Obesity Monitor Monitoring prevention, cure,
Il presente report è realizzato da IBDO Foundation in collaborazione con ISTAT e CORESEARCH
political, social and economic facts on obesity care
Editor in chief: Renato Lauro, Andrea Lenzi, Paolo Sbraccia Co-Editor: Roberta Crialesi, Antonio Nicolucci
EXECUTIVE I TA L I A N OBESITY BAROMETER REPORT 2021
SUMMARY 2021MEETING
Obesity Monitor Monitoring prevention, cure,
political, social and economic facts on obesity care
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INDICE
EDITORIALE
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INTRODUZIONE
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CONSIDERARE L’OBESITÀ UNA PRIORITA’ DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE
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DALLO STIGMA SOCIALE, ALLO STIGMA CLINICO
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DALLO STIGMA SOCIALE, ALLO STIGMA CLINICO
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OBESITÀ E SOVRAPPESO IN ITALIA
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FAR RIPARTIRE L’ASSISTENZA ALLA PERSONA CON OBESITÀ DOPO IL COVID-19
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APPROPRIATEZZA E CRITICITA’ DEL PAZIENTE CON OBESITA’ GRAVE: IL SISTEMA REGIONALE DELLE RETI
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TAKE HOME MESSAGE
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BIBLIOGRAFIA
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Editoriale
E’ IL MOMENTO DI CAMBIARE NELLA LOTTA ALL’OBESITÀ Affrontare l’obesità è una delle maggiori sfide sanitarie a lungo termine che questo Paese deve affrontare. Oggi, circa due terzi (il 63%) degli adulti è al di sopra di una soglia di peso superiore alla norma e di questi la metà convive con l’obesità. Abbiamo 1 bambino su 3 che alla fine della scuola primaria è già in sovrappeso e 1 su 5 che è obeso. #Sono numeri allarmanti per le future generazioni La prevalenza dell’obesità è più alta tra i gruppi più indigenti della società e i bambini nelle zone più svantaggiate del Paese hanno più del doppio delle probabilità di essere obesi rispetto ai loro coetanei che vivono nelle aree più ricche. L’obesità è associata a una ridotta aspettativa di vita. È un fattore di rischio per una serie di malattie croniche, comprese le malattie cardiovascolari, il diabete di tipo 2, almeno 12 tipi di cancro, le malattie epatiche e respiratorie e l’obesità può avere un impatto sulla salute mentale. #Purtroppo sono tutti fatti noti ma troppo spesso dimenticati. I tassi di obesità del nostro Paese avranno un impatto nel futuro di molte persone e per il nostro Sistema Nazionale Sanitario. Ma è altrettanto preoccupante, e ora ci sono prove e studi autorevoli che mostrano come le persone che sono in sovrappeso o che convivono con l’obesità e che contraggono il coronavirus (COVID-19)
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hanno maggiori probabilità di essere ricoverate in ospedale, in un’unità di terapia intensiva e, purtroppo, di morire di COVID-19 rispetto a quelli normopeso. L’obesità è diventata una preoccupazione immediata per chiunque sia in sovrappeso e per i nostri servizi sanitari e assistenziali. #Le persone con obesità sono più fragili e vulnerabili Molte persone in sovrappeso o che convivono con l’obesità vogliono perdere peso ma lo trovano difficile come obiettivo da ottenere. Molte persone hanno provato a perdere peso, ma lottano di fronte a infiniti stimoli a consumare cibi non sani - in TV e per strada. Nei supermercati, offerte speciali e promozioni ci inducono ad acquistare cibi non presenti nella lista della priorità della spesa ma a cui è difficile resistere. Quando mangiamo fuori casa, abbiamo poche informazioni su quante calorie ci sono nel cibo che ci viene offerto. Siamo biologicamente programmati per mangiare e quando siamo bombardati da pubblicità e promozioni di cibo, è difficile mangiare in modo sano, soprattutto se siamo impegnati, stanchi o stressati. #Aiutare le persone a raggiungere e mantenere un peso sano è una delle cose più importanti che possiamo fare per migliorare la salute della nostra Nazione. Troppo spesso le persone con obesità sono discriminate nella vita e nei rapporti sociali, in quella scolastica e lavorativa, troppo spesso bullizzate e ridicolizzate, oggetti di stigma sociale e di una superficialità mediatica impossibile di accettare.
Accanto a questo emerge anche un stigma clinico e istituzionale, dove la persona con obesità viene discriminata nell’accesso alle cure e ai trattamenti. La rete nazionale di cure per la persona con obesità è insufficiente ed è sottodimensionato nel numero di strutture e di risorse dedicate. #La persona con obesità vive uno stato continuo di stigma sociale e clinico. L’obesità è una malattia fortemente impattante sulla qualità e sull’aspettativa di vita delle persone. Eppure, questo sembra sempre essere messo in discussione e non riconosciuto a livello istituzionale. L’Obesità nel nostro Paese non è inserita nella lista delle malattie croniche. Le prestazioni riguardanti l’obesità non sono inserite nei LEA. Non esiste una rete nazionale di cura per l’obesità Non esiste un Piano Nazionale sull’Obesità #È il momento di cambiare nella lotta all’obesità
Renato Lauro, Presidente IBDO Foundation, Editor in chief Obesity Monitor Andrea Lenzi, Presidente OPEN ITALY, Editor in chief Obesity Monitor Paolo Sbraccia, Vice Presidente IBDO Foundation, Editor in chief di Obesity Monitor e coordinatore dell’Italian Obesity Barometer Report
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INTRODUZIONE Gian Carlo Blangiardo Presidente dell’Istat
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on la pubblicazione di questo secondo Barometro italiano dell’Obesità, viene messo a disposizione del Gian Carlo pubblico unoBlangiardo strumento che unisce alla elevata qualità Presidente ISTAT dei dati, molto dettagliati e aggiornati annualmente, e all’accuratezza dell’analisi, anche una notevole capacità comunicativa e divulgativa. L’Istat, che collabora da tempo con la Fondazione IBDO, contribuisce al Rapporto mettendo a disposizione informazioni ed elaborazioni mirate, fondate anche su serie storiche, che consentono di tracciare le profonde trasformazioni avvenute negli ultimi decenni in questo delicatissimo aspetto della vita delle persone. Il nostro Istituto è particolarmente attento ai temi del benessere, della salute, degli stili di vita, delle politiche e dei servizi sanitari. Siamo impegnati a fornire le basi conoscitive necessarie per raggiungere il traguardo della salute per tutti, per contribuire a contrastare e azzerare le disuguaglianze, anche profonde, che ancora caratterizzano il nostro Paese: disuguaglianze di genere, geografiche, di età, di reddito, di livello di istruzione, che si riverberano tutte sulla salute e sulla qualità della vita. La questione dell’obesità rappresenta una preoccupazione prioritaria, una seria ipoteca sul nostro futuro. Tra i 12 indicatori di benessere e sostenibilità che sono entrati a far parte del ciclo di programmazione della politica economica del Governo, è stata inserita anche la percentuale di cittadini in eccesso di peso. Inoltre, nell’ambito delle statistiche internazionali che consentono di monitorare i progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile (i Sustainable Development Goals - SDGs), la prevalenza dell’obesità è inserita tra gli indicatori del secondo obiettivo (Fame Zero). Le statistiche sociali prodotte dall’Istat tracciano un ritratto continuamente aggiornato delle condizioni di salute, delle abitudini alimentari e degli stili di vita della popolazione, con particolare attenzione al consumo di alcol e al fumo; della loro propensione a praticare attività motorie, fisiche e sportive, nonché della salubrità negli ambienti domestici e di lavoro. Fin dagli anni Novanta,
rileviamo annualmente informazioni circa l’eccesso di peso nella popolazione adulta e dal 2000 ciò è stato esteso anche ai minori, con dettaglio territoriale almeno a livello regionale. Questo ci ha consentito, tra le altre cose, di mettere a fuoco l’evoluzione dei comportamenti e seguire nel tempo la condizione di bambini e ragazzi, che si è andata trasformando anche in corrispondenza di cambiamenti nella struttura familiare, nella organizzazione del lavoro, delle scelte di consumo. Oggi, in Italia, un minore su quattro, fra 3 e 17 anni, è in eccesso di peso e oltre il 46 % della popolazione adulta è decisamente in sovrappeso o obesa, con un aumento di incidenza che è stato circa il 30% nell’arco degli ultimi 30 anni. Tuttavia solo un terzo di questo incremento può essere attribuito all’invecchiamento della popolazione. Le nostre fonti documentano come l’eccesso di peso si accompagni regolarmente a situazioni di svantaggio culturale, economico e sociale e come siano profonde e persistente le differenze tra gruppi di popolazione e nei territori. I nostri strumenti sono continuamente rinnovati e sempre più capaci di integrare informazioni derivanti da più fonti: indagini, archivi amministrativi, perfino Big Data. Questo ci permette di rispondere sempre più efficacemente alla complessità dei fenomeni, ai loro rapidi mutamenti, di rilevare l’impatto dei diversi contesti familiari, territoriali, socioeconomici sul benessere e sulla salute, offrendo così ai decisori pubblici un supporto conoscitivo adatto a disegnare misure mirate, incisive, flessibili e di lungo periodo. Il Rapporto del Barometro Italiano della Obesità è una prova eccellente di equilibrio fra l’alto livello tecnico delle informazioni e l’immediatezza e l’accessibilità dei messaggi essenziali che rivolge ai lettori non tecnici. Esso costituisce per noi un esempio encomiabile di buona comunicazione scientifica per una buona causa.
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CONSIDERARE L’OBESITÀ UNA PRIORITA’ DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE Roberto Pella, Presidente Intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete, Andrea Lenzi, Presidente OPEN ITALY L’obesità rappresenta ormai un problema rilevantissimo di salute pubblica e di spesa per i sistemi sanitari nazionali, spesa che diverrà insostenibile se non vengono adottate politiche di prevenzione adeguate, non disgiunte da programmi di gestione della malattia in grado di affrontare il fardello delle comorbidità, ciò ad intendere la situazione nella quale si verifica in uno stesso soggetto una sovrapposizione e influenza reciproca di più patologie, in questo caso connesse all’obesità (diabete, ipertensione, dislipidemia, malattie cardio e cerebrovascolari, tumori, disabilità). L’obesità riflette e si accompagna dunque alle disuguaglianze, innestandosi in un vero e proprio circolo vizioso che coinvolge gli individui che vivono in condizioni disagiate, i quali devono far fronte a limitazioni strutturali, sociali, organizzative e finanziarie che rendono difficile compiere scelte adeguate al proprio stile di vita. Lo stigma sull’obesità, come rilevato dalla World Obesity Federation, ovvero la disapprovazione sociale, è una delle cause, che attraverso stereotipi, linguaggi e immagini inadatte, finiscono per ritrarre l’obesità in modo impreciso e negativo. Lo stigma del peso si riferisce ai comportamenti e agli atteggiamenti negativi che sono rivolti verso le persone unicamente a causa del loro peso. Esistono dati a livello globale di discriminazione basata sul peso in molte fasi della vita lavorativa, come nell’orientamento professionale, nelle interviste e nelle procedure di selezione, nelle disparità salariali, nei minori avanzamenti di carriera, nelle azioni disciplinari più severe e nel più elevato numero di licenziamenti. Inoltre, è noto come il bullismo sui giovani con obesità sia uno dei fattori esistenti nell’ambiente scolastico. Inoltre non si può più ignorare che l’obesità influenzi pesantemente anche lo sviluppo economico e sociale :
secondo la Carta europea sull’azione di contrasto all’obesità, l’obesità e il sovrappeso negli adulti comportano costi diretti (ospedalizzazioni e cure mediche) che arrivano a rappresentare fino all’8 per cento della spesa sanitaria nella regione europea; tali patologie, inoltre, sono responsabili anche di costi indiretti, conseguenti alla perdita di vite umane, e di produttività e guadagni correlati, valutabili in almeno il doppio dei citati costi diretti. A livello mondiale, l’obesità è oggi responsabile di un costo complessivo pari a circa 2000 miliardi di dollari, che corrisponde al 2,8 per cento del prodotto interno lordo globale. L’impatto economico dell’obesità, in altre parole, è sovrapponibile a quello del fumo di sigaretta e a quello di tutte le guerre, atti di violenza armata e di terrorismo; Nel nostro Paese oggi bisogna considerare l’obesità come una priorità nazionale a livello sanitario, politico, clinico, sociale e clinico, riconoscendo che la stessa è una malattia altamente disabilitante e che rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di malattie non trasmissibili (NCDs). Per questo è necessaria una forte sinergia istituzionale atta a realizzare un piano nazionale dell’obesità, per affrontare le problematiche relative alla malattia, individuando obiettivi centrati sulla prevenzione, sulla diagnosi precoce, sulla gestione della malattia, delle complicanze, sull’offerta assistenziale, l’accesso alle cure e ai trattamenti. Bisogna incrementare la capacità del SSN nell’erogare e monitorare i Servizi per la persona obesa, attraverso l’individuazione e l’attuazione di strategie che abbiano come obiettivo la razionalizzazione dell’offerta, l’accesso alle cure e l’appropriatezza delle prestazioni erogate per migliorare la qualità di vita, della cura e la piena inte-
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grazione sociale per le persone obese, comprendendone i bisogni, le problematiche, attuando strategie di coinvolgimento familiare, sociale e nell’ambiente di lavoro. Lo sforzo deve riguardare principalmente l’alto impatto dell’obesità e il sovrappeso infantile, arrivando ad una riduzione dello stesso attraverso informazione ed interventi mirati ad ottenere un cambiamento permanente delle abitudini alimentari e dello stile di vita dei bambini, coinvolgendo il mondo della scuola, dello sport e le famiglie. Governo e Parlamento debbono adoperarsi in via normativa, affinché, nell’ordinamento e nelle procedure ministeriali, sia inclusa una definizione di obesità come malattia cronica, caratterizzata dagli elevati costi economici e sociali, una definizione del ruolo degli specialisti che si occupano di tale patologia e una definizione delle prestazioni di cura e delle modalità per il rimborso delle stesse. Governo, Ministero della Salute, Parlamento e Regioni debbono lavorare sinergicamente per arrivare ad implementare un piano nazionale sull’obesità, che armonizzi a livello nazionale le attività nel campo della prevenzione e lotta all’obesità, un documento, condiviso tra tutti gli “attori” istituzionali che, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, individui un disegno strategico comune inteso a promuovere interventi basati sulla unitarietà di approccio, centrato sulla persona con obesità ed orientato su una migliore organizzazione dei servizi e una piena responsabilizzazione di tutti gli attori dell’assistenza. La mozione approvata all’unanimità dalla Camera dei Deputati il 13 Novembre 2019 (primo firmatario Pella)
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riconosce l’Obesità come malattia e impegna il Governo su alcuni punti cardini di azione per l’incardinamento della stessa nell’alveo delle prestazioni clinico, mediche , diagnostiche a carico del SSN. La Mozione è stata presentata e discussa nelle proprie linee generali l’11 novembre 2019 presso la Camera dei Deputati ed è stata votata all’unanimità (458/458 votanti) dall’Assemblea di Palazzo Montecitorio nel giorno 13 novembre, con un’unanimità espressa non solo dal voto, ma anche dal contributo all’elaborazione del documento finale assicurato da tutti i gruppi parlamentari nonché dagli interventi e dalle dichiarazioni di voto, a dimostrazione di un impegno comune di tutte le forze politiche nella lotta all’obesità. Tale sforzo collaborativo e partecipativo è testimoniato da un iter complesso che ha coinvolto, oltre al Parlamento e a tutti i Gruppi parlamentari, le Società Scientifiche, le Associazioni dei Pazienti Obesi, i network IO-NET e OPEN e IBDO Foundation. Un impegno che ha altresì dato luogo alla formulazione e alla sottoscrizione della “Carta dei diritti e doveri delle persone con obesità”. Il documento enumera le azioni necessarie per la protezione della salute, per la prevenzione e il trattamento dell’obesità, per la lotta allo stigma e per migliorare la qualità di vita delle persone con obesità. Il Governo ha espresso parere favorevole sul complesso delle premesse e su tutti i dodici punti d’impegno espressi dalla Mozione, attestando la bontà dell’impianto della stessa e impegnandosi a identificare le opportune strategie di presa in carico e attuazione della lotta all’obesità. Dei 12 punti presenti nel testo su cui interviene la mozione approvata, particolarmente va posta attenzione politica sui primi tre che impegnano il governo a: • a prevedere un monitoraggio della corretta at-
tuazione dei LEA con specifico riferimento alle malattie associate all’obesità; • ad attuare un piano nazionale sull’obesità che armonizzi a livello nazionale, le attività nel campo della prevenzione e della lotta contro l’obesità; un documento, condiviso con le regioni, che, compatibilmente con la disponibilità di risorse economiche, umane e strutturali, individui un piano strategico comune volto a promuovere interventi basati su un approccio multidisciplinare integrato e personalizzato, incentrato sulla persona con obesità e orientato verso una migliore organizzazione dei servizi e un approccio responsabilità di tutti gli attori della cura; • a prendere iniziative volte a garantire alla persona con obesità il pieno accesso alle procedure diagnostiche per le co-morbilità, ai trattamenti e ai trattamenti dietetici e, nei casi più gravi, ad accedere a centri di secondo livello per valutare approcci psicologici, farmacologici e chirurgici.
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DALLO STIGMA SOCIALE, ALLO STIGMA CLINICO Luca Busetto Chair Obesity Management Task Force EASO Paolo Sbraccia, Vice Presidente IBDO Foundation
Lo stigma sull’obesità, ovvero la disapprovazione sociale, è una delle cause, che attraverso stereotipi, linguaggi e immagini inadatte, finiscono per ritrarre l’obesità in modo impreciso e negativo. L’opinione pubblica ed anche parte del mondo sanitario hanno una visione superficiale del problema. In molti casi, purtroppo, la persona con obesità è anche vittima anche di uno stigma clinico che lo discrimina nell’accesso alle cure e ai trattamenti e che finisce per condizionare la propria qualità di vita. Definizione dei termini Il termine “bias del peso” si riferisce a una personale attitudine negativa a considerare l’obesità e le persone con obesità. Il termine “stigma”, invece, si rifà a specifici stereotipi sociali e a concetti profondamente radicati nella società, quali ad esempio il fatto che persone con obesità sono considerate pigre, non intelligenti e dei falliti nella società. La “discriminazione sulla base del peso”, invece, ha a che fare con specifiche azioni rivolte contro le persone con obesità, ossia attacchi verbali, oppure fisici, bullismo, specifici abusi, che possono essere subdoli o, al contrario, espliciti e che comportano l’esclusione sociale. AMBITI Numerosi lavori hanno dimostrato come lo stigma verso le persone con obesità e gli episodi di discriminazione basata sul peso siano frequenti e diffusi a livello globale . Lo stigma nei confronti del peso è stato documentato in tutti gli ambiti sociali, inclusi i luoghi di lavoro, la scuola, la famiglia e le organizzazioni sanitarie . I bambini in sovrappeso sono frequentemente derisi e
bullizzati a scuola. Gli adolescenti con sovrappeso od obesità sono più frequentemente soggetti ad isolamento e sono più esposti ad episodi di discriminazione verbali, fisici o cibernetici . Lo stigma legato al peso è presente anche nelle stesse persone affette da obesità (“stigma interiorizzato”). Negli Stati Uniti, circa il 40-50% delle persone con obesità presenta aspetti di internalizzazione dello stigma che sono presenti in maniera specialmente frequente ed elevata nei pazienti con maggiori livelli di BMI che stanno cercando di perdere peso . I mass-media e i social-media sono una fonte pervasiva di stigma legato al peso e possono contribuire a rafforzarlo attraverso l’uso di immagini inappropriate che dipingono le persone con obesità come particolarmente pigre, golose, sporche, sudate, goffe e poco intelligenti . E’ stato calcolato che più di due terzi delle immagini che accompagnano reports sull’obesità nei media statunitensi hanno contenuti stigmatizzanti e studi sperimentali dimostrano che la visione di queste immagini contribuisce ad aumentare i livelli di stigma nella audience . Purtroppo lo stigma nei confronti dell’obesità è presente anche nei professionisti sanitari, inclusi i medici di famiglia, gli endocrinologi, i cardiologi, gli infermieri, i dietisti, gli psicologi, gli studenti di medicina e anche i professionisti coinvolti direttamente nella ricerca o nella cura o dell’obesità . Conseguenze dello stigma sullo stato di salute L’essere esposti ad esperienze di stigmatizzazione e discriminazione legate al peso è per i pazienti con obesità un fattore di rischio per disturbi mentali probabilmente più importante che l’obesità stessa. L’essere stato esposto
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allo stigma costituisce fattore di rischio per insorgenza di sintomi depressivi, alti livelli di ansia, bassa autostima, stress ed abuso di sostanze . Lo stigma è anche associato ad un maggior rischio di alterazioni del comportamento alimentare, come il disturbo da alimentazione incontrollata e la tendenza a sovra-alimentarsi in risposta alle emozioni . Paradossalmente, studi sperimentali hanno dimostrato che l’esposizione allo stigma legato al peso può portare ad un aumento dell’introito di cibo . Studi osservazionali e di intervento hanno dimostrato inoltre che il subire esperienze di stigmatizzazione legate al peso si associa anche a bassi livelli di attività fisica , adozione di stili alimentari non salutari e sedentarietà . La stigmatizzazione del peso e la discriminazione delle persone che soffrono di obesità, lungi quindi dal costituire uno stimolo al dimagrimento, si associano ad un ulteriore tendenza ad aumentare di peso e ad un maggior rischio di progressione dalla condizione di sovrappeso alla condizione di obesità . Infine, le persone con sovrappeso e obesità che hanno subito episodi di discriminazione legati al peso presentano maggiori livelli di proteina C reattiva e cortisolo e maggiore mortalità rispetto a persone dello stesso peso che non sono state discriminate. Conseguenze dello stigma in ambito sanitario, Lo stigma clinico Come già accennato, lo stigma nei confronti dell’obesità è presente anche nei professionisti sanitari. Studi suggeriscono che i medici tendono a dedicare meno tempo durante le visite e sono meno propensi a fornire consigli di ordine sanitario ai loro pazienti con obesità rispetto a quanto fanno nei loro pazienti più magri . D’altro lato, i pazienti che hanno subito episodi di discriminazione
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legati al peso in ambito sanitario tendono ad evitare ulteriori contatti e visite, riducendo il loro accesso alle cure . Il risultato netto è un rischio di per la salute. Per esempio, le donne con obesità si sottopongono meno e più tardi agli esami di screening per neoplasie ginecologiche delle loro coetanee magre, nonostante il fatto che il loro rischio sia maggiore . Esiste però un’altra forma di stigma verso l’obesità, che si estrinseca nel fatto che molti sistemi sanitari, sia pubblici che privati, non offrono per il paziente con obesità lo stesso livello di assistenza che viene erogato per altre malattie croniche (come il cancro, il diabete, le malattie cardiovascolari e le malattie reumatiche) . In Italia, l’accesso all’educazione terapeutica e a programmi intensivi di modificazione dello stile di vita è limitato nel sistema sanitario nazionale per il paziente con obesità, scarsa è l’offerta pubblica di programmi di terapia cognitivocomportamentale, nessuno dei farmaci disponibili con specifica indicazione nella terapia dell’obesità è rimborsato dal sistema sanitario nazionale, e infine l’accesso alla terapia chirurgica bariatrica, secondo percorsi terapeutici che garantiscono un follow-up multidisciplinare, è molto difficile soprattutto in alcune aree del paese. Queste diverse forme di stigma che l’obesità ha nell’ambito sanitario, e che fanno sì che il paziente con obesità abbia minor tutele e minori occasioni di cura rispetto ai pazienti affetti da altre patologie croniche, sono riassumibili nel termine di stigma clinico. La presenza di uno stigma clinico appare ingiustificabile ed indifendibile dal punto di vista etico e sociale . Cause dello stigma Le cause dello stigma contro l’obesità, ed in particolare le cause dello stigma clinico, sono complesse ed influen-
zate da aspetti di ordine socio-economico, culturale e politico. Tuttavia, la causa probabilmente più profonda e più pervasiva dello stigma legato al peso sta nella persistenza di una narrativa che considera il peso corporeo interamente controllabile dall’individuo mediante opportune scelte comportamentali e che considera quindi il sovrappeso e l’obesità come la conseguenza diretta di comportamenti individuali inadeguati ed improntati a pigrizia, ghiottoneria o simili . Secondo questa narrazione l’obesità sarebbe quindi reversibile “convincendo” il paziente a seguire comportamenti individuali più sani e virtuosi (giudizio morale). Questa narrazione non è supportata da evidenze scientifiche e contrasta con le moderne evidenze che delineano l’obesità come una malattia cronica complessa, risultato di una interazione tra molteplici cause ambientali, genetiche ed epigenetiche, e sostenuta da alterazioni nei meccanismi neuro-endocrini di regolazione del peso corporeo. Nel paziente con obesità che tenta di perdere peso si attivano inoltre potenti meccanismi biologici che tendono ad opporsi al calo di peso e che sono la causa del frequente rebound ponderale, classicamente attribuito alla scarsa forza di volontà del paziente . Lo stigma clinico, generato dalla convinzione errata del paziente e degli operatori sanitari che il peso corporeo sia sotto il controllo della volontà, ha molteplici conseguenze che impattano sulla qualità della cura dell’obesità: 1) Se il peso corporeo è sotto il controllo volontario del paziente, per curare l’obesità è sufficiente dire al paziente di “mangiare di meno e muoversi di più”. Questa sarebbe quindi la terapia più efficace e non è necessario pensare ad interventi più complessi. Recente indagini internazionali che coinvolgevano anche in Italia sia persone con obesità sia medici coinvolti nella terapia
dell’obesità (studio ACTION-IO) hanno evidenziato in entrambe le parti una diffusa sovrastima dell’efficacia di un intervento basato solo su consigli paternalistici e semplici prescrizioni comportamentali. Questo avveniva a scapito di altre interventi (programmi strutturati di modificazione dello stile di vita, terapia cognitivo-comportamentale, terapia farmacologica, terapia chirurgica) la cui maggiore efficacia è suffragata da chiare evidenze sperimentali. La spinta ad una maggiore diffusione e disponibilità di questi intervento viene considerata quindi sostanzialmente inutile. 2) Se il peso corporeo è sotto il controllo volontario del paziente e se per curare l’obesità è sufficiente dire al paziente di “mangiare di meno e muoversi di più”, non ha senso investire risorse per la ricerca e la implementazione di nuove terapia efficaci per la cura dell’obesità. Negli Stati Uniti, gli investimenti previsti dai National Institutes of Health’s per la ricerca su cancro e AIDS sono 5–10 volte più grandi dell’investimento previsto per l’obesità, nonostante il fatto che l’obesità sia la malattia cronica a maggiore diffusione tra i cittadini americani . Esiste una stretta correlazione tra stigma nei confronti del peso e disponibilità ad investire in ricerca sull’obesità. Lo studio ASK, condotto in Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda, ha coinvolto 5623 soggetti: 1.567 professionisti sanitari e 4.056 soggetti facenti parte della popolazione generale. Lo studio ha chiaramente dimostrato che le persone che avevano atteggiamenti maggiormente stigmatizzanti e discriminatori nei confronti delle persone con obesità erano anche quelle che erano meno favorevoli ad aumentare la spesa per la ricerca contro l’obesità . Nello stesso studio vi è una forte correlazione tra la percezione che l’obesità possa essere curata semplicemente attraverso un
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corretto stile di vita e il punteggio più elevato dello stigma . In questo contesto, la ricerca volta a chiarire i meccanismi eziologici dell’obesità non è quindi chiaramente percepita come una priorità. Inoltre, il finanziamento potrebbe essere deviato solo verso progetti che vengono percepiti come efficaci (ovvero, implementazione del comportamento e interventi sullo stile di vita), riducendo il supporto per la ricerca di nuovi metodi di prevenzione e trattamento e l’implementazione di terapie già disponibili con efficacia e sicurezza basate sull’evidenze scientifiche (farmacologiche o chirurgiche).
stigma in quanto sono considerati più pigri e meno responsabili della loro perdita di peso . Molti pazienti bariatrici tendono a tenere nascosto il loro status di pazienti chirurgici . Esiste quindi uno stigma clinico legato a certi tipi di trattamento che si aggiunge allo stigma clinico generale nei confronti dell’obesità. In questo contesto, la propensione generale e del sistema sanitario di garantire e facilitare l’accesso a questi livelli di terapia sarà molto modesta.
Azioni da implementare 3) Se il peso corporeo è sotto il controllo volontario del paziente e se per curare l’obesità è sufficiente che il paziente “mangi di meno e si muova di più”, il recupero del peso perduto, evenienza purtroppo frequente e legata all’azione di potenti meccanismi biologici, è attribuibile semplicisticamente ad una scarsa motivazione, ad una perdita di compliance ed in definitiva ad un fallimento personale del paziente. Questa tipo di narrativa ha come risultato diretto un aumento dello stigma e della sua interiorizzazione. 4) Se il peso corporeo è sotto il controllo volontario del paziente e se per curare l’obesità è sufficiente che il paziente “mangi di meno e si muova di più”, il paziente che cerca di curare l’obesità utilizzando terapie più efficaci ma più costose (terapia farmacologica o terapia chirurgica) è visto come un paziente dotato di scarsa forza di volontà che cerca una scorciatoia per risolvere un problema che potrebbe tranquillamente risolvere da solo se avesse una maggiore forza di volontà. Ad esempio, se comparati a pazienti che hanno perso peso con dieta ed esercizio fisico, i pazienti che lo hanno fatto grazie ad un intervento chirurgico sono a maggior rischio di
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Se la causa principale dello stigma clinico nei confronti dell’obesità è la persistenza di una narrativa che vede l’obesità quasi come una condizione auto-imposta, dalla quale il paziente potrebbe facilmente uscire se solo avesse una volontà sufficiente, la battaglia contro lo stigma clinico nei confronti dell’obesità va combattuta a tutti i livelli promuovendo una narrativa che consideri in tutto e per tutto l’obesità come una malattia cronica complessa e recidivante, alla stesso modo di quanto già in essere per tutte le altre malattie croniche. Le azioni conseguenti e attuabili potrebbero essere le seguenti: 1) L’adozione di iniziative normative nazionali affinché nell’ordinamento sia introdotta una definizione di obesità come malattia cronica caratterizzata da elevati costi, diretti e indiretti, economici e sociali, e una definizione del ruolo degli specialisti che si occupano di tale patologia, come richiesto dalla Mozione Parlamentare 1/00082 approvata con voto unanime dalla Camera dei Deputati in data 13/11/2019. 2) Inserimento dell’obesità tra le patologie croniche la
cui diagnosi e trattamento è inserita nei Livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea), le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket. 3) Aumentare la conoscenza dell’obesità come una malattia cronica complessa e recidivante nei professionisti sanitari, sia inserendo parti ad hoc nel curriculum formativo degli studenti di medicina e chirurgia e negli studenti dei corsi di laurea delle professioni sanitarie, sia favorendo eventi di educazione medica continua sul tale argomento. 4) Promuovere a livello regionale la creazione e l’implementazione di strutture specialistiche multidisciplinari, possibilmente organizzate in reti assistenziali, che possano erogare alla persona affetta da obesità tutti i livelli di trattamento oggi inclusi nelle linee guida nazionali ed internazionali per il trattamento dell’obesità , inclusi i programmi strutturati di modificazione dello stile di vita, le terapia psicologiche e comportamentali, la terapia farmacologica e la chirurgia bariatrica.
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OBESITÀ E SOVRAPPESO IN ITALIA Laura Iannucci, Emanuela Bologna, Lidia Gargiulo, Alessandra Burgio, ISTAT
anni vissuti con disabilità, ma anche in termini economici di perdita di produttività e di maggior ricorso ai servizi sanitari, rappresenta una sfida per Italia presenta livelli di obesità e sovrappeso meno allarmanti rispetto agli altri paesi euroil nuovo decennio per raggiungere gli obiettivi di pei per la popolazione adulta, ma nell’età evolusviluppo sostenibile (Sustainable Development tiva la diffusione dell’eccesso di peso raggiunge Goals – SDGs) fissati dalle Nazioni Unite per il proporzioni ancora troppo elevate, nonostante 2030. negli ultimi anni si sia registrata una lieve riduSecondo le stime Istat più recenti1, nel 2018 in Itazione. Le azioni intraprese dall’Organizzazione lia un minore su quattro è in eccesso di peso (in Mondiale della Sanità per arginare gli effetti delsovrappeso o obeso) e tra gli adulti la quota quasi l’ambiente obesogeno e promuovere la riduzione raddoppia (46,1% tra le persone di 18 anni e dell’obesità, soprattutto a partire dall’età infanoltre). La figura 1 riporta l’andamento dell’indicatile, hanno da tempo prodotto anche in Italia l’avtore di eccesso di peso per classi di età a partire vio di azioni coordinate che coinvolgono diversi dai 3 anni: le prevalenze più basse si riscontrano attori della comunità scientifica, delle agenzie nei ragazzi di 14-17 anni (14,6%), crescono poi al educative e della sanità pubblica. La riduzione dei crescere dell’età raggiungendo un massimo nella costi sociali dell’obesità, che è ormai classificata classe 65-74 anni (61,1%). Lo svantaggio del gedall’OMS come vera e propria patologia, in ternere maschile è presente a tutte le età, ma è mimini di contenimento di anni di vita persi, o di nimo dai 3 ai 10 anni: risulta in eccesso di peso quasi un bambino su 3, sia maschio che femFigura 1. Persone di 3 anni e più per eccesso di peso, classe di età e genere. mina. La maggioranza Anno 2018 (per 100 persone) degli uomini presenta un eccesso ponderale a partire dai 45 anni, mentre per le donne ciò si verifica dopo i 65 anni. Tra gli anziani di 65-74 anni la prevalenza raggiunge il 54,9% per le donne e il 68,2% per gli uomini (Figura 1). Obesità e sovrappeso nella popolazione in Italia
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L’
Fonte: ISTAT indagine aspetti della vita quotidiana, anno 2018 1
Per gli adulti di 18 anni e oltre le stime prodotte dall’Istat sono calcolate con i dati antropometrici di peso e statura, riferiti dagli intervistati appartenenti ad un campione rappresentativo della popolazione di circa 37.500 individui e tengono conto della classificazione dell’Oms dell’Indice di massa corporea (BMI – Body Mass Index). Per i bambini dai 3 ai 17 anni l’ISTAT fa riferimento ai cut-off di Cole e Lobstein, utilizzati dall’IOTF (5).
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anni che hanno dichiarato almeno un’assenza dal lavoro nei 12 mesi precedenti l’intervista (stimati in circa un terzo degli occupati), le persone normopeso in media hanno fatto 18 giorni di assenza annue per malattia, gli occupati affetti da obesità 22 giorni, quanti hanno gravi problemi di obesità 27 giorni. Il fenomeno si acuisce per le donne che, in condizione di obesità, si assentano per malattia in media 34 giorni, in presenza di una grave obesità 43 giorni, rispetto ai 21 giorni delle donne occupate normopeso. Come nella maggioranza dei paesi europei, la popolazione con eccesso ponderale è aumentata nel tempo. Nel nostro paese negli ultimi 30 anni l’incremento dell’eccesso di peso nella popolazione adulta è di circa il 30% e solo un terzo dell’aumento può essere attribuito all’invecchiamento della popolazione. Infatti confrontando i tassi controllati per età tra il 1991 e il 2018 l’aumento dell’eccesso di peso è pari a +18%, ma per l’obesità supera il 60% (dal 6,4% nel 1991 al 10,3% nel 2018). Complessivamente gli incrementi nel tempo sono nettamente superiori tra gli uomini sia per l’eccesso di peso che per l’obesità. Le variazioni nel tempo sono crescenti fino al 2009 in entrambi i generi e tendono a consolidarsi ai livelli più elevati sia per gli uomini, sia per le donne (Figura 2).
Anche l’obesità è maggiormente diffusa tra gli uomini, sebbene i differenziali di genere siano meno marcati e si annullino tra i più anziani. Nella popolazione adulta, a fronte di una prevalenza media dell’11,7% tra gli uomini e del 9,8% tra le donne, per gli uomini si passa da un minimo di 2,7% a 18-24 anni a un massimo di 16,1% a 5564 anni, tra le donne da 2,2% a 18-24 anni a 14,5% tra le anziane di 65-74 anni. Com’è noto le persone con obesità versano generalmente in peggiori condizioni di salute. Essendo maggiormente affette da comorbilità riportano più frequentemente dei normopeso una cattiva percezione della propria salute. Tale divario si osserva a tutte le età, anche nelle età lavorative con un conseguente impatto, non solo sul sistema sanitario, ma anche sul sistema produttivo e occupazionale. Tra le persone di 25-64 anni, la quota di chi dichiara di stare male o molto male tra i normopeso si attesta al 3,2%, triplica (9,6%) tra quelle affette da obesità e quintuplica (14,8%) tra le persone con grave obesità (con Indice di Massa Corporea >=35). Tra le donne gravemente obese di 25-64 anni la percentuale aumenta al 16,4%. Le persone con problemi di obesità si assentano maggiormente dal lavoro per motivi di salute rispetto ai normopeso: tra gli occupati di 25-64
Le curve dell’indice di massa corporea (Figura 3) mostrano andamenti nettamente differenziati per genere, con una maggiore concentrazione delle prevalenze del normopeso per le donne e del sovrappeso per gli uomini. Nel tempo per entrambi i generi è aumentato il sovrappeso a scapito del normopeso, in modo più accentuato per gli uomini e soprattutto nel primo decennio considerato (dal 1991 al 2001).
Figura 2. Persone di 18 anni e più per obesità e sovrappeso. Anni 1991-2018 (tassi standardizzati per 100 persone)
Fonte: ISTAT, Indagine aspetti della vita quotidiana, anni 2001-2018. Indagine condizione di salute, 1991, 1994.
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Figura 3. Persone di 18 anni e più per indice di massa corporea. Anni 1991, 2001, 2018 (tassi standardizzati per 100 persone).
I confronti temporali, analizzati per genere e classe di età tra gli adulti nell’arco degli ultimi 20 anni (Figura 4), consentono di evidenziare incrementi specifici che il dato medio appiattisce. L’eccesso di peso mostra differenze nel tempo per classe di età evidenti per le donne, con un aumento tra le giovani dai 18 ai 45 anni (in media +15%) e una lieve riduzione dai 50 ai 75 anni. Dopo i 75 anni l’eccesso di peso aumenta in modo evidente per le donne e ancor più per gli uomini (+ 20%). Per l’obesità le differenze di genere si sono leggermente acuite nel tempo, in quanto l’aumento ha riguardato in misura maggiore gli uomini, soprattutto a partire dai 55 anni.
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Fonte: ISTAT, Indagine aspetti della vita quotidiana, anni 2001, 2018 (a) Indagine condizione di salute, 1991.
Figura 4. Persone di 18 anni e più per eccesso di peso, classe di età e genere. Anni 2001, 2018 (per 100 persone)
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Fonte: ISTAT, Indagine aspetti della vita quotidiana, anni 2001, 2018
Eccesso di peso: non si modifica la geografia nel tempo La quota di popolazione in eccesso di peso sul territorio nel 2018 evidenzia il persistere del gradiente Nord-Sud: al Nord la prevalenza si attesta al 43,6%, nel Centro è pari al 44,8% e nel Mezzogiorno raggiunge il 50,2%. Il dettaglio regionale consente di apprezzare nette differenze anche tra regioni della stessa macroarea: nel Nord ad esempio le Province Autonome di Bolzano e Trento presentano la più bassa prevalenza di eccesso ponderale in Italia (rispettivamente 40,5% e 40,9%), a fronte del dato dell’Emilia Romagna che invece raggiunge livelli simili alla media nazionale (46,3%). Di contro nel Mezzogiorno in 6 regioni su 8 (Molise, Basilicata, Campania, Sicilia, Calabria, Puglia e Abruzzo) la maggioranza della popolazione adulta risulta essere in eccesso di peso: la prevalenza infatti si attesta al 52,6% in
Molise, 51,4% in Campania, 50,9% in Sicilia e 50,7% in Puglia. Nella stessa area geografica la Sardegna invece presenta livelli decisamente più bassi, simili a quelli della PA di Trento (40,9%), seconda solo a Bolzano per la più bassa prevalenza di eccesso di peso in Italia. Sebbene Molise, Basilicata e Abruzzo si confermino nelle posizioni più alte in graduatoria anche per il tasso di obesità più elevato (rispettivamente 14,7%, 13,6% e 12,4%), sono seguite da due regioni del Nord: l’Emilia Romagna (12,4%) e il Friuli Venezia Giulia (12,1%). Analogamente agli adulti, anche tra i minori la quota di ragazzi in eccesso di peso aumenta significativamente passando da Nord a Sud: 18,8% Nord-ovest, 22,5% Nord-est, 24,2% Centro, 29,9% Isole e 32,7% Sud. Nel 2018 la percentuale più elevata si registra in Campania con il 35,4%, e supera il 30% in Calabria, Sicilia e Molise (rispettivamente 33,8%, 32,5% e 31,8%) (Fi-
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gura 5). Per i minori in quasi tutte le regioni si assiste comunque ad una lieve flessione delle prevalenze dell’eccesso di peso nel tempo, pur restando sostanzialmente invariata la geografia, con tassi più elevati nelle regioni del Mezzogiorno. I dati relativi agli adulti, analizzati per genere, non modificano la distribuzione territoriale dell’eccesso di peso confermando il gradiente Nord-Sud (Figura 6). In tutte le regioni le donne adulte presentano tassi molto più bassi rispetto agli uomini, il valore minimo dell’eccesso di peso si registra nella PA di Bolzano (30,5%) e il valore massimo nel Molise (46,2%); anche per l’obesità nelle stesse regioni si osservano il valore minimo (7,2%) e il valore massimo (14,8%). Per gli uomini adulti, invece il valore più basso si registra in Valle d’Aosta (50,1%) e il più elevato in Basilicata (62,7%).
Figura 5. Bambini e adolescenti di 3-17 anni in eccesso ponderale per regione. Anni 2017-2018 (per 100 persone)
Figura 6. Persone di 18 anni e più in sovrappeso e obesità per genere e regione. Anno 2018 (ordinamento rispetto al totale per 100 persone)
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Fonte: ISTAT, Indagine aspetti della vita quotidiana, anno 2018
L’analisi temporale per regione dell’eccesso di peso evidenzia che la geografia è rimasta inalterata con lo svantaggio dell’area meridionale, pur aumentando in misura maggiore in alcune regioni del Nord (Figura 7): in Liguria e Valle d’Aosta si è registrato un aumento dell’eccesso di peso superiore al 10%, in Lombardia e in Piemonte l’incremento è stato doppio rispetto a quello della media italiana pari al 4%. Per l’obesità aumenta la prevalenza di oltre il 30% nelle regioni Liguria, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna nel Nord, Umbria e Calabria nel Centro-Sud, a fronte di un incremento medio a livello Italia del 17%.
Fonte: ISTAT, Indagine aspetti della vita quotidiana, anni 2017, 2018
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Figura 7. Persone di 18 anni e più per sovrappeso e obesità per regione. Ordinamento decrescente delle regioni secondo l’eccesso di peso nel 2018. Anni 2001, 2018 (tassi standardizzati per 100 persone)
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Fonte: ISTAT, Indagine aspetti della vita quotidiana, anni 2001, 2018
Inoltre, per quanto riguarda l’eccesso di peso è interessante rilevare che gli incrementi significativi per gli uomini sono distribuiti in almeno la metà delle regioni, sia del Nord che del Sud, invece per le donne si osservano prevalentemente nelle regioni del Nord-ovest. Per l’obesità tra gli uomini gli incrementi si concentrano sempre nel Nord, nonché nelle Marche e in Calabria, per le donne risultano significativi soprattutto nel Veneto. Quali fattori sono associati alle differenze territoriali dell’eccesso ponderale? Per dare una possibile interpretazione della geografia italiana dell’eccesso di peso, caratterizzata da molti anni dal gradiente Nord-Sud, è opportuno far riferimento ai diversi studi che attribuiscono un ruolo rilevante a quei fattori socio-culturali, che favoriscono l’adozione di comportamenti di prevenzione primaria. Il livello di istruzione è sicuramente tra questi. L’analisi dell’eccesso di peso in relazione al livello di istruzione e all’area territoriale di residenza consente di spiegare una parte delle differenze osservate.
Il Relative Index of Inequality (RII)2, calcolato per ciascuna regione, mostra che il rischio di essere in eccesso di peso triplica mediamente passando da un titolo di studio alto (almeno la laurea) ad un titolo di studio basso (licenza media inferiore). In Campania, Molise, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna tale rischio diventa quadruplo, mentre si dimezza nelle Marche, in Abruzzo, in Lombardia e nelle Province Autonome di Bolzano e Trento. In Lombardia e nelle Province Autonome di Bolzano e Trento, che presentano le più basse prevalenze di eccesso di peso, si rilevano anche minori disuguaglianze sociali, dovute soprattutto al comportamento più virtuoso delle persone con basso titolo di studio (54,5% media nazionale, 46,8% Lombardia, 49,6% Bolzano, 50,9% Trento). Nelle Marche e in Abruzzo, le ridotte disuguaglianze sociali si accompagnano a prevalenze di eccesso di peso superiori alla media nazionale anche tra 2
Il relative index of inequality (RII) è un indice sintetico che permette di riassumere in un solo valore – e quindi di confrontare – tutto il differenziale di rischio espresso dalla scala sociale (in questo caso è misurata attraverso il titolo di studio conseguito), nel manifestarsi di un evento avverso (morte, malattia, determinate di salute, ecc.). In questo caso l’indice RII, stimato mediane regressione logistica, sintetizza il rischio dell’eccesso di peso tra le persone con al massimo licenza media comparato alle persone che hanno conseguito la laurea. Ad esempio RII=2 indica che le persone con la licenza media hanno un rischio doppio di sperimentare l’eccesso di peso rispetto alle persone con la laurea. .
lenze di eccesso ponderale e sull’asse delle ordinate la misura delle disuguaglianze sociali nell’eccesso di peso stimate mediante il titolo di studio conseguito.
le persone con alto titolo di studio (43,9% nelle Marche, 42,4% in Abruzzo, 36% in Italia). La Figura 8 sintetizza queste dinamiche nelle regioni rappresentando sull’asse delle ascisse le preva-
Figura 8. Persone di 18 anni e più per eccesso di peso e Relative Index of Inequality (RII) per regione. Anno 2018
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Fonte: ISTAT, Indagine aspetti della vita quotidiana, anno 2018
I fattori socio-culturali che possono influenzare l’eccesso ponderale includono anche altri aspetti, diversi dal livello di istruzione, quali ad esempio il rapporto con il cibo o l’adozione di modelli alimentari e stili di vita acquisiti e radicati nella zona di nascita prima di diventare adulti. Sebbene possano restare latenti altre importanti componenti difficili da misurare con le fonti disponibili, quali ad esempio quelle più strettamente genetiche, è possibile verificare il ruolo della regione di provenienza. In alcune regioni, infatti, il fenomeno migratorio è stato rilevante, basti pensare ad esempio che tra gli adulti residenti nella regione
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Piemonte oltre il 15% ha dichiarato di essere nato in una regione del Mezzogiorno. L’applicazione di modelli di analisi statistica multivariata3 all’eccesso di peso, confermano che, a parità delle altre variabili considerate, gli uomini hanno un rischio di eccesso ponderale doppio ri3 A partire dai dati dell’Indagine sulle condizioni di salute, condotta dall’Istat nel 2013 su un campione di circa 120mila persone distribuito su tutto il territorio nazionale, sono state incluse nel modello logistico come variabili esplicative genere ed età, lo status socio-economico (titolo di studio e giudizio sulle risorse economiche familiari), il territorio di residenza e la regione di nascita.
spetto alle donne, tale rischio aumenta con l’età e si riduce all’aumentare del livello di istruzione conseguito e tra i residenti nel Mezzogiorno il rischio si incrementa di oltre il 30%. Tuttavia l’effetto protettivo di un elevato status socioeco-nomico non annulla affatto le differenze territoriali, a testimoniare che i fattori culturali legati al territorio di origine possono determinare una persistenza nei comportamenti acquisiti. Segmentando la popolazione sul territorio, emerge per i residenti del Centro-Nord che, a parità di altre condizioni, essere nati in una regione del Meridione fa aumentare il rischio di essere in eccesso di peso almeno del 30% (OR=1,3), rispetto a chi è nato nella stessa regione di residenza. Nella Figura 9 per ciascuna regione, oltre al dato
medio dell’eccesso di peso, è stato riportato anche il livello della prevalenza delle persone adulte distinte per area di nascita. Nelle regioni del Centro-Nord le prevalenze dell’eccesso di peso delle persone nate nel Mezzogiorno in quasi tutte le regioni sono superiori al dato medio regionale. In Piemonte, ad esempio, l’eccesso ponderale delle persone nate nel Mezzogiorno è più elevato del 30% rispetto al dato medio piemontese. Viceversa, nelle regioni del Mezzogiorno, sebbene le prevalenze siano riferite ad un campione molto più ristretto per la minore consistenza delle migrazioni da Nord a Sud, le prevalenze delle persone nate al Centro-Nord si collocano sempre al di sotto della media regionale.
Figura 9. Persone di 18 anni e più in eccesso di peso per regione di residenza e ripartizione territoriale di nascita. Anni 2012-2013 (per 100 persone)
Fonte: ISTAT, Indagine condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari, anno 2013
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Livelli di attività fisica nella popolazione adulta e tempo trascorso in attività sedentarie Studi recenti evidenziano che svolgere una attività fisica, anche moderata, e ridurre il tempo trascorso in attività sedentarie hanno effetti benefici sulla salute, contrastando il rischio di insorgenza di obesità. I dati delle indagini Istat “Aspetti della vita quotidiana” e “Uso del tempo” consentono di esplorare entrambi gli aspetti. Le raccomandazioni sull’attività fisica da praticare costituiscono una parte centrale delle strategie di salute pubblica per prevenzione e trattamento del sovrappeso e dell’obesità. La combinazione di esercizio fisico aerobico con una dieta adeguata possono essere efficaci nel controllo del peso corporeo. In particolare, l’attività fisica di intensità moderata eseguita per 150–250 minuti alla settimana può prevenire l’aumento di peso, mentre sono necessari oltre 250 minuti a settimana per consentire un percorso di mantenimento dopo una perdita di peso (1). Allo stesso tempo, un comportamento eccessivamente sedentario può avere effetti dannosi sul bilancio energetico complessivo, che è alla base della variazione del peso. L’indicatore utilizzato per misurare il dispendio energetico è il MET (Metabolic Equivalent Time), che è definito come il rapporto dell’energia spesa durante una specifica attività rispetto a quella consumata stando seduti a riposo. Si definiscono sedentarie quelle attività caratterizzate da un dispendio energetico inferiore a 1,6 METs4, che vengono svolte nei diversi contesti di vita: a casa, a lavoro, a scuola e nel tempo libero. Si tratta di attività svolte prevalentemente stando seduti o in posizione reclinata, come guardare la tv, leggere, mangiare, lavorare al computer, andare in macchina, ecc.; tali attività, riducendo il dispendio energetico, possono portare ad un aumento di peso nel tempo. Secondo studi recenti, per ottenere benefici per la salute è sufficiente incrementare anche solo le attività di tipo leggero a scapito di quelle sedentarie (2). Lo svolgimento dell’attività fisica raccomandata, in Italia riguarda una persona adulta (18-64 anni) su cinque, che pratica attività fisica di intensità moderata o vigorosa nel tempo libero per almeno 150 minuti a settimana (20,4%). Tra le donne è 4 Unità di misura utilizzata per stimare il consumo di energia da parte dell’organismo nello svolgimento di attività secondo la seguente relazione: 1 Met esprime il consumo di 3,25 ml di ossigeno per chilogrammo per ora e corrisponde al consumo energetico nella condizione di assoluto riposo.
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pari a 15,3%, mentre tra gli uomini raggiunge il 25,8%. La quota delle persone fisicamente attive decresce con l’età (da 31,5% tra i giovani di 1829 anni a 16% a 45-64 anni) e cresce all’aumentare del titolo di studio conseguito (da 14,4% tra le persone con basso titolo a 28,8% tra chi ha almeno la laurea). Nel territorio decresce da Nord a Sud la prevalenza di quanti svolgono livelli raccomandati di attività fisica e sono significativamente più bassi della media nelle aree a bassa urbanizzazione. Questi andamenti si confermano in entrambi i generi (Figura 10). Considerando l’arco delle 24 ore della giornata5, la popolazione adulta di 18-64 anni, escludendo le ore di sonno (in media 8h14’), trascorre il 28% della giornata (6h49’) in attività sedentarie, il 27% in attività di tipo leggero6 (6h27’) e il 9% in attività moderate o vigorose7 (2h8’). Una persona adulta (18-64 anni) su tre (32%) supera le 7 ore al giorno in comportamenti sedentari tenendo conto sia del tempo di lavoro sia del tempo libero. Nei giovani di 18-29 anni tale quota aumenta al 47,6% per i giovani maschi e al 45,2% per le giovani donne (Figura 10). Senza considerare il tempo dedicato allo studio, classificato tra le attività leggere, i giovani trascorrono mediamente oltre 5 ore al giorno davanti a uno schermo (TV, PC, telefono, tablet). La quota di eccesso di sedentarietà è invece sensibilmente più bassa tra le donne adulte di 30-44 anni (23,7%) e 45-64 anni (22,3%) a fronte di livelli più elevati per i coetanei uomini (30,1% per la classe 30-44 anni e 37,5% per la classe 45-64 anni). Le differenze per titolo di studio si osservano solo per il genere femminile, con una quota più elevata di donne laureate con comportamenti sedentari (31,3%) rispetto alle donne che hanno conseguito al massimo la licenza media (20,7%). Ri5 Negli ultimi anni si sta considerando la possibilità di utilizzare i dati delle indagini sull’uso del tempo per sorvegliare l’attività fisica e il comportamento sedentario della popolazione (Tudor-Locke et al., 2011). Il Compendio sulle attività fisiche di Ainsworth consente di agganciare le attività fisiche quotidiane, dichiarate nei diari dell’uso del tempo, al loro consumo energetico. Inoltre si fa ricorso ad una procedura ad hoc per associare le spese metaboliche all’attività professionale dichiarata, basandosi sul sistema di classificazione occupazionale standard Isco08 (Deyaert et al., 2017). 6
Esempi di attività leggere (1,6<met<=3): studiare, insegnare, dirigere il traffico, vendere prodotti, ecc.
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Esempi di attività moderate (3,1<=met<=6 ): pulire casa, giocare con i bambini, fare la spesa, innaffiare il giardino, riparare automobili, tinteggiare i muri, consegnare la posta, fare l’infermiere, camminare a passo sostenuto, andare in bicicletta, fare ginnastica dolce, ballare ecc.. Esempi di attività vigorose (met>6 ): usare utensili elettrici pesanti, lavori di edilizia, trasportare carichi pesanti, lavorare la terra, correre, pedalare velocemente, fare ginnastica aerobica o sport agonistici ecc.
spetto al territorio, l’eccesso di comportamento sedentario riguarda soprattutto gli uomini residenti nel Mezzogiorno, mentre per le donne i valori nelle ripartizioni geografiche si discostano poco rispetto al valore medio nazionale. Figura 10. Persone di 18-64 anni per eccesso di comportamento sedentario (8 ore è più al giorno) e livello raccomandato di attività fisica nel tempo libero (150 minuti e più a settimana) per sesso, classe di età, ripartizione geografica e grado di urbanizzazione. Anni 2013-2014, 2015 (per 100 persone).
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Fonte: ISTAT, (a) Indagine europea sulla salute, 2015 (b) Indagine uso del tempo, 2013-2014.
L’analisi congiunta dell’indicatore di attività fisica raccomandata e dell’indicatore di eccesso di comportamento sedentario mette in evidenza segmenti di popolazione che, combinando entrambi i fattori di rischio (scarsa attività fisica nel tempo libero ed eccesso di sedentarietà), hanno una maggiore probabilità di sviluppare obesità e contrarre malattie quali il diabete, la sindrome metabolica, le malattie cardiovascolari, il cancro, ecc. (1). Tale segmento è composto soprattutto da persone residenti nel Mezzogiorno dove una persona su sei è fisicamente attiva e una persona su tre ha un comportamento eccessivamente sedentario.
Attività fisico-sportiva e sedentarietà tra i minori Nel 2017-2018 circa 1 milione 925 mila bambini e ragazzi di 3-17 anni non hanno praticato né sport né attività fisica nel tempo libero (pari al 22,7% della popolazione di 3-17 anni). Tale quota è particolarmente elevata tra i bambini di 3-5 anni (46,1%).
Praticano nel tempo libero uno o più sport 6 ragazzi su 10 (circa 5 milioni 30 mila pari al 59,4% della popolazione di riferimento), mentre il 17,1% dei ragazzi (circa 1 milione 450 mila) svolge qualche attività fisica. Nel tempo si è osservato un aumento della pratica sportiva tra i minori, soprattutto quella di tipo continuativo, passata dal 47,1% nel 2010-1011 al 52,5% nel 2017-2018 (Figura 11). L’aumento ha interessato in modo più marcato le ragazze, specialmente nella fascia 3-10 anni (+7,7 punti percentuali). Tuttavia, considerando alcune tra le attività sedentarie più diffuse tra i giovanissimi, emerge che nei bambini di 3-5 anni più del 60% ha l’abitudine di giocare con i videogiochi almeno qualche volta a settimana; tale quota raggiunge il 78% nella fascia 6-10 anni. Il tempo medio dedicato a questa attività ogni volta che si gioca è di circa 1 ora e mezza a 3-17 anni. Tale tempo è meno elevato tra i bambini fino a 5 anni, per i quali si attesta a circa 1 ora, ma è pari al doppio
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Figura 11. Bambini e adolescenti di 3-17 anni per pratica sportiva, genere e classe di età. Media 2010-2011 e 2017-2018 (per 100 persone)
Fonte: ISTAT, Indagine aspetti della vita quotidiana, anni 2010, 2011, 2017, 2018
tra gli adolescenti di 15-17 anni. Anche il tempo trascorso davanti la televisione caratterizza fortemente le giornate dei più giovani. Nel 2018 più del 90% dei bambini tra 3 e 10 anni e circa il 75% dei ragazzi di 11-17 anni ha dichiarato di guardare la tv tutti i giorni, con un tempo medio dedicato pari a circa 2 ore e 20 minuti tra i bambini di 3-10 anni e di circa 2 ore e 40 minuti tra i ragazzi di 11-17 anni. La TV e i videogiochi rappresentano solo una
parte del tempo trascorso dai ragazzi in attività sedentarie: se si considera un giorno medio, escludendo il tempo trascorso a scuola o dormendo, si osserva che più del 40% del tempo (10h18’) è trascorso in attività del tutto sedentarie o con attività fisica a bassa intensità (light), con il valore massimo registrato tra le ragazze di 11-17 anni (45,3%, 10h51’) e il minimo le bambine di 3-5 anni (40,5%, 9h37’) (Figura 12). Le attività che presuppongono sforzo fisico mo-
Figura 12, Bambini e adolescenti di 3-17 anni per tempo speso in attività sedentarie, in attività a bassa, media e vigorosa intensità fisica per sesso, classi di età e ripartizioni geografiche. Anni 2013-2014 (per 100 pesone)
Fonte: ISTAT Indagine uso del tempo, anni 2013-2014
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derato o vigoroso rappresentano il 3,2% del tempo medio giornaliero dei ragazzi (46’), quota che è leggermente più elevata tra gli adolescenti di 11-17 anni (4%, 58’) e raggiunge il valore minimo tra i bambini di 3-5 anni (1,7%, 25’). Nel Mezzogiorno il tempo medio giornaliero trascorso in attività sedentarie o a bassa intensità di dispendio energetico è più elevato rispetto a chi vive nelle regioni del Nord: 44,2% (10h36’) contro 42,1% (10h5’). Le differenze rilevate nell’eccesso di peso e negli stili di vita non salutari dipendono anche dal contesto familiare in cui crescono i ragazzi. I bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie in cui almeno uno dei genitori è in eccesso di peso tendono a essere più frequentemente in sovrappeso o obesi. Se entrambi i genitori sono in sovrappeso o obesi anche i figli lo sono nel 37,6% dei casi contro il 18,8% di chi ha entrambi i genitori normopeso. Analizzando il fenomeno in relazione ad altre informazioni del contesto familiare, si osserva che tendono a essere maggiormente in sovrappeso o obesi i bambini e ragazzi che vivono in famiglie con risorse economiche scarse o insufficienti, ma soprattutto in quelle in cui il livello di istruzione dei genitori è più basso. La quota di bambini in eccesso di peso è infatti pari al 19% tra quanti vivono in famiglie con almeno un genitore laureato, ma raggiunge il 30,1% quando i genitori hanno al massimo completato la scuola dell'obbligo. Differenze significative in base alle caratteristiche della famiglia si osservano anche per la pratica sportiva: i ragazzi che vivono in famiglie con genitori con un basso titolo di studio, non praticano sport né attività fisica nel 32,1% dei casi, contro il 12,9% di chi vive in famiglie in cui almeno un genitore è laureato. Inoltre, si riscontra un’associazione tra l’inattività fisica dei figli e quella dei genitori: non pratica sport né attività fisica il 47,9% dei giovani con genitori sedentari, contro il 9,8% quando nessuno dei genitori ha comportamenti sedentari.
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FAR RIPARTIRE L’ASSISTENZA ALLA PERSONA CON OBESITÀ DOPO IL COVID-19 Antonio Nicolucci, CORESEARCH, Roberta Crialesi, ISTAT L’emergenza Covid-19 ha rappresentato una sfida senza precedenti per il nostro Paese e per il Sistema Sanitario Nazionale, con enormi ripercussioni cliniche, sociali ed economiche. Il prezzo più alto pagato riguarda senz’altro l’elevato numero di vittime causate dalla pandemia: al 25 maggio 2020 erano pervenute alla Sorveglianza Nazionale Integrata COVID-19 coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità 31.573 segnalazioni di decessi in soggetti diagnosticati microbiologicamente tramite tampone rino/orofaringeo positivo al SARS-CoV-2. In data 16 luglio 2020, in un documento congiunto ISTAT-ISS, sono stati resi noti i risultati delle analisi effettuate sulle schede di morte di 4942 decessi associati al Covid-19 . I dati provengono da tutte le Regioni e Province Autonome del Paese, fatta eccezione per la Regione Valle D’Aosta, e la loro distribuzione per età e genere è risultata simile a quella del totale dei decessi segnalati alla Sorveglianza. È stato quindi possibile tracciare un quadro molto realistico delle caratteristiche socio-demografiche e cliniche dei soggetti deceduti e di identificare i profili di fragilità associati alle complicanze più gravi della patologia. L’analisi appena pubblicata conferma una maggiore vulnerabilità da parte dei soggetti di sesso maschile, che rappresentano circa i due terzi (63%) dei deceduti. Viene anche confermato il ruolo dell’età avanzata: il 55,8% dei deceduti presentava un’età di 80 anni o più e il 27,5% un’età compresa fra i 70 e i 79 anni. Tuttavia, i soggetti sotto i 60 anni rappresentavano il 5,9% del campione; questa percentuale, trasferita al numero totale di decessi comunicati fino al 25 maggio, indica che sono decedute oltre 1.800 persone sotto i 60 anni.
Un altro aspetto importante emerso dall’analisi delle schede di morte riguarda il fatto che il Covid-19 è risultato come causa primaria del decesso nell’89% dei casi, mentre nel restante 11% la morte era da attribuire a cause diverse (soprattutto malattie cardiovascolari e tumori); in questi casi l’infezione virale potrebbe comunque aver aggravato il quadro clinico generale. La quota di deceduti in cui COVID-19 era la causa direttamente responsabile della morte varia in base all’età, raggiungendo il valore massimo del 92% nella classe 6069 anni e il minimo (82%) nelle persone di età inferiore ai 50 anni. Per quanto riguarda l’analisi dell’11% dei decessi in cui Covid-19 non era causa primaria, nei più giovani (<50 anni) la causa di morte principale è rappresentata dai tumori, che costituiscono circa il 9,3% del totale in questa fascia di età. Nella classe di età 50-59 anni, dopo i tumori (5,7%) il diabete (2,2%) rappresenta la causa iniziale di morte più frequente. Nelle età più avanzate la distribuzione è più eterogenea, ma i tumori restano ancora la causa di morte più comune.
Mortalità per Covid-19 e comorbidità Dati molto interessanti del rapporto ISS-ISTAT appena diffuso riguardano la presenza delle comorbidità fra le persone decedute con diagnosi di infezione da SARSCov-2. Un aspetto rilevante è rappresentato dalla mancanza di segnalazione di patologie concomitanti nel 28,2% dei casi (figura 1).
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Figura 1. Distribuzione percentuale per numero di concause dei decessi dei pazienti positivi a SARS-CoV-2 nelle diverse classi di età.
Fonte:Elaborazione Istat sui dati Iss, Sistema di Sorveglianza Integrale COVID-19.
Sebbene questo dato possa dipendere almeno in parte dalla mancata registrazione sulla scheda di morte di patologie misconosciute, esso sottolinea come Covid-19 possa essere letale anche in assenza di altre condizioni preesistenti. Del totale dei soggetti deceduti, circa uno su tre (31,2%) presentava una patologia concomitante, mentre il 40,5% presentava due o più comorbidità, con una media complessiva di 2,4 patologie per soggetto. Fra le patologie associate più frequenti, sono da segnalare malattie ipertensive (21,8%), altre malattie del sistema circolatorio (18,1%), diabete (15,8%), cardiopatie ischemiche (13,9%), malattie renali (12,4%) e tumori
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(12,2%). La prevalenza delle diverse patologie concomitanti varia in relazione alle fasce di età: al di sotto dei 50 anni, le comorbidità più frequenti sono rappresentate dai tumori e dall’obesità, fra i 50 e i 59 anni prevalgono tumori, cardiopatie ipertensive e obesità, dai 60 anni in su sono più frequenti il diabete e le cardiopatie ipertensive (figura 2). Questi dati indicano che il profilo di vulnerabilità al Covid-19 è profondamente influenzato dall’età e che alcune condizioni, come l’obesità, risultano particolarmente frequenti come concausa di morte fra i più
Figura 2. Concause presenti nelle schede di decesso di pazienti positivi al SARS-CoV-2, percentuale sul totale dei decessi, per classi di età.
Fonte:Elaborazione Istat sui dati Iss, Sistema di Sorveglianza Integrale COVID-19.
giovani, mentre il diabete e le malattie cardiovascolari giocano un ruolo più importante dopo i 60 anni. Un altro aspetto rilevante riguarda il riscontro che alcune condizioni, come diabete ed obesità, sono raramente l’unica comorbidità, mentre compaiono spesso in associazione con altre patologie (figura 3).
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Figura 3. Presenza delle concause di morte nelle schede dei pazienti deceduti positivi al SARS-CoV-2, distinguendo tra due gruppi: A) casi con una sola concausa (1.545 decessi) e B) casi con più concause (3.397 decessi). Percentuale sul totale dei decessi, per gruppo.
Fonte:Elaborazione Istat sui dati Iss, Sistema di Sorveglianza Integrale COVID-19.
In particolare il diabete mellito e le cardiopatie ipertensive rappresentano le condizioni più spesso riscontrate in caso di pluri-comorbidità, essendo presenti in circa un terzo dei casi. Questo riscontro suggerisce come il diabete possa rappresentare una causa importante di vulnerabilità al Covid-19 quando gravato da complicanze micro e macrovascolari. A questo riguardo, non va dimenticato che il diabete di tipo 2, che rappresenta oltre il 90% di tutti i casi di diabete, si associa a ipertensione arteriosa nel 70% dei casi e a dislipidemia in circa il 60% dei casi, mentre un eccesso ponderale è presente in oltre
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l’80% dei casi . Questo determina un rischio cardiovascolare particolarmente elevato fra le persone con diabete, un quarto delle quali presenta una storia di evento cardiovascolare maggiore , e la concomitanza di diabete e malattie cardiovascolari è sicuramente un riscontro frequente fra le persone decedute per Covid-19. Inoltre, il diabete rappresenta una importante causa di insufficienza renale, che a sua volta risulta una frequente concausa di morte nei soggetti deceduti per Covid-19. Considerazioni analoghe possono essere fatte per l’obesità, che risulta spesso associata a disturbi metabolici,
ipertensione, dislipidemia, complicanze cardiovascolari, problemi respiratori ed un ampio spettro di altre condizioni morbose, compreso un più elevato rischio di diversi tumori . La bassa prevalenza di obesità come concausa di morte nei soggetti sopra i 60 anni potrebbe essere almeno in parte legata ad una mancata registrazione del dato; infatti, in presenza di multiple condizioni concomitanti, è verosimile che siano state riportate sulle schede di morte le patologie associate all’obesità, piuttosto che quest’ultima. La rilevanza del diabete e dell’obesità come condizioni di vulnerabilità è ribadita nel comunicato della Commissione Europea al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni: Short-term EU health preparedness for COVID-19 outbreaks . Il documento, pubblicato il 15 luglio e prodotto in collaborazione con l’European Center for Disease Control (ECDC), enfatizza la necessità di supporto alle popolazioni più vulnerabili (per comorbidità, basso stato socio-economico o rischio professionale) e invita a prendere misure specifiche per proteggere queste categorie. CONCLUSIONI L’analisi delle cause di morte fra i soggetti deceduti con infezione da SARS-Cov-2 offre importanti spunti di riflessione. Innanzitutto, i dati mostrano come non esistano categorie completamente scevre dal rischio di subire le conseguenze del Covid-19. Neanche i soggetti giovani, senza evidenti patologie concomitanti, possono considerarsi al sicuro. D’altro canto, non c’è dubbio che il rischio di decesso associato a Covid-19 sia particolarmente elevato nei soggetti di sesso maschile, di età avanzata, e con comorbidità. Da questo punto di vista, è da sottolineare come il cattivo controllo di patologie croniche come il diabete, se da una parte aumenta il rischio di complicanze della patologia, dall’altra
è responsabile di una maggiore vulnerabilità nei confronti di eventi acuti quali la pandemia da coronavirus. La drastica riduzione delle prestazioni ambulatoriali durante il lockdown, solo parzialmente compensata dall’attivazione di prestazioni di telemedicina, la forzata inattività fisica e la verosimile modifica dell’alimentazione possono aver determinato un peggioramento del controllo metabolico ed un aumento del peso corporeo in molte persone affette da diabete, di fatto aumentando la loro vulnerabilità nel caso malaugurato di una ripresa della pandemia. Per quanto riguarda l’obesità, la sua frequente presenza fra le concause di morte nei soggetti più giovani sottolinea il suo importante contributo a determinare una condizione di fragilità. Risulta quindi necessaria una profonda riconsiderazione dell’eccesso ponderale come vera e propria patologia, di natura complessa e gravata come il diabete da un elevato numero di comorbidità e complicanze. Questi dati hanno profonde implicazioni, considerando che nel nostro Paese le persone adulte obese (BMI ≥30) sono circa 6 milioni e le persone in sovrappeso oltre 20 milioni . L’implementazione di strategie preventive e di interventi tempestivi nel caso di nuovi focolai di Covid-19 dovrà necessariamente tenere conto dei profili di fragilità emersi dalle analisi in corso, al fine di evitare le conseguenze più nefaste della pandemia. Sarà necessaria una azione incisiva a livello di cure primarie e di cure specialistiche per garantire un adeguato monitoraggio ed un efficace controllo dei più importanti fattori di rischio fra i soggetti affetti da cronicità. Dove possibile, la continuità assistenziale potrà essere assicurata attraverso l’implementazione di modalità assistenziali complementari a quelle tradizionali, facendo ricorso alla telemedicina e alla teleassistenza. Sarà inoltre fondamentale dare priorità assistenziale alle persone che, sulla base del loro livello di fragilità, possono essere più suscettibili alle forme più gravi di Covid-19. Solo ripensando il modello tradizionale di assistenza, con l’introduzione di interventi proattivi e commisurati alle reali esigenze/vulnerabilità degli assistiti e perseverando nella adozione delle misure cautelari per ridurre il contagio sarà possibile evitare che si ripeta la drammatica situazione vissuta nei primi mesi del 2020.
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APPROPRIATEZZA E CRITICITA’ DEL PAZIENTE CON OBESITA’ GRAVE: IL SISTEMA REGIONALE DELLE RETI Paolo Sbraccia, Vice Presidente IBDO Foundation Luca Busetto, Chair Obesity Management Task Force EASO
In Italia, il concetto di “assistenza dedicata” al paziente con grande obesità presso centri specializzati e organizzati in rete non è stato mai riportato a livello di provvedimenti legislativi nazionali o regionali, ma solo come documento di indirizzo in alcune Regioni per la definizione del percorso assistenziale di questa tipologia di pazienti. Il modello Hub & Spoke, promosso per la gestione di patologie ad andamento cronico di particolare impegno sanitario ed economico, prevede la concentrazione dell’assistenza, in relazione alla diversa criticità del paziente, in centri di eccellenza (Hub) e l’invio dei pazienti ai centri periferici (Spoke), in relazione alla prosecuzione/integrazione del percorso terapeutico/riabilitativo. La rete che viene a crearsi in tal modo ha l’obiettivo di assicurare una coordinata azione d’intervento, garantendo al paziente un’assistenza ottimale nella struttura più adeguata in termini di appropriatezza clinica e organizzativa. Per quanto riguarda la formazione è indispensabile che i MMG siano correttamente informati di tutti gli aspetti diagnostico-terapeutici che ruotano intorno all’obesità, ma anche, allo stesso tempo, che essi possano contare su centri di elevata specializzazione ai quali fare riferimento. D’altro canto, anche la formazione del chirurgo che intende indirizzarsi alla cura dell’obesità dovrà non solo includere un aggiornamento costante delle tecniche e degli strumenti chirurgici, ma anche dare un più ampio respiro alla cultura della cronicità, che comporta l’inserimento della propria attività in una catena di interventi medici che accompagneranno il paziente per tutta la
vita. La prevenzione dell’obesità si fonda sulla formazione scolastica nell’età evolutiva, sull’educazione sanitaria, sull’attività fisica e sulla dieta. La scuola è caricata dell’onere di dare messaggi tecnicamente corretti, utilizzando anche strumenti didattici innovativi, che riescano a colpire la fantasia e la capacità d’imitazione degli allievi. Si può osservare che l’esercizio fisico regolare provoca una modificazione della composizione corporea, con aumento della massa muscolare e quindi della massa magra, metabolicamente attiva, che si associa a un incremento del dispendio energetico a riposo. Non vi è dubbio che non è solamente una particolare dieta che riduce i fattori di rischio nel lungo termine, quanto appunto uno stile di vita, un comportamento adeguato alla condizione del soggetto. Le peculiari caratteristiche della grande obesità come patologia cronica, le sue comorbilità e la disabilità conseguente con un impatto sulla qualità della vita e sui costi sanitari impongono di assumere una prospettiva non solo di tipo terapeutico, ma soprattutto riabilitativo. È importante, quindi, prevedere e definire percorsi terapeutici con una squisita valenza multidisciplinare, che affrontino in una prospettiva temporale di lunga durata il problema del peso, ma soprattutto la prevenzione e cura delle complicanze. La rete regionale per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dell’obesità si articola attraverso i diversi livelli di intervento: ambito territoriale e ospedaliero.
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TAKE HOME MESSAGE Paolo Sbraccia, Vice Presidente IBDO Foundation
La lotta all’obesità è un fenomeno complesso che deve vedere coinvolti diversi attori del sistema, per identificare le strategie politiche, sociali, economiche e cliniche di maggiore impatto, utili ad agire a livello dei macrofattori e di tutti gli interventi sulla popolazione. Il successo di tali strategie dipende dal grado di coinvolgimento, consapevolezza e interazione di tutte le componenti e delle corrette valutazione che vanno fatte in termini di impatto sulle persone, anche in considerazione del loro livello socio-culturale-economico. La ricerca delle azioni prioritarie non può non prescindere da una analisi di fattibilità delle stesse e dei risultati ottenuti rispetto a quelli attesi. Le call to action che possono essere oggi individuate debbono tenere conto della Carta europea sull’azione di contrasto all’obesità, della mozione parlamentare approvata, delle linee guida nazionali ed internazionali, dei dati oggi disponibili a livello nazionale sull’impatto dell’obesità. Il riconoscimento dell’obesità come malattia cronica e di grande impatto clinico è un fatto imprescindibile di politica sanitaria In tal senso si individuano delle aree dove sviluppare le azioni di prevenzione e contrasto all’obesità: CONTRASTARE lo stigma sociale e clinico legato all’obesità e tutte le forme di discriminazione, consentendo alla persona con obesità il pieno godimento dei propri diritti come cittadino, con il pieno inserimento in tutti gli ambiti sociali, scolastici e lavorativi e al paziente con obesità il pieno accesso alle cure e ai trattamento;
che la stessa è una malattia altamente disabilitante e che rappresenta un importante fattore di rischio e di mortalità; RIAVVIARE urgentemente a livello ospedaliero i percorsi clinici, chirurgici e dietetico -nutrizionali per assicurare continuità assistenziale e terapeutica a tutte le persone con obesità, alfine di garantire le cure e i trattamenti appropriati per diminuire i rischi di gravi complicanze; REALIZZARE un piano di gestione dell’obesità a livello clinico-assistenziale di concerto con le Società Scientifiche, Fondazioni, Network, Associazioni Pazienti e di Cittadinanza impegnate sull’obesità , per affrontare le problematiche relative alla malattia, individuando obiettivi centrati sulla prevenzione, sulla diagnosi precoce, sulla gestione della malattia, delle complicanze, sull’offerta assistenziale, l’accesso alle cure e ai trattamenti farmacologici e chirurgici; INCREMENTARE la capacità del SSN durante tutte le fasi della gestione dell’emergenza COVID-19 nell’erogare e monitorare i Servizi per la persona con obesità, con la definizione di una governance della cronicità dell’obesità attraverso l’individuazione e l’attuazione di strategie che abbiano come obiettivo la razionalizzazione dell’offerta, l’accesso alle cure e alle terapie, la sicurezza delle persone con obesità, dei medici e del personale sanitario, l’appropriatezza delle prestazioni erogate attraverso il potenziamento della rete assistenziale esistente e con il coinvolgimento dei Medici di Medicina Generale;
CONSIDERARE l’obesità durante tutte le fasi dovute al COVID-19 come una priorità nazionale a livello sanitario, politico, clinico, sociale e clinico, riconoscendo
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È
IL
MOMENTO DI
CAMBIARE NELLA
LOTTA ALL’ MIGLIORARE nei percorsi di ripresa del Paese la qualità di vita, della cura e la piena integrazione sociale per le persone con obesità, comprendendone i bisogni, le problematiche economiche e sociali, attuando strategie di coinvolgimento familiare, scolastico, sociale e nell’ambiente lavorativo;
ASSICURARE protocolli per la prevenzione dell’obesità e del rischio di contrarre il COVID-19, la diagnosi, il trattamento medico, farmacologico, chirurgico e riabilitativo, le modalità assistenziali più efficaci, attraverso il sostegno alla ricerca, per realizzare progressi nell’accesso alle cure, nella riduzione delle complicanze, e dei casi di morte prematura soprattutto associate;
ORGANIZZARE nei centri COVID-19 e in tutte le strutture assistenziali attività di rilevazione epidemiologica sui parametri relativi alla diagnosi dell’obesità come malattia e come fattore di rischio di mortalità a causa di COVID-19;
DIFFONDERE le competenze, i dati e le conoscenze tra gli operatori della rete assistenziale favorendo lo scambio continuo di informazioni per una gestione efficace ed efficiente della persona con obesità, attraverso la rilevazione di parametri clinici efficaci per una corretta diagnosi di obesità; PROMUOVERE l’interdisciplinarietà in ambito medico, anche attraverso la formazione di team specialistici dedicati prestando particolare attenzione alle disuguaglianze sociali e alle condizioni di fragilità e/o vulnera-
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OBESITÀ bilità socio - sanitaria sia per le persone a rischio che per quelle con obesità, fornendo programmi assistenza psicologica in questa fase di emergenza; FACILITARE la pratica regolare dell’attività fisica, dell’attività motoria e delle modifiche dello stile di vita, come misure per la prevenzione del sovrappeso e dell’obesità, da praticare in palestre idonee e negli impianti sportivi, allo scopo di realizzare una rete operativa formata dai medici di medicina generale e dagli specialisti; INTRODURRE in tutte le iniziative/decreti di protezione le persone con obesità come pazienti vulnerabili e a rischio INSERIRE nei tavoli di lavoro istituzionali sulla gestione della governance delle malattie croniche rappresentanti delle Società Scientifiche, Network, Fondazioni, Associazioni Pazienti e di Cittadinanza impegnate sull’Obesità ATTUARE urgentemente quanto previsto dalla mozione 1-00082 sull’Obesità approvata il 13 Novembre dalla Camera dei Deputati, dando continuità alle iniziative parlamentari sinergiche tra tutte le forze parlamentari affinché vengano attuate diposizioni e atti concreti ministeriali per il riconoscimento dell’obesità come malattia cronica dal forte impatto clinico e sociale, definendo i percorsi di cura, di erogazioni delle prestazioni (LEA) e di finanziamento.
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