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Risk elettori (nel Parlamento eletto nel 2005, precedente alle elezioni farsa del novembre 2010, la Fratellanza contava ben 88 eletti). Solo i quattro diversi partiti ancor più radicali nel loro islamismo di marca salafita, la coalizione distinta e distante dalla moderazione apparente, ma molto tenacemente dichiarata davanti a stranieri e nella comunità internazionale dalla Fratellanza (se leggete il programma elettorale in inglese sul sito del partito, riservato a economisti ed esperti del Fmi, scoprirete che è sorprendentemente mercatista e liberista, una classica trappola per intellettuali occidentali, del resto anche Ennahda ha accolto la stampa occidentale dopo la vittoria con hostess minigonnate...), possono contare su un modello organizzativo in qualche maniera analogo. Ma data da pochi anni, ed è ancora ristretto nel territorio, non radicato anche nella aree rurali egiziane come quello di Libertà e Giustizia. Nei travagliati mesi della transizione la Fratellanza ha tenuto un rapporto strettissimo con i militari, allentatosi solo quando nello schema di Costituzione preparato dall’ex ministro Al Selmy è puntualmente riemersa la volontà dei militari di sottrarre il Consiglio supremo delle forze armate a qualsivoglia vincolo nei confronti del governo civile futuro. Questo è uno dei motivi per cui si è rinfiammata piazza Tahrir, con decine di nuove vittime della repressione militare nella settimana precedente l’inizio delle operazioni elettorali, con le opposizioni laiche che invocavano un nuovo governo e il rinvio delle elezioni, mentre la Fratellanza ha sostenuto i militari nella conferma di elezioni subito. La Fratellanza è risultata così la vera vincitrice dell’ondata repressiva prevoto. Gli strati popolari egiziani sono stanchi di disordine, della fuga in massa di turisti che deprime l’economia egiziana, consegnando al passato crescite tra i 3 e il 4% annuo, e lasciando invece posto ad una disoccupazione ancor più elevata ed a portafogli vuoti. Per i militari sarà complicato continuare a esercitare il vero controllo sull’economia e su vaste aree del complesso pubblico industriale (corrottissimo). E anche al loro interno si apriranno obbligate 22

linee di successione. Non è detto che a Tantawi succeda colui che in questi ultimi anni a tutti gli effetti è stato il secondo nella catena di comando, il tenente generale Sami Hafez Enan, capo di Stato Maggiore delle Forze Armate e forte di buoni legami con Washington (dagli Usa vengono ancor oggi all’Egitto 1,3 miliardi di dollari di aiuti militari ogni anno). La vittoria di Libertà e Giustizia dipenderà dalla partecipazione alle urne dei 50 milioni di votanti circa su oltre 85 milioni di egiziani. Quanto più sarà superiore al 50%, tanto più la percentuale potrebbe superare il 30% per avvicinarsi al 40. In caso di una vittoria landslide, anche in Egitto potrebbe a quel punto aprirsi una delicata partita tra governo civile e for-

Per l’Unione europea, è semplicemente abissale la distanza dalle rivolte e delle loro conseguenze da strategie velleitarie e prive di riscontri quali il partenariato di Barcellona e l’Unione del Mediterraneo lanciata dall’Eliseo. Il rischio è quello di trovarci davanti a un “mare clausum” nella sua imboccatura asiatica ze armate, analoga a quella per anni giocata in Turchia dall’Akp di Tayyp Erdogan contro i vertici militari, custodi di un’idea kemalista di Stato laico e del vincolo internazionale Nato e occidentale. Le dichiarazioni di Tantawi – «il ruolo delle forze armate resterà intatto» - ribadite il 26 novembre incontrando due figure essenziali per il futuro dell’Egitto, l’ex capo dell’Aiea El Baradei e l’ex segretario generale della Lega Araba Amr Moussa, rischierebbero di lasciare il tempo che trovano se la Fratellanza stravincesse. La presa della Fratellanza è infatti divenuta ri-


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