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di rifornimento e di partenza per forze aeree o navali in un momento in cui la tensione nell’intera area non fa che aumentare. Tornando alle ragioni dell’instabilità interna, si devono tener presente la rigida struttura tribale, che per anni Saleh ha saputo sfruttare al meglio, e le rivalità tra i vari clan. Da sempre le tribù hanno costituito l’unità sociale primaria presente nel territorio yemenita, che nel corso del secolo scorso si è svincolato dalle dominazioni straniere attraverso prima la formazione di due stati e poi la loro fusione in una unica entità statale, entità che ancora oggi per molti è però solo sinonimo di potere centrale, laddove quello periferico continua ad essere amministrato dai capi tribù. Per una popolazione in cui è ancora assente il concetto di popolo yemenita nel suo insieme, sono infatti i capi tribù i veri uomini da rispettare, quelli cui è demandata la gestione del potere, che avviene in modo semplice, ma strutturato, poiché le tribù sono organizzate in governatorati e questi a loro volta in confederazioni. Tra le fonti di guadagno utilizzate negli ultimi decenni dalle tribù nel loro singolare rapporto con il governo di Sana’a vi è quella del rapimento degli stranieri: si tratta di rapimenti a fine di lucro, in cui gli ostaggi vengono utilizzati come merce di scambio per ottenere denaro o infrastrutture dal governo centrale. È in questo complesso quadro sociale che si sono inserite le proteste popolari, iniziate in contemporanea con quelle degli altri paesi del Nord Africa e Medioriente e motivate da crescente disoccupazione, profonda crisi economica e diffusa corruzione. A differenza di quanto avvenuto altrove, in Yemen si è però ben presto assistito, per la sua struttura sociale, alla defezione di vari esponenti di governo e dei vertici delle forze armate, che hanno lasciato i loro incarichi e sostenuto le rivolte in accordo alle linee delle tribù di appartenenza. I manifestanti chiesero a Saleh le sue immediate dimissioni, ricevendo per tutta risposta un no secco per alcuni mesi e dopo, in seguito alla mediazione dei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, un numero interminabile di annunciati passaggi di potere fino alla firma il 23 novembre dell’accor-


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