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OBESITÀ, MALATTIA E STIGMA STORICO

Il grasso in eccesso, l’obesità, è problema storico, a parte la pandemia dei tempi moderni. Gli antichi Greci furono i primi a riconoscere l’obesità come un disturbo medico: Ippocrate scrisse che «la corpulenza non è solo una malattia in sé, ma il presagio di altre». In seguito, il chirurgo indiano Sushruta collegò l’obesità alle malattie cardiache e al diabete: raccomandava il lavoro fisico per curare i suoi effetti collaterali. Il problema però era di una minoranza, a volte ricca. Nel corso della storia dell’umanità, infatti, la maggior parte delle popolazioni ha lottato contro la scarsità di cibo: l’obesità è pertanto sempre rimasta storicamente circoscritta a una minoranza che aveva anche risorse per curarsi. Il sovrappeso era comune tra gli alti funzionari europei nel Medioevo e nel Rinascimento, così come nelle antiche civiltà dell’Asia orientale. Peraltro, molte culture nella storia hanno visto l’obesità come il risultato di una debolezza caratteriale. L’«obesus» nella commedia greca era personaggio che faceva ridere, da prendere in giro. I cristiani hanno collocato il troppo cibo nell’accidia e nella lussuria, due dei sette vizi capitali. La gola relega in un girone dell’Inferno Dantesco. Nella cultura occidentale contemporanea, l’eccesso di peso è spesso considerato poco attraente e l’obesità è comunemente associata a stereotipi negativi; la grassezza può essere inoltre motivo di

discriminazione. Doppia discriminazione per gli americani di colore, per i geni afroamericani. Ecco che il messaggio culturale di Michelle Obama verso i cattivi stili di vita diventa anche un atto politico antidiscriminazioni. Tornando al consorte Barack, la sanità è stata sempre tra le sue priorità politiche. Nel gennaio 2003, quando i democratici riconquistarono la maggioranza del Senato, fu nominato presidente del Comitato della Sanità e dei Servizi umani del Senato. Tra le sue iniziative legislative, Obama concorse a introdurre sgravi fiscali per favorire le famiglie a basso reddito, lavorò a una legge per aiutare i residenti che non si potevano permettere un’assicurazione sanitaria, e promosse leggi per aumentare i programmi di prevenzione dell’AIDS e di assistenza alle persone colpite dal virus. E sostenne una legge che richiedeva alle assicurazioni di coprire le mammografie di routine. Era scontato quindi che da presidente volesse completare con la sua riforma sanitaria un percorso che idealmente venne iniziato nel 1935 da Franklin Delano Roosevelt, fautore del Social Security Act, proseguito negli anni ’60 da Kennedy e da Lyndon Johnson con due programmi denominati Medicaid e Medicare e tentato nel 1994 da Bill Clinton, che si vide tuttavia bocciare dal Congresso il suo progetto di riforma, ritenuto inviso alla lobby delle assicurazioni americane. Ora Trump ha il mandato per disinnescare l’operato di Obama, che peraltro sembra aver diviso anche la Chiesa americana. L’episcopato statunitense si è schierato apertamente contro il presidente Obama e la sua riforma sanitaria. I vescovi hanno accusato il governo di violazione della libertà religiosa,

sostenendo che la riforma costringe la Chiesa e i suoi fedeli ad agire perennemente contro i propri principi. In particolare, non piace il fatto che il riassetto sanitario non salvaguardi il diritto all’obiezione di coscienza nei casi di aborto e di prescrizioni contraccettive, nemmeno negli ospedali cattolici. Al contrario, i gesuiti di America, voce del cattolicesimo «liberal», hanno preso la difesa del governo, considerando l’Obamacare il modo migliore per tutelare la libertà (anche quella religiosa) rendendo autonome e consapevoli le scelte dei fedeli.

Mi riempie d’orgoglio la consapevolezza che quest’orto servirà a ricordare il processo che abbiamo avviato, ma anche il lavoro che noi tutti dobbiamo completare. E in questa giornata di inaugurazione la mia speranza è che le future famiglie presidenziali lo ameranno come noi, e che diventi un’istituzione della Casa Bianca. Michelle Obama ”

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