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13. Una lunga, lunga, estate
Toronto, luglio 1921. Giunto in città, a Toronto, il passato, tutto il suo passato, se lo era buttato dietro le spalle. Gli piaceva molto passeggiare all’interno della stazione e nelle strade intorno. Fred si fermava ad osservare la sua immagineriflessa nel vetro delle cabine telefoniche e vedeva una persona diversa. Faceva scorrere le sue mani sui lisci pilastri di marmo rosa della Union Station ed il contatto gli dava una forza rivitalizzante. Sempreallastazione ungiornovideunuomocontrevaligiechegridavaoscenamenteinunalinguachenonconoscevamentreiltreno partiva senza aspettarlo. Si convinse che quello stava perdendo il treno della fortuna, quello che andava in senso inverso rispetto al trenoprecedentecheavevaa lungoarrancatonella fanghiglia. Ripensava sempre alla metafora delTreno dellaVita! Per questo tornava quando poteva alla stazione. Gli piaceva osservare e pensare. Inqualchemodostandolìtrovavalaforzaperresistere,perinsistere. Equando poteva,sedevasudiunapanchinaesistudiavailfluire del movimento delle persone o chiudeva gli occhi e gli piaceva sentire i riverberi del traffico intorno. Una notte scandì ad alta voce il proprio nome – Freddeeerickk Bannntingg – che si propagò in una cupa eco nell’aria rarefatta della Union Station riempiendolodiunastranasensazionedionnipotenza. Lui sarebbe diventato famoso, davvero famoso, se lo sentiva. Ma non ancora… Lamattinadopo,esiamoafinegiugno,ancoracaricodell’energia positiva di quella notte, raggiunse il lavoro senza essere neanche andato a dormire e non trovò Best in laboratorio. Si ricordò che gli aveva lasciato scritto che andava fuori qualche giorno. «Sono soloduesettimane
chelavoriamoeluisenevaadivertirsi,siassenta per fare una gita alle cascate del Niagara. Proprio non ci siamo» pensò furibondo. Quando Best rientrò due giorni dopo, Banting non lo degnò neanche di uno sguardo. «Ciao Fred. Come va? Tutto a posto? Quanti ne sono rimasti dei nostri nuovi cagnolini?» Banting in un primo momento non rispose. «Dobbiamofareunnuovoraidnotturno?Riprendoilcontattocon quel tizio?» L’altrosempreinsilenziosialzò,epreseunaprovettadaunavetrina. «Che c’è? Cosa è successo? Perché questo silenzio?» insistette Best. «Cel’haiconme,cel’haiconmeperchémisonoassentatoqualche giorno?» Banting chiuse, sbattendo con forza, l’armadietto. «Sentiragazzino.Tidicoquellochepensosenzagiridiparole.Iltuo lavoroè assolutamenteinsoddisfacente.Senontenefreganientedi quellodicuitistai occupandoèmegliochemolli.Nonvabenequello chefaienonvalospirito concuilofai.Nonmiserveunocosì.» Best ascoltò in silenzio, non rispose, se ne andò nell’altra stanzetta, si mise a lavorare… e per la prima volta nella sua vita lavorò tutto il giorno e tutta la notte. Matraséesépensava:«Si,luiparlacosì,mailcaro dottorBanting sono più i giorni in cui non lavora rispetto a quelli in cui lavora e fondamentalmente, è sempre ubriaco. Lo dice lui stesso che non c’è una sola notte in cuiriesceadandarealettosobrio.E poi si permette di riprendere gli altri.»
QualchegiornodopoBeststavaorganizzandounauscitaconMargaret, la fidanzata. Ci sarebbe stata una festa in maschera promossa dagli studenti dell’università,allaqualeavrebberopartecipatopraticamentetutti quelli che erano rimasti in città, professori ed allievi. La sua fidanzata si chiamava Margaret Mahon, era una ragazza davvero molto bella e dolce, dai lineamenti delicati, capelli castani ed occhi verdi, ed insieme erano una gran bella coppia. I due si erano conosciuti nel febbraio del 1919 ad una festa danzante in casa, e si erano fidanzati nel 1920. Edancheinquell’estatedelventunoperCharleyBestovviamente c’erano i
solitidivertimentidaragazzo‘bene’:iltennis,ilnuoto, ilgolfedilbaseball e quando era possibile, non perdeva occasione di dedicarsi a queste attività conlasuaMargaret,ancheseleistava decidendo di andare fuori con i suoi visto che Charley ormai era quasi sempre impegnato in quella strana sperimentazione. «Che fai Fred ti unisci a noi? Vieni alla festa? C’è anche Maynard, e sei ospite mio.» Best fece il gesto pacificatore di invitarlo convinto che comunque avrebbe dettodino.InvecelarabbiaaFrednelfrattempo s’eraun po’sbollita. «Va bene, d’accordo vengo con voi. Mettiamoin ordine ed usciamo.» «Però ti devi vestire in maschera» provò a buttare lì Best.
Fredoccasionalmentesieragiàunitoaloro,edisolitoproprioin compagnia dellasegretariadiMacleod,Maynard.Quellaragazza, Maynardglipiaceva. Manonselasentivadifarequalcheazione avventata perché soffriva troppo delle altalenanti vicende della storia con Edith, probabilmente vicinissima alla fine, per imbarcarsiinun’altraavventurasentimentale.Esipreoccupava troppo per il suo futuro oscuro, per lasciarsi andare ai divertimenti. Era senza denaro, e non guadagnava nulla! AToronto viveva letteralmente senza un soldo. Prima era stato ospitato dal cugino, poi aveva affittato per due dollari una stanzettaperstudentidisettemetripernove,facendosioffrireipranzi dagli amici e andando a mangiare gratis la domenica alla chiesa presbiteriana.D’altrondenonera pagato dall’Università, nessuno credeva fino in fondo nel suo progetto, e, come abbiamo visto, anche Macleod non si aspettava grossi risultati. «Alla fine, nessuno mi prende sul serio». Diceva continuamente a tutti, una specie di frase tormentone.
Arrivarono nel locale con un po’di ritardo, l’aria della sala era satura di nicotina.I fumi rossastri erano attraversati da fasci di luci di sfere specchiate che muovendosi riempivano di macchiolinechiaretesteepareti.Illocaleera pienodascoppiaredipersone in costume, il vocio quasi superava la musica. C’era perfino un cantanteche ce la mettevatutta per interpretareal meglio gli ultimi successi. Un paio di ospiti cantavano con lui, si erano presi sottobraccio e ondeggiavano ai loro tavoli, ma la maggior parte dellagentenon
stava neanche ascoltando. Erano tutti impegnati a chiacchierare, ballare o baciarsi. Ci stavano le solite maschere, cioè militari delle varie guerre, pirati, cowboys, indiani ma i più si erano soltanto messi un cappellino colorato o una mascherina nera,eFrederaunodiquesti.Ledonneinveceeranovestite quasi tutteallostessomodo,cioèilmenopossibile.Ilgruppodeinostri raggiunse il loro tavolo che era stato prenotato da Charley, ordinaronosubito dabere,poimentreCharleyconunvestitoastrisce da galeotto,e lasua Margaret,vestitada odalisca,si baciavano, Fred si mise a parlare con Maynard. Ilcameriereversòilvinobianco,poilomiseinuncestelloghiacciato. Un altro tipo che stava nel tavolo accanto, iniziò a fare degli apprezzamenti su Maynard, vestita da zingarella, che si era appena alzata ed era andata in pista a ballare con gli altri giovani, lasciando Banting da solo a finire la bottiglia di vino. Passò la ragazza delle sigarette. «Mi dai un pacchetto, grazie.» «Ecco.» Gli allungò un pacchetto da dieci con un sorriso smagliante. «Puoi tenere il resto.» Quel dollaro era tutto ciò che Fred aveva in tasca. Si,avevadecisodiricominciareafumare.Aldiavoloinonfumatori.AldiavoloEdith.Aldiavolotutti.Oramidevosoloubriacare, tanto paga Charley, e poi andrà tutto a posto. Una giusta dose di alcool avrebbe scacciato i suoi demoni e lo avrebbe cullato dolcemente verso il sonno. Ma il tipo del tavolo accanto continuava a fare apprezzamenti a voce alta su Maynard e su Margaret, che si stavano divertendo a danzare scatenandosi in pista. «Davvero niente male anche quella travestita da odalisca». Fred restò zitto. «Ad ogni modo… ben attrezzata. E l’altra, la zingarella, che bel culetto.Le tettesonounpo’troppopiccoleperimieigusti.Come sarà a letto?» AFred la rabbia stava salendo. «Com’è?Tu ne sai qualcosa?» Per la prima volta si rivolgeva direttamente a Fred. «Non mi dire amico che con te ci sta. E allora com’è? Racconta!» All’im-
provviso Banting lo afferrò per il collo della divisa blu da nordista che portava, ed il boccale di birra gli cadde in terra finendo in mille pezzi. «Ehimachetiprende.Nonsipuòneanchefareunabattuta?Mica sarai stato il suo unico uomo.» Aquestopunto,all’ennesimafrasedicattivogusto, larabbiadiBantingesplose inununicocolposeccochemisesubitokoiltizio. E stava per ricaricare il gancio sinistro quando venne fermato. «Va bene, va bene non faccio più nulla. Non lo colpisco.» Lastrettadeiduechel’avevanobloccatosiallentòeFredsiliberò. Uscì dalla sala senza voltarsi neanche una volta. Esenzapreoccuparsidiavvertirei suoiamici,oforsevergognandosi un po’ per quello che aveva fatto. Rientrato nella stanzetta della sua pensione prese un’altra sigaretta ma gli mancava la voglia di accenderla. Si portò una mano agli occhi e si chiese perchéleditaglistavanotremando.Atteseacapo chino che il tremoresi fermasse, impietosendosisulla propria sorte,sullasortedituttiipoveridiavoli chepotevanotrovarsinelle suecondizioni.Poilentamentealzòilcapoecominciò asorridere. La situazioneera talmentedisperata da essere quasi comica.Di nuovosospirò.Avevalavisionedialtriuomini,dimigliaiadiuomini, dicentinaiadimigliaiadiuominichelavoravanonellefabbriche e negli uffici, che rientravano a casa loro per cenare in famiglia, che passavano le loroseratenelsalottoconlamoglieed ifigli,ascoltandolaradio,cheandavanoalettoaorenormaliper dormire il sonno del giusto, che non avevano null’altro da aspettarsidallavitacheun’altragiornatadilavoroeunaaltra seratain famiglia. Loro non avevano nessuna preoccupazione, ma lui avrebbe voluto vivere in quel modo? No! Lui non avrebbe mai potuto vivere in quel modo.