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Massimo Bustreo

Manager’s TOOLS

Quali sono gli assi nella manica del manager del futuro? Quali strumenti gli permetteranno di gestire al meglio non solo il proprio lavoro, ma anche il fattore umano dell’azienda? Attraverso un insieme di articoli scritti da grandi professionisti del settore, la rubrica Manager’s Tools vuole rispondere al crescente bisogno di trovare nuovi stimoli ed ispirazioni per una figura professionale in continua evoluzione, quella del business manager.

MASSIMO BUSTREO

Umanista, consulente in psicologia del lavoro, formatore e coach, pianista Docente IULM e Libero Professionista

IL MANAGER DI DOMANI

Il manager. Donna o uomo a cui si riconosce il potere della decisione, a cui si demandano interessi e governo di un’impresa, nelle cui mani professionisti, artisti, lavoratori affidano il proprio destino. Il manager, un termine, che nella storia è stato oggetto di un doppio prestito linguistico, alla cui origine è bene tornare per comprendere quale possa essere il suo futuro migliore.

Il management. Dall’inglese to manage, a sua volta giunto dal francese manager, la cui origine è l’espressione latina manu agere, “condurre con la mano”, “guidare una bestia stando davanti a lei”. Mostrare la via, forti della capacità umana di aver appreso a governare con destrezza la forza bruta, l’energia in potenza, l’addomesticamento delle nostre pulsioni. Capacità che oggi si fanno sempre più complesse mentre gira la grande giostra a maneggio dell’economia e della vita.

Se da questo carosello fossimo capaci di scorgere all’orizzonte il passato dal quale proveniamo, il cambiamento sarebbe facilitato, ma non quel cambiamento nel quale tutti sono convinti di essere immersi solo perché il progresso va e va in avanti; quel cambiamento che, in un mondo ambiguo, troppo rapido e complicato, proviene da una rinnovata abilità a guardare al passato che sta davanti per comprendere il futuro che ci sta dietro. E dentro il quale c’è un gran bisogno di guide, con tutta la dimensione minacciosa che tale esigenza comporta.

Come un’antica auriga, infatti, il manager sale a bordo della sua biga, da dove tende le briglie con cui governare i cavalli bianchi della ragione e delle idee e quelli neri della passione e delle emozioni. Il manager maneggia capacità e competenze con abilità. Ne deve necessariamente dirigere i movimenti con garbo e determinazione per guidare in una determinata direzione. E lo deve fare con responsabilità.

Nelle imprese, enti pubblici o aziende che siano, chi gestisce il lavoro di altri intende e agisce il proprio ruolo con modalità differenti. Nel fare questo è oggetto di aspettative, inevitabilmente. Spesso contraddittorie da parte dei suoi diversi interlocutori (direzione, colleghi, subordinati, clienti esterni ed interni): ammirazione od ostilità, invidia o gratitudine, stima o rabbia. Caratteristica fondamentale di un’organizzazione, infatti, è quella di essere un sistema di responsabilità. Qui, alcuni possono far svolgere un lavoro ad altri, restando però responsabili del lavoro di questi ultimi. Lungo la linea di comando, ovvero nella gerarchia delle responsabilità, ogni

manager risponde del proprio lavoro e del lavoro dei

suoi subordinati al loro proprio capo.

E qui si ritrova il tema della legittimazione intersoggettiva del potere: se una persona è ritenuta responsabile delle prestazioni di altri lavoratori deve disporre di una certa influenza sull’agire organizzativo dei suoi collaboratori. Un’influenza che per essere efficace deve essere legittimata non solo a livello giuridico-formale, ma anche e soprattutto a livello intersoggettivo: ciò accade quando i collaboratori sanno rispondere alla domanda «a chi rispondo del mio lavoro?». Domanda alla quale davvero in pochi danno seguito in modo lucido e univoco. Ecco che tra le prime qualità che il manager di domani dovrebbe avere c’è quella capacità di condividere in modo chiaro e diffuso il principio di responsabilità con i proprio colleghi.

Il manager di domani dovrebbe saper dedicare una gran parte del proprio tempo e della propria energia a far crescere il proprio gruppo di lavoro, motivandolo e sostenendolo. Così da esser affiancato da professionisti sempre più bravi di lui con cui condividere una strategia e un progetto, con cui centrare l’attenzione al problem setting prima che al problem solving e al decision making.

Il manager di domani dovrebbe mostrare con chiarezza e capacità di coinvolgimento quello che è il traguardo, l’obiettivo, il punto di arrivo della fatica che il lavoro comporta. Garanzia di successo questo, perché il raggiungimento dei risultati diventi una promessa di sviluppo e non una minaccia di prestazione. E per far ciò, dovrebbe saper sviluppare al meglio il potenziale dei propri professionisti impegnati insieme a lui a raggiungerlo, insieme, in modo inclusivo, ma in forza di una capacità di delega ancor oggi troppo spesso confusa, ambigua o narcisisticamente posseduta come un bene inalienabile.

Il manager di domani dovrebbe curare la comunicazione, partendo dalla riconquista di un ascolto che sia mirato a comprendere prima che a rispondere. A domandarsi cosa sia possibile fare, e come, per il proprio gruppo di lavoro, prima di chiedere che sia questo a fare qualcosa per lui. In tale clima relazionale, l’errore non diventa più un evento da cancellare, ma un’esperienza da cui apprendere, crescere e migliorare, generativo di una realtà in cui è più agevole evolvere, sapendo cogliere opportunità e stimoli anche là dove la nostra mente ci suggerirebbe di non poterne trovare, attraverso contaminazioni, slanci creativi e sguardi che riportino al centro la capacità artistica della creazione. Solo così, infatti, si può facilitare il cambiamento, quel cambiamento necessario che oggi non si può più demandare.

Il manager di domani «dovrebbe fare» tutto questo. Perché se già lo fa, è un ottimo manager del presente per un futuro professionale migliore.

Massimo Bustreo

Umanista, consulente in psicologia del lavoro, formatore e coach, pianista Docente IULM e Libero Professionista massimobustreo.it