rapporto2007

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3.2 A tali problemi si aggiunge il fatto che il sistema politico italiano è particolarmente frammentato ed è carente di una solida cultura della sicurezza, basata su una ragionevole condivisione degli interessi nazionali e realizzabile con un approccio bipartisan. Ad esso si oppongono soprattutto le forze cha a sinistra (e non solo quella “antagonista”) hanno mantenuto una forte connnotazione ideologica. L’esame che segue riguarda tre punti attinenti la legittimità, beninteso in riferimento alla specifica situazione italiana: 1) le nuove fattispecie della conflittualità e le esigenze che ne derivano per il diritto costituzionale; 2) l’inadeguatezza del diritto internazionale ad affrontare le nuove forme di conflittualità e di interventi armati; 3) i sistemi con cui, in modo del tutto pragmatico e spesso contraddittorio, le difficoltà sono state superate in Italia. 3.2 La Costituzione italiana prevede solamente lo stato di pace e quello di guerra (una guerra cioè di tipo tradizionale, fra gli Stati e i loro eserciti regolari, del tipo di quelle combattute da Westfalia in poi). Non tiene conto e, quindi, non regolamenta le procedure da attuare nella “zona grigia”, sempre più ampia, esistente fra le due. Non prevede stati di preallarme, di crisi e di emergenza, che configurano molte delle situazioni attuali e che andrebbero affrontate con procedure proprie di quelli che rientrano nella grande categoria degli “stati di eccezione” e delle conseguenti ricadute interne ed internazionali. Per fronteggiare adeguatamente le esigenze poste da questi ultimi, dovrebbero essere previste apposite procedure e profili costituzionali per attribuire all’esecutivo i poteri necessari ed eventualmente per imporre temporanee limitazioni alle libertà civili ed economiche per salvaguardare il bene pubblico prioritario della sicurezza. Innumerevoli studi giuridici e proposte di modifica della Costituzione italiana (che è una costituzione rigida, non facilmente modificabile,) sono state fatte e dibattute. Nulla è stato però deciso, anzi in alcune proposte, avanzate ad esempio nella Commissione Bicamerale, si è ipotizzato un ulteriore indebolimento dell’Esecutivo.. Per ogni intervento vengono quindi posti problemi, oltre che di opportunità politica, anche di legittimità costituzionale, in riferimento al “ripudio della guerra” contenuto nella prima parte dell’art. 11 della Costituzione. Tale ripudio ricorda il Patto Briand-Kellog del 1928 (che, per inciso, fu sottoscritto immediatamente dall’Italia mussoliniana), ma il suo apparente irrealismo scompare quando esso viene letto non isolatamente, ma nel contesto della Costituzione, che esclude isolamento internazionale e neutralità, e della seconda parte dello stesso art. 11, che afferma che l’Italia accetta le limitazioni di sovranità conseguenti alla sua appartenenza ad organizzazioni internazionali. Il riferimento alle Nazioni Unite (che prevedono l’impiego della forza anche non a fini di autodifesa) è più che evidente. La Costituzione italiana non esclude la guerra difensiva che, nell’articolo 52, viene definita “sacro dovere di tutti i cittadini”. E’ interessante notare come tale aggettivazione derivò da una proposta che, tenuto conto della provenienza, era presumibilmente ispirata alla Costituzione sovietica. Ma, ancora più importante, la Costituzione esclude la neutralità e l’isolamento dell’Italia. Anzi, ne prevede la collaborazione con le istituzioni internazionali, facendo implicito riferimento alle Nazioni Unite. I Costituenti del “Gruppo dei 75” furono particolarmente attenti a redigere una Costituzione compatibile con la Carta delle Nazioni Unite, che estende l’uso della forza al mantenimento “offensivo” della pace e della sicurezza internazionali, disposto con risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. L’intervento armato in tale circostanze non solo è legittimo, ma diventa quasi obbligatorio. Nonostante questo e i numerosi tentativi di risolvere in sede para-costituzionale lo scollamento determinatosi fra la Costituzione italiana (da molti considerata “pacifista” ma, per inciso, molto meno “pacifista” di quelle tedesca e giapponese, dettate dai vincitori del conflitto) e la realtà del ritorno della storia e della forza nelle relazioni internazionali, la questione non è stata veramente risolta sotto il profilo formale. Tuttavia la prassi ha consentito all’Italia non solo di mantenere

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