
10 minute read
UN PASSO INDIETRO
from L'orto di Michelle
Ecco un passaggio del discorso di Barak Obama del 9 settembre 2009 davanti al Congresso a Camere riunite
“Non siamo venuti qui solo per risolvere la crisi. Siamo qui per costruire un futuro… e questo è il problema dell’assistenza sanitaria. Io non sono il primo Presidente ad assumersi questa compito impegnativo, ma sono determinato ad essere l’ultimo che lo faccia. Il nostro fallimento collettivo nel rispondere a questa sfida anno dopo anno, decade dopo decade, ci ha condotto ad un punto di rottura. Noi siamo l’unica democrazia, l’unica democrazia avanzata sulla Terra, l’unica nazione ricca che permette tale disagio per milioni di suoi cittadini. C’è poi il problema dei costi crescenti. Spendiamo una volta e mezzo in più a persona per l’assistenza sanitaria di qualsiasi altro Paese, ma non per questo siamo più sani. Semplicemente, il problema della sanità è un problema di deficit... Sappiamo di dover riformare questo sistema. Il problema è come farlo. Ora, da un lato ci sono quelli che credono che l’unica via per riparare il sistema sia attraverso un unico soggetto pagante, come avviene in Canada, con una forte diminuzione del mercato delle assicurazioni private e il governo che fornirebbe a tutti una copertura. Dall’altro lato ci sono quelli che argomentano che dovremmo porre fine ai sistemi basati sulle assicurazioni degli impiegati e lasciare gli individui liberi di comprare l’assicurazione sanitaria per conto
proprio… questo rappresenterebbe un radicale cambiamento che sconvolgerebbe l’assistenza sanitaria per molte persone. Dal momento che l’assistenza sanitaria rappresenta un sesto della nostra economia, credo che abbia più senso costruire su ciò che funziona e correggere ciò che non funziona, piuttosto che provare a costruire da zero un sistema completamente nuovo. Il piano che andrò ad annunciare stasera prevede tre obiettivi fondamentali. Questo piano fornirà più sicurezza e stabilità a coloro che hanno un’assicurazione sanitaria, fornirà l’assicurazione a coloro che non l’hanno e rallenterà la crescita dei costi delle spese sanitarie per le nostre famiglie, le nostre imprese e il nostro governo. Pagheremo la maggior parte di questo piano sanitario con la riduzione degli sprechi e inefficienze nel “Medicare” e nel “Medicaid”. Gran parte del resto dovrebbe essere pagato con i maggiori ricavi delle industrie del farmaco e delle compagnie di assicurazione che trarranno beneficio da decine di milioni di nuovi clienti. La maggior parte di questi costi saranno pagati con i soldi già spesi, ma spesi male, nel vigente sistema sanitario. Il piano non si aggiunge al nostro deficit e se saremo in grado di rallentare la crescita dei costi sanitari, giusto di un decimo dell’1% ogni anno, ridurremo, nel lungo termine, il deficit di 4 trilioni. Nel 1935, quando oltre la metà dei nostri anziani non poteva sostenersi, c’era chi argomentava che la Sicurezza Sociale potesse condurre al socialismo. Ma gli uomini e le donne del Congresso hanno tenuto duro ed ora stiamo tutti meglio per questo. Nel 1965, anche quando qualcuno argomentò che “Medicare” rappresentava un ingresso pubblico nella sanità, i membri del Congresso, democratici e repubblicani, non indietreggiarono. Vedete, i nostri predecessori capirono che il governo non può e non deve risolvere tutti i problemi… ma capirono anche che senza un appoggio della politica, i mercati rischiano la rottura, I
monopoli possono soffocare la concorrenza, le persone vulnerabili possono essere sfruttate. Io credo ancora che possiamo sostituire l’acrimonia con la civiltà e lo stallo con il progresso. Io credo ancora che possiamo fare grandi cose e che qui ed ora verremo messi alla prova dalla storia, perché questo è ciò che siamo. È la nostra vocazione. È il nostro carattere”. Una riforma storica che però non è bastata ai democratici per vincere le elezioni alla Casa Bianca, non riuscendo a spostare i voti di molti che ne avevano beneficiato. È come se si fosse formata in alcuni elettori una dicotomia politica, come nel caso degli abitanti di Whitley County, in Kentucky. All’indomani delle elezioni che hanno portato Trump alla Casa Bianca, un noto sito americano di opinioni come VOX, fondato nel 2014 da Ezra Klein, entra nel pieno di questa dicotomia, andando ad intervistare gli abitanti di Whitley County una contea che aveva votato largamente per Trump, ma che nello stesso tempo aveva avuto uno degli indici più alti di copertura sanitaria dovuta all’Obamacare. Cittadini americani che avevano deciso di votare Trump, malgrado che questi aveva promesso di smantellare la riforma sanitaria voluta da Obama. Un caso che sembra ricordare quanto è avvenuto in Gran Bretagna a Sunderland, sede di un impianto di produzione della Nissan, con una popolazione strettamente collegata in termini di benessere e prospettiva lavorativa a questo sito industriale. Prima del voto sulla Brexit, la casa automobilistica giapponese aveva dichiarato pubblicamente che in caso di uscita dall’Unione Europea avrebbe rivisto i piani di investimento del sito di Sunderland e lo avrebbe delocalizzato. Malgrado questo, quindi davanti allo spettro della disoccupazione e della crisi, gli abitanti di Sunderland votarono a favore della Brexit. Quindi cosa ha
spinto gli abitanti di Whitley County a votare Trump? L’indagine di VOX ha rilevato come l’aumento delle polizze sanitarie era stata la miccia della protesta, scaturita nel voto a Trump. La riforma voluta da Obama di fatto obbligava tutti a sottoscrivere una polizza sanitaria assicurativa, pena una sanzione amministrativa, ma nello stesso tempo la copertura sanitaria non poteva essere negata a nessuno sia per situazioni economiche, che per stato di salute. Le assicurazioni private hanno cominciato ad alzare il prezzo delle loro polizze, basandosi sul fatto che i nuovi assicurati venivano da una maggiore fragilità del proprio stato di salute. Aumenti che a livello previsionale sono attesi per il 2017 nell’ordine del 22 per cento. Più dell’80 per cento dei venti milioni di iscritti al programma voluto dal presidente Obama riceve aiuti governativi che coprono un’aliquota relativa delle spese assicurative, ma la restante parte che non riceve queste forme di sussidio sta subendo un aumento significativo dei costi assicurativi. Una situazione che per gli analisti potrebbe indurre le persone sane a lasciare il mercato individuale, ma la riforma nello stesso tempo impedisce loro di farlo per via dell’obbligatorietà. La gente si trova confusa se assicurarsi o no, su come gestire la propria polizza sanitaria, su come avere garanzie e stabilità nelle polizze stipulate. Una incertezza fortemente cavalcata dai repubblicani e da Trump e che a Whitley County ha indirizzato gli abitanti a votare per il candidato repubblicano, nella convinzione che solo un uomo d’affari potesse dirimere questa situazione di confusione. E Donald Trump assolutamente coerente con quanto dichiarato in campagna elettorale, come uno dei primi atti della sua
Presidenza, alla fine della cerimonia di giuramento, firma per l’appunto un decreto per iniziare a smantellare l’Obamacare. Un atto più politico che sostanziale, che non cambia nulla, ma che manda un messaggio chiaro a tutti: l’Obamacare è superato, vedremo più avanti come cambiarla. Trump ha chiaro che azzerare l’Obamacare significa voltare pagina e mettere una distanza abissale tra lui e chi l’ha preceduto. Allora le agenzie federali debbono cominciare a studiare come cambiare rotta, come spostare risorse, come rallentare il processo, come annullare l’impatto e la validità dell’idea di sanità di Barack Obama. Lo fa lui in prima persona, con una teatralità che impatta sull’opinione pubblica e i media, lo fanno i suoi consiglieri più stretti come Kelyanne Conway che in una intervista al “Sunday Times” indica come oggi sia necessario bloccare il supporto federale all’Affordable Care Act, spostandolo sui singoli Stati, in attesa che domani si possa varare la riforma Trump. Vi è bisogno nel contempo di dare non solo risposte politiche agli americani, ma anche fornire soluzioni e il partito repubblicano si trova oggi in mezzo al guado di chi da un lato ha sempre contrastato l’Affordable Care Act e dall’altro deve lavorare all’interno del Congresso per svuotare di finanziamenti la riforma stessa, attuando la strategia del ‘budget reconciliation’, per le proposte di legge relative al bilancio, così sarà possibile evitare l’ostruzionismo parlamentare, accelerando il percorso di abrogazione, consentendo l’approvazione dei provvedimenti con la maggioranza semplice in Senato di 51 voti e non con quella qualificata di 60 voti; in Senato, i repubblicani dispongono di 52 voti. Certo questa è la strada più veloce che il Congresso, a maggioranza repubblicana, oggi può percorrere ma che
chiaramente distrugge senza costruire e che potrebbe far sì che milioni di americani si trovino senza copertura sanitaria. “Nella misura massima consentita dalla legge” è la frase che Trump scrive nei suoi primi decreti e che obbliga di fatto il Congresso ad attuare una strategia precisa contro quanto fatto da Obama, ma che non consente di fatto di avere una proposta alternativa da mettere in campo per evitare l’abbandono della tutela sanitaria per le fasce di popolazione più deboli e per molte delle iniziative di prevenzione che prima erano fortemente sostenute dall’impianto dell’Obamacare. I due anni che erano stati necessari al Congresso per approvare l’Obamacare indicano però che una riforma sanitaria negli Stati Uniti, ha bisogno di tempi lunghi, ampia convergenza dei membri del Congresso e idee chiare. E Trump saprà affrontare tutto questo sapendo che tra due anni il Congresso si troverà davanti alle elezioni di metà mandato e poi si entrerà nella battaglia per il secondo mandato? Trump parte dalla consapevolezza di una riforma che all’inizio non aveva inciso il cuore degli americani, se è vero come scrive l’Economist che il 56% non era favorevole all’Obamacare, ma che significa pure che i democratici possono contare sull’altro 44% come zoccolo duro e che potrebbe diventare la vera spina al fianco di Trump. Al di là delle esternazioni ideologiche-politiche, in una Nazione che spende circa il 18% del proprio Pil in sanità, il nuovo Presidente corre il rischio di privare di tutela sanitaria milioni di americani. Trump sa bene che smantellare completamente l’Obamacare significa spaccare il Paese e allora forse userà il cesello per eliminare l’impianto nella sua accezione concettuale e finanziaria e salvare alcune cose che hanno una deriva più popolare. E già prima del giuramento, in una intervista al Wall Street Journal aveva
dichiarato cosa salverebbe dell’Obamacare, ovvero il divieto alle assicurazioni sanitarie di negare la copertura per condizioni patologiche pre-esistenti e la possibilità per i giovani adulti di beneficiare delle polizze dei genitori. Forse il fronte popolare anti Trump e a tutela dell’Obamacare, parte dai germogli dell’orto di Michelle, di quel messaggio che la First Lady portava alle donne e alle mamme americane, dove la prevenzione diventava esigenza primaria per il Paese. Le stesse donne che sono accorse in 500 mila a Washington e in altre centinaia di migliaia a Boston, Chicago, New York, Denver, Los Angeles e altre città in America e in tutto il mondo, preoccupate dall’aggressività del discorso di insediamento di Trump, preoccupate che lo stesso Trump abbia firmato come primo atto della sua presidenza un ordine esecutivo per smantellare l’Obamacare. “Oggi marciamo per le donne, ma marciamo anche per difendere l’Obamacare e per difendere Planned Parenthood, marciamo per tutto il Paese”, ha detto alla folla Bob Bland, cofondatrice del movimento che ha organizzato la marcia. La Bland è una imprenditrice che ha un’azienda Internet, la Manufacture New York, e che può essere l’anti Trump, la persona che può arginare il populismo del neo Presidente, un’imprenditrice che vuole modernizzare il Paese ma che vuole anche tutela e diritti per tutti. L’immagine della Bland con la sua bambina di pochi mesi in braccio che arringava la folla dicendo “Non avevo mai fatto politica, ma ora vedete che cosa si può fare con la forza di un’idea per difenderci” era quella di una donna, di una mamma determinata a garantire un futuro alla propria figlia, il tutto con una determinazione che ricorda quella di Michelle nel difendere il proprio orto. E tutto ciò che quell’orto rappresenta: la campagna contro la sedentarietà e l’obesità.

Gli alimenti prodotti qui hanno sfamato migliaia di persone grazie a un’organizzazione impegnata nell’assistenza ai bisognosi. Dirò di più: mio marito potrà confermarvi che una delle domande che gli vengono poste di frequente dai leader di altri Paesi è: «Come va l’orto di tua moglie?» Michelle Obama ”