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2. Nicolae Paulescu
Bucarest, ottobre 1917. Nicolae Paulescu era stato convocato nell’ufficio del burocrate austro ungarico che avrebbe dovuto permettergli di continuare i suoi studi sul pancreas, in tempo di occupazione militare. Dopo un’attesa sin troppo lunga il professore entrò nella stanza con la sua abituale aria disinvolta ed un po’tracotante, anche se in cuor suo non era del tutto a suo agio. Fissò ostentatamente l’orologio al polso e poi i funzionari di polizia, uno dopo l’altro. «Herr Leutenant, mi chiamo Paulescu sono un professore dell’Università di Bucarest.» I quattro militari presenti lo guardarono senza parlare. «Deve esserci un errore – disse – sono stato convocato dal commissario capoenonso perché.Maiovolevoparlareconunamministrativo non con un militare.» Il funzionario militare annuì. Era completamente calvo, piccolo distatura, edavevadapocosuperatolaquarantina,ilcoloritodella pelle era di un acceso rubizzo. «Simapurtroppogliimpiegaticivilisonoindisponibili,abbiamo preso noi il loro posto.» «Mi è stato chiesto di venire alle 11 e mezza, ma ora sono già le 12 e 58. L’attesa è stata lunga. Ho delle urgenze in ospedale. Dio sa cosa capiterà a quei poveri diavoli di ricoverati se non rientrerò al più presto in reparto.» «Miscusisel’hofattaattendere–dissefreddamenteilmilitare–si segga.» Mentresisedeva,posandobastoneecappellosullascrivania,Paulescu guardò intensamente l’uomo. «La sua faccia mi è vagamente familiare» disse.
«IlmionomeèWalterStrauss.Strausscomeilfamosomusicista» risposeilfunzionario.«Enonsonomaistatodaquestepartiprima d’ora.» Paulescu distolse lo sguardo dall’uomo. «Scusate allora, mi pareva erroneamente di conoscervi – disse mentre si toglievaiguanti–. Inognicasoèpiuttostoinsolitochiamare qui un medico!» Aveva trattato con uomini assai più astuti, questo soldatino se lo sarebbe mangiato in quattro e quattr’otto. «È lei che ha fatto una richiesta» puntualizzòl’austriaco appoggiandosi stancamente al bracciolo della poltrona. «Esatto. Mi hanno detto di rivolgermi a voi per risolvere i miei problemi. Il mio istituto, dove ho in corso un’importante ricerca sull’ormone del Pancreas,èstatorequisito.Ma ionon posso sospendere proprio in questo momento le ricerche, sono praticamente arrivato vicinissimo ad un risultato eccezionale.» L’altro aprì lentamente un registro ed iniziò a scrivere. Pois’interruppeepassòtutto,libro,carteepennaadunsottoposto. «Sergente verbalizzi lei.» Il soldato che si era quasi appisolato ebbe uno scatto sin troppo repentino. «Certo, signorsì.» Prese il librone. «Il suo nome?» «Mi chiamo Nicolae Paulescu, sono un medico, professore universitario.» Si scontrò con lo sguardo inespressivo di quello davanti a lui e capì di dover rispondere esattamente alla domanda per andare avanti. «Nicolae…. Costantin … Paulescu...» scandì sillabando. «Nato?» «Qui a Bucarest e…» «Bucarest.» «Senta, senza perdere tempo il problema è che i miei laboratori sono stati requisiti ed io non posso continuare i miei studi molto importanti sul diabete.» «Anno? In che anno è nato?» «Sono vicino a dei risultati importantissimi per l’intera umanità ma ho bisogno dei miei laboratori e del ripristino del mio fondo economico per la ricerca che è stato congelato.»
«Scusi che anno ha detto?» «1869, trenta ottobre.Ho la cattedra di Fisiologia alla facoltà di Medicina. E devo continuare la mia sperimentazione sulla Pancreina, l’ormone che può risolvere il problema importante della cura per il diabete.» E il tenente fece un profondo sospiro, poi rispose: «Altre cose sono importanti, oggi.» «Sì capisco, la guerra. A me basta avere a disposizione le due stanze del mio laboratorio, ed alcuni assistenti…» «A Schonbrunn si sta preparando una festa per il nostro battaglione...Ed in piccolo la dobbiamo riproporre anche qui.Quindi… Altre cose sono più importanti,oggi.C’èdaprepararelafestadel nostro reggimento.ASchonbrunn, capisce?! L’evento principale avrà luogo a Shonbrunn! Il nostro è l’unicoreggimentofesteggiato cosìdallaRealCasa.Saràpresentel’imperatore coninipotiel’arciduchessaMariaValeria.» Paulescu perse la pazienza. «Tutto questo mi sembra surreale.Ame non importa nulla di queste follie surreali, voglio solo continuare i miei studi.» «Caro Signore, anzi Dottore. Se non le dispiace questa Follia si chiama Guerra,ilsuopaesesièschieratocontrodiNoiedèstato invaso,quindi… Inquantoafattisurrealisentaquesto,edascolta anche tu sergente.» Il sergente sentendosi chiamato in causa inopinatamente sbarrò gli occhi e li sollevò dal verbale dove erano inchiodati. «Sa cosa ho visto la settimana scorsa? Ero al fronte. Facevo un’ispezione alla truppa con un capitano. Di colpo, sento un lampo,edun’esplosione talmente forte da perforarmi le orecchie. Cado, poi mi rialzo. ‘Capitano, questo era davvero vicino.’ Esclamo rivolto al mio superiore. L’uomo accanto a me, il capitano, barcolla di qua e di là. Lo guardo. Non ha più la testa. Là dovec’eralatestasgorgaunfiottonero.Mailcorposta ancora in piedi, è ancora dritto come un fuso, in piedi. Oscilla in avanti, oscilla all’indietro… Per l’amor di Dio! esclamo. Infine cade a terrasullato destro. Questo sì che è surreale. Eleimiparladistudi, ricerche mediche, e sciocchezzedelgenere.» «Iosonoquiperilmioproblema»,insistettefreddamentePaulescu. «Dottoreleparleròmoltofrancamente,perquestol’hoconvocato qui.» Prese
un foglio dalla scrivania e lesse un paio di righe. «Lei ha una vasta clientela, è uno scienziato ed un filantropo.» Paulescu annuì ritenendolo un complimento. «Ma la sua umanità deve fare i conti con la guerra. Il nostro colloquio è terminato, herr Professor.» Mise un timbro. «Peroranonpossiamoesaudirelesuerichieste.Piùinlàsivedrà. Dipende dallo svolgimento della guerra. Avreste fatto meglio a restare neutrali, e non entrare in guerra contro di noi.» «Forsenonvirendetecontodiquellochedite»provòaribatterePaulescu. «Oh sì invece, arrivederci.» Paulescu strofinò il cappello sulla manica mentre si avviava alla porta. «Vipentiretediquestaaffermazione,comunquenonmiimpressiona ilvostro giudizioaffrettato.Torneròapresentarelemierichieste.» Guardò l’ora, l’una e due minuti. Aveva dimenticato il bastone, Strauss lo prese per porgerglielo e sentì il manico allentato. Lo svitò del tutto e ne venne fuori una lunga lama d’acciaio. «Il suo stocco dottore, vedo che lei si cautela abbastanza bene» gli disse con un ghigno terribile. Paulescu lo fulminò con un’occhiata prima di uscire.