). •

Con queste disposizioni si stabiliva un complesso sistema che prevedeva, per alcune categorie, la « dispensa » dal richiamo alle armi, per altre « l'esonero temporaneo».
La « dispensa» era già prevista dalle leggi sul reclutamento per la marina (R.D. 16/12/1888 n. 5860) e per l'esercito (R.D. 24/12/1911 n. 1497). Le disposizioni in proposito furono precisate ed ampliate (1 5 ) cosicché allo scoppio della guerra mondiale la « dispensa» si applicava alle seguenti categorie: a) membri di altri Corpi armati dello Stato; b) addetti agli uffici e agli stabilimenti militari; c) dipendenti delle ferrovie , delle poste, dei telegrafi e dei telefoni; d) impiegati dei Ministeri, delle Amministrazioni provinciali e comunali, delle Assemblee legislative e professionisti di interesse pubblico (notai, m inistri del culto, etc.); e) personale della Croce Rossa e di altri enti sanitari; f) equipaggi di navi mercantili al servizio dello Stato.

Per alcune di queste categorie di persone l'esenzione non era peraltro automatica, cioè doveva essere dimostrato che la lo- ro opera era necessaria al proseguimento del servizio. In origine la « dispensa » veniva concessa anche a « personale di imprese e stabilimenti di proprietà privata che interessano l'esercito e l'armata»; con l'entrata in vigore delle disposizioni relative agli esoneri temporanei questa parte fu soppressa. Ciò non deve sorprendere poiché il provvedimento era in relazione con le carattenstiche proprie delle due figure giuridiche; infatti la «dispensa» aveva caratteristica di stabilità ed offriva scarse possibilità di controllo una volta effettuata la concessione (16 ). Il nuovo istituto dell'esonero temporaneo, invece, proprio per la sua caratteristica di provvisorietà, permetteva alle autorità militari un maggior controllo e la possibilità di effettuare i richiami una volta che fossero venute meno le ragioni che avevano giustificato l'esonero.
Da questa caratteristica di maggiore elasticità della nuova figura giuridica, oltre che dall'imperioso sviluppo delle necessità economiche del Paese sottoposto all'enorme sforzo della guerra, conseguì che, mentre le « dispense», dopo quelle effettuate all'atto della mobilitazione, non furono molto numerose, gli « esoneri temporanei » ebbero un grande ed imprevisto sviluppo. Le « esonerazioni tempor anee» erano concesse, in un primo tempo, in base all'art. 3 del R.D. 29/4/1915 n. 561, solamente da commissioni locali che, all'atto della mobilitazione, data la loro recentissima costituzione, non poterono efficacemente entrare in funzione. D'altronde, non era stata ancora definita l'organizzazione che avrebbe diretto lo sforzo industriale del P aese in guerra. Infatti, soltanto con il R.D. 26/6/1915 n. 992, veniva concessa facoltà al Governo di « imporre e fare eseguire le opere occorrenti per aumentare la potenzialità di quegli stabilimenti dell'industria privata la cui produzione fosse, in tutto o in parte, ritenuta necessaria per gli acquisti e i rifornimenti riguardanti le Amministrazioni della Guerra e della Marina» (art. 2). Inoltre veniva concessa facoltà di « dichiarare soggetto alla giurisdizione militare, in tutto o in parte, il personale degli stabilimenti che producono materiali per l'Esercito e per l'Armata, ogni qualvolta ciò occorra per assicurare la continuità e lo sviluppo della produzione richiesta dalle esigenze della guerra» (art. 8) I due decreti, 29/4 e 26/6/1915, costituirono la base di quella che verrà poi chiamata « Mobilitazione Industriale», i cui organi direttivi ebbero una prima sistemazione con il R.D. 9/7/1915 n. 1065 che istituiva il« Comitato Supremo per i rifornimenti delle armi e delle munizioni » ed il « Sottosegretariato per le armi e le munizioni » presso il Ministero della guerra. Venivano messe alle dipendenze del Sottose- gretariato la « Direzione Generale di Artiglieria e Genio » e l' « Ispettorato generale delle costruzioni di Artiglieria » dell'esercito, ma non la« Direzione Generale d'Artiglieria e d'Armamento» del Ministero della marina. Con ciò si creava una situazione anomala secondo la quale il Sottosegretariato doveva provvedere ai bisogni della Marina senza avere la possibilità di un controllo tecnico dell'ente incaricato di fissarli, il che provocherà in seguito non pochi attriti.


Il gen. Dallolio veniva nominato il 9 luglio Sottosegretario per le armi e le munizioni. Il nuovo Sottosegretario non perse tempo: già il primo agosto aveva approntato un promemoria dal titolo « Organizzazione industriale per risolvere il problema del munizionamento» ( 17 ) che costituì lo schema base della Mobilitazione Industriale che fu sancita da li a poco con la pubblicazione del decreto luogotenenziale del 22/8/1915 n. 1277 che approvava il regolamento. In base a questo furono costituiti il Comitato Centrale di Mobilitazione industriale che iniziò a funzionare il 12 settembre di quell'anno ( 18 ), e sette comitati regionali (attivati tra settembre ed ottobre) (19 ). La caratteristica più notevolte di questi ultimi era data dal fatto che erano composti, oltre che da funzionari cd esperti, anche da rappresentanti degli industriali e degli operai, anche se con voto soltanto consultivo. Ai comitati regionali erano demandate funzioni di consulenza e controllo riguardo al personale degli stabilimenti «ausiliari», nonché giurisdizionali nei conflitti di lavoro del personale degli stessi stabilimenti. Le caratteristiche degli stabilimenti « ausiliari » fu. rono così efficacemente descritte dall'Einaudi: « Se il Ministro della guerra, persuaso che uno stabilimento privato o un suo reparto era atto, per i suoi impianti e macchinari, a produrre materiale necessario per i rifornimenti bellici, lo dichiarava « ausiliare »; tutto il personale, dai gestori ai proprietari, ai dirigenti, agli impiegati amministrativi e contabili, ai capi tecnici e agli operai, passava sotto la giurisdizione militare » ( 20 ). Lo stabilimento dichiarato « ausiliare » veniva posto sotto il controllo delle autorità militari e del comitato regionale territorialmente competente, mentre il personale godeva dell'esonero. Per la ripartizione delle commesse le ditte fecero capo a vari enti capigruppo militari o civili che tenevano continuamente al corrente il Sottosegretariato delle lavorazioni in corso (21 ).
Nonostante la grande solerzia del Dallolio il meccanismo della « Mobilitazione Industriale » stentò a mettersi in moto. Ciò è da imputarsi ad una lunga serie di motivi: in primo luogo le disponibilità finanziarie che, nonostante la dichiarazione di guerra, re- starono alquanto modeste, costringendo talvolta il Sottosegretariato ad assumere impegni non ancora coperti da opportuni stanziamenti ( 22 ). La modesta disponibilità dei mezzi finanziari non poteva non influire negativamente sugli orientamenti degli industriali, in genere alquanto prevenuti contro il regime di imperio creato dalla guerra ed orientati ad ottenere consistenti commesse prima di operare le trasformazioni necessarie perché i loro stabilimenti potessero intraprendere le nuove lavorazioni. Vi erano, è vero, delle eccezioni, come quella di Perrone, proprietario dell'Ansaldo: questi non solo soddisfece tutte le richieste rivoltegli, ma si agitava continuamente per proporre nuove soluzioni e fare accettare nuovi materiali ( 23 ), non esitando a questo scopo a ricorrere a tutti i mezzi ( 24 ). Questi sistemi non potevano non allarmare Dallolio che in una lettera al Comando Supremo, il 3 agosto 1915, sosteneva che il tentativo del Perrone {< di volersi creare una situazione privilegiata tipo Krupp, Schneider, Skoda non è da approvarsi, tanto più conoscendo i metodi per i quali ha inclinazione » ( 25).
Tuttavia l'attivismo del proprietario dell'Ansaldo o il diuturno lavoro degli stabilimenti militari non era certo in grado di riparare alle carenze dell'industria, assolutamente impreparata ad affrontare i problemi connessi con la produzione bellica. In effetti, era impossibile improvvisare una grande industria degli armamenti, non soltanto per le peculiari caratteristiche degli impianti, ma anche e soprattutto per le specifiche competenze tecniche del personale. Fu quindi indispensabile che dirigenti e maestranze si misurassero con i problemi peculiari delle nuove lavorazioni compiendo anch'essi il loro « apprendistato di guerra», meno crudele certo di quello dei combattenti che sperimentavano sulla propria pelle sistemi di lotta non prima conosciuti, ma non per questo meno impegnativo.
Che gli aspetti organizzativi e tecnici avessero un'importanza capitale è dimostrato proprio dai dati sulle fabbricazioni di guerra durante il primo anno del conflitto. In effetti l'unica produzione di armi di un qualche rilievo fu quella dei pezzi da campagna, che si poté giovare della precedente esperienza fatta dal Consorzio per il 75/27 modello 11.
Tra il 24 maggio 1915 ed il 30 giugno 1916 furono infatti prodotti ben 1567 cannoni, nello stesso periodo furono inviati al fronte 1233 pezzi di medio calibro dei quali però la maggior parte, 850, era costituita da vecchi cannoni tolti alle fortezze per cui i pezzi nuovi furono solo 383;per i maggiori calibri le nuove armi furono 53; in quanto alle artiglierie pesanti campali la loro produzione fu di 164 bocche da fuoco, ma anche qui si trattava in gran parte di mezzi di ripiego: i pezzi da 102 della Marina trasformati ingegnosamente dall'Ansaldo in autocannoni (26 ). Anche la produzione di proiettili fu modesta: 4.458.598 colpi completi nel 1915, meno di un quarto di quanto verrà prodotto l'anno seguente ( 27 ). Solo nel 1916 lo sforzo bellico del Paese raggiunse un livello, per qualificazione del personale e per ampiezza e continuità dei lavori, tale da permettere una prima organica stesura di un programma di armamento. Questo piano veniva definito di intesa tra il Sottosegretariato armi e munizioni ed il Comando Supremo, cercando di contemperare le esigenze belliche con la potenzialità degli impianti e le disponibilità di materie prime; da ciò derivò necessariamente che i programmi furono modificati col mutarsi delle situazioni. Ecco infatti un quadro riassuntivo dei piani relativi alla costruzione delle artiglierie, definiti durante tutto l'arco della guerra:

Tabella 1
Questi dati forniscono un quadro orientativo dell'evolversi dell'armamento italiano durante la guerra a seconda delle particolari esigenze del momento; essi testimoniano anche il progressivo potenziamento dell'industria bellica italiana, sebbene le cifre indicate nei programmi non corrispondono sempre ai materiali effettivamente ultimati (per esempio i pezzi prodotti tra il 1° lu!!lio 1916 ed il 30 giugno 1917 furono 3662 e non 4660 come nel programma n. 4) ( 29 ). L'aumentata produzione fu anche conseguenza dell'aumento delle disponibilità .finanziarie che raggiunsero in breve cifre notevoli. Ecco i dati delle spese di guerra in milioni di lire per i servizi del settore degli armamenti :

Alla fìne del 1916 la prima grande prova che ia guerra aveva imposto alle strutture finanziarie ed economiche italiane era stata superata: si era creata quasi dal nulla una potente organizzazione i ndustriale che era riuscita a far fronte alle enormi richieste dell'esercito. Appena ottenuto questo risultato si profilava però un'altra prova ancora più impegnativa, causata dalla modestia delle risorse nazionali in quanto a materie prime e dalla guerra sottomarina illimitata che falcidiava grandemente le importazioni. Questa situazione portò ad un maggior intervento dello Stato nell'economia. Dapprima, nel tentativo di far fronte alla crisi delle fonti energetiche, fu costituito, nel gennaio 1917, il Comitato per i combustibili nazionali a cui si aggiunse nel febbraio di quello stesso anno il Commissariato generale per l'approvvigionamento e la distribuzione dei carboni, che aveva il compito di importare e ripartire la principale fonte di energia dell'epoca. Poiché la crisi dei trasporti marittimi causava gravissimi problemi alimentari (si pensi che la principale voce delle importazioni italiane era appunto costituita dal grano) si provvide a costituire, nel giugno 1917, il Commissariato generale per gli approvvigionamenti e consumi alimentari con il compito di organizzare e gestire il reperimento e la distribuzione dei viveri . Contemporaneamente si ampliavano i provvedimenti miranti ad intensificare la produzione agricola con una serie di decreti relativi al credito agrario, alla coltivazione delle terre abbandonate, al controllo sulla produzione ed il commercio dei concimi. Successivamente, il 14 febbraio 1918, si provvide a dar vita all'organizzazione della « Mobilitazione agraria» affermando così l'intervento diretto dello Stato anche nella produzione agricola. Si affiancarono quindi alla « Mobilitazione Industriale » tutta una serie di strutture create per far fronte non solo ai bisogni dell'eser cito, ma per soddisfare anche le esigenze della popolazione civile in un momento in cui, per molteplici cause, le materie prime ed alcuni prodotti fondamentali si andavano rarefacendo.

Frattanto la struttura della « Mobilitazione I ndustriale» veniva ampliata e precisata con tutta una serie di Decreti Luogotenenziali ( 12 ottobre 1916 n. 1747, 15 marzo 19 17 n. 570, 5 luglio 191 7 n. 1093 e 9 settembre 1917 n. 1512) . I n base a questi provvedimenti i comitati regionali furono portati a undici con sede rispettivamente a Torino per il Piemonte; a Milano per la Lombardia; a Genova per la Liguria; a Venezia per il Veneto; a Bologna per l'Emilia; a Firenze per la Toscana; a Roma per Lazio, Marche, Abruzzo ed Umbria; a Napoli per Campania, Calabria ed il circondario di Lagonegro; a Bari per Puglie e Basilicata escluso il circondario di Lagonegro; a Palermo per la Sicilia; a Cagliari per la Sardegna. Erano anche ampliate le rappresentanze dei tecnici, degli operai e degli industriali nei singoli comitati e, col decreto del 5 luglio 1917, veniva loro delegata inoltre la sorveglianza disciplinare degli stabilimenti. Contemporaneamente alla ristrutturazione e all'ampliamento dei comitati regionali anche il Comitato Centrale venne allargato. Queste trasformazioni vennero favorite dal fatto che, col Regio Decreto 16 giugno 1917 n. 980, fu istituito il Ministero per le armi e le munizioni a cui passarono tutte le attribuzioni del precedente Sottosegretariato. Il nuovo ente fu diretto dal gen. Dallolio che ebbe per sottosegretari dapprima il generale Vittorio Alfieri (fino al 9 ottobre 1917) e successivamente l'on. Paolo Bignami.

Il Ministero si articolava in quattro settori: Servizi generali, Servizi di mobilitazione industriale, Servizio tecnico armi e munizioni, Servizio amministrativo, e tre direzioni generali: di Artiglieria, del Genio e di Aeronautica, impiegando il seguente personale:
La creazione di quest'organismo, decisamente imponente in un'epoca in cui l'organizzazione dello Stato non era ancora vitti- ma dell'elefantiasi burocratica, era conseguenza del fatto che una parte estremamente rilevante dell'industria italiana era stata via via impegnata nello sforzo bellico e, anche se non produceva direttamente anni, era posta sotto il controllo dell'organizzazione creata dal generale Dallolio. I nfatti gli stabilimenti ausiliari, che alla fine del 1915 erano solamente 221, divennero 797 al 30 giugno del 1916, 998 il 31 dicembre di quello stesso anno, 1463 il 30 gmgno successivo, 1708 alla fine del 1917 e, al termine del conflitto, erano divenuti 1976.

Oltre a queste imprese esisteva una miriade di stabilimenti minori, troppo piccoli per essere dichiarati ausiliari, « nella quasi totalità impegnati nella produzione di proiettili di piccolo e medio calibro», come ebbe a dichiarare il generale Dallolio nel corso di una seduta del Conùtato Centrale della M.I.. Dai dati raccolti risulta che il numero di questi stabilimenti oscillò nel corso della guerra tra le 1.000 e le 1.200 unità ( 32 ). Anche queste industrie minori riuscirono, almeno in parte, ad ottenere il particolare regime di favore concesso alle imprese «ausiliari», compreso l'esonero di parte del personale. Gli stabilimenti dichiarati « ausiliari » si ripartivano tra i vari settori industriali nelle seguenti proporzioni:
Per quanto riguarda la situazione alla fine del conflitto, un'altra fonte riferisce i seguenti dati circa gli stabilimenti ausiliari alla data del 31 dicembre 1918: industrie estrattive del sottosuolo (comprendenti miniere e cave di ogni genere): 292; imprese di trasformazione dei prodotti dell'agricoltura, prendenti industrie del legno, dei cereali, imprese conserviere, industrie delle spoglie animali e della carta): 228; industrie metallurgiche e siderurgiche: 204; industrie delle costruzioni metalliche e meccaniche: 558; industrie della lavorazione dei mine-rali non metallici e dell'edilizia (comprendenti fra l'altro le raffinerie di zolfo e petrolio): 126; industrie della lavorazione ed utilizzazione delle fibre tessili: 75; industrie chimiche ed elettrochimiche ( comprendenti anche le imprese che fabbricavano gli esplosivi): 442; industrie e servizi di bisogno collettivo (imprese di trasporti, telefoni, telegrafi., cavi, consorzi idrovori, centrali elettriche): 135 ( 34 ). I dati relativi al numero degli stabilimenti industriali dichiarati ausiliari non si riferivano ovviamente solo a stabilimenti già esistenti, ma anche ad imprese nuove sorte nei settori più produttivi nel corso del conflitto; la loro ripartizione comunque testimonia una concentrazione industriale già preesistente alla guerra e che le necessità belliche accentuavano inevitabilmente.
Sembrerebbe, in base ad un'osservazione sommaria dei dati, che la situazione delle altre regioni italiane, rispetto a quelle del triangolo industriale, sia migliorata nel corso della guerra; in realtà questo apparente miglioramento è dovuto alla progressiva estensione dell'ausiliarietà a nuovi tipi di imprese. Caratteristico è il caso della Sicilia, passata, fra il finire del 1916 e gli inizi del 1917, da 24 a ben 135 industrie mobilitate per l'estensione del regime di ausiliarietà alle miniere. È da tener presente, anche a questo proposito, che su 292 industrie estrattive esistenti alla fine della guerra, solo 53 erano in Lombardia, Piemonte e Liguria, mentre in queste tre regioni vi erano 170 stabilimenti siderurgici su 204 e 409 imprese meccaniche su 558. In quanto alla capacità di espansione, i dati più significativi sono senza dubbio offerti dalla comparazione dei dati del 1917, quando l'ausiliarietà era praticamente estesa a tutti i tipi di industria, con quelli del 1918. Ebbene, delle 454 industrie dichiarate ausiliarie in questo periodo ( si tratta in grandissima parte o di nuovi stabilimenti o di imprese la cui importanza era molto aumentata nel corso del conflitto) ben 238 erano all'interno del triangolo industriale.


Questi dati si riferiscono al solo numero delle imprese; per quanto riguardava la « qualità » della concentrazione industriale, bisogna considerare che « in Piemonte 203 società ( su 244) denunciavano nel periodo bellico, utili di 61.634.000 lire, su un capitale nominale di 445.800.000 lire; in Lombardia 596 società (su 783) su 1.845.100.000 lire di capitale nominale rivelano utili netti di 148.622.000 lire; in Liguria 183 società {su 226) con un capitale di 662.700.000 lire accusavano 78.365.000 lire di utili netti » ( 36 )
La concentrazione reale di investimenti e di profitti doveva essere ancora maggiore, visto che lo Stato riscuoteva il 60% delle imposte, sui sovrapprofitti di guerra, nelle sole tre provincie di Genova, Milano e Torino. Questa concentrazione imponente per numero e per dimensioni delle iniziative industriali in Piemonte, Liguria e Lombardia, poneva anche gravi ed impellenti problemi per quanto riguardava la disponibilità della mano d'opera. Come si ricorderà, il problema del personale era stato risolto prima con l'introduzione della dispensa e successivamente con la creazione dell'<< esonero»; le due figure giuridiche differivano tra loro sostanzialmente per il carattere di maggiore stabilità della prima. In base a ciò, le autorità militari riservavano la dispensa alle persone che avevano uno stabile rapporto con lo Stato o con enti pubblici ( operai degli stabilimenti militari, ferrovieri, dipendenti degli enti locali etc.) mentre concedevano l'esonero a quelle persone la cui collaborazione avrebbe potuto anche, ad un dato momento, non rendersi più necessaria al fronte interno divenendo quindi disponibili per essere inviate nella zona di combattimento. Inoltre la stessa provvisorietà dell'esonero costituiva un potente strumento per garantire la collaborazione allo sforzo bellico d egli operai.
Nonostante questo carattere e nonostante il fatto che nell'ultimo anno di guerra si verificasse una contrazione della produzione globale e un rallentamento nella fabbricazione di alcuni prodotti a vantaggio di altri, il numero delle esenzioni invece di contrarsi andò aumentando; ciò dipese da una molteplice serie di fattori quali il forte incremento dell'esonero concesso per i bisogni dell'agricoltura, la difficoltà di trasferire da uno stabilimento all'altro, e soprattutto da un luogo all'altro, gli operai eso- nerati, la necessità, nonostante la saltuarietà degli arrivi delle materie prime, di mano d'opera sufficiente a poter riprendere a pieno ritmo la produzione. Frattanto, nel corso del conflitto, si era palesata la necessità, in conseguenza dello sviluppo dei settori industriali connessi con la produzione di guerra, « di ricercare altre maestranze già pratiche, le quali occorrevano per accrescere numericamente la mano d'opera bellica. Per sopperire a questa deficienza di mano d'opera, si provvide subito a ricercare ovunque operai borghesi a mezzo degli uffici del lavoro e degli enti interessati al collocamento della mano d'opera» ( 37 ). Non essendo sufficienti gli operai così reclutati, « sorse la necessità di ricercare presso i corpi e i reparti militari individui che, nella loro vita civile, avessero esercitato determinati mestieri di operaio, ma che non erano stati ammessi all'esonerazione, alcuni perché non conosciuti dagli industriali, altri perché, appartenendo a classi di leva, non si trovavano nelle condizioni volute per ottenere l'esonero» (38 ). Nacquero così i reparti dei militari-operai; « essi, quantunque assegnati agli stabilimenti, dovevano vestire la divisa e dormire in caserma; erano sottoposti a tutti i doveri dei militari in servizio presso i corpi, poiché erano considerati, a simiglianza dei militari di truppa addetti agli stabilimenti militari, quali militari "comandati". Si chiamarono perciò "militari-operai comandati" » ( 39 ). Con lo svilupparsi delle operazioni crebbe anche la richiesta di mano d'opera per le industrie belliche. Le autorità militari si trovarono di fronte al duplice problema di aumentare il numero degli effettivi dell'esercito mobilitato e contemporaneamente assicurare l'aumento della produzione. Si cercò quindi di contenere il numero degli operai impegnati nella produzione interna, incrementando da un lato la specializzazione dei singoli, e dall'altro dando priorità agli impianti più produttivi. Per conseguire il primo risultato furono costituite scuole di tornitori militari a Torino, Milano, Genova, Modena, Roma, Napoli e Palermo, e una scuola fonditori a Genova; a queste scuole veniva ammesso personale militare ritenuto inabile alle fatiche di guerra che, alla fine del corso, veniva distribuito tra i vari stabilimenti dai singoli comitati. Per quello che riguardava la necessità di dare priorità alle aziende più produttive, la Mobilitazione Industriale, dopo vari accertamenti, si convinse della necessità di concentrare le maestranze negli stabilimenti meglio organizzati (40 ). Siccome, però, il trasferimento del personale borghese da uno stabilimento all'altro incontrava ostacoli, si preferì, invece di aumentare il numero degli esoneri, di accrescere quello degli operai militari. Quindi, « quando una officina produceva poco, in re- lazione alle maestranze (specie militari) per cause non eliminabili in un avvenire prossimo, gli organi centrali non esitavano, date le necessità del momento, ad utilizzare meglio la maestranza , e specialmente quella che più facilmente poteva spostarsi: la maestranza militare» (41 ). L'aumento però degli operai militari creava un'altra serie di problemi per il loro accasermamento ed inquadramento. « Si pensò allora di non "incorporare" quei nuovi chiamati, di mestiere operaio, la cui opera fosse ritenuta assolutamente necessaria ed indispensabile agli stabilimenti di produzione bellica presso i quali si trovavano a lavorare prima della loro chiamata alle armi. Furono p erciò date speciali disposizioni per la loro "immatricolazione"; e, poiché venivano a trovarsi a più completa disposizione delle necessità di lavoro degli stabilimenti, furono denominati "militari operai a disposizione"» (42 ). Poiché questa posizione permetteva alle autorità militari di poter pienamente disporre della mano d'opera, senza sovraffollare ulteriormente le caserme, fu concesso a molti operai comandati di passare a << disposizione »; ciò implicava il vestire l'abito civile e di passare le ore libere dal lavoro in famiglia. Il numero degli esonerati e operai militari (sia comandati che a disposizione), nei vari periodi del conflitto, risulta dalla Tab. 6.

Questi dati si riferiscono alle esenzioni rilasciate dalle Commissioni locali e dai Comitati regionali di Mobilitazione Industriale. Anche l' Ufficio militare di sorveglianza presso il Commissariato generale per i combustibili nazionali era abilitato a rilasciare esoneri. Data, però, la modesta entità dell'attività dell'industria italiana nel settore, il numero di questi esoneri fu molto limitato; infatti al termine delle ostilità non raggiungeva le 10.000 unità ( 44 ).
Non tutti gli esonerati e gli operai militari erano impegnati nell'industria; infatti col 1917 era stata iniziata, in forma massiccia, anche la concessione di esoneri e di personale militare per i bisogni dell'agricoltura. L'incidenza di queste concessioni sul totale del personale avente obblighi militari ed assegnato alle industrie risulta dalla Tab 7.
Il personale non destinato alle attività agricole era, per la quasi totalità, addetto al settore industriale come risulta dai dati relativi alla sua ripartizione , al 30 settembre 19 18. (Tab. 8)
Come si desume da questi dati, oltre 400.000 uomini erano impegnati nelle attività industriali vere e proprie e meno di 40.000 nel settore terziario. Il grosso delle attività industriali era comunque costituito da stabilimenti (ausiliari e minori) che lavoravano nei rifornimenti di armi e munizioni, il cui personale risulta dalla Tab. 9.

Tabella 6
Ripartizione delle esenzioni in Totale delle Data esonerati militari operai esenzioni comandati a disposiz.


In conclusione, se si considerano i 15.550 operai militari comandati presso gli stabilimenti militari veri e propri, la cifra totale degli esentati a vario titolo addetti all'industria bellica vera e propria sale a 358.050 contro i 163.090 esonerati per le esigenze dell'agricoltura ed i circa 92.000 necessari alle imprese inerenti « i servizi pubblici e l'economia nazionale» ( 48 )
Come si vede, anche per quanto si riferiva alla mano d'opera, lo sforzo maggiore fu compiuto, né poteva esser e altrimenti, n el campo dell'industria, più strettamente lagata alle esigenze militari.
No Te
(1) C. ROSTAGNO: Lo sforzo industriale dell' Italia 11ella recente guerra, in • Rivista d'Artiglieria e Genio•, dicembre 1926, p. 2076.
(2) ibidem p 2075.
(3) ibidem p. 2076.
(4) Archivio del Museo Centrale del Risorgimento Roma (A.M .C.R.): Carte Dallo/io , busta (b.) 949, fascicolo (f.) I • provvedimenti per l 'esercito (guerra 1915-1918) •
(5) ibidem.
(6) ibidem
(7) A.M.C.R. Carte Dal/olio, b. 946 f. 7. Ecco il testo dell'interessante documento:
« L'Onorevole Giunta del Bilancio s ul disegno di legge a. 289 riflettente lo stato dì previsione della spesa del Ministero della Guerra per l'esercizio finanziario 1915-1916 ha formulato il seguente quesito: "Si desidera conoscere se, in conseguenza degli approvvigionamenti e dei lavori eseguiti nell'esercizio in corso, coi fondi straordinari messi a disposizione del Ministero della Guerra in vista dell'attuale situazione internazionale, non s ia possibile prevedere qualche riduzione nelle spese straordinarie per l'esercito già autorizzate per gli esercizi avvenire dalle leggi in vigore". Si pregano gli uffici a i quali è diretta la presente circolare di fare d'urgenza sull'argomento, ciascuno per quanto riflette i servizi che rientrano nella propria competenza, le comunicazioni che stimeranno del caso a questo Segretariato, per metterlo in grado di preparare e sottoporre alla superiore approvazione la risposta da darsi all'Onorevole Giunta con la maggiore possibile sollecitudine Il Sottosegretario di Stato Elia •.
(8) Vedj allegato n. 14.
(9) cfr. E. FAI.DELLA: La grande guerra, Milano 1965, voi. I, p. 27.
(10) cfr. ibidem p. 28 e l'allegato n. 1.

(11) Vedi allegato n. I.
(12) A.M.C.R Carte Dallolio b. 949 f. 8.
(13) ibidem.
(14) V. FRANCHINI: «La mobilitazio11e industriale dell'Italia i11 guerra•, Roma 1932, p. 78.
(15) Per la Marina R.D. 16 maggio 1889; R.D. 10 a prile 1890; R.D. Il giugno 1893; R.D. 11 agosto 1894; R.D. 27 giugno 1897; Legge 1 febbra io 1900 n. 26; R.D. 27 novembre 1904; R.D. 29 aprile 1915 n. 561; per l'Esercito: R.D. 15 aprile J9ll n. 374; R.D. 17 maggio 1914 n. 548; R D. 29 aprile 1915 n. 561; R.D. 13 magg10 1915 n. 707; R.D 18 maggio 1915 n. 668; e dal D.M. 22 maggio 1915 stabilente le modalità di applicazione.
(16) Comitato p er la mobilitazione civile: • Le varie forme d i esenzione dal servizio effettivo sotto le armi in Italia durante la guerra mondiale • (1915-1918), Roma 1933, pp. 37-39.
(17) Vedi allegato n. 3
(18) cfr. V. FRANCHnn: op. cit.: p . 80.
(19) I "Comitati Regionali • avevano le seguenti sedi: Torino per il Piemonte; Milano per la Lombardia; Genova per la Liguria; Bologna per l' Emilia ed il Veneto; Roma per l'Italia centrale e la Sardegna; Napoli per l'Italia meridionale; Palermo per la Sicilia.
(20) L. EINAUDI: • La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana•, Bari 1933, p. 102.
(21) Vedi allegato n. 2.
(22) A.M.C.R. Carte Dallo/io b. 949 f. l • I provvedimenti per l'esercito •, cit.
(23) Sulla versatile attività dell'Ansaldo vedi gli allegati n. 3 e 4.
(24) Vedi allegato n. 5.
(25) cfr. allegato n. 6. La lettera per quanto firmata da Zuppelli è chiaramente del Dallolio. E' caratteristico della personalità dell'allora Sottosegretario alle armi e munizioni il fatto che egli riesca a valutar~ con sostanziale equaoimità Perrone, riconoscendogli difetti, ma anche pregi, nonostante che le prove dei contrasti che ebbe con lui appaiano in quasi ogni cartella del suo ar chivio.
(26) cfr. Ministero della Guerra: L'esercito italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Roma d.v. (citato da qui innanzi come Relazione Ufficiale Italiana R.U.I.) voi. IV, torno I ter allegati 2, 3, 4 e 5.
(27) A.M.C.R. Carte Dallolio b. 944 f. 27. Dati sul munizionamento inviati a S.E. Salandra e C. Montù: Storia dell'artiglieria italiana, Roma d.v. voi. X, p. 559.
(28) Tutta la documentazione sui programmi di costruzione delle artiglierie è contenuta in A.M.C.R. Carte Dallolio b. 952.
(29) cfr. R.U.l. voi. lV tomo i ter allegati 2, 3, 4 e 5. Va considerato però che parte del materiale indicato fu ultimato in seguito sen1..a essere perciò inserito nei programmi successivi: vedi avvertenza al programma n. 7.
(30) F. ZUGARO: li costo della guerra italiana, Roma 1921, p. 19.
(31) A.M.C.R. Carte Dallo/io b. 960 f. 5 La ripartizione dei vari servizi era la seguente: Servizi Generali: ufficio invenzioni, servizio delle missioni all'estero, servizio trasporti A. e M., servizio automobilistico, ufficio comunicazioni statistiche interalleate; Servizi di Mobilitazione Industriale; Comitato Centrale della M.I. e uffici dipendenti, servizi esonerazioni temporanee, ufficio storiogr:ifico della M.I.; Servizio Tecnico A. e M. che comprendeva servizi per ogni tipo di materiale bellico oltre ad un servizio collaudi ed a un « servizio approvvigionamento materiali metallici • con vari uffici; il Servizio Amministrativo A. e M. comprendeva gli uffici: finanze, acquisti, commerciale, proventi e requisizioni. A.M.C R Carte Dallo/io b. 960 f. 6.
(32) Questi stabilimenti erano 1181 il 26 novembre 1916 (cfr. allegato U) 1200 il 28 febbraio 1917 (A.C.S. Ministero Armi e Munizioni b. 42) 1078 il l giugno 1917 (A.M.C.R. Carte Dallolio b. 948 f. 24). E' probabile che nell'ultimo anno di guerra, in considerazìone della carenza deJle materie prime, il numero di questi stabilimenti si sia ulteriormente ridotto.
(33) Alla data del 30 giugno 1917 gli stabilimenti indicati come varii comprendevano 26 imprese alimentari, 16 industrie del legno e della latta, 27 stabilimenti della carta e tipografico, 6 ditte produttrici di cotoni idrofili e medicinali, 2 oleifici e saponerie, 14 industrie della gomma, dei cavi elettrici e della telefonia, 42 fra imprese agricole, di frigoriferi, del ghiaccio, dei vetri. I dati sono desunti da: Ministero della Guerra, Sol· tosegretariato per le Armi e Munizioni, Elenco degli stabilimenti dichiarati « ausiliari • a tutto il 30 giugno 1916, Roma 1916 Ministero della Guerra, Sottosegretariato per le Armi e Munizioni, Elenco dei;li sta bilimenti dichiarati • ausilìari • dal 1 luglio al 31 dicembre 1916, Roma 1917, Ministero delle Arrni e Munizioni, Elenco degli stabilimenti di chiarati «ausiliari• a tutto il 30 giugno 1917, Roma 1917.
(34) cfr. Comitato di Mobilitazione Civile: I Comitati Regionali di Mobilita zione industriale (1915·1918), Roma s.d. pp. 119-121.

(35) Per le fonti vedere le note 32 e 33. Sul finire del 1917, come si è già detto, il Comitato Veneto Emiliano fu diviso in due, quello dell'Italia cen trale in tre (Sardegna, Toscana ed un terzo Comitato per il Lazio, il .Molise, l'Abruzzo, l'Umbria e le Marche) e quello dell'Italia meridionale nei due Comitati di Napoli e Bari. Abbiamo lasciato la ripartizione precedente per facilitare la comparazione.
(36) R. RoMEO: Breve storia della grande industria in Italia, Bologna 1967, p. 121.
(37) Comitato per la Mobilitazione Ci\'ile: Le varie forme di esenzio ni, cit. p. 113.
(38) ibidem p. 114.
(39) ibidem p. 124.
(40) V. FRANCHJ~t: Dì alcu11i element i relativi alla maggiore utilizzazione delle maestranze durante il periodo bellico, Milano 1928, pp. 17 ss
(41) ibid em pp. 27-28.
(42) Comitato per la Mobilitazione Civile: Le varie forme di esenzioni, cit. pp. 124-125 .
(43) ibidem p. 438.
(44) cfr V. FRA~CHINI: La ,nobilitazione , op. cit. p. 142.
( 45) A. SERPlERI: La guerra e le classi rurali iralìane, Bari 1930, p. 64 ed anche Comitato per la Mobilitazione Civile: Le varie forme di esenzione, op. cit. p. 438.
(46) cfr. A. SERPIERI: op. cit. p. 68.
(47) cfr. Ministero della Guerra: Alcuni dati sulla prima guerra mondiale, Roma 1935, p. 27; A.M.C.R. Ca rte Dallolio b. 948 f. 24; A.C S. Ministero Armi e Munfaioni b. 42. Va segnalato che sovente viene conhlso il personale addetto alla produzione delle Armi e Munizioni con la totalità degli operai partecipanti in \'ario modo allo sforzo bellico del Paese. Cfr. V. FRANCHINI: op. cit. p. 144·145. In realtà, come si evince dallo stesso autore (pag. 135), bisogna considerare anche le imprese addette ai servizi pubblicì ed interessanti l'economia nazionale.
(48) Nel calcolo si sono considerati anche i circa 10.000 esoneri concessi dal Com· missariato Generale per i combustibili nazionali.