PATIENT ACCESS MONITOR 7-2025

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2nd PATIENT ACCESS MONITOR 2025

COLLABORATIVE STRATEGIES FOR OVERCOMING STRUCTURAL BARRIERS IN ITALIAN HEALTHCARE

CON IL PATROCINIO DI:

• ASSOCIAZIONE ITALIANA SOSTEGNO MALATTIE METABOLICHE

• ASSOCIAZIONE MALATTIE RARE EMATOLOGICHE - A.MA.R.E. ONLUS

• DIABETE ITALIA RETE ASSOCIATIVA ODV

• FAVO

• FONDAZIONE ONDA

• SALUTE DONNA ODVS

• OCIETÀ ITALIANA DI PSICHIATRIA - SIP

• SOCIETÀ ITALIANA PER LA PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE - SIPREC

EDITORS E COAUTORI

EDITOR IN CHIEF:

GIUSEPPE NOVELLI

Professore ordinario di Genetica Medica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata

CO-EDITORS:

ANDREA LENZI

Emeritus Professor of Endocrinology, Università di Roma La Sapienza and director UNESCO Chair on Urban Health; President of Health City Institute and of National Committee for Biosafety, Biotechnology, and Life Sciences of the Presidency of the Council of Ministers, Rome, Italy

WALTER RICCIARDI

Professor of Hygiene and Director of the School of Specialization in Hygiene and Public Health at the Faculty of Medicine and Surgery, Università Cattolica del Sacro Cuore, Rome, Italy

EDITOR

FEDERICO SERRA

Senior Government Affairs & Institutional Communication Advisor

GIANLUCA VACCARO

PhD, Methodological Advisor, BHAVE; Sociologo, U.O. Educazione e Promozione della salute, Asp Catania, Italy

KETTY VACCARO

Head of Health and Welfare at Censis

LUCIO CORSARO

Presidente Patient Access Think Tank / Advisory Bhave

COAUTORI

ALBERTO FERLIN

Segretario Generale SIE - Società Italiana di Endocrinologia

ALESSANDRO DI MENNO DI BUCCHIANICO

ISPRA, Coordinatore Rete POLLnet SNPA.

ALESSANDRO ROSSI

Presidente SIMG - Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie

ANDREA DELBARBA

Referente AME - Associazione Medici Endocrinologi - in ambito di incongruenza di genere

ANGELO LUPI

Presidente di A.MA.R.E. - Associazione Malattie Rare Ematologiche

ANNA MARIA MANCUSO

Presidente Salute Donna ODV e Coordinatrice “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”

ANNALISA SCOPINARO

Presidente UNIAMO

ANTONIO VITTORINO GADDI

Presidente Società Italiana Telemedicina - SIT

BRUNO SFOGLIARINI

Department of Business, Law, Economics and Consumption, IULM University, 20143 Milano, Italy

CHIARA SPINATO

Responsabile Ufficio Salute, Pari Opportunità e Politiche attive del lavoro in ANCI - Associazione Nazionale Comuni Italiani

DARIO LEOSCO

Presidente Società Italiana Gerontologia e Geriatria - SIGG

ELENA ORTONA

Direttrice del Centro di riferimento per la Medicina di Genere - Istituto Superiore Sanità

ELISABETTA IANNELLI

Segretario Generale FAVO - Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia e Presidente AIMaC,

ELISABETTA VERCESI

Responsabile Bollino Rosa e Bollino RosaArgento di Fondazione ONDA - Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna e di genere

EMANUELE CORSARO

Founder and Advisor at Bhave

GAIA FORZANINI

Ostetrica consulente di AME - Associazione Medici Endocrinologi

GIANLUCA AIMARETTI

Presidente Società Italiana di Endocrinologia - SIE

GIOVANNA ELISA CALABRÒ

Department of Human, Social and Health Sciences, University of Cassino and Southern Lazio; VIHTALI (Value In Health Technology and Academy for Leadership & Innovation), a spin-off of the Catholic University of the Sacred Heart, Rome, Italy

GIOVANNI MOTTA

Membro SIE - Società Italiana di Endocrinologia

GIUSEPPE CARRIERI

Presidente SIU - Società Italiana di Urologia

ILARIA RANIERI

Junior Advisor Public, Medical & Market Access Affaire, Bhave

LILIANA DELL’OSSO

Presidente SIP - Società Italiana Psichiatria

LORENA TRIVELLATO

Anthropologist Researcher Advisor, Bhave

LORENZO CECCHI

Presidente AAIITO - Associazione Allergologi Immunologi Italiani

Territoriali e Ospedalieri

LORENZO SUSANNA

Università di Bologna

LUCY VANNELLA

Specialista in Gastroenterologia - UOS Gastroenterologia Territoriale - UOSD Nutrizione Clinica - ASL ROMA2

MANUELA VACCAROTTO

Vice Presidente di AISMME APS - Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie

MARCO DEL RICCIO

Department of Health Sciences, University of Florence, Florence, Italy

MARCO FALCONE

Infectious Diseases Unit, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisa, University of Pisa, Italy

MARINA PIERDOMINICI

Senior Reseacher presso Centro di Riferimento per la Medicina di Genere - Istituto Superiore Sanità

MARIO DI GIOACCHINO

Past- President SIAAIC -Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica

MARIO PICOZZA

Presidente Federasma e Allergie Odv - Federazione Italiana Pazienti

MASSIMO VOLPE

Presidente SIPREC - Società Italiana per la Prevenzione

Cardiovascolare

MAURIZIO CAMPAGNA

Consulente FAVO - Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia

PIERLUIGI LOPALCO

Department of Experimental Medicine, Uni. Salento LE

PIERO SAVASTANO

Founder Cheshire Cat AI; Data Scientist

RAFFAELLA BUCCIARDINI

National Centre for Global Health, Director Health Equity Unit – Istituto Superiore Sanità

RICCARDO CANDIDO

Presidente AMD - Associazione Medici Diabetologi

ROBERTO F. MAZZA

Membro del Gruppo di Lavoro di Salute Donna ODV

SABRINA DE FEDERICIS

Country manager HAL-Allergy

SANDRA FRATEIACCI

Presidente ALAMA-APS Associazione Liberi dall’Asma, dalle Malattie Allergiche, Atopiche, Respiratorie e Rare

SERGIO BONINI

Istituto di Farmacologia Traslazionale, CNR, Past-President e Historian European Academy of Allergology and Clinical Immunology

SIMONA BARBAGLIA

Presidente Associazione Nazionale Pazienti RESPIRIAMO

INSIEME APS

STEFANO GARAU

Vicepresidente, Communication Manager, FAND Associazione Italiana Diabetici ODV

STEFANO NERVO

Presidente di Diabete Italia

TIZIANA NICOLETTI

Responsabile Coordinamento nazionale delle  Associazioni dei Malati Cronici e rari di Cittadinanzattiva

VITO TROJANO

Presidente SIGO - Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia

INTRODUZIONE

Il secondo Patient Access Journey Report nasce con l’obiettivo di analizzare e approfondire, in modo operativo e multidisciplinare, le principali criticità che ostacolano l’accesso equo e tempestivo alle cure.

Il documento affronta temi strategici che spaziano da One Health all’Epidemiologia e Burden of Disease, dai comportamenti di salute alla consapevolezza dei diritti del paziente, fino a questioni legate alla health literacy, al benessere e alle molteplici barriere di accesso

Particolare attenzione è rivolta alle disuguaglianze di accesso, analizzate da diverse prospettive: genere, area geografica, tipologia di servizio, patologia, gruppi vulnerabili ed età.

Questo policy brief non è pensato per essere letto in modo lineare, ma come una vera e propria cassetta degli attrezzi, da cui attingere in base alle problematiche specifiche da affrontare. È uno strumento di riflessione e supporto per decisori politici, stakeholder sanitari e istituzioni, utile a orientare scelte più eque, sostenibili e centrate sulla persona.

Partendo dall’indice, è possibile accedere ad analisi, proposte e soluzioni concrete – spesso a costo zero o basso, sia in termini economici che organizzativi – con l’obiettivo di superare gli ostacoli sistemici e comportamentali che ancora limitano l’accesso effettivo alle cure.

Il secondo Patient Access Journey Report rappresenta quindi un passo ulteriore nel percorso del Patient Access Think Tank*, volto a promuovere un cambiamento culturale e operativo nella gestione dei bisogni di salute, contribuendo a costruire una sanità più equa e uniforme.

*Patient Access Think Tank è un’iniziativa senza scopo di lucro supportato incondizionatamente da BHAVE, che si è costituito per sollecitare soluzioni a problematiche di accesso alla salute dei cittadini e dare corpo a livello nazionale ad azione sinergiche.  Patient Access Think Tank  vede il patrocinio e la collaborazione dell’intergruppo parlamentare per la salute nelle città, dell’intergruppo parlamentare per la sanità digitale e terapie digitali, dell’intergruppo parlamentare diabete, obesità e patologie croniche, dell’Health City Institute, Cittadinanzattiva,  Uniamo,  Università Partenope di Napoli, AMD, FareRete InnovAzione BeneComune, AMICI Italia, SIT, SIP-IRIS, AiVIPS, Conacuore, e riunisce diversi soggetti interessati, provenienti da tutto il panorama del sistema salute italiano, allo scopo di animare il dibattito nazionale, in chiave comportamentale, sulle tematiche relative al Patient Access.

INDICE

1. EDITORIALE

IL RUOLO DELLE POLITICHE PUBBLICHE NEL PROMUOVERE L’ACCESSO ALLA SALUTE: L’IMPLEMENTAZIONE DI UNITÀ COMPORTAMENTALI PER MIGLIORARE L’ACCESSO ALL’ASSISTENZA SANITARIA E SOCIOSANITARIA a cura di ANDREA LENZI, GIUSEPPE NOVELLI, WALTER RICCIARDI. LUCIO CORSARO, GIANLUCA VACCARO

2. LO SCENARIO ATTUALE E QUELLI FUTURI

Finalità: Il Patient Access indica la possibilità e la capacità effettiva per un soggetto di prendersi cura di sé stesso o di qualcun altro rivolgendosi alla sanità pubblica. La rapida evoluzione tecnologica e i profondi cambiamenti nel sistema sanitario impongono una riflessione seria sul concetto di “Patient Access”, ponendo al centro il benessere della persona. Questa sezione rappresenta una cornice di supporto per comprendere lo scenario in cui ci troviamo e come questo potrà evolvere nel futuro.

2,1 Evoluzione demografica ed epidemiologica: disallineamenti tra domanda e offerta di servizi sanitari e sociosanitari e il valore degli studi comportamentali

2,2 Prevenzione e programmi di screening: la copertura, la distribuzione geografica, trend e vaccinazioni

2,3 Cambiamenti climatici e salute: nuove sfide per i sistemi sanitari

2,4 L’evoluzione delle professioni sanitarie: nuove competenze e modelli

2,5 La sostenibilità della spesa sanitaria: allocazione delle risorse e modelli futuri

2,6 Democratizzazione IA

2,7 Digital Divide e Accesso ai Servizi Sanitari: Disparità nell’uso delle Tecnologie Digitali in Salute

2,8 Il ruolo sociale dell’Intelligenza Artificiale negli ambienti sanitari

2,9 Città e invecchiamento: soluzioni tecnologiche per la salute della popolazione anziana

2,10 Planetary Health e scienze comportamentali: un approccio integrato alla salute globale

3 CONFIGURAZIONE DI SCENARI FUTURI

Finalità: Per supportare, il gruppo di lavoro del Think Tank e i decisori nel comprendere ed anticipare le transizioni del sistema salute italiano, BHAVE ha attivato un programma di ricerca sul futuro, implementando una metodologia di scenario che integra all’ analisi predittiva una progettazione strategica volta a sviluppare modelli più equi, resilienti e orientati al valore.

UN PROGRAMMA DI RICERCA BHAVE SUL FUTURO

3.1 AREA DELLA DOMANDA (Digital Care Programs e Sistemi di Accountability per il monitoraggio degli outcome)

3.2 AREA DELL’OFFERTA (Utilizzo di AI per l’allocazione dinamica delle risorse)

3.3 AREA DELLA DISTRIBUZIONE (Interoperabilità Estesa: Integrazione tra Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) e sistemi di prenotazione cross-regionali)

3.4 AREA DEL REGOLATORIO (modelli di valutazione per una Governance Integrata)

4. PATIENT ACCESS FROM JOURNEY TO SYSTEM

Finalità: L’obiettivo del Patient Access Think Tank è di animare un dibattito nazionale, esplorare nuove prospettive e trovare soluzioni che rendano le cure più eque, accessibili e centrate sul paziente. La sezione racconta l’evoluzione del Patient Access Think Tank in un laboratorio operativo che, attraverso approcci collaborativi e strumenti come il Patient Access Monitor, promuove un accesso alle cure più equo, informato e centrato sul paziente, influenzando le politiche sanitarie future.

4.1 L’EVOLUZIONE DEL PATIENT ACCESS THINK TANK

4.2 PARTECIPANTI E NETWORK

4.2 OBIETTIVI AGGIORNATI DEL PATT

4.3 METODO E APPROCCIO

4.4 PATIENT ACCESS E WORK PACKAGE

5. WORK PACKAGE ANALYSIS

Finalità: La sezione dedicata ai Work Package del Patient Access Think Tank traduce le evidenze in applicazioni operative, affrontando criticità sistemiche dell’accesso alle cure attraverso una prospettiva comportamentale e multidisciplinare, con l’obiettivo di sviluppare soluzioni concrete e adattive in diversi ambiti chiave:

5.1 One Health:

• Percezione dei medici su One Health, Planetary Health e NCD (PIR)

5.2 Epidemiology & Burden of disease

• Ricostruire il Burden of Disease dell’RSV per un Sistema Sanitario Efficiente: il caso del Work Package Epidemiologia e Burden of Disease RSV

5.3 Patient Journey Roadblock

• Sostenibilità e accesso alle cure: la sfida delle terapie fuori innovatività nel contesto ospedaliero

• Oltre il blocco: strategie per un accesso equo e tempestivo ai farmaci innovativi per le malattie rare

• Il caso del comportamento del paziente obeso

• Analisi comportamentale del counseling medico-paziente nella Sclerosi Multipla: Prospettive per una Sanità Personalizzata ed Efficiente

• La trasformazione della sanità territoriale verso un nuovo modello di assistenza decentrata e il caso dell’isteroscopia in Lombardia

5.4 Comportamenti di Salute & Consapevolezza

• Rilevare Percezione, Identità e Reputazione degli Operatori Sanitari come Strumenti Strategici per il Patient Access in Italia (PIR)

5.5 Diritti dei Pazienti e Advocacy

• Il caso dei diritti delle persone con allergie

5.6 Alfabetizzazione sanitaria & Benessere

• Il caso della analisi dei fattori che influenzano l’aderenza terapeutica per la costruzione di un modello previsionale basato su machine learning

• Il caso del ritardo diagnostico in IBS (Sindrome del Colon Irritabile)

• Il ritardo diagnostico Journey EsofagiteOEsinofila-EOS, le barriere che affrontano pazienti e caregiver

5.7 Barriere di Accesso alla Salute

• Liste d’attesa oncologiche: cambiare regole, cultura e formazione per garantire un accesso equo

• Il caso della sottodiagnosi e ritardo diagnostico dell’emicrania

• L’accesso negato e la frammentazione dell’assistenza nel vissuto di Jenny – Un caso reale

• Verso una Regolamentazione del Settore Nutraceutico in Italia

6. LE PROPOSTE DI SOCIETA’ SCIENTIFICHE, ENTI ISTITUZIONALI, RAPPRESENTANTI ASSOCIAZIONI DI PAZIENTI, DI VOLONTARIATO E ORGANIZZAZIONI CIVICHE

Finalità: La sezione raccoglie contributi autorevoli che analizzano le disuguaglianze di accesso alle cure da diverse prospettive, offrendo proposte operative per superare barriere strutturali, culturali e comportamentali. L’obiettivo è promuovere modelli sanitari più equi e personalizzati, valorizzando la partecipazione dei pazienti, l’integrazione territoriale, la differenziazione dei percorsi e l’alfabetizzazione sanitaria, con un focus sui determinanti sociali e sui gruppi più vulnerabili.

Contributi editoriali di società scientifiche, enti istituzionali, rappresentanti associazioni di pazienti, di volontariato e organizzazioni civiche

6.1 Disparità di accesso per genere, a cura di Marina Pierdominici, Elena Ortona - Centro di Riferimento per la Medicina di Genere, ISS

6.2 Salute femminile: cure specifiche e percorsi dedicati

• Modelli assistenziali differenziati per genere nella gestione dell’infarto: una strategia per superare le disuguaglianze nell’accesso e appropriatezza delle cure - a cura di Marina Pierdominici e Elena Ortona - Centro di Riferimento per la Medicina di Genere, ISS

• Percorsi di Prevenzione e Cura della Salute Femminile nelle differenti Età della Donna – a cura di Vito Trojano, Presidente SIGO

• Diagnosi precoce del carcinoma mammario: non solo lo screening mammografico alle 45-75enni – a cura di Roberto Francesco Mazza, Membro del Gruppo di Lavoro di Salute Donna ODV e Anna M. Mancuso, Presidente Salute Donna ODV

• Il Bollino Rosa: un modello innovativo di applicazione della medicina di genere al femminile nella programmazione sanitaria ospedaliera - a cura di Elisabetta Vercesi, Responsabile dei Bollini Rosa e Rosa argento e coordinatrice area ricerche di Fondazione ONDA

6.3 Salute maschile: prevenzione e trattamenti mirati

• Osteoporosi maschile: promuovere prevenzione, diagnosi precoce e trattamento attraverso modelli assistenziali dedicati - a cura di Marina Pierdominici e Elena Ortona - Centro di Riferimento per la Medicina di Genere, ISS

• Doppio silenzio: superare le barriere nella salute maschile tra prevenzione del carcinoma prostatico e qualità della vita dopo trattamento - a cura di Giuseppe Carrieri, Presidente SIU

6.4 Salute transgender e non-binary: percorsi di cura e supporto

• Inclusione nei programmi di prevenzione: proposta per l’accesso agli screening oncologici per persone transgender e non-binary - a cura di Marina Pierdominici e Elena Ortona, Centro di Riferimento per la Medicina di Genere, ISS

• Screening oncologico: inclusione e accessibilità per le persone transgender, a cura di Giovanni Motta, Alberto Ferlin e Gianluca Aimaretti, di SIE

• Inclusione delle persone transgender con rettifica anagrafica nei programmi di screening oncologici, a cura di Andrea Delbarba e Gaia Forzanini di AME

6.5 Disparità di accesso regionali

• La Medicina Generale come Architrave dell’Equità: Azioni per Superare le Disparità Regionali nell’Accesso alla Salute, a cura di Alessandro Rossi, Presidente SIMG

6.5.1 Differenze geografiche: Nord, Centro, Sud e Isole

• Disparità nell’offerta di servizi sanitari di qualità tra le regioni: il fenomeno della mobilità sanitaria passiva, a cura di Raffaella Bucciardini, National Centre for Global Health Director Health Equity Unit -ISS

6.5.2 Differenze tra i comuni

• Superare le disparità di accesso regionali: armonizzazione del FSE e interoperabilità dei sistemi informativi con pieno e reale coinvolgimento dei Comuni italiani, a cura di Chiara Spinato, Responsabile Ufficio Salute, Pari opportunità e Politiche attive del lavoro ANCI

6.5 Disparità per patologia,

• Infarto del miocardio e sindromi coronariche acute: disparità nel management clinico e possibili soluzioni, a cura di Massimo Volpe Presidente SIPREC

• Riorganizzazione dell’assistenza alla persona con diabete e multicronicità, Riccardo Candido Presidente AMD

• Quando la cura si interrompe: la persona con diabete tra ospedali e RSA, a cura di Stefano Nervo Presidente Diabete Italia

• Diabete, non tutti sono uguali: le disparità di accesso alle cure in Italia, a cura di Stefano Garau Vicepresidente, Communication Manager, FAND Associazione Italiana Diabetici ODV

6.7 Disparità per gruppi vulnerabili

• Terapie Innovative: il peso nascosto a carico delle famiglie, a cura di Annalisa Scopinaro Presidente UNIAMO

• Emofilia: dalla scoperta alla vita adulta, a cura di Angelo Lupi Presidente A.MA.R.E.

6.8 Disparità di accesso per età

6.8.1 Adolescenti e giovani: salute mentale e prevenzione, Realizzazione di Servizi per la salute mentale multidisciplinari e multiprofessionali a bassa soglia di accesso per adolescenti e giovani adulti, a cura di Liliana Dell’Osso Presidente SIP

6.8.2 Anziani: assistenza, fragilità e cure palliative, Centri diurni e cohousing per la lotta alla solitudine dell’anziano, a cura di Dario Leosco Presidente SIGG

7. PROMOTORI E PARTNERS

1. EDITORIALE

1. IL RUOLO DELLE POLITICHE PUBBLICHE NEL PROMUOVERE L’ACCESSO ALLA SALUTE: L’IMPLEMENTAZIONE DI UNITÀ COMPORTAMENTALI PER

MIGLIORARE L’ACCESSO ALL’ASSISTENZA SANITARIA E SOCIOSANITARIA

A cura di Andrea Lenzi, Giuseppe Novelli, Walter Ricciardi, Lucio Corsaro, Gianluca Vaccaro

Emeritus Professor of Endocrinology, Università di Roma La Sapienza and director UNESCO Chair on Urban Health; President of Health City Institute and of National Committee for Biosafety, Biotechnology, and Life Sciences of the Presidency of the Council of Ministers, Rome, Italy

Editor in Chief di Diabetes Monitor e Direttore della U.O.C. Laboratorio di Genetica Medica del Policlinico Universitario di Tor Vergata

Prof. Walter Ricciardi Co-Editor in Chief di Diabetes Monitor e Presidente dell’Osservatorio Nazionale sulla salute nelle regioni

Metodologo Patient Access Think Tank,

LA SALUTE COME DIRITTO FONDAMENTALE E BENE PUBBLICO

La salute rappresenta uno dei diritti umani fondamentali, sancito dalle principali dichiarazioni internazionali e costituzioni nazionali, che trascende la mera assenza di malattia per abbracciare una concezione più ampia di benessere fisico, mentale e sociale. Il diritto alla tutela della salute, che include l’accesso ai servizi sanitari, è stato riconosciuto in molte dichiarazioni e documenti normativi a livello internazionale, con particolare riferimento all’equità per affrontare i vincoli delle risorse disponibili e non eludere la realtà di persistenti disuguaglianze. Nel contesto contemporaneo, caratterizzato da crescenti disparità socioeconomiche e sfide demografiche senza precedenti, il perseguimento dell’equità sanitaria emerge come una priorità strategica per governi, organizzazioni internazionali e società civile.

L’equità sanitaria non si limita alla parità di accesso ai servizi sanitari in senso stretto, ma abbraccia una visione sistemica che riconosce come i determinanti sociali, economici, ambientali e politici influenzino profondamente gli esiti di salute

Prof. Andrea Lenzi
Prof. Giuseppe Novelli
Dott. Gianluca Vaccaro
Bhave
Dott. Lucio Corsaro Presidente Patient Access Think Tank, Bhave

delle popolazioni. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, fattori come il luogo in cui viviamo, lo stato dell’ambiente, la genetica, il reddito, il livello di istruzione e le relazioni sociali hanno un impatto considerevole sulla salute, spesso superiore all’accesso e all’uso dei servizi sanitari tradizionali. La comprensione anche scientifica di questo aspetto ha portato a un cambio di paradigma nelle politiche pubbliche, che oggi devono necessariamente adottare approcci intersettoriali e multidisciplinari per affrontare efficacemente le radici delle disuguaglianze sanitarie.

I DETERMINANTI SOCIALI DELLA SALUTE: UN FRAMEWORK CONCETTUALE PER L’AZIONE PUBBLICA

Il modello concettuale dell’OMS sui Determinanti Sociali

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sviluppato un framework concettuale che identifica due categorie principali di determinanti sociali della salute: i determinanti strutturali e quelli intermedi. I determinanti strutturali includono il contesto socioeconomico e politico (governance, politiche macroeconomiche e sociali, cultura e valori societari) e la posizione socioeconomica degli individui (educazione, occupazione, reddito, classe sociale, etnia e genere)1. Questi fattori creano e mantengono le gerarchie sociali che influenzano l’esposizione ai rischi sanitari e la vulnerabilità delle popolazioni.

I determinanti intermedi, invece, comprendono le circostanze materiali (condizioni abitative, di lavoro, disponibilità alimentare), i fattori comportamentali e biologici, i fattori psicosociali e il sistema sanitario stesso come determinante sociale. Questo modello sottolinea come i fattori strutturali operino attraverso quelli intermedi per influenzare gli esiti di salute, evidenziando l’importanza di interventi che agiscano simultaneamente su più livelli2 L’approccio dell’OMS riconosce inoltre il ruolo cruciale del “feedback” tra malattia e posizione sociale, dove la cattiva salute può compromettere ulteriormente la posizione socioeconomica degli individui, creando circoli viziosi di svantaggio.

Le cinque condizioni essenziali per l’Equità Sanitaria Secondo l’OMS, esistono cinque condizioni essenziali per

garantire l’equità in salute: servizi sanitari accessibili e di qualità, sicurezza del reddito e protezione sociale, ambiente fisico sicuro, educazione e alfabetizzazione sanitaria, e reti di sostegno sociale3. Queste condizioni riflettono la natura multidimensionale dei determinanti sanitari e la necessità di politiche pubbliche coordinate. La ricerca ha dimostrato che le disuguaglianze di reddito, la scarsa qualità dei servizi e i bassi livelli di istruzione sono tra i fattori che incidono maggiormente sul divario di salute, richiedendo interventi mirati e sostegno alle popolazioni più vulnerabili.

L’EVOLUZIONE DELLE POLITICHE SANITARIE: DAL MODELLO BIOMEDICO ALL’APPROCCIO “HEALTH IN ALL POLICIES”

La Transizione verso Politiche Intersettoriali

Le politiche sanitarie contemporanee hanno subito una profonda evoluzione, passando da un approccio prevalentemente biomedico e curativo a strategie più ampie che riconoscono l’influenza dei determinanti sociali sulla salute4. Questo cambiamento di paradigma è stato catalizzato dalle evidenze scientifiche che dimostrano come le cause delle cattive condizioni di salute spesso derivino da fattori che esulano dal settore sanitario, come la mancanza di alloggi di qualità, di istruzione e di opportunità di lavoro. L’approccio “Health in All Policies” (HiAP) rappresenta una strategia innovativa che promuove l’integrazione delle considerazioni sanitarie in tutte le politiche pubbliche, riconoscendo che settori come l’urbanistica, l’ambiente, l’istruzione e il lavoro hanno impatti diretti sulla salute delle popolazioni.

La maturazione dell’approccio HiAP può essere valutata attraverso quattro dimensioni principali: la valutazione del livello di disuguaglianze sanitarie nelle diverse politiche settoriali, il livello di collaborazione intersettoriale, l’esistenza o meno di progetti comuni tra settori diversi, e la presenza o meno di organismi intersettoriali permanenti5. Sulla base di questi criteri sono stati condotti degli studi in contesti europei che hanno identificato tre profili di evoluzione in un’ottica integrata HiAP nelle città: un profilo meno avanzato, uno consolidato e uno avanzato nell’implementazione di politiche HiAP. Questa gradualità riflette la complessità dell’integrazione delle considera-

1 Primi riferimenti in https://www.afro.who.int/sites/default/files/2017-06/SDH_conceptual_framework_for_action.pdf

2 Hosseini Shokouh SM, Arab M, Emamgholipour S, Rashidian A, Montazeri A, Zaboli R. Conceptual Models of Social Determinants of Health: A Narrative Review. Iran J Public Health. 2017 Apr;46(4):435-446. PMID: 28540259; PMCID: PMC5439032.

3 WHO/EURO:2022-5210-44974-64023 © World Health Organization 2022

4 https://www.ijhpm.com/article_4285.html

5 Ibidem

14

zioni sanitarie in settori tradizionalmente separati e la necessità di sviluppare competenze specifiche per la collaborazione intersettoriale6

Il ruolo del sistema sanitario come determinante sociale

Un aspetto del framework contemporaneo sui determinanti sociali è il riconoscimento del sistema sanitario stesso come determinante sociale della salute7. Il sistema sanitario influenza l’equità attraverso l’accesso differenziale ai servizi, la qualità delle cure fornite e la capacità di proteggere gli individui dalle conseguenze sociali ed economiche della malattia8. Tuttavia, molti critici sottolineano che l’attuale focus sulla copertura sanitaria universale rischia di limitare l’agenda e il focus dell’equità sanitaria alla sola fornitura di servizi sanitari, perdendo di vista i più ampi determinanti strutturali della salute.

La ricerca dimostra che anche dopo aver raggiunto la copertura sanitaria universale, le disparità di salute spesso rimangono largamente invariate, precisamente perché i determinanti sociali non vengono affrontati attraverso un’agenda confinata all’aumento della copertura dei servizi sanitari di base. Questo evidenzia la necessità di un approccio più ampio che consideri il sistema sanitario come parte di un ecosistema più complesso di politiche pubbliche orientate all’equità.

LE SFIDE DELL’IMPLEMENTAZIONE:

DALLE EVIDENZE ALL’AZIONE

Barriere strutturali e politiche nell’implementazione L’implementazione efficace di politiche orientate all’equità sanitaria incontra numerose sfide che vanno oltre la disponibilità di evidenze scientifiche9. Una delle principali barriere è rappresentata dalla resistenza al cambiamento da parte di operatori e amministratori abituati agli approcci tradizionali, che può essere mitigata attraverso programmi di coinvolgimento, formazione e comunicazione dei benefici basata su evidenze. La complessità dei sistemi sanitari e le significative differenze territoriali richiedono approcci flessibili e adattativi che permettano la personalizzazione delle strategie alle specificità locali. La sostenibilità finanziaria rappresenta un’altra sfida cri-

tica, che necessita della dimostrazione del ritorno sull’investimento attraverso valutazioni rigorose e dell’integrazione degli approcci innovativi nei budget sanitari ordinari. Le questioni etiche stesse relative alla manipolazione comportamentale e al rispetto dell’autonomia individuale richiedono l’adozione di principi etici chiari, trasparenza negli interventi e supervisione etica indipendente. Inoltre, la natura intersettoriale delle politiche per l’equità sanitaria richiede meccanismi di coordinamento efficaci tra diversi livelli di governo e settori amministrativi.

Il ruolo della ricerca implementativa orientata all’equità

In questo quadro di riferimento la ricerca implementativa orientata all’equità (Equity-focused Implementation Research - EquIR) emerge come un approccio metodologico cruciale per superare il gap tra evidenze scientifiche e pratica politica10. Questo framework include elementi di ricerca implementativa focalizzata sull’equità, collegando lo stato di salute della popolazione prima e dopo l’implementazione e includendo aspetti rilevanti dell’equità sanitaria durante tutto il processo implementativo. Il modello EquIR integra i settori sanitari con i determinanti sociali della salute attraverso la proposta “health in all policies”, influenzando la salute universale e il potenziale impatto delle politiche di salute pubblica.

L’approccio EquIR riconosce che i contesti locali influenzano spesso il successo delle politiche orientate all’equità sanitaria, rendendo la ricerca locale critica per adattare le strategie a contesti particolari. Questo processo dovrebbe coinvolgere direttamente i beneficiari previsti per le loro intuizioni, inclusa la ricerca-azione partecipativa, dove la ricerca contribuisce all’azione verso una maggiore equità sanitaria. La ricerca implementativa deve inoltre sviluppare strategie per colmare i gap di conoscenza dei policymaker e generare la volontà politica necessaria per applicare le conoscenze esistenti sul miglioramento dell’equità sanitaria.

Il legame tra EquIR (Equity-focused Implementation Research) e lo studio dei comportamenti

EquIR fornisce infatti un quadro metodologico che integra lo studio dei comportamenti con l’analisi delle disu-

6 Schultz, S., Zorbas, C., Peeters, A. et al. Strengthening local government policies to address health inequities: perspectives from Australian local government stakeholders. Int J Equity Health 22, 119 (2023). https://doi.org/10.1186/s12939-023-01925-3

7 G. Maciocco 2009 I determinanti della salute: alla ricerca di un conceptual framework. Franco Angeli, Milano

8 Jensen N, Kelly AH, Avendano M. Health equity and health system strengthening - Time for a WHO re-think. Glob Public Health. 2022 Mar;17(3):377-390. doi: 10.1080/17441692.2020.1867881. Epub 2021 Jan 10. PMID: 33427084; PMCID: PMC8820375.

9 Friedman, E.A., Gostin, L.O. From local adaptation to activism and global solidarity: framing a research and innovation agenda towards true health equity. Int J Equity Health 16, 18 (2017). https://doi.org/10.1186/s12939-016-0492-8

10 Eslava-Schmalbach, J., Garzón-Orjuela, N., Elias, V. et al. Conceptual framework of equity-focused implementation research for health programs (EquIR). Int J Equity Health 18, 80 (2019). https://doi.org/10.1186/s12939-019-0984-4

guaglianze, guidando la progettazione, l’implementazione e la valutazione di interventi che mirano a modificare i comportamenti di salute in modo equo e sostenibile. Il modello permette di affrontare le barriere strutturali e sociali che impediscono il cambiamento comportamentale nei gruppi svantaggiati, contribuendo così a ridurre le disparità di salute. Il legame fra analisi dei comportamenti e delle disuguaglianze in un’ottica sistemica si manifesta su più livelli proprio negli obiettivi principali del modello:

1. Modificare i comportamenti individuali e collettivi (es. adesione a screening, stili di vita salutari, uso di servizi sanitari)11. La ricerca sull’implementazione, e in particolare quella equity-focused, si occupa infatti come visto di identificare e superare le barriere che ostacolano il cambiamento comportamentale nelle popolazioni svantaggiate, garantendo che le strategie siano accessibili e accettabili per tutti i gruppi12

2. Analizzare i determinanti sociali e contestuali dei comportamenti. EquIR, infatti, integra sistematicamente l’analisi dei determinanti sociali della salute (SDOH), che influenzano fortemente i comportamenti di salute e la possibilità di adottare pratiche preventive o terapeutiche. Il modello così guida i ricercatori a valutare come fattori come povertà, istruzione, genere, etnia, accesso alle risorse e ambiente sociale condizionino i comportamenti e l’efficacia degli interventi.

3. Co-progettare e coinvolgere gli stakeholder EquIR promuove la partecipazione attiva, infatti, di membri della comunità, pazienti e altri stakeholder nella progettazione e implementazione degli interventi, favorendo l’adozione di comportamenti salutari attraverso strategie culturalmente e socialmente appropriate. Questo approccio facilita l’identificazione di ostacoli specifici al cambiamento comportamentale e la costruzione di soluzioni condivise.

4. Valutare gli esiti comportamentali in ottica di equità. Il modello prevede la valutazione degli outcome comportamentali (es. cambiamento di abitu-

dini, miglioramento dell’aderenza) con una lente di equità, analizzando se i benefici raggiungono anche i gruppi più vulnerabili e se le disparità si riducono o meno.

È così che EquIR è stato utilizzato per progettare e valutare interventi comportamentali in diversi contesti, come la promozione dell’attività fisica, l’adesione a programmi di screening, l’uso di tecnologie digitali per la salute, sempre con un’attenzione particolare all’equità nell’accesso e nei risultati.

Implementazione di unità comportamentali per migliorare l’accesso all’assistenza sanitaria e sociosanitaria

Tale modello ha anche permesso l’’implementazione di Unità Comportamentali espressione di una strategia innovativa e basata su evidenze scientifiche per migliorare l’accesso e l’utilizzo dei servizi sanitari e sociosanitari. Attraverso l’applicazione sistematica dei principi dell’economia comportamentale e delle scienze cognitive, queste unità specializzate possono affrontare le barriere non economiche che impediscono ai cittadini di accedere alle cure necessarie.

Il presente policy brief propone l’istituzione di unità comportamentali integrate nel sistema sanitario nazionale, con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze nell’accesso alle cure, migliorare l’aderenza terapeutica e ottimizzare l’efficacia degli interventi preventivi. L’approccio si basa sul riconoscimento che molte decisioni sanitarie sono influenzate da bias cognitivi, barriere procedurali e fattori contestuali che possono essere modificati attraverso interventi mirati.

Le unità comportamentali sono team multidisciplinari specializzati nell’applicazione delle scienze comportamentali alle politiche pubbliche. Nel contesto sanitario, queste unità utilizzano insights provenienti dalla psicologia cognitiva, dall’economia comportamentale e dalle neuroscienze per progettare interventi che facilitino comportamenti salutari e l’accesso ai servizi.

L’approccio si fonda su diversi pilastri teorici consolidati:

Economia Comportamentale: Riconosce che le decisioni umane non sono sempre razionali e possono essere

11 Alcaraz KI, Yanez BR. Interventions to promote health equity: implications for implementation science in behavioral medicine. Transl Behav Med. 2022 Oct 7;12(9):885-888. doi: 10.1093/tbm/ibac062. PMID: 36205475; PMCID: PMC9540972; Higgins ST. Behavior change, health, and health disparities: an introduction. Prev Med. 2014 Nov;68:1-4. doi: 10.1016/j.ypmed.2014.10.007. PMID: 25456804; PMCID: PMC4338024.

12 Groom LL, Schoenthaler AM, Mann DM, Brody AA (2024) Construction of the Digital Health Equity-Focused Implementation Research Conceptual Model - Bridging the Divide Between Equity-focused Digital Health and Implementation Research. PLOS Digit Health 3(5): e0000509. https://doi.org/10.1371/journal.pdig.0000509

influenzate da euristiche e bias sistematici. Nel contesto sanitario, questo si traduce nella comprensione che i pazienti possono rimandare cure necessarie non per ragioni economiche, ma per procrastinazione, avversione alla perdita o sovrastima dei rischi.

Nudge Theory: Sviluppata da Richard Thaler e Cass Sunstein, questa teoria propone di modificare l’architettura delle scelte per orientare le persone verso decisioni migliori senza limitarne la libertà. Nel settore sanitario, ciò può tradursi in sistemi di promemoria automatici, semplificazione delle procedure di prenotazione o ottimizzazione del design degli spazi di attesa.

Modello Transeorico del Cambiamento: Riconosce che l’adozione di comportamenti salutari è un processo che attraversa diverse fasi, dalla pre-contemplazione all’azione e al mantenimento. Le unità comportamentali possono progettare interventi specifici per ogni fase di questo processo.

ANALISI DEL PROBLEMA

Barriere Comportamentali all’Accesso Sanitario I problemi di accesso alle cure sanitarie rappresentano come visto una sfida sistemica che richiede soluzioni innovative. L’analisi dei problemi ricorrenti di patient access in un’ottica comportamentale evidenzia come molte criticità derivino da bias cognitivi, comportamenti irrazionali e resistenze al cambiamento sia da parte dei pazienti che degli operatori sanitari. Le ricerche internazionali hanno identificato numerose barriere non economiche che ostacolano l’accesso alle cure sanitarie: Procrastinazione e Bias del Presente: Molti individui tendono a rimandare controlli medici preventivi o visite specialistiche non urgenti, privilegiando benefici immediati rispetto a quelli futuri. Questo fenomeno è particolarmente evidente negli screening oncologici, dove la partecipazione rimane sotto gli obiettivi europei nonostante la gratuità dei servizi.

Complessità Procedurale: La navigazione del sistema sanitario richiede spesso competenze amministrative e digitali che possono rappresentare barriere significative, specialmente per popolazioni vulnerabili come anziani, persone con basso livello di istruzione o immigrati.

Stigma e Barriere Psicologiche: Molte condizioni di salute cronica come il diabete, l’obesità, etc.… o malattie

mentali, sessualmente trasmissibili o problemi di dipendenza sono associati a stigma sociale che deterge dall’accesso alle cure. Allo stesso modo, la paura del giudizio medico può scoraggiare la ricerca di aiuto.

Asimmetrie Informative: La mancanza di comprensione dei benefici dei servizi preventivi, unita alla sovrastima dei rischi associati alle procedure mediche, può portare a decisioni subottimali in materia di salute.

L’implementazione di Unità Comportamentali (Behavioral Insights Units) nel sistema sanitario può fornire soluzioni evidence-based per migliorare l’accesso alle cure attraverso l’applicazione delle scienze comportamentali. In particolare, ecco come un approccio sistemico potrebbe trasformare le sfide attuali:

1. Migliorare l’appropriatezza delle cure

Problema: Diagnosi e prescrizioni affrettate che portano a terapie inappropriate

Soluzione comportamentale: Supporto decisionale tramite IA che guida il medico verso diagnosi più accurate attraverso istruzioni o stimoli strutturati (prompting) e checklist cognitive.

Il caso: I tempi ristretti nelle visite spesso portano a diagnosi affrettate. Strumenti di supporto decisionale basati sull’IA – come checklist interattive che guidano i medici attraverso domande strutturate – riducono errori cognitivi. Ad esempio, sistemi simili a quelli testati in Giappone per gli screening oncologici, dove la scelta predefinita (opt-out) ha aumentato le adesioni del 17%13 . L’IA può analizzare in tempo reale la storia clinica e suggerire protocolli personalizzati, come dimostrato da piattaforme che integrano dati anamnestici con linee guida aggiornate.

2. Rafforzare l’aderenza terapeutica

Problema: Pazienti che non seguono correttamente le terapie prescritte per mancanza di comprensione

Soluzione comportamentale: Attraverso “spinte gentili” (nudging) e semplificazione cognitiva con algoritmi AI che traducono prescrizioni mediche in linguaggio divulgativo.

Il caso: La complessità delle prescrizioni spesso disorienta i pazienti. Algoritmi di semplificazione linguistica trasformano termini tecnici in istruzioni quotidiane

13 Murayama H, Takagi Y, Tsuda H, Kato Y. Applying Nudge to Public Health Policy: Practical Examples and Tips for Designing Nudge Interventions. Int J Environ Res Public Health. 2023 Feb 23;20(5):3962. doi: 10.3390/ijerph20053962. PMID: 36900972; PMCID: PMC10002044.

(“prendi questa pillola dopo colazione”). Modelli come l’agente relazionale computerizzato testato per la schizofrenia – che aumenta l’aderenza all’85% attraverso dialoghi strutturati – mostrano il potenziale di strumenti conversazionali14. Abbinare questo a nudging temporale (promemoria contestualizzati agli orari dei pasti) rende le terapie più intuitive.

3. Garantire continuità nelle transizioni di cura

Problema: Perdita di pazienti nella transizione dall’età pediatrica all’adulta (20% dei pazienti con malattie rare)

Soluzione comportamentale: Creazione di percorsi guidati automatizzati e promemoria inviati in anticipo rispetto a un’azione da compiere (reminder proattivi) per facilitare la transizione attraverso nudging temporale.

Il caso: Per i pazienti con malattie rare che passano dall’età pediatrica a quella adulta, percorsi guidati automatizzati potrebbero prevenire l’abbandono. Un sistema ispirato al modello belga di mediazione interculturale, con reminder proattivi che anticipano le scadenze burocratiche e forniscono istruzioni passo-passo, ridurrebbe le difficoltà nei passaggi tra reparti.

4. Ridurre le distanze geografiche

Problema: Lunghe percorrenze per accedere alle cure (20% pazienti oncologici percorre oltre 30km)

Soluzione comportamentale: Una presentazione strategica del messaggio per influenzare la percezione (Framing) della e sulla telemedicina come “cure a portata di casa” e incentivi comportamentali per l’adozione di modelli di cura integrati.

Il caso: Il framing della telemedicina come “visita nel salotto di casa” – anziché come surrogato tecnologico – sfrutta bias cognitivi legati alla comodità. In Kyrgyzstan, l’uso di messaggeri fidati per promuovere servizi sanitari ha aumentato l’adozione del 23%15. Analogamente, incentivi comportamentali (es. badge digitali per chi completa consulti online) potrebbero normalizzare l’uso della telemedicina nelle aree periferiche.

5. Ottimizzare le prenotazioni

Problema: Doppie prenotazioni e liste d’attesa gonfiate (7% del totale) con prenotazioni “deserte”

Soluzione comportamentale: Sistema di promemoria automatici e personalizzati (reminder) intelligenti e azioni di penalità in caso di comportamento scorretto e

premi in caso di comportamento virtuoso (penalty/reward) per scoraggiare doppie prenotazioni attraverso nudging reputazionale.

Il caso: l 7% delle prenotazioni “fantasma” potrebbe essere ridotto con  sistemi di reputazione digitale: pazienti che disdicono tempestivamente guadagnano priorità nelle ri-prenotazioni, mentre chi accumula assenze riceve avvisi personalizzati. L’Arabia Saudita ha applicato con successo nudging reputazionali per ridurre i mancati appuntamenti del 15%16

6. Decongestionare i pronto soccorso

Problema: Affollamento dei pronto soccorso e accessi inappropriati (15-35% dei casi)

Soluzione comportamentale: Comunicazione visiva in tempo reale dell’affollamento e nudging informativo per orientare verso alternative più appropriate.

Il caso: Display in tempo reale che mostrano i tempi d’attesa medi – combinati con alternative concrete (“il tuo centro medico ha 3 slot disponibili oggi”) – reindirizzano i casi non urgenti. Nel Regno Unito, l’uso di feedback sulle norme sociali (“9 su 10 persone con i tuoi sintomi scelgono il medico di base”) ha ridotto gli accessi inappropriati al 12%.

7. Potenziare le cure domiciliari

Problema: ADI marginale (solo 3% over-65 assistiti vs target 10% PNRR) con problemi di gestione farmaci e privacy.

Soluzione comportamentale: Applicazione di elementi tipici dei giochi — come punteggi, sfide, premi simbolici — per rendere più coinvolgente e motivante l’aderenza alle terapie da seguire a casa (Gamification della gestione terapeutica domiciliare) e framing della tecnologia assistiva come “supporto discreto”.

Il caso: La  gamification della gestione farmacologica – come app che trasformano l’assunzione di medicinali in missioni con premi virtuali – aumenta l’engagement. Il progetto britannico di fisioterapia pediatrica basata sul gioco ha dimostrato un +40% nella compliance terapeutica. Abbinare questo a dispositivi IoT “discreti” (es. dispenser che registrano le aperture senza invadere la privacy) rende le cure domiciliari più sostenibili.

15 https://iris.who.int/bitstream/handle/10665/361653/72bg02e-BCIHealth.pdf?sequence=1

16 https://www.moh.gov.sa/en/Ministry/MediaCenter/Publications/Pages/health-nudge-unit-behavioral-toolkit-for-health.pdf

8. Rendere efficace la televisita e il teleconsulto

Problema: Limitazioni tecniche e diagnostiche della telemedicina con rischio di diagnosi inadeguate Soluzione comportamentale: Educazione comportamentale su quando usare la televisita, attraverso schemi decisionali semplificati (decision trees) che guidano e supportano il medico o il paziente nella scelta del percorso e tecniche di “spinte gentili” non obbligatorie (nudging) che orientano le decisioni verso comportamenti più appropriati.

Il caso: Alberi decisionali visuali aiutano medici e pazienti a identificare quando la televisita è appropriata. In Irlanda, la riprogettazione delle lettere di convocazione ospedaliera – con icone intuitive e opzioni pre-selezionate – ha ottimizzato la gestione delle liste d’attesa. Un approccio simile potrebbe guidare la scelta tra visite in presenza e remote.

9. Colmare i divari territoriali

Problema: Disuguaglianze territoriali nell’accesso alle cure che spingono verso soluzioni informali Soluzione comportamentale: Attivazione e generazione di processi sulla base del meccanismo psicologico secondo cui le persone tendono a ritenere corretti i comportamenti adottati dalla maggioranza (Social proof) e di processi attivati dall’influenza esercitata dai pari (peer influence), cioè da persone percepite come simili per ruolo o condizione, per promuovere l’utilizzo dei servizi disponibili, attraverso testimonianze di successo locale.

Il caso: promuovere la “visione” di percezioni, comportamenti o abitudini di comunità (social proof iper-locale come ad esempio “il 78% dei tuoi vicini ha usato questo servizio”) per combatte la sfiducia nei servizi pubblici. L’esperienza armena con lettere personalizzate per lo screening cervicale – che hanno aumentato le adesioni del 31% – mostra l’efficacia di messaggi contestualizzati.

10. Semplificare l’accesso ai LEA

Problema: Comunicazione carente tra ospedale-territorio e accesso difficoltoso ai LEA con costi privati aggiuntivi

Soluzione comportamentale: Semplificazione dei percorsi burocratici attraverso progettazione dell’interfaccia utente pensata per rendere chiare e facili tutte le operazioni, riducendo errori e imprecisioni (quindi con interface design intuitivo) e scelte preimpostate come opzione di base, che la maggior parte degli utenti tende a lasciare inalterata (default choices) che facilitano l’accesso.

Il caso: Interfacce user-centered che guidano passopasso nei percorsi burocratici – come quelle testate in Moldavia per l’aderenza terapeutica – riducono l’abbandono. L’uso di default choices (“ti prenotiamo automaticamente il prossimo controllo”) sfrutta l’inerzia decisionale a vantaggio della continuità assistenziale.

11. Rivoluzionare la prevenzione

Problema: Bassi tassi di vaccinazione (20,2% vs target 75%) dovuti a resistenze comunicative.

Soluzione comportamentale: Riformulazione del modo in cui la prevenzione viene comunicata e percepita (Reframing della prevenzione) attraverso storytelling emotivo e riprova sociale (“tutti quelli come te si vaccinano”) invece di bombardamento di dati scientifici.

Il caso: Sostituire i dati statistici con storytelling emotivo (“Maria, 32 anni, ha evitato il cancro grazie allo screening”) aumenta l’efficacia comunicativa. La campagna britannica sui vaccini pediatrici – che ha utilizzato messaggi normativi (“95% dei genitori nella tua zona vaccina”) – ha raggiunto il 92% di copertura.

Evidenze dal contesto italiano

La comprensione di questi fattori comportamentali su ciò che influenza i comportamenti a livello individuale, comunitario e di popolazione può migliorare la progettazione di politiche, programmi, comunicazioni e servizi volti a raggiungere una migliore salute per tutti. Tra le poche esperienze italiane può valere la pena citare due realtà:

A livello nazionale, per la prima volta nel 2016 il governo Renzi con il DPCM 5 maggio 2016 nomina un Consigliere per le Scienze Sociali e Comportamentali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Solo nel 2020 presso il dipartimento della funzione pubblica si è costituito il Team di Analisi Comportamentale (TAC), un gruppo di ricerca e supporto per le Pubbliche Amministrazioni che si pone l’obiettivo di utilizzare le conoscenze provenienti dalle scienze cognitive e comportamentali per migliorare la performance lavorativa e il well-being dei dipendenti delle PA.

L’iniziativa segue le orme di quanto già avviene in altri paesi in Europa e nel mondo, a partire dall’istituzione nel 2010 del Behavioural Insights Team (BIT) da parte del Governo britannico, alla quale sono seguite, tra le altre, il Social and Behavioral Sciences Team (SBST) voluto dall’ex presidente USA Obama e il Behavioural Economics Team (BETA) del Governo australiano. Se ne distingue, tuttavia, in quanto mette gli strumenti delle scienze cognitive e

comportamentali a servizio non solo delle politiche pubbliche, ma anche dell’intero apparato amministrativo.

Questo approccio, tra i primi al mondo, definisce il carattere innovativo del TAC quale promotore della Behavioral Public Administration (BPA), nei riguardi della Pubblica Amministrazione italiana ed all’interno dell’organizzazione.

A livello regionale, degno di nota è la Nudge Unit Toscana Salute (NUTS), il nuovo gruppo di lavoro multidisciplinare nato dalla collaborazione tra ARS Toscana e la Scuola IMT Alti Studi di Lucca per sviluppare interventi di miglioramento degli esiti socio-sanitari in Toscana attraverso l’utilizzo di metodologie e tecniche proprie delle scienze cognitive e comportamentali. L’attenzione del gruppo di lavoro riguarda in particolare cinque temi socio-sanitari: vaccinazione, donazione organi, stili di vita, igiene delle mani e cure palliative.

Nel sistema sanitario italiano, diverse analisi hanno evidenziato l’esistenza di significative disparità nell’accesso alle cure che non possono essere spiegate esclusivamente da fattori economici. I dati del Ministero della Salute mostrano persistenti differenze geografiche e sociodemografiche nella partecipazione ai programmi di screening, nell’aderenza terapeutica e nell’utilizzo dei servizi preventivi. Queste disparità sono particolarmente marcate nelle regioni meridionali e tra le popolazioni più vulnerabili.

La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente evidenziato come fattori comportamentali e comunicativi possano influenzare significativamente l’efficacia delle politiche sanitarie pubbliche, dalla aderenza alle misure preventive alla partecipazione alle campagne vaccinali.

Evidenze scientifiche e best practices internazionali Gli ultimi due decenni hanno visto un rapido aumento del numero di istituzioni come l’OMS, l’OCSE, la Comunità Europea e governi (soprattutto di origine dell’America latina ed anglosassone, in particolare USA, UK, Australia e Canada) che hanno sfruttato le conoscenze derivate dallo studio delle scienze comportamentali per prendere decisioni politiche più consapevoli ed implementare azioni politiche più efficaci. Nonostante che a livello internazionale ci siano solide, crescenti e continue evidenze sull’efficacia e dei risultati benefici derivanti dall’applicazione delle scienze comportamentali nell’ambito delle politiche sulla sicurezza, sociali e sanitarie, esistono ancora poche esperienze ed evidenze italiane.

Successi Documentati nel Regno Unito

Il Behavioural Insights Team (BIT) del Regno Unito, istituito nel 2010, rappresenta il modello più consolidato di applicazione delle scienze comportamentali alle politiche pubbliche. Nel settore sanitario, il BIT ha documentato numerosi successi:

Incremento della Donazione di Organi: Attraverso la modifica dei messaggi di comunicazione e l’ottimizzazione del processo di registrazione online, il BIT ha contribuito ad aumentare il tasso di donatori registrati del 23% in un anno.

Miglioramento dell’Aderenza Terapeutica: Utilizzando SMS personalizzati basati su principi comportamentali, sono stati ottenuti incrementi significativi nell’aderenza alle terapie croniche, con particolare successo nel trattamento del diabete e dell’ipertensione.

Aumento della Partecipazione agli Screening: L’invio di lettere personalizzate che utilizzavano principi di social proof (cioè l’idea che le persone sono più inclini ad agire se sanno che altri simili a loro lo stanno già facendo) e loss aversion (cioè la tendenza psicologica a reagire più fortemente alla possibilità di perdere qualcosa piuttosto che alla possibilità di guadagnare) ha incrementato la partecipazione agli screening mammografici del 2-3%, corrispondente a migliaia di diagnosi precoci aggiuntive.

Esperienze negli Stati Uniti

L’Office of Evaluation Sciences (OES) negli Stati Uniti ha condotto numerosi esperimenti controllati randomizzati nel settore sanitario:

Vaccinazioni Influenzali: Messaggi che enfatizzavano l’importanza della protezione della comunità (“proteggere chi ti sta intorno”) hanno mostrato efficacia superiore rispetto a messaggi centrati sui benefici individuali.

Accesso ai Servizi di Salute Mentale: La semplificazione delle procedure di accesso e l’utilizzo di promemoria automatici hanno aumentato del 15% l’utilizzo dei servizi di counseling tra i veterani.

Casi di Studio Europei

Francia: L’Unité d’Économie Comportementale del governo francese ha implementato con successo interventi per ridurre le mancate visite mediche, utilizzando SMS di promemoria che includevano il costo sociale delle mancate prenotazioni.

Danimarca: Il governo danese ha utilizzato nudges comportamentali per incrementare la partecipazione ai pro-

grammi di screening del cancro colorettale, ottenendo un aumento del 7% nella partecipazione attraverso la personalizzazione degli inviti.

Germania: L’iNudgeyou initiative ha sviluppato interventi comportamentali per migliorare l’aderenza alle terapie preventive cardiovascolari, documentando riduzioni significative negli eventi avversi.

PER UNA PROPOSTA DI IMPLEMENTAZIONE

Struttura Organizzativa

La proposta prevede l’istituzione di unità comportamentali a livello nazionale e regionale, integrate nel sistema sanitario esistente:

Unità Nazionale: Collocata presso il Ministero della Salute, con funzioni di coordinamento, sviluppo metodologico e valutazione degli interventi. Questa unità dovrebbe essere composta da un team multidisciplinare di 15-20 esperti, includendo economisti comportamentali, psicologi cognitivi, data scientists, esperti di comunicazione e policy makers. Esperti di organizzazione sanitaria, epidemiologi, sociologi e antropologi.

Unità Regionali: Operative presso le singole Regioni (come ad esempio già presente nella regione Toscana), con focus sull’implementazione locale degli interventi e l’adattamento alle specificità territoriali. Ogni unità regionale dovrebbe comprendere 5-8 professionisti con competenze complementari.

Team Operativi Locali: Presso le ASL, con funzioni di implementazione diretta degli interventi e raccolta dati. Questi team possono essere più flessibili nella composizione, adattandosi alle priorità locali.

Metodologia di Lavoro

Le unità comportamentali dovrebbero seguire un approccio sistematico basato sul ciclo EAST (Easy, Attractive, Social, Timely):

Fase di Diagnosi: Identificazione delle barriere comportamentali attraverso analisi dei dati, focus group, interviste qualitative e osservazione diretta dei processi.

Progettazione degli Interventi: Sviluppo di soluzioni basate su evidenze comportamentali, utilizzando principi come la semplificazione, la personalizzazione, il social proof e il timing ottimale.

Sperimentazione: Implementazione pilota attraverso trial controllati randomizzati, permettendo di misurare

l’efficacia degli interventi prima della diffusione su larga scala.

Valutazione e Scaling: Analisi rigorosa dei risultati e, in caso di successo, espansione degli interventi efficaci a livello sistemico.

Aree di Intervento Prioritarie

Prevenzione Primaria: Promozione di stili di vita salutari, partecipazione a programmi di screening, vaccinazioni. Gli interventi potrebbero includere app mobile basate sul gioco per l’attività fisica, promemoria personalizzati per gli screening e campagne di comunicazione basate su social proof.

Gestione delle Malattie Croniche: Miglioramento dell’aderenza terapeutica, autogestione delle condizioni croniche, partecipazione a programmi di riabilitazione. Le strategie potrebbero comprendere sistemi di promemoria intelligenti, peer support programs e semplificazione delle terapie.

Accesso ai Servizi: Riduzione delle barriere procedurali, miglioramento della navigazione del sistema sanitario, riduzione delle disparità nell’accesso. Gli interventi potrebbero focalizzarsi sulla digitalizzazione user-friendly, navigatori sanitari comportamentali e ottimizzazione dei processi di prenotazione.

Salute Mentale: Riduzione dello stigma, facilitazione dell’accesso ai servizi psicologici, promozione del benessere psicosociale. Le strategie potrebbero includere campagne anti-stigma basate su contact theory, semplificazione dell’accesso ai servizi e integrazione di interventi comportamentali nei setting sanitari generali.

UN’IMPLEMENTAZIONE OPERATIVA

Fase di Avvio (Mesi 1-12)

Istituzione dell’Unità Nazionale: Reclutamento del team core, definizione delle procedure operative, sviluppo delle competenze metodologiche attraverso collaborazioni internazionali e formazione specializzata.

Selezione delle Regioni Pilota: Identificazione di 3-4 regioni rappresentative di diverse realtà territoriali per testare il modello organizzativo e sviluppare le prime sperimentazioni.

Mappatura delle Priorità: Analisi sistematica delle principali sfide comportamentali nel sistema sanitario italiano, utilizzando dati esistenti e ricerche qualitative.

Sviluppo delle Competenze: Programmi di formazione per operatori sanitari sui principi base delle scienze comportamentali e metodologie di intervento.

Fase di Sperimentazione (Mesi 13-24)

Progetti Pilota: Implementazione di 8-10 interventi pilota nelle regioni selezionate, coprendo diverse aree tematiche e popolazioni target.

Sistemi di Monitoraggio: Sviluppo di dashboard e sistemi di raccolta dati per il monitoraggio in tempo reale degli interventi.

Collaborazioni Scientifiche: Partenariati con università e centri di ricerca per garantire rigorosità metodologica e contribuire alla letteratura scientifica internazionale.

Coinvolgimento degli Stakeholder: Programmi di engagement con professionisti sanitari, associazioni di pazienti e rappresentanti della società civile.

Fase di Espansione (Mesi 25-36)

Scale-up degli Interventi Efficaci: Diffusione sistematica degli interventi che hanno dimostrato efficacia nei pilot studies.

Estensione Territoriale: Graduale espansione del modello a tutte le regioni italiane, con adattamenti basati sulle specificità locali.

Integrazione Sistemica: Incorporazione degli approcci comportamentali nelle procedure standard del sistema sanitario.

Sviluppo di Linee Guida: Creazione di manuali operativi e linee guida per la sostenibilità degli interventi.

ANALISI COSTI-BENEFICI

Investimenti Necessari

Costi di Personale: L’istituzione delle unità comportamentali richiederà un investimento annuo di circa 15-20 milioni di euro per il personale specializzato a livello nazionale e regionale.

Tecnologia e Infrastrutture: Sviluppo di piattaforme digitali, sistemi di data analytics e strumenti di comunicazione per circa 5-8 milioni di euro nel primo triennio.

Formazione e Capacity Building: Programmi di formazione per operatori sanitari e sviluppo di competenze comportamentali per circa 3-5 milioni di euro annui.

Ricerca e Valutazione: Attività di ricerca, valutazione degli interventi e collaborazioni scientifiche per circa 2-3 milioni di euro annui.

Benefici Attesi

Risparmio sui Costi Sanitari: Le evidenze internazionali suggeriscono che interventi comportamentali efficaci possono generare risparmi significativi attraverso la prevenzione, la riduzione delle complicanze e l’ottimizzazione dell’utilizzo dei servizi.

Miglioramento degli Outcome di Salute: Incrementi nella partecipazione agli screening, nell’aderenza terapeutica e nell’adozione di stili di vita salutari si traducono in miglioramenti misurabili negli indicatori di salute della popolazione.

Riduzione delle Disuguaglianze: Gli interventi comportamentali possono essere particolarmente efficaci nel raggiungere popolazioni vulnerabili, contribuendo alla riduzione delle disparità sanitarie.

Return on Investment: Le stime basate su esperienze internazionali suggeriscono un ROI di 3:1 a 10:1 per interventi comportamentali ben progettati nel settore sanitario.

SFIDE E STRATEGIE DI MITIGAZIONE

Resistenza al Cambiamento

Sfida: Possibile resistenza da parte di operatori sanitari e amministratori abituati agli approcci tradizionali.

Strategia di Mitigazione: Programmi di coinvolgimento e formazione, comunicazione dei benefici basata su evidenze, implementazione graduale con progetti pilota dimostrativi.

Complessità del Sistema Sanitario

Sfida: Il sistema sanitario italiano presenta elevata complessità organizzativa e differenze regionali significative.

Strategia di Mitigazione: Approccio flessibile e adattativo, collaborazione stretta con le regioni, sviluppo di modelli replicabili ma personalizzabili.

Sostenibilità Finanziaria

Sfida: Necessità di garantire finanziamenti stabili per il mantenimento delle unità comportamentali.

Strategia di Mitigazione: Dimostrazione del ROI attraverso valutazioni rigorose, integrazione nei budget sanitari ordinari, ricerca di finanziamenti complementari europei.

Questioni Etiche

Sfida: Preoccupazioni relative alla manipolazione comportamentale e al rispetto dell’autonomia individuale.

Strategia di Mitigazione: Adozione di principi etici chiari, trasparenza negli interventi, focus sul miglioramento del benessere individuale e collettivo, supervisione etica indipendente.

INDICATORI DI PERFORMANCE E MONITORAGGIO

Indicatori di Processo

Numero di Interventi Implementati: Target di 20-30 interventi comportamentali attivi entro il terzo anno.

Copertura Territoriale: Presenza di unità comportamentali in tutte le regioni italiane entro il quarto anno.

Formazione del Personale: Almeno 1000 operatori sanitari formati sui principi comportamentali nei primi tre anni.

Collaborazioni Scientifiche: Almeno 10 pubblicazioni peer-reviewed sui risultati degli interventi italiani.

Indicatori di Outcome

Partecipazione agli Screening: Incremento del 5-10% nella partecipazione ai programmi di screening oncologico nelle aree di implementazione.

Aderenza Terapeutica: Miglioramento del 15-20% nell’aderenza alle terapie croniche tra i pazienti coinvolti negli interventi.

Riduzione delle Disparità: Diminuzione del gap nell’accesso ai servizi tra popolazioni vulnerabili e popolazione generale.

Soddisfazione degli Utenti: Miglioramento dei punteggi di soddisfazione nei servizi dove sono implementati interventi comportamentali.

Sistema di Monitoraggio

Dashboard Nazionale: Piattaforma integrata per il monitoraggio in tempo reale degli indicatori chiave a livello nazionale e regionale.

Valutazioni Indipendenti: Commissione di esperti indipendenti per la valutazione periodica dell’efficacia del programma.

Reporting Sistematico: Report annuali pubblici sui risultati raggiunti e le lezioni apprese.

RACCOMANDAZIONI POLICY

Raccomandazioni Immediate

1. Istituzione dell’Unità Nazionale: Creazione immediata di un’unità comportamentale presso il Ministero della Salute con budget dedicato e autonomia operativa.

2. Programma Pilota: Lancio di un programma pilota in 3-4 regioni selezionate per testare il modello e sviluppare best practices.

3. Formazione del Personale: Avvio di programmi di formazione per dirigenti sanitari e policy makers sui principi delle scienze comportamentali.

4. Collaborazioni Internazionali: Attivazione di partenariati con unità comportamentali consolidate (UK, USA, Francia) per accelerare l’apprendimento.

Raccomandazioni a Medio Termine

1. Integrazione Normativa: Inclusione degli approcci comportamentali nelle linee guida nazionali per la promozione della salute e la prevenzione.

2. Finanziamenti Dedicati: Allocazione di risorse specifiche nel Fondo Sanitario Nazionale per le attività delle unità comportamentali.

3. Ricerca e Sviluppo: Promozione di programmi di ricerca universitari focalizzati sull’applicazione delle scienze comportamentali alla sanità pubblica.

3. Coinvolgimento del Settore Privato: Esplorazione di partnership pubblico-private per lo sviluppo di tecnologie e soluzioni innovative.

Raccomandazioni a Lungo Termine

1. Mainstreaming Comportamentale: Integrazione sistematica degli approcci comportamentali in tutte le politiche sanitarie e sociosanitarie.

2. Espansione Intersettoriale: Estensione del modello ad altri settori delle politiche pubbliche (educazione, ambiente, lavoro).

3. Leadership Europea: Posizionamento dell’Italia come paese leader nell’applicazione delle scienze comportamentali alle politiche sanitarie in ambito europeo.

4. Sostenibilità Sistemica: Trasformazione delle unità comportamentali da progetto pilota a componente strutturale permanente del sistema sanitario.

CONCLUSIONI

L’implementazione di unità comportamentali nel sistema sanitario italiano rappresenta un’opportunità strategica per migliorare significativamente l’accesso alle cure e l’efficacia degli interventi di salute pubblica. Le evidenze scientifiche internazionali già dimostrano chiaramente il potenziale di questi approcci nel superare barriere non economiche che ostacolano comportamenti salutari e l’utilizzo appropriato dei servizi sanitari.

La rivoluzione biotecnologica trasformerà la medicina nei prossimi anni da una medicina reattiva, quella attuale, ad una medicina proattiva. La medicina proattiva enfatizza le misure preventive, l’intervento precoce e la gestione continua delle condizioni di salute, mentre la medicina reattiva si concentra principalmente sulla risposta alle malattie dopo la loro manifestazione. La medicina proattiva è supportata da un approccio sistemico che impiega tecnologie emergenti per la diagnosi e la terapia, facilitando la diagnosi precoce delle patologie prima che progrediscano17 (Tian et al., 2012; Motevalli et al., 2025). Gli approcci reattivi possono portare a un aumento dei costi sanitari e a esiti clinici peggiori per i pazienti a causa di ritardi nell’intervento e nella gestione delle patologie croniche, aggravando il carico di lavoro del sistema sanitario.

L’integrazione di strategie proattive nella pratica sanitaria è fondamentale per la gestione delle patologie croniche e la riduzione dei costi sanitari complessivi.

La proposta qui delineata offre un percorso pragmatico e basato su evidenze per l’introduzione sistematica delle scienze comportamentali nel sistema sanitario nazionale. L’approccio graduale e sperimentale proposto permette di minimizzare i rischi mentre si massimizzano le opportunità di apprendimento e adattamento alle specificità del contesto italiano.

Il successo di questa iniziativa richiederà un impegno coordinato tra diversi livelli di governo, un investimento adeguato in competenze e tecnologie, e una cultura dell’innovazione e della valutazione basata su evidenze. Tuttavia, i benefici potenziali - in termini di miglioramento

della salute della popolazione, riduzione delle disuguaglianze e ottimizzazione delle risorse sanitarie - giustificano pienamente questo investimento strategico.

L’Italia ha l’opportunità di posizionarsi come paese leader nell’applicazione delle scienze comportamentali alla sanità pubblica, contribuendo non solo al benessere dei propri cittadini ma anche al progresso della conoscenza scientifica internazionale in questo campo emergente e promettente.

Verso un Framework Integrato per l’Equità Sanitaria

L’analisi delle esperienze internazionali e dei modelli teorici evidenzia la necessità di sviluppare framework integrati che combinino evidenze scientifiche, innovazione metodologica e partecipazione sociale per promuovere l’equità sanitaria. Questi framework devono essere sufficientemente flessibili da adattarsi a contesti locali diversi, ma abbastanza robusti da garantire la trasferibilità delle buone pratiche e la generazione di evidenze comparative18. L’integrazione di approcci comportamentali, politiche intersettoriali e meccanismi di partecipazione cittadina rappresenta la frontiera contemporanea per lo sviluppo di politiche pubbliche efficaci nel promuovere l’accesso equo alla salute.

La sfida principale per il futuro consiste nel trasformare le unità comportamentali e gli approcci HiAP da progetti pilota a componenti strutturali permanenti dei sistemi sanitari, garantendo al contempo il mantenimento di una prospettiva critica che non perda di vista i determinanti strutturali più ampi delle disuguaglianze sanitarie19. Questo richiede un impegno coordinato tra diversi livelli di governo, un investimento adeguato in competenze e tecnologie, e una cultura dell’innovazione e della valutazione basata su evidenze che permetta l’apprendimento continuo e l’adattamento delle strategie alle sfide emergenti.

17 Tian, Q., Price, N. D., & Hood, L. (2012). Systems cancer medicine: towards realization of predictive, preventive, personalized and participatory (p4) medicine. Journal of Internal Medicine, 271(2), 111-121. https://doi.org/10.1111/j.1365-2796.2011.02498.

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18 Smith NR, Levy DE, Falbe J, Purtle J, Chriqui JF. Design considerations for developing measures of policy implementation in quantitative evaluations of public health policy. Front Health Serv. 2024 Jul 15;4:1322702. doi: 10.3389/frhs.2024.1322702. PMID: 39076770; PMCID: PMC11285065.

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2. LO SCENARIO ATTUALE

E QUELLI

FUTURI

La sezione esplora l’intreccio tra cambiamenti demografici, transizione epidemiologica e criticità strutturali del sistema sanitario italiano, mettendo in luce i disallineamenti crescenti tra bisogni di salute e offerta di servizi, in un contesto segnato da invecchiamento della popolazione, cronicizzazione delle patologie e nuove vulnerabilità sociali.

In un’ottica operativa e multidisciplinare, si evidenzia come le scienze comportamentali possano contribuire a migliorare l’efficacia delle risposte sanitarie, riducendo le disuguaglianze di accesso e favorendo modelli di cura più personalizzati, integrati e sostenibili.

Le sezioni successive analizzano le principali sfide emergenti – dalla prevenzione all’impatto dei cambiamenti climatici, dall’evoluzione delle professioni sanitarie al ruolo dell’intelligenza artificiale – con l’obiettivo di fornire strumenti e proposte capaci di orientare scelte sistemiche più eque, efficaci e adattive.

Questo percorso si propone di superare le barriere culturali, tecnologiche e organizzative che ancora limitano l’accesso effettivo alle cure, promuovendo un nuovo equilibrio tra diritti, responsabilità e innovazione nei servizi di salute.

2.1 EVOLUZIONE DEMOGRAFICA ED EPIDEMIOLOGICA: DISALLINEMENTI

TRA DOMANDA E OFFERTA DI SERVIZI SANITARI E SOCIOSANITARI E IL

VALORE DEGLI STUDI COMPORTAMENTALI

a cura di Gianluca Vaccaro

L’Italia sta vivendo una profonda trasformazione demografica ed epidemiologica che sta modificando radicalmente la domanda di servizi sanitari e sociosanitari. Contestualmente, l’offerta assistenziale mostra criticità strutturali che generano importanti disallineamenti e disparità nell’accesso alle cure. Questa relazione analizza l’evoluzione demografica ed epidemiologica in Italia all’interno delle sue specificità culturali e sociali, evidenziando i principali disallineamenti con l’offerta di servizi sanitari e sociosanitari, con particolare attenzione al contributo che le scienze comportamentali possono offrire per migliorare l’efficacia del sistema. Le esperienze italiane di applicazione del “nudging” dimostrano come sia possibile influenzare positivamente i comportamenti di cittadini e professionisti sanitari attraverso “spinte gentili” che, senza limitare la libertà decisionale, orientano verso scelte più appropriate, contribuendo a ridurre le disuguaglianze di accesso e ottimizzare le risorse disponibili.

TRASFORMAZIONE DEMOGRAFICA ITALIANA E IMPATTO SUL SISTEMA SANITARIO

La struttura demografica italiana ha subito cambiamenti senza precedenti negli ultimi decenni, caratterizzati da

un progressivo e rapido invecchiamento della popolazione. Al 1° gennaio 2023, la popolazione ultra-sessantacinquenne in Italia ammonta a 14 milioni 177mila individui, costituendo il 24,1% della popolazione totale, con un incremento significativo anche nella fascia degli ultraottantenni che raggiunge i 4 milioni 530mila individui (7,7% della popolazione)20. Il numero di ultracentenari ha toccato il suo massimo storico, sfiorando le 22mila unità, con una prevalenza femminile superiore all’80%21

L’indice di vecchiaia, che rappresenta il rapporto tra popolazione anziana (65 anni e più) e popolazione giovane (15-34 anni), è aumentato drasticamente negli ultimi vent’anni: al 1° gennaio 2023 si registrano 117,9 anziani ogni 100 giovani, mentre erano 70,5 al 1° gennaio 2002. Questo processo ha portato l’età media della popolazione da 45,7 anni a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023, confermando l’Italia come secondo paese più anziano al mondo dopo il Giappone22.

Dinamiche di natalità e impatto demografico

Parallelamente all’invecchiamento, il paese sta affrontando un persistente crollo delle nascite. Nel 2023 sono stati registrati 379.890 nuovi nati, con un calo del 3,4%

rispetto al 2022 e del 34,1% rispetto al 2008. Il tasso di fertilità è di soli 1,14 figli per donna, ben al di sotto del livello di sostituzione (2,1) necessario per mantenere stabile la popolazione. Le proiezioni demografiche ISTAT indicano che la popolazione italiana diminuirà dagli attuali 59 milioni a circa 54,8 milioni nel 2050, con un’incidenza della popolazione over 65 destinata a raggiungere il 34,5% nel 2050.

Disparità territoriali nella distribuzione demografica e impatto sul sistema sanitario

Questa trasformazione demografica presenta significative disparità territoriali. Sebbene storicamente il Mezzogiorno abbia mantenuto una struttura demografica più giovane rispetto al Centro-Nord, negli ultimi anni si sta assistendo a un rapido allineamento alla media nazionale, con un progressivo invecchiamento anche nelle regioni meridionali. Questo fenomeno è aggravato dalla migrazione interna dei giovani dalle regioni meridionali verso quelle settentrionali o verso l’estero, accentuando ulteriormente lo squilibrio demografico.

Le implicazioni di questa trasformazione demografica sul sistema sanitario sono profonde e multidimensionali.

L’invecchiamento della popolazione comporta un aumento della domanda di servizi sanitari e sociosanitari, in particolare per quanto riguarda:

• Cure per le malattie croniche, che richiedono un’assistenza continuativa e coordinata

• Gestione della multimorbilità, che necessita di approcci integrati e multidisciplinari

• Assistenza a lungo termine e cure domiciliari

• Servizi di riabilitazione e mantenimento funzionale

Si stima che la popolazione anziana assorba una quota sproporzionata delle risorse sanitarie, con un consumo pro capite di servizi sanitari notevolmente superiore rispetto alle fasce di età più giovani. Questo genera una pressione crescente sul sistema sanitario in termini di sostenibilità economica e organizzativa, evidenziando la necessità di una riconfigurazione dell’offerta assistenziale per rispondere adeguatamente ai nuovi bisogni di salute.

QUADRO EPIDEMIOLOGICO E NUOVE SFIDE PER IL SISTEMA SANITARIO

Il profilo epidemiologico italiano è dominato dalle malattie croniche non trasmissibili, responsabili di circa il 92% dei decessi nel paese. Le principali patologie che costituiscono il carico di malattia sono le malattie cardiovascolari (41% dei decessi), i tumori (29%), le malattie

respiratorie (5%) e il diabete (4%). Questa transizione epidemiologica è strettamente correlata all’invecchiamento della popolazione e ai cambiamenti negli stili di vita.

Malattie croniche e multimorbilità

La multimorbilità, definita come la presenza contemporanea di tre o più patologie croniche, è un fenomeno in costante crescita che interessa oltre il 50% della popolazione anziana. Le principali condizioni croniche che affliggono la popolazione italiana sono l’artrosi (47,6%), l’ipertensione (47%), le patologie lombari (31,5%) e le malattie cardiache (19,3%). La gestione di pazienti con multimorbilità rappresenta una sfida complessa per il sistema sanitario, richiedendo un approccio integrato che spesso viene ostacolato dalla frammentazione dei servizi.

Oncologia e cronicizzazione delle patologie

Nel 2024 si stimano 390.100 nuove diagnosi di tumore, un dato relativamente stabile rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, grazie ai progressi nella diagnosi precoce e nei trattamenti, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è migliorata significativamente. Questo successo ha portato a un aumento del numero di pazienti che convivono con una patologia oncologica e necessitano di cure continue, follow-up a lungo termine e gestione degli effetti collaterali dei trattamenti, trasformando molte forme tumorali in patologie croniche.

Transizione dei modelli di cura

L’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle patologie croniche stanno modificando profondamente il profilo della domanda di servizi sanitari. Si assiste a uno spostamento dai modelli di cura incentrati sull’episodio acuto e sull’ospedalizzazione verso modelli di assistenza continua, personalizzata e integrata tra ospedale e territorio. Questa transizione richiede una riorganizzazione del sistema sanitario che, tuttavia, procede a ritmi diversi nelle varie regioni italiane, contribuendo ad accentuare le disuguaglianze nell’accesso ai servizi.

LA SOCIETÀ ITALIANA E L’IMPATTO DELLE SUE CONTRADDIZIONI SUL CONTESTO SANITARIO

L’analisi demografica ed epidemiologica non può prescindere dal quadro sociologico italiano recente: l’Italia, infatti, rappresenta un unicum mondiale: una società dove il 57% della popolazione over 14 non lavora, mantenendo però accesso a consumi opulenti (4 volte il livello di sussistenza) grazie a rendite, trasferimenti pubblici e welfare generoso23.

23 Ricolfi L. (2019). La società signorile di massa. Milano: La nave di Teseo.

In questo contesto si osserva la diffusione di fenomeni psicologici e sociali che influenzano profondamente la percezione della salute e il ricorso ai servizi sanitari. Tra questi, la FOBO (Fear of Better Options), ovvero la “paura di opzioni migliori”, emerge come un elemento chiave nel processo decisionale individuale. Nel contesto sanitario italiano, un esempio concreto di FOBO si manifesta quando un paziente, di fronte alla necessità di sottoporsi a un intervento chirurgico o di seguire una terapia, consulta numerosi specialisti e cerca incessantemente pareri diversi, sperando di individuare la tecnica, la terapia “migliore” o il chirurgo più esperto. Questo comportamento, alimentato dalla disponibilità di informazioni online e dalla pressione a prendere la decisione “giusta”, può portare a ritardi nell’intervento, aumento dell’ansia e, paradossalmente, a una minore soddisfazione post-operatoria. Inoltre, la FOBO può spingere i pazienti a richiedere esami diagnostici superflui o trattamenti non necessari, sovraccaricando il sistema sanitario e aumentando i costi. Ad esempio, un paziente con sintomi lievi potrebbe richiedere valutazioni diagnostiche “per sicurezza”, anche se non necessarie, spinto dalla paura di trascurare una potenziale patologia grave.

Parallelamente, la diffusione del narcisismo come struttura di personalità e fenomeno sociale rappresenta un fattore rilevante che incide sulla percezione della salute e sull’uso dei servizi sanitari. Il narcisismo, inteso in senso psicologico come un disturbo o tratto caratterizzato da un’eccessiva focalizzazione su sé stessi, bisogno di ammirazione e difficoltà a riconoscere i limiti personali, si riflette a livello sociologico in una cultura che valorizza l’individualismo, l’autopromozione e la ricerca costante di riconoscimento sociale. Sociologi come Christopher Lasch (1979)24 e Jean Twenge (2006) hanno analizzato come la società contemporanea favorisca la diffusione di questi tratti narcisistici, che si traducono in comportamenti orientati alla costruzione di un’immagine ideale e al controllo delle percezioni altrui.

Così un eccesso di attenzione (malposta) alla salute come la sovradiagnosi rappresenta un problema crescente nei sistemi sanitari moderni. Il fenomeno descritto rappresenta un vero e proprio paradosso della prevenzione. In una società caratterizzata da una cultura del rischio e da un’attenzione ossessiva al controllo della salute, la prevenzione estrema – intesa come la ricerca continua e sistematica di ogni possibile segnale di malattia – può

generare effetti controproducenti: la paura di ammalarsi spinge a sottoporsi a numerosi screening e controlli, che a loro volta generano diagnosi che richiedono ulteriori esami e trattamenti, spesso invasivi e con effetti collaterali. In questo modo, la prevenzione inappropriata - che riflette, in modo opposto, la diffusa sottovalutazione dell’importanza della prevenzione nella popolazione – può paradossalmente aumentare il carico di malattia percepita, lo stress psicologico e i costi sanitari, senza però migliorare realmente lo stato di salute collettivo. Inoltre, l’aumento delle diagnosi, anche di condizioni asintomatiche o di dubbia rilevanza clinica, è influenzato da dinamiche sociali complesse legate allo stigma e all’identità. Come evidenziato da Erving Goffman (1963), l’etichettatura diagnostica può trasformare profondamente l’identità sociale dell’individuo, esponendolo a processi di esclusione e marginalizzazione. Questa consapevolezza sociale genera una sorta di “iper-diagnosi difensiva” perfettamente in linea con la logica della “società del rischio” descritta da Ulrich Beck (1992): medici e pazienti, temendo le conseguenze sociali e personali di una diagnosi tardiva o mancata, tendono a sovra diagnosticare per evitare il rischio di “non vedere” una malattia che potrebbe compromettere la reputazione o la sicurezza del paziente. La diagnosi diventa così non solo un atto clinico, ma anche un meccanismo di protezione sociale e psicologica, che legittima il disagio percepito, giustifica richieste di assistenza e previene possibili accuse di negligenza medica.

Parallelamente, si è affermata una crescente asimmetria nell’accesso alle cure realmente necessarie, con una parte della popolazione penalizzata da liste d’attesa, ticket e vincoli organizzativi, in una sorta di paradosso redistributivo inverso. Questa stratificazione sociale si riflette in una biopolitica diseguale della salute, in cui la prevenzione, la cronicità e la presa in carico sociale rischiano di essere marginalizzate a favore di un’offerta sanitaria orientata alla prestazione individuale, frammentata e sempre più privatizzata.

Così l’Italia si trova di fronte a una transizione ambivalente della salute: da bene pubblico universale a bene individuale performativo, da diritto collettivo a capitale personale da proteggere. La salute è sempre più definita in termini funzionali e prestazionali, anziché come equilibrio bio-psico-sociale, come delineato dall’OMS. In questo contesto, le relazioni sociali legate all’assistenza

24 Beck, U. (2000). La società del rischio. Verso una seconda modernità. Roma: Carocci. (Opera originale: Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne, 1986) Goffman, E. (1963). Stigma. L’identità negata. Torino: Einaudi. (Opera originale: Stigma: Notes on the Management of Spoiled Identity, 1963) Lasch, C. (1979). La cultura del narcisismo. La vita americana in un’epoca di declino delle aspettative. Milano: Rizzoli. (Opera originale: The Culture of Narcissism: American Life in an Age of Diminishing Expectations, 1979) Twenge, J. M. (2006). Generation Me: Why Today's Young Americans Are More Confident, Assertive, Entitled-and More Miserable Than Ever Before. New York: Free Press.

sociale e sanitaria diventano più frammentate, intermittenti, digitalizzate, con un isolamento affettivo e una solitudine crescente, in particolare tra gli anziani e le nuove generazioni. Questo impoverimento dei legami sociali produce un’impennata di malesseri relazionali, che sempre più frequentemente si traducono in sintomi sanitari: dipendenze, disturbi del comportamento alimentare, depressione, ritiro sociale. In assenza di una solida infrastruttura di prevenzione relazionale e comunitaria, si assiste al rischio concreto di una psichiatrizzazione del disagio sociale, con un ritorno, sotto nuove forme, a logiche istituzionali e contenitive.

Così la malattia, soprattutto nei contesti dominati dal culto della performance e dell’autoefficacia, è vissuta sempre più come un fallimento personale o una colpa (self-blaming), accentuando la stigmatizzazione dell’individuo sofferente e alimentando un senso di inadeguatezza diffuso. In parallelo, il precariato diffuso e intermittente — come descritto da Richard Sennett — mina la stabilità psicologica e identitaria, generando un vero e proprio spettro di “malattie da instabilità”: ansia, depressione, sindromi psicosomatiche e burn-out. A ciò si aggiunge la crescente polarizzazione socio-occupazionale, che produce effetti diretti e misurabili sulla salute: bassi salari, scarsa sicurezza contrattuale, mobilità forzata, invecchiamento precoce, esposizione prolungata a fattori di stress e insicurezza. A ciò si sommano diseguaglianze territoriali e intergenerazionali, che aggravano l’iniquità dell’accesso ai servizi e generano un doppio gap: tra Nord e Sud e tra giovani e anziani, spesso alimentando fratture nella percezione stessa del diritto alla salute.

In definitiva, in assenza di un paradigma redistributivo, relazionale e comunitario della salute, il sistema rischia di radicalizzare la sua natura, passando da un modello universalistico solidale a un sistema selettivo, performativo e diseguale, dove il malessere individuale può essere sempre più interpretato come fallimento morale anziché come conseguenza sistemica.

Questi elementi si riverberano nel sistema sanitario attraverso tre dinamiche “paradossali” che alimentano altrettante contraddizioni:

1. Domanda sanitaria ipertrofica e paradosso della medicalizzazione passiva: La cultura del consumo, si traduce in una sostanziale visione “medicalizzante” della salute. Il cittadino tende a consi-

25 Foucault, M. (1976). La volontà di sapere. Milano: Feltrinelli.

26 llich, I. (1976). Nemesi medica. L'espropriazione della salute. Milano: Mondadori.

derare la salute come bene di consumo, richiedendo prestazioni spesso superflue. Ma qui il paradosso: La crescente tendenza a sanitarizzare e medicalizzare la salute – ovvero a delegare alla medicina e alle istituzioni sanitarie la responsabilità esclusiva del benessere – si accompagna a un fenomeno solo apparentemente contraddittorio: la bassa aderenza alle cure. Da un lato, si chiede alla sanità di occuparsi non solo della malattia, ma anche della prevenzione, del benessere psichico, degli stili di vita e persino delle determinanti sociali. Dall’altro lato, gli stessi cittadini disattendono le indicazioni terapeutiche, abbandonano le terapie o ritardano in alcuni casi volontariamente l’accesso alle cure. È un paradosso della medicalizzazione passiva. Una forma di resistenza rifiuto o disimpegno nei soggetti, che si sentono ridotti a meri oggetti di controllo o target di linee guida e buone pratiche cliniche impersonali25. Una forma di iatrogenesi sociale, cioè una perdita di autonomia e competenza dell’individuo rispetto al proprio corpo e alla propria salute espressione proprio della medicalizzazione della salute26. L’eccessiva dipendenza dal sapere medico porterebbe le persone a de-responsabilizzarsi, diventando pazienti cronici non tanto per malattia, ma per sottrazione della capacità di autogestione. La bassa aderenza quindi anche come resistenza simbolica: una risposta individuale – spesso inconsapevole – alla percezione di un sistema sanitario invasivo, prescrittivo e distante dalla propria esperienza di vita. Problema ancora più importante proprio nel caso delle patologie croniche dove la relazione medico-paziente si configura non come un’adesione a un protocollo, ma come un processo negoziale, dinamico, in cui il riconoscimento della soggettività del paziente è essenziale. L’idea che “ci penserà il sistema sanitario” può quindi generare una passività funzionale, che compromette la continuità delle cure: più si espande la medicina e l’assistenza come sistema normativo, più si assiste a comportamenti di sottrazione, sospetto o indifferenza, che minano proprio quella presa in carico che si intendeva rafforzare.

2. Sussidiarietà inversa e paradosso redistributivo nel welfare sanitario italiano: Il welfare sanitario diviene strumento di mantenimento di uno status privilegiato, con un paradosso redistributivo:

le regioni più povere (Sud) contribuiscono meno al gettito fiscale ma consumano più prestazioni sanitarie pubbliche, mentre il Nord ad alta produttività ricorre maggiormente al privato27 Nel modello originario del welfare universalistico, infatti, la redistribuzione solidaristica rappresenta un pilastro fondamentale: si tratta di un principio per cui chi ha maggiore capacità contributiva sostiene, attraverso la fiscalità generale, coloro che si trovano in condizioni di maggiore bisogno. Questo meccanismo, che vale sia per gli individui che per i territori, non solo è normale ma auspicabile in un sistema fondato sull’uguaglianza sostanziale e sull’equità sociale. Tuttavia, nell’evoluzione recente del sistema sanitario italiano, si è progressivamente affermata una forma di “sussidiarietà inversa”, in cui l’allocazione delle risorse pubbliche – pur rispettando il principio solidaristico – si manifesta in modo distorto e produce un paradosso redistributivo. In particolare, le regioni economicamente più deboli, con minore capacità fiscale, tendono a beneficiare in misura maggiore delle prestazioni sanitarie pubbliche, mentre le regioni a maggiore produttività e contribuzione, pur sostenendo una quota rilevante del sistema, fanno spesso ricorso a servizi sanitari privati o misti. Questo scarto genera un paradosso che non riguarda la legittimità della redistribuzione in sé, ma le modalità attraverso cui essa si realizza e gli effetti che produce sul piano socio-culturale e politico. Si possono individuare almeno tre motivi per cui questo paradosso assume rilievo: in primo luogo, la mancanza di accountability e trasparenza nell’utilizzo delle risorse, che in alcuni contesti non si traduce in miglioramenti tangibili per i cittadini, alimentando inefficienze strutturali e sfiducia. In secondo luogo, il rischio che la redistribuzione non stimoli processi virtuosi di sviluppo e autonomia, ma consolidi forme di dipendenza istituzionale e riproduca logiche clientelari e assistenzialistiche, ostacolando l’innovazione e il rafforzamento delle capacità locali. Infine, il paradosso alimenta una frattura culturale e percettiva tra territori: nelle regioni più forti si diffonde la narrazione di un sistema “ingiusto” che premia l’inefficienza e penalizza i virtuosi, rafforzando istanze autonomiste e logiche di tipo mercatista. In questo senso, il passaggio dalla redistribuzione solidaristica alla sussidiarietà inversa non è solo un muta-

mento tecnico-contabile, ma un cambiamento profondo nel modo in cui viene percepito e legittimato il patto di cittadinanza, che rischia di incrinarsi quando la solidarietà non genera equità, ma riproduce, amplifica o crea disuguaglianze.

3. Crisi della reciprocità: La progressiva scomparsa della cultura del lavoro (solo 23 milioni di occupati su 59 milioni di residenti) mina il patto sociale alla base del SSN, fondato sulla solidarietà intergenerazionale e interterritoriale. Questo squilibrio strutturale non incide solo sulla sostenibilità finanziaria del sistema, ma altera in profondità la sua legittimazione culturale: il lavoro, da sempre veicolo di inclusione, responsabilità collettiva e diritto a contribuire, viene progressivamente disancorato dal concetto stesso di cittadinanza attiva. Ne deriva una crisi del principio redistributivo: chi lavora percepisce di sostenere un sistema sempre più gravato da usi passivi, mentre chi è escluso dal lavoro tende a vivere la sanità pubblica non come un diritto comune da preservare, ma come un’erogazione anonima da “prelevare”. Questo scenario produce una frattura nei legami fiduciari tra individui, istituzioni e comunità, con effetti tangibili sul modo in cui la salute viene percepita e agita: si diffonde un uso strumentale e individualizzato dei servizi sanitari, spesso orientato alla prestazione immediata, più che alla partecipazione responsabile al proprio percorso di salute. Antropologicamente, la salute tende a essere vissuta non più come parte di un equilibrio collettivo — corpo, ambiente, relazioni — ma come patrimonio personale da difendere, mantenere, perfezionare, in linea con logiche neoliberali di autogestione e performatività. In questo vuoto culturale, le strutture sanitarie rischiano di essere percepite non come luoghi di cura e comunità, ma come sportelli tecnici di servizio, con un progressivo indebolimento della loro funzione simbolica e civica.

Il paradosso demografico della “quarta età”

L’analisi demografica tradizionale va integrata con le teorie di Francesco Billari e Gustavo De Santis sulla “rivoluzione riproduttiva”. L’Italia presenta il record mondiale di ultracentenari (22.000 nel 2023), ma questo successo demografico nasconde un paradosso: l’allungamento della vita non si accompagna a politiche di invecchiamento attivo. Come nota il demografo Alessandro Rosina, il mo-

dello italiano combina bassa fecondità (1,24 figli/donna), elevata longevità e scarsa integrazione degli anziani nel mercato del lavoro, creando una “bomba sociale” a carico del sistema sanitario.

La transizione epidemiologica nella società post-lavoro

Anche la trasformazione epidemiologica va letta attraverso la lente della sociologia medica. Come teorizzato da Aaron Antonovsky, la “società signorile” genera un paradosso salutare: migliorano gli indicatori oggettivi di salute (aspettativa di vita, mortalità infantile), ma peggiora la “sense of coherence” (capacità di gestire attivamente la salute). I dati ISTAT rivelano che il 7,5% degli italiani rinuncia alle cure per motivi economici nonostante la copertura universale, sintomo di un “malessere opulento”.

La cronicizzazione come fenomeno sociale

Le malattie croniche non sono solo un fatto biomedico, ma sociale. Secondo il sociologo francese Claudine Herzlich, la cronicità modifica il rapporto individuo-sistema sanitario:

• Medicalizzazione dell’esistenza: 23% degli over 65 assume �5 farmaci giornalieri

• Domanda di continuità assistenziale: 68% dei pazienti cronici richiede �4 visite specialistiche/anno

• Crisi della compliance terapeutica: 40-60% delle terapie croniche non viene seguito correttamente

Questi fenomeni rivelano la crisi del modello paternalistico in sanità, sostituito da un rapporto contrattualistico tipico della società dei consumi.

CRITICITÀ STRUTTURALI DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE

I cambiamenti demografici ed epidemiologici precedentemente descritti hanno generato profonde trasformazioni nella domanda di servizi sanitari e sociosanitari, a cui il sistema fatica a rispondere adeguatamente. Emergono diversi disallineamenti che compromettono l’efficacia e l’equità del sistema sanitario italiano.

In questo contesto le principali criticità del sistema sanitario italiano in termini di disallineamento fra domanda e offerta di assistenza sanitaria e socio sanitaria possono essere così sintetizzate:

Sottofinanziamento e risorse economiche limitate Nonostante un lieve aumento della spesa sanitaria in valore assoluto negli ultimi anni, il rapporto tra spesa sanitaria e PIL rimane basso rispetto alla media europea,

attestandosi intorno al 6,4% e destinato a diminuire nei prossimi anni secondo le proiezioni della Legge di Bilancio 2025. Questo livello di finanziamento è considerato ampiamente insufficiente per sostenere i bisogni crescenti della popolazione e garantire l’universalità delle prestazioni. Il gap tra le risorse necessarie e quelle effettivamente stanziate rischia di aumentare fino a 19 miliardi di euro entro il 2030, mettendo a rischio la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN)28. Questa limitazione di risorse si traduce in difficoltà nell’ammodernamento delle strutture, nell’acquisizione di tecnologie avanzate e nell’implementazione di modelli innovativi di assistenza. Il sottofinanziamento cronico del SSN ha accentuato le disparità territoriali, con le regioni soggette a piani di rientro dal deficit sanitario (principalmente nel Mezzogiorno) che hanno dovuto imporre tagli più severi all’offerta di servizi.

Carenza di personale sanitario

Altra criticità è rappresentata dalla carenza di personale sanitario. Si stima che entro il 2025 mancheranno circa 38.000 medici e 65.000 infermieri, un deficit che rischia di compromettere la qualità e la continuità dell’assistenza, specialmente nelle aree periferiche e nelle regioni meridionali. Questa carenza è determinata da diversi fattori, tra cui il pensionamento di un elevato numero di professionisti formati durante l’espansione del SSN negli anni ‘70 e ‘80, il blocco del turnover imposto dalle politiche di contenimento della spesa, e la fuga di professionisti verso l’estero o verso il settore privato a causa di condizioni lavorative considerate poco attrattive. Questa situazione minaccia la continuità dei servizi, soprattutto in vista dei numerosi pensionamenti previsti nei prossimi anni, e rende difficile attrarre e trattenere nuovi professionisti nel SSN.

Disomogeneità territoriale e frammentazione dell’offerta sanitaria

La distribuzione delle strutture sanitarie sul territorio nazionale è disomogenea, con una concentrazione dei grandi ospedali e dei centri di eccellenza nelle regioni del Nord. Questa disparità contribuisce ad alimentare il fenomeno della mobilità sanitaria, con un significativo flusso di pazienti dalle regioni meridionali verso quelle settentrionali, specialmente per i trattamenti ad alta complessità e per le patologie oncologiche. Si stima che circa il 22% dei malati oncologici meridionali si sposti al Nord per ricevere cure adeguate, generando costi economici e sociali significativi sia per i pazienti che per il si-

28 https://www.insalutenews.it/in-salute/la-manovra-2025-minaccia-il-futuro-del-servizio-sanitario-nazionale-report-gimbe/

stema sanitario.

Nonostante l’aumento delle patologie croniche richieda un potenziamento dell’assistenza territoriale, il sistema italiano rimane fortemente ospedalocentrico. La debole infrastruttura territoriale e la frammentazione dei servizi sociosanitari si traducono in un sovraccarico degli ospedali, con accessi impropri al pronto soccorso e ricoveri potenzialmente evitabili. Le recenti riforme, come il DM 77/2022 e gli investimenti previsti dal PNRR, mirano a superare questa criticità attraverso il potenziamento delle Case della Comunità, degli Ospedali di Comunità e delle Centrali Operative Territoriali, ma la loro implementazione è ancora in fase iniziale e presenta significative disparità regionali.

Permangono quindi forti disparità tra le regioni italiane nell’accesso alle cure, nella qualità dei servizi e nei tempi di attesa. La frammentazione organizzativa e gestionale, accentuata dalla crescente autonomia regionale e dalla mancanza di una reale integrazione tra ospedale e territorio, favorisce la mobilità sanitaria, soprattutto dal Sud verso il Nord, e produce diseguaglianze nell’effettivo diritto alla salute29.

In questo contesto, l’assenza di un coordinamento nazionale efficace rischia di amplificare ulteriormente le differenze regionali, ostacolando la costruzione di un sistema sanitario realmente equo, universale e sostenibile, capace di rispondere ai bisogni di salute della popolazione in modo omogeneo e tempestivo su tutto il territorio nazionale. Le principali riforme del sistema sanitario italiano, a partire dagli anni ’90, hanno introdotto un modello di governance ispirato a criteri aziendalistici, con l’obiettivo dichiarato di migliorarne l’efficienza, la trasparenza e il controllo dei costi. Tuttavia, tale impostazione ha spesso finito per privilegiare logiche gestionali e prestazionali rispetto a una visione sistemica e integrata della salute pubblica, contribuendo in alcuni casi a indebolire la funzione di programmazione e di governo della sanità da parte dello Stato centrale. Ne è derivata una crescente difficoltà nel garantire equità d’accesso e coerenza nei livelli essenziali di assistenza, soprattutto nelle aree meno dotate di risorse economiche e strutturali.

Disuguaglianze territoriali nell’accesso ai servizi

Le disuguaglianze territoriali nell’accesso ai servizi sanitari non vanno confuse con la sola disomogeneità dell’offerta o la frammentazione organizzativa del sistema.

Mentre queste ultime si riferiscono alla varietà nei modelli gestionali regionali, alle differenze nei servizi disponibili o alla scarsa integrazione tra livelli di assistenza, il concetto di disuguaglianza nell’accesso rimanda a una dimensione ben più ampia e profondamente sociale: riguarda la capacità effettiva, da parte dei cittadini, di fruire dei servizi sanitari a parità di bisogni.

Questa prospettiva mette al centro la domanda e i diritti delle persone, interrogandosi su quanto le condizioni di contesto (economiche, geografiche, infrastrutturali) incidano nel limitare o ostacolare l’accesso concreto alle cure. Il riferimento è quindi non tanto alla presenza o meno di un servizio in una data area, quanto piuttosto al grado di accessibilità reale: alle distanze da percorrere per ottenere una visita, ai tempi di attesa, alla disponibilità di risorse economiche e reti sociali di supporto, alla possibilità di scegliere tra pubblico e privato in condizioni di equità.

In questo senso, le disuguaglianze territoriali non sono solo l’esito di scelte politiche o gestionali regionali, ma riflettono un fallimento nel garantire il principio costituzionale di universalismo. Questo tipo di analisi richiede di osservare il sistema sanitario dal punto di vista dell’utente, rilevando dove e per chi l’offerta si traduce – o meno – in una reale opportunità di cura. È in questo quadro che si inserisce la riflessione sui divari tra Nord e Sud del Paese, che non sono solo indicatori di diversa performance organizzativa, ma veri e propri segnali di esclusione sanitaria sistemica. Il divario Nord-Sud si manifesta in diversi indicatori: tassi di prevenzione (58% Nord-Est vs 45% Isole), mortalità (differenza di 1,3-1,5 anni nell’aspettativa di vita), povertà sanitaria (8% Sud vs 4% Nord-Est), e mobilità sanitaria (22% dei malati oncologici meridionali si curano al Nord). Come evidenziato dalla letteratura, “occorre ridare valore al principio di solidarietà anche in riferimento alla salute pubblica, e sostenere su questa base conseguenti azioni politiche di riequilibrio, per promuovere la salute dei gruppi sociali più svantaggiati”30

Liste d’attesa, rinuncia alle cure e gestione inefficiente della domanda

Come noto, le liste d’attesa rappresentano una delle principali barriere all’accesso ai servizi sanitari in Italia. I tempi di attesa particolarmente lunghi per alcune tipologie di visite specialistiche, esami diagnostici e interventi

29 https://www.insalutenews.it/in-salute/la-manovra-2025-minaccia-il-futuro-del-servizio-sanitario-nazionale-report-gimbe/ https://www.aiponet.it/news/104-ufficio-stampa/3658-da-the-lancet-un-quadro-disastroso-della-sanita-italiana.html; https://www.mutuaulisse.it/la-sanita-pubblica-in-italia-e-ineuropa-nel-2025-sfide-e-prospettive/; https://www.grupposanimedica.it/2024/11/24/la-sanita-italiana-tra-sfide-e-opportunita-unanalisi-delle-recenti-evoluzioni/

30 https://www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/2_2024_02_Razzano.pdf

chirurgici portano molti cittadini a rinunciare alle cure o a rivolgersi al settore privato. Questo fenomeno è particolarmente acuto nelle regioni meridionali e colpisce in modo sproporzionato le fasce di popolazione economicamente più vulnerabili, generando un paradosso per cui chi ha maggiori bisogni di salute spesso riceve meno cure.

Secondo i dati dell’Istat (2023), circa il 6,2% della popolazione italiana ha dichiarato di aver rinunciato a prestazioni sanitarie per motivi economici o legati alla difficoltà di accesso. Nelle regioni del Sud, tale percentuale raggiunge l’8,4%, evidenziando un chiaro gradiente geografico e sociale. Ancora più preoccupante è la disuguaglianza legata al reddito: tra il primo quintile (20% più povero della popolazione), la quota di rinuncia supera il 10%, mentre tra il quintile più ricco si attesta sotto il 2%. Il sistema sanitario, concepito nella sua forma originaria come universalistico e solidaristico, finisce così per non garantire in maniera uniforme il diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione.

La gestione della domanda, invece di essere razionalizzata sulla base di criteri di bisogno clinico e di programmazione territoriale, è spesso lasciata al libero gioco del mercato e delle diseguaglianze esistenti. L’aumento dell’offerta privata in regime intramoenia o in strutture convenzionate si presenta formalmente come una risposta complementare, ma nella pratica alimenta un meccanismo di selezione per censo, in cui l’accesso tempestivo alle cure diventa funzione della capacità di spesa individuale.

Le liste d’attesa non sono soltanto un effetto collaterale della scarsità di risorse, ma il risultato di una governance frammentata, in cui la logica dell’efficienza aziendale ha progressivamente sostituito la logica della tutela collettiva. Laddove il servizio sanitario dovrebbe agire come infrastruttura redistributiva, si osserva un progressivo spostamento dell’onere della cura sul cittadino, sotto forma di costi indiretti, tempi di attesa, viaggi della speranza e rinunce.

L’ultimo Rapporto CREA Sanità (2023) conferma questa deriva: la spesa sanitaria out-of-pocket è cresciuta fino a rappresentare oltre il 23% della spesa sanitaria totale, e in molte aree del paese il settore privato rappresenta ormai la principale via di accesso per prestazioni diagnostiche in tempi utili. In assenza di una pianificazione sistemica della domanda e di un rafforzamento strutturale dell’offerta pubblica — soprattutto territoriale — la tendenza attuale rischia di accentuare le disuguaglianze e di delegittimare il sistema pubblico nel suo complesso. Per contrastare efficacemente questi fenomeni, servirebbe una rinnovata centralità della funzione pubblica

della sanità, fondata non solo su un aumento degli investimenti, ma anche su una riconcettualizzazione della salute come bene comune e non come prodotto. Ciò implicherebbe l’adozione di strumenti di pianificazione partecipata, un rafforzamento della medicina di base, l’implementazione di sistemi di priorità trasparenti e condivisi, e un maggiore presidio istituzionale nella gestione integrata della domanda, soprattutto nei territori più fragili.

Inappropriatezza prescrittiva e consumo di risorse

Un altro disallineamento riguarda l’appropriatezza delle prestazioni sanitarie. Si osserva una significativa variabilità nella prescrizione di esami diagnostici, farmaci e interventi chirurgici tra diverse aree geografiche e tra diversi professionisti, non giustificabile sulla base delle differenze epidemiologiche. Questa variabilità suggerisce la presenza di prassi prescrittive non sempre basate sulle migliori evidenze scientifiche, con conseguente spreco di risorse e potenziali rischi per i pazienti.

Il fenomeno dell’inappropriatezza prescrittiva rappresenta una criticità strutturale del SSN, con implicazioni cliniche, economiche ed etiche. Gli ultimi dati AGENAS rivelano che il 15-30% delle prestazioni sanitarie in Italia è inappropriato, con picchi del 40% per esami diagnostici (es. risonanze magnetiche per lombalgie aspecifiche) e del 25% per farmaci (es. antibiotici per infezioni virali). Questo spreco genera un costo annuo stimato tra 8 e 12 miliardi di euro, equivalente al 10% della spesa sanitaria pubblica.

I meccanismi alla base dell’inappropriatezza sono:

1. Defensive medicine: Il 68% dei medici italiani (Rapporto FNOMCeO 2024) ammette di prescrivere esami “per tutela legale”, indipendentemente dall’utilità clinica.

2. Asimmetria informativa: Il 43% dei pazienti (ISTAT 2024) richiede attivamente farmaci o esami, influenzando i medici attraverso il cosiddetto “effetto white coat inverso”.

3. Eterogeneità delle linee guida: Solo il 35% delle società scientifiche ha aggiornato i protocolli postpandemici, creando disallineamenti tra regioni.

4. Modelli organizzativi obsoleti: La carenza di continuità assistenziale (solo il 22% dei MMG usa sistemi di shared decision-making) favorisce la frammentazione delle cure.

A questi aspetti si aggiungono degli elementi strettamente legati al tema delle disuguaglianze di salute.

L’inappropriatezza non è neutra socialmente:

• I pazienti con bassa health literacy ricevono il 40%

in più di prescrizioni non necessarie (Studio PASSI 2023)

• Le regioni meridionali mostrano tassi di polifarmacia inappropriata doppi rispetto al Nord (23% vs 11%)

• Gli over 75 ricevono il 35% di esami diagnostici ridondanti, spesso per comorbilità mal gestite L’overuse, ovvero il sovrautilizzo di prestazioni sanitarie di cui si è già parlato, rappresenta una manifestazione specifica dell’inappropriatezza clinica, caratterizzata dall’erogazione di interventi diagnostici o terapeutici che non apportano benefici significativi al paziente e, in alcuni casi, possono comportare rischi evitabili. Un esempio emblematico riguarda l’elevato numero di esami diagnostici, come risonanze magnetiche e TAC, prescritti senza una chiara indicazione clinica. In Italia si stima che circa il 20% degli accertamenti diagnostici sia inappropriato, con variazioni significative tra le diverse regioni. Questa situazione non solo comporta un utilizzo inefficiente delle risorse sanitarie, ma può anche esporre i pazienti a rischi inutili, come effetti collaterali, complicanze da procedure invasive e stress psicologico.

Affrontare l’overuse richiede un approccio multidimensionale, che includa la promozione di una cultura dell’appropriatezza clinica, la formazione continua dei professionisti sanitari e l’educazione dei pazienti. Iniziative come il progetto “Fare di più non significa fare meglio” mirano a sensibilizzare sia i professionisti che i cittadini sull’importanza di un uso appropriato delle risorse sanitarie, promuovendo la condivisione di raccomandazioni basate su evidenze scientifiche per ridurre l’uso di interventi non necessari.

In conclusione, la riduzione dell’overuse è fondamentale per garantire un Servizio Sanitario Nazionale equo, efficiente e sostenibile. Ciò richiede un impegno congiunto da parte delle istituzioni, dei professionisti della salute e dei cittadini per promuovere una cultura dell’appropriatezza e dell’uso responsabile delle risorse sanitarie.

Difficoltà di accesso per i gruppi vulnerabili

Le difficoltà di accesso ai servizi sanitari da parte dei gruppi vulnerabili rappresentano una delle sfide più urgenti per il sistema sanitario italiano. Nonostante il principio di universalismo che ispira il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), persistono barriere strutturali, economiche, culturali e organizzative che ostacolano l’equità nell’accesso alle cure. I gruppi vulnerabili comprendono individui e comunità che, a causa di condizioni socio-economiche, culturali o di salute, affrontano maggiori ostacoli nell’accedere ai servizi sanitari. Tra questi si

annoverano: persone a basso reddito, anziani soli o non autosufficienti, migranti e rifugiati, minoranze etniche e linguistiche, persone con disabilità, individui senza fissa dimora e popolazioni residenti in aree geografiche svantaggiate.

Questi gruppi spesso si trovano in condizioni di svantaggio che limitano la loro capacità di accedere a servizi sanitari adeguati e tempestivi. Le difficoltà finanziarie rappresentano un ostacolo significativo. Molti individui rinunciano a cure necessarie a causa dei costi associati, come ticket sanitari, farmaci non coperti dal SSN o spese per il trasporto verso le strutture sanitarie. Questo fenomeno è particolarmente evidente tra le persone a basso reddito e gli anziani. Le disuguaglianze territoriali influenzano l’accesso ai servizi. Le regioni meridionali e le aree rurali spesso presentano una minore disponibilità di strutture sanitarie, personale medico e servizi specialistici, costringendo i residenti a percorrere lunghe distanze per ricevere cure adeguate. I migranti e le minoranze etniche possono incontrare ostacoli legati alla lingua, alla comprensione del sistema sanitario e a differenze culturali. La mancanza di mediatori culturali e di informazioni accessibili in diverse lingue può limitare la fruizione dei servizi da parte di questi gruppi. Procedure complesse, tempi di attesa prolungati e una burocrazia articolata possono scoraggiare l’accesso ai servizi, soprattutto per chi ha competenze digitali limitate o difficoltà nel comprendere le procedure amministrative. Le barriere all’accesso ai servizi sanitari hanno conseguenze dirette sulla salute dei gruppi vulnerabili: ritardi nella diagnosi e nel trattamento di malattie, peggioramento delle condizioni croniche, aumento della mortalità evitabile e maggiore incidenza di malattie mentali non trattate. Queste condizioni contribuiscono a perpetuare un ciclo di disuguaglianza e marginalizzazione. Per affrontare queste sfide, sono state proposte e implementate diverse strategie come ad esempio:

• il Programma Nazionale Equità nella Salute: un’iniziativa volta a rafforzare l’organizzazione dei servizi sanitari in regioni con maggiori difficoltà, come Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Il programma si concentra su quattro aree prioritarie: contrasto alla povertà sanitaria, salute mentale, equità di genere nelle cure e aumento della copertura degli screening oncologici

• L’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà (INMP): un ente del SSN che sviluppa sistemi innovativi per con-

trastare le disuguaglianze di salute in Italia, facilitando l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale per i gruppi sociali più svantaggiati.

• Campagne di informazione e sensibilizzazione: organizzate da associazioni e da strutture sanitarie dedicate alla promozione ed educazione sanitaria che mirano a fornire informazioni accessibili sui diritti alla salute e sui servizi disponibili, promuovendo l’empowerment dei cittadini.

• Sviluppo della medicina di prossimità: modelli di assistenza che portano i servizi sanitari più vicino ai cittadini, attraverso l’uso di tecnologie digitali, unità mobili e la collaborazione con il terzo settore.

Burocrazia e inefficienze gestionali

La burocrazia e le inefficienze gestionali rappresentano una delle criticità più rilevanti e trasversali del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Questi problemi si manifestano su più livelli e hanno un impatto diretto sia sulla qualità dell’assistenza che sulla soddisfazione degli utenti e degli operatori.

Sovraccarico amministrativo e complessità normativa

Il sistema sanitario italiano è caratterizzato da una stratificazione normativa e regolatoria che, nel tempo, ha prodotto un sovraccarico di adempimenti amministrativi. La moltiplicazione di circolari, linee guida, regolamenti regionali e nazionali genera confusione e rallenta i processi decisionali. Secondo il Rapporto Censis 2023, il 62% dei dirigenti sanitari indica nella burocrazia uno degli ostacoli principali all’innovazione e alla tempestività delle risposte assistenziali. Questa ipertrofia burocratica si traduce in ritardi nell’attuazione delle riforme, nella gestione degli appalti, nell’acquisto di tecnologie e nell’assunzione di personale.

Digitalizzazione incompleta e sistemi informativi frammentati

Nonostante gli investimenti degli ultimi anni, la digitalizzazione del SSN procede a macchia di leopardo. La mancanza di interoperabilità tra i sistemi informativi regionali e aziendali ostacola la condivisione dei dati clinici e amministrativi, rendendo difficile la presa in carico integrata del paziente e la valutazione degli esiti. Solo il 35% delle strutture sanitarie utilizza cartelle cliniche elettroniche pienamente integrate (Rapporto Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità 2024), mentre la maggior parte delle procedure rimane ancora cartacea o parzialmente

informatizzata. Questo comporta duplicazioni, errori, difficoltà di monitoraggio e perdita di efficienza.

Processi decisionali lenti e scarsa autonomia gestionale

Le procedure di autorizzazione, controllo e verifica sono spesso lente e farraginose. La necessità di ottenere molteplici pareri e autorizzazioni da diversi livelli amministrativi (aziendale, regionale, nazionale) rallenta l’implementazione di nuovi servizi, l’acquisto di dispositivi e l’adozione di innovazioni. Secondo un’indagine condotta da SDA Bocconi (2023), il tempo medio per l’approvazione di un progetto di innovazione organizzativa in sanità supera i 24 mesi, contro una media europea di 12 mesi. Inoltre, le aziende sanitarie lamentano una scarsa autonomia gestionale, che limita la possibilità di adattare i servizi ai bisogni locali e di premiare il merito.

Impatto su operatori e cittadini

La burocrazia e le inefficienze gestionali hanno un impatto negativo anche sulla motivazione e sulla produttività degli operatori sanitari, spesso costretti a dedicare una quota significativa del loro tempo a compiti amministrativi a scapito dell’attività clinica. Secondo il Rapporto FNOMCeO 2024, un medico ospedaliero dedica in media il 30% del proprio tempo a pratiche burocratiche. Dal punto di vista dei cittadini, la percezione di un sistema lento, poco trasparente e difficile da navigare alimenta sfiducia e insoddisfazione, oltre a incentivare il ricorso al settore privato per bypassare le lungaggini del pubblico.

LE SCIENZE COMPORTAMENTALI IN AMBITO SANITARIO: PRINCIPI

E POTENZIALITÀ

In un contesto caratterizzato da risorse limitate e bisogni crescenti, le scienze comportamentali offrono strumenti promettenti per migliorare l’efficacia e l’efficienza del sistema sanitario. Il concetto di “nudge” o “spinta gentile”, sviluppato dagli economisti Richard Thaler e Cass Sunstein nel loro libro “Nudge: Improving decisions about health, wealth, and happiness” del 2008, ha trovato numerose applicazioni in ambito sanitario.

Il concetto di “nudge” e la sua applicazione in sanità Il nudging consiste nell’influenzare le decisioni individuali attraverso modifiche all’architettura delle scelte, ovvero al contesto in cui le persone prendono decisioni, senza limitare la libertà di scelta e senza ricorrere a incentivi economici significativi o divieti. Questo approccio si basa

sulla constatazione che le scelte umane non sono sempre razionali, ma sono influenzate da pregiudizi cognitivi, abitudini, norme sociali e contesto decisionale.Thaler e Sunstein definiscono il nudge come “qualsiasi aspetto dell’architettura delle scelte che altera il comportamento delle persone in modo prevedibile senza proibire la scelta di altre opzioni e senza cambiare in maniera significativa i loro incentivi economici”. In ambito sanitario, questo approccio risulta particolarmente prezioso poiché permette di “sviluppare interventi di miglioramento degli esiti socio-sanitari, senza però limitare la libertà decisionale delle persone”.

Il framework EAST per la progettazione di interventi comportamentali

In ambito sanitario, i principi delle scienze comportamentali possono essere applicati seguendo il framework EAST (Easy, Attractive, Social, Timely) sviluppato dal Behavioural Insights Team nel Regno Unito. Secondo questo approccio, gli interventi comportamentali dovrebbero rendere le opzioni desiderabili:

1. Più facili (Easy): semplificando procedure, riducendo barriere, impostando opzioni predefinite favorevoli

2. Più attrattive (Attractive): catturando l’attenzione, utilizzando incentivi non monetari, rendendo le informazioni salienti

3. Socialmente rilevanti (Social): sfruttando norme sociali, impegni pubblici, reti sociali

4. Tempestive (Timely): intervenendo nei momenti in cui le persone sono più ricettive al cambiamento

Ambiti di applicazione in sanità

Le scienze comportamentali possono così contribuire a migliorare diversi aspetti del sistema sanitario, tra cui:

• L’adesione alle terapie e ai protocolli preventivi

• L’appropriatezza prescrittiva da parte dei professionisti sanitari

• L’utilizzo appropriato dei servizi sanitari

• La promozione di stili di vita salutari

• La prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza

• L’adesione ai programmi di screening e vaccinazione L’applicazione di questi principi nel contesto italiano presenta un potenziale significativo, considerando i disallineamenti tra domanda e offerta di servizi sanitari precedentemente illustrati. Le “spinte gentili” possono

rappresentare strumenti economici ed efficaci per ottimizzare l’utilizzo delle risorse sanitarie, ridurre le disuguaglianze nell’accesso e migliorare la qualità dell’assistenza.

ESPERIENZE ITALIANE DI APPLICAZIONE DELLE SCIENZE COMPORTAMENTALI IN SANITÀ

In Italia, l’applicazione delle scienze comportamentali in ambito sanitario è relativamente recente, ma si stanno sviluppando esperienze significative che dimostrano il potenziale di questo approccio per migliorare l’efficienza e l’equità del sistema sanitario.

La Nudge Unit Toscana Salute (NUTS)

Un ruolo pionieristico è stato svolto dalla Regione Toscana che ha creato nel 2019 la Nudge Unit Toscana Salute (NUTS), un gruppo multidisciplinare dedicato all’applicazione delle scienze comportamentali per migliorare gli esiti sanitari. La nascita di questa unità segue esperienze internazionali simili, come quelle sviluppate negli Stati Uniti e nel Regno Unito, e rappresenta una delle prime iniziative strutturate in Italia per l’integrazione delle scienze comportamentali nelle politiche sanitarie.

Il caso della riduzione dell’uso inappropriato di antibiotici

Uno dei primi interventi realizzati dalla NUTS, in collaborazione tra l’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana e l’Azienda USL Toscana Centro, ha riguardato la riduzione dell’uso di antibiotici chinoloni, una classe specifica di antibiotici verso i quali si sono sviluppati elevati livelli di resistenza31. L’intervento ha coinvolto i medici di medicina generale della provincia di Firenze, identificando i primi 100 che prescrivevano maggiormente questi antibiotici. La strategia adottata si è basata sull’invio di una lettera personalizzata che, sfruttando il principio della norma sociale, sottolineava come l’80% dei medici di famiglia della zona prescrivesse meno chinoloni rispetto al destinatario. Questo approccio si basa sull’evidenza che le persone tendono ad allineare il proprio comportamento a quello che percepiscono come la norma sociale prevalente. A distanza di un mese dall’intervento, la prescrizione di chinoloni è diminuita del 15%, dimostrando l’efficacia di questo approccio economico e non invasivo.

31 https://www.ars.toscana.it/2-articoli/3972-le-scienze-comportamentali,-il-%E2%80%9Cnudge%E2%80%9D-e-l%E2%80%99uso-prudente-degli-antibiotici-in-toscana.html

Il Progetto QVax 2022 per la promozione della vaccinazione influenzale

Un altro caso significativo è rappresentato dal Progetto QVax 2022, un esperimento di nudging finalizzato a promuovere la vaccinazione influenzale tra gli operatori delle RSA toscane. L’intervento ha utilizzato una “spinta gentile” che ha aumentato del 14% la propensione alla vaccinazione tra gli operatori coinvolti rispetto a quelli che hanno ricevuto una comunicazione standard, anche se il risultato non ha raggiunto la significatività statistica32

Questo risultato, sebbene promettente, evidenzia la complessità dell’applicazione delle scienze comportamentali in contesti reali e la necessità di combinare diversi approcci per ottenere cambiamenti comportamentali significativi e duraturi.

Lo studio AGENAS sulla promozione della vaccinazione antinfluenzale

Uno studio più ampio, condotto da AGENAS in collaborazione con il Laboratorio MeS della Scuola Superiore Sant’Anna, ha coinvolto 18.046 professionisti sanitari italiani, dimostrando che comunicare che la maggioranza dei dipendenti dell’Azienda si vaccina contro l’influenza –rispetto a comunicare che la minoranza si vaccina – aumenta la propensione a fare il vaccino antinfluenzale di 5,5 punti percentuali.

Questo studio rappresenta un esempio di come la comunicazione basata su norme sociali possa influenzare positivamente i comportamenti relativi alla salute, in questo caso l’adesione alla vaccinazione antinfluenzale da parte degli operatori sanitari. L’adozione di questo approccio su larga scala potrebbe contribuire a migliorare le coperture vaccinali tra gli operatori sanitari, con potenziali benefici sia per la loro salute che per quella dei pazienti con cui entrano in contatto.

INTEGRAZIONE DELLE SCIENZE

COMPORTAMENTALI PER MIGLIORARE

L’ACCESSO AI SERVIZI

Alla luce dei disallineamenti tra domanda e offerta di servizi sanitari e delle esperienze di applicazione delle scienze comportamentali presentate, emergono diverse opportunità di integrazione di questi approcci per migliorare l’accesso ai servizi sanitari e sociosanitari in Italia.

Strategie per ridurre le liste d’attesa

Le liste d’attesa rappresentano una delle principali barriere all’accesso ai servizi sanitari. Gli interventi di nudging

potrebbero concentrarsi sulla riduzione del fenomeno del “no-show” (mancata presentazione all’appuntamento senza disdetta), che contribuisce significativamente all’inefficienza del sistema. Strategie comportamentali efficaci potrebbero includere:

• Promemoria personalizzati inviati attraverso diversi canali (SMS, email, telefonate)

• Richiesta di un impegno esplicito da parte del paziente al momento della prenotazione

• Comunicazione dei costi sociali del “no-show” (ad esempio, quante persone potrebbero beneficiare dell’appuntamento)

• Facilitazione delle procedure di disdetta e riprogrammazione

Queste strategie, basate sui principi EAST (facile, attrattivo, sociale, tempestivo), potrebbero contribuire a ottimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili, riducendo i tempi di attesa per tutti i pazienti.

Ottimizzazione dell’uso dei servizi sanitari

Le scienze comportamentali offrono strumenti per guidare i pazienti verso il livello assistenziale più appropriato, riducendo accessi impropri e sovraccarico dei servizi di emergenza. Interventi possibili includono:

• Campagne informative che utilizzano il framing positivo per promuovere l’uso di servizi territoriali

• Semplificazione delle procedure di accesso ai servizi territoriali

• Feedback personalizzati ai medici di medicina generale su pattern prescrittivi e di invio a servizi specialistici

• Progettazione di percorsi di cura che facilitino la continuità assistenziale

Interventi per raggiungere i gruppi vulnerabili

Per quanto riguarda i gruppi vulnerabili, le strategie di outreach potrebbero essere potenziate attraverso l’applicazione di principi comportamentali:

• Semplificazione delle comunicazioni e delle procedure burocratiche

• Personalizzazione dei messaggi in base alle caratteristiche culturali e linguistiche

• Utilizzo di canali di comunicazione appropriati per i diversi gruppi target

• Coinvolgimento di “messenger” credibili per le diverse comunità

• Riduzione delle barriere pratiche all’accesso (ad esempio, orari flessibili, servizi mobili)

Governance e formazione

A livello di governance, l’integrazione delle scienze comportamentali potrebbe tradursi in:

• Creazione di Nudge Unit a livello regionale o aziendale, seguendo l’esempio toscano

• Sviluppo di competenze in scienze comportamentali tra i professionisti sanitari

• Valutazione sistematica dell’impatto degli interventi comportamentali

• Incorporazione dei principi comportamentali nella progettazione di politiche sanitarie

La formazione dei professionisti sanitari sui principi delle scienze comportamentali è essenziale per garantire un’applicazione efficace e etica di questi approcci. La comunicazione con i pazienti, la gestione delle aspettative e la promozione dell’autocura sono ambiti in cui i principi comportamentali possono fare la differenza, migliorando l’esperienza del paziente e l’efficacia dell’assistenza.

Scienze comportamentali e governance della complessità

Gli studi di Cass Sunstein e Richard Thaler sul nudging offrono strumenti per gestire la complessità senza autoritarismo. L’esperienza toscana dimostra che:

• Semplificazione procedurale (prenotazioni online) riduce del 18% i “no-show”

• Feedback comparativi ai medici diminuiscono del 15% le prescrizioni inappropriate

• Default sociali (es. “l’80% dei tuoi colleghi vaccinati”) aumentano l’adesione alle campa• gne del 12% Tuttavia, come avverte il sociologo Zygmunt Bauman, il rischio è una “medicalizzazione della società” dove le scienze comportamentali diventano strumento di controllo più che di empowerment.

Prospettive sociosanitarie: verso un nuovo patto generazionale

La soluzione ai disallineamenti richiede un approccio interdisciplinare che coniughi:

• Welfare generativo: Come proposto da Maurizio Ferrera, trasformare i trasferimenti passivi in “crediti di cura” per anziani attivi

• Health literacy: Applicare il modello di Nutbeam su educazione sanitaria critica

• Tecnologia relazionale: Sperimentare, sull’esempio finlandese, “health coach” digitali per gruppi vulnerabili

La sfida italiana consiste nel tradurre i paradossi della società signorile di massa in opportunità: un sistema sanitario che sappia coniugare sostenibilità ed equità, innovazione e radicamento territoriale, competenza tecnica e partecipazione civica. Come ammoniva Irving Zola, “la salute è il terreno su cui si gioca la democrazia del XXI secolo”.

Conclusioni e raccomandazioni

L’analisi condotta in questa relazione ha evidenziato i profondi cambiamenti demografici ed epidemiologici che stanno trasformando la domanda di servizi sanitari e sociosanitari in Italia. L’invecchiamento della popolazione, con l’Italia che registra al 1° gennaio 2023 un indice di vecchiaia di 117,9 anziani ogni 100 giovani, l’aumento delle patologie croniche e della multimorbilità stanno generando bisogni assistenziali complessi, a cui il sistema sanitario fatica a rispondere adeguatamente.

I principali disallineamenti tra domanda e offerta di servizi riguardano i tempi di attesa, la carenza di personale, la frammentazione dei servizi territoriali, il finanziamento insufficiente e le disuguaglianze territoriali. Questi disallineamenti colpiscono in modo particolare alcuni gruppi vulnerabili, come anziani a basso reddito, migranti, persone con disabilità e residenti nelle regioni meridionali. In questo contesto, le scienze comportamentali offrono strumenti promettenti per migliorare l’efficacia e l’efficienza del sistema sanitario. Le “spinte gentili” o nudge rappresentano interventi economici ed efficaci per guidare le scelte individuali verso opzioni considerate desiderabili, senza limitare la libertà decisionale delle persone. Come dimostrato dall’esperienza toscana sulla riduzione dell’uso di antibiotici chinoloni, che ha portato a una diminuzione delle prescrizioni del 15% in un solo mese, questi approcci possono produrre risultati significativi con interventi relativamente semplici ed economici.

Raccomandazioni operative

Sulla base dell’analisi condotta, si propongono le seguenti raccomandazioni operative per policy maker e operatori sanitari:

1. Istituzionalizzare l’approccio comportamentale: Creare unità dedicate all’applicazione delle scienze comportamentali nelle aziende sanitarie e negli assessorati regionali alla salute, sul modello della Nudge Unit Toscana Salute.

2. Sviluppare competenze: Promuovere la formazione dei professionisti sanitari sui principi delle scienze comportamentali e sulla loro applicazione pratica.

3. Interventi basati su evidenze: Progettare inter-

venti comportamentali basati sulle migliori evidenze scientifiche disponibili e valutarne sistematicamente l’impatto.

4. Approccio multilivello: Combinare interventi comportamentali con politiche strutturali per affrontare i disallineamenti tra domanda e offerta di servizi sanitari.

5. Equità e inclusione: Assicurare che gli interventi comportamentali siano progettati per ridurre, e non amplificare, le disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari.

6. Trasparenza e partecipazione: Garantire trasparenza negli obiettivi e nei metodi degli interventi comportamentali, coinvolgendo attivamente cittadini e stakeholder nella loro progettazione e valutazione.

In conclusione, il valore degli studi comportamentali in sanità risiede nella loro capacità di identificare e superare le barriere psicologiche, sociali e contestuali che limitano l’efficacia del sistema sanitario. In un contesto di risorse limitate e bisogni crescenti, le “spinte gentili” possono rappresentare una strategia complementare per ottimizzare l’uso delle risorse e migliorare gli esiti di salute della popolazione. Come sottolineato dall’esperienza della Nudge Unit Toscana Salute, “le spinte gentili arrivano in soccorso e si fanno largo nell’ambito sanitario per sviluppare interventi di miglioramento degli esiti socio-sanitari, senza però limitare la libertà decisionale delle persone”33.

2.2. PREVENZIONE E PROGRAMMI DI SCREENING: LA COPERTURA, LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA, TREND E VACCINAZIONI

a

La prevenzione come pilastro della sanità pubblica contemporanea

La prevenzione rappresenta uno dei pilastri fondamentali per la tutela della salute pubblica e individuale, costituendo un elemento strategico per garantire la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale e migliorare la qualità della vita della popolazione. In Italia, l’attenzione alla prevenzione e alla promozione della salute rappresenta un elemento cardine del sistema sanitario sin dalla sua istituzione nel 1978, rafforzato recentemente dal Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025 che adotta un approccio multidisciplinare, intersettoriale e coordinato.

Il concetto moderno di prevenzione si articola su tre livelli complementari: la prevenzione primaria, che mira a evitare l’insorgenza delle malattie attraverso vaccinazioni e promozione di stili di vita sani; la prevenzione secondaria, focalizzata sulla diagnosi precoce attraverso screening sistematici; e la prevenzione terziaria, orientata alla riduzione delle complicanze e delle recidive. Questo approccio integrato riconosce che la salute è determinata non solo da fattori biologici o comportamenti individuali, ma anche da determinanti sociali, economici e ambientali che richiedono strategie specifiche per assicurare un approccio di equità.

L’evoluzione dei sistemi di monitoraggio e sorveglianza

Nel panorama epidemiologico contemporaneo, l’efficacia degli interventi preventivi dipende in modo determinante dalla capacità di monitoraggio e valutazione sistematica delle attività implementate. I sistemi di sorveglianza e monitoraggio degli interventi di prevenzione rappresentano strumenti essenziali per la raccolta continua e sistematica di dati, la cui interpretazione viene messa a disposizione di coloro che devono progettare, realizzare e valutare interventi in salute pubblica.

Le scienze umane e sociali in collaborazione con le discipline biomediche ed epidemiologiche, attraverso lo studio dei comportamenti a rischio e loro mutazioni nel tempo, indagano le disuguaglianze sociali nella salute, l’influenza delle condizioni abitative, educative e lavorative sullo stato di salute, e l’equità nell’accesso e nell’utilizzo dei servizi sanitari e sociosanitari. Questi approcci

multidimensionali e multidisciplinari si basano sul fondamento che la salute non è influenzata esclusivamente da agenti patogeni o predisposizioni genetiche, ma è anche profondamente condizionata dal contesto in cui la popolazione vive, studia e lavora.

L’analisi dei comportamenti di salute rivela l’esistenza di determinanti multipli che includono fattori individuali, interpersonali, istituzionali, comunitari e politico-economici. I modelli teorici evidenziano la complessità del processo decisionale in ambito preventivo, che coinvolge percezione del rischio, autoefficacia, influenze sociali e calcolo costi-benefici, richiedendo strategie integrate che vadano oltre la semplice raccolta di dati epidemiologici.

La digitalizzazione e l’integrazione dei dati sanitari

In questo contesto la crescente digitalizzazione del settore sanitario ha aperto nuove opportunità per il monitoraggio e la gestione integrata delle attività preventive. L’integrazione dei dati sanitari, sociali e amministrativi riunisce informazioni provenienti da sistemi IT diversi, offrendo alle organizzazioni capacità di gestione olistica dei dati e una visione a 360 gradi delle informazioni cliniche e comportamentali.

Tuttavia, la frammentazione dei sistemi informativi sanitari, che si sono evoluti secondo una logica dipartimentale o disciplinare, rappresenta una delle principali sfide per l’efficace utilizzo di questi dati. È necessario sviluppare architetture integrate basate su standard internazionali che consentano l’integrazione metodologicamente e teoricamente guidata di dati provenienti da fonti eterogenee.

Questo contesto complesso richiede un profondo ripensamento strategico dei sistemi di monitoraggio delle attività preventive, orientato verso l’implementazione di piattaforme nazionali dinamiche che consentano un monitoraggio costante dell’implementazione delle raccomandazioni preventive a tutti i livelli del sistema sanitario. Solo attraverso questo approccio integrato e multidimensionale sarà possibile garantire equità ed efficacia della prevenzione, superando le attuali disparità territoriali e migliorando significativamente l’adesione

della popolazione ai programmi di screening e vaccinazione su tutto il territorio nazionale.

Screening oncologici

I programmi di screening oncologico rappresentano interventi di sanità pubblica attraverso i quali il sistema sanitario offre attivamente, gratuitamente e sistematicamente un percorso organizzato di prevenzione secondaria per individuare precocemente un tumore o i suoi precursori, permettendo così di intervenire tempestivamente. L’obiettivo principale di questi programmi è ridurre la mortalità per tumore attraverso una diagnosi precoce, elemento essenziale per aumentare l’efficacia delle cure e la possibilità di guarigione.

Gli screening oncologici sono offerti dal SSN a persone appartenenti a fasce di età considerate, sulla base di evidenze scientifiche, a maggior rischio di insorgenza della patologia. L’attività e lo sviluppo dei programmi di screening è monitorato attraverso i dati trasmessi da ciascun programma regionale all’Osservatorio Nazionale Screening (ONS).

Gli screening oncologici, nello specifico sono:

•• Screening per il cancro del seno

•• Screening per il cancro del collo dell’utero

•• Screening per il cancro del colon retto

Screening neonatali, per tutti i nuovi nati con copertura delle

•• malattie metaboliche ereditarie

•• malattie neuromuscolari genetiche

•• immunodeficienze congenite severe

•• malattie da accumulo lisosomiale

Screening per il cancro del seno

Lo screening per la diagnosi precoce del tumore mammario si rivolge alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni e si esegue con una mammografia ogni 2 anni. In alcune Regioni si sta sperimentando l’efficacia dell’esame in una fascia d’età più ampia, quella compresa tra i 45 ed i 74 anni. Ogni donna che presenta una mammografia con esito dubbio o sospetto è invitata ad eseguire ulteriori esami di approfondimento. Gli esami di approfondimento diagnostico potrebbero prevedere l’esecuzione di un secondo esame mammografico, di un’ecografia mammaria, di un agoaspirato per esame citologico, di una biopsia per esame istologico, o altro (risonanza magnetica, galattografia, ecc.).

Screening per il cancro del collo dell’utero

I test per lo screening del tumore del collo dell’utero sono il Pap-test e il test per Papilloma virus (HPV-DNA test). Il test impiegato finora è il Pap-test, offerto oggi ogni 3 anni alle donne di età compresa tra i 25 e i 30 anni, mentre sopra i 30 anni viene effettuato il test per il Papilloma virus (HPV-DNA test) ogni 5 anni. Nel caso in cui l’analisi al microscopio mostri la presenza di cellule con caratteristiche pre-tumorali o tumorali, in primo luogo la donna è invitata a eseguire una colposcopia a cui può far seguito una biopsia.

Screening per il cancro del colon retto

Il test di screening utilizzato è il test del sangue occulto nelle feci, eseguito ogni 2 anni nelle persone tra i 50 e i 69 anni (in alcune Regioni fino ai 74 anni). Nel caso di positività all’esame, si prevede l’esecuzione di una colonscopia che permette di esaminare l’intero colon retto.

I numeri degli screening

L’attività degli screening è principalmente monitorata tramite analisi condotte dall’Osservatorio Nazionale

Screening (ONS), un network di coordinamenti regionali che ha la funzione di organo tecnico di supporto al Ministero della Salute e alle Regioni.

Considerando tutti i programmi di screening e tutte le fasce d’età, sono state invitate 15.946.091 milioni di persone. Oltre il 90% della popolazione italiana in età target per lo screening mammografico, colorettale e cervicale è stata regolarmente invitata. L’effettiva “protezione” della popolazione da parte dello screening è espressa mediante l’indicatore di copertura degli esami del Nuovo Sistema di Garanzia (NSG). L’indicatore di copertura dello screening rappresenta la proporzione di utenti che hanno effettuato il test di screening sul totale della popolazione bersaglio per ogni anno di osservazione. Complessivamente, nel 2023 i valori dell’indicatore mostrano una sempre maggiore copertura della popolazione da parte dei tre programmi di screening offerti nell’ambito dei LEA.

Nella tabella 1 riportata di seguito sono raccolti i principali indicatori degli screening, aggiornati all’ultima rilevazione disponibile. Al di là del miglioramento della copertura, se ne deve notare l’ampia differenza a livello territoriale con il Nord ben al di sopra della media nazionale e il Sud e Isole decisamente al di sotto.

Casi viventi-2024* 925.00049.800 442.600

Nuove diagnosi - 2024 *.53.6862.382 48.706

Inviti allo screening-2023**.4.017.7573.982.378 7.945.956

Estensione al target%** 94% 111% 94%

Copertura NSG % - 2023**49%47% 33%

-Nord**62%57% 45%

-Centro**51%45%32%

-Sud e Isole**31%35% 15%

Trend copertura Vs. 2022*+6%+6% +4%

* Fonte: I numeri del cancro 2024

* Fonte: Survey ONS 2023

Un’ulteriore e importante fonte informativa sugli screening è il sistema di sorveglianza PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), che dal 2008 raccoglie in continuo informazioni sugli stili di vita e fattori di rischio comportamentali, della popolazione adulta di 18-69 anni residente in Italia, connessi all’insorgenza della malattie croniche non trasmissibili e sul grado di conoscenza e adesione ai programmi di intervento che il Paese sta realizzando per la loro prevenzione.

PASSI rileva informazioni sulla copertura dello screening, chiedendo direttamente agli intervistati, appartenenti alla popolazione target, se e quando hanno eseguito il test al solo scopo preventivo, ovvero in assenza di segni e sintomi, e se hanno sostenuto un costo parziale o totale per eseguire l’esame, per distinguere la partecipazione agli screening organizzati e offerti gratuitamente dalle ASL, dalla esecuzione di test di screening su iniziativa spontanea, ovvero fuori i programmi organizzati della ASL, sostenendo un costo.

Nei grafici riportati di seguito sono mostrate le coperture totali e divise tra organizzate e spontanee, per i tre screening per area geografica dalla rilevazione PASSI 20222023. Si nota come la copertura sia nettamente più bassa per il colon-retto e come in tutti i casi il Sud e Isole sia decisamente meno coperto delle altre aree. Inoltre, la gran parte della prevenzione secondaria avviene nell’ambito degli screening organizzati, dove è più bassa la copertura dello screening organizzato persiste il ricorso all’iniziativa spontanea che comunque non compensa la mancanza di offerta e/o di adesione da parte dei cittadini ai programmi organizzati.

Vaccinazioni

Anche il sistema vaccinale rappresenta uno dei pilastri fondamentali della sanità pubblica italiana, costituendo uno strumento indispensabile di prevenzione primaria per la protezione sia individuale che collettiva della popolazione. L’attuale assetto normativo e organizzativo delle vaccinazioni si articola attraverso il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2023-2025, approvato in Conferenza Stato-Regioni il 2 agosto 2023 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 agosto 2023. Questo strumento ha lo scopo primario di armonizzare le strategie vaccinali implementate nel Paese per garantire alla popolazione, indipendentemente da luogo di residenza, reddito, livello socioculturale e status giuridico, i pieni benefici derivanti dalla vaccinazione.

Vaccinazioni obbligatorie per i minori di età compresa tra zero e sedici anni e per i minori stranieri non accompagnati, Il quadro normativo attuale delle vaccinazioni obbligatorie trova la sua base giuridica nel Decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale”, modificato dalla Legge di con-

Screening per tumore Mammella Cervice uterinaColon-retto

versione 31 luglio 2017, n. 119, brevemente noto come Decreto Vaccini. Questa normativa ha portato il numero di vaccinazioni obbligatorie nell’infanzia e nell’adolescenza in Italia da quattro a dieci, in risposta al progressivo calo delle vaccinazioni, sia obbligatorie che raccomandate, in atto dal 2013 che aveva determinato una copertura vaccinale media nel nostro Paese al di sotto del 95%, la soglia raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità per garantire la cosiddetta “immunità di gregge”. Le vaccinazioni obbligatorie sono:

Anti-poliomielitica: obbligatoria dal 1966, rappresenta una delle conquiste più significative della sanità pubblica italiana

Anti-difterica: resa obbligatoria già nel 1939 entro i primi due anni di vita

Anti-tetanica: estesa come obbligo dal 1963 ai bambini dal secondo anno di vita e ad alcune categorie considerate più esposte al rischio

Anti-epatite B: introdotta come vaccinazione obbligatoria per proteggere contro l’infezione virale

Anti-pertosse: inclusa nell’obbligo per prevenire una delle infezioni respiratorie più pericolose in età pediatrica

Anti-Haemophilus influenzae tipo b: fondamentale per la prevenzione di meningiti e sepsi batteriche

Anti-morbillo: parte delle quattro vaccinazioni la cui obbligatorietà è soggetta a revisione ogni tre anni

Anti-rosolia: essenziale per la prevenzione della sindrome da rosolia congenita

Anti-parotite: inclusa nel pacchetto delle vaccinazioni contro le malattie esantematiche

Anti-varicella: obbligatoria per i nati dal 2017, con obbligatorietà soggetta a revisione triennale

L’obbligatorietà per le ultime quattro vaccinazioni (antimorbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella) è soggetta a revisione ogni tre anni in base ai dati epidemiologici e delle coperture vaccinali raggiunte. Le vaccinazioni obbligatorie sono gratuite e devono tutte essere somministrate ai nati dal 2017, mentre per i nati dal 2001 al 2016 devono essere somministrate le vaccinazioni contenute nel calendario vaccinale nazionale vigente nell’anno di nascita.

Vaccinazioni raccomandate rappresentano un ele-

mento complementare ma fondamentale del sistema di prevenzione vaccinale italiano, essendo offerte attivamente e gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale secondo specifiche indicazioni di età e condizioni di rischio. Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 20232025 ha introdotto significative novità nell’offerta vaccinale raccomandata, ampliando le categorie target e aggiornando le strategie di immunizzazione.

La vaccinazione antinfluenzale: distribuzione e canali di somministrazione

La vaccinazione antinfluenzale così come la vaccinazione anti HPV, rappresenta è una delle vaccinazioni raccomandate.

Le raccomandazioni annuali sono elaborate dal Ministero della Salute, sentito il NITAG (National Immunization Technical Advisory Group), l’Istituto Superiore di Sanità e le Regioni/PA. La campagna vaccinale 2024-2025 prevede che le campagne di vaccinazione antinfluenzale regionali inizino a partire dall’inizio di ottobre (40ma settimana dell’anno) e offrano la vaccinazione alle persone eleggibili in qualsiasi momento della stagione influenzale.

I vaccini antinfluenzali sono autorizzati dall’AIFA e/o dall’EMA, con composizione aggiornata ogni anno secondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, sulla base delle informazioni epidemiologiche e virologiche raccolte da una rete globale composta da 140 Centri di collaborazione. Il Calendario vaccinale prevede l’offerta gratuita e attiva dal Servizio sanitario nazionale della vaccinazione anti-influenzale per le persone oltre i 64 anni e appartenenti a particolari categorie a rischio.

Per i bambini, la vaccinazione antinfluenzale è raccomandata a partire dai 6 mesi di età, con 2 dosi per i bambini non vaccinati in precedenza e una dose di richiamo ogni anno fino ai 6 anni compresi. L’attività dei virus influenzali stagionali in Italia inizia durante l’autunno e raggiunge di solito il picco nei mesi invernali per ridursi poi in primavera e in estate.

Il gruppo di lavoro Bhave su questo tema ha sviluppato due analisi integrate sui dati della stagione 2023-2024 qui brevemente presentate: una prima facendo riferimento alla Circolare del Ministero della Salute “Prevenzione e controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2024-2025” (Prot. n. 0014845-20/05/2024DGPRE-DGPRE-P) che fornisce un quadro dettagliato della distribuzione delle somministrazioni. Vediamo che sulla base dei dati provvisori al 18 aprile 2024 che su un totale

di 10,5 milioni di dosi totali somministrate attraverso diversi canali abbiamo le seguenti distribuzioni:

• Medici di Medicina Generale (MMG): circa 8,6 milioni di dosi, pari all’81,9% del totale

• Pediatri di Libera Scelta (PLS): oltre 0,6 milioni di dosi, pari al 5,7% del totale

• ASL e Servizi vaccinali: circa 0,8 milioni di dosi, pari al 7,6% del totale

• Farmacie: oltre 0,5 milioni di dosi, pari al 4,8% del totale

Sommando i contributi di MMG e PLS si ottiene circa l’87,6% delle somministrazioni totali, confermando che il canale della medicina territoriale rimane quello prevalente. Tuttavia, si osserva una crescita significativa del ruolo delle farmacie come punto di somministrazione, rappresentando un’evoluzione importante nell’accessibilità dei servizi vaccinali.

In generale anche guardando gli anni precedenti la distribuzione delle vaccinazioni antinfluenzali si attestano su MMG 60-80%, ASL 15-30%, e Farmacie 5-15%, pur riconoscendo la variabilità annuale e regionale che caratterizza questo tipo di intervento preventivo.

Analisi dei dati BHAVE-FLYN sulle vaccinazioni antinfluenzali: comportamenti prescrittivi e pattern di adesione per tipologia di medico

Un’altra fonte informativa, il sistema FLYN© di Bhave che è una indagine osservazionale cross-sectional continua-

tiva di tipo analitico-comportamentale, basata su dati dichiarati dai medici (self-reported), ci permette invece di rilevare il comportamento prescrittivo riferito e altri aspetti dell’attività clinica (es. carico di lavoro, modalità di visita, tipologia di pazienti).

I dati dell’indagine relativi al periodo 2024 offrono così un quadro dettagliato dei comportamenti prescrittivi e dei pattern di vaccinazione antinfluenzale attraverso diverse figure professionali, fornendo insights significativi sui modelli di prima vaccinazione e adesione ripetuta nei diversi setting assistenziali (sull’argomento, ad esempio, Bella et al., 2022)34.

Il ruolo centrale dei Medici di Medicina Generale L’analisi evidenzia chiaramente la posizione dominante dei Medici di Medicina Generale (MMG) nell’ecosistema vaccinale antinfluenzale, con 5.039 somministrazioni su un totale di 9.160 (55% del totale), confermando il loro ruolo di cardine nella medicina territoriale (Calabrò et al., 2022)35. Questo dato è coerente con le evidenze nazionali che attestano come i MMG rappresentino il canale prevalente per la vaccinazione antinfluenzale, gestendo oltre l’80% delle somministrazioni totali nel sistema sanitario italiano (Ministero della Salute, 202436. Il pattern comportamentale dei pazienti seguiti dai MMG mostra caratteristiche particolarmente interessanti: il 16% rappresenta nuovi vaccinati (prima volta), mentre il 39% aveva già effettuato la vaccinazione nell’anno precedente.

34 Bella A, Riccardo F, Caraglia A, Maraglino F, Facchini M, Di Mario G, Mellace F, Urdiales AM, Stefanelli P, Pezzotti P, Palamara AT, Puzelli S (2022). L'impatto dei virus influenzali e la copertura vaccinale antinfluenzale raggiunta in Italia nella stagione 2021-2022: il sistema di sorveglianza integrata InfluNet e le novità introdotte. Bollettino Epidemiologico Nazionale, 3(4):22-8.

35 Calabrò GE, Icardi G, Bonanni P, Gabutti G, Vitale F, Rizzo C, Cicchetti A, Staiano A, Ansaldi F, Orsi A, DE Waure C, Panatto D, Amicizia D, Bert F, Villani A, Ieraci R, Conversano M, Russo C, Rumi F, Scotti S, Maio T, Russo R, Vaccaro CM, Siliquini R, Ricciardi W. Vaccinazione antinfluenzale e value based health care: soluzioni operative per la tutela della salute pubblica [Flu vaccination and value-based health care: operational solutions to safeguard public health]. J Prev Med Hyg. 2022 Sep 28;63(2 Suppl 2):E1-E85. Italian. doi: 10.15167/2421-4248/jpmh2022.63.2s2. PMID: 36310765; PMCID: PMC9586154.

36 Ministero della Salute (2024). Prevenzione e controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2024-2025

Questa distribuzione suggerisce una propensione alla continuità vaccinale significativamente superiore rispetto ai nuovi ingressi, indicando l’efficacia dell’azione di counselling e della relazione medico-paziente consolidata nel tempo.

La distribuzione per fasce d’età nell’ambito MMG riflette le raccomandazioni ministeriali, con una netta prevalenza degli over 60 (42%), seguiti dalla fascia 18-59 anni (12%) e una presenza minima nella fascia pediatrica (1%) (Ministero della Salute, 2024)37. Questo pattern conferma l’allineamento dei MMG alle indicazioni nazionali che raccomandano prioritariamente la vaccinazione per gli anziani e le categorie a rischio.

I Medici di ASL/Ospedale: il secondo attore del sistema

I Medici di ASL/Ospedale emergono come il secondo gruppo per volume di attività vaccinale, con 2.107 somministrazioni (23% del totale), evidenziando un ruolo complementare ma sostanziale nell’offerta vaccinale. La loro distribuzione tra prime vaccinazioni (7%) e vaccinazioni ripetute (16%) mostra un rapporto simile a quello dei MMG, suggerendo pattern comportamentali dei pazienti relativamente uniformi tra i diversi setting assistenziali.

Particolarmente significativa è la distribuzione per età: gli over 60 rappresentano il 12% delle vaccinazioni erogate da questa categoria, mentre le fasce più giovani mostrano percentuali del 4% (0-17 anni) e 7% (18-59 anni) (EpiCentro ISS, 2024). Questa distribuzione potrebbe riflettere sia l’accesso ai servizi ospedalieri per patologie croniche che rendono raccomandata la vaccinazione, sia l’utilizzo dei servizi vaccinali aziendali come alternativa alla medicina territoriale (Calabrò et al., 2022)38.

Pediatri di Libera Scelta: specializzazione pediatrica I Pediatri di Libera Scelta (PLS) mostrano un profilo altamente specializzato, con 274 somministrazioni concentrate esclusivamente nella fascia 0-17 anni (3% del totale). Il pattern prima vaccinazione/ripetizione (0,7% vs 2,3%) indica una prevalenza di vaccinazioni ripetute anche in ambito pediatrico, suggerendo l’efficacia dell’educazione sanitaria familiare e della continuità assistenziale.

Medici del Lavoro: target specifico ma limitato I Medici del Lavoro rappresentano una nicchia specifica con 641 somministrazioni (7%), concentrate esclusivamente nella fascia lavorativa 18-59 anni (7%). Il rapporto 2% prime vaccinazioni versus 5% ripetizioni suggerisce una popolazione target relativamente stabile e consapevole dell’importanza della prevenzione in ambito lavorativo.

Farmacisti: ruolo emergente ma ancora marginale Il contributo dei Farmacisti/Farmacie (458 somministrazioni, 5% del totale) conferma il loro ruolo emergente ma ancora marginale nel panorama vaccinale italiano. La distribuzione tra prime vaccinazioni (0,3%) e ripetizioni (4,7%) mostra una netta prevalenza di pazienti che ripetono la vaccinazione, suggerendo che le farmacie rappresentino principalmente un canale alternativo per utenti già consapevoli piuttosto che un punto di primo contatto.

Pattern di adesione: continuità versus iniziazione L’analisi complessiva rivela un pattern comportamentale chiaro: il 72% delle vaccinazioni rappresenta ripetizioni dell’anno precedente, mentre solo il 28% sono prime vaccinazioni. Questo dato evidenzia l’importanza della continuità vaccinale e suggerisce che le maggiori sfide si concentrano nel raggiungimento di nuovi target piuttosto che nel mantenimento dell’adesione tra i già vaccinati.

Questo pattern è coerente con le evidenze comportamentali che identificano nelle barriere emotive (paura, disgusto, imbarazzo) i principali ostacoli alla prima vaccinazione, mentre la ripetizione beneficia dell’esperienza positiva precedente e della riduzione dell’ansia anticipatoria.

Distribuzione demografica e appropriatezza clinica

La distribuzione per fasce d’età (61% over 60, 31% fascia 18-59, 8% fascia 0-17) riflette sostanzialmente le raccomandazioni epidemiologiche nazionali, con una concentrazione appropriata nelle fasce a maggior rischio di complicanze. Tuttavia, la relativamente bassa rappresentanza della fascia pediatrica (8%) potrebbe indicare margini di miglioramento nell’offerta vaccinale ai bambini, gruppo per il quale le raccomandazioni ministeriali hanno recentemente esteso la gratuità.

37 Ibidem

38 Calabrò GE, Icardi G, Bonanni P, Gabutti G, Vitale F, Rizzo C, Cicchetti A, Staiano A, Ansaldi F, Orsi A, DE Waure C, Panatto D, Amicizia D, Bert F, Villani A, Ieraci R, Conversano M, Russo C, Rumi F, Scotti S, Maio T, Russo R, Vaccaro CM, Siliquini R, Ricciardi W. Vaccinazione antinfluenzale e value based health care: soluzioni operative per la tutela della salute pubblica [Flu vaccination and value-based health care: operational solutions to safeguard public health]. J Prev Med Hyg. 2022 Sep 28;63(2 Suppl 2):E1-E85. Italian. doi: 10.15167/2421-4248/jpmh2022.63.2s2. PMID: 36310765; PMCID: PMC9586154.

Implicazioni per le politiche sanitarie

I dati evidenziano la necessità di strategie differenziate per tipologia di prescrittore e target demografico. Per i MMG, che gestiscono la quota maggiore di vaccinazioni, appare prioritario il potenziamento delle competenze di counselling per incrementare le prime vaccinazioni, mentre per le altre figure professionali potrebbero essere utili protocolli di collaborazione interprofessionale più strutturati.

La crescita del ruolo delle farmacie, seppur ancora limitata, suggerisce l’opportunità di investire in questo canale alternativo per migliorare l’accessibilità, particolare nelle aree con carenza di medicina territoriale. Parallelamente, la specializzazione dei PLS nel target pediatrico indica la necessità di rafforzare specificamente questo canale per raggiungere gli obiettivi di copertura nelle fasce d’età più giovani.

La prevalenza delle vaccinazioni ripetute (72%) versus le prime vaccinazioni (28%) sottolinea, infine, l’importanza di investire in strategie di recruitment di nuovi vaccinandi, attraverso campagne informative mirate e riduzione delle barriere comportamentali identificate dalla letteratura scientifica.

Metodologie di ricerca e monitoraggio delle attività di prevenzione: Sistemi di prevenzione delle malattie professionali, di riduzione dei rischi clinici, di sorveglianza virologica ed epidemiologica e di rilevazione dei comportamenti di salute Nel contesto del monitoraggio delle attività preventive, è importante sottolineare l’esistenza di diversi strumenti metodologici specifici per la raccolta dati.

Il panorama degli strumenti di monitoraggio delle attività preventive in Italia è caratterizzato da un ecosistema integrato di sistemi informativi che operano a diversi livelli territoriali e organizzativi. Nell’ambito delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali Il Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione (SINP) nei luoghi di lavoro rappresenta uno degli strumenti più avanzati, istituito per fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia delle attività di prevenzione in questi contesti39. Il SINP è costituito da diversi enti tra cui il Ministero del lavoro, il Ministero della salute, l’INAIL, l’INPS e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, garantendo un approccio coordinato al monitoraggio sulla prevenzione.

Sul fronte invece della prevenzione degli eventi avversi in sanità il  Sistema Informativo per il Monitoraggio degli Errori in Sanità (SIMES) ha l’obiettivo di raccogliere informazioni relative agli eventi sentinella e alle denunce dei sinistri su tutto il territorio nazionale. Questo sistema consente la valutazione dei rischi e il monitoraggio completo degli eventi avversi, rappresentando una componente importante per il miglioramento continuo in tema di rischio clinico.

La piattaforma per la pianificazione e il monitoraggio dei Piani Regionali di Prevenzione 2020-2025 costituisce un altro strumento avanzato che definisce metodologie di analisi dei dati per la prevenzione oncologica. Questa piattaforma web include 308 programmi e 2.715 azioni a livello regionale, classificando le azioni per quattro domini di prevenzione: stili di vita, screening oncologici, malattie infettive ed esposizione a cancerogeni.

I  sistemi di sorveglianza sindromica rappresentano un approccio basato non sulla diagnosi di malattia, ma sulla presenza di segni e sintomi che costituiscono una sindrome. Questi sistemi hanno l’obiettivo di identificare precocemente potenziali minacce per la salute pubblica attraverso il monitoraggio di sindromi respiratorie, simiinfluenzali e polmoniti nei Pronto Soccorso.

Il  sistema RespiVirNet costituisce il Sistema di Sorveglianza Integrata epidemiologica e virologica dei casi di sindromi simil-influenzali e dei virus respiratori, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità con il sostegno del Ministero della Salute. RespiVirNet si basa sui Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta e Laboratori di Riferimento Regionale per i virus respiratori, producendo rapporti settimanali epidemiologici e virologici.

La  Banca Dati Assistiti (BDA) rappresenta uno strumento metodologico che stima la prevalenza di pazienti cronici integrando i dati di diverse fonti amministrative come esenzioni, ricoveri, consumo di farmaci e prestazioni specialistiche ambulatoriali. La BDA utilizza metodi di record linkage automatico per calcolare la prevalenza di diverse malattie croniche e la spesa lorda media procapite per gruppo di patologia.

I Sistemi Informativi Regionali per la gestione delle Vaccinazioni (SIRVA) consentono la gestione centralizzata di tutte le vaccinazioni offerte a livello regionale, garantendo uniformità nella programmazione, pianifi-

cazione e consuntivazione delle attività vaccinali. Questi sistemi includono utilità specifiche per la gestione degli inviti, il calcolo della copertura vaccinale, la gestione dei vaccini e l’alimentazione dell’Anagrafe Nazionale Vaccini.

Il  sistema di monitoraggio delle Raccomandazioni per la prevenzione degli eventi sentinella di AGENAS rappresenta una piattaforma nazionale dinamica per il monitoraggio dell’applicazione delle raccomandazioni ministeriali. Il sistema è articolato su tre livelli (centrale, regionale e aziendale) e utilizza questionari di valutazione del livello di implementazione delle raccomandazioni per la sicurezza in ambito sanitario.

Infine, i  registri di patologia e sistemi di sorveglianza identificati dal DPCM del 2017 comprendono 31 sistemi di sorveglianza sotto l’egida dell’Istituto Superiore di Sanità e 15 registri di patologia di rilevanza nazionale. Questi strumenti garantiscono una raccolta sistematica di dati anagrafici, sanitari ed epidemiologici per patologie specifiche come endometriosi, talassemia e coagulopatie (.

Limiti e criticità metodologiche dei sistemi di monitoraggio sulla prevenzione

I sistemi di monitoraggio delle attività preventive presentano significative limitazioni metodologiche che ne compromettono l’efficacia e la capacità di fornire una visione completa dei fenomeni di interesse sanitario. Una delle principali criticità riguarda la frammentazione dei sistemi informativi sanitari, che si sono evoluti secondo una logica “a silos” attraverso l’aggregazione di applicazioni dedicate a singoli settori organizzativi e specialità cliniche. Questa separazione impedisce l’integrazione efficace delle informazioni e limita la capacità di analisi multidimensionale dei dati.

I sistemi di sorveglianza sindromica, pur rappresentando un approccio innovativo, presentano limitazioni nella specificità diagnostica, basandosi esclusivamente su segni e sintomi senza conferma diagnostica definitiva.

Le barriere comportamentali e cognitive rappresentano un ‘altra dimensione critica che dovrebbe essere rilevata e approfondita. Anche solo a titolo di esempio la ricerca psicosociale ha identificato specifiche barriere emotive per lo screening oncologico, tra cui disgusto, imbarazzo e paura della diagnosi, che influenzano significativamente l’adesione ai programmi preventivi. Queste emozioni anticipate tendono a essere sovrastimate nell’intensità, generando comportamenti di evitamento che compromettono l’efficacia degli interventi di screening.

L’analisi dei comportamenti di salute, se ben impostata, avrebbe così il compito di rivela l’esistenza di determinanti multipli che includono fattori individuali, interpersonali, istituzionali, comunitari e politico-economici. I modelli teorici, come quello dell’azione pianificata e il modello trans-teorico degli stadi di cambiamento, evidenziano la complessità del processo decisionale in ambito preventivo, che coinvolge percezione del rischio, autoefficacia, influenze sociali e calcolo costi-benefici.

Gli studi sui determinanti cognitivi della prevenzione mostrano come fattori quali scarsa scolarità, depressione, isolamento sociale e disturbi del sonno influenzino negativamente l’adesione ai comportamenti preventivi.

I sistemi di monitoraggio attuali mostrano inoltre limitazioni nella capacità di intercettare le diverse tipologie di vulnerabilità sociale e le specificità culturali che influenzano l’accesso ai servizi preventivi. Le barriere identificate comprendono consapevolezza limitata della patologia o dei rischi o dell’importanza dello screening, resistenze culturali e difficoltà di accesso linguistico, che richiedono approcci metodologici specifici e contestualizzati.

Conclusioni

I programmi di screening e vaccinazione costituiscono in Italia interventi chiave per la prevenzione della mortalità oncologica, della morbilità e delle complicanze associate. Tuttavia, l’analisi delle metodologie di monitoraggio esistenti evidenzia la necessità di un profondo ripensamento strategico per superare le limitazioni metodologiche e operative che ne compromettono l’efficacia.

L’attivazione di sistemi di monitoraggio più sistematici richiede l’implementazione di architetture integrate capaci di superare la logica “a silos” che caratterizza attualmente i sistemi informativi sanitari. È necessario sviluppare Clinical Data Repository basati su standard internazionali che consentano l’integrazione semantica e sintassi di dati provenienti da fonti eterogenee. Questi sistemi dovrebbero essere strutturati secondo un modello incentrato sul paziente, sui suoi comportamenti effettivi e sul suo percorso di cura, garantendo la disponibilità di dati completi, omogenei e affidabili per tutti gli attori del sistema sanitario.

L’integrazione multidimensionale deve necessariamente includere dati clinici, organizzativi e comportamentali attraverso l’adozione di framework metodologici avanzati come l’Health Technology Assessment. Questa prospettiva multidimensionale deve considerare non solo l’efficacia clinica degli interventi preventivi, ma anche il loro

impatto organizzativo, le implicazioni sulla formazione degli operatori sanitari e l’esperienza dei pazienti e dei loro familiari.

Una particolare attenzione deve essere rivolta allo sviluppo di sistemi di governance dei dati che stabiliscano politiche, procedure e standard per la gestione integrata delle informazioni sanitarie. Questi framework devono facilitare la conformità normativa bilanciando le preoccupazioni relative a sicurezza, privacy e regolamentazione con la necessità di innovare e produrre evidenze basate su real world data.

L’integrazione dei determinanti comportamentali e cognitivi richiede l’implementazione di sistemi di sorveglianza che vadano oltre la semplice raccolta di dati epidemiologici per includere la valutazione sistematica delle barriere emotive, cognitive e sociali che influenzano l’adesione ai comportamenti preventivi. I sistemi di sorveglianza futuri dovrebbero incorporare metodologie di rilevazione delle percezioni, atteggiamenti e credenze della popolazione target, utilizzando approcci partecipativi che tengano conto delle specificità culturali e socioeconomiche dei diversi contesti territoriali.

È inoltre fondamentale sviluppare capacità di monitoraggio proattivo attraverso l’implementazione di sistemi di allerta precoce che utilizzino analisi predittive e machine learning per identificare tempestivamente popolazioni a rischio di scarsa adesione ai programmi preventivi. Questi sistemi dovrebbero essere in grado di correlare autonomamente informazioni diverse, anche nel caso di co-morbilità e situazioni complesse, fornendo un contributo attivo nell’identificazione di rischi e situazioni di allarme.

L’evoluzione verso sistemi di monitoraggio più sistematici deve necessariamente prevedere la creazione di piattaforme nazionali dinamiche che consentano un monitoraggio costante dell’implementazione delle raccomandazioni preventive a tutti i livelli del sistema sanitario. Queste piattaforme dovrebbero supportare le organizzazioni sanitarie nell’applicazione delle best practice e rilevare i determinanti organizzativi e socio-comportamentali che influenzano la compliance agli interventi preventivi.

Solo attraverso questo approccio integrato e multidimensionale sarà possibile garantire equità ed efficacia della prevenzione, superando le attuali disparità territoriali e migliorando significativamente l’adesione della popolazione ai programmi di screening e vaccinazione su tutto il territorio nazionale. L’integrazione tra prevenzione primaria e secondaria, supportata da sistemi di monitoraggio avanzati, costituisce la base per una strategia di salute pubblica realmente efficace e sostenibile nel lungo termine.

2.3. CAMBIAMENTI CLIMATICI E SALUTE: NUOVE SFIDE PER I SISTEMI SANITARI

a cura di Lorena Trivellato

Il cambiamento climatico sta andando incontro negli ultimi anni ad una prevedibile quanto allarmante accelerazione, provocando un aumento nel numero e nell’intensità dei fenomeni ad esso associati. Si tratta di un fenomeno globale che investe trasversalmente ambienti, economie e società, incidendo in modo sempre più marcato sulla salute delle popolazioni e facendo emergere con ancor più rilevanza il paradigma di One Health. Il deterioramento delle condizioni climatiche non si traduce soltanto in temperature più elevate o in piogge torrenziali più frequenti, ma è un fenomeno più ampio e sfaccettato, reso ancora più complesso da altri fattori di pressione già in atto. L’intensificarsi degli eventi climatici e metereologici estremi e l’innalzamento dei livelli di inquinamento atmosferico – alcuni degli elementi che maggiormente entrano nel discorso pubblico contemporaneo –si somma infatti a tendenze sanitarie e ambientali già preoccupanti, come l’aumento globale di stili di vita sedentari o la diffusione di diete poco salutari; questo intreccio di criticità contribuisce ad aumentare l’esposizione a fattori di rischio, amplificando quelli già esistenti o creandone di nuovi, in fasce sempre più ampie della popolazione e finisce per compromettere ulteriormente le condizioni generali di salute pubblica, contribuendo ad un progressivo aggravamento della vulnerabilità collettiva soprattutto nei gruppi sociali più svantaggiato. Secondo l’IPCC, infatti, i cambiamenti climatici possono esporre gli esseri umani sia direttamente, attraverso l’alterazione degli schemi meteorologici e l’aumento dell’intensità e frequenza di eventi estremi, sia indirettamente, alterando la qualità dell’acqua e dell’aria, la qualità e quantità del cibo, gli ecosistemi, l’agricoltura, le condizioni socio-economiche e le infrastrutture40. Tutto ciò può portare a un impoverimento della qualità della salute e ad un aumento la vulnerabilità, ma anche alla pericolosa riduzione della capacità di adattamento degli ambienti e della popolazione, specialmente se più fragili.

A livello globale, nell’arco di un secolo la temperatura media globale della superficie terrestre è aumentata di oltre 1°C rispetto ai livelli preindustriali e l’aumento medio calcolato per ogni decennio dal 1975 è di circa 0,150,20°C41. L’Europa, e in particolare l’area Mediterranea, si stanno scaldando poi più velocemente della media globale con una temperatura media aumentate di circa 1,95°C tra il 1979 e il 2022, quasi 2,5 volte più intensamente della media globale42

L’Italia non fa eccezione a questo problema e sebbene il paese abbia sviluppato negli ultimi anni alcune politiche per la mitigazione del cambiamento climatico, la salute è ancora sottorappresentata in tali politiche. E invece il legame tra salute e clima appare sempre più indistricabile, tanto da aver portato alla coniazione del neologismo “pathoclima” per indicare l’amplificazione di patologie dovuta al crescente impatto del cambiamento climatico sulla società e sull’ambiente. Il quadro generale emerso dall’analisi di diversi indicatori43 per l’Italia rivela quanto il cambiamento climatico stia influenzando la salute della popolazione italiana: prendendo uno dei dati più diretti relativi agli effetti del riscaldamento globale sulla salute, si può notare come tra il 2010 e il 2020, si sia registrato un aumento costante dell’esposizione alle ondate di calore rispetto al periodo 1986–2005, in particolare per gli adulti sopra i 65 anni, ma che ha coinvolto inevitabilmente anche i bambini sotto un anno. Come è prevedibile, le ondate di calore portano a un carico quantificabile di mortalità e morbilità in Italia ogni estate e si stima che il 2,3% dei decessi totali osservati nel 2015 sia attribuibile all’esposizione al calore.

Un altro impatto significativo ben noto è la siccità. In media, nel periodo 2017–2021, un ulteriore 25% della superficie terrestre italiana ha sperimentato almeno un mese di siccità estrema rispetto al 1950–1954, e un ulte-

50 Sinisi (a cura di). (2007). Rapporto Conferenza Nazionale Cambiamenti Climatici 2007: “Cambiamenti climatici e salute: criticità e proposte progettuali per una strategia ddi adattamento ambientale”

41 NASA Earth Obervatory 2023. Accessibile presso: https://earthobservatory.nasa.gov/images/152313/five-factors-to-explain-the-record-heat-in-2023 . Ultimo accesso 04/06/2025.

42 Buizza, R., Misiti, F., & Sannella, A. (2022). Il cambiamento climatico e l’impatto sulla salute: Le pathoclima. SocietàMutamentoPolitica: Rivista Italiana di Sociologia, 13(25), 83–95.

43 Alfano R, De' Donato F, Vineis P, Romanello M. (2023). Lancet Countdown indicators for Italy: tracking progress on climate change and health. Epidemiol Prev. MayJun;47(3):6-21.

44 Vineis, P., Beagley, J., Bisceglia, L., Carra, L., Cingolani, R., Forastiere, F., Musco, F., Romanello, M., & Saracci, R. (n.d.). (2021). Strategy for primary prevention of non-communicable diseases (NCD) and mitigation of climate change in Italy.. J Epidemiol Community Health;75:917–924.

riore 19,2% ha sperimentato siccità eccezionale. Questa crescente scarsità di risorse idriche non solo mina la disponibilità di acqua potabile, ma compromette in senso più ampio la sicurezza alimentare e il funzionamento dei servizi igienico sanitari di molte Regioni e Paesi, come i recenti fatti di cronaca nel Sud del Paese sottolineano. Ma le alterazioni climatiche stanno modificando anche l’idoneità ambientale per la trasmissione di malattie infettive, con un caso esemplificativo tra i vari, ossia il raddoppio dei casi globali di Dengue ogni decennio dal 1990: in Italia il valore R0 per la Dengue, trasmessa da una zanzara tropicale e subtropicale, è aumentato del 73% tra il periodo 1951–1960 e 2012–2021, con i maggiori incrementi nel Nord e vede il cambiamento climatico come uno dei principali fattori di questo incremento.

Non ultimo l’inquinamento atmosferico, esacerbato dall’uso continuo di combustibili fossili che rappresenta la singola maggiore fonte di emissioni di gas serra a livello globale, rappresentando il 65% di tutte le emissioni. L’inquinamento rimane ad oggi la principale causa ambientale di malattie e mortalità in Europa, con un’Italia che nel 2019 ha registrato il secondo numero più alto di decessi per esposizione a PM2,5 nell’UE44, . A completare il quadro degli impatti sanitari del cambiamento climatico, vi sono ulteriori effetti diretti e indiretti su diverse patologie e condizioni di salute. Le malattie cardiovascolari, ad esempio, rappresentano una delle principali cause di mortalità globale associate all’inquinamento atmosferico: si stima che metà dei decessi legati all’inquinamento siano imputabili a malattie cardiovascolari come infarto del miocardio e ictus, in particolare per esposizione a PM2.5 e NO₂45,46,. L’aumento delle temperature può inoltre favorire l’accumulo di particolato e di ozono al suolo, aggravando ulteriormente i rischi.

Anche le malattie respiratorie risultano in peggioramento: asma, BPCO, rinosinusiti e infezioni respiratorie vengono aggravate da un’esposizione cronica a inquinanti atmosferici e da condizioni climatiche estreme, con un impatto significativo soprattutto su soggetti con fra-

gilità cardiopolmonari pregresse (Buizza et al., 2022). In quest’ambito un altro campo di crescente attenzione è quello delle malattie allergiche: l’aumento della temperatura media e della concentrazione di CO₂ atmosferica favorisce la crescita e la diffusione di specie vegetali allergeniche, prolungando le stagioni polliniche e intensificando l’esposizione ai pollini e alle spore fungine, con un incremento di casi e una maggiore severità dei sintomi47,48,49,60,.

Le malattie neurodegenerative e la salute mentale rappresentano poi unulteriore fronte emergente: ondate di calore prolungate sono state associate a un peggioramento di patologie come la demenza e, in alcuni studi, a un aumento dei ricoveri ospedalieri per morbo di Alzheimer e Parkinson51,52,. Inoltre, crescono le evidenze di un legame tra cambiamento climatico e disturbi psichici, con un aumento dei casi di ansia, stress post-traumatico, depressione e ideazione suicidaria in seguito a eventi climatici estremi.

Equità sanitaria e climatica nelle popolazioni vulnerabili

Come per la maggior parte dei fenomeni sanitari, anche gli effetti del cambiamento climatico non sono distribuiti uniformemente e casualmente, ma seguono le linee tracciate dalle disuguaglianze sociali, economiche e ambientali. L’Italia con la sua alta percentuale di gruppi più vulnerabili in questo senso, come anziani, l’alta incidenza di malattie croniche, la presenza significativa di comunità migranti, oltre ai molti lavoratori esposti alle intemperie, come braccianti agricoli ed operai, rappresenta un teatro in cui il cambiamento climatico colpisce con particolare durezza le fasce più fragili, compromettendone ulteriormente la salute.

Evidenze scientifiche5 confermano che esperienze avverse sperimentate nei primi anni di vita, come povertà, insicurezza abitativa ma anche esposizione a stress ed eventi ambientali, lasciano un’impronta profonda e duratura sul benessere psicofisico, compromettendo po-

44 Vineis, P., Beagley, J., Bisceglia, L., Carra, L., Cingolani, R., Forastiere, F., Musco, F., Romanello, M., & Saracci, R. (n.d.). (2021). Strategy for primary prevention of non-communicable diseases (NCD) and mitigation of climate change in Italy.. J Epidemiol Community Health;75:917–924.

45 Khraishah H, Alahmad B, Ostergard RL Jr, AlAshqar A, Albaghdadi M, Vellanki N, Chowdhury MM, Al-Kindi SG, Zanobetti A, Gasparrini A, Rajagopalan S. Climate change and cardiovascular disease: implications for global health. Nat Rev Cardiol. 2022 Dec;19(12):798-812.

46 Münzel T, Sørensen M, Daiber A. Transportation noise pollution and cardiovascular disease. Nat Rev Cardiol. 2021 Sep;18(9):619-636.

47 Lake, I.R., et al. (2017). Climate Change and Future Pollen Allergy in Europe. Environmental Health Perspectives, 125(3), 385–391

48 Poole, J.A., et al. (2019). Impact of weather and climate change with indoor and outdoor air quality in asthma: A Work Group Report of the AAAAI Environmental Exposure and Respiratory Health Committee. Journal of Allergy and Clinical Immunology, 143(5), 1702–1710

49 Takaro, T.K., et al. (2013). Climate change and respiratory health: current evidence and knowledge gaps. Expert Review of Respiratory Medicine, 7(4), 349–361.

50 Barnes, C.S., et al. (2018). Impact of Climate Change on Pollen and Respiratory Disease. Current Allergy and Asthma Reports, 18(11), 59.

51 Gronlund, C. J., Zanobetti, A., Schwartz, J. D., Wellenius, G. A., & O'Neill, M. S. (2014). Heat, heat waves, and hospital admissions among the elderly in the United States, 1992–2006. Environmental Health Perspectives, 122(11), 1187–1192.

52 Bongioanni, P., Del Carratore, R., Corbianco, S., & Di Diana, A. (2021). Climate change and neurodegenerative diseases. Environmental Research, 197, 111026.

tenzialmente la salute lungo tutto l’arco della vita e portando ad un’aspettativa di vita che può essere fino a 6 anni inferiore nelle classi sociali più svantaggiate. È in quest’ottica che sono state messe a terra alcune politiche virtuose, come il Piano Nazionale della Prevenzione 2020–20254 che richiama la necessità di agire precocemente, fin dall’infanzia per contrastare questo gradiente sociale nella salute intervenendo sugli squilibri strutturali che determinano chi si ammala di più e chi viene protetto di meno.

È quindi fondamentale ribadire oggi più che mai che gli sforzi di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico siano guidati da un principio di giustizia sanitaria, che è anche climatica. Ciò implica integrare in ogni politica una valutazione dell’equità di accesso alla salute e promuovere interventi specifici che tengano conto delle condizioni particolari dei gruppi più esposti e meno protetti.

Come è stato dimostrato e ribadito ormai da vari decenni, una risposta climatica concreta, e tempestiva (nel suo, oramai, ritardo) può produrre benefici immediati e significativi per la salute pubblica. Quattro tra i numerosi macro-ambiti di interrelazione stretta clima-salute appaiono oggi di fondamentale importanza e urgenza:

• Promozione di una migliore pianificazione urbana, con l’espansione degli spazi verdi urbani, ad oggi insufficienti, volta a ridurre l’effetto “isola di calore”1, migliorare la qualità dell’aria e incentivare l’attività fisica nella popolazione, con benefici su obesità, salute mentale e malattie cardiovascolari.

• Promozione di modifiche nell’alimentazione, incentivando maggiormente la diffusione di una dieta simil Mediterranea, volta cioè ad una ad una riduzione del consumo di carne rossa con conseguenti benefici in termini di riduzione delle malattie croniche e delle emissioni agricole e zootecniche. Nel 2019, infatti, circa 24.120 decessi in Italia sono stati legati all’eccessivo consumo di carne rossa4

• Politiche di incentivazione del trasporto attivo, a piedi o in bicicletta, volto a ridurre le emissioni e l’inquinamento, ma anche, in linea con quanto accennato prima, a migliorare la salute cardiovascolare generale della popolazione e limitare l’eccesso ponderale.

• Nuova spinta nella transizione alle fonti rinnovabili di energia, essenziale per ridurre l’inquinamento at-

mosferico e ottenere ricadute positive ad ampio raggio in termini di salute, un passaggio che tuttavia in Italia appare ancora rallentato: nel 2019, solo il 17% dell’elettricità prodotta proveniva da queste fonti, solo un punto percentuale in più rispetto al 2015.

Anche nell’ambito delle sfide climatiche, dunque, il concetto di “accesso” alla salute è legato intrinsecamente connesso ad un principio di equità. Garantire un accesso equo significa non solo assicurare che tutte le persone possano usufruire di servizi sanitari adeguati, ma anche affrontare le disuguaglianze ambientali e sociali che aggravano i rischi per la salute, soprattutto tra le fasce più vulnerabili della popolazione con politiche di prevenzione che non si militano alla promozione di scelte individuali, bensì di interventi strutturali: incentivi fiscali per pratiche sostenibili, pianificazione urbana orientata alla salute e alla resilienza climatica e misure ambientali che riducano l’inquinamento e promuovano ambienti salubri sono solo alcuni degli interventi che bisogna intensificare.

Appare evidente come sia ad oggi fondamentale parlare di clima e salute in termini di co-benefici; ciò in parte sta già avvenendo, ma l’interrelazione dei due aspetti non sembra essere sottolineata nei discorsi istituzionali con l’attenzione e l’urgenza che merita. Un passo avanti in tal senso è stato registrato nel 2021, con la proposta ministeriale del Piano per la Transizione Ecologica che ha inserito la salute come prioritaria e destinataria nelle politiche climatiche, menzionando per la prima volta i cobenefici per la salute derivanti dall’azione climatica, chiedendo un approccio riassumibile con “la salute in tutte le politiche”53-

È importante sottolineare che anche la ricerca scientifica italiana sul rapporto tra cambiamento climatico e salute è in espansione: l’Italia si è posizionata al 15° posto a livello mondiale nel 2021 per numero di pubblicazioni scientifiche sul tema condotte da ricercatori locali, un trend promettente per lo sviluppo di politiche sanitarie e ambientali fondate su solide evidenze4. Tuttavia è importante riconoscere che anche il settore sanitario stesso ha una responsabilità diretta contribuendo in modo importante alle emissioni: in Italia, bisogna riconoscere come tali emissioni siano relativamente basse rispetto ad altri paesi europei, ma non sono diminuite in modo

53 Vineis, P., Romanello, M., Michelozzi, P., & Martuzzi, M. (2022). Health co-benefits of climate change action in Italy. The Lancet Planetary Health, 6(4), e293–e294

significativo dal 20054, motivo per cui, in concordanza con gli obiettivi di salute urbana, pubblica e One Health, il sistema sanitario dovrebbe assumere un ruolo guida nella transizione ecologica, ponendosi come esempio di decarbonizzazione e sostenibilità sistemica.

I fenomeni descritti impongono un atteggiamento proattivo da parte delle istituzioni, della popolazione e dei diversi stakeholder nell’ambito della salute pubblica, nonché una riorganizzazione dei sistemi di prevenzione ambientale e sanitaria, con la definizione di adeguati piani e programmi di adattamento che si integrino con i sistemi di allarme e risposta. In un periodo storico di trasformazione e riassetto dei sistemi sanitari e delle politiche di sanità pubblica, l’Italia ha l’opportunità di implementare azioni con ricadute importanti e immediati benefici per la salute della popolazione, accelerando le iniziative per la mitigazione dei cambiamenti climatici che offrono cobenefici sanitari: aria più pulita, riduzione del riscaldamento globale, spazi verdi e stili di vita più attivi, alla base di una rinnovata qualità della vita e della salute.

2.4. L’EVOLUZIONE DELLE PROFESSIONI SANITARIE: NUOVE COMPETENZE E MODELLI DI CURA

a cura di Lorenzo Susanna, Gianluca Vaccaro

La produzione e il consumo di conoscenza medica sono oggi fenomeni complessi e dinamici a causa dell’assunta rilevanza dei media digitali e la frammentazione dei mezzi d’informazione. Le narrazioni mediatiche contribuiscono a plasmare ciò che è percepito come scientificamente accettabile o socialmente desiderabile, influenzando il comportamento degli utenti e le scelte sanitarie che essi compiono. Questa diffusione di informazioni senza precedenti ha dato origine al fenomeno dell’infodemia, del quale si sono potute osservare le più nitide conseguenze durante la pandemia da corona virus. Nello scenario odierno in cui il paziente è un soggetto proattivo alla continua ricerca di informazioni, anche e soprattutto in ambito medico, una massiccia disponibilità di informazioni da fonti non controllate risulta uno dei principali rischi che vanno a influenzare le decisioni di cura prese dai pazienti e a minare il corretto funzionamento del Sistema Sanitario Nazionale stesso.

Nel contesto mediatico descritto risulta fondamentale per i professionisti sanitari sfruttare il proprio ruolo di esperto per intervenire nella narrazione collettiva in ambito sanitario. Per fare ciò è importante porre il focus nella relazione con il paziente al fine di renderla più forte e ristabilire un rapporto di fiducia mai del tutto perso. In ottica disciplinare si rende necessario passare dall’attuale modello patient-centered care a un modello di patient engagement, dove il paziente non è più

mero oggetto della cura, ma parte attiva del percorso. Questa direzione può essere intrapresa nel pratico attraverso il paradigma scientifico della “medicina delle 4P” che suggerisce un trattamento delle malattie personalizzato, predittivo, preventivo e partecipativo. Questo approccio mira da una parte a coinvolgere il paziente nelle scelte terapeutiche promuovendone l’empowerment e la health literacy, dall’altra permette di ridurre i costi e migliorare la sostenibilità del sistema sanitario. In questo senso, infatti, ad un maggiore empowerment del paziente corrisponde non solo una maggiore adesione terapeutica, ma anche la riduzione degli accessi impropri e dei costi ospedalieri. In ultimo, nell’ottica di un modello partecipativo, il coinvolgimento attivo dei caregiver è fondamentale perché aiuta a interconnettere i due punti del sistema, rendendo però la comunicazione meno normata.

Il modello classico centrato sulla figura del medico come unico depositario del sapere clinico dovrà lasciare spazio a un approccio partecipativo in cui il paziente assume un ruolo sempre più attivo e consapevole. Il coinvolgimento attivo nel processo di cura, del resto, è tra gli aspetti con più margini di miglioramento all’interno dei servizi sanitari.

Affinché l’empowerment che si vuole affidare al paziente sia trasferibile, il processo evolutivo deve partire dalla figura del medico. Ciò implica per i nuovi dottori lo sviluppo di competenze sia cliniche ma anche comunicative e relazionali. In questo scenario, il framework CanMEDS, adottato in Canada e ormai riferimento internazionale, può essere inteso come punto di riferimento per la definizione delle competenze del medico moderno. Questa struttura descrive la figura del Medico esperto come colui che integra e possiede sei competenze chiave:

• Comunicatore: capace di facilitare una comunicazione bilaterale efficace e centrata sul paziente.

• Collaboratore: abile nel lavoro di squadra multidisciplinare.

• Leader: promotore di cambiamento e innovazione nei sistemi sanitari.

• Health Advocate: responsabile della salute pubblica e attento ai bisogni della comunità.

• Studioso: impegnato nell’apprendimento continuo e nella condivisione della conoscenza.

• Professionista: garante di etica, responsabilità e standard elevati di comportamento oltre che consapevole del proprio ruolo all’interno di un sistema complesso.

Le competenze evidenziate dal sistema canadese, in particolar modo quella del comunicatore e dell’health advocate, riflettono la necessità di rispondere a una società in cui il paziente è sempre più informato, proattivo e desideroso di partecipare alle decisioni che riguardano la propria salute. La revisione sistemica del ruolo del medico deve partire in questo senso dall’aggiornamento dei percorsi formativi così come dalla semplificazione della suddivisione dei compiti attraverso la promozione del task shifting. La redistribuzione dei compiti tra professionisti sanitari consente infatti di evitare sovrapposizioni migliorando il lavoro di squadra e aumentando l’efficacia dell’assistenza.

I percorsi di aggiornamento sin qui delineati si concentrano sulle abilità e sugli approcci che i professionisti della salute dovrebbero integrare nella loro attività quotidiana. Tra questi è chiaro il focus sulla centralità del paziente, con particolare attenzione alla prevenzione e promozione della salute che mira a rafforzare l’engagement dei cittadini. La prevenzione, tuttavia, rappresenta una sfida complessa. Il concetto di compliance – ovvero l’aderenza del paziente alle terapie – si complica nei casi in cui la persona si sente in salute poiché prendere un

farmaco quotidianamente per prevenire un evento futuro risulta meno motivante rispetto a intervenire in presenza di sintomi. Questo paradosso è uno dei temi principali su cui porre attenzione in fase di implementazione delle politiche sanitarie preventive. Ridurre la rinuncia alle cure e investire in alfabetizzazione sanitaria rappresenta una strategia sostenibile e inclusiva, capace di ridurre le disuguaglianze e migliorare gli esiti clinici.

A questa via tracciata vanno affiancati miglioramenti a livello strutturale capaci di intercettare le sfide e le opportunità offerte dal nostro momento storico, che consentano ai medici di muoversi all’interno di ecosistemi snelli e interconnessi. In tal senso, assumono rilevanza azioni mirate al rafforzamento dell’assistenza territoriale per garantire cure di prossimità attraverso lo sviluppo di case e di ospedali di comunità e il potenziamento della medicina di base. L’implementazione di una sanità digitale e della telemedicina attraverso il fascicolo sanitario elettronico e l’integrazione di servizi, anche a distanza. Infine, si fa fondamentale il rafforzamento della collaborazione tra istituzioni, strutture e professionisti, valorizzando la farmacia dei servizi e promuovendo l’Health Technology Assessment per l’adozione delle tecnologie sanitarie.

2.5.

LA SOSTENIBILITÀ DELLA SPESA SANITARIA:

ALLOCAZIONE DELLE RISORSE E MODELLI FUTURI

a cura di Lorenzo Susanna, Gianluca Vaccaro

La spesa sanitaria rappresenta oggi una sfida delicata a causa del contesto di invecchiamento della popolazione italiana (l’Italia è il Paese più anziano d’Europa) e delle crescenti disuguaglianze sociali. Situazione ancor più da attenzionare dal momento in cui la spesa pubblica in ambito sanità si attesta intorno al 6,3% del PIL, il che rende il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) tra i meno finanziati d’Europa. Per questi motivi ci troviamo ad affrontare una crisi strutturale: da una parte l’aumento della domanda di salute, dall’altra un sottofinanziamento cronico e una capacità organizzativa che fatica a riformarsi. Il rischio è quello di un progressivo indebolimento del SSN, con effetti negativi soprattutto per le fasce più vulnerabili.

Alcune tecnologie emergenti come la medicina di precisione, basandosi su una classificazione molecolare della malattia, sembrano offrire soluzioni sempre più mirate e “appropriate” per ogni singolo paziente. Tuttavia, se da un lato queste innovazioni promettono cure più efficaci, dall’altro pongono rilevanti problemi di sostenibilità economica: più si restringono i sottogruppi di pazienti, più aumentano i costi delle terapie. L’adozione di questi approcci rischia di accentuare disuguaglianze tra chi può permettersi l’accesso a cure altamente specialistiche e chi no.

Interventi sulla spesa sanitaria non possono prescindere inoltre dall’analisi dei determinanti sociali e ambientali della salute. Il cosiddetto esposoma, ovvero l’insieme dei fattori ambientali e sociali a cui è esposto un individuo nell’arco della propria vita, incide profondamente sulla salute della popolazione. Il contesto abitativo genera disparità in relazione alla qualità dell’ambiente urbano in cui si vive, così come le disuguaglianze sociali si traducono in disparità comportamentali, ad esempio per la pratica sportiva, per le abitudini alimentari e per gli approcci a sostanze nocive come il tabacco. Si osserva come fasce di popolazione meno agiate siano penalizzate dal punto di vista dell’esposizione ambientale e siano portate a instaurare abitudini meno sane rispetto alle fasce più benestanti. Tutti questi fattori aumentano l’incidenza di malattie croniche e degenerative come obesità, diabete, patologie cardiovascolari e neurodegenerative. Ma non

solo fattori sociali, perché l’inquinamento, la diffusione di microplastiche attraverso vie alimentari o inalatorie e persino la luce artificiale che altera i ritmi circadiani dell’essere umano, sono solo alcuni esempi di come l’ambiente urbano moderno rappresenti un rischio sistemico per la salute pubblica. La strada delineata dall’approccio One Health, che sottolinea l’interconnessione tra salute umana, animale e ambientale, sembra essere in questo senso la giusta traiettoria nella quale direzionare gli investimenti. Ripensare le città in chiave sostenibile unitamente a politiche pubbliche di prevenzione, sicurezza alimentare e promozione di stili di vita sani significa non solo ridurre i fattori di rischio, ma anche promuovere modelli di vita più congruenti con la fisiologia umana.

Nel Sistema Nazionale Italiano, come analizzato, gli investimenti sono insufficienti e allo stesso tempo l’invecchiamento generale della popolazione non permette proiezioni troppo positive nel breve termine a causa del peso della spesa pensionistica legato al calo dei contributi versati dal settore lavorativo. In questo contesto, per rendere sostenibile la sanità pubblica occorre ripensare il modello universalistico in chiave selettiva, garantendo l’accesso universale ai servizi essenziali, ma con una maggiore selettività nell’allocazione delle risorse e nella copertura delle prestazioni. Per esempio, per ridurre alcune sovrapposizioni tra servizi erogati, servirebbe indirizzare verso la sanità integrativa chi ha una tutela sanitaria pagata dalla propria azienda cosicché il SSN non si sovraccarichi e possa rimanere libero per le fasce sociali realmente bisognose. La strada da percorrere a questo scopo è duplice.

In primo luogo, si fa rilevante governare le aspettative nei confronti del SSN esplicitandone i limiti tramite i canali che godono di più fiducia agli occhi della cittadinanza (medici specialisti, medici di medicina generale e riviste specializzate). Questa azione, unita alla ridefinizione delle prestazioni garantite indirizzando le risorse verso i pazienti più fragili, permetterebbe di mettere preventivamente a conoscenza la cittadinanza delle reali possibilità del sistema sanitario ed evitare il mismatch tra la domanda e l’offerta. A tal proposito, basti pensare che il

confine tra normale e patologico è storicamente e socialmente situato e soggetto a continue negoziazioni sulla base di aspetti culturali e tecnologici. Nell’epoca odierna, le tecnologie di ottimizzazione si sono inserite all’interno della polarità salute-malattia, particolarizzando maggiormente il range in cui il paziente è considerabile in stato di buona salute e proponendo azioni di cura anche per questi casi. L’influenza culturale e l’autorità professionale degli operatori della salute trasformano vissuti ed esperienze soggettive in malattie o questioni di natura medica. Non rendere tutto patologia aiuterà a non sovraccaricare il sistema sanitario nazionale, concentrandosi su buoni standard di salute e non su standard di perfetta salute.

In secondo luogo, è richiesto un cambio di rotta organizzativo per il quale la strategia di allocazione punti alla riorganizzazione dei servizi per ridurre sprechi e inefficienze. Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso una valutazione rigorosa delle tecnologie e dei farmaci tramite l’Health Technology Assessment (HTA) per ottimizzare le scelte di investimento, così come l’implementazione di modelli di cura che favoriscano la medicina territoriale, la digitalizzazione e la telemedicina. In

quest’ottica si inserisce, oltre al Fascicolo Sanitario Elettronico, anche l’European Health Data Space, che mira a creare un ecosistema digitale condiviso per facilitare l’accesso e la condivisione dei dati sanitari. Tale infrastruttura può rendere più efficiente l’intero sistema favorendo l’appropriatezza delle cure e riducendo gli ostacoli logistici. In ottica di efficientamento, altre azioni implementabili sono una maggiore integrazione tra pubblico e privato e la revisione dei ruoli professionali attraverso il task shifting. Politiche finalizzate direttamente ad attrarre, formare e trattenere personale sanitario qualificato sono infine fondamentali in ottica di rafforzamento del capitale umano per colmare il divario con gli altri Paesi europei.

2.6 DEMOCRATIZZAZIONE IA

a cura di Emanuele Corsaro, Piero Savastano, Gianluca

TRA L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E QUELLA UMANA PER CREARE SISTEMI SANITARI E URBANI SOSTENIBILI, DEMOCRATICI, ETICI E ACCESSIBILI

Nel dibattito sull’intelligenza artificiale (IA), l’attenzione si concentra sempre più sulla necessità di garantire innovazione tecnologica, trasparenza ed equità sociale. Il focus è su un’IA che non solo rafforzi la privacy e la gestione dei dati, ma che stimoli anche una democratizzazione dell’innovazione, permettendo a utenti, imprese e istituzioni di accedere a soluzioni etiche e sostenibili.

Intelligenza Artificiale nel settore sanitario e urbano: le opportunità da cogliere

Uno degli ambiti più delicati in cui l’IA sta avendo un impatto significativo è quello sanitario. L’IA può essere infatti utilizzata in una moltitudine di modi, molti dei quali già visibili e altri ancora in fase di valutazione per via delle numerose implicazioni che si portano dietro. È così che oggi grazie al machine learning, alle reti neurali e al deep learning, l’IA non si limita a supportare i medici nelle diagnosi o nella raccolta o sistematizzazione delle informazioni cliniche, ma può ridefinire in senso più ampio la gestione dei pazienti, supportare la personalizzazione delle terapie e accelerare la ricerca di nuovi trattamenti, solo per fare alcuni esempi. Analizzando milioni di dati in tempo reale, l’IA è infatti in grado di pianificare l’utilizzo più efficace delle risorse, snellire le liste d’attesa, fornire previsioni sui tassi di aderenza terapeutica dei pazienti (su questo ad esempio l’esperienza del progetto e algoritmo Da.Ba.Tool di Bhave che consente di prevedere l’aderenza terapeutica dei pazienti e modellizzare in tempo reale gli elementi comportamentali e attitudinali che incidono su di essa) e numerosi altri sbocchi che permettono di progettare, e non più solo immaginare, un nuovo sistema sanitario del futuro.

Ma oltre alla sanità, altri campi sociali, in cui si stanno giocando sfide di democratizzazione dell’IA, riguardano la gestione e la pianificazione delle città. L’IA applicata alla gestione urbana può ridurre l’inquinamento, migliorare la sicurezza e rendere le città più vivibili. Ad esempio, nella mobilità sostenibile, sistemi predittivi regolano i flussi di traffico, riducendo emissioni e tempi di percorrenza. Tuttavia, l’implementazione di modelli IA nelle infrastrutture deve essere accompagnata da una

progettazione urbanistica che privilegi il benessere umano: ridurre il traffico non è sufficiente se non si creano spazi pubblici che favoriscano socialità e accessibilità.

Nella gestione dei rifiuti, l’IA ottimizza i percorsi di raccolta e promuove il riciclo intelligente, prevenendo rischi sanitari legati all’accumulo di scarti. Ma è cruciale garantire che queste tecnologie siano implementate in modo equo, evitando di trascurare le zone meno redditizie per gli algoritmi.

Anche nella sicurezza urbana, strumenti di sorveglianza avanzata e analisi predittive permettono di prevenire crimini e migliorare il controllo del territorio. Tuttavia, l’eccessivo affidamento a questi sistemi potrebbe minare la privacy e la libertà individuale. La sicurezza urbana dovrebbe essere progettata non solo con un approccio tecnologico, ma anche con strategie sociali che rafforzino la coesione comunitaria e la partecipazione cittadina. Tutti esempi che ci permettono di capire come la dimensione gestionale e tecnologica dell’IA debba essere guidata e bilanciata da un’intelligenza umana consapevole, capace di integrare criteri etici, scelte valoriali e indirizzi politici nel processo decisionale. In poche parole, diventa sempre più importante elaborare sistemi consapevoli attraverso i quali le organizzazioni e le istituzioni siano in grado di prendere decisioni di pianificazione ed operative, stabilire regole e gestire risorse per raggiungere determinati obiettivi. Sono sistemi di processi, strutture e meccanismi che guidano e controllano l’azione collettiva, garantendo trasparenza, responsabilità e partecipazione e la cui elaborazione non può essere delegata a modelli di linguaggio o statistici.

L’equilibrio tra automazione e responsabilità umana diventa dunque essenziale per garantire un utilizzo dell’IA che rispetti i diritti fondamentali e promuova il benessere collettivo.

In questo contesto anche nello specifico l’IA generativa sta rimodellando profondamente sia il settore sanitario che quello urbano, influenzando l’organizzazione dei servizi, la gestione e la distribuzione delle risorse. Gli impatti più rilevanti includono:

• Medicina personalizzata e diagnosi predittiva: L’IA generativa consente ad esempio analisi avanzate sui dati genetici e clinici, permettendo diagnosi più precise e trattamenti su misura per i pazienti. Ciò migliora le possibilità di cura e previene l’aggravarsi delle patologie.

• Ottimizzazione delle risorse ospedaliere con strumenti di previsione avanzati supportando ad esempio la pianificazione della capacità ospedaliera, assicurando che strutture e personale siano impiegati nel modo più efficiente possibile.

• Rilevamento precoce delle epidemie e gestione delle crisi sanitarie permettendo di analizzare dati epidemiologici e sociali in tempo reale, identificando focolai di malattie infettive e permettendo risposte tempestive per contenere la diffusione.

• Sistemi di assistenza digitale per pazienti e cittadini come Chatbot e assistenti virtuali basati su IA che migliorano l’accesso alle informazioni sanitarie, riducendo la pressione sui centri di assistenza e garantendo un supporto immediato ai cittadini.

Ora questi indiscutibili vantaggi legati all’uso dell’IA necessitano di un adattamento tecnologico ai sistemi se non in alcuni casi alla costruzione stessa di nuovi sistemi e realtà che siano sintatticamente e semanticamente basati sull’IA, in sostanza che siano su misura per queste tecnologie.

Questo ha creato un divario tra i progressi tecnici e le capacità umane di sfruttarli al meglio sviluppando condizioni in cui le persone sono sempre meno in grado di controllare le proprie scelte, lasciandosi dominare dalla tecnologia per comodità e immediatezza. Quello a cui si può assistere in sostanza non è solo la costruzione di realtà a misura di IA ma anche implicitamente e non deterministicamente la costruzione di bisogni umani a misura di IA come, ad esempio, la costruzione di modelli di relazioni sociali che ripercorrono modalità di interazione superficiali e sul piano esistenziale insoddisfacenti e/o disfunzionali per gli esseri umani. Strade, reparti ospedalieri, procedure sanitarie, parchi, supermercati, spazi verdi e strumentazioni diagnostiche sono sempre più progettati in funzione delle logiche e delle esigenze dell’IA, piuttosto che delle necessità e del benessere umano. Si tratta di mondi che risultano più ‘IA-friendly’ che ‘human-friendly: delle ergonomie algoritmiche, computazionali, digitali, automatizzate più che umane.

IA nel settore sanitario: i rischi da attenzionare per

una reale democratizzazione

In questo momento di cambiamento radicale del nostro processo di produzione del sapere, infatti sono numerosi anche i rischi che emergono e gli aspetti da attenzionare da vicino in modo tale da indirizzare il cambiamento nella giusta direzione e con gli opportuni confini. Quando di parla di “democratizzazione dell’IA” in ambito sanitario non si può fare a meno di considerare infatti l’effetto snowball che tali strumenti possono produrre a valle, se non vengono ben progettati a monte. Uno degli aspetti che è stato messo in evidenza già da tempo, è ad esempio un bias insito nell’algoritmo che può determinare discriminazione nell’analisi delle informazioni sanitarie. Gli algoritmi di intelligenza artificiale, infatti, per funzionare in modo efficace, necessitano di un ampio numero di dati su cui essere addestrati. Tuttavia, quando il dataset di riferimento è limitato o non rappresentativo dell’intera popolazione, il rischio di distorsioni nei risultati aumenta considerevolmente (cfr. Domingos, 2016) e in ambito sanitario, questi bias possono avere conseguenze significativamente negative, portando a decisioni errate che penalizzano interi gruppi di pazienti storicamente sottorappresentati nei database biomedicali. Di conseguenza, l’IA rischia di riprodurre e amplificare pregiudizi già radicati nella società, contribuendo a rafforzare le disuguaglianze esistenti invece che abbatterle.

A ben vedere, infatti, è in realtà errato sostenere che l’IA lavori sui dati grezzi che le vengono forniti. Per funzionare adeguatamente, come dimostrano vari successi in campo biomedico (Jumper et al., 2021), l’IA ha bisogno di dati preparati adeguatamente, ossia di lavorare su modelli di conoscenza preesistenti. Per rendere efficace il processo di democratizzazione della conoscenza, non ci si può limitare a rendere i dati disponibili, bensì questi devono andare incontro ad un processo di curation, che li trasformi in modelli coerenti ed espliciti, ossia in rappresentazioni strutturate della conoscenza (Dessimoz & Thomas, 2024).

Le sfide attuali che mettono a repentaglio l’imparzialità nell’intelligenza artificiale sono perciò complesse e si manifestano in quasi ogni fase dello sviluppo di uno strumento e vedono numerosi dei rischi di bias che accomunano qualsiasi ricerca scientifica. Fin dall’inizio, il problema può insorgere con l’utilizzo di dataset che possono essere usati come base di addestramento e che risultano, come abbiamo accennato, non equilibrati o non rappresentativi dell’intera popolazione. A ciò si aggiunge la fase di raccolta dei dati, che spesso avviene attraverso

sistemi influenzati dalla soggettività umana, introducendo ulteriori distorsioni. Inoltre, la mancanza di regolamentazioni adeguate durante la progettazione degli algoritmi apre la porta a errori strutturali, mentre la replicazione involontaria di pregiudizi già presenti e radicati nella società, dovuta alle informazioni già presenti nei database, contribuisce a perpetuare ineguaglianze.

Tutto ciò rende necessaria una governance sia verso gli strumenti che verso le realtà e i sistemi in grado di relazionarsi con questi strumenti con protocolli etici ben strutturati per garantire equità e trasparenza nell’uso della tecnologia. Margaret Goralski, una delle studiose più autorevoli sul tema, ha fatto notare a questo proposito che i leader politici devono, con urgenza, assumersi la responsabilità di pianificare e gestire attivamente l’accesso e l’adozione di applicazioni dell’IA a beneficio della società, proteggendo così le persone più vulnerabili e attenuando gli impatti negativi sui gruppi sociali più a rischio (Goralski, 2020).

La gestione dei dati e le implicazioni etiche: i paradigmi open source

In questo contesto, la gestione dei dati e le implicazioni etiche assumono un ruolo dunque determinante nel dibattito attuale.

Fra le principali sfide attuali nell’ambito dell’intelligenza artificiale vi è la tutela e il controllo sui dati, una problematica che ripropone le stesse criticità già emerse con il web e i social network. I dati sensibili e personali rappresentano il vero valore nell’ecosistema digitale, eppure il loro ruolo cruciale rischia di essere trascurato. In realtà data driven il “dato” è il valore e la misura. Sia per l’addestramento dei modelli che per l’interazione con gli utenti, i dati sono il fulcro dell’IA, ma la fluidità e la naturalezza dell’esperienza d’uso possono indurre a dimenticare che dietro ogni conversazione si cela un software, spesso centralizzato e controllato da grandi aziende tecnologiche internazionali.

Legato a questo tema quello che riguarda il grado di autonomia conferito a questi sistemi. Sebbene l’obiettivo sia quello di automatizzare il più possibile, l’automazione si configura come un continuum e non può prescindere dalla valutazione del contesto d’uso. In molti settori, la responsabilità finale non potrà che rimanere in capo agli esseri umani, relegando l’IA al ruolo di assistente. Il monitoraggio e la supervisione umana risultano indispensabili per garantire che le decisioni prese dai sistemi intelligenti siano conformi ai criteri etici e operativi richiesti.

Un ulteriore nodo critico è rappresentato dai sistemi di

valori su cui le IA vengono addestrate. Questo tema è estremamente complesso e articolato, poiché le intelligenze artificiali riflettono inevitabilmente i principi e le prospettive dei loro sviluppatori. Ad esempio, le IA occidentali tendono a privilegiare una visione favorevole ai paesi occidentali, una maggiore sensibilità alle tematiche di genere, la promozione del libero mercato e una determinata narrazione politica. Tuttavia, tali impostazioni non sono oggettive o neutre, bensì frutto delle scelte compiute da individui e imprese. È quindi essenziale interrogarsi in profondità sulle implicazioni culturali e ideologiche che questi sistemi incorporano e diffondono.

A rendere ancor più complesse queste problematiche è la nostra naturale tendenza a proiettare caratteristiche umane sulle macchine con cui interagiamo. Il linguaggio e il comportamento apparentemente “intelligenti” delle IA possono indurre a dimenticare che si tratta di software privi di coscienza e intenzionalità. Questa antropomorfizzazione rischia di offuscare la consapevolezza delle dinamiche tecniche e commerciali che stanno alla base dell’intelligenza artificiale.

In questo contesto l’approccio open source emerge come una valida strategia per contrastare alcune criticità. Un esempio concreto di questo approccio è il progetto tutto italiano del data scientist Piero Savastano Cheshire Cat, un framework open source di rilevanza europea che consente agli utenti di mantenere il controllo sui propri dati, evitando la condivisione obbligata con server esterni. Questo modello rappresenta un caso di successo nell’integrazione di etica e tecnologia, ponendosi come alternativa ai modelli centralizzati dominati dai giganti tecnologici.

In definitiva, a differenza del modello centralizzato proposto dai grandi player tecnologici, progetti come Cheshire Cat dimostrano che è possibile sviluppare soluzioni IA open source integrate con modelli come GPT o altre soluzioni aperte, fornendo alle aziende strumenti efficaci senza la necessità di dipendere da colossi tecnologici.

Progetti come questi dimostrano che la collaborazione tra sviluppatori, tecnici e aziende può generare valore condiviso, favorendo una crescita collettiva basata sulla condivisione del sapere. Il futuro dell’IA vedrà una crescente integrazione tra capacità linguistiche, visive e simboliche. L’evoluzione dell’IA renderà questi strumenti sempre più personalizzati e predittivi, capaci di ampliare la nostra capacità di anticipare scenari, adattarci al cambiamento e trasformare i dati in intuizioni strategiche, aprendo a nuove sinergie tra conoscenza e visione.

Il ruolo sociale dell’IA e le responsabilità degli sviluppatori sono ancora in fase di definizione. Tuttavia, è fondamentale sottolineare che la responsabilità non ricade esclusivamente su chi progetta e distribuisce queste tecnologie, ma anche sugli utenti che ne fanno uso. L’attuale ondata di automazione avrà ripercussioni significative non solo sul mercato del lavoro, ma anche sulla percezione stessa dell’essere umano e della sua quotidianità. La sfida non è solo tecnologica è ontologica e profondamente culturale e sociale, e richiede un impegno condiviso per garantire un’evoluzione dell’IA eticamente sostenibile e inclusiva.

Come si può vedere, l’IA può influenzare dunque profondamente il comportamento umano e migliorare le dinamiche decisionali di aziende e istituzioni. Tuttavia, è essenziale riflettere sulle implicazioni sociali e psicologiche dell’interazione con gli assistenti virtuali e sulle responsabilità legate al loro sviluppo.

L’IA non si inserisce su una tabula rasa di conoscenze, bensì su millenni si sapere organizzato e sistematizzato elaborato dalle comunità umane. In questo senso, non può essere considerato come uno strumento autonomo e isolato dal comportamento umano, e l’integrazione tra metodologie di behavioral sciences e soluzioni IA consentirà di migliorare il rapporto tra tecnologia e utente, e la consapevolezza crescente dell’IA non come mero acceleratore di calcoli, ma ponte dinamico tra l’ingegno umano e il futuro, dove il dialogo tra uomo e macchina diventa co-evoluzione e non sostituzione.

E di rimando, tutto ciò ci aiuterà a comprendere meglio anche il nostro stesso di comportamento: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sottolinea l’importanza di combinare scienze comportamentali e IA per analizzare i dati e comprendere meglio i modelli decisionali umani, prevedere tendenze future e ottimizzare strategie di intervento. Tuttavia, come è stato mostrato, la governance etica - la cui responsabilità rimane tutta umana - sia dell’IA che dei diversi mondi prodotti e significati è fondamentale per produrre un sapere non distorto, garantire equità e trasparenza nella conoscenza e, in ultima analisi, una reale democratizzazione di tale strumento, dei diversi sistemi e della realtà.

BIBLIOGRAFIA

Dessimoz, C., & Thomas, P. D. (2024). AI and the democratization of knowledge. Scientific Data, 11, Article 268

Domingos P., (2016), L’algoritmo definitivo. La macchina che impara da sola e il futuro del nostro mondo. Bollati Boringhieri, Torino.

Goralski M., Keong Tan T. (2020), Artificial intelligence and sustainable development, in «The International Journal Of Management Education» 1, Marzo 2020, pp. 200-325.

Jumper J, Evans R, Pritzel A, Green T, Figurnov M, Ronneberger O, Tunyasuvunakool K, Bates R, Žídek A, Potapenko A, Bridgland A, Meyer C, Kohl SAA, Ballard AJ, Cowie A, Romera-Paredes B, Nikolov S, Jain R, Adler J, Back T, Petersen S, Reiman D, Clancy E, Zielinski M, Steinegger M, Pacholska M, Berghammer T, Bodenstein S, Silver D, Vinyals O, Senior AW, Kavukcuoglu K, Kohli P, Hassabis D. Highly accurate protein structure prediction with AlphaFold. Nature 596, 583–589 (2021).

Pattaro, A. F. (2022, 18 gennaio). Più diseguaglianze in sanità con l’intelligenza artificiale? Le sfide. Agenda digitale. Consultabile al: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/lia-in-sanita-alimenta-le-disuguaglianze-problemi-e-possibili-precauzion i/

2.7 DIGITAL DIVIDE E ACCESSO AI SERVIZI SANITARI: DISPARITÀ

DELL’USO DELLE TECNOLOGIE DIGITALI IN SALUTE

a cura di Antonio

DIGITAL DIVIDE: COORTI NEGLETTE E CLUSTERIZZAZIONI ARBITRARIE O MALATTIA SISTEMICA EVOLUTIVA CONSEGUENTE ALLA RIVOLUZIONE DIGITALE?

Premessa

Vi sono centinaia di pubblicazioni scientifiche sul digital divide, ma poche e non sufficienti revisioni sistematiche. Vengono riportate descrizioni di barriere fisiche, tecnologiche, psicologiche, emozionali, sociali, economiche che impediscono l’accesso dei cittadini alla fruizione competa e armonica di prestazioni sanitarie erogate attraverso tecnologie digitali innovative.54 Si sostiene che per migliorare l’accesso a servizi di telemedicina e ad altre risorse sanitarie digitali, serviranno politiche che promuovano l’uguaglianza digitale e la progettazione universale (1) o si propone di aumentare il capitale culturale e le abilità tecnologiche per migliorare la protezione della salute in particolare negli anziani (2), di impegnarsi per eliminare le disparita nel sociale e nel livello di educazione e di fornire i mezzi necessari al progresso e maggiori conoscenze tecnologiche, in particolare tra i poveri (3); ancora si ipotizza che aumentando le risorse per la “educational technology” e per le infrastrutture (anche hardware) di avranno numerosi e diversi benefici sociali futuri (4) o si consiglia di insistere su una progettazione “inclusiva e accessibile” delle tecnologie sanitarie e assieme di dare priorità alle persone più vulnerabili al divario digitale e si prevedono maggiori benefici dalle tecnologie più innovative (5). Per altro solo ora si stanno costruendo modelli per studiare l’integrazione tra innovazione tecnologica ed equità digitale considerando quest’ultima un requisito irrinunciabile della tecnologia stessa (6) e studi molto recenti indicano la sostanziale assenza di letteratura sufficiente a proporre modelli di formazione efficaci e validati in molti ambiti (7) (8).

Queste poche citazioni sono esemplificative del c.d. determinismo tecnologico, che sta fortemente influenzando

larga parte della letteratura: ovvero si assume -senza mai darne compiuta dimostrazione sperimentale- che l’avvento di tecnologie innovative porterà necessariamente a risultati migliori o grandi benefici per la società. Cosa questa in parte dimostrata della storia della evoluzione delle società a seguito dello sviluppo del pensiero, della cultura, delle scienze e delle tecniche (il “progresso”). Ma si dimentica che il “progresso” comprende anche i processi di selezione delle innovazioni, mode, teorie, tecnologie, ecc. la maggior parte delle quali è destinata alla damnatio memoriae55 o alla semplice scomparsa inerziale. Bias di selezione: solo i vincitori passano alla storia.

Oggi non sappiano, delle numerose rivoluzioni digitali, simil-digitali e para-digitali, quali saranno quelle utili e prive di side effect. Problema non di poco conto. Sappiamo in compenso che l’era digitale sta scomparendo e che nuove rivoluzioni scientifiche sono già dietro la porta.

Queste considerazioni, che si proiettano sui prossimi due o tre decenni, non devono però distoglierci dalla analisi delle criticità attuali, figlie del “”progresso””recentissimo Eccole.

Digital Divide, criticità

Le barriere principali non sono causate solo dalla assenza di adeguati strumenti o di adeguate istruzioni per l’uso, ma dalle risposte delle persone, più spesso reattive, raramente attive e quasi mai pro-attive.

La mancata risoluzione delle varie componenti del Digital Divide (economiche, sociali, tecnologiche ecc.) crea coorti neglette, fino alla esclusione di singoli o gruppi non solo dalla fruizione di una prestazione, ma dal contesto organizzativo e sociale in cui essa viene erogata.

In altri casi essa determina la creazione di enclavi con diversa resilienza e capacità, spesso dotate di una struttura

55 Come una famosa tecnica per curare o resuscitare gli annegati seguendo la teoria dei 4 elementi fondamentali da cui deriva il principio “aria scaccia acqua”, assunto come “valido e dimostrato”. Dunque, applicando nel retto del malcapitato un tubo connesso a una caldaia sotto pressione -tecnologia questa “validissima et modernissima” - e insufflando aria bollente si pretendeva -con certezza scientifica- di curarlo, aiutandolo invece a morire in modo più doloroso. Si scopre poi che la caldaia genera vapore d’acqua sotto pressione, e non aria, e dunque “acqua non scaccia acqua” … ed ecco che dopo un secolo di esperimenti inutili, i dati confermano (SIC) la teoria dei 4 elementi. Un grande lezione sugli inganni e i danni di certi ragionamenti.

e una gerarchia interne e quasi mai localizzabili in base a caratteristiche solo geografiche. Queste enclavi differiscono spesso per livello tecnologico e, paradossalmente, comunicano attraverso canali mediatici a basso contenuto di informazione. Ovvero si formano “bolle” a diverso livello tecnologico che non comunicano tra loro, sia per le modalità di gestione dei flussi di (poche) informazioni, sia per mutua esclusione basata a volte su pregiudizi psico-sociali.

Ma la criticità maggiore del Digital Divide è un’altra. Infatti, è oramai evidente il fenomeno di scollamento e desincronizzazione totale tra:

a) l’evoluzione tecnologica e la pressione del marketing ad essa associato, b) la preparazione (formazione & informazione) dei diversi utenti, le cui distanze aumentano via via c) la crescita evolutiva e intelligente dei singoli individui e delle società, d) la risposta emozionale -individuale e collettiva- alla tecnologia, e altri fattori ancora.

Ovvero il digital divide si auto-amplifica e crea una sempre più eterogenea congerie di situazioni individuali, familiari o sociali, distanti, diverse e incompatibili, salvo poi ad essere annullata (in alcuni aspetti ma mai nella totalità) da processi fortemente omologanti, ad esempio l’uso incontrollato e irrazionale di sistemi di machine learning o deep learning non orientati a specifici problemi e associati a LLM sempre più seducenti.

Si tratta di due spinte antitetiche la cui risultante più probabile non sarà un annullamento, come tra una carica positiva e una negativa, bensì il permanere degli effetti di entrambi. Situazione questa dalle conseguenze non prevedibili e non prevenibili, e che dunque desta allarme.

L’entità degli effetti negativi di queste diverse spinte dipenderà, tanto a livello individuale come a livello sociale, dalla assuefazione all’uso di questi mezzi e dalle “dosi” di assunzione, mentre la qualità degli effetti sarà probabilmente influenzata da caratteristiche individuale dei soggetti coinvolti e dalla tipologia dei dati cui i sistemi avranno accesso.

Soluzione

Dobbiamo per prima cosa ridefinire il digital divide. Un primo passo lo ha compiuto Warschauer in un recentissimo editoriale su Scientific American (9): assume infatti una posizione critica sul citato determinismo tecnologico e sottolinea la connotazione multidimensionale del Digital Divide che va ben al di là della mera indisponibilità di connessioni, apparecchiature e anche delle stesse “istruzioni” per utilizzarle. Osserva come la disponibilità di queste infrastrutture non implica automaticamente

l’inclusione digitale, che dipende dallo sviluppo di competenze, dalla cultura, dalle politiche pubbliche (…omissis…) e numerosi altri fattori. La conclusione è che solo attraverso un approccio integrato e “sensibile al contesto” è possibile affrontare efficacemente le disuguaglianze digitali.

Aggiungiamo al pensiero di Warschauer che l’inclusione digitale è -e deve restare- una scelta e dunque non può essere codificata come un dovere dell’individuo (nell’adeguarsi) o della società (nel proporla o insegnarla). Si tratta di una opportunità da cogliere e di cui definire pro e contro prima di coglierla

Pertanto non vogliamo definire il digital divide “solo” come l’incapacità di singole persone o comunità nel conoscere e fruire di apparecchi, di software, di funzioni avanzate tecnologia-dipendenti (vecchia definizione, utile a identificare cluster estremi) ma come un fenomeno sistemico, in rapida crescita, per il quale tutti si allontanano gli uni dagli altri sul piano della comunicazione e della socializzazione (e anche dell’uso proprio di strumenti per la salute !) in funzione della dipendenza da tecnologie rapidamente cangianti.

Per meglio spiegare, il vero digital divide non è quello tra il nipote informatico che usa internet per risolvere problemi o per lavoro, e il nonno con inziale demenza che non riesce neppure ad accendere il computer…… ma tra il nipote informatico e suo fratello di pochi anni maggiore, farmacista, che, semplicemente “odia” dialogare su whatsapp e ha la testa altrove. Questi divari aumenteranno e coinvolgeranno via via tutti noi a prescindere da genere, età, lavoro, propensioni. Il problema sta infatti nell’altissima pervasività di questi mezzi e nel progressivo allontanamento di tutti da tutti.

Lo studio delle nuove teorie sulla accettazione delle tecnologie (UTAUT2)56 e quelle della resistenza all’innovazione (IRT) potrà fornire modelli adatti a spiegare e contrastare il digital divide nella sua definizione di base (la prima citata sopra)57. Dobbiamo però capire se queste sono adatte a studiare quanto oggi sta avvenendo con il “nuovo” digital divide i cui effetti corrono paralleli a quelli causati dai sistemi di LLM potenzialmente omologanti e dall’uso sconsiderato di vari tipi di open AI.

Definire metodi predittivi congrui per studiare questi fenomeni in tempo reali è molto difficile sia per la complessità e il numero delle variabili in gioco, sia perché nel tempo stesso in cui si conduce una ricerca, il fenomeno studiato cambia e costringe a rigiocare la partita. Sembra servire la velocità di sistemi di ML/DL, se mai riprogrammati e ritarati in continuazione, forse da altri sistemi di ML/DL o da menti superiori…... Si fa nel paradosso e nell’incertezza evolutiva, e ci si va secondo tempistiche adatte alle macchine e non all’Uomo.

57 UTAUT2 (Venkatesh, Thong e Xu, 2012) è l’evoluzione del modello UTAUT ((Unified Theory of Acceptance and Use of Technology, Venkatesh et al., 2003), sviluppata per spiegare in modo accurato le intenzioni e il comportamento d'uso delle tecnologie in particolare da parte dei consumatori finali. La IRT (Innovation Resistance Theory) esplora, al contrario, le barriere psicologiche e funzionali che rallentano, ostacolano o impediscono l’adozione dell’innovazione.

Per altro non è plausibile proporre soluzioni singole per tutte le situazioni e le tipologie di digital divide (che sono Nn e saranno Nn*n). Un approccio individuale e sostanzialmente riduzionista non pare proponibile né in riferimento alle singole coorti neglette di oggi, né tanto meno allo scenario più ampio e più grave che investe tutta la popolazione.

Il problema è sistemico, auto amplificantesi e radicato nel sociale, imprevedibile in funzione delle evoluzioni della tecnologia stessa.

La soluzione potrebbe derivare dalle infinite capacità di adattamento del cervello umano, semplicemente favorendole, ma adottando in parallelo energiche policy di mitigazione dei possibili side effect di breve termine, soprattutto sui più giovani. Dunque, facilitare l’adattamento attraverso la regolazione della velocità di disseminazione di queste nuove noxae digitali. Indicando limiti giuridicamente invalicabili nella espansione e nell’uso delle tecnologie ove si abbiano elementi di certezza o di legittimo sospetto sui possibili side effect. Definendo e applicando l’algoretica58 a tutto campo e al più presto. Facilitando l’introduzione di tecnologie autoregolate e autolimitantesi.

Educazione, formazione e informazione possono avere un ruolo, ma limitato. Infatti, se troppo pressanti e orientate solo agli aspetti tecnologici (proprio con la scusa di superare il digital divide) andranno a scapito di altri elementi necessari alla formazione della Persona. Potrebbero quindi alla lunga divenire facilitatori del danno. Dunque, servono alert, possono essere utili corsi per migliorare la partecipazione dei cittadini alle attività digitali, ma serve ancor di più portare i giovani verso una solida cultura umanistica e scientifica e, in parallelo aiutare gli adulti (primi tra tutti i professionisti) ad utilizzare bene gli strumenti digitali. Overall: serve una visione e un programma nazionale ricordando sempre il dogma della “continual education” (10) che ci impone, pena la babelizzazione formativa, di identificare prima obbiettivi formativi coerenti tra loro e utili, per poi utilizzarli lungo la vita delle persone e non come risposte emergenziali “spotty” da proporre a chi capita,

Referente interessato: la Società. Il processo è globale culturale. Possiamo ipotizzare una struttura (un network) che si occupi di valutare e tenere costantemente informati e attivi tutti gli attori interessati, creando un modello organizzativo più strutturato ed efficace di quelli proposti attualmente da alcune organizzazioni. Identificazione e disseminazione (con autorevolezza) dei contenuti/disposizioni utili da effettuare in tempo reale. La Società Italiana di Telemedicina, congiuntamente con tutte le società scientifiche dei diversi settori, si offre per portare alla attenzione della Presidenza del Consiglio e di tutte le Istituzioni interessate, analisi di dettaglio e pro-

poste di soluzioni per i problemi emergenti.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

1.Bhoyar A, Vagha S, Mishra V, Agrawal MS, Kambala SR. Addressing the Digital Divide in Health Education: A Systematic Review. Cureus. 2024;16(9):e70048.

2.Cui Y, He Y, Xu X, Zhou L, Nutakor JA, Zhao L. Cultural capital, the digital divide, and the health of older adults: a moderated mediation effect test. BMC public health. 2024;24(1):302.

3.Makhene A. Digital divide in nursing education: An issue of social justice. Health SA. 2023;28:2513.

4.Pierce GL, Cleary PF. The persistent educational digital divide and its impact on societal inequality. PloS one. 2024;19(4):e0286795.

5.Western MJ, Smit ES, Gultzow T, Neter E, Sniehotta FF, Malkowski OS, et al. Bridging the digital health divide: a narrative review of the causes, implications, and solutions for digital health inequalities. Health Psychol Behav Med. 2025;13(1):2493139.

6.Groom LL, Schoenthaler AM, Mann DM, Brody AA. Construction of the Digital Health Equity-Focused Implementation Research Conceptual Model - Bridging the Divide Between Equity-focused Digital Health and Implementation Research. PLOS Digit Health. 2024;3(5):e0000509.

7. Contenuti per un corso di formazione all’intelligenza artificiale per personale medico-sanitario: una revisione esplorativa della letteratura dall’avvento di ChatGPT. ME Giardini, CM Petrini, AV Gaddi - Tutor, 2025 - ojs.unito.it

8. Considerazioni sul bias nella pedagogia medica basata su AI C Rabbito, CM Petrini, AV Gaddi, P Veltri, Giardini M https://ojsunito33.archicoop.it/index.php/tutor/article/v iew/11030

9.Warschauer M. Demystifying the digital divide. Sci Am. 2003;289(2):42-7.

10.Gaddi AV, Manca, M., Capello F. “eHealth, Care and Quality of Life”: Springer Nature Ed; 2013.

58 Dr. Mario Dal Co (Venezia), comunicazioni personali Maggio 2025.

2.8

IL RUOLO SOCIALE DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NEGLI

AMBIENTI URBANI

a cura di Lucio Corsaro, Gianluca Vaccaro

Gli esseri umani hanno due tipi di abilità: fisiche e cognitive. In passato, le macchine erano in competizione con gli esseri umani sul piano fisico, oggi (e sempre di più) lo sono anche in campo cognitivo: gli scienziati sono in grado di hackerare gli esseri umani e l’intelligenza artificiale è in grado di superare le prestazioni umane in molte aree, anche nei campi tradizionalmente legati all’uso dell’intuizione. In più, mentre gli esseri umani sono individui e agiscono in modo individuale, le macchine possono facilmente essere connesse e integrate in una rete flessibile e potente.

Russell e Norvig (2009) postulano la definizione di intelligenza artificiale ad oggi più accettata e condivisa: “la progettazione e la costruzione di agenti che ricevono percezioni dall’ambiente e intraprendono azioni che influenzano quell’ambiente”. Quando si parla di IA si fanno considerazioni prettamente tecnologiche senza considerare che questa tecnologia è calata in un contesto sociale che non si può più ignorare.

La capacità dell’intelligenza artificiale (AI) di sviluppare abilità sociali è un argomento complesso e dibattuto. Da un lato, i sistemi di AI sono in grado di imparare e adattarsi a nuove informazioni, incluso il comportamento umano e le interazioni sociali. Possono analizzare grandi quantità di dati di conversazione e identificare modelli di comunicazione efficaci. Inoltre, possono essere addestrati a simulare conversazioni umane e fornire risposte appropriate in contesti sociali.

Tuttavia, l’AI manca di alcune qualità fondamentali per le vere abilità sociali. Ad esempio, i sistemi di AI non hanno un corpo fisico e non possono sperimentare il mondo nello stesso modo in cui lo fanno gli umani. l nostro corpo gioca un ruolo fondamentale nel modo in cui sperimentiamo il mondo. Attraverso i nostri sensi percepiamo stimoli esterni, che vengono poi elaborati dal nostro cervello e generano emozioni. L’IA, invece, non ha sensi né un cervello: interagisce con il mondo solo attraverso dati digitali. L’AI non vive ne sperimenta emozioni. Inoltre, le emozioni umane sono spesso legate a esperienze personali e relazioni sociali. L’IA non ha esperienze o relazioni come le nostre: non ha una famiglia, amici o

un passato da cui attingere per dare senso alle sue esperienze. Questo limita la loro capacità di comprendere appieno le sfumature della comunicazione non verbale e le complessità delle emozioni umane.

Inoltre, l’AI manca di creatività e intelligenza sociale. Non possono improvvisare o adattarsi a situazioni sociali inaspettate e non possono capire le motivazioni o le intenzioni dietro le azioni umane. Nonostante queste limitazioni, l’AI ha il potenziale per sviluppare alcune abilità sociali utili. I sistemi di AI possono essere utilizzati per formare le persone sulle interazioni sociali, fornire supporto emotivo o assistere con compiti sociali complessi. Man mano che la tecnologia AI continua a svilupparsi, è probabile che vedremo sistemi AI in grado di interagire con gli esseri umani in modo più naturale e socialmente intelligente.

Tuttavia, questo non significa che l’IA sia completamente incapace di comprendere o simulare le emozioni. I sistemi di IA possono essere addestrati a riconoscere le emozioni umane da espressioni facciali, tono di voce e linguaggio. Possono anche essere progettati per generare risposte emotive appropriate in determinate situazioni. Ad esempio, una chatbot di assistenza clienti potrebbe essere addestrata a mostrare empatia e comprensione quando un cliente esprime frustrazione o rabbia. Oppure, un robot sociale potrebbe essere progettato per esprimere gioia ed entusiasmo quando interagisce con persone.

Di recente Andrei Barbu, ricercatore dell’MIT (https://www.forbes.com/sites/johnwerner/2023/11/28/t he-social-side-of-ai-think-carefully-about-thefuture/?sh=4fd4dc864f78) ha parlato della connotazione sociale dell’intelligenza artificiale e di come i modelli potrebbero evolvere per migliorare nelle interazioni sociali, assumendo comportamenti più “umani”. Barbu immagina un futuro in cui l’intelligenza artificiale (IA) sia in grado di imparare a comportarsi come gli esseri umani semplicemente osservando. Niente set di dati di training, niente programmazione esplicita: gli agenti sociali di Barbu impareranno “a zero shot”, imitando direttamente le nostre azioni e le nostre interazioni. Pensiamo al gioco

degli scacchi: un agente sociale dovrebbe essere in grado di osservare altri giocatori e imparare le regole e le strategie semplicemente osservando le loro mosse. Questo tipo di apprendimento autonomo è fondamentale per replicare le complesse interazioni umane, che si basano su una vasta gamma di segnali non verbali, emozioni e intenzioni.

La capacità dell’AI di sviluppare abilità sociali dipenderà da come definiamo “abilità sociali” e dagli obiettivi che ci proponiamo di raggiungere. Se il nostro obiettivo è creare sistemi AI in grado di interagire con gli umani nello stesso modo in cui lo fanno gli altri umani, è probabile che ci vorrà ancora molto tempo. Tuttavia, se il nostro obiettivo è sviluppare sistemi AI che possano essere utili agli esseri umani in modi sociali, allora è probabile che l’AI abbia già avuto successo.

Sfide etiche e sociali

Sarebbe una follia essere contrari alla guida automatica*: il 90% degli incidenti che causano 1,25 milioni di morti l’anno nel mondo sono imputabili a errore umano: guida in stato di ebrezza, distrazione, eccesso di velocità. In altre parole, i veicoli a guida autonoma potrebbero salvare un milione di vite l’anno.

Tuttavia, l’utilizzo dell’IA nelle città presenta anche alcune sfide etiche e sociali. Ad esempio, è importante garantire che i sistemi di IA siano progettati in modo da non discriminare o escludere determinate categorie di persone. Inoltre, è necessario tutelare la privacy dei cittadini e garantire che i loro dati personali non vengano utilizzati in modo improprio.

Un’altra sfida è quella di garantire che i benefici dell’IA siano distribuiti in modo equo tra tutti i cittadini. Ad esempio, è importante evitare che si creino divari digitali che lascino indietro le persone più svantaggiate

Ma la sfida più importante riguarda l’ansia e la preoccupazione dei cittadini relativamente su cosa succede quando questi sistemi diventano così potenti da poter controllare o indirizzare socialmente o in altro modo i comportamenti non solo del singolo ma di intere comunità di persone. Ad esempio, recentemente migliaia di veicoli sono usciti dall’A22 e si sono immessi nella strada statale perché l’applicazione IA di Google Map ha tagliato un pezzo di strada, con conseguente traffico in tilt, migliaia di macchine che bloccano il centro di Vipiteno e chilometri di coda per ore. (https://corrieredeltrentino.corriere.it/notizie/cronaca/24 _maggio_30/google-maps-l-app-cancella-un-tratto-di-autobrennero-traffico-in-tilt-da-vipiteno-verso-l-austriaf52049c8-b468-457a-81a8-6dcf000d3xlk.shtml)

Nel giugno 2021 Londra, Barcellona e Amsterdam lanciarono il Global Observatory on Urban AI con l’intento di monitorare le tendenze di diffusione dell’IA e promuoverne l’uso etico e responsabile è questo un esempio di come le sfide etiche e sociali possono essere affrontate a livello urbano.

Verso città più inclusive e vivibili

L’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità straordinaria per migliorare la qualità della vita nelle città, l’IA ha il potenziale per rivoluzionare anche il lato sociale della vita nelle città, creando città più inclusive e vivibili per tutti. Esempi concreti di come l’IA viene già utilizzata nelle città:

• Amsterdam: la città olandese utilizza l’IA per ottimizzare la gestione dei rifiuti, riducendo i costi e l’inquinamento.

• Singapore: la città-stato asiatica utilizza l’IA per migliorare la sicurezza pubblica, identificando potenziali minacce e prevenendo crimini.

• San Francisco*: Nel giugno del 2022 lo stato della California ha autorizzato un servizio di “taxi robotici” in alcune parti della città di San Francisco, dove da allora è possibile muoversi a pagamento su macchine in grado di guidarsi da sole.

• Barcellona: la città spagnola utilizza l’IA per migliorare la mobilità, ottimizzando i flussi di traffico e riducendo i tempi di attesa per i mezzi pubblici.

L’IA può anche essere utilizzata per migliorare l’accessibilità della città per le persone con disabilità. Ad esempio, può essere impiegata per sviluppare sistemi di navigazione che forniscano indicazioni personalizzate in base alle esigenze di ogni persona. Oppure, può essere utilizzata per creare sistemi di riconoscimento vocale che permettano alle persone con disabilità di interagire con i servizi pubblici in modo più semplice. Le sue potenzialità spaziano da una gestione più efficiente delle risorse urbane alla creazione di contesti sociali più inclusivi e vivibili. Vediamo alcuni ambiti in cui l’IA può apportare un contributo significativo:

1. Mobilità intelligente:

• Ottimizzazione del traffico: Sistemi di IA possono analizzare i flussi di traffico in tempo reale e suggerire percorsi alternativi per ridurre congestioni e tempi di attesa.

• Mezzi di trasporto autonomi: Autobus, tram e taxi a guida autonoma possono migliorare l’efficienza e

la sicurezza dei trasporti pubblici, riducendo incidenti e inquinamento.

• Mobilità come servizio (MaaS): Piattaforme integrate che combinano diverse modalità di trasporto (pubblico, privato, sharing) con l’ausilio dell’IA possono facilitare gli spostamenti e ridurre l’utilizzo di mezzi privati.

2. Gestione urbana efficiente:

• Manutenzione predittiva: Algoritmi di IA possono analizzare sensori e dati per prevedere guasti a infrastrutture come strade, ponti o illuminazione pubblica, permettendo interventi di manutenzione tempestivi e riducendo i disagi per i cittadini.

• Gestione dei rifiuti: Sistemi di IA possono ottimizzare i percorsi di raccolta dei rifiuti, ridurre i costi e l’impatto ambientale.

• Monitoraggio energetico: L’IA può aiutare a ottimizzare i consumi energetici di edifici pubblici e privati, riducendo le emissioni e promuovendo la sostenibilità.

3. Sicurezza pubblica e prevenzione del crimine:

• Analisi di dati da telecamere di sorveglianza: L’IA può identificare in tempo reale comportamenti sospetti e allertare le forze dell’ordine, prevenendo crimini e incidenti.

• Predizione di reati: Algoritmi di IA possono analizzare dati storici e sociali per identificare aree a rischio criminalità e allocare risorse di polizia in modo più efficace.

• Supporto alle forze dell’ordine: Sistemi di IA possono assistere le forze dell’ordine nell’analisi di scene del crimine, riconoscimento facciale e ricostruzione di eventi.

4. Servizi ai cittadini e partecipazione attiva:

• Piattaforme di comunicazione e partecipazione: L’IA può facilitare la comunicazione tra cittadini e amministrazione, permettendo di segnalare problemi, suggerire soluzioni e partecipare a processi decisionali.

• Servizi personalizzati: Sistemi di IA possono fornire servizi ai cittadini in modo personalizzato, ad esempio consigli su eventi culturali, itinerari turistici o servizi di assistenza sociale.

• Accessibilità per disabili: L’IA può aiutare a sviluppare soluzioni tecnologiche che migliorino l’accessibilità

della città alle persone con disabilità, come sistemi di riconoscimento vocale o mappe tattili.

5. Gestione dell’ambiente e sostenibilità:

• Monitoraggio ambientale: L’IA può essere utilizzata per monitorare la qualità dell’aria e dell’acqua, identificare inquinamento e sviluppare strategie per la tutela dell’ambiente.

• Gestione delle risorse idriche: Sistemi di IA possono ottimizzare l’utilizzo dell’acqua, ridurre gli sprechi e prevenire periodi di siccità.

• Promozione di comportamenti sostenibili: L’IA può essere utilizzata per sviluppare campagne di sensibilizzazione e incoraggiare i cittadini ad adottare comportamenti più sostenibili.

Città artificialmente intelligente (Artificially Intelligent City)

Le città del futuro saranno intelligenti, autonome e guidate dall’intelligenza artificiale (IA). Non si tratta di una semplice evoluzione delle attuali “Smart City”, ma di un salto di livello che porterà a una gestione urbana completamente automatizzata e basata su dati e algoritmi.

Cosa distingue una città artificialmente i ntelligente da una Smart City?

Yigitcanlar T. et al offrono una interessante definizione di una città artificialmente intelligente «Un sistema urbano che funziona come un sistema di sistemi, le cui attività economiche, sociali, ambientali e governative si basano su pratiche sostenibili guidate da tecnologie di intelligenza artificiale, che consentono di raggiungere il bene sociale ed altri risultati utili a tutti gli esseri umani e non umani» (Yigitcanlar T. et al., 2020, Can Building “Artificially Intelligent Cities” Safeguard Humanity from Natural Disasters, Pandemics, and Other Catastrophes? An Urban Scholar’s Perspective, Sensors, 20(10), 2988).

Le Smart City, nate all’inizio degli anni 2000, utilizzano tecnologie come sensori, reti IoT e Big Data per migliorare l’efficienza di servizi come la gestione dei rifiuti, il traffico e l’illuminazione pubblica. Le città artificialmente intelligenti, invece, vanno oltre: grazie all’IA, saranno in grado di gestirsi autonomamente, senza bisogno di un intervento umano costante.

2.9 CITTÀ E INVECCHIAMENTO: SOLUZIONI TECNOLOGICHE PER LA SALUTE DELLA

POPOLAZIONE ANZIANA

INTRODUZIONE

Nel cuore di una rivoluzione tecnologica senza precedenti, due mondi apparentemente distanti si stanno incontrando in modo sempre più significativo: quello degli anziani e quello dell’intelligenza artificiale (IA). Questa convergenza non è solo un fenomeno interessante da osservare, ma rappresenta una delle sfide più cruciali e potenzialmente trasformative del nostro tempo. Da un lato, abbiamo una popolazione che invecchia rapidamente in molte parti del mondo, portando con sé sfide uniche in termini di assistenza sanitaria, inclusione sociale e qualità della vita. Dall’altro, abbiamo l’ascesa vertiginosa dell’intelligenza artificiale, una tecnologia che promette di rivoluzionare ogni aspetto della nostra esistenza, dalla medicina alla mobilità, dalla comunicazione all’intrattenimento.

L’intersezione di questi due mondi solleva domande fondamentali: Come può l’IA migliorare la vita degli anziani? Quali sono i rischi e le preoccupazioni etiche da considerare? Come possiamo garantire che questa rivoluzione tecnologica sia inclusiva e benefica per le generazioni più anziane?

Per dare risposta a queste domande ed esplorare in profondità queste questioni, in questo articolo riportiamo alcuni dei dati rilevati tramite l’Osservatorio Scenario Salute di BHAVE39. Esamineremo le applicazioni pratiche già in uso, le potenziali innovazioni future e le considerazioni etiche che abbiamo rilevato. Inoltre, discuteremo le politiche necessarie per garantire che questa rivoluzione tecnologica sia veramente al servizio di tutti, indipendentemente dall’età.

Nel corso di questa esplorazione, diventerà chiaro che il rapporto tra anziani e IA non è semplicemente una questione di adattamento tecnologico, ma un profondo rie-

same di come vogliamo invecchiare come società e di quale ruolo vogliamo che la tecnologia giochi in questo processo. È una conversazione che riguarda tutti noi, poiché tutti aspiriamo a invecchiare con dignità, indipendenza e un senso di connessione con il mondo che ci circonda.

Mentre ci imbarchiamo in questo viaggio di scoperta, è essenziale mantenere una prospettiva equilibrata, riconoscendo sia il potenziale trasformativo dell’IA sia le legittime preoccupazioni che accompagnano il suo rapido sviluppo. Solo attraverso un dialogo informato e inclusivo possiamo sperare di plasmare un futuro in cui la tecnologia arricchisca veramente la vita di tutte le generazioni.

IL CONTESTO DEMOGRAFICO: L’INVECCHIAMENTO

DELLA POPOLAZIONE

Il mondo sta invecchiando a un ritmo senza precedenti. Secondo le Nazioni Unite, entro il 2050, una persona su sei nel mondo avrà più di 65 anni, rispetto a una su undici nel 2019. Questo cambiamento demografico, noto come “invecchiamento della popolazione”, sta ridisegnando il tessuto sociale ed economico delle nostre società, portando con sé sfide significative ma anche opportunità uniche. L’invecchiamento, purtroppo, spesso porta con sé una serie di fragilità che possono compromettere significativamente la qualità della vita:

1. Fragilità fisica: Con l’avanzare dell’età, il corpo diventa più vulnerabile a malattie croniche, problemi di mobilità e declino cognitivo. Molti anziani si trovano a dover gestire condizioni multiple, che richiedono cure costanti e spesso complesse.

2. Fragilità economica: Nonostante i sistemi pensionistici, molti anziani si trovano in difficoltà economiche, special-

39 OSSERVATORIO SCENARIO SALUTE di BHAVE, raccogliamo ed analizzato un enorme mole di dati quali-quantitativi relativamente ai comportamenti di tutti coloro che gravitano intorno al sistema sanitario (cittadini, operatori sanitari, pazienti, payor, politici, stakeholder, etc…) per cogliere i diversi contributi utili a comprendere il tema di come evolverà il sistema sanitario italiano, oltre a rilevare la conoscenza e percezione degli italiani relativamente al proprio stato di salute e delle diverse patologie correlate. Sulla base dei dati che raccogliamo utilizziamo l’intelligenza artificiale per integrare le informazioni a disposizione con lo scopo di comprendere le problematiche connesse alla salute. Infine, attraverso l’analisi comportamentale e sociale individuiamo il framework concettuale alla base delle scelte di salute degli stakeholder e degli italiani. Specificatamente nel periodo Maggio-Settembre 2024, anche attraverso la somministrazione di un questionario sia online sia telefonico (della durata di 20-30 minuti), abbiamo rilevato informazioni e dati relativamente al livello di conoscenza, percezione e relazione degli italiani nei confronti dell’Intelligenza artificiale. La dimensione del campione era 2.455 casi. Il campionamento per quote rileva che 29% dei rispondenti rientrava nella fascia di età over 65 anni, in questo articolo riportiamo l’analisi di alcuni dei dati emersi relativamente a questa fascia di età.

mente in paesi con sistemi di welfare meno sviluppati. L’aumento dei costi sanitari e l’aspettativa di vita più lunga possono esaurire i risparmi di una vita.

3. Fragilità sociale: La perdita di ruoli sociali, il pensionamento e la scomparsa di amici e familiari possono portare a un restringimento della rete sociale degli anziani, aumentando il rischio di isolamento.

4. Fragilità psicologica: La combinazione di cambiamenti fisici, perdite personali e cambiamenti nel ruolo sociale può portare a problemi di salute mentale come depressione e ansia.

LA SOLITUDINE: UNA PANDEMIA SILENZIOSA

Tra tutte queste fragilità, la solitudine emerge come una delle sfide più insidiose e pervasive. Spesso descritta come una “pandemia silenziosa”, la solitudine tra gli anziani ha raggiunto livelli allarmanti. Il 38% degli anziani intervistati si sente regolarmente solo. La solitudine (e il senso di solitudine) è associata a un aumento del 50% del rischio di demenza e a un aumento del 30% del rischio di malattie cardiache e ictus. L’isolamento sociale può accelerare il declino cognitivo e aumentare il rischio di mortalità prematura. Le cause della solitudine sono molteplici: la perdita del partner (61% dei rispondenti), la distanza geografica dai familiari (82%), la ridotta mobilità (49%), la mancanza di opportunità di socializzazione (27%) e, sempre più spesso, il divario digitale che può escludere gli anziani da forme moderne di connessione sociale (39%). Degno di nota è che il 66% degli anziani intervistati dichiara di avere un account Facebook, il 29% Instagram ed il 23% TikTok.

Il 100% degli intervistati possiede un cellulare, di cui il 21% possiede un IPhone 9 o superiore.

Il 67% utilizza il computer con regolarità (una o due volte al giorno).

Il 47% vede al meno un film o un episodio di una serie in streaming online, di cui il 56% direttamente su cellulare.

Il 39% vede almeno 3 ore di televisione al giorno.

IL POTENZIALE DELL’IA NEL CONTRASTARE FRAGILITÀ E SOLITUDINE

È in questo contesto di vulnerabilità e isolamento che l’intelligenza artificiale emerge come una potenziale alleata. L’IA, con la sua capacità di processare grandi quantità di dati, apprendere e adattarsi, offre soluzioni innovative per affrontare molte delle sfide legate all’invecchiamento:

1. Assistenza sanitaria personalizzata: Sistemi di IA

possono monitorare costantemente i parametri vitali, prevedere potenziali problemi di salute e personalizzare i piani di cura, riducendo la fragilità fisica. Il 9% degli intervistati dichiara di avere in casa assistenti virtuali tra questi il più diffuso è il telesalvalavita Beghelli.

Caso di studio: IBM Watson Health e Assistenza agli Anziani

IBM Watson Health ha collaborato con diverse organizzazioni sanitarie per migliorare l’assistenza agli anziani. Un esempio notevole è la partnership con Avamere Family of Companies, un fornitore di assistenza agli anziani negli Stati Uniti.

- Implementazione: Watson analizza dati provenienti da cartelle cliniche elettroniche, sensori ambientali e dispositivi indossabili.

- Risultati: Il sistema è in grado di prevedere il rischio di cadute, identificare primi segni di infezioni del tratto urinario e altre condizioni comuni negli anziani.

- Impatto: Riduzione del 60% delle cadute e diminuzione del 50% delle ospedalizzazioni non pianificate.

2. Supporto cognitivo: Applicazioni basate sull’IA possono stimolare l’attività mentale, aiutare nella gestione della routine quotidiana e fornire assistenza per compiti complessi, contrastando il declino cognitivo. Ciò non di meno tra gli intervistati gli strumenti più diffusi per mantenere in attività la mente sono il cruciverba (60% degli intervistati), la lettura di libri cartacei (il 35% degli intervistati ha letto un libro nell’ultimo anno), dedicarsi ad un attività come la pittura, suonare un strumento musicale o scrivere (il 27% degli intervistati), il 22,5% degli intervistati usa app per mantenere attiva la mente in particolare app relative alla meditazione (tra le più citate Smiling Mind e asana rebel, che offrono sessioni di “Invecchiamento consapevole”)

Caso di studio: Piattaforma di realtà virtuale Rendever Rendever è una piattaforma di realtà virtuale progettata per anziani in case di cura e comunità di pensionamento.

• Tecnologia: Utilizza la realtà virtuale e l’IA per creare esperienze immersive personalizzate.

• Applicazioni: Gli utenti possono “visitare” luoghi del loro passato, partecipare a eventi familiari a distanza o esplorare nuove destinazioni.

• Risultati: Studi hanno mostrato una riduzione del 40% nei sintomi depressivi tra i partecipanti e un aumento significativo delle interazioni sociali.

3. Connessione sociale: Chatbot avanzati e assistenti

virtuali possono offrire compagnia, stimolare la conversazione e facilitare la connessione con familiari e amici, combattendo la solitudine. Il 38% utilizza regolarmente Gemini per conversare e avere informazioni sul tempo, le ricette, la propria squadra, etc… solo il 4% usa chatbot dedicati (es. Copilot, CompanionBot, MemoryLane, etc… ).

Caso di studio: Chatbot ElliQ ElliQ è un assistente robotico sociale sviluppato da Intuition Robotics, progettato specificamente per gli anziani che vivono da soli.

• Funzionalità: ElliQ può iniziare conversazioni, ricordare appuntamenti, suggerire attività e facilitare videochiamate con familiari e amici.

• Tecnologia IA: Utilizza il natural language processing e l’apprendimento automatico per personalizzare le interazioni in base alle preferenze e alle abitudini dell’utente.

• Risultati: Studi pilota hanno mostrato una riduzione del senso di solitudine e un aumento dell’engagement sociale tra gli utenti anziani.

4. Sicurezza domestica: Sistemi di domotica basati sull’IA possono rendere le case più sicure e confortevoli, permettendo agli anziani di vivere in modo indipendente più a lungo. Il 59% degli intervistati dichiara di avere in casa elettrodomestici domotici, tra cui più diffuso è l’aspirapolvere 61%, a seguire robot da cucina 59% (frullatori, friggitrice, etc…), tapparelle elettriche 32%, lavastoviglie 22%, lavatrici 21% ed in ultimo frigoriferi 13%. Il 31% ha installato in casa sistemi di sicurezza antintrusione.

Caso di studio: Sistema di monitoraggio domestico Canary Care

Canary Care è un sistema di monitoraggio non invasivo che utilizza sensori e IA per monitorare le attività quotidiane degli anziani che vivono indipendentemente.

• Funzionamento: Sensori wireless posizionati in casa rilevano movimento, temperatura e utilizzo di porte e apparecchi.

• Analisi IA: L’IA analizza i dati per identificare cambiamenti nei pattern di comportamento che potrebbero indicare problemi di salute o sicurezza.

• Impatto: Ha permesso a molti anziani di vivere più a lungo nelle proprie case, fornendo tranquillità ai familiari e riducendo la necessità di assistenza residenziale.

5. Supporto emotivo: L’IA può essere utilizzata per rilevare cambiamenti nell’umore e nel comportamento, segnalando potenziali problemi di salute mentale e facilitando interventi tempestivi. Il 27% usa smart watch per monitorare la propria salute (la quasi totalità sono uomini).

Caso di studio: Assistente vocale personalizzato SnorkelAI

SnorkelAI ha sviluppato un assistente vocale personalizzato per anziani, adattando la tecnologia esistente alle esigenze specifiche di questa popolazione.

• Personalizzazione: L’IA apprende le preferenze individuali, il vocabolario e le routine dell’utente.

• Funzionalità: Oltre ai compiti standard come impostare promemoria o controllare dispositivi smart home, può monitorare sottilmente il benessere dell’utente attraverso l’analisi del parlato.

• Impatto: Ha migliorato l’aderenza alla terapia farmacologica del 30% e ha aumentato l’engagement sociale attraverso suggerimenti di attività personalizzate.

È chiaro che siamo di fronte a un’opportunità unica: utilizzare una delle tecnologie più avanzate del nostro tempo per affrontare alcune delle sfide più antiche dell’umanità - la fragilità e la solitudine che spesso accompagnano l’invecchiamento. Il modo in cui riusciremo a bilanciare l’innovazione tecnologica con i bisogni umani fondamentali determinerà non solo la qualità della vita degli anziani di oggi, ma anche il tipo di società che stiamo costruendo per il futuro. Dalle analisi condotte dall’Osservatorio Scenario Salute di BHAVE si rileva che, l’applicazione dell’IA per gli anziani richiede considerazioni specifiche:

◊ Usabilità: Le interfacce e le interazioni devono essere progettate tenendo conto delle possibili limitazioni fisiche e cognitive degli utenti anziani. La personalizzazione è cruciale: le soluzioni più efficaci sono quelle che si adattano alle esigenze e preferenze individuali degli utenti anziani.

◊ Accettazione tecnologica: È necessario superare potenziali barriere psicologiche e culturali all’adozione della tecnologia. L’accettazione e l’adozione da parte degli utenti rimangono sfide significative, sottolineando l’importanza di un design centrato sull’utente e di programmi di formazione adeguati.

◊ Integrazione con l’assistenza umana: L’IA dovrebbe complementare, non sostituire, l’assistenza e l’interazione umana. L’implementazione di successo richiede spesso un approccio multidisciplinare, coinvolgendo esperti in gerontologia, etica, design e tecnologia.

◊ Privacy e dignità: Le soluzioni IA per gli anziani devono bilanciare attentamente il monitoraggio e l’assistenza con il rispetto della privacy e dell’autonomia individuale. Molte di queste soluzioni sollevano questioni etiche e di privacy che devono essere attentamente considerate e gestite.

◊ Equità e accesso: L’accessibilità economica rimane un ostacolo per l’adozione diffusa di alcune di queste tecnologie avanzate. Inoltre, il divario digitale può escludere alcuni gruppi di anziani dai benefici dell’IA ed il rischio di bias negli algoritmi che potrebbero portare a discriminazioni basate su età, genere, etnia o status socio-economico.

È fondamentale che lo sviluppo e l’implementazione di soluzioni IA per gli anziani siano guidati non solo dall’innovazione tecnologica, ma anche da una profonda comprensione dei bisogni, delle preferenze e dei valori degli anziani stessi. Ciò richiede una collaborazione stretta tra sviluppatori di tecnologia, professionisti sanitari, politici, eticisti e, soprattutto, gli anziani e le loro famiglie. Inoltre, è cruciale riconoscere che l’IA non è una panacea, deve essere vista come uno strumento per potenziare e complementare, non sostituire, l’assistenza umana e le relazioni interpersonali che rimangono fondamentali per il benessere degli anziani.

RACCOMANDAZIONI PER SINDACI E COMUNI:

PROMUOVERE L’INCLUSIONE DIGITALE

DEGLI ANZIANI ATTRAVERSO L’IA

L’indagine condotta dall’Osservatorio Scenario Salute di BHAVE mirava ad identificare possibili suggerimenti e raccomandazioni specifiche per sindaci e amministrazioni comunali su come implementare e gestire l’uso dell’intelligenza artificiale per migliorare la vita degli anziani nelle loro comunità. Queste raccomandazioni mirano a promuovere l’inclusione digitale, garantire l’equità nell’accesso alle tecnologie IA e massimizzare i benefici per la popolazione anziana locale.

1. Valutazione delle esigenze e pianificazione strategica

Raccomandazioni:

• Condurre un censimento tecnologico degli anziani per comprendere il livello attuale di alfabetizzazione digitale e accesso alla tecnologia.

• Istituire un comitato consultivo composto da anziani, esperti di gerontologia, specialisti di IA e rappresentanti della comunità per guidare le iniziative locali.

• Sviluppare un piano strategico quinquennale per l’implementazione dell’IA a beneficio degli anziani, con obiettivi chiari e misurabili.

Esempio pratico: Il Comune di Bologna potrebbe lanciare il progetto “Bologna Digitale Senior”, iniziando con un sondaggio capillare sulla familiarità degli over 65 con la tecnologia, per poi elaborare un piano d’azione mirato.

2. Infrastruttura e accessibilità

Raccomandazioni:

• Investire in infrastrutture di connettività a banda larga in tutte le aree del comune, con particolare attenzione alle zone con alta concentrazione di anziani.

• Creare “hub tecnologici” nei centri anziani e nelle biblioteche pubbliche, dotati di dispositivi e assistenza per l’uso di tecnologie IA.

• Implementare un sistema di trasporto pubblico intelligente che utilizzi l’IA per ottimizzare percorsi e orari in base alle esigenze degli anziani.

Esempio pratico: Il Comune di Padova potrebbe avviare il progetto “Padova Connessa”, installando punti di accesso Wi-Fi gratuiti in tutti i parchi e le piazze frequentate dagli anziani, e fornendo tablet in comodato d’uso con app IA preinstallate per l’assistenza quotidiana.

3. Formazione e supporto Raccomandazioni:

• Organizzare corsi gratuiti di alfabetizzazione digitale per anziani, con focus sull’uso di applicazioni IA per la salute, la socializzazione e la vita quotidiana.

• Istituire un programma di “tutor digitali”, coinvolgendo volontari giovani per assistere gli anziani nell’uso delle tecnologie IA.

• Creare una help line telefonica dedicata per il supporto tecnico agli anziani nell’uso di dispositivi e applicazioni IA.

Esempio pratico: Il Comune di Firenze potrebbe lanciare l’iniziativa “Nonni 2.0”, con corsi settimanali nei centri civici e un servizio di assistenza a domicilio per l’installazione e l’uso di dispositivi smart per la casa.

4. Servizi comunali potenziati dall’IA

Raccomandazioni:

• Implementare chatbot IA sul sito web del comune per assistere gli anziani nella navigazione dei servizi online.

• Sviluppare un’app mobile comunale che utilizzi l’IA per personalizzare informazioni e servizi in base alle esigenze specifiche di ogni anziano.

• Utilizzare l’IA per ottimizzare la gestione dei servizi di assistenza domiciliare, migliorando l’efficienza e la qualità del servizio.

Esempio pratico: Il Comune di Torino potrebbe creare “TorinoSenior”, un’app che utilizza l’IA per ricordare appuntamenti medici, suggerire attività sociali basate sugli interessi dell’utente e fornire informazioni in tempo reale su servizi comunali rilevanti per gli anziani.

5. Salute e benessere

Raccomandazioni:

• Collaborare con le ASL locali per implementare sistemi di telemedicina potenziati dall’IA, facilitando le consultazioni remote per gli anziani.

• Installare sistemi di monitoraggio ambientale basati sull’IA nelle abitazioni degli anziani a rischio, con il loro consenso, per prevenire incidenti domestici.

• Utilizzare l’IA per analizzare i dati sanitari aggregati e anonimi per identificare tendenze e migliorare i servizi di prevenzione per gli anziani.

Esempio pratico: Il Comune di Bari potrebbe avviare il progetto “Bari Salute Smart”, fornendo dispositivi indossabili connessi a un sistema IA centrale per il monitoraggio della salute degli anziani, con alert automatici ai familiari o ai servizi di emergenza in caso di anomalie.

6. Inclusione sociale e partecipazione civica Raccomandazioni:

• Creare una piattaforma di social networking locale potenziata dall’IA per connettere gli anziani con interessi simili e facilitare incontri e attività di gruppo.

• Implementare un sistema di democrazia partecipativa online con interfacce adatte agli anziani, utilizzando l’IA per analizzare e categorizzare i feedback dei cittadini.

• Utilizzare l’IA per personalizzare la comunicazione del comune verso gli anziani, assicurando che ricevano informazioni rilevanti in formati accessibili.

Esempio pratico: Il Comune di Palermo potrebbe lanciare “PalermoInsieme”, una piattaforma che utilizza l’IA per suggerire attività di volontariato agli anziani basate sulle loro competenze ed esperienze, promuovendo l’invecchiamento attivo e il contributo alla comunità.

7. Monitoraggio e valutazione

Raccomandazioni:

• Istituire un sistema di monitoraggio continuo dell’impatto delle iniziative IA sugli anziani, utilizzando metriche quantitative e feedback qualitativi.

• Condurre valutazioni annuali dell’efficacia dei programmi IA, coinvolgendo direttamente gli anziani nel processo di revisione.

• Utilizzare l’IA per analizzare i dati raccolti e identificare aree di miglioramento o nuove opportunità di intervento.

Esempio pratico: Il Comune di Verona potrebbe implementare “VeronaAscolto”, un sistema che utilizza l’analisi del sentiment basata sull’IA per valutare la soddisfazione degli anziani rispetto ai servizi comunali potenziati dall’IA, permettendo aggiustamenti rapidi basati sul feedback.

L’implementazione di queste raccomandazioni richiederà un impegno significativo in termini di risorse, pianificazione e collaborazione intersettoriale. Tuttavia, i potenziali benefici per la qualità della vita degli anziani e per l’efficienza dei servizi comunali sono sostanziali. I sindaci e le amministrazioni comunali hanno una posizione unica per guidare questa trasformazione digitale in modo inclusivo ed etico. Attraverso un approccio centrato sull’utente, una pianificazione attenta e un monitoraggio continuo, i comuni possono sfruttare il potenziale dell’IA per creare comunità più age-friendly, migliorando significativamente la vita dei loro cittadini anziani. È fondamentale ricordare che l’obiettivo ultimo di queste iniziative non è la tecnologia in sé, ma il miglioramento tangibile della qualità della vita, dell’indipendenza e del benessere degli anziani. Con una leadership illuminata e un impegno costante, i comuni possono essere in prima linea nella rivoluzione dell’IA per gli anziani, creando un modello di inclusione digitale che possa ispirare altre comunità in tutto il paese.

Impatto su tecnologia e vita quotidiana: I bias comportamentali degli anziani

I bias comportamentali sono tendenze sistematiche nel comportamento e nel pensiero che possono influenzare le decisioni e le azioni di una persona. Gli anziani, come tutti gli altri gruppi demografici, sono soggetti a vari bias comportamentali. Questi possono avere un impatto significativo sul loro rapporto con le nuove tecnologie, l’IA e la vita quotidiana in generale. Ecco alcuni dei principali bias comportamentali osservati negli anziani:

1. Bias dello status quo: Tendenza a preferire che le cose rimangano come sono o che cambino il meno possibile. Impatto: -Resistenza all’adozione di nuove tecnologie o cambiamenti nelle routine quotidiane.- Preferenza per metodi e strumenti familiari, anche quando esistono alternative più efficienti.

2. Bias di conferma: Tendenza a cercare, interpretare o ricordare informazioni in modo da confermare le proprie convinzioni preesistenti. Impatto:- Rafforzamento di opinioni negative preesistenti sulle nuove tecnologie.- Difficoltà ad accettare evidenze dei benefici dell’IA o di altre innovazioni.

3. Effetto di ancoraggio: Tendenza a fare affidamento eccessivo sulla prima informazione offerta quando si prendono decisioni. Impatto:- Difficoltà a rivalutare il valore o l’utilità di nuove tecnologie dopo una prima impressione negativa.- Resistenza a cambiare opinione su questioni tecnologiche o sociali.

4. Bias di disponibilità: Tendenza a sopravvalutare la probabilità di eventi di cui si ha un ricordo vivido o recente. Impatto:- Eccessiva preoccupazione per rischi tecnologici ampiamente pubblicizzati (come violazioni della privacy).- Sottovalutazione di rischi meno “sensazionali” ma potenzialmente più rilevanti.

5. Bias di negatività: Tendenza a dare maggior peso alle esperienze o informazioni negative rispetto a quelle positive. Impatto:- Focalizzazione sui potenziali rischi delle nuove tecnologie piuttosto che sui benefici.- Tendenza a ricordare e condividere più facilmente esperienze negative con la tecnologia.

6. Illusione di controllo: Tendenza a sovrastimare il proprio grado di influenza sugli eventi esterni. Impatto:- Resistenza a sistemi automatizzati o IA che potrebbero ridurre il senso di controllo personale.- Preferenza per metodi manuali anche quando meno efficienti o sicuri. 7. Bias di abilità decrescenteDescrizione: Tendenza a sottovalutare la propria capacità di apprendere nuove competenze con l’avanzare dell’età.Impatto:- Riluttanza a intraprendere l’apprendimento di nuove tecnologie.- Sottostima delle proprie capacità di adattamento al cambiamento tecnologico.

8. Nostalgia biasDescrizione: Tendenza a ricordare il passato in modo più positivo di quanto fosse realmente.Impatto:- Resistenza al cambiamento basata su una visione idealizzata del passato.- Difficoltà a riconoscere i miglioramenti apportati dalle nuove tecnologie.

9. Bias di gruppo socialeDescrizione: Tendenza a conformarsi alle opinioni e ai comportamenti del proprio gruppo sociale di riferimento.

Impatto:

- Adozione o rifiuto di tecnologie basati sulle norme percepite del proprio gruppo di coetanei.- Difficoltà ad abbracciare innovazioni se non supportate dal proprio ambiente sociale.

Conclusione

Comprendere questi bias comportamentali è cruciale per sviluppare strategie efficaci per l’integrazione degli anziani nel mondo digitale e dell’IA. Riconoscere questi bias può aiutare a:

1. Progettare interfacce e prodotti tecnologici più intuitivi e adatti alle esigenze degli anziani.

2. Sviluppare programmi di formazione e supporto che affrontino specificamente questi bias.

3. Creare campagne di comunicazione più efficaci per promuovere l’adozione di nuove tecnologie tra gli anziani.

4. Implementare politiche che favoriscano l’inclusione digitale, tenendo conto delle particolari sfide cognitive e comportamentali affrontate da questa fascia demografica.

Riconoscendo e affrontando questi bias, possiamo creare un ambiente in cui gli anziani si sentano più a loro agio nell’esplorare e adottare nuove tecnologie, migliorando così la loro qualità della vita e il loro coinvolgimento nella società digitale.

2.10 PLANETARY HEALTH E SCIENZE COMPORTAMENTALI: UN APPROCCIO

a cura di Lucio Corsaro, Gianluca Vaccaro

Il concetto di Planetary Health, come declinazione definitoria di “salute globale” è stata introdotta dalla Commissione Rockefeller Foundation-Lancet nel 201560 e rappresenta un paradigma innovativo che evidenzia la profonda interconnessione tra la salute umana e quella del pianeta. Questo approccio, sviluppato parallelamente agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite, propone una visione più antropocentrica delle sfide ambientali, mettendo in luce come la sostenibilità ecologica sia essenziale per il benessere umano. L’idea centrale è che la salute dell’umanità dipenda in maniera critica dalla salute degli ecosistemi naturali, e che il degrado ambientale contribuisca direttamente all’insorgere di malattie croniche come malattie cardiovascolari, respiratorie o oncologiche. Questo nuovo paradigma di scienza della salute copre attualmente 25 aree di competenza61

Un confronto rilevante in questo contesto è quello tra i modelli di Planetary Health e One Health. Quest’ultimo, nato come approccio integrato per la salute umana, animale e ambientale, ha radici nella medicina veterinaria e nell’ecologia delle malattie infettive. One Health ha guadagnato attenzione internazionale, specialmente dopo il G7 del 2021, è stato sostenuto come un approccio unificante per bilanciare la salute umana e quella degli ecosistemi ed è stato accolto dall’OMS tra i piani di prevenzione a cui l’Europa oggi fa riferimento62. Tuttavia, One Health, pur essendo un modello utile, rimane ancorato principalmente a questioni di sanità pubblica legate alle malattie infettive e veterinarie, senza affrontare in modo esaustivo le cause o le implicazioni comportamentali e sociali.

Planetary Health rappresenta, invece, uno sviluppo di quella dimensione epidemiologica e di studi di comunità (prevalentemente di matrice americana) che pone un’attenzione specifica sul dato comportamentale rivolto al sociale. Parlare di Planetary Health implica, infatti, il collocare la salute umana non solo in relazione agli ecosistemi ma all’interno dei sistemi umani e sociali stessi.

Così è possibile identificare tre macro-categorie di sfide che devono essere affrontate, all’interno di questo paradigma, per mantenere e migliorare la salute umana di fronte a tendenze ambientali sempre più dannose. I “fallimenti concettuali ed empatici” (sfide dell’immaginazione) come il porre un’eccessiva dipendenza delle scelte delle politiche dal prodotto interno lordo come misura del progresso umano; i “fallimenti della conoscenza” (sfide di ricerca e informazione), come l’incapacità di comprendere o rilevare i fattori sociali e ambientali che determinano o incidono sulla cattiva salute spesso come risultato di una mole ridotta o poco finanziata di studi realmente multidisciplinari; i “fallimenti dell’implementazione” (sfide di governance), come il modo in cui governi e istituzioni ritardano il riconoscimento e le risposte alle minacce, soprattutto quando si trovano di fronte a incertezze o rischi. In questo senso i promotori del modello del Planetary Health giustamente specificano come l’inevitabile incompletezza delle informazioni o la necessità di prove migliori per sostenere politiche appropriate rispetto a quelle disponibili al momento non possano essere delle scuse per l’inattività63

In questo senso il concetto multidimensionale di Planetary Health risponde alle richieste di alcuni studiosi64 di

60 Horton, Richard, and Selina Lo. "Planetary health: a new science for exceptional action." The Lancet 386.10007 (2015): 1921-1922

61 Myers, S. and Frumkin, H., 2020. Planetary health: protecting nature to protect ourselves. Island Press.

62 l gruppo ISS One Health (OH) ha prodotto il Policy Brief (PB) su “One Health-Based Conceptual Frameworks for Comprehensive and Coordinated Prevention and Preparedness Plans Addressing Global Health Threats” che propone l’utilizzo di un One Health Conceptual Framework (OHCF) per facilitare l’integrazione di approcci One Health in piani nazionali di Prevenzione e Preparedness

63 Whitmee, S., Haines, A., Beyrer, C., Boltz, F., Capon, A., Dias, B., Ezeh, A., Frumkin, H., Gong, P., Head, P., Horton, R., Mace, G., Marten, R., Myers, S., Nishtar, S., Osofsky, S., Pattanayak, S., Pongsiri, M., Romanelli, C., Soucat, A., Vega, J., & Yach, D. (2015). Safeguarding human health in the Anthropocene epoch: report of The Rockefeller Foundation–Lancet Commission on planetary health. The Lancet, 386, 1973-2028. https://doi.org/10.1016/S0140-6736(15)60901-1.

64 Hinchliffe S. More than one world, more than one health: re-configuring interspecies health. Soc Sci Med. 2015 Mar;129:28-35. doi: 10.1016/j.socscimed.2014.07.007. Epub 2014 Jul 4. PMID: 25022470; Wolf M. Is there really such a thing as "one health"? Thinking about a more than human world from the perspective of cultural anthropology. Soc Sci Med. 2015 Mar;129:5-11. doi: 10.1016/j.socscimed.2014.06.018. Epub 2014 Jun 12. PMID: 24961737; PMCID: PMC7131074; Destoumieux-Garzón D, Mavingui P, Boetsch G, Boissier J, Darriet F, Duboz P, Fritsch C, Giraudoux P, Le Roux F, Morand S, Paillard C, Pontier D, Sueur C, Voituron Y. The One Health Concept: 10 Years Old and a Long Road Ahead. Front Vet Sci. 2018 Feb 12;5:14. doi: 10.3389/fvets.2018.00014. PMID: 29484301; PMCID: PMC5816263.

integrare e rafforzare maggiormente il modello One Health con le conoscenze ricavate dalle scienze sociali (Rock et al., 2009; Hinchliffe, 2015; Wolf, 2015; DestoumieuxGarzón et al., 2018) e nello stesso tempo appare attento al rischio di “colonialismo disciplinare” e cioè al rischio o deriva di far diventare una prospettiva multidisciplinare in realtà una visione monolitica di una disciplina che fornisce il modello e i metodi alle altre che hanno una funzione esclusivamente “ancillare” (Davis & Sharp, 202065) portando a minimizzare o annullare le diverse prospettive e campi di interesse sulla salute.

Così il paradigma del Planetary Health si concentra in modo più esplicito sull’interazione tra i cambiamenti comportamentali e la salute ambientale, ponendo maggiore enfasi sugli aspetti sociali e comportamentali. Questo modello riconosce che la salute umana non può essere disgiunta dal contesto in cui viviamo, e quindi richiede una visione olistica che includa i fattori ambientali, sociali e comportamentali offrendo un quadro più completo e integrato, che abbraccia anche l’importanza di pianificare politiche sostenibili e promuovere comportamenti virtuosi a livello di comunità.

Il concetto di Planetary Health impone quindi una riflessione profonda ed eziologica, chiaramente su base teorica, sul ruolo dei comportamenti umani in questo contesto. La scienza comportamentale si pone al centro di questa discussione, poiché offre strumenti e metodi essenziali per comprendere e modificare i comportamenti individuali e collettivi che influiscono sulla salute del pianeta e, di conseguenza, sulla nostra salute. Questo richiede un cambiamento di paradigma: non è più sufficiente adottare misure reattive e difensive, ma è necessario promuovere attivamente comportamenti virtuosi e sostenibili.

L’interconnessione tra salute umana e ambientale

Un elemento fondamentale quindi del paradigma di Planetary Health è il riconoscimento del legame indissolubile tra i cambiamenti ambientali e la salute umana. Le attività umane come l’inquinamento, la deforestazione e l’agricoltura intensiva non solo danneggiano l’ambiente, ma aggravano le patologie croniche e incidono negativamente sul benessere globale. Ad esempio, il cambiamento climatico e l’aumento delle temperature hanno portato all’incremento di inquinanti atmosferici come

l’ozono troposferico, che è collegato a un maggiore rischio di malattie cardiorespiratorie. Queste sfide mettono in evidenza come la salute umana sia inestricabilmente legata alla qualità dell’ambiente.

Discorso analogo se si considerano i sistemi alimentari che sono direttamente influenzati dalle condizioni ecologiche. L’accesso limitato a frutta, verdura e pesce di qualità, combinato con una dieta sbilanciata e un consumo eccessivo di alimenti ultra-processati, contribuisce all’aumento di obesità e malattie croniche.

Un approccio integrato alla salute richiede, infatti, non solo un potenziamento dei servizi sanitari, ma anche un’attenzione particolare ai determinanti comportamentali, che possono influenzare l’adozione di pratiche sostenibili e la capacità di affrontare le emergenze sanitarie. Così anche la possibilità stessa di garantire un accesso equo, omogeneo e continuativo ai servizi sanitari, soprattutto in un mondo interconnesso e vulnerabile a pandemie, cambiamenti climatici e perdita di biodiversità, dipende anche dalla capacità di modificare i comportamenti individuali e collettivi attraverso interventi mirati. Le scienze dei comportamenti forniscono un quadro scientifico per comprendere le barriere psichiche o sociali che ostacolano l’adozione di politiche sanitarie e ambientali efficaci.

Migliorare l’accesso ai servizi sanitari implica, infatti, affrontare non solo i fattori logistici e strutturali, ma anche quelli comportamentali. Ad esempio, l’adesione a politiche sanitarie preventive e la gestione delle malattie croniche dipendono fortemente dalle abitudini e dalle motivazioni personali. Un’efficace sorveglianza sanitaria, tanto per gli animali quanto per gli esseri umani, richiede una collaborazione trasversale tra settori e discipline diverse, e le scienze dei comportamenti possono facilitare l’adozione di pratiche collaborative tra medici, veterinari, ecologi e altre figure professionali.

Inoltre, per garantire che le persone adottino pratiche di prevenzione, come la vaccinazione o l’uso di sistemi sanitari preventivi, è essenziale comprendere le dinamiche cognitive e sociali che possono influenzare l’adesione o il rifiuto di tali pratiche. L’utilizzo di strumenti comportamentali, come la nudge theory, può incoraggiare decisioni sanitarie più consapevoli, contribuendo così alla prevenzione e al controllo delle zoonosi e altre malattie emer-

65 Davis A, Sharp J. Rethinking One Health: Emergent human, animal and environmental assemblages. Soc Sci Med. 2020 Aug;258:113093. doi: 10.1016/j.socscimed.2020.113093. Epub 2020 May 30. PMID: 32531688; PMCID: PMC7369629; Rock M, Buntain BJ, Hatfield JM, Hallgrímsson B. Animal-human connections, "one health," and the syndemic approach to prevention. Soc Sci Med. 2009 Mar;68(6):991-5. doi: 10.1016/j.socscimed.2008.12.047. Epub 2009 Jan 20. PMID: 19157669

genti.

L’analisi dei comportamenti legati alla salute, insieme alla percezione soggettiva che ciascuno ha del proprio stato di salute o malattia, che comprende una valutazione personale del proprio benessere fisico, mentale e sociale, rappresentano strumenti essenziali quindi per ottenere una visione approfondita delle dinamiche che condizionano il mantenimento di un buono stato di salute e l’accesso ai servizi sanitari. Questi strumenti consentono di identificare e affrontare in modo mirato, rigoroso e informato i problemi. Ad esempio, esaminando le abitudini ripetitive dei pazienti, è possibile riconoscere prassi che facilitano o ostacolano l’accesso ai servizi sanitari, come prenotazioni ritardate o mancata partecipazione agli appuntamenti. Comportamenti atipici o devianti possono segnalare barriere specifiche, come difficoltà economiche, scarsa comprensione delle istruzioni mediche o problemi legati ai trasporti. Le analisi possono inoltre far emergere ostacoli psicologici, come l’ansia o la paura per la propria condizione clinica, la sfiducia nel sistema sanitario, o difficoltà sociali come isolamento, assenza di supporto familiare o stigma associato alla malattia, che possono influire sull’aderenza alla terapia, sull’adeguatezza di raccomandare cure domiciliari o sull’importanza di fornire informazioni specifiche per la gestione della malattia66

Salute globale: come i nostri pregiudizi influenzano la percezione di Planetary Health e One Health

In un mondo sempre più interconnesso, oltre al Planetary Health anche un altro approccio alla salute globale sta guadagnando terreno, quello One Health. L’integrazione di questi approcci, superando i rispettivi bias, potrebbe portare a soluzioni più efficaci per le sfide sanitarie globali del XXI secolo. Solo abbracciando la complessità e l’interconnessione di tutti gli aspetti della salute possiamo sperare di creare un futuro davvero sostenibile per il nostro pianeta e tutti i suoi abitanti.

Mentre entrambi mirano a una visione olistica del benessere, i nostri bias cognitivi possono influenzare significativamente il modo in cui li percepiamo e li mettiamo in pratica. Abbiamo esplorato, attraverso l’Osservatorio Scenario Salute di Bhave, le differenze di questi due approcci attraverso l’analisi di esempi concreti:

Scala e portata: dal locale al globale

One Health tende a concentrarsi su interazioni più immediate tra uomo e animale. Ad esempio, durante l’epidemia di influenza aviaria, l’attenzione si è concentrata principalmente sul controllo della diffusione tra pollame e umani.  Al contrario, Planetary Health adotta una visione più ampia. Prendiamo il caso del riscaldamento globale: mentre gli effetti sulla salute sono evidenti (ondate di calore, diffusione di malattie tropicali), la vastità del problema può portare a un senso di impotenza.

Temporalità: oggi vs domani

Il bias temporale in One Health si manifesta nella rapida mobilitazione durante epidemie come l’Ebola. L’urgenza è immediata e tangibile. Planetary Health, invece, affronta sfide a lungo termine. L’innalzamento del livello del mare, per esempio, avrà conseguenze drammatiche sulla salute delle popolazioni costiere, ma la lentezza del processo può portare a sottovalutare l’urgenza dell’azione.

Complessità: dall’ovvio all’intricato

One Health può sottostimare le interazioni ecosistemiche complesse. La deforestazione in Brasile, ad esempio, non solo aumenta il contatto uomo-animale (rischio zoonosi), ma altera anche i patterns climatici globali. Planetary Health, d’altra parte, rischia di paralizzare l’azione a causa della sua complessità. Le microplastiche negli oceani influenzano la catena alimentare marina, la qualità del cibo e infine la nostra salute, ma la complessità del problema può scoraggiare interventi mirati.

Antropocentrismo: l’uomo al centro?

Nonostante One Health consideri la salute animale, spesso lo fa principalmente in relazione al benessere umano. La vaccinazione del bestiame contro la brucellosi, ad esempio, è spesso motivata più dalla protezione umana che dal benessere animale in sé. Planetary Health, pur essendo più ecocentrica, può comunque privilegiare gli interessi umani. La conservazione delle foreste pluviali viene spesso giustificata per i benefici all’uomo (farmaci, regolazione climatica) piuttosto che per il valore intrinseco dell’ecosistema.

Riconoscere questi bias è cruciale per un’implementazione efficace di entrambi gli approcci. One Health potrebbe beneficiare di una visione più ampia e a lungo termine, mentre Planetary Health potrebbe guadagnare dall’inclusione di azioni più immediate e tangibili.

66 Sull’argomento accesso all’assistenza sanitaria si veda i contributi del Patient Access Think Tank nel “Patient Access Monitor Journal, Report 2024” scaricabile su https://issuu.com/raffaelecreativagroupcom/docs/patient_access_def?fr=xKAE9_zU1NQ

Le indagini condotte dalla scienza comportamentale in questo ambito, come la recente indagine survey condotta da Bhave in collaborazione con il prof. Walter Ricciardi e il dott. Federico Serra su un campione della popolazione italiana67 mostra, ad esempio, come le preoccupazioni sullo stato di salute individuale o collettivo siano viste, dagli intervistati, in un’ottica di “salute globale”.

Vediamo, infatti, che le questioni sanitarie e sociali più urgenti che richiedono, secondo gli intervistati, maggiore attenzione, sia attuale che futura, sono non solo l’inefficienza del sistema sanitario, che impedisce alle persone di ricevere cure adeguate; le problematiche sociali quali

ecologiche e naturali o il disagio sociale.

La scienza comportamentale, che combina discipline come la psicologia, l’antropologia, l’economia comportamentale, la sociologia e le scienze cognitive68, gioca quindi un ruolo cruciale nell’affrontare le sfide del modello della Planetary Health. Questa disciplina fornisce strumenti per comprendere come le persone adottano comportamenti, come questi comportamenti possano essere modificati e come influenzino la salute pubblica. Ad esempio, è stato dimostrato che l’introduzione di incentivi economici e sociali può promuovere comportamenti sostenibili, come la riduzione del consumo di sale

la salute mentale, con particolare riferimento a disturbi come l’ansia generalizzata, la depressione e l’isolamento patologico; la salute fisica complessiva della popolazione; la carenza di personale sanitario; la scarsa o inadeguata pianificazione delle risorse economiche ma anche le questioni ambientali e sociali di portata globale, come le crisi

o l’adozione di diete equilibrate, che non solo migliorano la salute, ma riducono anche l’impatto ambientale.

La scienza comportamentale ci insegna che il cambiamento non avviene solo attraverso l’informazione, ma attraverso la creazione di condizioni ambientali e

67 L'indagine “La salute e la sanità viste dagli italiani” presentata all’interno del “Patient Access Monitor Journal, Report 2024”, esplora lo stato di salute degli italiani e la loro esperienza con i servizi sanitari, con l’obiettivo di ottenere una panoramica dettagliata dei comportamenti di cura, delle abitudini di salute e di gestione delle patologie prevalenti ed è stata svolta con interviste standardizzate, utilizzando modalità CAWI (Computer Assisted Web Interviewing) e CATI (Computer Assisted Telephone Interviewing) e coinvolgendo un campione di 1022 persone residenti in Italia tra maggio e luglio 2024.

68 Behavioural insights at WHO - Behavioural Sciences for Better Health

69 Behavioral science around the world: volume III: public health. WHO REFERENCE NUMBER: B09046. https://www. who.int/publications/i/item/B09046; Afif, Zeina; Islan, William Wade; Calvo-Gonzalez, Oscar; Dalton, Abigail Goodnow. 2019. Behavioral Science Around the World:Profiles of 10 Countries (English). eMBeD brief. Washington, D.C.World Bank Group

relazionali che facilitano il cambiamento stesso. L’adozione di politiche pubbliche che incentivano comportamenti virtuosi, come sconti per prodotti ecologici, tasse sulle emissioni di gas serra o dinamiche di comunità, possono spingere le persone a fare scelte più sostenibili. Questo tipo di intervento non solo ha un impatto diretto sul comportamento individuale, ma contribuisce a modificare le norme sociali, favorendo l’emergere di nuove abitudini collettive orientate alla sostenibilità.

Un esempio rilevante di questo approccio è l’istituzione delle Behavioral Intervention Units (BIUs), unità di analisi comportamentale create con l’obiettivo di affrontare specifiche sfide sanitarie attraverso l’applicazione di questi studi e che sono ad oggi attive già diffuse in 26 Paesi, dimostrando un crescente riconoscimento dell’importanza di questa disciplina nella gestione delle crisi sanitarie e nella promozione di comportamenti più salutari. In particolare, le BIUs analizzano il comportamento umano, identificano le motivazioni e gli ostacoli che influenzano le decisioni in tema di salute, e sviluppano interventi mirati attraverso strumenti come le nudges (letteralmente “spinte gentili”, ossia strategie comportamentali che, attraverso piccoli suggerimenti, mirano a influenzare positivamente le scelte delle persone), che cercano di facilitare l’adozione di scelte migliori a livello individuale e collettivo. In questo modo le BIUs, in linea con il paradigma della Planetary Health, contribuiscono a rendere operativa una visione di salute che analizza e promuove i cambiamenti dei comportamenti nell’ottica della sostenibilità ambientale e del benessere collettivo.

Guardando ad una classificazione dei principali modelli di BIUs riscontrati nel mondo, è stato possibile individuare tre tipi di modalità differenti di relazione fra queste Units e il modello sanitario locale69:

1) Unità integrate direttamente nel Ministero della Salute come il caso United Kingdom: modello centralizzato che prevede unità specializzate interne al governo locale e focalizzate esclusivamente sullo studio dei comportamenti di salute.

Operativo già da oltre 10 anni, il Behavioural Science and Insights Unit della UK Health Security Agency (UKHSA) si occupa di supportare il governo tramite le competenze nello studio sui comportamenti, con particolare attenzione alle emergenze sanitarie e alla preparazione in caso di incidenti e disastri. È stato infatti particolarmente attivo durante la pandemia, durante la quale ha collaborato al progetto CORSAIR, fornendo dati in tempo reale e raccomandazioni ai decisori e ha portato avanti attività

come uno studio relativo alla propensione dei genitori britannici di vaccinare i propri figli contro il COVID-19.

2) Unità appartenenti ad agenzie governative come in Argentina: modello integrato con le strutture governative, che si concentra su un ampio spettro di questioni, non limitate all’ambito della salute.

Di formazione più recente, l’unità argentina, creata nel 2022 con il nome di Behavioral Sciences and Public Policies Unit e legata al Ministero dell’Economia ha come aree di interesse la maternità e la salute infantile, la nutrizione e l’igiene con un team composto da economisti, psicologi e scienziati politici che utilizzano modelli di analisi comportamentale come COM-B, MINDSPACE ed EAST per strutturare i propri progetti. Tra le iniziative principali portate avanti in questi primi due anni di attività, figurano la promozione presso le giovani madri dell’allattamento al seno nei primi sei mesi di vita del bambino e l’uso dell’IA attraverso una chatbot su WhatsApp per promuovere le vaccinazioni COVID-19. Rilevante anche la creazione di un manuale per superare le barriere comportamentali interne al sistema sanitario che ostacolano le procedure di trapianto di organi, partendo dalla constatazione di una non corrispondenza tra l’aumento del numero di donatori d’organi e il numero effettivo di trapianti realizzati.

3) Enti e agenzie indipendenti come in Messico: realtà esterne al setting governativo, ma alle quali vengono commissionati (anche dai governi) studi comportamentali nell’ambito della salute.

In questo contesto, il Dipartimento di Promozione della Salute e della Nutrizione dello Yucatàn ha avviato in collaborazione con il Fondo delle Nazioni Unite un progetto che punta a cambiamenti sociali e comportamentali nell’infanzia e nel campo della nutrizione, istituendo un consiglio per il cambiamento comportamentale.

Infine, una declinazione interessante delle BIUs nel nostro territorio è rappresentata dall’esperienza dei Team per l’Analisi dei Comportamenti (TAC), noto anche come Italy Behavioral Insights Team, una delle prime forme di Behavioral Public Administration (BPA) al mondo. Il team, infatti, ha sperimentato l’utilizzo delle scienze cognitive e comportamentali per migliorare le decisioni e il funzionamento della pubblica amministrazione, e dunque non limitatamente al settore sanitario, con l’obiettivo principale di aumentare l’efficacia decisionale, migliorare il benessere lavorativo, ma anche di promuovere un pensiero critico e innovativo all’interno delle amministrazioni pubbliche.

3. CONFIGURAZIONE DI SCENARI FUTURI

3. UN PROGRAMMA DI RICERCA BHAVE SUL FUTURO

La sezione esplora, attraverso il programma di ricerca BHAVE, le traiettorie evolutive del sistema salute italiano in risposta a trasformazioni strutturali, tecnologiche e normative, adottando una prospettiva anticipatoria e transdisciplinare utile alla pianificazione strategica.

Viene presentata una metodologia di scenario fondata su evidenze empiriche e modelli interpretativi robusti, capace di coniugare epistemologia della complessità, analisi predittiva e progettazione operativa in contesti di elevata incertezza.

I quattro scenari elaborati – dalla sanità supervisionata agli ecosistemi ibridi, fino alla salute autogestita e alla frattura sistemica – permettono di analizzare opportunità, rischi e contraddizioni nella riconfigurazione della domanda, dell’offerta, della distribuzione e della regolazione dei servizi sanitari.

L’obiettivo è fornire strumenti di lettura e indirizzo a decisori pubblici, policy maker e stakeholder, affinché possano affrontare in modo proattivo le transizioni in atto, promuovendo modelli sanitari più equi, resilienti e orientati al valore, capaci di anticipare e non solo inseguire il cambiamento.

L’Italia si trova attualmente in un momento cruciale di trasformazione del proprio Sistema Sanitario Nazionale (SSN), spinta da un insieme convergente di fattori strutturali, normativi e tecnologici: l’attuazione del DM77, la crescente pressione demografica sull’assistenza territoriale, l’evoluzione dell’intelligenza artificiale generativa, la medicina personalizzata e la digitalizzazione dei percorsi di cura. Il PNRR ha rappresentato un avvio importante ma oggi, a metà del decennio, l’attenzione si sposta sulla sostenibilità strutturale del cambiamento, sulla capacità delle Regioni di implementare modelli territoriali integrati e sulla governance dei dati sanitari in logica predittiva

Numerose evidenze internazionali confermano che le riforme sanitarie strutturali richiedono almeno un decennio per essere pienamente assimilate. Tuttavia, l’attuale ritmo delle transizioni tecnologiche (es. IA, digital twin, robotica assistiva) rende evidente una tensione crescente: la trasformazione dei modelli di cura e l’adozione delle tecnologie sanitarie non procedono alla stessa velocità, generando frizioni sistemiche e disallineamenti di governance

In questo contesto, il programma di ricerca “Osservatorio Scenario Salute” di BHAVE assume una funzione strategica. Il suo obiettivo è monitorare e anticipare l’evoluzione del sistema salute in Italia, valutando l’impatto delle transizioni in atto su SSN, stakeholder pubblici e privati, aziende farmaceutiche e attori del welfare allargato. Il focus non è solo sulla misurazione dei cambiamenti, ma sulla costruzione di scenari plausibili e delle loro implicazioni operative.

BHAVE adotta una metodologia sistemica e plurimodale: indagini qualitative e quantitative longitudinali, ricerca documentale, analisi desk e morphologic scenario building, con il contributo di panel multidisciplinari. Il riferi-

mento concettuale si ispira all’epistemologia dei programmi di ricerca di Lakatos (1970), in cui un “nucleo teorico” si sviluppa attraverso un’euristica positiva, senza cadere in ipotesi ad hoc o adattamenti ex post.

In questa logica, ogni scenario elaborato ha un fondamento empirico autonomo e non si limita a prevedere il “futuro più probabile”, ma costruisce una configurazione di sistema coerente, utile per l’interpretazione, la gestione degli imprevisti e la programmazione strategica. Come affermato da Poli (2019), è tempo che la ricerca anticipatoria si emancipi dalla dimensione meramente operativa e assuma una rilevanza teorica nel dibattito sulle trasformazioni sociali.

Gli scenari futuri vengono così intesi come strumenti euristici per comprendere il presente e non solo come simulazioni sul futuro. L’approccio BHAVE integra componenti demografiche, epidemiologiche, sociali, tecnologiche ed economiche in una logica multi-metodo, coerente con la visione transdisciplinare della Futures Studies contemporanea. A fondamento vi è l’idea che ogni scenario efficace debba risultare dalla combinazione di evidenze indipendenti e non predittive, capaci di spiegare fenomeni inattesi, secondo una logica di plausibilità sistemica.

SCENARIO 1 – “SANITÀ SUPERVISIONATA:

CENTRALITÀ PUBBLICA E COORDINAMENTO DIGITALE”

Nel primo scenario, si consolida un modello sanitario pubblico fortemente supervisionato, in cui l’innovazione digitale viene implementata sotto la guida e il coordinamento delle istituzioni. La centralità del Servizio Sanitario

Nazionale (SSN) viene riaffermata attraverso politiche di investimento mirate e un rafforzamento della governance multilivello. L’equità d’accesso e l’omogeneità delle prestazioni su base territoriale sono obiettivi prioritari, resi possibili grazie alla diffusione capillare delle tecnologie digitali e a un progressivo processo di armonizzazione tra le Regioni.

In questo contesto, la digitalizzazione non è lasciata all’iniziativa dei singoli attori, ma diventa parte integrante di un disegno pubblico nazionale. I fascicoli sanitari elettronici vengono resi interoperabili e costantemente aggiornati, la telemedicina viene regolata e integrata stabilmente nei percorsi assistenziali, e le piattaforme digitali per la prevenzione, la diagnosi e il follow-up vengono rese accessibili e intuitive per operatori e cittadini. Il ruolo del medico di medicina generale (MMG) si evolve in chiave di coordinatore della presa in carico, affiancato da team multidisciplinari e con il supporto strutturato di strumenti digitali.

La prevenzione guadagna un ruolo centrale nelle agende sanitarie, con campagne pubbliche massive, programmi di screening personalizzati e un’attenzione crescente alla medicina predittiva. Le farmacie dei servizi vengono formalmente integrate nella rete assistenziale territoriale, svolgendo un ruolo di prossimità per attività di monitoraggio, educazione sanitaria e vaccinazione.

Dal punto di vista della popolazione, cresce la fiducia verso il sistema pubblico, anche grazie a una comunicazione istituzionale più trasparente e tempestiva, basata su dati aperti. L’inclusione digitale è promossa attraverso alfabetizzazione tecnologica e dispositivi di accesso semplificato. Le disuguaglianze territoriali, pur persistenti, vengono progressivamente ridotte grazie a una forte regia centrale.

Keyword – Fiducia guidata dal territorio

La fiducia nel sistema sanitario si consolida grazie al rafforzamento delle cure primarie, al ruolo attivo del medico di medicina generale (MMG) e del farmacista come presìdi territoriali, e all’integrazione tra assistenza sociosanitaria e digitale. Il cittadino si orienta con maggiore consapevolezza grazie a strumenti di prevenzione, educazione sanitaria e tecnologie semplici ma diffuse.

Dal punto di vista sociologico, questo scenario riflette la biopolitica di Rose (2007), dove lo Stato esercita un controllo centralizzato attraverso tecnologie digitali per garantire equità, trasformando i cittadini in co-produttori responsabilizzati della salute. L’armonizzazione dei dati

sanitari e il ruolo rafforzato del MMG come coordinatore territoriale riducono le disuguaglianze geografiche, ma rischiano di normalizzare pratiche di sorveglianza soft, limitando l’autonomia individuale [Rose, 2007] e riducendo l’efficacia di politiche attive di promozione della salute e tendendo a puntare principalmente su politiche passive di prevenzione fondate sull’informazione sanitaria in un’ottica prescrittiva. Secondo Lupton (2016), l’interoperabilità del Fascicolo Sanitario Elettronico può aumentare la fiducia nel sistema, ma accentua il divario digitale per anziani e gruppi a bassa alfabetizzazione tecnologica, trasformando l’accesso in un privilegio condizionato dalla competenza digitale [Lupton, 2016]. Turner (2004) evidenzia come la medicalizzazione dei percorsi, sebbene garantisca universalismo, possa irrigidire le istituzioni, riducendo la salute a mero adempimento burocratico anziché a diritto dinamico [Turner, 2004]. Annandale (2014) aggiunge che la centralizzazione rischia di trascurare le specificità di genere, come il carico di cura informale sulle donne, richiedendo politiche intersezionali per evitare l’omogeneizzazione dei bisogni [Annandale, 2014].

Driver rilevanti (aggiornati):

• Centralità del MMG e del farmacista nella gestione delle cronicità

• Estensione dei servizi di telemonitoraggio e teleassistenza

• Maggiore accesso a dati sanitari e documentazione personale (FSE, app, ecc.)

• Cultura della prevenzione e coinvolgimento attivo dei caregiver

• Collaborazioni territoriali tra ASL, enti locali e terzo settore

SCENARIO 2 – “ECOSISTEMI IBRIDI: COLLABORAZIONI PUBBLICO-PRIVATE E SERVIZI A DOMANDA”

In questo scenario, si afferma un ecosistema sanitario ibrido, dove la collaborazione tra attori pubblici e privati diventa strutturale e dove la domanda di salute è sempre più orientata da bisogni individualizzati e dalla capacità di spesa delle persone. Il SSN continua a garantire un paniere essenziale di prestazioni, ma si rafforza il ricorso a soluzioni complementari offerte dal mercato, in un quadro regolato ma flessibile.

Il digitale funge da catalizzatore per nuove forme di partnership pubblico-private. Piattaforme integrate consen-

tono a cittadini e pazienti di accedere a una gamma di servizi sanitari (pubblici e privati) da un’unica interfaccia, mentre strumenti di intelligenza artificiale supportano diagnosi e piani terapeutici condivisi. Gli operatori sanitari, inclusi MMG e farmacisti, si trovano sempre più spesso a interagire in ambienti ibridi, dove la collaborazione con start-up, cooperative sanitarie e imprese tecnologiche è frequente e strutturata.

La personalizzazione della cura diventa una leva competitiva. Le persone accedono a pacchetti di servizi digitali, applicazioni di auto-monitoraggio e consulenze specialistiche, spesso offerte in modalità on-demand, anche tramite abbonamenti o assicurazioni sanitarie integrative. In questo scenario, il farmacista si configura come un hub di servizi personalizzati, mentre il MMG assume un ruolo di facilitatore delle scelte del paziente, con un focus sul counselling e l’orientamento.

La governance è multilivello e adattiva: lo Stato definisce standard minimi di qualità e accessibilità, ma delega l’attuazione alle Regioni e agli operatori. L’efficienza del sistema dipende dalla capacità di orchestrare risorse e attori eterogenei. Le disuguaglianze di accesso si accentuano, ma vengono in parte compensate da iniziative filantropiche, mutualistiche e sociali.

Keyword– Ecosistemi sanitari liquidi

L’interazione tra pubblico e privato evolve in un sistema “liquido” e iperconnesso, in cui la salute si distribuisce lungo piattaforme integrate, dispositivi intelligenti e servizi on demand. L’intelligenza artificiale supporta diagnosi e personalizzazione dei percorsi, mentre il ruolo dell’utente si sposta verso una gestione autonoma e guidata da dati.

Latour (2005) considererebbe questo scenario come una rete socio-tecnica in cui attori umani e non umani (IA, piattaforme) co-costruiscono servizi, ridefinendo i confini tra mercato e diritto alla salute. L’ibridazione favorisce innovazione e personalizzazione, ma rischia di frammentare il sistema in “isole” di accesso privilegiato [Latour, 2005]. Per Gherardi (2019), la conoscenza situata negli ecosistemi ibridi genera pratiche organizzative adattive, ma l’eterogeneità degli standard può minare la coerenza sistemica, specialmente nelle regioni con minore capacity istituzionale [Gherardi, 2019]. E’ bene considerare che facendo riferimento a Rose (2007) la stessa responsabilizzazione individuale attraverso app e wearables potrebbe trasformarsi in colpevolizzazione dei pazienti che non aderiscono ai protocolli digitali [Rose, 2007]. Così come citando Lupton (2016) la cultura del rischio digita-

lizzata, sebbene empowering, espone a nuove forme di ansia da performance sanitaria, mentre con Annandale (2014) potremmo considerare come le partnership possano marginalizzare ulteriormente soggetti vulnerabili ad esempio in aree rurali, già svantaggiate nell’accesso a servizi premium [Annandale, 2014].

Driver rilevanti (aggiornati):

• Diffusione di dispositivi indossabili, app e sistemi predittivi

• AI e big data nella gestione delle cure e nell’allocazione delle risorse

• Erosione delle barriere tra sanità pubblica, privata e assicurativa

• Nuovi modelli di accesso “as-a-service” a servizi sanitari e farmaceutici

• Sfide etiche e normative legate alla governance dei dati

SCENARIO 3 – “SALUTE AUTOGESTITA: PIATTAFORME, TECNOLOGIA E AUTO-CURA”

Nel terzo scenario, la salute diventa un processo prevalentemente autogestito dai cittadini, grazie alla diffusione capillare di tecnologie digitali, sensori indossabili, intelligenza artificiale e piattaforme di self-care. Il sistema sanitario pubblico si ritrae su funzioni essenziali e regolatorie, mentre la maggior parte delle interazioni avviene tra utenti e servizi digitali, spesso offerti da grandi attori tecnologici.

La figura del paziente si trasforma radicalmente in quella di un “utente attivo” o “prosumer” della salute. Le decisioni di cura vengono prese in autonomia, grazie a un costante flusso di dati biometrici, algoritmi predittivi e consulenze virtuali. La responsabilità individuale nella gestione del benessere assume un peso crescente, sostenuta da incentivi assicurativi, sociali e lavorativi.

MMG e farmacisti diventano meno centrali nel percorso di cura tradizionale, ma possono reinventarsi come coach della salute o consulenti digitali, offrendo servizi di valore aggiunto integrati con le piattaforme tecnologiche. Le farmacie si riconvertono in hub per la gestione di dispositivi medici, assistenza tecnica, e data point per il monitoraggio remoto.

Le istituzioni pubbliche mantengono un ruolo di garanzia (privacy, sicurezza, qualità), ma delegano gran parte dell’erogazione dei servizi a soggetti terzi, spesso internazionali. L’interoperabilità tra piattaforme diventa un

tema critico, così come la protezione dei dati personali e il contrasto alle disuguaglianze digitali.

L’accesso ai servizi di salute diventa rapido, personalizzato e costantemente disponibile, ma a rischio di disintermediazione e disuguaglianze. Le persone più fragili o meno alfabetizzate digitalmente rischiano l’esclusione, mentre le comunità più connesse prosperano in un ecosistema flessibile e tecnologicamente avanzato.

Keyword – Sanità contratta, fiducia frammentata

Il sistema sanitario affronta una fase di contrazione, con risorse limitate, invecchiamento degli operatori e difficoltà nella risposta ai bisogni. I cittadini si orientano su soluzioni parallele, spesso frammentarie, tra prestazioni private, auto-cura e reti informali. Ne deriva una fiducia selettiva e una crescita delle disuguaglianze di accesso.

In questo contesto è bene considerare come indica Lupton (2016) che l’auto-tracciamento biometrico tramite wearables possa a lungo andare incarnare una cultura del rischio iper-individualizzata, dove la salute diventa progetto esistenziale, generando però disuguaglianze tra chi può permettersi tecnologie avanzate e chi rimane escluso [Lupton, 2016]. In questo senso la tendenza in questo scenario è quella indicata da Rose (2007) quando parla di un’autogestione espressione non come senso di libertà ma di una biopolitica neoliberale, in cui lo Stato si ritira delegando ai cittadini il controllo, con il rischio di medicalizzare ogni aspetto della vita quotidiana [Rose, 2007] erodendo il concetto di cittadinanza sanitaria universale [Turner, 2004]. Annandale (2014) aggiunge che l’autocura digitalizzata potrebbe aggravare il carico di genere, poiché le donne continuerebbero a farsi carico della gestione familiare dei dispositivi [Annandale, 2014].

Driver rilevanti (aggiornati):

• Carenza di MMG, personale sanitario e farmacie in aree fragili

• Crescente ricorso al privato per prestazioni rapide

• Sfida del “non demandato”: bisogni che non arrivano ai servizi

• Disomogeneità regionale e frattura urbano/periferico

• Sovraccarico burocratico e percezione di inefficienza

SCENARIO 4 – “FRATTURA SISTEMICA:

DISUGUAGLIANZE E CRISI DI FIDUCIA”

Nel quarto scenario, si verifica una crisi sistemica della sanità pubblica, alimentata da sottofinanziamento cro-

nico, frammentazione territoriale e perdita di fiducia da parte dei cittadini. Il SSN diventa sempre più inefficace nel garantire servizi essenziali, mentre i cittadini si rivolgono, quando possibile, a soluzioni private o informali. La salute pubblica diventa un campo di tensioni sociali, politiche ed economiche.

La digitalizzazione procede in modo disomogeneo e spesso scoordinato. Mentre alcune Regioni o territori urbani avanzano con soluzioni tecnologiche avanzate, vaste aree del Paese restano escluse per mancanza di infrastrutture, risorse o competenze. Il Fascicolo Sanitario Elettronico non è pienamente operativo, la telemedicina resta marginale, e i percorsi di presa in carico si interrompono frequentemente.

Il medico di medicina generale si trova sovraccaricato, con pochi strumenti e scarso supporto. Le farmacie lottano per mantenere un ruolo di prossimità, ma faticano a rispondere alla crescente domanda di salute da parte dei cittadini. Il burnout tra gli operatori sanitari cresce, così come la mobilità professionale verso il settore privato o verso l’estero.

La popolazione perde fiducia nelle istituzioni sanitarie e cerca risposte altrove: piattaforme online, gruppi informali, reti di auto-aiuto. Crescono le disuguaglianze sanitarie, sia per condizione economica che per area geografica. Le comunità più vulnerabili sono le più colpite, mentre le élite accedono a servizi di alta qualità tramite canali privati.

Le politiche pubbliche appaiono reattive e frammentate. La programmazione sanitaria soffre di mancanza di visione strategica e incapacità di innovare. In assenza di una riforma profonda, il sistema rischia la marginalizzazione e la perdita di uno dei suoi tratti distintivi: l’universalismo.

Keyword – Resilienza guidata dalla comunità

La risposta alle vulnerabilità si struttura grazie a reti di comunità, volontariato, farmacie di prossimità e iniziative ibride tra pubblico e privato sociale. L’attenzione si sposta sulla salute mentale, l’inclusione delle fasce fragili e la coprogettazione di percorsi con i cittadini, sostenuta anche da micro-finanziamenti e progettazione locale.

Questa frammentazione come esito della medicalizzazione fallita, dove il ritiro dello Stato trasforma la salute in bene di mercato, porterebbe però ad esacerbare le disuguaglianze di classe e geografiche [Turner, 2004]. Considerando le stesse riflessioni di Latour (2005) si

potrebbe identificare un collasso strutturale e una rottura delle reti socio-tecniche, dove la mancata interoperabilità tra FSE e servizi territoriali potrebbe alimentare la sfiducia [Latour, 2005]. Poli (2019) Considerando così lo scenario non come proiezione, ma come lente per comprendere le fragilità odierne, invitando a politiche riparative basate su resilienza comunitaria [Poli, 2019] si potrebbe vedere con Rose (2007) che tali fratture potrebbero innescare biopoteri alternativi (cooperative, terzo settore), ma solo se sostenuti da infrastrutture normative inclusive [Rose, 2007].

Driver rilevanti (aggiornati):

• Ruolo attivo delle comunità locali e dei cittadini esperti

• Iniziative di farmacie e MMG orientate alla presa in carico sociale

• Crescita di modelli mutualistici e sanitari “di quartiere”

• Attivismo civico e sostegno alla salute mentale

• Progetti co-finanziati (PNRR, fondazioni, cooperative)

Matrice comparativa sintetica – Scenari futuri in sanità

La matrice mostra come lo scenario Ecosistemi Ibridi emerga come quello più equilibrato e sostenibile, capace di integrare innovazione tecnologica, inclusione sociale e governance partecipativa. In particolare, la sua forza risiede nella capacità di coniugare strumenti avanzati (es. AI, FSE integrato, accountability data-driven) con modelli di valutazione trasparente e collaborativa, adattabili ai bisogni locali senza rinunciare a una visione sistemica.

Al contrario, lo scenario della Sanità Frammentata riflette una deriva disfunzionale, dove le diseguaglianze si amplificano e la digitalizzazione si sviluppa a macchia di leopardo, ostacolando sia l’efficienza sia l’equità. L’Accentramento Adattivo punta su efficienza e controllo, ma rischia di soffocare l’innovazione dal basso e di rallentare i processi di adattamento locale. Infine, lo scenario dell’Innovazione guidata dal mercato presenta forti accelerazioni tecnologiche, ma con un rischio elevato di esclusione per le fasce meno redditizie o marginali, e una governance dominata da logiche private.

In sintesi, solo Ecosistemi Ibridi appare in grado di bilanciare la complessità crescente del sistema sanitario, garantendo una sanità digitale, equa, flessibile e orientata al valore.

Area / ScenarioEcosistemi

Domanda

Offerta

Distribuzione

Digital Care Programs integrati, personalizzati e i nteroperabili; sistemi di accountability multilivello con metriche di outcome reali e percepiti.

Offerta disomogenea e accesso ineguale a programmi digitali; accountability debole e discontinua, dominata da logiche locali.

Regolatorio

Uso diffuso e controllato dell’AI per allocazione dinamica delle risorse (cliniche, umane, tecnologiche) con adattamento continuo.

Interoperabilità estesa: piena integrazione tra FSE, sistemi di prenotazione e percorsi regionali e nazionali.

Governance integrata, flessibile e trasparente; valutazione multidimensionale e partecipativa; etica e AI explainable.

AI poco utilizzata o in modo incoerente; allocazione inefficiente, spesso statica e soggetta a vincoli strutturali.

Digital Care standardizzati e centralizzati; accountability focalizzata su KPI nazionali, meno su outcome soggettivi.

AI usata per pianificazione centralizzata; maggiore efficienza, ma minore adattabilità locale.

Programmi digitali sviluppati da attori privati; accountability legata a metriche di efficienza commerciale e customer experience.

AI spinta da provider privati per ottimizzare ROI; frammentazione tra chi può permettersi tecnologie avanzate e chi no.

Sistemi a silos, integrazione scarsa o nulla tra regioni; digital divide accentuato.

Regole disomogenee, frammentate tra territori; mancano strumenti per valutazione integrata.

Sulla base dei quattro scenari elaborati (“Sanità supervisionata”, “Ecosistemi ibridi”, “Salute autogestita”, “Frattura sistemica”), lo scenario più probabile nel medio periodo (2025–2030) — considerando vincoli istituzionali, tendenze in atto e fattori abilitanti — appare essere lo scenario 2: “Ecosistemi ibridi”. Questo scenario rappresenta un punto di equilibrio tra spinte evolutive tecnologiche e resistenza strutturale del sistema pubblico. Di seguito una descrizione di questo scenario, declinata in funzione delle quattro aree della domanda, dell’offerta, della distribuzione e del regolatorio.

Integrazione promossa dallo Stato, ma limitata dalla complessità burocratica; migliora nel tempo.

Governance verticale e centralizzata; efficiente, ma poco partecipativa e meno flessibile all’innovazione dal basso.

Integrazione parziale, guidata da grandi provider IT; rischio lock-in tecnologico e mancanza di standard condivisi.

Governance influenzata da logiche di mercato; valutazioni rapide ma guidate da ROI e fattori competitivi, non sempre pubblici.

3.1 AREA DELLA DOMANDA – Digital Care Programs e Sistemi di Accountability per il monitoraggio degli outcome

Nello scenario “Ecosistemi ibridi”, la domanda di salute evolve verso modelli sempre più personalizzati e digitalizzati, in cui i cittadini assumono un ruolo attivo nella gestione del proprio stato di salute. I Digital Care Programs diventano la spina dorsale dell’interazione tra individui e sistema sanitario, strutturati come percorsi integrati digitali che combinano monitoraggio remoto, consulti asincroni e supporti comportamentali (es. coaching digitale). L’adozione di questi programmi è sostenuta dalla crescente alfabetizzazione digitale della popolazione e da un’accettazione crescente del concetto di “medicina distribuita”.

Parallelamente, emergono Sistemi di Accountability centrati sugli outcome, che spingono tutti gli attori della filiera – medici, strutture sanitarie, fornitori di servizi digitali – a rispondere di risultati misurabili, come il miglioramento clinico, la riduzione delle ospedalizzazioni o l’aderenza terapeutica. I dati prodotti dai Digital Care Programs (es. biometrici, comportamentali, relazionali) vengono raccolti, validati e analizzati per alimentare cruscotti condivisi, utili sia a livello micro (decisione clinica) che macro (valutazione di efficacia e allocazione di risorse).

Il rapporto domanda-offerta si riconfigura, con il paziente che diventa co-decisore del proprio percorso, grazie all’accesso diretto a dati e suggerimenti intelligenti. In questo contesto, il ruolo del medico di medicina generale e del farmacista evolve verso una funzione di accompagnamento digitale e interpretazione avanzata degli insight, più che di esecutori tradizionali. Emergono anche nuove figure, come il “data coach sanitario” o il “navigatore di percorso digitale”.

Questa evoluzione si traduce in una maggiore proattività e segmentazione dell’intervento: i cittadini con patologie croniche o fragilità sono gestiti in modalità continua e preventiva, mentre i soggetti sani o a basso rischio usufruiscono di programmi digitali light, orientati al mantenimento dello stato di salute.

La domanda, quindi, diventa dinamica, autoalimentata e supportata da strumenti digitali personalizzati, in un quadro che valorizza trasparenza, responsabilità condivisa e risultati tangibili.

3.2 AREA DELL’OFFERTA – Utilizzo di AI per l’allocazione dinamica

delle risorse

Nel contesto degli “Ecosistemi ibridi”, l’offerta sanitaria si caratterizza per una forte componente di flessibilità, adattività e sinergia pubblico-privato, resa possibile grazie all’integrazione di sistemi intelligenti basati sull’intelligenza artificiale (AI). Il focus si sposta dalla gestione statica delle risorse verso un modello di allocazione dinamica, fondato su analisi predittive, simulazioni in tempo reale e logiche di ottimizzazione.

I sistemi di AI vengono impiegati per rilevare trend epidemiologici, prevedere picchi di domanda (ad esempio, legati alla stagionalità o a fattori ambientali), individuare colli di bottiglia nell’erogazione di servizi e proporre soluzioni proattive. Questo consente di orientare risorse umane, logistiche e tecnologiche laddove sono più necessarie, riducendo sprechi e migliorando l’efficienza operativa.

Un’applicazione chiave è la programmazione adattiva dei turni sanitari, che tiene conto del carico atteso, della complessità dei pazienti e della disponibilità in tempo reale degli operatori. In parallelo, l’AI contribuisce a supportare la gestione dei flussi ospedalieri e della rete territoriale, proponendo percorsi differenziati per tipologie di pazienti (es. acuti vs cronici), e suggerendo modelli organizzativi più resilienti.

Questa intelligenza viene anche messa al servizio della programmazione strategica a livello di sistema: dai piani regionali di salute ai modelli di commissioning, l’AI permette di simulare scenari, stimare impatti attesi e valutare le performance delle strutture sulla base di indicatori complessi (es. qualità percepita, esiti clinici, costi evitati).

Un’altra area emergente è la collaborazione tra enti pubblici e operatori privati nella condivisione algoritmica delle risorse, dove l’AI supporta piattaforme integrate per coordinare letti, professionisti e tecnologie, anche in situazioni transfrontaliere o interregionali.

Infine, l’AI consente di migliorare l’equità: attraverso algoritmi etici e trasparenti, è possibile identificare aree e gruppi sociali a rischio di sottoassistenza, attivando azioni mirate. L’offerta diventa così più agile, predittiva e centrata sulla persona, rompendo con la logica dell’offerta rigida e standardizzata.

3.3 AREA DELLA DISTRIBUZIONE – Interoperabilità Estesa:

Integrazione tra Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) e sistemi di prenotazione cross-regionali

Nel paradigma degli Ecosistemi ibridi, la distribuzione dei servizi sanitari evolve verso un modello interregionale, interprofessionale e intersettoriale, grazie alla costruzione di una vera interoperabilità estesa. Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), progressivamente potenziato, non è più un repository statico, ma diventa nodo attivo di una rete informativa intelligente, capace di dialogare in tempo reale con sistemi di prenotazione, cartelle cliniche, app di monitoraggio domiciliare e piattaforme di telemedicina.

L’integrazione tra FSE e sistemi di prenotazione cross-regionali consente una distribuzione più equa e intelligente dei servizi, superando le attuali disomogeneità territoriali. Un cittadino può prenotare una prestazione in una regione diversa dalla propria, con accesso immediato al suo percorso clinico tramite il FSE condiviso, e con aggiornamento automatico degli esiti da parte degli erogatori. Questo aumenta le possibilità di scelta e personalizzazione del percorso di cura, riducendo le liste d’attesa e promuovendo la mobilità sanitaria “intenzionale” e non forzata.

L’interoperabilità si estende anche ai servizi sociali, farmaceutici e di prevenzione, creando un ecosistema distribuito dove i dati fluiscono tra MMG, specialisti, farmacie, servizi domiciliari, RSA e centri di screening. L’uso di standard comuni (FHIR, HL7), insieme a sistemi di riconoscimento sicuro (SPID, CIE) e autorizzazioni granulari per l’accesso ai dati, garantisce una governance robusta della privacy, senza ostacolare la continuità assistenziale.

In questo contesto, i pazienti fragili o cronici beneficiano di un sistema che li accompagna in ogni fase del percorso, rendendo possibile il monitoraggio e l’intervento precoce da parte dei team multiprofessionali. Le strutture sanitarie, a loro volta, possono modulare l’offerta in base alla domanda reale, evitando sovrapposizioni e dispersioni.

Il modello distribuito è anche abilitante per il privato accreditato e i nuovi attori digitali, che si integrano nell’ecosistema tramite interfacce API certificate, contribuendo a creare una rete capillare e flessibile di offerta. In definitiva, la distribuzione si trasforma in un sistema adattivo, centrato sull’accessibilità, la trasparenza e l’interconnessione reale tra i nodi del sistema.

3.4 AREA DEL REGOLATORIO – Modelli di valutazione per una Governance Integrata

Nello scenario degli Ecosistemi ibridi, l’evoluzione regolatoria assume un ruolo strategico nella costruzione di un sistema sanitario policentrico, flessibile e resiliente. La complessità crescente dei modelli assistenziali — che combinano attori pubblici, privati, digitali e territoriali — richiede modelli di valutazione capaci di orientare le decisioni in un contesto ibrido e multi-livello.

Il focus si sposta dalla mera conformità normativa a una governance integrata degli outcome, fondata su evidenze condivise, metriche multilivello e strumenti di monitoraggio real-time. I modelli emergenti adottano un approccio value-based, nel quale le performance non sono misurate solo in termini economici, ma in funzione del valore generato per il paziente e la comunità Questo implica l’integrazione di indicatori clinici, esperienziali (PROMs/PREMs), digitali e di equità sociale.

Le Agenzie nazionali (come AGENAS e AIFA) e le autorità regionali si dotano di infrastrutture di data analytics e osservatori inter-istituzionali per la valutazione exante, in itinere ed ex-post di modelli organizzativi, servizi digitali, soluzioni AI e partnership pubblico-privato. Si rafforza il ruolo delle Commissioni di HTA multi-attore, con la partecipazione sistemica di cittadini, clinici, farmacisti e innovatori.

Questa governance si alimenta attraverso flussi informativi interoperabili tra sistemi sanitari, sociali, ambientali e finanziari. I processi autorizzativi e di accreditamento diventano più agili, basati su principi adattivi e logiche sandbox, per testare e scalare soluzioni innovative in ambienti controllati.

Nel nuovo contesto regolatorio, la trasparenza, la responsabilizzazione e il controllo distribuito (accountability) diventano pilastri operativi. La disponibilità di cruscotti decisionali aperti e il ricorso a sistemi di AI explainable per la valutazione degli impatti delle policy permettono una governance proattiva e predittiva.

Infine, la dimensione etica viene istituzionalizzata nei processi decisionali: comitati di etica digitali, norme per l’uso responsabile dei dati e framework partecipativi garantiscono che l’innovazione sia sostenibile, equa e umanamente centrata

Riferimenti bibliografici

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Gherardi, S. (2019). How to Conduct a Practice-Based Study: Problems and Methods. Edward Elgar.

Lakatos, I. (1970). “Falsification and the Methodology of Scientific Research Programmes”. Criticism and the Growth of Knowledge. Cambridge University Press.

Latour, B. (2005). Reassembling the Social: An Introduction to Actor-Network-Theory. Oxford University Press.

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Poli, R. (2019). Handbook of Anticipation: Theoretical and Applied Aspects of the Use of Future in Decision Making. Springer.

Rose, N. (2007). The Politics of Life Itself: Biomedicine, Power, and Subjectivity in the Twenty-First Century. Princeton University Press.

Turner, B.S. (2004). The New Medical Sociology: Social Forms of Health and Illness. W.W. Norton & Company.

4. PATIENT ACCESS FROM JOURNEY TO SYSTEM

4.1 L’EVOLUZIONE DEL PATIENT ACCESS THINK TANK

a cura di Lorena Trivellato, Gianluca Vaccaro

Questa sezione restituisce l’evoluzione del Patient Access Think Tank (PATT), da spazio di riflessione condivisa a laboratorio operativo capace di generare strumenti, modelli e raccomandazioni concrete per migliorare l’accesso equo, tempestivo e informato alle cure nel contesto italiano.

Il lavoro del PATT, strutturato attorno a un metodo collaborativo e multidisciplinare, ha consolidato una visione sistemica dell’accesso alla salute, fondata sull’integrazione tra analisi dei comportamenti, governance delle disuguaglianze e strumenti valutativi capaci di guidare le decisioni sanitarie.

Attraverso la costruzione di una rete autorevole di esperti e la produzione del Patient Access Monitor, il Think Tank ha contribuito a ridefinire l’epistemologia dell’accesso non solo come diritto formale, ma come percorso abilitato da scelte organizzative, relazionali e culturali.

Questa seconda edizione del Monitor, arricchita da sette Work Package tematici, rappresenta una piattaforma di proposta e azione in continua evoluzione, utile a orientare le future politiche sanitarie e a rafforzare la centralità del paziente nella progettazione dei sistemi di salute.

Il percorso del Patient Access Think Tank dal 2023 ad oggi

Il percorso del Patient Access Think Tank (PATT) ha preso avvio il 28 giugno 2023 con la prima riunione online tra esperti multidisciplinari del settore della salute, comprendendo tra i partecipanti medici specialisti, direttori sanitari e ospedalieri, professori universitari, ricercatori, rappresentanti delle associazioni pazienti, esperti di salute pubblica e politiche sanitarie, nonché personalità dal mondo delle aziende farmaceutiche ed esperti nell’analisi dei comportamenti e nel campo della comunicazione.

L’intento iniziale che il gruppo di lavoro si è preposto è stato quello di discutere il tema del Patient Access, proponendone una definizione condivisa calata nel contesto nazionale, e sviluppando a partire da essa percorsi di approfondimento teorico e pratico. L’obiettivo più ampio e a lungo termine, che tutt’ora guida le azioni del gruppo, è quello di definire operativamente un modello di accesso alle cure maggiormente centrato sul paziente, capace di affrontare le sfide che la Sanità si trova oggi di fronte e di rifondarsi secondo principi di accesso equo e uniforme sul territorio.

I primi incontri

Durante i primi incontri del PATT si è aperta una riflessione condivisa e multidisciplinare sulla tematica trasversale dell’accesso ai servizi sanitari, affrontato da molteplici prospettive ma con un indirizzo comune, ossia quello di individuare soluzioni concrete e realmente azionabili in grado di rispondere alle criticità del sistema sanitario italiano. Il confronto è stato guidato dalla consapevolezza che il tema del “Patient Access” va ben

oltre la semplice disponibilità di prestazioni sanitarie, e si intreccia con aspetti culturali, comunicativi, organizzativi e sistemici. Un punto di partenza importante è stato il riconoscimento del potenziale delle scienze comportamentali nell’agevolare l’accesso alle cure, per cui attraverso analisi accurate e strategie comunicative ben progettate è possibile promuovere cambiamenti comportamentali che aiutino a superare le barriere esistenti, spesso invisibili ma molto influenti. Questo approccio ha aperto alla necessità di una visione integrata, in cui la salute venga concepita, come suggerito dalla definizione dell’OMS, non solo come assenza di malattia, ma come condizione di benessere complessivo, da garantire attraverso strumenti come l’innovazione, la digitalizzazione, l’educazione e la prevenzione.

Dal punto di vista metodologico, gli incontri hanno previsto un’indagine Delphi in più fasi, tramite cui i partecipanti hanno collaborato alla definizione delle proposte operative, integrando progressivamente i diversi contributi in una logica di consenso crescente, un approccio che ha valorizzato la multidisciplinarietà del gruppo e ha garantito un alto livello di coerenza e solidità nelle proposte. Tra le priorità emerse, la questione delle liste d’attesa e della gestione dei codici di priorità ha assunto un rilievo centrale, dove la loro inefficacia è stata interpretata come sintomo di un sistema orientato più alla prestazione singola che alla continuità e integrazione delle cure. Da qui l’urgenza di proporre soluzioni operative che riducano le inappropriatezze prescrittive e permettano un reale accesso equo e tempestivo alle cure.

La riflessione del gruppo ha quindi toccato le principali

criticità operative, tra cui le disuguaglianze regionali, l’accessibilità fisica e geografica ai servizi, la frammentazione dei percorsi di cura e l’assenza di strumenti efficaci per la valutazione dell’impatto delle politiche sanitarie. In risposta, è stato proposto l’impiego della valutazione scientifica realista, come metodologia utile per pianificare e monitorare interventi orientati a migliorare l’accesso dei pazienti.

Il 1° Patient Access Monitor

Il primo anno di lavoro del gruppo ha avuto un esito importante con la realizzazione del 1° Patient Access Monitor, presentato in sede istituzionale il 26 giugno 2024 nel contesto del convegno “Patient Access Journey” presso Palazzo Giustiniani a Roma, e con il quale sono stati raccolti gli avanzamenti del gruppo di lavoro neoformato, nonché le principali esperienze e prospettive italiane in materia. Il documento, strutturato in 4 parti (impegni politici, scenario sanitario, definizione e soluzioni di Patient Access, proposte di società scientifiche/associazioni), si è posto l’obiettivo di offrire soluzioni comportamentali e organizzative, promuovendo un approccio basato sull’analisi dei comportamenti che va oltre la descrizione statistica. È stato concepito come una “cassetta degli attrezzi” per responsabili politici e decision-maker, e ha voluto sottolineare l’importanza di soluzioni che derivino da ragionamenti teorici solidi e strategici, affermando la necessità di ripensare le epistemologie di governo sanitario che hanno creato i problemi attuali, non più affidandosi a soluzioni tampone ed emergenziali, ma promuovendo interventi strategici e lungimiranti. A tal proposito, è stato evidenziato come la soluzione ai problemi sanitari passi dalla modifica dei comportamenti prima ancora dell’aumento di risorse o personale, sottolineando l’importanza strategica di lavorare scientificamente su questo aspetto con competenze specifiche dalle scienze sociali, valutative, umane e organizzative. Il Monitor ha rappresentato poi un passo iniziale per sviluppare sistematicamente alcuni temi anche a livello regionale, con particolare attenzione a malattie neurologiche, cardiometaboliche, rare e oncologiche, legate ad appropriatezza, aderenza, erogazione delle prestazioni e carenze nella prevenzione e diagnosi precoce.

4.2 PARTECIPANTI E NETWORK

Di seguito l’elenco dei partecipanti del gruppo di Lavoro, a cui si aggiungono le numerose professionalità coinvolte nel network creato dal Think Tank:

• Calabrò Giovanna Elisa – Department of Human, Social and Health Sciences, University of Cassino and Southern Lazio; VIHTALI (Value In Health Technology and Academy for Leadership & Innovation), a spin-off of the Catholic University of the Sacred Heart, Rome

• Casati Giorgio – General Director FARMACAP, Rome, Italy

• Cevolani Gustavo – Associate Professor of Logic and Philosophy of Science at IMT, School for Advanced Studies, Lucca, Italy

• Corsaro Lucio – Patient Access Think Tank President; Advisor at Bhave, Rome, Italy

• Falcone Marco – Infectious Diseases Unit, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisa, University of Pisa, Italy

• Galletti Giacomo – Regional Health Agency of Tuscany (ARS), Italy

• Grandi Massimo – Chief Core Therapy Officer at Zambon, Milan, Italy

• Inglese Stefano A. – Health Policy Expert

• Lenzi Andrea – Emeritus Professor of Endocrinology, Università di Roma La Sapienza, Rome, Italy; Health City Institute President; President of National Committee for Biosafety, Biotechnology, and Life Sciences of the Presidency of the Council of Ministers, Rome, Italy

• Lenzi Francesca Romana – Associate Professor of Sociology; Laboratory of Psychology and Social Processes in Sport, Department of Movement, Human and Health Sciences at Università degli Studi di Roma “Foro Italico”, Rome, Italy

• Mazzoni Eleonora – Health City Institute Affiliate, Rome, Italy

• Novelli Giuseppe – Head of the Human Genetics Research Unit at the Tor Vergata University of Rome, Italy; President of Lorenzini Foundation, Milan, Italy

• Oppi Biagio – Professor of Corporate Communication at University of Bologna, Bologna, Italy

• Pecci Andrea – Head of Data, Digital & Technology at Takeda, Rome, Italy

• Polistena Barbara – Scientific Director and Board Member of C.R.E.A. Sanità - Center for Applied Economic Research in Healthcare, University of Rome Tor Vergata, Rome, Italy

• Rasi Guido – Professor of Clinical Microbiology at University of Roma Tor Vergata, Rome, Italy

• Ricciardi Walter – Professor of Hygiene and Director of the School of Specialization in Hygiene and Public Health at the Faculty of Medicine and Surgery, Università Cattolica del Sacro Cuore, Rome, Italy

• Schiavone Francesco – Professor of Business Economics and Management, University Parthenope of Naples, Naples, Italy

• Scopinaro Annalisa – Presidente Uniamo, Federazione Italiana Malattie Rare, Italy

• Serra Federico – Secretary General Observatory on Health as a Common Good, Rome, Italy

• Trivellato Lorena – Anthropologist Researcher Advisor, Bhave, Rome, Italy

• Vaccaro Gianluca – PhD, Methodological Advisor, BHAVE; Sociologo, U.O. Educazione e Promozione della salute, Asp Catania, Catania, Italy

• Vaccaro Ketty – Head of Biomedical research and Health at Censis, Rome, Italy

• Volpe Massimo – Emeritus Professor of Cardiology, Sapienza University of Rome and IRCCS San Raffaele Rome, Italy

4.3. OBIETTIVI AGGIORNATI DEL PATT

Dopo una prima fase di definizione concettuale e confronto multidisciplinare, gli obiettivi del Patient Access Think Tank si sono evoluti verso un’agenda operativa sempre più strutturata, guidata da tre principali direzioni:

1) Tradurre la definizione di Patient Access in strumenti pratici e misurabili, capaci di orientare scelte cliniche, organizzative e politiche. L’obiettivo è superare la distanza tra teoria e pratica, dotando gli attori della sanità (decisori, professionisti, stakeholder) di linee guida e strumenti di intervento adattabili ai diversi contesti.

2) Promuovere un approccio comportamentale sistemico al tema dell’accesso, riconoscendo che le barriere non sono solo infrastrutturali o economiche, ma spesso culturali, organizzative o comunicative. Il focus si sposta dunque dall’ampliamento dell’offerta alla riduzione delle frizioni lungo il patient journey, con particolare attenzione ai gruppi vulnerabili.

3) Contribuire alla costruzione di un nuovo modello di governance sanitaria, fondato su equità, prossimità, prevenzione e partecipazione attiva dei pazienti. Questo implica un ripensamento delle politiche sanitarie in chiave integrata, supportato da evidenze, analisi del comportamento, e strumenti valutativi come la valutazione realista.

Nella seconda fase dei lavori, l’attivazione di sette tavoli tematici illustrati di seguito ha permesso di declinare questi obiettivi in ambiti prioritari, con lo scopo di individuare criticità e opportunità specifiche nei diversi contesti di accesso e di produrre su tale base delle evidenze e raccomandazioni operative condivise e sostenute da esperti multidisciplinari del settore salute.

4.4 METODO E APPROCCIO

Dal punto di vista metodologico, il Patient Access Think Tank ha adottato un approccio rigoroso ma al tempo stesso flessibile, capace di valorizzare il contributo di discipline diverse e di costruire, passo dopo passo, una visione condivisa sul tema dell’accesso alle cure. La complessità e la natura sistemica del problema hanno richiesto una metodologia che fosse non soltanto descrittiva, ma anche orientata ad un approccio pragmatico volto al cambiamento, avendo come obiettivo ultimo la costruzione di strumenti e modelli concreti e applicabili al contesto sanitario italiano.

Uno degli elementi cardine del metodo è stato il ricorso ad indagini Delphi, strutturate in più fasi iterative, impostazione che ha permesso di raccogliere, armonizzare e far evolvere i contributi e le opinioni dei partecipanti, evitando di forzare il consenso ma favorendo la convergenza progressiva verso soluzioni comuni.

A fare da sfondo, è stato il carattere multidisciplinare e multisettoriale del gruppo di lavoro, che riunisce clinici, manager sanitari, accademici, rappresentanti dei pazienti, esperti di comunicazione e policy, oltre a rappresentanti delle aziende. Questa eterogeneità ha reso possibile un’analisi dell’accesso non solo in termini di disponibilità di prestazioni sanitarie, ma anche in relazione a barriere culturali, informative, organizzative e comportamentali ed è proprio da questo dialogo tra saperi diversi che sono emerse le definizioni condivise e le prime ipotesi operative.

Il lavoro si è sviluppato in più fasi, a partire da un momento iniziale di ricognizione concettuale e mappatura delle criticità. In questa prima fase, che ha coinciso con la nascita e avviamento del gruppo di lavoro nel 2023 e primi mesi del 2024, gli incontri (svolti in modalità mista tra online e presenza) hanno permesso di esplorare le diverse dimensioni del concetto di “accesso”, individuando non solo le barriere ma anche i possibili punti di leva per il miglioramento e ha visto come risultato la costruzione di una definizione condivisa, utile a guidare il lavoro nelle fasi successive. A partire da queste basi, si è passati a una fase di elaborazione e sintesi, culminata nella redazione del 1° Patient Access Monitor 2024, un documento di sintesi analogo al presente che fotografa la situazione italiana, proponendo una prima tassonomia delle barriere e un’interpretazione sistemica del problema.

Successivamente, nella fase attuale del percorso il lavoro è stato articolato in diversi tavoli tematici di approfondimento, ciascuno dedicato ad ambiti fondamentali del patient access come la comunicazione, la sostenibilità organizzativa, le disuguaglianze, i modelli valutativi. L’obiettivo in questa fase non è solo analitico, ma chiara-

mente propositivo, con ciascun gruppo impiegato a lavorare già da ora o nei mesi successivi per sviluppare strumenti concreti, linee guida e proposte operative.

La redazione dell’articolo

In coerenza con la sua vocazione trasformativa, il PATT ha previsto una fase di restituzione ampia rivolta a pubblici differenziati e che ha visto la nascita del primo Patient Access Report, sopramenzionato, nell’estate 2024, e successivamente il percorso di stesura di un articolo scientifico redatto dai partecipanti del PATT, avviato nel 2024 e attualmente in prossimità di pubblicazione sulla rivista La Salute Umana.

La prima fase di lavori ha portato infatti alla maturazione di una forte esigenza: strutturare un documento condiviso e autorevole da diffondere, capace di sintetizzare le proposte e gli esiti del percorso intrapreso, nonché di contribuire al dibattito accademico e istituzionale sul tema. Il primo articolo realizzato dal gruppo è stato dedicato dunque alla definizione operativa del Patient Access nel contesto italiano. Il documento intende essere uno strumento concreto per leggere in modo più efficace le problematiche legate all’accesso alle cure e orientare di conseguenza interventi di precisione, capaci di promuovere maggiore equità e superare le numerose barriere, culturali, organizzative, sociali e tecnologiche, che ancora oggi ostacolano l’attuazione piena dei principi fondativi del Servizio Sanitario Nazionale.

La definizione proposta nell’articolo non si limita a un approccio astratto o normativo, ma si fonda su modelli scientifici sia analitici che interpretativi, adottando una prospettiva multidimensionale in cui vengono integrate diverse chiavi di lettura: dai comportamenti individuali e collettivi alle dinamiche organizzative, fino agli aspetti culturali e tecnologici, per costruire una visione complessa ma utile a guidare l’azione concreta.

È già in cantiere la realizzazione di ulteriori documenti nei prossimi mesi che sappiano veicolare in maniera differenziata e personalizzata i contenuti elaborati dal gruppo di lavoro, tarandoli su linguaggio e destinatari eterogenei, dal livello istituzionale alla popolazione più ampia. Tra le tematiche in approfondimento nel prossimo futuro troviamo l’analisi dei comportamenti individuali e collettivi in relazione ai programmi vaccinali, l’evoluzione del behavioural journey del paziente e l’analisi dei comportamenti organizzativi e delle competenze relazionali degli operatori sanitari. L’idea è quella di costruire, nel tempo, una serie coerente di strumenti di analisi e proposta che possano accompagnare e supportare il cambio di paradigma auspicato dal Patient Access Think Tank

4.5. PATIENT ACCESS E WORK PACKAGE

I tavoli di lavoro e il 2° Patient Access Monitor

Nella seconda fase di attività del Think Tank, è stato avviato un processo di approfondimento tematico attraverso la creazione di sette tavoli di lavoro, ciascuno dedicato ad aree specifiche di indagine per individuare strumenti operativi per migliorare l’accesso ai servizi sanitari. La composizione dei gruppi è stata definita in base alle competenze dei partecipanti, per favorire un confronto operativo e realmente multidisciplinare, e attivando complessivamente 7 tavoli di lavoro sui seguenti temi trasversali:

1. One Health

2. Epidemiology & Burden of Disease

3. Patient Journey Roadblock

4. Health Behaviors & Awareness

5. Patient Rights

6. Health Literacy & Wellness

7. Barrier to Access

Di seguito il dettaglio per ognuno dei sette Work Package su cui sono attualmente impegnati i partecipanti del Think Tank:

Work package – One Health

Razionale: l’interconnessione tra la salute umana, animale e ambientale è ormai un dato di fatto. La crescente consapevolezza di questa complessa relazione ha portato alla nascita dell’approccio “One Health”, un paradigma che riconosce l’importanza di una visione integrata per affrontare le sfide globali in materia di salute.

Sulla base dei feedback ricevuti, alcuni elementi specifici legati al patient journey rappresentano elementi strategici e di macroanalisi da perseguire per migliorare l’accesso alle cure:

Sorveglianza integrata di malattie infettive sia negli animali che negli umani, per una diagnosi precoce e interventi tempestivi.

Interventi sanitari mirati di identificazione dei fattori di rischio comuni (ad esempio, l’uso eccessivo di antibiotici in agricoltura), che permette di attuare interventi preventivi efficaci.

Risposta coordinata in caso di epidemie, coordinando le azioni di diversi settori (sanità pubblica, veterinaria, ambiente) per contenere la diffusione.

Equità nell’accesso alla prevenzione per la diffusione di malattie infettive e per proteggere le popolazioni più vulnerabili.

Uso prudente degli antibiotici sia in medicina umana che veterinaria, per rallentare lo sviluppo della resistenza antimicrobica.

Accesso a terapie alternative: per garantire l’accesso a tutti i pazienti, attraverso l’innovazione e la ricerca

Equità sociale a livello globale, affrontando le disuguaglianze sanitarie e garantendo l’accesso alle cure anche nelle regioni più remote e svantaggiate.

Gestione della carenza di risorse economiche e non indirizzate sulla base dei bisogni effettivi di salute (profili di salute)

Work package – Epidemiologia & Burden of Disease

Razionale: Comprendere l'epidemiologia e il «peso» delle malattie è fondamentale per pianificare interventi sanitari e sociosanitari mirati ed equi. Il burden of disease include una valutazione dell'impatto delle malattie sulla popolazione in termini di mortalità, morbilità e disabilità, ed è un indicatore fondamentale per definire le priorità di salute pubblica.

Sulla base dei feedback ricevuti, alcuni elementi specifici legati al patient journey rappresentano elementi strategici e di macroanalisi da perseguire per migliorare l’accesso alle cure:

Work package – Patient Journey

Razionale: Individuare gli ostacoli lungo il percorso del paziente è essenziale per migliorare l’accesso all’assistenza e ottimizzare l’esperienza sanitaria. I roadblock includono barriere logistiche, diagnostiche, economiche e sociali che limitano la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo.

Sulla base dei feedback ricevuti, alcuni elementi specifici legati al patient journey rappresentano elementi tattici e di microanalisi da perseguire per migliorare l’accesso alle cure:

Barriere logistiche

Distanza dai servizi sanitari e sociosanitari e assenza di trasporti adeguati rende difficile l’accesso alle cure, soprattutto nelle aree rurali o svantaggiate.

Liste d’attesa eccessive ritardano diagnosi e trattamenti, peggiorando gli esiti di salute e aumentando lo stress per i pazienti..

Barriere diagnostiche

Accesso ineguale alla diagnostica avanzata, soprattutto per malattie complesse o rare.

Errori o ritardi nella diagnosi, rallentano l’identificazione precoce di una malattia e portano a percorsi di cura tardivi o inefficaci, peggiorando la prognosi del paziente. .

I costi di farmaci, esami e visite specialistiche che possono rappresentare un ostacolo significativo per le famiglie a basso reddito, escludendo molti pazienti dall’accesso alle cure.

Assenza di un adeguato sostegno finanziario da parte dei sistemi sanitari, che limita l’accesso alle cure.

sociali e informative

Conoscenza delle opzioni disponibili per diagnosi e cura e complessità dei percorsi di cura che disorientano i pazienti e i caregiver.

Disuguaglianze culturali e linguistiche che ostacolano l’accesso alle cure per popolazioni migranti e gruppi marginalizzati.

Work package – Comportamenti di salute & consapevolezza

Razionale: La consapevolezza e i comportamenti di salute della popolazione influenzano in modo significativo gli esiti di malattia: promuovere stili di vita sani, prevenzione e adesione ai trattamenti è un passaggio imprescindibile per aumentare l’alfabetizzazione sanitaria e ridurre il burden of diseasea.

Sulla base dei feedback ricevuti, alcuni elementi legati ai comportamenti di salute e alla consapevolezza sono emersi come elementi tattici e di microanalisi da perseguire per migliorare l’accesso alle cure:

Barriere logistiche

Incrementare la consapevolezza dei fattori di rischio legati a malattie croniche per promuovere comportamenti di salute.

Garanzie di accesso a strutture e strumenti per promuovere attività fisica, alimentazione equilibrata e benessere mentale.

Barriere diagnostiche

Supporto educativo ai pazienti sull’importanza di seguire le terapie prescritte, riducendo il tasso di abbandono e non aderenza.

Tecnologie di supporto per ricordare ai pazienti scadenze, orari, monitorare i progressi e incentivare l’engagement verso la propria condizione di salute

Barriere economiche

IDiffusione di programmi di screening e vaccinazione per individuare precocemente le malattie e prevenirne l’insorgenza.

Analisi delle barriere culturali che impediscono l’accesso a campagne di prevenzione o alla partecipazione a screening regolari.

Barriere sociali e informative

Capacità di comunicazione e comprensione e utilizzo delle informazioni sanitarie presso la popolazione per prendere decisioni consapevoli.

Coinvolgimento attivo delle comunità per rafforzare l’empowerment verso la propria salute.

Barriere economiche
Barriere

Work package – Diritti dei pazienti

Razionale: Il rispetto e la protezione dei diritti dei pazienti sono pilastri fondamentali di un sistema sanitario equo ed efficace ed includono il diritto all’accesso all’assistenza sanitaria e sociosanitaria, all’informazione e alla partecipazione attiva nel proprio percorso di salute.

Sulla base dei feedback ricevuti, alcuni elementi legati ai diritti dei pazienti sono emersi come elementi strategici e di macroanalisi da perseguire per migliorare l’accesso alle cure:

Accesso equo e universale

Attivazione di un’adeguata rete sociosanitaria, attenzionando aspetti come i rapporti tra PS e rete sociosanitaria

Riduzione delle barriere economiche e culturali, affrontando i problemi che più limitano l’accesso alle cure.

Trasparenza e informazione

Formazione del personale sanitario e sociosanitario per una comunicazione efficace, empatica e chiara

Accesso a informazioni chiare e comprensibili per il paziente su diagnosi, trattamenti e opzioni disponibili, garantendo che possano prendere decisioni consapevoli.

Diritto alla partecipazione attiva

Coinvolgimento del paziente nei processi decisionali, rispettandone autonomia e preferenze.

Empowerment dei pazienti e dei caregiver tramite strumenti e risorse che rafforzino il loro ruolo attivo, migliorando l’autonomia nella gestione della salute.

Work package – Alfabetizzazione sanitaria

e protezione dei dati

Garanzia della riservatezza e della gestione sicura delle informazioni mediche della popolazione, nel rispetto delle normative vigenti sulla protezione dei dati.

Consenso informato per l’uso dei dati, che deve essere ottenuto in maniera esplicita e rispettando la volontà dei pazienti.

Razionale: Un elevato livello di alfabetizzazione sanitaria consente alle persone di prendere decisioni informate sulla propria salute e di migliorare il benessere generale. Ciò è cruciale per ridurre le disuguaglianze e migliorare l’adesione ai trattamenti.

Sulla base dei feedback ricevuti, alcuni elementi legati all’alfabetizzazione sanitaria sono emersi come elementi tattici e di microanalisi da perseguire per migliorare l’accesso alle cure.

Materiale informatico

Garanzia di materiali informativi redatti in modo comprensibile e adattati a diversi livelli di istruzione e contesti culturali, riducendo le barriere linguistiche e cognitive.

Programmi di educazione sanitaria per aumentare la conoscenza e la capacità di prendere decisioni consapevoli.

Adesione ai trattamenti

Supporto ai pazienti per far comprendere i benefici delle terapie tramite strumenti pratici (es. sessioni educative o tecnologie).

Riduzione degli errori legati alla mancata comprensione, accertandosi che i pazienti comprendano pienamente come seguire le indicazioni mediche.

Empowement fascie vulnerabili

Strumenti per migliorare l’alfabetizzazione sanitaria nelle popolazioni a rischio, come anziani, stranieri e persone con basso livello di istruzione.

Promozione delle competenze digitali nella popolazione, riducendo il digital divide e favorendo una maggiore diffusione di strumenti tecnologici come prenotazioni online o FSE.

Privacy

Work package – Barriere di accesso alla salute

Razionale: Le barriere di accesso alla salute rappresentano ostacoli fisici, economici e culturali che impediscono a molte persone di ricevere cure adeguate e tempestive. L’eliminazione di queste barriere è essenziale per raggiungere l’equità sanitaria.

Sulla base dei feedback ricevuti, alcuni elementi specifici legati alle barriere di accesso alla salute sono emersi come elementi tattici e di microanalisi da perseguire per migliorare l’accesso alle cure:

Trasferimenti e viaggi per trattamenti specialistici, per cui molti pazienti si trovano a dover percorrere lunghe distanze con ripercussioni in termini economici e psicologici.

Mancanza di infrastrutture adeguate, comprese quelle tecnologiche (es. telemedicina) aggravano le difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari.

Ricorso alla sanità privata dovuto alla lunghezza delle liste d’attesa con conseguente aggravio economico.

Sostenibilità finanziaria delle cure, che escludono molti pazienti, specialmente quelli appartenenti a fasce socioeconomiche più deboli.

Questo approccio sta consentendo di affrontare i nodi critici del Patient Access da prospettive integrate, evidenziando l’interdipendenza tra fattori sistemici e individuali, tra consapevolezza dei pazienti e responsabilità delle istituzioni, tra prevenzione, informazione e sostenibilità.

Il lavoro dei tavoli ha rappresentato la base di contenuto e riflessione per la realizzazione del presente documento, il 2° Patient Access Monitor “PATIENT ACCESS FROM JOURNEY TO SYSTEM”, presentato in sede istituzionale il 17 luglio 2025, a conferma dell’impegno del Think Tank nel dialogo costante con le istituzioni e della volontà di fornire strumenti utili per l’elaborazione delle future politiche sanitarie. Come già avvenuto con la prima edizione, anche questo secondo Monitor ha avuto l’obiettivo di restituire una visione aggiornata, concreta e strategica sullo stato dell’accesso in Italia, focalizzandosi sulle leve comportamentali, organizzative e informative che possono determinare un cambiamento duraturo. Questa seconda edizione si distingue inoltre non solo per la maturità dei contenuti emersi, ma anche per l’evoluzione del metodo: l’attivazione dei tavoli tematici ha permesso una maggiore specializzazione delle proposte e una più ampia articolazione delle possibili soluzioni.

Riprogettazione del triage in pronto soccorso per migliorare il processo di classificazione e gestione dei pazienti al triage.

Riprogettazione SSN a livello territoriale con servizi capillari e attraverso collaborazione con MMG.

Il Monitor si riconferma così come una piattaforma di analisi e proposta in continua evoluzione, capace di intercettare e raccogliere i bisogni emergenti del sistema sanitario e di offrire risposte coerenti, fondate su evidenze scientifiche e orientate a un impatto reale. Su questa scia, il gruppo del PATT porterà avanti le sue attività continuative, con l’intento di proporsi sempre più come una forza propulsiva per il cambiamento, capace di portare visioni innovative e strumenti concreti all’interno del dibattito politico e istituzionale.

Disparità territoriali
Vincoli economici
Riorganizzazione e nuovi strumenti

5. WORK PACKAGE ANALYSIS

5. WORK PACKAGE ANALYSIS

All’interno del percorso del Patient Access Think Tank, la sezione dedicata ai Work Package rappresenta il momento di sintesi operativa e applicazione contestuale delle evidenze emerse. Ciascun tema affrontato si colloca all’interno di una visione sistemica dell’accesso, inteso non come mero diritto formale, ma come esito di dinamiche cognitive, organizzative e relazionali che coinvolgono tutti gli attori del sistema salute.

1. WP 1 – One Health

La percezione frammentata del paradigma One Health tra i clinici italiani rivela un deficit culturale e formativo che limita l’integrazione tra salute umana, animale e ambientale, ostacolando l’adozione di strategie preventive intersettoriali. È necessario attivare programmi formativi e campagne comportamentali per promuovere un’identità professionale allargata e orientata alla salute planetaria.

2. WP

2 – Epidemiology & Burden of Disease

Il burden of disease dell’RSV è sottostimato a causa di barriere comportamentali nella raccolta e condivisione dei dati, e di una limitata consapevolezza del rischio percepito. È necessario investire in sistemi di sorveglianza interoperabili e in comunicazione data-driven per migliorare l’allocazione delle risorse.

3. WP 3 – Patient Journey Roadblock

La gestione delle terapie fuori innovatività evidenzia una tensione tra equità e sostenibilità che si traduce in comportamenti organizzativi difensivi e ritardi di accesso. È necessario introdurre l’horizon scanning per identificare precocemente segnali di cambiamenti futuri tra farmacisti, clinici e amministrativi per prevedere bisogni ed evitare frizioni nel patient journey.

4. WP 3 – Patient Journey Roadblock

L’accesso ai farmaci innovativi per malattie rare è frenato da iter burocratici e asimmetrie territoriali che generano sfiducia e diseguaglianze. È necessario adottare un Fast Track nazionale, trasparente e con referenti territoriali dedicati per tutelare i pazienti vulnerabili.

5. WP 3 – Patient Journey Roadblock

Il comportamento del paziente obeso è stigmatizzato e sottovalutato, alimentando inerzia terapeutica e ritardo nella presa in carico. È necessario riconoscere l’obesità come patologia cronica nei LEA, formare i clinici sui bias e integrare modelli motivazionali nei PDTA.

6. WP 3 – Patient Journey Roadblock

Il comportamento prescrittivo nella Sclerosi Multipla è influenzato da strategie implicite (T2T vs EHT) e vincoli sistemici non sempre allineati con l’evidenza. È necessario mappare le variabili decisionali con tassonomie comportamentali per guidare appropriatezza e formazione.

7. WP 3 – Patient Journey Roadblock

Il counseling medico-paziente in SM necessita di strumenti che favoriscano l’engagement attivo e superino la compliance passiva. È necessario introdurre l’uso sistematico di PAM, ABC/ABCDE e strumenti digitali per supportare l’attivazione motivazionale.

8. WP 3 – Patient Journey Roadblock

Il caso dell’isteroscopia in Lombardia mostra che l’innovazione organizzativa è condizionata dal comportamento operativo degli attori locali. È necessario investire in change management e leadership diffusa per facilitare la replicabilità delle buone pratiche.

0. WP 4 – Comportamenti di Salute & Consapevolezza

La percezione, identità e reputazione degli operatori sanitari impattano sul comportamento dei pazienti e sull’efficacia dell’accesso. È necessario monitorare e valorizzare la reputazione professionale come leva strategica per aumentare fiducia e aderenza.

10. WP 5 – Diritti dei Pazienti e Advocacy

I diritti delle persone con allergie sono trascurati da comportamenti organizzativi routinari che ne negano la personalizzazione. È necessario definire protocolli operativi chiari e misurabili nei contesti scolastici e lavorativi, con formazione comportamentale degli attori coinvolti.

11. WP 6 – Alfabetizzazione Sanitaria & Benessere

La costruzione di un modello previsionale di aderenza terapeutica evidenzia la necessità di integrare approcci data-driven e analisi comportamentale. È necessario sviluppare dashboard predittive con algoritmi intelligenti per personalizzare il supporto al paziente e prevenire il dropout terapeutico.

12. WP 6 – Alfabetizzazione Sanitaria & Benessere

Il ritardo diagnostico in IBS è dovuto a bias cognitivi ricorrenti nei medici e alla scarsa considerazione dei sintomi invisibili. È necessario introdurre training comportamentali e checklist decisionali nei corsi di aggiornamento per la medicina generale.

13. WP 7 – Barriere di Accesso alla Salute

Le liste d’attesa oncologiche sono l’effetto di una cultura della prestazione anziché della priorità clinica. È necessario riformare i criteri di accesso in chiave comportamentale, premiando la gestione proattiva e la trasparenza nella comunicazione.

14. WP 7 – Barriere di Accesso alla Salute

La sottodiagnosi dell’emicrania è influenzata da stereotipi di genere e scarsa empatia nella relazione medicopaziente. È necessario includere formazione sull’ascolto attivo e campagne culturali rivolte anche agli operatori sanitari.

15. WP 7 – Barriere di Accesso alla Salute

Il caso reale di Jenny, tra accesso negato e solitudine relazionale, mostra come l’assenza di una presa in carico integrata sia una barriera sistemica. È necessario progettare percorsi centrati sulla narrazione individuale e strumenti di valutazione realista per restituire coerenza al sistema dal punto di vista del paziente.

5.1 ONE HEALTH:

• PERCEZIONE DEI MEDICI SU ONE HEALTH, PLANETARY HEALTH E NCD (PIR)

a cura di Lucio Corsaro

Negli ultimi anni, la salute pubblica si è trovata a fronteggiare sfide di crescente complessità, che vanno ben oltre i confini della medicina clinica tradizionale. In questo contesto, tre concetti emergenti – One Health, Planetary Health e la gestione delle Non-Communicable Diseases (NCDs) – stanno guadagnando rilevanza strategica. Comprendere le differenze e le interconnessioni tra questi approcci è fondamentale per riformulare le politiche sanitarie alla luce del concetto sempre più centrale di patient access.

Il paradigma One Health si fonda sull’integrazione della salute umana, animale e ambientale, riconoscendo come interazioni complesse tra questi ambiti siano all’origine di molte malattie, specie infettive emergenti, ma anche nella modulazione dei determinanti ambientali della salute. Planetary Health amplia questa visione su scala globale, evidenziando come la degradazione degli ecosistemi, il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e la scarsità di risorse naturali abbiano effetti diretti e indiretti sulla salute delle popolazioni umane. In parallelo, le NCDs – patologie croniche non trasmissibili come diabete, patologie cardiovascolari, respiratorie e oncologiche – rappresentano oggi la principale causa di mortalità e morbilità a livello mondiale, aggravate da determinanti sociali e ambientali che sfuggono al controllo clinico diretto.

Queste tre prospettive, pur differenti nei metodi e negli oggetti di studio, convergono nel porre l’accento su un elemento centrale: l’accesso del paziente non può più essere inteso come semplice disponibilità di cure, ma deve essere ripensato in relazione all’ambiente, al territorio e al contesto socioeconomico in cui la persona vive. L’approccio al patient access, quindi, si trasforma da questione logistica e amministrativa a leva strategica per garantire equità, continuità e sostenibilità delle cure in un mondo interconnesso e vulnerabile.

Il cambiamento climatico e la crisi ambientale stanno modificando i pattern epidemiologici e amplificando le vulnerabilità. Le ondate di calore, l’inquinamento atmosferico, la scarsità di acqua, la perdita di biodiversità e l’instabilità alimentare hanno un impatto diretto sulle malattie croniche. Non solo ne aumentano l’incidenza,

ma rendono più difficile la gestione quotidiana da parte dei pazienti e dei sistemi sanitari.

In questo scenario, il concetto di accesso si espande ancora. Il paziente non ha solo bisogno di cure, ma anche di un contesto abitativo sicuro, aria pulita, cibo sano, trasporti sostenibili, servizi digitali accessibili. Le barriere all’accesso diventano allora ambientali, climatiche, tecnologiche. Il sistema sanitario non può più operare in isolamento, ma deve attivare sinergie con il mondo dell’urbanistica, dell’ambiente, della mobilità e della tecnologia.

Le NCDs, da questo punto di vista, non sono solo una categoria epidemiologica ma una lente per leggere le diseguaglianze nell’accesso e nell’impatto delle politiche ambientali sulla salute. Una sanità capace di affrontare le NCDs in ottica di Planetary Health sarà anche una sanità più giusta, resiliente e inclusiva.

ONE HEALTH, PLANETARY E NCD: PERCEZIONE DEI MEDICI ITALIANI E IMPLICAZIONI PER IL PATIENT ACCESS

L’Osservatorio Scenario Salute di Bhave, per interpretare l’effettiva centralità dei temi di One Health, Planetary Health e NCDs nella pratica clinica e nella cultura professionale, su un campione di 3.147 medici italiani tra il 15 gennaio e il 15 febbraio 2025 ha realizzato un indagine PIR (Percezione, Identità e Reputation), raccogliendo dati significativi su tre dimensioni fondamentali: percezione della sfida, senso di responsabilità personale e credibilità percepita delle principali problematiche sanitarie e ambientali. I risultati offrono insight preziosi su come i medici valutano e interiorizzano le grandi transizioni in atto.

One Health: una sfida percepita come credibile e urgente

I medici italiani riconoscono come significative alcune delle sfide cardine dell’approccio One Health. La resistenza agli antibiotici (valutata come sfida significativa con un punteggio medio di 4,8 su 5) e le malattie zoonotiche emergenti come COVID-19 o influenza aviaria (4,6) sono percepite non solo come problemi reali, ma

anche come responsabilità diretta della professione. Questo dato segnala un alto livello di consapevolezza sul legame tra salute umana e animale, e indica una finestra di opportunità per rafforzare politiche e formazioni che mettano in rete MMG, veterinari, farmacisti e altri attori locali in ottica One Health.

Il coinvolgimento personale dei medici su questi temi è altrettanto elevato, con punteggi che sfiorano il massimo (5), segnalando non solo attenzione ma anche disponibilità a farsi carico di soluzioni sistemiche. La credibilità percepita di queste minacce è alta: la resistenza agli antibiotici è giudicata “molto credibile” da gran parte del campione, seguita dalle zoonosi.

Questo evidenzia un allineamento favorevole tra percezione professionale e priorità sanitarie globali. In un’ottica di patient access, ciò significa che le istituzioni possono contare su una base professionale già sensibilizzata e pronta a integrare pratiche orientate alla prevenzione, alla biosorveglianza e alla comunicazione territoriale.

Le NCDs: sfide centrali nella pratica, ma meno sistemicamente codificate

Le malattie croniche non trasmissibili (NCDs) – tra cui le cardiovascolari, i tumori, il diabete e le patologie respiratorie – rappresentano per i medici italiani una priorità indiscussa. I punteggi assegnati alla loro significatività sono elevati: malattie cardiovascolari (4,8), tumori (4,3), diabete (4,1), patologie respiratorie croniche (4,2). Anche qui, il coinvolgimento personale dei professionisti è massimo (5), indicando un forte radicamento nella pratica clinica quotidiana.

Tuttavia, emerge un gap tra la centralità clinica di queste patologie e la loro interpretazione sistemica. Le NCDs vengono affrontate come “competenze core” della medicina, ma sono meno associate – almeno sul piano culturale – ai determinanti ambientali, sociali o climatici. Il rischio è quello di una medicalizzazione dell’accesso, in cui il paziente venga trattato in chiave sintomatologica e non nella sua interezza bio-psico-sociale.

Per superare questa frammentazione, è essenziale che le politiche sanitarie rafforzino il nesso tra NCDs e contesto ambientale. Ciò può avvenire solo valorizzando l’azione di prossimità, la prevenzione precoce e l’educazione terapeutica, ambiti dove i professionisti di comunità – MMG, pediatri, farmacisti – sono già operativi ma non sempre formalmente riconosciuti come agenti sistemici di salute pubblica.

Planetary Health: una sfida percepita come reale ma distante

I dati dell’Osservatorio mostrano chiaramente un paradosso. Le sfide ambientali legate alla Planetary Health –come i cambiamenti climatici, l’inquinamento atmosferico e idrico, la perdita di biodiversità o il consumo eccessivo di risorse – sono percepite come credibili in misura molto minore rispetto alle altre.

Ad esempio, il cambiamento climatico ottiene solo un 2,9 su 5 come “sfida significativa”, e punteggi ancor più bassi quanto a responsabilità personale (3,1) e credibilità (3,3).

Lo stesso vale per l’inquinamento (2,6), il degrado del suolo (2,2) o il consumo eccessivo di risorse (1,5). Questi dati indicano che, nonostante la crescente attenzione pubblica e scientifica, il nesso tra ambiente e salute non è ancora del tutto interiorizzato nella cultura medica corrente.

Questa distanza cognitiva rischia di riflettersi anche sulla capacità del sistema sanitario di anticipare le nuove esigenze di accesso che la crisi climatica inevitabilmente genererà: maggiore vulnerabilità di alcune fasce sociali, aumento di patologie correlate, pressione sui servizi di emergenza, necessità di continuità assistenziale in condizioni di eventi estremi.

LE RACCOMANDAZIONI STRATEGICHE PER LE ISTITUZIONI SANITARIE

Per rispondere efficacemente a queste sfide, le istituzioni sanitarie devono adottare un nuovo approccio integrato al patient access, che consideri la multidimensionalità dell’accesso e riconosca il ruolo strategico dei professionisti di prossimità. Ciò implica una serie di azioni concrete e coordinate.

In primo luogo, è necessario ridefinire i modelli di governance includendo nel disegno delle politiche sanitarie anche le dimensioni ambientali e sociali. Questo significa rendere i professionisti sanitari parte attiva dei processi decisionali, sostenere la loro formazione nei temi di One Health e Planetary Health, e riconoscere il loro contributo nella costruzione di reti di cura territoriali.

In secondo luogo, le istituzioni devono investire nella percezione dell’accesso, attraverso strategie di comunicazione e ascolto, capaci di colmare il gap tra offerta e vissuto dei cittadini. La reputazione del sistema sanitario si gioca oggi sulla capacità di rispondere a bisogni complessi, di dare continuità alle cure e di garantire presenza nei territori.

Infine, è essenziale sviluppare modelli partecipativi che coinvolgano attivamente cittadini e pazienti nella progettazione dei servizi. Questo significa ripensare i canali di interazione, promuovere la sanità digitale, garantire inclusività culturale e linguistica, e costruire indicatori di accesso che vadano oltre i numeri e misurino anche fiducia, comprensione e prossimità percepita.

CONCLUSIONE: UN ACCESSO CHE INCLUDE, PROTEGGE E RESPONSABILIZZA

L’Osservatorio Scenario Salute di Bhave ci restituisce una fotografia lucida, in cui coesistono consapevolezze forti e aree di fragilità. I professionisti della salute, in particolare quelli di prossimità, sono già oggi attori centrali nella gestione delle NCDs e pronti ad assumere un ruolo attivo nella risposta alle sfide One Health. Tuttavia, permane un vuoto culturale e formativo sul versante della Planetary Health, che rischia di limitare la capacità del sistema sanitario di prepararsi ai futuri scenari climatici e ambientali.

Mettere il patient access al centro delle politiche sanitarie significa ridare senso alla prossimità, all’identità dei pro-

fessionisti, alla partecipazione attiva dei cittadini. Ma significa anche riconoscere che senza salute ambientale e giustizia sociale, non potremo garantire un accesso equo, sostenibile e universale.

In ottica di patient access, questo significa che -attraverso una narrazione integrata della salute ambientale, evidenziando come gli effetti del cambiamento climatico impattino direttamente le cronicità, la salute mentale e la sicurezza alimentare- le istituzioni possono sensibilizzare la classe medica su tre livelli:

1. rafforzare l’integrazione dei saperi e delle pratiche tra clinica, ambiente e società;

2. valorizzare i dati percettivi come indicatori strategici per la programmazione dei servizi;

3. riconoscere il potenziale trasformativo dei professionisti territoriali, supportandoli con strumenti, formazione e visibilità adeguata.

5.2 ONE HEALTH:

• RICOSTRUIRE IL BURDEN OF DISEASE DELL'RSV PER UN SISTEMA SANITARIO

EFFICIENTE: IL CASO DEL WORK PACKAGE EPIDEMIOLOGIA E BURDEN OF DISEASE RSV

di Giovanna Elisa Calabrò, Lucio Corsaro, Marco Del Riccio, *Marco Falcone, Pierluigi Lopalco, Gianluca Vaccaro*

IL VIRUS RESPIRATORIO SINCIZIALE (RSV):

UNA MINACCIA SOTTOSTIMATA PER LA SALUTE PUBBLICA.

Nei Paesi a clima temperato dell’emisfero nord, come l’Italia, il virus respiratorio sinciziale (RSV) segue una stagionalità piuttosto definita, con un aumento dell’attività nei mesi autunnali e un picco epidemico concentrato durante l’inverno (tipicamente tra dicembre e gennaio). Alcuni studi epidemiologici condotti prima della pandemia da COVID-19 hanno documentato come RSV inizi a circolare verso ottobre-novembre, raggiunga l’apice tra fine dicembre e metà gennaio, e tenda a decrescere fino a scomparire nella prima parte della primavera. Anche in Italia, i dati di sorveglianza raccolti prima del 2020 confermano questo andamento stagionale: RSV presenta un picco epidemico collocato mediamente nella seconda metà di gennaio, con una durata complessiva dell’epidemia pari a circa 11 settimane, concentrata nei mesi invernali.

Nel 2020, la pandemia COVID-19 ha alterato la circolazione stagionale dei principali virus respiratori, incluso quella di RSV; l’adozione di misure anti-COVID-19 ha infatti inizialmente determinato un crollo quasi totale della circolazione del virus durante la stagione 2020/21 in molti Paesi, tra cui l’Italia, e la stagione 2021/22 è risultata atipica, caratterizzata da un inizio precoce e da un numero insolitamente elevato di casi, con un picco anticipato e una maggiore incidenza anche in fasce di età normalmente meno colpite. Studi recenti mostrano come anche nella stagione 2022/23 l’epidemia di RSV nell’emisfero nord (Italia inclusa) si sia verificata con un anticipo di circa due mesi rispetto al periodo prepandemico, con il picco spostato a inizio dicembre, una durata lievemente più estesa, ed una età media più alta dei casi, probabilmente dovuta alla malattia di bambini che non si erano precedentemente immunizzati. Tuttavia, le stagioni successive hanno mostrato segnali di graduale ritorno alla stagionalità prepandemica; in particolare, il picco dell’RSV nella stagione 2023/24 si è nuovamente verificato tra fine dicembre e inizio gennaio, suggerendo una possibile – seppur non completa - stabilizzazione del calendario epidemico su binari più tradizionali. Questo trend di ritorno ai valori precedenti è coerente con

quanto osservato anche per altri virus respiratori, come l’influenza, che sembrano aver ripreso cicli di trasmissione stagionale simili a quelli del periodo pre-COVID.

Carico di malattia di RSV in Italia: Una necessità impellente

Nei bambini sotto i 5 anni, e in particolare nei primi mesi di vita, l’RSV è la principale causa di infezioni delle vie respiratorie inferiori, come bronchioliti e polmoniti; le evidenze relative all’Italia – come ad altri paesi Europei –mostrano che l’infezione da RSV è responsabile fino all’80% dei ricoveri per bronchiolite e al 40% di quelli per polmonite in età pediatrica. Secondo studi condotti nell’ambito di progetti europei come RESCEU (REspiratory Syncytial virus Consortium in EUrope), in Italia si verificano ogni anno circa 25.000 ricoveri ospedalieri attribuibili all’RSV in questa fascia d’età. La distribuzione per età evidenzia un peso particolarmente marcato nei primi mesi di vita: quasi il 40% dei ricoveri riguarda lattanti tra 0 e 2 mesi, con un’incidenza di circa 72 ricoveri ogni 1.000 bambini; seguono i bambini tra 3 e 5 mesi e quelli tra 6 e 11 mesi, con una progressiva decrescita nei due anni successivi. Complessivamente, quasi l’80% delle ospedalizzazioni si concentra nel primo anno di vita. È importante sottolineare che, pur esistendo categorie ad alto rischio come i nati pretermine o i bambini con patologie croniche, in termini assoluti il maggior numero dei ricoveri avviene in soggetti nati a termine e precedentemente sani; il decorso clinico, nei casi più severi, può richiedere supporto ventilatorio e cure intensive, e comporta un consumo rilevante di risorse sanitarie, e la degenza media si attesta intorno ai cinque giorni. Oltre al setting ospedaliero, l’RSV è una delle principali cause di accesso in pronto soccorso e in ambulatori pediatrici, con tassi di positività che possono variare tra il 18% e oltre il 40% nei bambini con sintomi respiratori.

Negli adulti, e in particolare tra gli anziani, l’impatto del virus respiratorio sinciziale (RSV) è stato a lungo sottovalutato, ma negli ultimi anni sono emerse evidenze chiare del suo peso clinico anche in questa fascia di popolazione; si stima che ogni anno si verifichino in Italia circa tra i 15.000 e i 22.000 ricoveri ospedalieri per infezioni da RSV tra gli adulti di età pari o superiore a 65 anni, con

tassi di ospedalizzazione che si attestano intorno a 2,2 casi per 1.000 abitanti nella fascia 75–84 anni e a circa 3 casi per 1.000 nei �85 anni, suggerendo un rischio dello stesso ordine di grandezza di quello associato all’influenza stagionale. La mortalità intraospedaliera associata a RSV può superare il 7%, mentre la durata media del ricovero tende a essere maggiore rispetto all’influenza, con degenze che oscillano tra i 6 e i 9 giorni. Nei soggetti fragili, l’infezione può innescare o aggravare quadri di scompenso cardiaco, broncopneumopatia cronica ostruttiva, diabete e altre patologie croniche, determinando esiti clinici severi e rendendo difficile una stima reale del carico di questa malattia, che oltre a effetti diretti ha effetti indiretti sulla salute della popolazione. Infatti, questi numeri, pur già rilevanti, rappresentano con ogni probabilità una sottostima del fenomeno reale, a causa della bassa sensibilità clinica del sospetto diagnostico, della scarsa diffusione di test diagnostici specifici nei reparti per adulti e della potenziale sovrapposizione con altri quadri virali respiratori.

Inoltre, l’impatto del virus si estende anche oltre l’ambito ospedaliero: uno studio multicentrico italiano condotto in Toscana, Liguria e Puglia ha evidenziato come tra gli anziani con più di 65 anni e con sintomi respiratori acuti che si presentano in ambulatorio di medicina generale, il 21,7% risultasse positivo all’RSV. Sebbene la maggior parte dei casi si risolva senza ricovero, le ripercussioni sono tutt’altro che trascurabili: circa il 74% dei pazienti ha dovuto ricontattare il proprio medico entro due settimane, il 48% ha sostenuto costi sanitari o sociali aggiuntivi, e il 3% ha comunque richiesto un’ospedalizzazione.

Strumenti di prevenzione contro RSV

Negli ultimi anni, la prevenzione dell’infezione da virus respiratorio sinciziale (RSV) ha fatto passi avanti significativi, grazie alla disponibilità di nuovi strumenti preventivi, sia passivi (come anticorpi monoclonali) che attivi (i vaccini), mirati alle due fasce più vulnerabili: neonati e anziani. Questi progressi rappresentano una svolta importante, dopo decenni in cui le opzioni preventive erano estremamente limitate.

Infatti, l’anticorpo monoclonale umanizzato (IgG1κ) diretto contro la proteina F di RSV (ATC J06BD01) approvato da EMA nel 1999 e indicato esclusivamente per categorie pediatriche ad alto rischio come prematuri, bambini con displasia broncopolmonare o con cardiopatie congenite, è stato per molti anni l’unico presidio disponibile. In Italia, è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale solo per i sottogruppi precedentemente menzionati, ma il regime di somministrazione ripetuta, unito al costo elevato, ne ha sempre limitato l’applicazione su larga scala, renden-

dolo di fatto uno strumento specialistico e selettivo. Di recente un anticorpo monoclonale a lunga emivita a singola somministrazione, ha rappresentato una svolta nella prevenzione dell’RSV: approvato da EMA nel novembre 2022 per l’uso in tutti i neonati e lattanti nel primo anno di vita, è stato introdotto in Italia a partire dalla stagione 2023/24, inizialmente in alcune Regioni, con un’estensione nazionale prevista per la stagione successiva. I dati iniziali, provenienti da contesti regionali e da osservazioni cliniche, suggeriscono una riduzione netta dei ricoveri pediatrici per bronchiolite, indicando un impatto diretto e misurabile sul carico ospedaliero. Sono attualmente in corso valutazioni su una possibile estensione della protezione anche alla seconda stagione nei bambini con fattori di rischio aggiuntivi.

Per quanto riguarda la popolazione adulta, e in particolare gli anziani, sono stati recentemente approvati da EMA tre vaccini per la prevenzione dell’RSV nei soggetti con età pari o superiore ai 60 anni. Un vaccino a subunità ricombinante (proteina F di RSV stabilizzata in prefusione) adiuvato con AS01_E e un Vaccino a subunità ricombinante bivalente (proteina F pre-fusione dei ceppi RSV-A e RSV-B) hanno ricevuto l’autorizzazione nel giugno 2023, mentre un vaccino a mRNA nucleoside-modificato che codifica la glicoproteina F di RSV in conformazione prefusione, veicolato in nanoparticelle lipidiche è stato approvato nel maggio 2024. Tutti e tre i vaccini hanno dimostrato efficacia nel ridurre gli episodi di malattia respiratoria delle basse vie causata da RSV, con una buona tollerabilità nei trial clinici. Il Vaccino a subunità ricombinante bivalente (proteina F pre-fusione dei ceppi RSV-A e RSV-B) ha anche ottenuto l’indicazione in gravidanza (tra la 24a e la 36a settimana), per conferire protezione passiva al neonato tramite il trasferimento di anticorpi materni, e la commissione europea ne ha recentemente esteso l’autorizzazione anche agli adulti di età compresa tra 18 e 59 anni a rischio aumentato di malattia respiratoria da RSV. Anche il vaccino a subunità ricombinante (proteina F di RSV stabilizzata in prefusione) adiuvato con AS01_E ha ricevuto l’estensione di indicazione 50+.

Questi sviluppi si inseriscono in un contesto più ampio di crescita dell’interesse scientifico e istituzionale verso l’RSV: a partire dagli anni immediatamente precedenti alla pandemia, e in modo ancora più consistente nel periodo post-COVID, si è assistito a un aumento significativo degli investimenti in ricerca, sorveglianza e sviluppo di strategie preventive contro i virus respiratori, e questo ha portato a un rafforzamento delle basi epidemiologiche. Oggi i dati italiani sul carico di malattia da RSV, un tempo scarsi o frammentari, sono sempre più solidi, coerenti e comparabili nel tempo, grazie anche al contributo

di studi osservazionali multicentrici, reti di sorveglianza rafforzate e modellizzazioni internazionali adattate al contesto nazionale. Relativamente ai vaccini per gli adulti, ad oggi nessuno di questi è ancora offerto gratuitamente in Italia né incluso nei Livelli Essenziali di Assistenza; il loro utilizzo resta limitato, su base volontaria e prescrizione individuale, con scarsa diffusione nella pratica clinica quotidiana, sebbene alcune Regioni stiano conducendo valutazioni tecnico-economiche per eventuale introduzione in coorti selezionate (es. anziani fragili, residenti in RSA) e/o abbiano attivato campagne vaccinali gratuite per fasce specifiche della popolazione, ma al momento non sono attive raccomandazioni nazionali (solo di società scientifiche che ne raccomandano l’introduzione e l’implementazione).

LIMITI DELLE ATTUALI STIME: DEBOLEZZE

METODOLOGICHE E TECNICHE DEI SISTEMI DI SORVEGLIANZA DELL’RSV

Sistemi di sorveglianza nazionali sul RSV, RespiVirNet

Il sistema di sorveglianza italiano per il virus respiratorio sinciziale si basa principalmente su RespiVirNet, l’evoluzione del precedente sistema InfluNet, che rappresenta il Sistema di Sorveglianza Integrata (epidemiologica e virologica) dei casi di sindromi simil-influenzali e dei virus respiratori. RespiVirNet è coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) con il sostegno del Ministero della Salute e si articola in due componenti principali: la sorveglianza epidemiologica, che ha l’obiettivo di determinare l’inizio, la durata e l’intensità dell’epidemia stagionale, e la sorveglianza virologica, che monitora la circolazione dei diversi virus respiratori.

Dal punto di vista tecnico, RespiVirNet si basa su una rete di medici sentinella costituita da Medici di Medicina Generale (MMG) e Pediatri di Libera Scelta (PLS) reclutati dalle Regioni, che segnalano i casi di sindrome simil-influenzale (ILI) osservati tra i loro assistiti. Il sistema richiede una copertura di almeno il 4% della popolazione della Regione/Provincia Autonoma, con almeno il 4% per ciascuna ASL e per ciascuna fascia di età. La raccolta e l’elaborazione dei dati è effettuata dall’ISS che produce rapporti settimanali epidemiologici e virologici.

La sorveglianza virologica viene implementata attraverso i Laboratori di Riferimento Regionale per i virus respiratori, che fanno parte della rete RespiVirNet e collaborano con il Centro Nazionale per l’Influenza (NIC) dell’ISS. I la-

boratori della rete RespiVirNet sono invitati ad effettuare sullo stesso tampone la ricerca di diversi virus respiratori, inclusi influenza, SARS-CoV-2, virus respiratorio sinciziale (RSV), rhinovirus, adenovirus, metapneumovirus, bocavirus, coronavirus umani e virus parainfluenzali.

Dalla stagione 2023-2024, RespiVirNet è diventato il sistema di sorveglianza integrato dei virus respiratori, mantenendo le funzionalità per la sorveglianza dei virus influenzali essenziali per l’aggiornamento annuale dei vaccini antinfluenzali, come richiesto nell’ambito della rete GISRS dell’OMS. Il sistema è progettato per monitorare la circolazione dei virus respiratori nella comunità e tra la popolazione ricoverata ed è estendibile ad una sorveglianza continua durante tutto l’anno.

Limiti delle definizioni di caso

Una delle principali sfide per la sorveglianza dell’RSV è rappresentata dalla mancanza di una definizione di caso uniforme e standardizzata. Le definizioni di caso attualmente utilizzate, sviluppate principalmente per l’influenza, risultano spesso inadeguate per catturare l’intera gamma di manifestazioni cliniche dell’RSV. La definizione di sindrome simil-influenzale (ILI) dell’Unione Europea, che richiede la presenza di febbre, presenta una sensibilità particolarmente bassa per l’RSV. Infatti, oltre il 50% dei bambini piccoli e degli anziani con infezione da RSV si presenta senza febbre. Questo porta a una sottostima significativa del burden di malattia, con studi che documentano fino a 9 volte meno casi rispetto alla reale incidenza negli adulti più anziani.

Anche definizioni più ampie come l’infezione respiratoria acuta (ARI) e la sindrome respiratoria acuta grave (SARI) presentano limitazioni. Uno studio portoghese ha dimostrato che nessuna delle tre definizioni di caso testate (ILI dell’UE, ARI modificata, e singolo sintomo respiratorio) era adeguata per rilevare le infezioni da RSV, con valori di area sotto la curva ROC di soli 0,51. La definizione SARI del 2013 dell’OMS, pur essendo la più sensibile tra quelle valutate, può comunque perdere fino al 17% dei casi di RSV. Inoltre, l’utilizzo del solo sintomo “tosse” offre la massima sensibilità (96%) ma comporta un valore predittivo positivo molto basso (13%).

Limiti metodologici, tecnici, organizzativi del sistema di sorveglianza nel rilevare la patologia

I sistemi di sorveglianza per l’RSV presentano numerosi limiti metodologici e tecnici che compromettono significativamente la capacità di rilevare accuratamente la patologia. Un limite fondamentale riguarda la sensibilità diagnostica limitata negli adulti, dove i titoli virali più

bassi e la durata più breve dell’eliminazione virale rispetto ai bambini piccoli limitano la rilevazione dell’RSV utilizzando le modalità diagnostiche attuali. La ricerca diretta dell’antigene RSV nelle secrezioni naso-faringee, pur essendo molto sensibile e specifica nei bambini piccoli (80-90%), presenta una sensibilità ridotta negli adulti (<40%) a causa della presenza di titoli virali meno elevati.

Limiti diagnostici e di laboratorio

I sistemi di sorveglianza dell’RSV inoltre sono fortemente limitati dalle caratteristiche dei test diagnostici utilizzati. I test antigenici rapidi (RADT) mostrano una sensibilità molto variabile, che varia dal 25,7% al 100%, con prestazioni particolarmente scarse negli adulti (29% di sensibilità pooled) rispetto ai bambini (81%). I test molecolari presentano performance superiori, con sensibilità che varia dal 66,7% al 100% per i test rapidi molecolari, ma sono più costosi e richiedono maggiore expertise tecnica. Inoltre, i test multiplex PCR, sempre più utilizzati nei sistemi di sorveglianza, mostrano una sensibilità inferiore del 7% rispetto ai test singleplex.

Dal punto di vista organizzativo, il sistema RespiVirNet presenta criticità significative legate alla copertura territoriale disomogenea. È necessario rafforzare il sistema soprattutto nelle Regioni che non hanno raggiunto la copertura della popolazione prevista, con particolare attenzione all’arruolamento di un numero adeguato di MMG e PLS per raggiungere almeno il 4% della popolazione regionale. Inoltre, la quota di tamponi effettuati dai medici sentinella risulta estremamente bassa in alcune Regioni/Province Autonome, compromettendo l’efficacia della sorveglianza virologica.

Un altro limite metodologico riguarda la dipendenza da test molecolari per la conferma dell’infezione, con la possibilità non infrequente di incorrere in falsi negativi nella ricerca tramite PCR. L’utilizzo di un solo tipo di campione (tampone nasofaringeo) limita ulteriormente la sensibilità diagnostica, quando l’aggiunta di campioni aggiuntivi come sputum RT-PCR e sierologia appaiata potrebbe aumentare la rilevazione rispettivamente del 52% e 44%.

La sensibilità diagnostica è significativamente influenzata dal tipo di campione raccolto e dal timing della raccolta. Uno studio belga ha evidenziato come l’uso di diversi metodi diagnostici possa portare a una rappresentazione erronea dell’epidemiologia dell’RSV negli adulti, con differenze temporali significative tra i picchi identificati dai test antigenici e quelli molecolari.

Sottodiagnosi e mancata segnalazione

La sottodiagnosi dell’RSV rappresenta uno dei problemi più significativi nella valutazione del burden di malattia. Uno studio danese ha dimostrato che utilizzando i registri di ammissione ospedaliera sono stati identificati 440 ricoveri codificati per RSV, ma collegando i pazienti con ricoveri codificati per infezioni respiratorie ai risultati dei test RSV, sono stati trovati 570 episodi aggiuntivi di ricoveri RSV-positivi senza una diagnosi codificata per RSV. Questo indica un sostanziale underreporting dell’RSV tra gli adulti, con importanti implicazioni per la stima accurata del burden di malattia.

La bassa consapevolezza clinica e la mancanza di test diagnostici di routine per l’RSV negli adulti contribuiscono a un significativo underreporting nei registri ospedalieri. In particolare, l’uso dei codici ICD-10 specifici per RSV mostra una sensibilità molto bassa (circa 6%) e una specificità molto elevata (fino al 99,8%) per identificare infezioni confermate in ambito di cure primarie. L’integrazione con codici per infezioni respiratorie acute (ARI) può essere una strategia valida per migliorare la sensibilità, ma spesso a scapito della specificità. Questo limita l’affidabilità dei sistemi di sorveglianza passiva basati su codifica ICD per stimare accuratamente il burden di malattia da RSV.

La sottodiagnosi è particolarmente pronunciata nelle strutture di cure primarie, dove uno studio multicentrico italiano ha evidenziato come tra gli anziani con più di 65 anni e sintomi respiratori acuti che si presentano in ambulatorio di medicina generale, il 21,7% risultasse positivo all’RSV. Tuttavia, la maggior parte di questi casi non viene identificata o segnalata attraverso i sistemi di sorveglianza formali, contribuendo a una significativa sottostima dell’impatto dell’RSV nella comunità.

Il fenomeno della mancata segnalazione è aggravato dal fatto che molti operatori sanitari non considerano l’RSV come una priorità diagnostica negli adulti, concentrando l’attenzione principalmente su influenza e COVID-19. Inoltre, la mancanza di sistemi di sorveglianza dedicati e adeguati per l’RSV, unita alla necessità di implementare la sorveglianza virologica nelle Regioni in cui è carente, contribuisce al gap informativo. A questo si aggiunge un rilevante problema formativo: studi preliminari condotti in Italia indicano che una quota significativa di professionisti sanitari ha una conoscenza limitata riguardo all’impatto di RSV nella popolazione adulta. Questo si riflette in una scarsa propensione alla diagnosi, alla notifica e, in prospettiva, alla raccomandazione delle misure preventive disponibili.

I sistemi di sorveglianza dell’RSV sono limitati da considerazioni di budget e dai requisiti di tempo per i professionisti sanitari. La percezione della mancanza di benefici per i pazienti in assenza di trattamenti specifici e, fino a poco tempo fa, di vaccini per l’RSV, ha contribuito a una minore prioritizzazione rispetto ad altre malattie infettive.

Frammentazione e disomogeneità dei sistemi europei

Questo quadro non cambia se si considera la situazione europea. Anche i sistemi di sorveglianza per l’RSV in Europa sono caratterizzati da una marcata eterogeneità. Una revisione di 30 paesi europei ha rivelato che solo 18 disponevano di sistemi di sorveglianza sentinella che includevano l’RSV, con notevoli variazioni nelle metodologie, definizioni di caso e protocolli di raccolta dati. In Europa, solo il 37,5% dei paesi analizzati dispone di sistemi di sorveglianza dedicati per l’RSV negli adulti, evidenziando una significativa frammentazione nel monitoraggio di questa popolazione. La mancanza di standardizzazione rende difficile il confronto tra paesi e la pooling di stime epidemiologiche.

Le differenze regionali nella capacità di sorveglianza sono evidenti anche in Italia, con alcune regioni che non raggiungono la copertura minima richiesta del 4% della popolazione e altre che presentano capacità diagnostiche limitate. L’esperienza della Valle d’Aosta con l’implementazione universale dell’Anticorpo monoclonale umano-ricombinante (IgG1κ) a lunga durata d’azione diretto contro la proteina F di RSV in conformazione pre-fusione ha fornito dati real-world preziosi, ma rappresenta un’eccezione piuttosto che la norma, evidenziando la mancanza di sistemi di raccolta dati standardizzati a livello nazionale.

Un problema metodologico fondamentale riguarda l’eterogeneità dei protocolli di sorveglianza tra diverse regioni e strutture sanitarie. Come evidenziato nella valutazione internazionale di diversi sistemi nazionali di sorveglianza influenzale, anche utilizzando parametri raccomandati dall’OMS, i programmi differiscono significativamente nel tipo di dati catturati e nella portata della sorveglianza. In Italia, questa eterogeneità è aggravata dalla struttura regionale del sistema sanitario, che delega alle regioni l’implementazione dei sistemi di sorveglianza.

Limitazioni nella rappresentatività geografica e demografica

La mancanza di dati robusti è ulteriormente aggravata

dalla limitata rappresentatività geografica della sorveglianza, con molte aree, specialmente rurali e del Sud Italia, sottorappresentate. I sistemi di sorveglianza attuali spesso presentano coperture geografiche e demografiche inadeguate. La sorveglianza ILI/SARI è spesso limitata a pochi ospedali con rappresentanza comunitaria molto limitata o assente, compromettendo la capacità di catturare il vero burden dell’RSV nella popolazione generale. Inoltre, gli anziani sono spesso sottorappresentati nei sistemi di sorveglianza tradizionalmente focalizzati sull’influenza.

La necessità di dati longitudinali consistenti per comprendere le tendenze epidemiologiche dell’RSV è ostacolata dalla relativa novità del focus su questo virus nei sistemi di sorveglianza nazionali. La transizione da InfluNet a RespiVirNet rappresenta un miglioramento, ma i dati storici comparabili sono limitati, rendendo difficile stabilire trend temporali affidabili.

Molti laboratori in Europa e altre regioni stanno ancora acquisendo dati su carta, risultando in dati sparsi o inutilizzati non facilmente accessibili o condivisibili per le analisi. Esiste inoltre una generale carenza di volume di dati AMR generati a causa della mancanza di laboratori di microbiologia con capacità di test di suscettibilità antimicrobica sufficiente.

Difficoltà nel distinguere l’RSV da altre infezioni respiratorie

La diagnosi differenziale dell’RSV da altre infezioni respiratorie rappresenta infine una sfida clinica significativa che limita l’accuratezza dei sistemi di sorveglianza. L’RSV, l’influenza e il COVID-19 presentano sintomi clinici sovrapponibili che rendono difficile la distinzione basata esclusivamente sui segni e sintomi. Nei bambini, come visto, l’infezione da RSV può manifestarsi inizialmente con sintomi lievi simili al raffreddore, per poi estendersi verso le vie aeree inferiori causando tosse e respiro sibilante.

Negli adulti, la sfida diagnostica è ancora maggiore. Uno studio retrospettivo che ha analizzato 685 pazienti ospedalizzati confermati con SARS-CoV-2, virus influenzale o RSV ha trovato che, sebbene i pazienti SARS-CoV-2 fossero significativamente più giovani e con conta dei globuli bianchi più bassa, le differenze tra i gruppi non erano sostanziali abbastanza da permettere una distinzione affidabile al pronto soccorso. L’età maschile più giovane e la conta dei globuli bianchi bassa possono assistere nella diagnosi di COVID-19 rispetto ad altre in-

fezioni virali, ma questi parametri non sono sufficienti per una diagnosi differenziale accurata.

L’implementazione di test multiplex per la rilevazione simultanea di SARS-CoV-2, influenza A/B e RSV è emersa come soluzione tecnica per affrontare questa sfida diagnostica. Tuttavia, questi test presentano limitazioni in termini di sensibilità, con alcuni studi che mostrano una sensibilità ridotta per i test multiplex rispetto ai test singleplex. Il test STANDARD M10 Flu/RSV/SARS-CoV-2 ha dimostrato elevate prestazioni diagnostiche con accordo positivo del 96,6%-100% per i diversi virus, ma richiede comunque competenze tecniche e risorse non sempre disponibili in tutti i contesti clinici.

I test multiplex possono introdurre bias nella sorveglianza, come evidenziato da uno studio belga che ha mostrato un aumento artificiale dei casi RSV durante il picco influenzale dovuto all’incremento nell’uso di test quadruplex. La sovrapposizione clinica è particolarmente problematica durante i mesi invernali quando multiple infezioni respiratorie co-circolano, creando quello che è stato definito “tripledemic”. In questo contesto, la diagnosi clinica differenziale diventa estremamente difficile senza supporto laboratoristico specifico. L’RSV negli anziani può presentarsi con manifestazioni cliniche severe simili a quelle dell’influenza, con studi che mostrano come la severità della malattia da RSV sia paragonabile a quella del COVID-19 e dell’influenza nei pazienti non vaccinati.

La difficoltà diagnostica è aggravata dal fatto che l’RSV può causare un ampio spettro di manifestazioni cliniche, dalla malattia asintomatica a forme severe che richiedono ventilazione meccanica. Negli adulti anziani e nei soggetti con comorbidità, l’RSV come visto, può innescare o aggravare quadri di scompenso cardiaco, broncopneumopatia cronica ostruttiva e altre patologie croniche, rendendo difficile distinguere gli effetti diretti dell’infezione virale dalle esacerbazioni delle condizioni preesistenti.

L’importanza di sviluppare e pianificare sistemi di sorveglianza adeguati

Lo sviluppo e la pianificazione di sistemi di sorveglianza adeguati per l’RSV rappresentano quindi una priorità urgente per la sanità pubblica, considerando il significativo burden di malattia che questo virus comporta in tutte le fasce d’età. La recente approvazione di vaccini e anticorpi monoclonali per la prevenzione dell’RSV rende ancora più critica la necessità di disporre di dati epidemiologici ac-

curati e tempestivi per guidare le politiche di immunizzazione e valutarne l’efficacia.

L’esperienza della pandemia da COVID-19 ha evidenziato l’importanza di sistemi di sorveglianza integrati e resilienti per i virus respiratori. Come sottolineato dall’OMS nel documento “Advancing RSV surveillance and disease burden as part of an expanded GISRS”, l’integrazione della sorveglianza per RSV nel sistema globale di sorveglianza dell’influenza rappresenta un approccio strategico per ottimizzare le risorse e migliorare la capacità di risposta. L’obiettivo è fornire evidenze epidemiologiche e virologiche che informino l’introduzione di vaccini RSV e anticorpi monoclonali.

La necessità di sistemi di sorveglianza semi-automatizzati basati su approcci innovativi emerge chiaramente dai limiti degli attuali sistemi di sorveglianza e dalla mancata identificazione di una quota significativa di casi. L’implementazione di sorveglianza sindromica basata su indicatori pre-diagnostici, come visite in pronto soccorso o ambulatori di cure primarie, può fornire un rilevamento più precoce dei cambiamenti nei pattern dei virus respiratori. Inoltre, la sorveglianza ambientale, in particolare quella delle acque reflue, mostra promesse come meccanismo di allerta precoce per l’aumento dell’attività virale nella popolazione.

Lo sviluppo di sistemi di sorveglianza adeguati deve contemplare un approccio multimodale che integri diverse fonti di dati e metodologie. Come raccomandato dal Framework Mosaic dell’OMS, l’approccio ottimale alla sorveglianza dei virus respiratori comuni prevede l’implementazione di un sistema che utilizza molteplici approcci di sorveglianza che si adattano e si allineano a obiettivi specifici per supportare la prevenzione, la rilevazione e il controllo dei virus respiratori con potenziale epidemico e pandemico.

L’importanza di ricostruire accuratamente il burden of disease dell’RSV va oltre il semplice monitoraggio epidemiologico. I dati generati da sistemi di sorveglianza robusti sono essenziali per l’engagement con i decisori politici, i clinici e i ricercatori per sviluppare un framework per stabilire sistematicamente database di sorveglianza dell’RSV. Questi dati permetteranno di stabilire priorità di salute pubblica, guidare le decisioni di policy e valutare l’impatto delle strategie preventive implementate.

La sfida attuale richiede un coordinamento efficace tra diversi livelli del sistema sanitario, dall’assistenza primaria ai centri di riferimento specialistici, garantendo stan-

dardizzazione delle definizioni di caso, protocolli diagnostici uniformi e sistemi informativi integrati. Solo attraverso questo approccio sistematico sarà possibile superare i limiti attuali della sorveglianza dell’RSV e fornire le evidenze necessarie per ottimizzare le strategie di prevenzione e controllo di questa importante minaccia per la salute pubblica.

L’implementazione di sistemi di sorveglianza adeguati per l’RSV non rappresenta solo una necessità tecnica, ma costituisce un investimento strategico per la preparazione a future emergenze sanitarie e per la protezione delle popolazioni più vulnerabili. La tempestiva identificazione dei trend epidemiologici, la caratterizzazione virologica dei ceppi circolanti e la valutazione dell’efficacia delle misure preventive dipendono criticamente dalla qualità e dalla completezza dei sistemi di sorveglianza implementati.

VERSO UN APPROCCIO INTEGRATO CLINICO, SOCIALE E COMPORTAMENTALE PER LA VALUTAZIONE DEL BURDEN OF DISEASE DELL’RSV

Il caso del Work Package Epidemiologia e Burden of Disease RSV

I limiti metodologici e tecnici dei sistemi di sorveglianza attuali comportano, come visto, una significativa sottostima del burden of disease dell’RSV, rendendo necessario un approccio sistematico e multidisciplinare per colmare le lacune conoscitive esistenti. È urgente sviluppare strategie innovative di raccolta, analisi dei dati che forniscano evidenze solide per orientare le politiche sanitarie e migliorare la gestione clinica di questa minaccia per la salute pubblica.

Su queste premesse e considerando queste necessità informative è stato costituito, con il supporto non condizionato di Pfizer, un gruppo di lavoro di esperti dedicato alla valutazione del burden of disease dell’RSV. Il lavoro si basa sulla raccolta e analisi sistematica di dati amministrativi, di osservatorio comportamentale e di scenario sui temi della salute sulla popolazione e gli operatori sanitari e su una revisione sistematica della letteratura.

Nello specifico gli obiettivi principali del progetto sono:

1. Valutazione del burden of disease dell’RSV a livello regionale

Il lavoro si sta concentrando su tre regioni rappre-

sentative del territorio nazionale (Lombardia, Toscana e Puglia), analizzando sistematicamente morbilità, mortalità e costi sanitari e sociali associati all’RSV. Questa strategia multiregionale permetterà di fornire una stima chiara dell’impatto della malattia sulle diverse popolazioni, tenendo conto delle specificità territoriali e organizzative dei sistemi sanitari regionali.

2. Identificazione dei gruppi vulnerabili

L’analisi si sta concentrando sull’identificazione dei gruppi popolazione più colpiti dall’RSV, esaminando in dettaglio i fattori di rischio e le caratteristiche demografiche. Particolare attenzione sarà dedicata ai neonati e lattanti nel primo anno di vita, dove si concentra quasi l’80% delle ospedalizzazioni, e agli anziani over 65, popolazione in cui l’impatto del virus è stato a lungo sottovalutato.

3. Analisi delle conseguenze socio-economiche

Il progetto sta valutando i costi diretti e indiretti associati alla malattia, includendo sia gli oneri per i sistemi sanitari che quelli per le famiglie colpite. Questa dimensione è particolarmente rilevante considerando che la durata media del ricovero per RSV negli anziani oscilla tra i 6 e i 9 giorni, superiore a quella dell’influenza, con significative ricadute economiche.

4. Esplorazione delle barriere strutturali e organizzative

La ricerca sta identificando gli ostacoli che limitano l’accesso alla vaccinazione e al trattamento efficace per le popolazioni vulnerabili. Questo aspetto è cruciale considerando che attualmente nessun vaccino per adulti è ancora offerto gratuitamente in Italia né incluso nei Livelli Essenziali di Assistenza.

5. Sviluppo di indicatori epidemiologici e sociologici

Il progetto mira a identificare indicatori chiave per comunicare efficacemente il burden of disease dell’RSV, facilitando la comprensione dell’impatto della malattia sui sistemi sanitari e sulla società. I risultati saranno valorizzati attraverso policy brief ed eventi istituzionali per massimizzare l’impatto sulle politiche sanitarie.

Gli obiettivi secondari del progetto si concentrano invece sull’analisi approfondita dei comportamenti di salute:

1. Comportamenti di prevenzione e trattamento

La ricerca sta approfondendo i comportamenti effettivi legati al trattamento e alla prevenzione che possono incidere sulla diffusione della patologia, analizzando le differenze tra fasce di popolazione e aree geografiche.

2. Esigenze dei sistemi sanitari locali

Si sta conducendo un’analisi delle esigenze specifiche dei sistemi sanitari delle tre regioni e delle popolazioni locali per identificare i principali ostacoli nella gestione dell’RSV.

3. Fattori comportamentali facilitanti

Il progetto sta esplorando i fattori comportamentali che possono facilitare la prevenzione, con particolare attenzione agli interventi vaccinali e alle strategie di comunicazione più efficaci.

4. Percorsi assistenziali differenziati

Saranno identificati i percorsi assistenziali primari e secondari, evidenziando le differenze tra aree geografiche e popolazioni target (neonati, anziani, immunocompromessi), nonché le modalità organizzative adottate dai sistemi sanitari delle tre regioni.

Questo approccio integrato e multidisciplinare rappresenta un passo fondamentale verso il superamento delle attuali limitazioni nella sorveglianza e gestione dell’RSV. Solo attraverso una comprensione completa del burden of disease, che includa non solo gli aspetti epidemiologici ma anche quelli comportamentali, socio-economici e organizzativi, sarà possibile sviluppare strategie di prevenzione e controllo veramente efficaci e interventi sanitari e sociali realmente equi.

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5.3 PATIENT

JOURNEY ROADBLOCK:

SOSTENIBILITÀ E ACCESSO ALLE CURE: LA SFIDA DELLE TERAPIE FUORI INNOVATIVITÀ

NEL CONTESTO OSPEDALIERO

A cura di Annalisa Scopinaro Presidente di Uniamo

L’arrivo sul mercato di terapie ad alto costo può mettere in crisi la singola azienda ospedaliera che deve erogarla al paziente dato che, non facendo horizon scanning, il budget stanziato l’anno precedente non tiene conto di questi impatti. Questo succede sia per terapie ordinarie/farmaci orfani che per tutte le terapie che escono dal regime di innovatività.

Il Direttore Sanitario che deve far quadrare i conti si trova a combattere con la necessità di erogare al paziente il trattamento più adatto alla sua situazione clinica e il dover reperire, attraverso manovre di bilancio, i necessari fondi per poterlo fare.

Questo processo, non guidato a monte attraverso una serie di confronti fra farmacista ospedaliero, clinico specialista, direzione amministrativa, rischia di creare delle impasse che portano a ritardi o rinuncia all’erogazione del trattamento stesso.

D’altro canto, il paziente vive situazioni di frustrazione perché si confronta con altri nella stessa condizione che nel frattempo hanno avuto accesso al trattamento e possibilmente hanno visto migliorare le loro condizioni di salute o la qualità della loro vita. In alcune circostanze è costretto a cambiare ASL o Regione per poter accelerare il processo di accesso e questo comporta una serie di ulteriori aggravi a una vita già abbastanza complicata.

Non esiste ad oggi una soluzione onnicomprensiva che tenga conto delle differenze organizzative regionali e locali; si possono però suggerire alcune buone prassi che aiuterebbero l’intero sistema a funzionare meglio:

• Confronto precoce fra tutti i livelli decisionali all’interno dell’azienda ospedaliera, in horizon scanning, per prevedere cosa entrerà in mercato e cosa, attraverso i numeri delle persone in carico al momento, sarà a carico dell’azienda sanitaria (questi numeri devono essere disponibili, ovviamente);

• Confronto con gli organi deputati della Regione, per poter definire il budget anche in base all’impatto che questa ricognizione avrà evidenziato per l’azienda;

• Tener conto, nell’impatto economico, anche della

necessità di eventuale riorganizzazione dei reparti e/o della necessità di acquisto di specifici ausili/macchinari che possano supportare tutto il processo di erogazione della terapia stessa.

Si stanno verificando, a macchia di leopardo in diverse parti d’Italia, alcuni casi di:

• ritardo di accesso a terapie migliorative (anche a volte solo di pochi giorni o settimane);

• In attesa di biosimilari, con un costo più contenuto, mancata prescrizione del trattamento innovativo;

• Mancata prescrizione del trattamento per scarsità di fondi.

Teniamo a precisare che questo, salvo il primo caso, non evita i costi per il sistema sanitario. Il paziente, potendo usufruire di un servizio sanitario nazionale, si sposta in altra ASL o addirittura Regione. Al costo della terapia si aggiungono anche i costi di trasferta, e il problema economico si sposta da una ASL all’altra.

I referenti istituzionali per la risoluzione di queste problematiche sono in primo luogo le Regioni, che detengono il budget che va distribuito; in seconda battuta le direzioni sanitarie dei singoli centri. Ma i due livelli devono essere coordinati in un rapporto di flusso continuo di informazioni dall’uno all’altro, come evidenziato nella prospettiva di buone prassi. Senza avere un quadro chiaro dell’epidemiologia e di chi potrà essere eleggibile al singolo trattamento; dove sono questi pazienti e quale è il loro patient journey; quali sono i trattamenti che arriveranno sul mercato (anche se permane l’incertezza sul prezzo finale); quali quelli per cui scadrà il beneficio dell’innovatività non potranno essere trovate soluzioni soddisfacenti per tutti.

• OLTRE IL BLOCCO: STRATEGIE PER UN ACCESSO EQUO E TEMPESTIVO AI FARMACI INNOVATIVI PER LE MALATTIE RARE

a cura di Manuela Vaccarotto

Vicepresidente Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie (AISMME APS)

CRITICITÀ

• Funzionale

L’accesso ai farmaci innovativi per malattie rare è spesso rallentato da autorizzazioni AIFA che prendono molto tempo, iter burocratici complessi, disomogeneità regionale ma anche territoriale, carenza di centri autorizzati e mancata integrazione tra ospedale, territorio e farmacia. Ciò provoca ritardi terapeutici e, nei casi più gravi, perdita dell’efficacia clinica.

• Emozionale

Dopo anni di diagnosi difficili, la lunga attesa per una cura efficace genera frustrazione, ansia e senso di abbandono. I pazienti e le famiglie vivono un profondo disagio emotivo che impatta su fiducia, aderenza alla terapia e qualità della vita.

• Sociale

La disparità territoriale amplifica le diseguaglianze: chi vive in regioni meno strutturate è costretto a migrare per curarsi, affrontando costi indiretti elevati e penalizzazioni lavorative e sociali. I ritardi erodono la fiducia nella sanità pubblica e nella ricerca.

SOLUZIONE

Si propone un percorso nazionale semplificato per i farmaci orfani: Fast Track AIFA con tempi certi; una rete di centri prescrittori distribuiti nel territorio; una piattaforma digitale trasparente per monitorare l’iter; un referente territoriale per l’accesso.

Obiettivo: ridurre tempi, aumentare l’equità e incrementare l’aderenza e la continuità terapeutica.

Misure: il tempo tra approvazione e trattamento; la percentuale di pazienti trattati entro 30 giorni; il numero di migrazioni sanitarie; la soddisfazione del paziente.

Contesto: la normativa italiana è avanzata ma l’applicazione è disomogenea; servono soluzioni standard applicabili a tutti i territori ma flessibili e personalizzati per una popolazione vulnerabile.

Meccanismo causale: la semplificazione e l’omogeneizzazione riducono frammentazioni e burocrazia, rafforzano la centralità e il ruolo del paziente e traducono l’in-

novazione e i risultati della ricerca in beneficio clinico reale.

CASE HISTORY – ACCESSO NEGATO A UNA

TERAPIA

SALVAVITA

Luca, 13 anni, ha ricevuto una diagnosi di Malattia rara. L’unica terapia disponibile è approvata dall’EMA ma rimborsata in Italia solo per i casi a esordio precoce.

Nonostante la gravità del quadro clinico, l’accesso è stato negato sia dalla casa farmaceutica (uso compassionevole) sia dall’AIFA (Fondo 5%).

I clinici hanno invocato la normativa regionale che consente l’uso di farmaci innovativi in casi rari, ma il paziente è ancora in attesa della terapia.

CRITICITÀ

• Funzionali: accesso limitato da iter burocratici complessi e criteri di rimborsabilità rigidi, non basati sul bisogno clinico individuale.

• Emozionali: forte frustrazione e senso di impotenza nella famiglia, che vede negata l’unica terapia disponibile.

• Sociali: disuguaglianze inaccettabili tra pazienti rari, legate a età, Regione e modalità di esordio, con effetti discriminatori sistemici.

RISULTATI

Il caso evidenzia quanto sia urgente prevedere canali chiari, accessibili e uniformi per garantire l’accesso ai farmaci innovativi, indipendentemente dalle sfumature burocratiche delle indicazioni di rimborsabilità, soprattutto per i pazienti rari.

REFERENTI ISTITUZIONALI

Ministero della Salute, AIFA, Regioni e Centro Nazionale Malattie Rare.

Azioni richieste: Monitorare e ridurre le disuguaglianze territoriali nell’erogazione delle cure per le malattie rare. Definire una linea guida nazionale per l’accesso ai farmaci orfani che tuteli tutti i pazienti rari, anche quelli che non rientrano nei criteri strettissimi attuali. Applicazione coerente delle normative regionali. Rafforzamento del ruolo del Centro Malattie Rare nel monitoraggio dei casi non trattati per barriere burocratiche.

• IL CASO DEL COMPORTAMENTO DEL PAZIENTE OBESO

a cura di Ilaria Ranieri, Lucio Corsaro

L’obesità rappresenta una delle sfide sanitarie più complesse del XXI secolo, con un impatto crescente sul sistema sanitario italiano e sulla qualità di vita della popolazione. Nonostante il riconoscimento dell’obesità come malattia cronica da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della comunità scientifica, persiste un divario significativo tra questa consapevolezza e l’approccio diagnostico-terapeutico adottato nel sistema sanitario italiano.

Questo policy brief analizza le criticità attuali nella gestione dell’obesità in Italia, con particolare attenzione alle barriere diagnostiche, allo stigma clinico e all’inerzia terapeutica. Sulla base delle evidenze scientifiche più recenti e delle linee guida nazionali e internazionali, vengono proposte raccomandazioni concrete per ottimizzare il percorso diagnostico-terapeutico del paziente con obesità, migliorare la formazione dei professionisti sanitari e promuovere un approccio multidisciplinare e non stigmatizzante.

Le proposte mirano a trasformare la gestione dell’obesità da un approccio frammentato e spesso inefficace a un modello di cura integrato e centrato sul paziente, in linea con i più recenti sviluppi scientifici che definiscono l’obesità come una patologia cronica multifattoriale che richiede interventi coordinati e sostenuti nel tempo.

IL CONTESTO: DIMENSIONI DEL PROBLEMA

Definizione e prevalenza

L’obesità è una malattia multi-fattoriale caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo in relazione alla massa magra, dovuto principalmente a uno squilibrio tra calorie assunte e consumate. Tradizionalmente definita attraverso l’Indice di Massa Corporea (BMI �30 kg/m²), la moderna classificazione scientifica distingue tra:

• Obesità preclinica: condizione di eccesso di grasso corporeo con rischio variabile per la salute, ma senza segni manifesti di malattia o disfunzione d’organo.

• Obesità clinica: malattia cronica caratterizzata da segni e sintomi di disfunzione d’organo e/o ridotta capacità di svolgere attività quotidiane a causa dell’eccesso di grasso corporeo.

In Italia, l’obesità rappresenta un problema sanitario di crescente rilevanza, con significativi costi economici, sociali e sanitari. Secondo il rapporto dell’OMS Europa (2022), l’obesità aumenta sostanzialmente il rischio di numerose patologie non trasmissibili, tra cui tumori, malattie cardiovascolari, diabete mellito di tipo 2 e malattie respiratorie croniche, oltre ad essere associata a un aumentato rischio di complicanze e mortalità in caso di infezione da SARS-CoV-2.

Limiti dell’approccio tradizionale

La definizione tradizionale dell’obesità basata esclusivamente sull’Indice di Massa Corporea (BMI) presenta importanti limitazioni:

1. Non misura direttamente la quantità di grasso corporeo

2. Non considera la distribuzione del grasso nel corpo

3. Non distingue quando l’eccesso di grasso costituisce un problema di salute

4. Può portare a sotto-diagnosi in persone con grasso corporeo eccessivo ma BMI <30

5. Può causare sovradiagnosi in individui con alta massa muscolare

6. Non riflette la presenza o meno di malattia a livello individuale

Queste limitazioni rendono necessario un approccio diagnostico più completo e personalizzato, che consideri non solo il BMI, ma anche parametri come la distribuzione del grasso corporeo, la presenza di comorbilità e l’impatto sulla qualità della vita del paziente.

ANALISI DELLE CRITICITÀ ATTUALI NELLA GESTIONE DELL’OBESITÀ

Diagnosi tardiva e inadeguata

Secondo le evidenze disponibili, l’obesità è generalmente diagnosticata in modo tardivo e incompleto. Il processo diagnostico si limita spesso al calcolo dell’Indice di Massa Corporea, che fornisce informazioni limitate sulla distribuzione del tessuto adiposo e sulla composizione corporea, elementi cruciali per la determinazione del rischio di complicanze.

Uno studio pubblicato su PubMed (Bardia et al., 2007) ha evidenziato come la maggioranza dei pazienti obesi non riceva una diagnosi documentata di obesità né un piano di gestione strutturato da parte del medico di medicina generale. La diagnosi formale rappresenta un passaggio cruciale, poiché aumenta significativamente la probabilità che venga formulato un piano terapeutico adeguato.

La valutazione completa del paziente con obesità dovrebbe includere:

• Anamnesi dettagliata (inizio e andamento dell’incremento ponderale, fattori scatenanti, tentativi pregressi di calo ponderale, anamnesi farmacologica, stile di vita, anamnesi familiare)

• Esame obiettivo completo (misurazione della pressione arteriosa, valutazione di edemi periferici)

• Antropometria (BMI, circonferenza vita, rapporto vita/fianchi)

• Indagini strumentali (densitometria total body, impedenzometria)

• Screening per comorbilità metaboliche e cardiovascolari

• Valutazione psicologica

Stigma clinico e discriminazione sanitaria

Lo stigma clinico rappresenta una delle barriere più significative all’accesso a cure appropriate per i pazienti con obesità. In Italia, molti sistemi sanitari non offrono ancora per il paziente con obesità lo stesso livello di assistenza che viene erogato per altre malattie croniche, configurando una vera e propria disparità di trattamento difficilmente giustificabile dal punto di vista etico.

Le principali manifestazioni dello stigma clinico includono:

• Limitato accesso all’educazione terapeutica e a programmi intensivi di modificazione dello stile di vita

• Scarsa offerta pubblica di programmi di terapia cognitivo-comportamentale

• Mancato rimborso dei farmaci disponibili con specifica indicazione nella terapia dell’obesità

• Difficoltà di accesso alla terapia chirurgica dell’obesità secondo percorsi terapeutici che garantiscano un follow-up multidisciplinare

La causa più profonda dello stigma legato al peso risiede nella persistenza di una narrazione che considera il sovrappeso e l’obesità come conseguenza diretta di comportamenti individuali inadeguati (pigrizia, golosità),

contrariamente alle evidenze scientifiche che definiscono l’obesità come una malattia cronica complessa risultante dall’interazione tra molteplici cause ambientali, genetiche ed epigenetiche.

L’esposizione a esperienze di stigmatizzazione e discriminazione legate al peso rappresenta un fattore di rischio per disturbi mentali nei pazienti con obesità, e può contribuire a sintomi depressivi, alti livelli di ansia, bassa autostima, stress e disturbi del comportamento alimentare. Paradossalmente, studi sperimentali hanno dimostrato che l’esposizione allo stigma legato al peso può portare a un aumento dell’introito di cibo, a una riduzione dei livelli di attività fisica e a una ulteriore tendenza all’aumento di peso.

Studi di letteratura suggeriscono che i medici tendono a dedicare meno tempo durante le visite e sono meno propensi a fornire consigli sanitari ai pazienti con obesità rispetto ai pazienti normopeso. D’altro canto, i pazienti che hanno subito episodi di discriminazione legati al peso in ambito sanitario tendono a evitare ulteriori contatti e visite, riducendo il loro accesso alle cure.

Inerzia terapeutica

L’inerzia terapeutica rappresenta un’ulteriore barriera significativa nella gestione efficace dell’obesità, definita come il fallimento o il ritardo nell’avvio o nell’intensificazione di una terapia nonostante la necessità clinica del paziente.

La considerazione dell’obesità come condizione autoindotta facilmente risolvibile porta spesso a una sovrastima dell’efficacia di interventi terapeutici basati esclusivamente sull’educazione e la modificazione dello stile di vita, trascurando approcci più strutturati e multidisciplinari.

Una recente indagine internazionale (studio ACTION-IO) ha evidenziato una chiara sovrastima, sia da parte dei pazienti che dei medici, dell’efficacia degli interventi basati su semplici consigli comportamentali, a discapito di interventi più strutturati come programmi intensivi di modificazione dello stile di vita, terapia cognitivo-comportamentale, farmaci anti-obesità e chirurgia bariatrica, la cui maggiore efficacia è dimostrata da evidenze cliniche e trial randomizzati controllati.

Analizzando specificamente i dati dei medici italiani presenti nello studio (302 medici, di cui il 56% si considerava esperto nella gestione dell’obesità):

• 80% assegnava un’efficacia elevata a un generico miglioramento dell’alimentazione

• 76% a un generico aumento dell’attività fisica

• Solo il 46% valutava come maggiore l’efficacia della terapia comportamentale

• Solo il 14% valutava come maggiore l’efficacia della terapia farmacologica

• Solo il 37% valutava come maggiore l’efficacia della terapia chirurgica

Questa visione semplicistica e superficiale del problema comporta una minor propensione a utilizzare terapie più avanzate e la continua ripetizione di interventi educazionali di breve termine, con conseguenti cicli ripetuti di calo e recupero di peso per il paziente. Tale approccio evidenzia una netta discrepanza tra il modo in cui viene affrontata l’obesità e il trattamento di altre malattie croniche non trasmissibili.

Il patient journey e le esigenze non soddisfatte

Uno studio qualitativo condotto da Pfeil et al. (2013) ha esplorato l’esperienza soggettiva dei pazienti obesi in attesa di sottoporsi a chirurgia bariatrica, specificamente il bendaggio gastrico laparoscopico regolabile (LAGB), evidenziando un percorso psicologico e decisionale complesso che può essere suddiviso in tre fasi principali:

1. Vivere con l’obesità:

• Impatto fisico: difficoltà motorie, dolori articolari, affaticamento, limitazioni nelle attività quotidiane

• Impatto psicologico: bassa autostima, senso di impotenza, isolamento sociale

• Impatto sulla vita: preoccupazione per l’aspettativa di vita ridotta e effetti sui familiari

• Questi problemi spesso rappresentano un punto di svolta nella consapevolezza della necessità di cambiamento

2. Desiderio di cambiamento:

• Tentativi falliti di perdere peso (diete yo-yo)

• Motivazioni: salute, desiderio di una vita “normale”, momenti critici (come l’incapacità di giocare con i figli)

• Ricerca attiva di informazioni e soluzioni con crescente attenzione verso la chirurgia bariatrica come “ultima speranza”

3. Aspettative verso il trattamento chirurgico:

• Il bendaggio viene percepito come uno strumento

per recuperare il controllo sulla propria vita e sulle abitudini alimentari

• I pazienti vedono la chirurgia come un mezzo per raggiungere e mantenere la perdita di peso, ma sono consapevoli della necessità di un impegno personale continuo

• Presenza di ansia riguardo all’anestesia, al dolore e all’esito finale

Questo percorso attivo e consapevole si caratterizza per una progressiva presa di coscienza, ricerca di soluzioni e formazione di aspettative realistiche, in linea con il modello di cambiamento di Prochaska e Di Clemente.

La conoscenza approfondita del percorso emotivo del paziente è essenziale per offrire un accompagnamento più empatico e personalizzato, tenendo conto sia degli aspetti tecnici sia di quelli umani e psicologici, per favorire il successo dell’intervento e il benessere a lungo termine.

Raccomandazioni per i decisori politici

Sulla base dell’analisi delle criticità attuali e delle evidenze scientifiche disponibili, vengono proposte le seguenti raccomandazioni per ottimizzare la gestione dell’obesità in Italia:

1. Riconoscimento formale dell’obesità come malattia cronica nel Sistema Sanitario Nazionale

Obiettivo: Garantire che l’obesità sia riconosciuta come malattia cronica a tutti gli effetti, con pari dignità rispetto ad altre patologie croniche non trasmissibili.

Azioni concrete:

• Includere l’obesità nell’elenco delle patologie croniche che danno diritto all’esenzione dal ticket per prestazioni specialistiche correlate

• Aggiornare i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) includendo percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) specifici per l’obesità

• Promuovere campagne di sensibilizzazione a livello nazionale volte a modificare la percezione pubblica dell’obesità come scelta di vita piuttosto che come malattia

2, Implementazione di percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) standardizzati a livello nazionale

Obiettivo: Garantire un approccio uniforme, evidencebased e multidisciplinare alla diagnosi e al trattamento dell’obesità.

Azioni concrete:

• Sviluppare e implementare PDTA standardizzati a livello nazionale, che includano:

• Criteri diagnostici aggiornati secondo le più recenti evidenze scientifiche

• Protocolli di valutazione completa (clinica, antropometrica, metabolica, psicologica)

Strategie terapeutiche graduate in base alla severità della patologia

• Indicazioni per il follow-up a lungo termine

• Istituire centri specializzati per la gestione dell’obesità distribuiti uniformemente sul territorio nazionale, con équipe multidisciplinari dedicate

3. Formazione specifica per i professionisti sanitari

Obiettivo: Migliorare le competenze dei professionisti sanitari nella diagnosi, gestione e prevenzione dell’obesità, con particolare attenzione alla riduzione dello stigma.

Azioni concrete:

• Integrare nei curricula universitari dei corsi di laurea in medicina, scienze infermieristiche, dietistica e altre professioni sanitarie moduli specifici sulla patofisiologia, diagnosi e trattamento dell’obesità

• Promuovere programmi di formazione continua (ECM) dedicati alla gestione dell’obesità e alla comunicazione non stigmatizzante

• Sviluppare linee guida per una comunicazione rispettosa e efficace con i pazienti con obesità

• Incentivare la partecipazione dei medici di medicina generale a programmi di formazione specifici sulla diagnosi precoce e la gestione dell’obesità

4. Miglioramento dell’accesso alle terapie

Obiettivo: Garantire l’equità di accesso a tutte le opzioni terapeutiche evidence-based per l’obesità.

Azioni concrete:

• Includere nel prontuario farmaceutico nazionale i farmaci specifici per il trattamento dell’obesità con regime di rimborsabilità

• Ampliare l’offerta di programmi di modificazione intensiva dello stile di vita all’interno del SSN

• Garantire l’accesso equo alla chirurgia bariatrica per

i pazienti eleggibili secondo le linee guida nazionali e internazionali, con tempi di attesa ragionevoli

• Implementare programmi di telemedicina per il monitoraggio e il supporto a lungo termine dei pazienti con obesità

5. Implementazione di un sistema di monitoraggio e valutazione

Obiettivo: Valutare l’efficacia delle politiche implementate e garantire il continuo miglioramento dell’assistenza ai pazienti con obesità.

Azioni concrete:

• Istituire un registro nazionale dell’obesità per raccogliere dati epidemiologici, clinici e terapeutici

• Sviluppare indicatori di processo e di esito per la valutazione della qualità dell’assistenza ai pazienti con obesità

• Promuovere la ricerca clinica ed epidemiologica nel campo dell’obesità

• Implementare un sistema di audit periodico per valutare l’aderenza ai PDTA e l’efficacia degli interventi

6. Creazione di una rete integrata per la prevenzione e il trattamento dell’obesità

Obiettivo: Promuovere un approccio integrato e coordinato tra tutti i livelli assistenziali coinvolti nella gestione dell’obesità.

Azioni concrete:

• Rafforzare il ruolo del medico di medicina generale come primo punto di contatto e coordinatore del percorso di cura

• Creare percorsi strutturati di invio ai centri specialistici per i pazienti che necessitano di interventi più intensivi

• Promuovere la collaborazione tra servizi sanitari, servizi sociali, scuole e comunità per la prevenzione dell’obesità

• Implementare strategie di case management per i pazienti con obesità severa e multiple comorbilità

7. Campagne di sensibilizzazione e educazione pubblica

Obiettivo: Aumentare la consapevolezza pubblica sull’obesità come malattia cronica e ridurre lo stigma sociale.

Azioni concrete:

• Sviluppare campagne mediatiche che promuovano una narrativa dell’obesità basata sulle evidenze scientifiche

• Promuovere l’educazione nelle scuole sui determinanti dell’obesità e sull’importanza di un approccio non stigmatizzante

• Coinvolgere personaggi pubblici in campagne di sensibilizzazione contro lo stigma legato al peso

• Supportare le associazioni di pazienti con obesità e promuovere il loro coinvolgimento nella definizione delle politiche sanitarie

ANALISI ECONOMICA E SOSTENIBILITÀ

L’implementazione delle raccomandazioni proposte richiede un investimento iniziale significativo in termini di risorse umane, strutturali ed economiche. Tuttavia, un’analisi costi-benefici suggerisce che tale investimento possa tradursi in importanti risparmi a medio-lungo termine:

1. Riduzione dei costi diretti: Un approccio proattivo e precoce all’obesità può prevenire o ritardare l’insorgenza di complicanze, riducendo i costi associati al trattamento di patologie come diabete tipo 2, malattie cardiovascolari, apnee ostruttive del sonno e alcuni tipi di cancro.

2. Riduzione dei costi indiretti: L’obesità è associata a significativi costi indiretti legati a ridotta produttività lavorativa, assenteismo, pensionamento anticipato e disabilità. Interventi efficaci possono contribuire a mitigare questi costi.

3. Prevenzione vs trattamento: Investire nella prevenzione e nella diagnosi precoce dell’obesità è generalmente più cost-effective rispetto al trattamento delle complicanze nelle fasi avanzate.

4. Implementazione graduale: Si propone un’implementazione graduale delle raccomandazioni, partendo da progetti pilota in regioni selezionate per valutare l’efficacia e la sostenibilità degli interventi prima dell’estensione a livello nazionale.

MONITORAGGIO E VALUTAZIONE

Per garantire l’efficacia delle politiche implementate, si propone un sistema di monitoraggio e valutazione basato sui seguenti indicatori:

Indicatori di processo:

• Numero di medici di medicina generale che hanno ricevuto formazione specifica sulla gestione dell’obesità

• Percentuale di pazienti con obesità che ricevono una diagnosi formale e un piano di trattamento strutturato

• Tempi di attesa per l’accesso a servizi specialistici per l’obesità

• Numero di centri specializzati per la gestione dell’obesità attivi sul territorio nazionale

Indicatori di esito:

• Prevalenza dell’obesità nella popolazione generale e in sottogruppi specifici

• Percentuale di pazienti che raggiungono e mantengono una perdita di peso clinicamente significativa

• Incidenza e prevalenza delle complicanze legate all’obesità

• Qualità della vita correlata alla salute nei pazienti con obesità

• Costi sanitari diretti e indiretti associati all’obesità

CONCLUSIONI

L’obesità rappresenta una sfida sanitaria complessa che richiede un approccio sistemico, multidisciplinare e a lungo termine. Le evidenze scientifiche suggeriscono che l’attuale modello di gestione dell’obesità in Italia presenti significative lacune, con particolare riferimento alla diagnosi tardiva e incompleta, allo stigma clinico e all’inerzia terapeutica.

Le raccomandazioni proposte in questo policy brief mirano a trasformare l’approccio all’obesità, promuovendo il suo riconoscimento come malattia cronica, ottimizzando i percorsi diagnostico-terapeutici, migliorando la formazione dei professionisti sanitari e garantendo l’equità di accesso alle terapie evidence-based.

L’implementazione di queste raccomandazioni richiede un impegno coordinato da parte di decisori politici, pro-

fessionisti sanitari, istituzioni accademiche, associazioni di pazienti e comunità, ma rappresenta un investimento necessario per migliorare la qualità dell’assistenza ai pazienti con obesità e ridurre l’impatto sanitario, sociale ed economico di questa patologia.

In conclusione, è tempo di adottare un approccio alla gestione dell’obesità che rifletta la sua natura di malattia cronica multifattoriale, superando visioni semplicistiche e stigmatizzanti che considerano l’obesità come mera conseguenza di scelte individuali. Solo attraverso un cambiamento paradigmatico nella comprensione e nella gestione dell’obesità sarà possibile offrire ai pazienti percorsi di cura efficaci, rispettosi e sostenibili nel tempo.

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• ANALISI COMPORTAMENTALE DEL COUNSELING MEDICO-PAZIENTE

NELLA SCLEROSI MULTIPLA: PROSPETTIVE PER UNA SANITÀ

PERSONALIZZATA ED EFFICIENTE

a cura di Ilaria Ranieri, Lucio Corsaro, Gianluca Vaccaro

La crescente complessità delle patologie neurologiche, in particolare delle malattie demielinizzanti come la sclerosi multipla (SM), impone una riflessione critica sui modelli classificatori utilizzati nella pratica clinica e sul comportamento prescrittivo dei professionisti sanitari. L’obiettivo del presente policy brief è sintetizzare le evidenze disponibili sull’utilità delle tassonomie nella gestione della SM, evidenziando al contempo i limiti attuali e proponendo raccomandazioni per migliorare diagnosi, terapia e aderenza terapeutica attraverso modelli comportamentali innovativi.

CLASSIFICAZIONE DELLE PATOLOGIE: SEMPLIFICAZIONE CLINICA E FRAMMENTAZIONE OPERATIVA

In ambito sanitario, le tassonomie rappresentano strumenti essenziali per organizzare in modo sistematico e coerente la conoscenza clinica, i processi decisionali e i comportamenti professionali. Una tassonomia è, in sostanza, un sistema di classificazione che permette di ordinare concetti, azioni o fenomeni complessi all’interno di categorie logiche, gerarchiche o funzionali. Se applicate al comportamento clinico, le tassonomie aiutano a rendere osservabili e misurabili dimensioni altrimenti astratte, come le scelte terapeutiche, i criteri di prescrizione o le modalità di interazione con il paziente. Nel contesto della medicina contemporanea – caratterizzata da un’elevata variabilità clinica, da un’esplosione di opzioni terapeutiche e dalla crescente pressione verso appropriatezza ed efficienza – le tassonomie offrono un duplice vantaggio. Da un lato, facilitano la standardizzazione delle pratiche professionali, promuovendo coerenza tra linee guida e condotta clinica. Dall’altro, permettono di personalizzare gli interventi, adattandoli alle caratteristiche individuali del paziente e del medico, nel rispetto della complessità decisionale e dei vincoli del contesto.

Nel caso specifico della sclerosi multipla (SM), comprendere e classificare il comportamento prescrittivo del medico è cruciale per garantire scelte terapeutiche tempestive, efficaci e sostenibili. Attraverso una tassonomia del comportamento prescrittivo, è possibile analizzare in modo sistematico i fattori che orientano le

decisioni cliniche – siano essi clinici, relazionali o sistemici – e individuare leve strategiche per migliorare l’interazione medico-paziente, l’aderenza alle linee guida e gli esiti clinici complessivi.

Nel paragrafo seguente si riportano alcuni esempi consolidati di tassonomie.

Il caso HiTOP e schizotipia

Il modello HiTOP (Hierarchical Taxonomy of Psychopathology) rappresenta una svolta epistemologica nei confronti delle classificazioni tradizionali DSM e ICD, proponendo un impianto dimensionale e gerarchico che consente di cogliere la continuità e la comorbilità dei disturbi psichiatrici. La schizotipia, come costrutto multidimensionale latente, rinforza l’idea che una tassonomia valida debba contemplare tratti subclinici e fattori di rischio, integrando approcci neurobiologici e comportamentali.

Policy insight: In ambito neurologico, una classificazione simile potrebbe aiutare a descrivere forme prodromiche di SM e pazienti ad alto rischio prima dell’esordio clinico evidente.

Il contributo del DSM-5

Il DSM-5, pur restando uno strumento standardizzato a supporto della pratica clinica e della ricerca, evidenzia i limiti del modello categoriale: eterogeneità intra-diagnostica e scarsa attenzione alla transizione tra condizioni subcliniche e conclamate. Tuttavia, la sua capacità di integrare aspetti nosografici e clinici resta fondamentale per l’uniformità dei percorsi di cura.

Policy insight: In analogia, la classificazione della SM deve superare la rigida dicotomia tra forme “attive” e “inattive”, adottando un continuum basato su biomarcatori, imaging e variabili funzionali.

VERSO UNA CLASSIFICAZIONE DINAMICA DELLE MALATTIE DEMIELINIZZANTI

La SM è una patologia cronica autoimmune del sistema nervoso centrale che si manifesta con lesioni demielinizzanti distribuite in modo eterogeneo, con decorso spesso imprevedibile. La letteratura propone diverse classificazioni: storiche (Charcot, McAlpine), clinico-radio-

logiche (Lublin-Reingold), e basate sui criteri diagnostici (McDonald). Tuttavia, l’evoluzione verso modelli più predittivi – che integrano risonanza magnetica, analisi liquorali e attività clinica – apre nuovi scenari per la medicina personalizzata.

Nuovi criteri classificatori e loro implicazioni

Il passaggio da forme clinicamente isolate (CIS) alla piena diagnosi di SM ha implicazioni non solo cliniche, ma anche regolatorie e organizzative. La crescente inclusione di forme borderline e atipiche come la neuromielite ottica (NMOSD) o l’encefalomielite acuta disseminata (ADEM) richiede un aggiornamento continuo dei criteri diagnostici.

Policy recommendation: Integrare sistemi di classificazione dinamici e multidimensionali nei Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali (PDTA) nazionali per la SM.

ANALISI COMPORTAMENTALE DEL COUNSELING

MEDICO-PAZIENTE: MODELLI DECISIONALI E IMPLICAZIONI NELLA GESTIONE DELLA SCLEROSI

MULTIPLA

Il comportamento prescrittivo come oggetto di tassonomia clinica

La prescrizione medica, soprattutto nel campo delle patologie complesse e ad alto impatto come la sclerosi multipla (SM), non può più essere considerata un atto tecnico neutro. Essa è, a tutti gli effetti, un comportamento clinico complesso, influenzato da variabili individuali, sistemiche e relazionali, e pertanto suscettibile di classificazione attraverso una tassonomia strutturata.

Una tassonomia del comportamento prescrittivo consente di organizzare, analizzare e monitorare le modalità decisionali del medico, allo scopo di migliorare la qualità prescrittiva, ridurre la variabilità ingiustificata nella pratica clinica e promuovere l’allineamento con le migliori evidenze disponibili. Tale approccio assume particolare rilevanza nella SM, patologia che si caratterizza per l’eterogeneità clinica, l’elevata disponibilità di opzioni terapeutiche e la necessità di un equilibrio dinamico tra efficacia, sicurezza e sostenibilità.

Logica terapeutica

Efficacia clinica

Profilo di rischio

Impatto economico

Implicazioni regolatorie

Tra i principali criteri tassonomici applicabili al comportamento prescrittivo del medico si possono identificare:

• Criteri intenzionali: motivazioni alla base della scelta terapeutica (es. massimizzazione dell’efficacia vs minimizzazione del rischio).

• Criteri comportamentali: modalità operative di scelta e attuazione della prescrizione (es. prescrizione reattiva, preventiva, difensiva).

• Criteri contestuali: elementi legati all’ambiente di cura (es. disponibilità farmaci, vincoli organizzativi, interazione con colleghi e pazienti).

• Criteri epistemici: fonti di conoscenza utilizzate (es. linee guida, esperienza personale, dati osservazionali, opinione esperta).

Questa tassonomia permette di costruire profili prescrittivi ricorrenti – ad esempio il medico “aderente alle linee guida”, il medico “reattivo”, il “clinico-innovatore” –con ricadute rilevanti per la formazione, la governance prescrittiva e l’organizzazione dei PDTA.

SCLEROSI MULTIPLA E ANALISI COMPORTAMENTALE DEL COUNSELING MEDICO-PAZIENTE: DALL’ESCALATION ALLA PERSONALIZZAZIONE PRECOCE

L’introduzione progressiva di terapie ad alta efficacia ha modificato radicalmente l’approccio prescrittivo nella SM. Le due principali strategie oggi in uso sono:

• Treat to Target (T2T): approccio incrementale, basato sull’impiego iniziale di farmaci a efficacia moderata, con successiva escalation solo in caso di evidenza clinica o radiologica di fallimento terapeutico.

Prudenza progressiva

Riduzione parziale delle ricadute

Migliore safety iniziale

Minori costi diretti iniziali

Facilita l’accesso iniziale alle terapie

Intervento intensivo precoce

Raggiungimento più frequente di NEDA

Rischio più elevato ma monitorabile (es. PML, autoimmunità)

Maggiori risparmi indiretti nel lungo termine

Richiede strumenti di triage precoce e criteri stringenti

Parametro T2T
EHT

• Early Highly Effective Treatment (EHT): approccio intensivo precoce, con introduzione immediata di farmaci ad alta efficacia nei pazienti con fattori prognostici sfavorevoli.

Entrambe le strategie sono supportate da razionali scientifici, ma presentano differenti profili in termini di:

Dal punto di vista della tassonomia prescrittiva, il medico T2T tende ad assumere un atteggiamento di attesa e controllo, spesso legato a vincoli istituzionali, profilo di rischio percepito o modelli mentali consolidati. Il medico EHT, invece, è orientato all’interventismo proattivo, spesso guidato da una maggiore propensione al rischio clinico calcolato e da una più aggiornata conoscenza delle evidenze.

Policy recommendation: Favorire l’EHT nei pazienti con fattori prognostici sfavorevoli, con un sistema di monitoraggio proattivo per gestire gli effetti avversi.

L’APPROCCIO JOBS TO BE DONE (JTBD): COMPRENDERE LA “FUNZIONE” DELLA PRESCRIZIONE

L’approccio Jobs To Be Done (JTBD), mutuato dalle scienze del comportamento e applicato al contesto sanitario, consente di leggere il comportamento prescrittivo non solo in termini di “scelta” ma anche come risposta a una “funzione” – ovvero a un compito implicito che il medico deve svolgere nel suo contesto operativo.

Il modello JTBD distingue tre dimensioni chiave del lavoro prescrittivo:

• Funzionale: prescrivere il trattamento clinicamente più appropriato per il paziente in base a diagnosi, prognosi e evidenze disponibili.

• Emotiva: rassicurare il paziente, gestire l’incertezza, mantenere fiducia nella relazione terapeutica.

• Sociale/istituzionale: aderire alle norme, evitare conflitti con colleghi, rispettare vincoli organizzativi o economici.

Nel caso della SM, un medico può prescrivere una terapia ad alta efficacia non solo per controllare la progressione della malattia (job funzionale), ma anche per dare un segnale forte di “presa in carico” al paziente giovane e spaventato (job emotivo), o per allinearsi a un PDTA che privilegia precocità e intensività terapeutica (job sociale).

Policy implication: comprendere il comportamento prescrittivo alla luce del JTBD consente di progettare sistemi

di supporto decisionale clinico (CDSS), incentivi e programmi formativi che rispondano a queste tre dimensioni, evitando soluzioni puramente normative o punitive.

PROSPETTIVE DI INTERVENTO: VERSO UNA PRESCRIZIONE BASATA SU EVIDENZE, CONTESTO E COMPORTAMENTO

Per promuovere un comportamento prescrittivo efficace e coerente nella SM, è necessario superare la dicotomia tra linee guida e libero arbitrio clinico, adottando un modello integrato che includa:

• Sistemi dinamici di supporto alle decisioni basati su algoritmi predittivi, stratificazione del rischio e strumenti digitali interoperabili (es. dashboard clinici, alert su pazienti non controllati).

• Formazione comportamentale continua che includa strumenti di riflessione su bias decisionali, euristiche cliniche e gestione dell’incertezza.

• Modelli prescrittivi adattivi integrati nei PDTA, che differenziano le strategie in base a cluster prognostici e preferenze espresse dei pazienti.

• Indicatori di performance prescrittiva che considerino non solo il rispetto delle linee guida, ma anche l’aderenza terapeutica, la stabilità clinica e la soddisfazione del paziente.

Una tassonomia del comportamento prescrittivo del medico, soprattutto in patologie complesse come la sclerosi multipla, rappresenta uno strumento analitico e operativo per ottimizzare le scelte cliniche, promuovere appropriatezza e sostenibilità e personalizzare i percorsi di cura. L’integrazione di modelli decisionali strutturati (T2T vs EHT), approcci teorici comportamentali (JTBD) e strumenti di governance clinica consente di coniugare rigore scientifico e flessibilità operativa, ponendo le basi per un sistema sanitario più reattivo, equo e centrato sulla persona.

ANALISI COMPORTAMENTALE DEL COUNSELING MEDICO-PAZIENTE NELLA SCLEROSI MULTIPLA: ADERENZA E OLTRE

Dalla compliance all’engagement: nuovi modelli comportamentali

L’aderenza terapeutica è un processo dinamico influenzato da molteplici fattori: motivazione, accesso alle cure, comunicazione medico-paziente. La tassonomia ABC proposta da Vrijens et al. (2012) distingue tra inizio, implementazione e persistenza della terapia, offrendo un linguaggio comune per interventi mirati.

Policy insight: I modelli comportamentali devono andare oltre l’osservanza passiva e incentivare una partecipazione attiva del paziente al proprio percorso di cura.

Aderenza, attivazione e traiettorie psico-comportamentali del paziente con Sclerosi Multipla

In medicina, la tassonomia del comportamento del paziente è uno strumento concettuale e operativo volto a classificare e comprendere le modalità con cui l’individuo interagisce con il proprio stato di salute, i trattamenti proposti e il sistema sanitario. Questa tassonomia è centrale per:

• Personalizzare gli interventi clinici e psicoeducativi

• Prevedere l’aderenza terapeutica nel tempo

• Supportare la gestione delle malattie croniche

• Ottimizzare il coinvolgimento del paziente nelle decisioni

Nel caso della Sclerosi Multipla (SM), la variabilità dei sintomi, la progressività della disabilità e la dimensione psicologica spesso centrale nella qualità della vita impongono l’adozione di un framework tassonomico che sia in grado di tenere insieme dimensioni emotive, cognitive, motivazionali e relazionali.

Le principali dimensioni classificatorie del comportamento del paziente includono:

Policy insight: Integrare la classificazione comportamentale dei pazienti con SM nei sistemi di stratificazione del rischio clinico all’interno dei PDTA regionali, per ottimizzare risorse e tempi d’intervento.

Fattori che ostacolano o promuovono l’aderenza nella SM

L’aderenza terapeutica nella SM non può essere ridotta alla mera “compliance” farmacologica, ma va compresa come processo continuo, influenzato da un ampio set di determinanti che interagiscono tra loro in modo dinamico:

• Fattori individuali: età, genere, livello di istruzione, percezione della malattia e del beneficio atteso.

• Fattori psicosociali: depressione, ansia, stigma, supporto familiare.

• Fattori clinici: tipo di sintomi, pattern di recidive, stadio di malattia.

• Fattori relazionali: qualità dell’alleanza terapeutica con il neurologo e altri specialisti.

• Fattori sistemici: accessibilità delle terapie, burocrazia, continuità assistenziale.

Le evidenze mostrano che i pazienti con sintomi invisibili ma debilitanti (fatica, disfunzioni cognitive, alterazioni dell’umore) sono spesso quelli più esposti al rischio di discontinuità terapeutica e isolamento. Tali manifestazioni, meno riconoscibili rispetto alla disabilità motoria, richiedono strumenti specifici di valutazione e intervento precoce.

Policy insight: Sviluppare un sistema di monitoraggio longitudinale dell’aderenza terapeutica nei pazienti con SM, includendo metriche cliniche, psicologiche e digitali (es. ePROs, wearable, patient-reported fatigue).

Cognitivo

Comportamentale

Emotivo-affettivo

Relazionale

Motivazionale

Comprensione della malattia e delle terapie

Aderenza ai farmaci, esercizio, dieta, follow-up

Ansia, depressione, disforia, accettazione

Interazione con caregiver, team curante

Attivazione personale, resilienza, aspettative

Predizione dell’aderenza e del coinvolgimento decisionale

Valutazione delle capacità di selfmanagement

Previsione di drop-out terapeutici o rifiuto delle cure

Valutazione del bisogno di supporto familiare o sociale

Misurazione della disponibilità al cambiamento e all’impegno

DominioVariabile osservabile Funzione tassonomica
Dominio Variabile osservabile Funzione tassonomica

Di interesse nell’ambito dei fattori che promuovono o ostacolano l’aderenza nella SM è una recente indagine condotta da BHAVE che ha valutato l’efficacia e l’utilità di uno strumento digitale di telemedicina (digital App) progettato per supportare pazienti con Sclerosi Multipla (SM). La valutazione è stata effettuata attraverso la raccolta dei feedback degli utenti (pazienti con SM) nei confronti dell’App, valutandone (PREs_ Patient Reported Experence):

• user experience rispetto all’utilizzo.

• livello di gradimento, attitudine e interesse dei partecipanti.

• utilità percepita, accesso a informazioni attendibili e qualità della vita, riducendo al contempo il carico legato alla gestione quotidiana.

• punti di forza e criticità in termini di usabilità, interazione, visualizzazione dei contenuti, accessibilità e chiarezza.

I PREs aiutano a capire cosa funziona bene e cosa può essere migliorato nell’erogazione dell’assistenza, e si differenziano dai mentre i PROs (Patient Reported Outcome) in quanto questi ultimi valutano l’efficacia dei trattamenti e il loro impatto sulla vita dei pazienti. Entrambi i tipi di dati sono fondamentali per fornire un’assistenza sanitaria centrata sul paziente e per migliorare la qualità dei servizi offerti.

PREs (Patient-Reported Experience): si focalizzano sull'esperienza del paziente durante il percorso di cura.

•Si riferiscono alle percezioni ed esperienze dirette dei pazienti riguardo all'assistenza sanitaria ricevuta.

•Si concentrano sul "come" l'assistenza è stata fornita, analizzando aspetti come la comunicazione con il personale sanitario, i tempi di attesa, l'accessibilità ai servizi, il coinvolgimento nelle decisioni terapeutiche, la cortesia e il rispetto ricevuto.

•Misurano la qualità dell'interazione tra il paziente e il sistema sanitario durante il percorso di cura.

•Vengono raccolti tramite questionari o interviste strutturate che indagano le opinioni e i sentimenti del paziente sull'erogazione dei servizi.

PROs (Patient-Reported Outcome): si focalizzano sull'esito del trattamento dal punto di vista del paziente.

•Si riferiscono ai risultati di salute riportati direttamente dal paziente, senza l'interpretazione di un operatore sanitario.

•Si concentrano sul "cosa" è cambiato nella salute del paziente a seguito di un intervento o trattamento.

•Misurano l'impatto della malattia e del trattamento sulla vita del paziente, includendo aspetti come sintomi, funzionalità fisica, qualità della vita, benessere emotivo e mentale.

•Vengono raccolti tramite questionari standardizzati e validati che valutano lo stato di salute del paziente da una prospettiva soggettiva.

L’indagine si è basata su Focus Group che hanno coinvolto 79 persone con SM, in cura presso centri specializzati distribuiti su tutto il territorio italiano. Il campione era composto per il 62% da donne e per il 38% da uomini, con un’età media di 40 anni e una diagnosi di SM da circa 9 anni. I partecipanti presentavano diversi tipi di SM (recidivante/remittente, primaria progressiva, secondaria progressiva) e provenivano da vari contesti socio-professionali. Tutti erano abitualmente utenti di dispositivi digitali (smartphone, PC, tablet) e di internet, sebbene la maggior parte non avesse mai utilizzato specifiche app per la gestione della SM prima di questa esperienza.

I partecipanti sono stati coinvolti in 19 focus group online e hanno compilato un diario giornaliero per 40 giorni. Durante lo studio è stato utilizzato un approccio misto: 1. Focus Group Online (Fase 1 e 3)

• Coinvolgimento di 10 partecipanti con SM in 19 Focus Group dalla durata di due ore (62% donne, età media 40 anni), reclutati da centri specializzati distribuiti su tutto il territorio italiano.

• Discussioni guidate su percezione iniziale, attitudine digitale e aspettative.

2. Diario Giornaliero (Fase 2)

• Monitoraggio dell’utilizzo dello strumento per 40 giorni, con registrazione di attività, frequenza e feedback.

• Analisi dei dati: è stata utilizzata la metodologia “GROUNDED THEORY” per analizzare i dati raccolti, identificando categorie e temi emergenti. La “GROUNDED THEORY” (Glaser e Strauss, 1967) è un metodo per “andare dai dati alle teorie”, affinché la teoria emerga dai dati in modo puramente induttivo: le teorie devono essere lette nei dati in cui sono radicate (“grounded”) � la conoscenza potenziale è effettivamente “nei dati”, cioè “al di fuori” del ricercatore, al quale spetta solo di “catturarla”. Dall’analisi del Diario giornaliero si è ricostruito il journey delle persone con SM dal punto di vista funzionale (descrizione delle attività che svolgono i pazienti), emozionale (descrizione dei sentimenti e delle percezioni dei pazienti), sociale (comprendere come i pazienti si relazionano agli altri).

3, Valutazione quantitativa e qualitativa

• Punteggi assegnati a usabilità, affidabilità, utilità e interesse.

• Analisi delle connessioni tra utilizzo dello strumento e impatto socio-emotivo.

Risultati

• Attitudine verso il digitale: I partecipanti hanno dimostrato una buona familiarità con le tecnologie digitali, utilizzando quotidianamente dispositivi e internet sia per lavoro che per la vita privata. Tuttavia, per quanto riguarda la gestione della SM, la fiducia nelle fonti online è limitata: si preferiscono siti ufficiali e il confronto diretto con il neurologo di riferimento.

• Impatto sulla qualità della vita: Lo strumento è stato percepito come un valido supporto, soprattutto per chi si trova nelle fasi iniziali della malattia o necessita di maggiore organizzazione quotidiana. Può facilitare la comunicazione con il centro di riferimento e migliorare l’autonomia nella gestione della patologia, offrendo anche un supporto informativo ai caregiver.

• Utilità percepita dello strumento di telemedicina: Lo strumento digitale è stato ritenuto potenzialmente utile soprattutto per chi ha ricevuto una diagnosi recente, offrendo supporto informativo, promemoria terapeutici e strumenti di monitoraggio dei sintomi. La possibilità di condividere informazioni su farmaci, effetti collaterali, sintomi e strategie quotidiane è stata valutata positivamente, così come la funzione di promemoria per appuntamenti e terapie.

• Esperienza d’uso e gradimento: Le sezioni più utilizzate e apprezzate risultano essere quelle dedicate all’esplorazione dei contenuti, ai programmi di benessere e al diario personale. Gli aspetti maggiormente apprezzati sono stati:

• Semplicità d’uso e interfaccia grafica attraente.

• Monitoraggio dello stato di salute e dei sintomi, con possibilità di generare report.

• Sezioni informative su ricette, esercizi fisici, aspetti normativi e la possibilità di ascoltare articoli (utile per chi ha problemi visivi).

• Funzione chat per richieste di informazioni generali.

• Criticità e suggerimenti di miglioramento:

• Gli esercizi fisici proposti risultano troppo semplici o non adatti a chi ha mobilità ridotta; si suggerisce maggiore personalizzazione.

• Alcune funzioni sono percepite come poco interattive e talvolta lente, generando frequenti bug (chiusure improvvise, ritardo notifiche, lentezza).

• I caratteri in alcune sezioni sono troppo piccoli per chi ha problemi visivi

• Si auspica una maggiore disponibilità di supporto psicologico e infermieristico, idealmente H24.

• L’aggiornamento manuale dei dati può risultare macchinoso e scoraggiare l’uso continuativo.

• Si suggerisce di ampliare i contenuti, includendo informazioni su farmaci e tecnologie disponibili anche all’estero.

Conclusioni: L’esperienza raccolta evidenzia che uno strumento digitale di telemedicina può rappresentare un valido alleato nella gestione quotidiana della Sclerosi Multipla, soprattutto per il monitoraggio dei sintomi, la gestione delle terapie e la fruizione di contenuti informativi affidabili. L’accettazione e l’utilizzo sono favoriti da un’interfaccia semplice, contenuti personalizzati e funzioni di supporto pratico (promemoria, diario, report). Restano tuttavia alcune criticità da affrontare: la necessità di maggiore personalizzazione, l’accessibilità per chi ha deficit visivi o motori e una maggiore integrazione con il supporto medico e psicologico.

Discussioni e prospettive future: L’indagine suggerisce che l’adozione di strumenti digitali può migliorare la qualità della vita e l’empowerment dei pazienti, soprattutto se integrata in un percorso di cura multidisciplinare e incentrato sul paziente. Con i dovuti miglioramenti, lo strumento potrebbe diventare una risorsa preziosa non solo per le persone con SM, ma anche per i loro caregiver, offrendo un supporto completo nella gestione della patologia.

Modelli comportamentali applicabili alla SM: ABC, ABCDE e Patient Activation

I modelli cognitivi-comportamentali (come l’ABCDE) e quelli motivazionali (come il Patient Activation Measure, PAM) permettono di comprendere come le convinzioni, le emozioni e le capacità di autogestione influenzino il comportamento terapeutico. Applicare questi modelli consente di spostare il focus dal comportamento osservato al “perché” di quel comportamento, aprendo spazi per interventi più mirati.

Modello ABC/ABCDE

Il modello ABC (Antecedente - Belief - Conseguenza), esteso in ABCDE con Disputa e Effetto, è particolarmente utile per:

• Comprendere le credenze disfunzionali (“sono malato, quindi non posso più fare nulla”)

• Intercettare meccanismi auto-limitanti che minano l’autoefficacia

• Promuovere ristrutturazioni cognitive che favoriscono l’engagement terapeutico

Questo modello è adattabile all’educazione terapeutica nei centri SM, nei contesti di riabilitazione neuropsicologica e nei programmi di coaching motivazionale.

Patient Activation Measure (PAM)

La PAM è una scala psicometrica che misura il livello di attivazione del paziente rispetto alla propria salute. Essa suddivide i pazienti in 4 stadi:

1. Disimpegno: bassa consapevolezza della propria condizione, atteggiamento passivo.

2. Riconoscimento: consapevolezza delle problematiche ma scarsa fiducia nella gestione.

3. Azione iniziale: tentativi di gestione con sostegno esterno.

4. Autogestione consolidata: attivazione autonoma, comportamento proattivo, collaborazione. Applicare la PAM in SM consente di:

3. Stratificare i pazienti in base alla capacità di gestione autonoma

3. Adattare le strategie educative e comunicative

3. Prevedere l’impatto degli interventi comportamentali

Policy insight: Integrare strumenti come PAM e ABCDE nella valutazione iniziale e nel follow-up dei pazienti con SM per costruire piani educativi e riabilitativi su misura.

FOCUS SU QUATTRO AREE CRITICHE: FATICA, DISTURBI DELL’UMORE, PERSONALITÀ E LAVORO

La gestione efficace della SM richiede attenzione non solo ai sintomi neurologici visibili, ma anche a fattori spesso trascurati come la fatica cronica, i disturbi dell’umore, i tratti di personalità vulnerabili e lo stress lavorativo. Questi aspetti influenzano pesantemente la qualità di vita, l’aderenza e la stabilità clinica.

Fatica cronica

• È il sintomo più comune e invalidante, spesso non proporzionale alla disabilità fisica.

• È correlata a riduzione dell’aderenza terapeutica, isolamento sociale e peggioramento della qualità della vita.

• Richiede interventi integrati: educazione all’autogestione, fisioterapia adattata, approcci psicoeducativi.

Disturbi dell’umore

• Depressione e ansia sono frequenti (fino al 50% dei pazienti).

• Hanno impatto negativo su esiti clinici, funzione cognitiva e aderenza terapeutica.

• È fondamentale un monitoraggio sistematico con strumenti validati (es. PHQ-9, HADS) e invio precoce al supporto psicologico.

Tratti di personalità

• Il nevroticismo è associato a peggiore adattamento e maggiore stress percepito.

• L’estroversione e la coscienziosità proteggono da distress e dropout terapeutico.

• Valutare i tratti di personalità può migliorare la personalizzazione dell’approccio motivazionale.

Contesto lavorativo

• Lo stress professionale è un predittore di peggioramento clinico e disoccupazione precoce.

• Interventi di counselling lavorativo, coaching per il reinserimento e adattamenti contrattuali sono essenziali per la sostenibilità psicologica e sociale.

Policy insight: Integrare la valutazione sistematica di fatica, depressione e stress lavorativo nei controlli periodici dei pazienti con SM, includendo servizi di supporto psicologico e counselling professionale nei centri sclerosi multipla.

RACCOMANDAZIONI OPERATIVE

Un sistema sanitario orientato alla cronicità deve dotarsi di strumenti agili per intercettare e trattare precocemente i comportamenti disfunzionali nei pazienti con SM. La formazione dei professionisti, l’utilizzo di modelli comportamentali avanzati e il coinvolgimento attivo del paziente sono pilastri fondamentali per una presa in carico efficace. Per un approccio sistemico alla gestione comportamentale del paziente con SM, si suggerisce:

1. Integrare strumenti di assessment comportamentale (PAM, ABCDE, screening umore/fatica) nei PDTA regionali.

2. Formare il team multidisciplinare all’uso di strumenti motivazionali (REBT, CBT, colloquio motivazionale).

3. Coinvolgere caregiver e rete familiare nel percorso, attraverso attività di educazione e supporto condiviso.

4. Creare percorsi di supporto psicoeducativo continuo, anche attraverso piattaforme digitali e risorse accessibili.

5. Monitorare longitudinalmente l’attivazione del paziente, adattando i piani terapeutici al suo livello motivazionale e cognitivo.

Policy insight: Costituire unità multidisciplinari dedicate alla gestione comportamentale e motivazionale nei centri SM, con funzioni di valutazione psicologica, training all’autogestione e supporto all’attività fisica adattata.

RACCOMANDAZIONI PER IL POLICY MAKER

La tassonomia comportamentale del paziente non è solo un esercizio classificatorio, ma uno strumento strategico per personalizzare l’assistenza, ridurre la variabilità clinica e migliorare l’efficacia del sistema. Nella SM, l’adozione sistematica di modelli comportamentali deve essere accompagnata da policy che ne incentivino l’integrazione nei percorsi standard di cura. Sulla base delle evidenze raccolte, si propongono le seguenti raccomandazioni:

1. Rendere dinamiche le tassonomie cliniche attraverso strumenti digitali interoperabili che integrino imaging, biomarcatori e storia clinica per diagnosi più precoci e personalizzate.

2. Favorire il passaggio verso l’EHT nei pazienti con SM a prognosi sfavorevole, abilitando strumenti decisionali supportati da algoritmi predittivi.

3. Adottare il modello JTBD nei PDTA per promuovere decisioni prescrittive centrate sulle reali necessità clinico-relazionali.

4. Sviluppare un osservatorio nazionale sull’aderenza terapeutica, con modelli di monitoraggio

comportamentale basati su ABC/ABCDE, per identificare precocemente i pazienti a rischio di dropout terapeutico.

5. Finanziare interventi formativi e programmi di engagement comportamentale rivolti a medici e pazienti, con attenzione particolare all’attività fisica, alla fatica e alla dimensione cognitiva della malattia.

CONCLUSIONE

La tassonomia del comportamento del paziente, se ben articolata e integrata con modelli psicologici avanzati, rappresenta uno strumento chiave per comprendere, anticipare e modulare le risposte dei pazienti alla cronicità. Nel caso della sclerosi multipla, l’adozione di framework come ABCDE e Patient Activation consente di intervenire su dimensioni altrimenti invisibili ma decisive per gli esiti di salute, l’aderenza terapeutica e la sostenibilità del sistema. La sfida è trasformare questi modelli in pratiche standard nella gestione integrata e personalizzata della SM.

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• LA TRASFORMAZIONE DELLA SANITÀ TERRITORIALE VERSO UN NUOVO

MODELLO DI ASSISTENZA DECENTRATA E IL CASO DELL’ISTEROSCOPIA IN LOMBARDIA

a cura di Lorena trivellato, Lucio Corsaro

La sanità italiana si trova negli ultimi anni di fronte a una sfida epocale che richiede una radicale riorganizzazione del sistema assistenziale. Garantire un accesso equo, tempestivo e appropriato alle cure è oggi una delle priorità più urgenti e complesse per ogni sistema sanitario, specialmente in un contesto in cui l’assistenza ospedaliera risulta il più delle volte sovraccarica e la sanità territoriale fatica a decollare. Le lunghe liste d’attesa, il ricorso improprio al pronto soccorso e le disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari, aggravate da fattori socioeconomici e geografici, sono manifestazioni tangibili di un sistema sotto pressione e non sostenibile nel lungo periodo. In questo scenario, dunque, riorganizzare i percorsi assistenziali secondo logiche di prossimità diventa non solo un obiettivo auspicabile, ma una necessità strutturale: la prossimità, intesa non solo in senso geografico ma anche relazionale e organizzativo, implica infatti un sistema sanitario capace di intercettare i bisogni di salute precocemente, integrando la medicina generale, i servizi sociosanitari e la prevenzione in un’ottica di continuità assistenziale che porti a dei miglioramenti sia in termini di outcome clinici che di qualità di vita.

La pandemia da COVID-19 ha agito in questo senso come un potente acceleratore, mettendo in luce le criticità strutturali di un modello sanitario ancora troppo centrato sull’ospedale. È ormai evidente la necessità di un vero e proprio cambio di paradigma, basato su un improrogabile switch territoriale che sposti il baricentro delle cure verso la prossimità del cittadino.

La medicina territoriale emerge a questo proposito come un pilastro fondamentale di un sistema sanitario moderno, capace non solo di alleggerire la pressione sugli ospedali e ridurre le liste d’attesa che affliggono il SSN, ma anche di intercettare precocemente i bisogni sanitari e di gestire in modo proattivo e continuativo le cronicità,70,71. Il modello prevede il decentramento delle cure, favorendo la capillarità dei servizi sul territorio attraverso

70 Bottari, C., & De Angelis, P. (Eds.). (2016). La nuova sanità territoriale. Maggioli Editore.

percorsi assistenziali che possano gestire efficacemente anche le patologie croniche in ambito territoriale attraverso una presa in carico continuativa e integrata.

Una delle principali innovazioni introdotte dal Decreto Ministeriale 71/202272 riguarda la riorganizzazione dell’assistenza territoriale, attraverso la creazione di tre nuove strutture cardine: le Case della Comunità, gli Ospedali di Comunità e le Centrali Operative Territoriali (COT). Questi presìdi rappresentano gli snodi attraverso cui il modello distrettuale può trovare attuazione concreta, avvicinando i servizi sanitari ai bisogni reali della popolazione. Nello specifico, le Case della Comunità, che dovrebbero essere oltre 1.200 entro il 2026, diventeranno il fulcro dell’assistenza primaria. Al loro interno opereranno team multiprofessionali – medici di medicina generale, infermieri di famiglia e comunità, specialisti, assistenti sociali – con l’obiettivo di garantire una presa in carico continuativa, soprattutto per i pazienti con patologie croniche. Accanto ad esse, gli Ospedali di Comunità (circa 400 quelli previsti) offriranno un livello di assistenza intermedio tra ospedale e domicilio, con degenze brevi e assistenza clinico-infermieristica a bassa intensità. Pensati principalmente per pazienti cronici o fragili che non necessitano di cure acute ma nemmeno possono essere assistiti a casa, rappresentano un ponte fondamentale tra il momento delle dimissioni ospedaliere e il ritorno alla quotidianità.

A supportare l’intero sistema saranno le Centrali Operative Territoriali (COT), strutture organizzative attive sette giorni su sette, concepite per coordinare i diversi livelli di cura e facilitare la continuità assistenziale, facendo in questo senso da regia logistica e comunicativa tra medici di base, infermieri, specialisti e operatori sociali.

Le ASST lombarde verso la territorialità, tra potenzialità e difficoltà

L’assetto delineato dal DM 71 e sostenuto dal PNRR offre

71 Ceccarelli, A., Palmieri, A., Di Vincenzo, F., & Cicchetti, A. (2009). Ricognizione sulle nuove forme di organizzazione della medicina territoriale per l’erogazione dell’assistenza primaria. Politiche Sanitarie, 10(3).

72 Missione 6, consultabile presso: https://www.pnrr.salute.gov.it/portale/pnrrsalute/dettaglioContenutiPNRRSalute.jsp?lingua=italiano&id=5898&area=PNRR-Salute&menu=riforme. Ultimo accesso 13/06/25

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una cornice ambiziosa per un modello di sanità più prossimo, efficiente e capillare; ma per comprendere come questi obiettivi possano essere concretamente raggiunti, è necessario guardare a ciò che già esiste e comprendere quali modelli organizzativi siano stati sperimentati nei contesti regionali, con quali risultati, e quali criticità permangano nel tradurre i principi della prossimità in pratica. Un esempio emblematico in tal senso è costituito dalle Aziende Socio Sanitarie Territoriali (ASST) lombarde, che rappresentano un importante tentativo di integrare ospedale e territorio sotto un’unica direzione gestionale. Le ASST lombarde, ad oggi in numero di ventisette, si configurano come strutture complesse organizzate in due sezioni principali: la rete territoriale (che include i presìdi sociosanitari territoriali – PreSST – e i presìdi ospedalieri territoriali – POT) e il polo ospedaliero. Questo assetto permette, in teoria, una presa in carico integrata e multidisciplinare, specialmente nei casi di cronicità e fragilità, dove in particolare i PreSST sono stati pensati come nodi strategici per l’erogazione di prestazioni sanitarie e sociosanitarie a bassa e media intensità, in grado di garantire prossimità e continuità assistenziale.

Le ASST si configurano come il risultato della logica organizzativa Hub and Spoke, applicata su scala regionale con l’intento di razionalizzare l’erogazione dei servizi sanitari secondo livelli differenziati di complessità. In questo modello, infatti, gli hub rappresentano i centri di riferimento ad alta specializzazione in cui si concentrano le competenze e le tecnologie necessarie per la gestione dei casi più complessi, mentre gli spoke, sono strutture ospedaliere periferiche che erogano funzioni assistenziali di base, gestendo i casi a minor intensità clinica ma mantenendo una stretta connessione operativa con gli hub.

Negli hub si concentrano dunque le attività ad alta intensità tecnologica e le funzioni cliniche complesse, ma anche aree ad elevata integrazione ospedale-territorio, pensate per la gestione della cronicità e della fragilità. Gli spoke, invece, conservano una struttura organizzativa che assicura la gestione dell’attività programmata e dell’urgenza, pur escludendo in genere l’operatività chirurgica notturna e festiva. In questa prospettiva, il modello contribuisce a realizzare la presa in carico globale e personalizzata della persona, uno degli obiettivi centrali dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

L’organizzazione dei flussi assistenziali secondo logiche Hub & Spoke consente così di valorizzare le eccellenze cliniche e tecnologiche centralizzate, e al tempo stesso di garantire capillarità e prossimità delle cure. Il principio

di base è che non tutte le prestazioni devono essere erogate ovunque: è invece essenziale che i pazienti possano accedere a cure di alta qualità, anche se concentrate in centri specializzati, purché all’interno di un sistema integrato, equo e coordinato; questa logica consente di aumentare l’efficienza complessiva del sistema, con un impatto positivo sulle liste d’attesa e una riduzione delle disuguaglianze territoriali.

La promozione della medicina territoriale attraverso modelli organizzativi Hub and Spoke, come quello delle ASST lombarde, si configura quindi come un paradigma strategico per affrontare la sfida attuali di accesso nella sanità, rafforzando la continuità informativa, relazionale e organizzativa dell’assistenza e valorizzando la centralità del paziente come soggetto attivo. Tuttavia, nonostante il potenziale strategico delle ASST, il loro funzionamento quotidiano è ancora segnato da una serie di criticità che ne limitano l’efficacia.

Una delle difficoltà più rilevanti riguarda la frammentazione della governance, per cui la separazione tra le funzioni di programmazione, attribuite alle ATS, e quelle di erogazione, affidate invece alle ASST, ha generato una debolezza strutturale nel coordinamento tra i vari livelli del sistema; questa divisione istituzionale si traduce spesso in una gestione disomogenea e poco integrata dei percorsi di cura, rallentando l’effettiva presa in carico dei pazienti. Parallelamente, viene riportata una difficoltà di accesso, soprattutto nelle aree interne, montane e periferiche, per cui in molti casi i presìdi sanitari risultano distanti o poco attrezzati, mentre le liste d’attesa eccessivamente lunghe inducono i cittadini a rinunciare alle cure o a spostarsi verso strutture private o ospedaliere già congestionate. A questa frammentazione si somma un’ulteriore criticità, ossia la debole integrazione tra servizi sanitari e sociali, come evidenziato in modo emblematico dal caso dell’Assegno di Inclusione (ADI Le ASST, pur avendo il compito di prendere in carico i soggetti più fragili, faticano a farlo efficacemente a causa della mancata interoperabilità tra i sistemi informativi sanitari e quelli dell’INPS: l’assenza di un dialogo digitale tra enti genera così ritardi, sovrapposizioni burocratiche ed esclusioni dai sussidi, evidenziando come servizi sanitari e sociali siano ancora troppo frammentati e disallineati. A queste difficoltà specifiche, si aggiunge poi una grave carenza di personale sanitario, che in Lombardia assume dimensioni particolarmente preoccupanti: la mancanza di medici di medicina generale e infermieri è diffusa, con interi ambiti territoriali sprovvisti della copertura minima necessaria e le stime parlano di oltre 1.400 medici di base

mancanti, una cifra che rende evidente l’incapacità del sistema attuale di garantire una risposta capillare e continuativa ai bisogni di salute della popolazione.

Il teleconsulto come strumento per favorire le prestazioni decentrate

Nel contesto di un modello Hub&Spoke come quello delle ASST lombarde, fondato sulla logica dell’integrazione tra ospedale e territorio e sulla differenziazione dei livelli di complessità, è evidente come la dimensione digitale possa rappresentare un potente acceleratore della prossimità assistenziale. Proprio per questo, all’interno delle strategie delineate dal PNRR, la telemedicina, e in particolare il teleconsulto specialistico, rappresentano uno strumento in grado di amplificare la capacità degli spoke territoriali di gestire autonomamente situazioni cliniche che altrimenti richiederebbero il trasferimento del paziente verso gli hub centralizzati.

Diversamente dalla televisita, che coinvolge direttamente il paziente, il teleconsulto mette infatti in rete i professionisti, consentendo una condivisione rapida delle competenze tra operatori ospedalieri e territoriali, ad esempio tra uno specialista di un centro hub e un medico di un ambulatorio periferico. Questo meccanismo ha perciò il potenziale di ridurre significativamente i trasferimenti fisici dei pazienti verso le strutture centrali, permettendo di risolvere a distanza casi clinici di media complessità e di garantire comunque un elevato livello di appropriatezza. In questo senso, il teleconsulto si configura come uno strumento che può realmente fare la differenza, non solo per promuovere la gestione territoriale di un maggior numero di pazienti, favorendo l’accesso alla prestazione e abbattendo le barriere geografiche, ma anche per ridurre il ricorso inappropriato agli ospedali e garantire una presa in carico più tempestiva e continuativa.

Tutto ciò può realmente costituire una rivoluzione positiva nel sistema sanitario italiano, se si pensa che oltre il 48% dei comuni italiani è ad oggi classificato come area73, e che oltre 4 milioni di persone faticano ad accedere a servizi sanitari di prossimità74. Nello specifico, il potenziamento del teleconsulto appare particolarmente utile in un sistema come quello lombardo, dove molte ASST si estendono su territori vasti e morfologicamente complessi, e dove le difficoltà di accesso, la carenza di personale e le liste d’attesa mettono a dura prova la capacità del sistema di rispondere in modo equo e tempestivo ai

bisogni di salute. Il teleconsulto permette così di superare queste criticità, rendendo possibile una presa in carico condivisa e multidisciplinare, anche a distanza, e contribuendo concretamente a decongestionare l’ospedale, sia in termini di visite specialistiche che di accessi impropri.

Verso un’ambulatorializzazione delle prestazioni per decongestionare la sala operatoria

Oltre gli strumenti digitali, anche la revisione dell’organizzazione fisica delle prestazioni rappresenta un tassello decisivo per alleggerire il carico ospedaliero e uno degli ambiti più importanti in tal senso, su cui il modello delle ASST può efficacemente intervenire, riguarda la sala chirurgica. La crescente pressione sulle sale operatorie, dovuta all’aumento della domanda, spesso legata a un invecchiamento demografico e a un incremento delle patologie croniche, nonché alla necessità di ottimizzare risorse umane, tecnologiche ed economiche, impone infatti un ripensamento radicale dei modelli organizzativi. In questo contesto, la spinta verso una sempre maggiore ambulatorializzazione delle prestazioni consentirà di spostare dal setting ospedaliero tradizionale al contesto territoriale tutti quegli interventi e quelle procedure diagnostico-terapeutiche a bassa complessità e breve durata, mantenendo inalterati gli standard di sicurezza e qualità.

Questa transizione comporta vantaggi rilevanti che vedono in primo luogo, una riduzione del sovraccarico sulle sale operatorie ospedaliere, liberando spazi, personale e tecnologie per i pazienti che necessitano davvero di un setting ad alta intensità. In secondo luogo, permette di accorciare i tempi di attesa per le prestazioni chirurgiche, migliorando l’accessibilità e la tempestività delle cure, due aspetti oggi fortemente compromessi dalle liste d’attesa. A ciò si aggiunge il beneficio di un’assistenza più prossima al domicilio del paziente: un intervento ambulatoriale evita spesso il ricovero, riduce lo stress legato all’ospedalizzazione e facilita un recupero più rapido, con un impatto positivo sulla continuità assistenziale. Anche sotto il profilo economico, l’ambulatorializzazione si dimostra vantaggiosa. Le procedure eseguite in ambito ambulatoriale comportano costi sensibilmente inferiori rispetto a quelle in regime ordinario, non solo per la minore intensità di risorse impiegate, ma anche per la riduzione dei giorni di degenza e delle complicanze correlate.

73 Quotidiano sanità. “Aree interne. Da Federsanità al via in Sardegna primo laboratorio territoriale sulle cure primarie”. Pubblicato il 20 ottobre 2023

74 SIMG. “Aree interne, 4 milioni di persone in Italia sono senza una sanità di prossimità”. Pubblicato il 26 Febbraio 2025

È importante sottolineare, tuttavia, che il passaggio all’ambulatorio non può essere inteso come una semplice delocalizzazione degli interventi, bensì richiede, al contrario, una profonda trasformazione organizzativa badata su protocolli condivisi, criteri di selezione dei pazienti, personale adeguatamente formato e una revisione del sistema di remunerazione delle prestazioni, affinché le attività svolte in regime ambulatoriale vengano valorizzate in modo proporzionato al loro impatto clinico e gestionale.

Un cambio di setting per l’isteroscopia in risposta alle sfide dell’accesso e della sostenibilità

Tra le prestazioni maggiormente penalizzate da modelli organizzativi rigidi e centralizzati, l’isteroscopia rappresenta un esempio emblematico: questa procedura, fondamentale nella diagnosi e nel trattamento di patologie ginecologiche, è ancora oggi erogata prevalentemente in ambito ospedaliero, con tempi di attesa spesso incompatibili con le necessità cliniche delle pazienti, che determinano ritardi nella diagnosi di patologie che vanno da quelle benigne a quelle maligne, con impatti significativi sulla qualità della vita, sulla fertilità e sui costi sanitari e sociali

Il percorso che conduce una paziente all’esecuzione dell’isteroscopia è tutt’altro che lineare. Le barriere sistemiche che si frappongono lungo la strada sono molteplici e intrecciate tra loro e vedono in particolare sul piano logistico, la distribuzione disomogenea dei centri specialistici come una delle prime criticità: molte donne, specie nelle aree periferiche o rurali, si trovano infatti a dover affrontare lunghi spostamenti per accedere alla prestazione, spesso rinviando o rinunciando al trattamento. A queste difficoltà si aggiungono ostacoli organizzativi legati a modelli di erogazione ancora troppo ospedalocentrici, e che determinano percorsi spesso frammentati, privi di integrazione tra medicina generale e specialistica, con sistemi di prenotazione lenti, rigidi e scarsamente informatizzati. Il risultato è un rallentamento del corretto indirizzamento delle pazienti e un sovraccarico degli ospedali, costretti a gestire anche casi a bassa complessità che potrebbero essere demandati al setting ambulatoriale, o casi mediamente complessi per i quali l’impiego di strumenti come il teleconsulto specialistico potrebbe facilitare l’accesso alla prestazione a livello territoriale.

Dal punto di vista economico, l’esecuzione dell’isteroscopia in ambiente ospedaliero comporta poi dei costi diretti e indiretti rilevanti: giornate lavorative perse, necessità di ricovero, uso di sale operatorie, anestesie generali e, talvolta, complicanze post-operatorie evitabili. Inoltre, la scarsa informazione o l’accesso ad informazioni fuorvianti reperite autonomamente75, unite alla mancanza di una comunicazione efficace tra operatori e pazienti alimentano ansia, pregiudizi e disinformazione, ad esempio riguardo al dolore atteso nella procedura, contribuendo a un clima di sfiducia e rinvio della prestazione. E ritardare un’isteroscopia è una condizione che può avere importanti ripercussioni cliniche, psicologiche, sociali ed economiche: la mancata tempestività nella diagnosi e nel trattamento di patologie uterine, anche benigne, può comportare infatti un aggravamento del quadro clinico, una maggiore invasività degli interventi successivi e, nei casi oncologici, una compromissione seria della prognosi. Anche la qualità della vita delle pazienti può risentire direttamente di questi ritardi, con condizioni come dolore cronico, sanguinamenti anomali, disagio emotivo e preoccupazioni per la propria salute ad ostacolare la partecipazione alla vita lavorativa e sociale e alimentare un senso di abbandono. Anche nei percorsi di procreazione assistita, la mancata identificazione precoce di anomalie uterine può ridurre le probabilità di successo, con costi aggiuntivi, sia emotivi che materiali, per le coppie coinvolte. Infine, dal punto di vista economico un accesso inefficiente alla diagnosi si traduce in un aumento dei ricoveri impropri, in un impiego eccessivo di risorse ospedaliere e in un incremento della spesa sanitaria pubblica e privata.

In questo scenario, lo spostamento del setting dell’isteroscopia verso l’ambulatorio si configura come una risposta razionale che permette di coniugare efficacia clinica, sostenibilità economica e centralità della persona. L’evoluzione tecnologica, con l’introduzione di isteroscopi miniaturizzati e tecniche come la vaginoscopia “no touch”, ha reso infatti possibile eseguire l’esame in ambienti ambulatoriali senza anestesia, riducendo drasticamente tempi, costi e complicanze per il paziente.

I dati sono eloquenti: l’approccio ambulatoriale riduce i tempi di attesa fino al 60%, abbatte i costi diretti del 70%, e il nuovo modello “see and treat”, che consente diagnosi

75 Santoro, A. (s.d.). L’isteroscopia nel percorso diagnostico della coppia infertile: tra falsi miti e realtà (Tesi di dottorato, Università degli Studi di Sassari). Università degli Studi di

Sassari.

e trattamento in un’unica seduta, evita fino al 57,7% dei ricorsi ad ulteriori procedure in sala operatoria, nonché una riduzione delle giornate lavorative perse rispetto al setting ospedaliero76,77,78,79 Tutto ciò migliora significativamente l’accesso alla prestazione, l’esperienza del paziente (minore stress e disconfort), ma anche la qualità della diagnosi, che beneficia di un ambiente ambulatoriale in cui la visualizzazione diretta dell’endometrio consente biopsie efficaci, riducendo il rischio di falsi negativi rispetto all’ecografia transvaginale1

Il caso dell’isteroscopia ambulatoriale si inserisce dunque in un processo di ripensamento più ampio dei modelli organizzativi e formativi della sanità territoriale. L’introduzione di programmi formativi certificati, rappresenta un ulteriore tassello verso la standardizzazione della qualità, la riduzione delle complicanze e l’empowerment degli operatori sanitari. Garantire che i professionisti coinvolti nell’isteroscopia ambulatoriale abbiano accesso a percorsi di aggiornamento strutturati significa infatti consolidare una cultura della sicurezza e della qualità, indispensabile per una transizione efficace verso modelli assistenziali territoriali. Parallelamente, le prospettive aperte dall’uso dell’intelligenza artificiale per l’analisi delle immagini endoscopiche promettono di rafforzare ulteriormente l’accuratezza diagnostica, ridurre il margine di errore umano e ottimizzare i tempi di interpretazione e in un contesto in cui le risorse sono limitate e la domanda è crescente, strumenti di supporto decisionale basati sull’IA possono diventare alleati preziosi per il clinico, soprattutto nei contesti più periferici.

Inoltre, lo sviluppo di ambulatori mobili o temporanei, soprattutto nelle aree interne e in quelle a maggiore dispersione geografica, rappresenta un’opportunità concreta per superare le barriere geografiche e sociali all’accesso. Questi presidi, se integrati con sistemi informativi regionali e reti cliniche consolidate, possono garantire prossimità, continuità e tempestività, rafforzando il principio di equità nell’erogazione delle cure che guida l’idea di Patient Access alla base di questo report.

Con il potenziamento dell’isteroscopia ambulatoriale è dunque possibile un cambiamento di paradigma che sposta il baricentro dell’assistenza dalle strutture centrali al territorio, dalla prestazione isolata al percorso inte-

grato, dalla centralità dell’atto medico a quella della persona assistita e che, in questo senso, incarna un modello di sanità più sostenibile, più flessibile e più vicino ai bisogni reali della salute delle donne. Perché questa trasformazione si realizzi su larga scala, occorre tuttavia un impegno sistemico, con investimenti in infrastrutture dedicate e interoperabili, un’adeguata pianificazione formativa per tutti i livelli professionali coinvolti, l’adozione di piattaforme digitali condivise e accessibili, nonché una comunicazione efficace verso le comunità e i professionisti.

Questioni aperte per nuovo paradigma di cura Molte sono le questioni ancora aperte che necessitano di essere prese in considerazione a livello istituzionale per garantire l’effettiva implementazione dell’isteroscopia in un contesto territoriale. Una delle principali sfide riguarda la sostenibilità economica e la rimborsabilità della procedura. In molte regioni, come la Lombardia, gli ospedali faticano a orientarsi rispetto alle modalità con cui integrare tale attività nei percorsi organizzativi e amministrativi esistenti. I limiti del sistema attuale di rimborso tramite DRG, spesso ancorato a codici obsoleti e non rappresentativi della mini-invasività delle pratiche, rendono difficile valorizzare correttamente la procedura. È dunque urgente un aggiornamento del sistema tariffario che rifletta le reali caratteristiche cliniche e tecnologiche dell’isteroscopia ambulatoriale, favorendo anche un utilizzo più efficiente dei fondi pubblici. Collegata a questo nodo è poi la questione della dotazione tecnologica. La transizione verso l’ambulatorio richiede l’acquisizione di strumentazione di ultima generazione, spesso costosa che comportano un elevato investimento iniziale e costituire così un ostacolo per molte strutture, soprattutto se non adeguatamente sostenuto da misure di finanziamento o da modelli di acquisto e manutenzione sostenibili nel tempo.

Andando avanti, un altro punto critico è l’organizzazione logistica e funzionale dei servizi, per cui molti ospedali non dispongono di spazi ambulatoriali accreditati per la pratica operativa dell’isteroscopia, né sanno come gestire il passaggio dall’ospedale al territorio in termini di flussi, personale e sicurezza. Serve quindi un’azione di “accompagnamento” che, attraverso linee guida chiare e

76 Moawad NS, Santamaria E, Johnson M, Shuster J. Cost-effectiveness of office hysteroscopy for abnormal uterine bleeding. JSLS. 2014 Jul-Sep;18(3):e2014.00393.

77 Wygant JN, Laughlin-Tommaso SK, Green IC, Price KR, Burnett TL, Hopkins MR, Famuyide AO, Breitkopf DM. Improving patient access through office hysteroscopy clinic redesign. J Am Assoc Nurse Pract. 2020 Apr;32(4):316-322

78 Bennett A, Lepage C, Thavorn K, Fergusson D, Murnaghan O, Coyle D, Singh SS. Effectiveness of Outpatient Versus Operating Room Hysteroscopy for the Diagnosis and Treatment of Uterine Conditions: A Systematic Review and Meta-Analysis. J Obstet Gynaecol Can. 2019 Jul;41(7):930-941.

79 Società Italiana di Endoscopia Ginecologica. Linee guida per l’isteroscopia ambulatoriale. Disponibile al: https://www.segi.it/. Ultimo accesso 04/06/2025

strumenti operativi, supporti le strutture nella riorganizzazione dei propri servizi e nella creazione di ambienti adatti. In parallelo, emerge la necessità di rafforzare le competenze professionali e il know-how scientifico degli operatori sanitari: il successo dell’isteroscopia ambulatoriale non dipende infatti solo dalla disponibilità di strumenti avanzati, ma anche dalla capacità del personale di gestire in modo appropriato l’intero percorso, inclusa la selezione delle pazienti, l’esecuzione della procedura e la comunicazione dei risultati e ciò implica una strategia formativa capillare, continua e multidisciplinare.

Affinché non solo l’isteroscopia, ma anche molte altre prestazioni diventino parte integrante dei percorsi territoriali, serve tuttavia una visione condivisa e partecipata tra professionisti sanitari, amministratori, decisori politici, ma anche rappresentanti dei pazienti, uniti in un dialogo istituzionale di alto livello che potrà portare alla definizione di soluzioni specifiche e realistiche per i diversi contesti regionali.

La leva finanziaria del PNRR rappresenta dunque in questo scenario un’occasione irripetibile per trasformare le potenzialità già presenti in realtà operative, consolidando una rete assistenziale capace di integrare prossimità, tecnologica e continuità delle cure. In un tempo in

cui la medicina è chiamata a rispondere non solo alla malattia, ma anche alla crescente complessità sociale, organizzativa e demografica dei bisogni di salute, ripensare ai setting di cura significa affrontare in modo strutturale e diretto le sfide della sanità contemporanea, come la carenza di personale, le disuguaglianze territoriali, le liste d’attesa, la frammentazione dei servizi e l’urgenza di modelli sostenibili. L’innovazione, in questo contesto, non può essere fine a sé stessa, ma deve essere accompagnata da semplificazione organizzativa, da modelli integrati come quelli Hub&Spoke, da strumenti come il teleconsulto che rafforzano l’interazione ospedale-territorio, e da un’ambulatorializzazione intelligente delle prestazioni che alleggerisca gli ospedali senza compromettere la qualità delle cure. È proprio da questo intreccio virtuoso tra prossimità, formazione, governance e sostenibilità che può nascere una nuova cultura dell’assistenza, capace di valorizzare la competenza distribuita e di semplificare i percorsi di cura.

5.4. COMPORTAMENTI DI SALUTE & CONSAPEVOLEZZA

RILEVARE PERCEZIONE, IDENTITÀ E REPUTAZIONE DEGLI OPERATORI SANITARI

COME STRUMENTI STRATEGICI PER IL PATIENT ACCESS IN ITALIA (PIR)

a cura di Lucio Corsaro

PERCHÉ RILEVARE PERCEZIONE, IDENTITÀ E REPUTAZIONE È CRUCIALE PER IL PATIENT ACCESS

Nel contesto attuale della sanità pubblica italiana, affrontare le sfide dell’accessibilità ai servizi non può prescindere da una comprensione approfondita di tre dimensioni fondamentali: la percezione, l’identità e la reputazione delle figure sanitarie. Queste tre componenti costituiscono l’architettura invisibile che regola il rapporto tra il cittadino e il sistema sanitario, influenzando comportamenti, fiducia, adesione ai percorsi terapeutici e l’effettiva capacità del sistema di rispondere ai bisogni della popolazione.

Percezione, identità e reputazione non sono concetti astratti o relegabili alla sfera della comunicazione; al contrario, rappresentano determinanti strutturali del comportamento sanitario. La percezione, intesa come modalità dinamica con cui un individuo interpreta e valuta un servizio o un professionista, è il punto d’ingresso attraverso cui si forma la fiducia e, di conseguenza, l’accesso. L’identità di un operatore o di un’istituzione sanitaria – cioè, il suo modo di rappresentarsi, i valori che trasmette, la cultura organizzativa che incarna – orienta la capacità dei pazienti di riconoscersi e immedesimarsi. La reputazione, infine, costituisce la sintesi complessa, accumulata nel tempo, dell’esperienza diretta e indiretta vissuta dagli utenti e influenzata da contesti sociali, comunicativi e istituzionali.

L’Osservatorio Scenario Salute BHAVE, attraverso una vasta indagine condotta su oltre 7.600 cittadini italiani, fornisce un quadro dettagliato e innovativo su questi aspetti, misurando in modo sistematico la percezione, il grado di identificazione e la reputazione attribuita alle tre principali figure sanitarie del territorio: il medico di medicina generale (MMG), il farmacista e il pediatra. I risultati, contenuti nel progetto PIR (Percezione, Identità, Reputazione), evidenziano che l’immagine professionale e relazionale degli operatori sanitari ha un impatto diretto sulla disponibilità del cittadino a fidarsi, a comunicare, ad aderire alle raccomandazioni e a frequentare attivamente i servizi.

In questo quadro, il patient access non può più essere

inteso solo in termini logistici o infrastrutturali. Esso deve comprendere anche le barriere psicologiche, culturali e relazionali che derivano dalla (in)soddisfazione nei confronti del personale sanitario. Le istituzioni e le società scientifiche, pertanto, devono adottare un nuovo approccio basato sull’ascolto strutturato dei cittadini, sull’analisi continua delle dinamiche percettive e sulla costruzione di identità professionali capaci di generare fiducia duratura.

DEFINIZIONI OPERATIVE: COSTRUIRE UNA SEMANTICA CONDIVISA

Per affrontare con rigore metodologico la questione, è necessario definire con precisione i tre concetti cardine della ricerca.

Percezione è il modo in cui un soggetto (persona o istituzione) viene visto dagli stakeholder. Essa è influenzata da esperienze dirette, comunicazione aziendale, opinioni di terzi ed è soggetta a cambiamento. In ambito sanitario, la percezione si traduce nel giudizio soggettivo del paziente circa la competenza, la disponibilità, l’empatia o l’efficacia dell’operatore.

Identità è l’insieme dei tratti comunicativi, visivi, valoriali e culturali che un operatore sanitario esprime. Include elementi espliciti (abiti, linguaggio, comportamenti) e impliciti (missione percepita, ethos professionale). L’identità ha un ruolo fondamentale nel facilitare l’immedesimazione del paziente e nell’attivare meccanismi di alleanza terapeutica.

Reputazione è il giudizio complessivo maturato nel tempo da parte degli stakeholder. Essa si costruisce lentamente e può essere danneggiata rapidamente. Comprende fiducia, credibilità, coerenza ed etica, e rappresenta una risorsa immateriale ad alto impatto sulla sostenibilità relazionale delle cure.

Nel loro insieme, questi tre assi concettuali – percezione, identità, reputazione – costituiscono l’ossatura del cosiddetto “indice PIR”, un indicatore che può essere assunto dalle istituzioni per monitorare in modo integrato e dinamico la qualità relazionale del sistema sanitario.

ANALISI DEI RISULTATI: MMG, FARMACISTA, PEDIATRA – LA REPUTAZIONE COME LEVA PER IL PATIENT ACCESS

Medico di Medicina Generale (MMG): tra fiducia consolidata e nuove aspettative I medici di medicina generale continuano a occupare un ruolo centrale nell’immaginario sanitario dei cittadini italiani. Dai dati raccolti dall’Osservatorio Scenario Salute BHAVE emerge che la percezione complessiva delle competenze cliniche del MMG si attesta su valori medi elevati (tra 3,9 e 4,0 su una scala da 1 a 5), in particolare per quanto riguarda la disponibilità e tempestività, l’empatia e l’ascolto, la capacità di coordinamento e l’aggiornamento professionale. Tuttavia, proprio le dimensioni più “umane” – come empatia e capacità di creare un ambiente confortevole – rappresentano un differenziale strategico: il loro rafforzamento è direttamente collegato a una maggiore sensazione di supporto e coinvolgimento da parte del paziente. Il grado di identificazione (cioè, l’immedesimazione) è significativo, ma non uniforme: i dati mostrano che la percezione positiva si distribuisce in modo diverso secondo età, livello di istruzione e contesto familiare. Ad esempio, le donne e le persone con livelli di istruzione più elevati tendono a esprimere aspettative più articolate e valutazioni più critiche sulla capacità del MMG di gestire la burocrazia e coordinarsi con altri specialisti. Inoltre, la reputazione percepita risulta fortemente correlata con l’esperienza diretta (numero di visite, comunicazioni telefoniche/online) e con l’uso di canali alternativi (come la ricerca di informazioni sanitarie online).

Tali evidenze suggeriscono che il MMG è visto ancora come figura di riferimento, ma necessita di un supporto sistemico per rispondere efficacemente a un contesto in rapido cambiamento. Non è sufficiente essere presenti: è necessario essere percepiti come aggiornati, traspa-

renti, competenti e capaci di mediare la complessità delle cure.

Farmacista: una figura vicina ma sottoutilizzata

La figura del farmacista presenta un profilo molto interessante, caratterizzato da un’elevata prossimità percepita e da una reputazione tendenzialmente positiva ma meno definita rispetto a quella del medico. Gli intervistati attribuiscono valori di competenza tra il 3,9 e il 4,1 nelle attività legate alla consulenza su farmaci da banco, gestione delle prescrizioni, informazione sui farmaci ed effetti collaterali, e rispetto della privacy.

L’elemento distintivo del farmacista risiede nella sua accessibilità quotidiana e nella disponibilità all’ascolto. Tuttavia, il grado di coinvolgimento percepito è moderato: i cittadini non lo vedono ancora come parte integrante del team di cura, ma come un supporto laterale, spesso utilizzato per consigli rapidi o chiarimenti sulle terapie. Questo rappresenta un limite ma anche un’opportunità strategica.

L’identità professionale del farmacista – dal punto di vista valoriale – appare in parte indefinita agli occhi dei pazienti. Per trasformarlo in una figura realmente co-protagonista del patient journey, è necessario rafforzarne l’identità comunicativa e valorizzare la sua funzione consulenziale non solo sul piano del farmaco, ma della promozione della salute. I dati mostrano, ad esempio, che vi è disponibilità da parte dei cittadini ad affidarsi maggiormente al farmacista per consigli sul benessere e sulla prevenzione, se questa relazione viene formalmente riconosciuta dal sistema sanitario.

Pediatra: fiducia elevata, ma reputazione da coltivare Il pediatra è, tra le tre figure, quella con il giudizio complessivo più polarizzato. Le famiglie che hanno rapporti continuativi con questa figura sanitaria esprimono valori molto alti di reputabilità e competenza (fino a 4,6 in alcune voci), soprattutto per quanto riguarda la capacità di ascolto, l’empatia e l’attenzione all’ambiente. Tuttavia, emerge anche una certa fragilità nella coerenza percepita dell’aggiornamento professionale e nella capacità di coordinarsi con altri attori del sistema.

Il rapporto fiduciario con il pediatra è fortemente influenzato dal contesto domestico e dalla sensibilità genitoriale. Le famiglie con figli piccoli tendono a sviluppare una forte immedesimazione con la figura del pediatra, che diventa un punto di riferimento educativo oltre che medico. Tuttavia, le aspettative verso di lui aumentano di pari passo con la complessità dei bisogni: i genitori desiderano operatori empatici, ma anche aggiornati e capaci di indicare percorsi integrati, soprattutto per

bambini con patologie croniche o bisogni educativi speciali.

Il rafforzamento dell’identità professionale del pediatra – come figura che sa unire competenza clinica e sensibi-

lità relazionale – è essenziale per evitare che la fiducia si trasformi in dipendenza e, paradossalmente, in frustrazione nel momento in cui si percepisce un “limite” nella gestione della complessità.

UNA GOVERNANCE DELLA REPUTAZIONE: IL PIR

COME STRUMENTO STRATEGICO PER LE POLITICHE

SANITARIE

Il progetto PIR rappresenta un unicum nel panorama italiano, offrendo un set di dati sistematizzati e aggiornati per la valutazione della percezione, identità e reputazione delle figure sanitarie territoriali. L’approccio adottato – che integra dimensioni qualitative e quantitative, utilizzando una scala continua da 1 a 5 – consente di costruire veri e propri indicatori dinamici utili alla governance.

La possibilità di associare i dati percettivi con variabili socio-demografiche (età, sesso, istruzione, stato sociale), cliniche (presenza di patologie, stato di salute auto-percepito, uso dei servizi), comportamentali (ricerche online, uso del pronto soccorso, comunicazione digitale con il MMG) e valoriali (attività fisica, importanza attribuita alla prevenzione) consente alle istituzioni di elaborare strategie personalizzate di engagement.

La raccolta strutturata e continuativa di questi dati permette inoltre di identificare:

• ambiti prioritari di formazione continua;

• segmenti di popolazione a rischio di disaffezione o marginalizzazione;

• territori in cui la fiducia nel sistema è bassa e va ricostruita;

• gap tra reputazione desiderata e reputazione effettiva

RACCOMANDAZIONI OPERATIVE: POLITICHE E INTERVENTI PER POTENZIARE L’ACCESSO ALLE CURE ATTRAVERSO PIR

L’analisi dei dati raccolti dall’Osservatorio Scenario Salute BHAVE nel progetto PIR evidenzia con chiarezza che il miglioramento dell’accessibilità ai servizi sanitari in Italia non può essere realizzato solo attraverso investimenti strutturali o logistici. È necessario adottare un approccio più ampio, capace di intervenire sulle dimensioni immateriali del sistema – percezione, identità, reputazione –che condizionano profondamente il comportamento dei pazienti e la loro disponibilità ad accedere, fidarsi, aderire.

Le seguenti raccomandazioni sono orientate a un utilizzo strategico dei dati PIR nelle politiche sanitarie e nei programmi di formazione e qualità professionale.

Sviluppare sistemi permanenti di monitoraggio del PIR nei servizi territoriali

L’adozione sistematica di indicatori di percezione, identità e reputazione deve diventare parte integrante della valutazione della performance dei servizi sanitari, in particolare nel livello territoriale. Le Aziende Sanitarie Locali, le Regioni e le società scientifiche dovrebbero integrare strumenti di raccolta PIR nei programmi di audit e accreditamento, così da misurare non solo l’efficienza tecnica, ma anche la qualità relazionale percepita dai cittadini. Ciò richiede investimenti in:

• strumenti digitali di indagine rapida (CAWI, app, interfacce utente);

• formazione del personale all’uso dei dati percettivi;

• cruscotti interattivi accessibili ai professionisti per visualizzare in tempo reale i feedback ricevuti

Un sistema di reputazione territoriale trasparente e aggiornato, ispirato a modelli già in uso nel mondo anglosassone, può aiutare i cittadini a orientarsi nei servizi e stimolare i professionisti a migliorare l’efficacia comunicativa e relazionale.

Costruire identità professionali riconoscibili e coerenti per MMG, farmacisti e pediatri

I dati dimostrano che l’identità delle figure sanitarie è spesso percepita in modo parziale o contraddittorio. Per esempio, il farmacista viene visto come disponibile ma non sempre coinvolgente; il MMG come competente ma sovraccarico; il pediatra come empatico ma poco aggiornato in alcune aree.

Per affrontare questo disallineamento, le istituzioni devono promuovere percorsi di narrazione professionale condivisa, in cui MMG, farmacisti e pediatri possano:

• riflettere pubblicamente sulla loro missione e valori;

• sviluppare una comunicazione coordinata e coerente con quella istituzionale;

• costruire forme di “alleanza simbolica” con il cittadino basate su trasparenza e prossimità

Le campagne istituzionali e le piattaforme informative dovrebbero restituire al cittadino un’immagine unitaria e riconoscibile delle figure sanitarie, valorizzandone non solo il ruolo tecnico ma anche quello culturale e relazionale.

Investire nella reputazione come capitale sociale del sistema sanitario

La reputazione non è un orpello comunicativo, ma un ca-

pitale simbolico che influenza concretamente i comportamenti sanitari. Dove la reputazione degli operatori è solida, i cittadini si fidano, aderiscono ai trattamenti, comunicano precocemente i problemi di salute. Dove la reputazione è bassa, anche i servizi di qualità risultano sottoutilizzati o percepiti con sospetto.

Per questo motivo, le istituzioni dovrebbero:

• trattare la reputazione come una risorsa strategica di sistema;

• difenderla pubblicamente in modo tempestivo in caso di attacchi o disinformazione;

• legarla a obiettivi espliciti nei piani sanitari regionali

Le società scientifiche, dal canto loro, dovrebbero includere moduli dedicati alla costruzione della reputazione nei percorsi ECM e nella formazione dei giovani professionisti, inserendo competenze in comunicazione pubblica, gestione della fiducia e media literacy sanitaria.

Riqualificare l’accesso attraverso la relazione Il patient access non è solo l’atto di entrare in un servizio, ma anche l’esperienza di sentirsi accolti, ascoltati, valorizzati. In questo senso, la relazione operatore-paziente è il vero portale di accesso. Le tre figure analizzate dal PIR – MMG, farmacista e pediatra – hanno in comune un elemento chiave: l’elevato potenziale relazionale. Per attivare pienamente questo potenziale, si suggerisce di:

• riconoscere nei contratti collettivi e nei modelli organizzativi il tempo relazionale come parte integrante della prestazione;

• promuovere pratiche di ascolto attivo e comunicazione empatica;

• creare ambienti fisici e digitali che favoriscano il dialogo, riducendo la distanza simbolica tra operatore e paziente

Le strutture sanitarie dovrebbero essere valutate non solo per la puntualità delle prestazioni, ma per la loro capacità di generare esperienze di fiducia, dignità e coinvolgimento.

Valorizzare i dati del PIR nella programmazione della salute pubblica in ottica patient access

Le evidenze emerse dall’Osservatorio BHAVE permettono di costruire mappe dettagliate delle dinamiche percettive nelle diverse aree geografiche e nei diversi segmenti di popolazione. Questo patrimonio di dati va utilizzato atti-

vamente per:

• tarare le campagne di comunicazione sanitaria sulle reali percezioni del pubblico;

• identificare i profili più vulnerabili in termini di fiducia e accesso (es. giovani adulti, popolazioni periferiche, cittadini con bassa scolarizzazione);

• progettare interventi localizzati di rafforzamento della presenza e della reputazione degli operatori sanitari sul territorio

Il progetto PIR rappresenta un passo decisivo verso una sanità italiana capace di mettere la relazione al centro dell’accesso. I dati raccolti testimoniano che i cittadini italiani non giudicano solo la qualità tecnica delle prestazioni, ma anche – e soprattutto – la qualità simbolica, emotiva e comunicativa del rapporto con i professionisti sanitari.

Per questo, il potenziamento del patient access deve includere politiche che promuovano un nuovo patto fiduciario tra cittadino e sistema sanitario, basato sulla valorizzazione della reputazione, sull’immedesimazione con l’identità professionale e sulla percezione costante di un servizio umano, competente e presente.

Le istituzioni sanitarie e le società scientifiche sono chiamate a guidare questa transizione culturale, dotandosi degli strumenti di analisi e delle politiche che rendano la percezione non solo un dato da misurare, ma una leva per progettare, decidere e migliorare il sistema nel suo insieme.

5.5 DIRITTI DEI PAZIENTI E ADVOCACY

• IL CASO DEI DIRITTI DELLE PERSONE

CON ALLERGIE

a cura di Alessandro Di Menno Di Bucchianico, Alessandro Rossi, Lorenzo Cecchi, Lucio Corsaro, Mario Di Gioacchino, Mario Picozza, Sabrina De Federicis,Sandra Frateiacci, Sergio Bonini, Simona Barbaglia, Tiziana Nicoletti

Le malattie allergiche rappresentano oggi un fenomeno in costante crescita a livello globale, con un impatto significativo sulla qualità di vita di milioni di persone. In Italia, si stima che circa il 20-30% della popolazione soffra di una qualche forma di allergia, con un trend in aumento soprattutto nelle aree urbane e tra i più giovani. Nonostante la loro diffusione e il loro impatto sulla salute pubblica, le allergie sono spesso considerate patologie di secondaria importanza, “fastidi stagionali” piuttosto che vere e proprie condizioni mediche che richiedono attenzione e risorse adeguate.

In questo contesto, diventa essenziale l’attività di advocacy portata avanti dalle associazioni di pazienti, veri e propri catalizzatori di cambiamento nel panorama sanitario. Queste realtà rappresentano un ponte fondamentale tra i pazienti, le istituzioni sanitarie, i decisori politici e l’opinione pubblica, promuovendo la conoscenza delle patologie allergiche e difendendo i diritti delle persone che ne sono affette.

Il presente articolo si propone di esplorare approfonditamente il tema dell’advocacy nel contesto delle malattie allergiche, analizzando il ruolo cruciale svolto dalle associazioni di pazienti e dalle organizzazioni civiche gli strumenti che queste hanno a disposizione per dare voce ai bisogni dei pazienti. Particolare attenzione sarà dedicata alle carte dei diritti, strumenti fondamentali nel percorso di riconoscimento e tutela dei Diritti dei cittadini e pazienti, con un focus specifico sulla recente Carta dei diritti delle persone con allergie, un documento innovativo che segna un punto di svolta nell’approccio a queste patologie.

Attraverso l’analisi di questo caso specifico, emergerà come l’advocacy possa effettivamente contribuire a migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria, promuovere politiche più inclusive e sensibilizzare l’opinione pubblica, trasformando la percezione sociale delle malattie allergiche e migliorando concretamente la vita di chi ne soffre.

L’ADVOCACY NEL CONTESTO SANITARIO:DEFINIZIONE E IMPORTANZA

Cos’è l’advocacy e perché è fondamentale in ambito sanitario

L’advocacy, termine di origine anglosassone, indica l’insieme delle azioni finalizzate a influenzare le decisioni politiche, economiche e sociali che hanno un impatto sulla vita delle persone. Nel contesto sanitario, l’advocacy assume un significato particolarmente rilevante: rappresenta il processo attraverso il quale singoli individui, gruppi o organizzazioni si impegnano attivamente per migliorare le politiche sanitarie, promuovere i diritti dei pazienti e garantire un accesso equo alle cure.

L’etimologia stessa del termine, derivante dal latino “advocare” (chiamare in aiuto), richiama l’idea di dar voce a chi non ne ha, di farsi portavoce dei bisogni e delle istanze di chi si trova in una posizione di fragilità. L’advocacy sanitaria, dunque, non è semplicemente un’attività di lobbying o di pressione politica, ma un processo complesso che coinvolge aspetti educativi, comunicativi, politici e sociali, con l’obiettivo ultimo di promuovere il benessere e la salute dei cittadini.

In un sistema sanitario sempre più complesso e in continua evoluzione, caratterizzato da risorse limitate e priorità contrastanti, l’advocacy diventa uno strumento essenziale per garantire che le esigenze dei pazienti non vengano trascurate a favore di logiche puramente economiche o burocratiche. Essa rappresenta un contrappeso necessario, capace di riportare al centro del dibattito sanitario la persona con i suoi bisogni, le sue aspettative e i suoi diritti fondamentali.

L’advocacy in ambito sanitario riveste un ruolo cruciale per diversi motivi:

• Superamento delle disuguaglianze: contribuisce a ridurre le disparità nell’accesso alle cure e nella qualità dell’assistenza, dando voce a gruppi spesso marginalizzati o le cui esigenze specifiche rischiano di essere ignorate.

• Empowerment dei pazienti e delle comunità: rafforza la capacità delle persone di comprendere e far valere i propri diritti, rendendoli protagonisti attivi del proprio percorso di cura piuttosto che

semplici destinatari passivi di decisioni prese da altri.

• Miglioramento delle politiche sanitarie: influenza lo sviluppo di politiche più inclusive, efficaci e centrate sui reali bisogni di salute delle persone, promuovendo un approccio basato su evidenze scientifiche e sull’ascolto delle esperienze dirette.

• Innovazione: stimola l’innovazione nei modelli di cura e nell’organizzazione dei servizi sanitari, portando alla luce criticità e proponendo soluzioni innovative.

• Sensibilizzazione dell’opinione pubblica: contribuisce a modificare la percezione sociale di determinate patologie, riducendo lo stigma e promuovendo una maggiore consapevolezza collettiva.

Nel caso specifico delle malattie allergiche, l’advocacy assume un’importanza particolare proprio perché queste patologie sono spesso sottovalutate, considerate erroneamente come disturbi minori o temporanei. In realtà, le allergie possono avere un impatto devastante sulla qualità della vita di chi ne soffre, limitando significativamente le attività quotidiane, la vita sociale e lavorativa, e comportando, nei casi più gravi, rischi concreti per la vita stessa. L’advocacy diventa quindi lo strumento attraverso il quale dare visibilità a questa realtà, promuovendo un riconoscimento adeguato delle allergie come patologie serie che richiedono attenzione, risorse e politiche sanitarie specifiche.

Evoluzione storica dell’advocacy nel campo della salute

L’advocacy nel campo della salute ha radici profonde che affondano nella storia della medicina e dei diritti civili. Tuttavia, è soprattutto negli ultimi decenni che questo fenomeno ha assunto connotazioni più definite e una rilevanza crescente all’interno dei sistemi sanitari moderni. Il percorso evolutivo dell’advocacy sanitaria può essere schematizzato in diverse fasi storiche: Prima fase (fino agli anni ‘60): caratterizzata da un modello paternalistico della medicina, in cui il rapporto medico-paziente era fortemente asimmetrico e il paziente aveva un ruolo essenzialmente passivo. In questo contesto, l’advocacy era limitata e spesso confinata all’interno della professione medica stessa, con alcuni pionieri che iniziavano a sollevare questioni di equità nell’accesso alle cure.

Seconda fase (anni ‘60-’80): con i movimenti per i diritti civili e l’emergere di una maggiore coscienza sociale, si sviluppa una prima forma di advocacy più strutturata.

Nascono le prime organizzazioni di attivismo civico e le associazioni di pazienti, inizialmente concentrate su patologie specifiche (come cancro, diabete, malattie rare). Questo periodo segna l’inizio di un cambiamento nella relazione medico-paziente, con una progressiva affermazione dell’autonomia decisionale del paziente.

Terza fase (anni ‘80-’90): l’epidemia di AIDS rappresenta un punto di svolta nell’evoluzione dell’advocacy sanitaria. Le associazioni di pazienti e attivisti HIV/AIDS sviluppano nuove strategie di pressione politica, dimostrandosi capaci di influenzare concretamente le politiche sanitarie, accelerare i processi di approvazione dei farmaci e ottenere maggiori finanziamenti per la ricerca. Il modello di advocacy emerso in questo contesto diventa un riferimento per molte altre aree della salute.

Quarta fase (anni ‘90-2000): si assiste a una progressiva professionalizzazione dell’advocacy sanitaria. Le varie organizzazioni civiche e associazioni di pazienti diventano organizzazioni strutturate, con personale dedicato e competenze specifiche. Emergono reti di associazioni a livello nazionale e internazionale, capaci di coordinare azioni su vasta scala.

Quinta fase (2000-oggi): l’avvento di internet e dei social media rivoluziona le modalità dell’advocacy, ampliando enormemente le possibilità di networking, condivisione di informazioni e mobilitazione. Si sviluppa un modello di advocacy più partecipativo e orizzontale, in cui i pazienti stessi diventano “esperti per esperienza” e le loro testimonianze acquisiscono un valore centrale. Contemporaneamente, cresce l’attenzione verso la medicina basata sulle evidenze e sull’appropriatezza delle cure, con un’advocacy sempre più impegnata anche sul fronte della qualità e sostenibilità dei sistemi sanitari.

Nel contesto italiano, l’evoluzione dell’advocacy sanitaria ha seguito in parte queste tendenze globali, ma con alcune specificità legate al particolare sviluppo del Sistema Sanitario Nazionale. Se negli anni ‘70 e ‘80 l’attenzione era principalmente focalizzata sulla costruzione di un sistema sanitario universalistico, dagli anni ‘90 in poi l’advocacy si è maggiormente orientata verso temi come la personalizzazione delle cure, l’umanizzazione dell’assistenza e la difesa di un sistema pubblico messo a dura prova da tagli e riorganizzazioni.

Per quanto riguarda specificamente l’ambito delle allergie, l’advocacy ha conosciuto uno sviluppo più recente rispetto ad altri settori. Le prime associazioni di pazienti allergici in Italia nascono negli anni ‘80, ma è soprattutto nell’ultimo ventennio che queste realtà hanno acquisito visibilità e capacità di incidenza politica, parallelamente al crescente riconoscimento dell’impatto epidemiologico delle patologie allergiche.

Questa evoluzione storica dimostra come l’advocacy sanitaria sia un fenomeno dinamico, in costante trasformazione, che riflette i cambiamenti sociali, culturali e tecnologici della società. Da attività spontanea e spesso individuale, è diventata un processo strutturato e professionale, capace di incidere concretamente sulle politiche sanitarie e sulla qualità dell’assistenza.

IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI DI PAZIENTI E DELLE ORGANIZZAZIONI CIVICHE

NELL’ADVOCACY SANITARIA

Struttura e funzioni delle associazioni di pazienti

Le associazioni di pazienti e le organizzazioni civiche rappresentano oggi uno degli attori più influenti nell’ecosistema sanitario, con un ruolo che va ben oltre la semplice aggregazione di persone accomunate da una stessa patologia. Nel corso degli anni, queste organizzazioni hanno sviluppato strutture sempre più articolate e professionali, assumendo funzioni complesse che spaziano dal supporto diretto ai pazienti fino all’influenza sulle politiche sanitarie nazionali e internazionali.

Dal punto di vista strutturale, presentano modelli organizzativi variabili, che dipendono da diversi fattori quali la dimensione, le risorse disponibili, gli obiettivi specifici e il contesto in cui operano. Tuttavia, è possibile identificare alcuni elementi comuni:

• Governance: generalmente basata su un modello associativo, con organi direttivi (consiglio direttivo, presidente) eletti dai soci. Nelle realtà più strutturate, alla componente volontaristica si affianca spesso un team professionale retribuito.

• Base associativa: composta da pazienti, familiari, caregiver, ma anche professionisti sanitari e cittadini sensibili alla causa. La partecipazione attiva degli associati varia considerevolmente, con un nucleo solitamente molto attivo e una base più ampia che partecipa occasionalmente alle iniziative.

• Organizzazione territoriale: molte associazioni presentano una struttura a rete, con una sede centrale nazionale e articolazioni locali (regionali o provinciali) che garantiscono presenza e azione capillare sul territorio.

• Reti e federazioni: sempre più frequentemente, le associazioni si organizzano in federazioni o reti tematiche per aumentare la propria rappresentatività e il proprio impatto. Questo fenomeno è particolarmente evidente a livello europeo, dove esistono importanti organizzazioni ombrello che riuniscono associazioni nazionali.

Per quanto riguarda le funzioni, le associazioni operano su molteplici fronti, che possono essere schematizzati nelle seguenti aree principali:

1. Supporto diretto ai pazienti:

• Informazione sulla patologia, sui percorsi di cura, sui diritti

• Supporto psicologico ed emotivo

• Assistenza pratica (orientamento nei servizi sanitari, supporto nell’accesso a prestazioni e benefici)

• Creazione di gruppi di auto-mutuo aiuto

2. Sensibilizzazione e informazione:

• Campagne di sensibilizzazione rivolte all’opinione pubblica

• Diffusione di informazioni scientificamente corrette sulla patologia

• Contrasto a stigma, pregiudizi e fake news

• Organizzazione di eventi pubblici, convegni, giornate mondiali

3. Ricerca scientifica:

• Promozione e in alcuni casi finanziamento diretto della ricerca

• Collaborazione con centri di ricerca e università

• Partecipazione alla definizione di priorità e protocolli di ricerca

• Facilitazione del reclutamento per studi clinici

3. Formazione:

• Programmi formativi per pazienti (patient education)

• Corsi per caregiver e familiari

• Contributo alla formazione dei professionisti sanitari

• Sviluppo di competenze specifiche nei volontari e nello staff

5. Advocacy e rappresentatività:

• Rappresentanza degli interessi dei pazienti presso istituzioni e organi decisionali

• Partecipazione a tavoli tecnici, comitati, consultazioni pubbliche

• Monitoraggio delle politiche sanitarie

• Elaborazione di proposte normative

• Azioni di pressione politica

Nel caso specifico delle associazioni di pazienti allergici, queste funzioni si declinano in attività particolarmente rilevanti, quali:

• La diffusione di informazioni su prevenzione e gestione delle allergie, con particolare attenzione ai fattori ambientali e agli stili di vita

• Il supporto nell’accesso a terapie innovative e nella gestione quotidiana della patologia

• La sensibilizzazione su temi come l’anafilassi e le emergenze allergologiche

• L’advocacy per il riconoscimento delle allergie come patologie croniche e per l’adeguamento dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza)

• La promozione di politiche per ambienti (scuole, luoghi di lavoro, spazi pubblici) “allergy-friendly”

La capacità delle associazioni di pazienti di svolgere efficacemente queste funzioni dipende da diversi fattori critici, tra cui:

• Rappresentatività: la capacità di rappresentare effettivamente i bisogni e le istanze della comunità dei pazienti

• Indipendenza: l’autonomia decisionale rispetto a influenze esterne (industria farmaceutica, politica, ecc.)

• Competenza: la disponibilità di conoscenze e competenze specialistiche

• Sostenibilità economica: la capacità di reperire risorse adeguate mantenendo la propria indipendenza

• Networking: la capacità di costruire alleanze strategiche con altri stakeholder

Le associazioni di pazienti rappresentano quindi un pilastro fondamentale dell’advocacy sanitaria, fungendo da catalizzatori di cambiamento e da ponte tra il mondo dei pazienti e quello delle istituzioni. La loro evoluzione verso modelli sempre più strutturati e professionali ha certamente aumentato la loro capacità di incidenza, pur ponendo nuove sfide in termini di rappresentatività, indipendenza e sostenibilità.

L’importanza delle coalizioni e delle reti di associazioni

Nel panorama contemporaneo dell’advocacy sanitaria, la creazione di coalizioni e reti tra diverse organizzazioni rappresenta una tendenza sempre più marcata e strategicamente rilevante. Questa evoluzione risponde a una

logica di potenziamento reciproco e di ottimizzazione delle risorse, in un contesto in cui la frammentazione rischia di indebolire l’efficacia delle singole azioni di advocacy.

Le coalizioni possono assumere diverse forme, da alleanze temporanee su specifici obiettivi fino a federazioni strutturate con governance e risorse condivise. Ciò che le accomuna è la volontà di fare “massa critica”, unendo forze per aumentare la visibilità, la rappresentatività e l’impatto delle proprie istanze.

Vantaggi delle coalizioni e del lavoro in rete:

1. Amplificazione della voce: una coalizione che rappresenta decine di migliaia di persone ha evidentemente maggior peso politico rispetto a una singola associazione. Questo si traduce in un accesso facilitato ai tavoli decisionali e in una maggiore capacità di influenza.

2. Condivisione di risorse e competenze: le associazioni più piccole o di recente costituzione possono beneficiare dell’esperienza e del know-how di realtà più strutturate. La condivisione di risorse (umane, logistiche, economiche) permette inoltre di realizzare iniziative che sarebbero fuori dalla portata delle singole organizzazioni.

3. Visione sistemica e intersettoriale: le coalizioni favoriscono un approccio più ampio ai problemi, superando la prospettiva specifica di una singola patologia. Questo è particolarmente rilevante per tematiche trasversali come l’accesso alle cure, la semplificazione burocratica o la personalizzazione dell’assistenza.

4. Maggiore credibilità e legittimazione: una posizione condivisa da molteplici associazioni viene generalmente percepita come più rappresentativa e meno influenzata da interessi particolari, godendo quindi di maggiore credibilità presso decisori e opinione pubblica.

5. Ottimizzazione degli sforzi: il coordinamento permette di evitare duplicazioni e di creare sinergie, massimizzando l’impatto delle risorse investite.

6. Dimensione internazionale: le reti permettono di portare istanze locali a livello europeo o globale, e viceversa di declinare a livello nazionale campagne e iniziative internazionali.

Nel campo specifico delle allergie, le coalizioni risultano particolarmente strategiche per diversi motivi:

• La varietà delle manifestazioni allergiche (respiratorie, alimentari, cutanee, ecc.) ha portato storica-

mente alla nascita di associazioni specializzate su specifiche forme. L’unione di queste realtà permette di affrontare in modo integrato il tema delle allergie.

• Molte problematiche legate alle allergie richiedono un approccio intersettoriale che coinvolge sanità, ambiente, educazione, lavoro. Una coalizione ampia ha maggiori possibilità di dialogare efficacemente con i diversi settori coinvolti.

• La percezione sociale delle allergie come disturbi minori rappresenta un ostacolo comune a tutte le associazioni del settore. Unire le forze in campagne di sensibilizzazione permette di modificare più efficacemente questa percezione.

Esempi significativi di coalizioni in Italia e in Europa:

A livello europeo, un esempio particolarmente rilevante è rappresentato da EFA (European Federation of Allergy and Airways Diseases Patients’ Associations), una rete che riunisce oltre 40 associazioni nazionali di pazienti con malattie allergiche e respiratorie. EFA svolge un ruolo cruciale nel rappresentare gli interessi dei pazienti presso le istituzioni europee, contribuendo a influenzare politiche in ambiti quali la qualità dell’aria, l’etichettatura degli alimenti, l’accesso ai farmaci innovativi.

In Italia, un esempio interessante è FederASMA e ALLERGIE Odv - Federazione Italiana Pazienti, che riunisce numerose associazioni locali e tematiche, rappresentando un punto di riferimento nazionale per i pazienti allergici e asmatici. La federazione ha contribuito significativamente a iniziative quali il riconoscimento dell’asma grave tra le patologie che danno diritto all’esenzione e la definizione di protocolli per la gestione delle emergenze allergiche nelle scuole.

Citiamo il documento SIAIP-FederASMA, riconosciuto dalla GARD Italia-Ministero della Salute “Raccomandazioni per la gestione del Bambino Allergico a scuola”: https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_2456_listaFile_itemName_6_file.pdf

Sfide e criticità del lavoro in rete:

Nonostante i numerosi vantaggi, la creazione e il mantenimento di coalizioni efficaci presentano alcune sfide significative:

1. Governance e processi decisionali: trovare un equilibrio tra rappresentatività e operatività nei processi decisionali può risultare complesso, soprattutto quando la coalizione include associazioni di dimensioni molto diverse.

2. Identità e visibilità: le singole associazioni pos-

sono temere di perdere visibilità e identità distintiva all’interno di una coalizione più ampia.

3. Sostenibilità economica: la gestione di una rete richiede risorse dedicate, che non sempre sono facilmente reperibili.

4. Diversità di priorità e approcci: conciliare le diverse priorità e culture organizzative può richiedere tempo e negoziazione.

5. Rischio di burocratizzazione: strutture di coordinamento troppo complesse possono rallentare i processi decisionali e l’operatività.

Per superare queste criticità, le coalizioni di successo tendono ad adottare alcuni principi chiave:

• Definizione chiara degli obiettivi comuni, pur nel rispetto delle specificità

• Strutture di governance flessibili e inclusive

• Comunicazione interna trasparente e regolare

• Riconoscimento del contributo di ciascun membro

• Focus sui risultati concreti piuttosto che sugli aspetti formali

In conclusione, le coalizioni e le reti rappresentano oggi una dimensione imprescindibile dell’advocacy sanitaria efficace, capace di amplificare significativamente l’impatto delle singole associazioni. Nel campo delle allergie, in particolare, il lavoro in rete sta dimostrando di essere una strategia vincente per affrontare la complessità delle sfide sanitarie, sociali e politiche poste da queste patologie sempre più diffuse.

Il ruolo degli intergruppi parlamentari e dei patti parlamentari a supporto del patient advocacy

Nel contesto dell’advocacy sanitaria avanzata, l’interlocuzione strutturata con le istituzioni parlamentari rappresenta un elemento sempre più strategico per il consolidamento e l’efficacia dell’azione delle reti di associazioni di pazienti. In questo ambito, assumono particolare rilievo due strumenti politico-istituzionali: gli intergruppi parlamentari e i patti parlamentari multisettoriali

Gli intergruppi parlamentari sono organismi informali costituiti da parlamentari appartenenti a forze politiche diverse, aggregati attorno a tematiche trasversali di rilevanza pubblica e sociale. Sebbene non abbiano potere legislativo diretto, essi svolgono una funzione di coordinamento politico trasversale, facilitano il confronto con stakeholder esterni — inclusi cittadini, associazioni

di pazienti, società scientifiche, enti del terzo settore — e contribuiscono alla definizione dell’agenda parlamentare attraverso la presentazione di mozioni, risoluzioni, disegni di legge e attività di audizione. Un caso emblematico in Italia è rappresentato dall’Intergruppo parlamentare sulle allergie respiratorie, attivo nella XIX Legislatura e presieduto dall’On. Paolo Ciani. Questo intergruppo nasce con l’obiettivo di promuovere una maggiore attenzione istituzionale verso le patologie allergiche e respiratorie, spesso sottovalutate nonostante l’elevata prevalenza e l’impatto sulla qualità della vita, sull’aderenza terapeutica e sulla sostenibilità del sistema sanitario. L’intergruppo si pone come piattaforma di dialogo tecnico-politico permanente, in grado di favorire la convergenza tra evidenze cliniche, bisogni dei pazienti e priorità di policy, anche grazie alla collaborazione con federazioni di pazienti come FederASMA e ALLERGIE Odv – Federazione Italiana Pazienti, Associazione Liberi dall’Asma, dalle Malattie Allergiche, Atopiche, Respiratorie e Rare (ALAMA-APS), Associazione Nazionale Pazienti RESPIRIAMO INSIEME APS, Cittadinanzattiva, Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAIAC), Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili Società Italiana (SIMRI), Associazione Allergologi Italiani del Territorio ed Ospedalieri (AAIITO), Società Italiana Medicina Generale (SIMG), Società Italiana di Pediatria (SIP), Urban Health di EUPHA, European Academy of Allergy and Clinical Immunology (EAACI), Società Italiana di Allergologia e Immunologia pediatrica (SIAIP), Rete POLLnet SNPA, Federsanità, Health city institute e Cities +.

In parallelo, i patti parlamentari costituiscono strumenti di advocacy contrattuale attraverso cui i decisori politici si impegnano formalmente a sostenere specifici obiettivi, elaborati sulla base di piattaforme condivise da coalizioni di associazioni, professionisti sanitari e altri attori rilevanti. Tali patti, spesso sottoscritti in occasione di campagne tematiche o di iniziative parlamentari, rappresentano meccanismi di accountability politica e permettono un monitoraggio puntuale dell’attuazione degli impegni assunti, anche in sede di verifica periodica. L’efficacia di questi strumenti risulta potenziata quando si inseriscono all’interno di strategie coordinate tra reti associative, capaci di aggregare consenso, mobilitare risorse comunicative e garantire una rappresentanza qualificata. La combinazione tra coalizioni orizzontali della società civile e aggregazioni trasversali in ambito parlamentare consente di strutturare un sistema multilivello di advocacy, in grado di incidere sia sulle politiche sanitarie sia sulle normative di settore. In un quadro sanitario sempre più complesso e interdi-

pendente, l’integrazione tra istanze bottom-up e commitment istituzionale si configura non solo come una buona prassi, ma come una condizione necessaria per l’efficacia delle politiche di salute pubblica centrate sul paziente

GLI STRUMENTI DELL’ADVOCACY: COME LE ASSOCIAZIONI PAZIENTI E LE ORGANIZZAZIONI CIVICHE INTERLOQUISCONO CON LE ISTITUZIONI

Le associazioni di pazienti dispongono oggi di un’ampia gamma di strumenti per svolgere la loro attività di advocacy. Questi strumenti, che si sono evoluti e affinati nel tempo, permettono di agire su diversi livelli e di adattare la strategia di advocacy agli obiettivi specifici, al contesto e alle risorse disponibili. Una loro conoscenza approfondita è essenziale per massimizzare l’efficacia dell’azione di advocacy.

Possiamo classificare questi strumenti in diverse categorie, ciascuna con caratteristiche e finalità specifiche:

1. Strumenti di comunicazione e sensibilizzazione:

• Campagne mediatiche: utilizzo strategico dei media tradizionali e digitali per informare l’opinione pubblica e influenzare il dibattito pubblico. Le campagne efficaci sono caratterizzate da messaggi chiari, supportati da dati ed evidenze, e da una comunicazione emotivamente coinvolgente.

• Sensibilizzazione online: utilizzo di siti web, blog, social media e piattaforme digitali per diffondere informazioni, mobilitare sostenitori e creare comunità. La comunicazione digitale permette di raggiungere pubblici ampi con costi relativamente contenuti.

• Giornate tematiche: organizzazione di giornate dedicate a una patologia o a un tema specifico, spesso in concomitanza con ricorrenze internazionali, per attirare l’attenzione mediatica e istituzionale.

• Testimonianze dirette: condivisione di storie personali e testimonianze di pazienti, che danno un volto umano alle statistiche e rendono concrete le problematiche astratte. Le testimonianze sono particolarmente efficaci per creare empatia e superare i pregiudizi. Un esempio di testimonianza diretta è il libro “Butta via i Fazzoletti- scegli di curare l’allergia non di addormentarne i sintomi”, dove l’autrice Sabrina de Federicis, racconta, partendo dalla sua esperienza di mamma di un bimbo allergico, le difficoltà e le limitazioni a cui è costretto un aller-

gico e la scoperta di una terapia che cura l’allergia determinando la remissione della patologia. L’autrice con questo libro ha deciso di dare ampia visibilità alla patologia allergica, al suo decorso e alla sua soluzione.

2. Strumenti di pressione politica e istituzionale:

• Relazioni istituzionali: costruzione e mantenimento di relazioni dirette con decisori politici a vari livelli (locale, regionale, nazionale, europeo). Queste relazioni permettono di presentare istanze e proposte, ma richiedono un approccio professionale e continuativo.

• Partecipazione a tavoli tecnici e consultazioni: inserimento in organi consultivi, gruppi di lavoro e processi di consultazione pubblica dove si elaborano politiche e linee guida. Questa partecipazione richiede competenze tecniche specifiche ma offre la possibilità di influenzare direttamente le decisioni.

• Audizioni parlamentari: partecipazione a audizioni presso commissioni parlamentari o altri organi legislativi, per presentare posizioni e contribuire al dibattito su specifici provvedimenti.

• Proposte di legge di iniziativa popolare: elaborazione e promozione di proposte legislative supportate dalla raccolta di firme di cittadini. Questo strumento, sebbene complesso, può essere molto efficace per portare temi trascurati all’attenzione del legislatore.

• Azioni legali strategiche: in alcuni casi, il ricorso alle vie legali (ricorsi, class action, ecc.) può essere uno strumento efficace per affermare diritti o contestare decisioni ritenute ingiuste o discriminatorie.

3. Strumenti di ricerca e documentazione:

• Indagini e survey: realizzazione di indagini tra i pazienti per raccogliere dati sull’impatto della patologia, sulla qualità dell’assistenza, sui bisogni insoddisfatti. Questi dati, presentati con rigore metodologico, possono supportare efficacemente le richieste di cambiamento.

• Rapporti e position paper: elaborazione di documenti approfonditi che analizzano problematiche specifiche e propongono soluzioni basate su evidenze. Questi documenti, soprattutto se realizzati con il contributo di esperti riconosciuti, possono diventare riferimenti importanti nel dibattito.

• Analisi dei costi socio-economici: studi che quantificano l’impatto economico di una patologia, includendo non solo i costi diretti sanitari ma anche quelli indiretti (perdita di produttività, carico sui caregiver, ecc.). Questi dati possono essere particolarmente persuasivi per i decisori politici, dimostrando come investire in prevenzione e cura possa generare risparmi complessivi per il sistema.

4. Strumenti di coinvolgimento e mobilitazione:

• Petizioni: raccolta di firme a sostegno di richieste specifiche, sempre più spesso realizzate attraverso piattaforme online che ne facilitano la diffusione.Anche qui un esempio di petizione proprio lanciata dal libro “Butta via i Fazzoletti”:la petizione Respirare è un diritto di tutti vuole garantire che tutte le regioni autorizzino la rimborsabilità della terapia che cura davvero l’allergia perchè modifica la storia naturale della persona con allergia determinando la remissione.

• Manifestazioni e presidi: organizzazione di eventi pubblici che diano visibilità a una causa, creando pressione mediatica e politica.

• Alleanze e coalizioni: come già discusso nel paragrafo precedente, la creazione di alleanze ampie con altre associazioni o stakeholder può aumentare significativamente l’impatto dell’advocacy.

5. Strumenti di affermazione dei diritti:

• Carte dei diritti: documenti che esplicitano e affermano i diritti specifici di una categoria di pazienti, fornendo un riferimento per azioni di tutela e rivendicazione. Questo strumento, particolarmente rilevante per il caso in esame, sarà approfondito nel paragrafo successivo.

• Linee guida e raccomandazioni: contributo alla definizione di standard di cura e assistenza, attraverso la partecipazione a panel multidisciplinari o l’elaborazione di documenti di indirizzo. Citiamo il documento SIAIP-Federasma, riconosciuto dalla GARD Italia - Ministero della Salute “Raccomandazioni per la gestione del Bambino Allergico a scuola”: https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_2456_listaFile_itemName_6_file.pdf

• Osservatori e monitoraggio: creazione di strutture permanenti che osservano e documentano il rispetto dei diritti dei pazienti, l’implementazione di politiche, l’accesso alle cure, producendo rapporti periodici che possono evidenziare criticità e progressi.

Nel contesto delle allergie, tutti questi strumenti trovano applicazione con accenti particolari:

• Le campagne di sensibilizzazione sono cruciali per modificare la percezione sociale delle allergie come disturbi minori

• La documentazione rigorosa dell’impatto socio-economico delle allergie è fondamentale per giustificare maggiori investimenti pubblici

• Le carte dei diritti, come vedremo, assumono un ruolo strategico nel riconoscimento delle specificità di queste patologie

• La partecipazione a tavoli tecnici risulta decisiva per influenzare politiche in ambiti diversificati (sanità, ambiente, istruzione, lavoro)

La scelta degli strumenti più appropriati dipende da diversi fattori, tra cui gli obiettivi specifici dell’azione di advocacy, il contesto politico e sociale, le risorse disponibili, la maturità e le competenze dell’associazione. Un’advocacy efficace richiede generalmente l’utilizzo combinato e coordinato di più strumenti, nell’ambito di una strategia complessiva coerente e di lungo periodo.

LE CARTE DEI DIRITTI: UNO STRUMENTO

STRATEGICO DI ADVOCACY

Tra i numerosi strumenti a disposizione delle associazioni di pazienti per la loro attività di advocacy, le carte dei diritti meritano un’attenzione particolare. Questi documenti rappresentano infatti uno strumento strategico di grande efficacia, capace di condensare e formalizzare le istanze dei pazienti, creando al contempo un riferimento concreto per azioni di tutela e rivendicazione.

Definizione e caratteristiche delle carte dei diritti

Una carta dei diritti nel contesto sanitario può essere definita come un documento formale che esplicita e afferma i diritti specifici di una categoria di pazienti o di cittadini in relazione alla salute. Non si tratta di documenti giuridicamente vincolanti in senso stretto, ma di strumenti che, attraverso un processo di costruzione partecipata e di legittimazione sociale, acquisiscono una rilevanza morale e politica significativa.

Le carte dei diritti si distinguono per alcune caratteristiche fondamentali:

• Specificità: si focalizzano sui bisogni e sulle problematiche peculiari di una determinata categoria di pazienti, declinando principi generali in diritti specifici e contestualizzati.

• Chiarezza e accessibilità: sono generalmente re-

datte in un linguaggio chiaro e comprensibile, evitando tecnicismi eccessivi, per essere accessibili ai diretti interessati.

• Carattere dichiarativo: affermano diritti che spesso sono già implicitamente o esplicitamente riconosciuti nell’ordinamento, ma che necessitano di essere ribaditi e specificati in relazione a contesti o condizioni particolari.

• Costruzione partecipata: nascono generalmente da un processo di elaborazione collettiva che coinvolge pazienti, associazioni, professionisti sanitari e altri stakeholder rilevanti.

• Orientamento all’azione: non si limitano a enunciare principi astratti, ma sono orientate a produrre cambiamenti concreti nelle politiche, nei servizi, nelle pratiche professionali.

Funzioni e valore strategico delle carte dei diritti

Le carte dei diritti svolgono molteplici funzioni nell’ambito dell’advocacy sanitaria:

1. Funzione identitaria e di riconoscimento: attraverso la formalizzazione dei diritti, contribuiscono al riconoscimento sociale e istituzionale di una condizione patologica e della comunità di persone che ne è affetta. Questo è particolarmente importante per patologie sottovalutate o stigmatizzate, come spesso accade con le allergie.

2. Funzione educativa e informativa: informano i pazienti sui diritti di cui sono titolari, rafforzando la loro capacità di orientarsi nel sistema sanitario e di rivendicare un’assistenza adeguata. Allo stesso tempo, educano gli operatori sanitari e i decisori sulla specificità dei bisogni di una determinata categoria di pazienti.

3. Funzione di empowerment: forniscono ai pazienti e alle loro associazioni uno strumento concreto per contrastare discriminazioni e disparità di trattamento, dando maggiore forza e legittimità alle loro rivendicazioni.

4. Funzione di advocacy: costituiscono una base solida per azioni di pressione politica e istituzionale, fornendo un riferimento chiaro e condiviso per la valutazione di politiche e servizi.

5. Funzione di standard-setting: contribuiscono a definire standard di qualità per l’assistenza, influenzando le pratiche professionali e organizzative.

6. Funzione simbolica e culturale: contribuiscono a modificare la percezione sociale di una patologia e delle persone che ne sono affette, promuovendo una cultura del rispetto e dell’inclusione.

Il valore strategico delle carte dei diritti risiede nella loro capacità di sintetizzare e formalizzare istanze che altrimenti rimarrebbero frammentate e meno visibili. Attraverso questi documenti, le rivendicazioni dei pazienti acquisiscono maggiore autorevolezza e sistematicità, potendo essere presentate come un insieme coerente di diritti piuttosto che come richieste isolate.

Tipologie e livelli di carte dei diritti in ambito sanitario

Nel panorama attuale è possibile identificare diverse tipologie di carte dei diritti in ambito sanitario, che si differenziano per ambito di applicazione, livello di generalità e contesto istituzionale:

• Carte generali dei diritti dei pazienti: documenti che affermano principi e diritti validi per tutti i pazienti, indipendentemente dalla patologia specifica. Un esempio significativo a livello europeo è la “Carta Europea dei Diritti del Malato” promossa da Active Citizenship Network nel 2002.

• Carte dei diritti per patologie specifiche: documenti focalizzati sui bisogni e sui diritti di pazienti affetti da particolari patologie. Carta dei Diritti del Cittadino Asmatico e Allergico di FederASMA e ALLERGIE Odv – Federazione Italiana Pazienti. Queste carte, come quella oggetto della nostra analisi, permettono di declinare principi generali nelle specificità di una condizione patologica.

• Carte dei diritti in contesti specifici: documenti che si focalizzano sui diritti dei pazienti in particolari contesti (ad esempio ospedali, servizi territoriali) o fasi del percorso di cura (ad esempio fine vita, cronicità).

• Carte dei diritti per categorie di popolazione: documenti che affermano i diritti di specifiche categorie di popolazione in relazione alla salute (ad esempio bambini, anziani, persone con disabilità). Queste diverse tipologie di carte possono inoltre collocarsi a diversi livelli istituzionali:

• Livello internazionale o europeo

• Livello nazionale

• Livello regionale o locale

• Livello di singola struttura sanitaria

Il processo di elaborazione di una carta dei diritti Il processo di elaborazione di una carta dei diritti rappresenta un aspetto cruciale per la sua efficacia e legittimazione. Un processo ben strutturato dovrebbe idealmente includere le seguenti fasi:

1. Analisi dei bisogni e delle criticità: raccolta sistematica di dati e testimonianze sulle problematiche vissute dai pazienti, attraverso indagini, focus group, analisi della letteratura.

2. Mappatura del quadro normativo e delle buone pratiche: analisi delle normative esistenti e delle esperienze significative, a livello nazionale e internazionale.

3. Processo partecipativo di elaborazione: coinvolgimento attivo di pazienti, associazioni, professionisti sanitari, esperti di diritto sanitario e altri stakeholder rilevanti nella definizione dei contenuti.

4. Validazione e legittimazione: condivisione della bozza con un’ampia platea di stakeholder, raccolta di feedback, eventuali revisioni.

5. Presentazione pubblica e diffusione: evento di lancio, diffusione attraverso canali diversificati, sensibilizzazione dei media.

6. Implementazione e monitoraggio: definizione di strategie per promuovere l’effettiva applicazione dei diritti enunciati e monitorarne il rispetto.

Le carte dei diritti nel contesto delle patologie allergiche

Nel campo specifico delle patologie allergiche, le carte dei diritti assumono un’importanza particolare per diversi motivi:

• Le allergie sono spesso percepite come disturbi minori, nonostante il loro significativo impatto sulla qualità della vita. Una carta dei diritti può contribuire a modificare questa percezione, affermando la serietà di queste patologie.

• La varietà delle manifestazioni allergiche (respiratorie, alimentari, cutanee, ecc.) richiede un approccio differenziato ma coordinato, che una carta dei diritti può aiutare a sistematizzare.

• La gestione delle allergie coinvolge ambiti diversi (sanità, ambiente, istruzione, lavoro, ecc.), richiedendo un’azione trasversale che una carta dei diritti può orientare e legittimare.

• Le persone con allergie affrontano spesso discriminazioni o difficoltà in contesti sociali e lavorativi, contro le quali una carta dei diritti può fornire strumenti di tutela.

L’accesso a diagnosi accurate e a terapie appropriate è spesso ostacolato da barriere organizzative o economiche, che una carta dei diritti può contribuire a identificare e superare.

La “Carta dei diritti delle persone con allergie”, oggetto della nostra analisi nei prossimi capitoli, rappresenta un esempio emblematico di come questo strumento possa essere utilizzato efficacemente nell’ambito dell’advocacy per le patologie allergiche. Essa nasce proprio dalla consapevolezza del valore strategico di questo strumento e dalla volontà di fornire ai pazienti allergici un riferimento autorevole per la tutela dei propri diritti.

ALTRI STRUMENTI E APPROCCI INNOVATIVI NELL’ADVOCACY PER LE PATOLOGIE ALLERGICH

Oltre alle carte dei diritti, l’advocacy nel campo delle patologie allergiche si avvale oggi di una gamma sempre più ampia e sofisticata di strumenti e approcci. Questa evoluzione riflette sia le specificità delle patologie allergiche sia i cambiamenti più generali nel contesto sociale, tecnologico e 2

. Digital Advocacy e utilizzo strategico dei social media

La diffusione capillare delle tecnologie digitali ha aperto nuove frontiere per l’advocacy, particolarmente rilevanti per le patologie allergiche che interessano una vasta porzione della popolazione. Le associazioni di pazienti allergici stanno sempre più integrando nella loro strategia approcci di digital advocacy, caratterizzati da:

• Campagne social mirate: sviluppo di contenuti specifici per le diverse piattaforme (Facebook, Instagram, Twitter, TikTok), calibrati su target differenti. Ad esempio, campagne su TikTok rivolte agli adolescenti con allergie alimentari o campagne su LinkedIn focalizzate sulle allergie in ambiente di lavoro.

• App e strumenti digitali: sviluppo di applicazioni che supportano i pazienti nella gestione quotidiana delle allergie (monitoraggio dei sintomi, identificazione di allergeni, alert su pollini, ecc.) e che al contempo raccolgono dati utili per l’advocacy.

• Comunità virtuali: creazione e animazione di gruppi online che favoriscono lo scambio di esperienze e informazioni tra pazienti, rafforzando il senso di appartenenza e facilitando la mobilitazione su specifiche istanze.

• Digital storytelling: raccolta e diffusione di storie di pazienti attraverso formati digitali coinvolgenti (video, podcast, infografiche interattive), che umanizzano la patologia e creano empatia.

Advocacy basata su dati ed evidenze

Un secondo trend significativo è rappresentato dal crescente utilizzo di dati ed evidenze scientifiche a supporto dell’advocacy, un approccio particolarmente rilevante in un ambito come quello delle allergie dove la ricerca è in continua evoluzione:

• Patient-generated data: raccolta sistematica di dati riportati direttamente dai pazienti sulla loro esperienza di malattia e di cura, attraverso survey, app, wearable devices. Questi dati, opportunamente analizzati, forniscono evidenze preziose sull’impatto reale delle allergie nella vita quotidiana.

• Health Technology Assessment partecipativo: coinvolgimento delle associazioni di pazienti nei processi di valutazione delle tecnologie sanitarie, portando la prospettiva del paziente nella definizione di criteri e priorità.

• Real World Evidence: utilizzo di dati derivanti dalla pratica clinica reale (anziché da studi clinici controllati) per dimostrare l’impatto delle allergie e l’efficacia degli interventi, un approccio particolarmente rilevante per patologie croniche e complesse.

• Studi di impatto economico: analisi rigorose dei costi diretti e indiretti delle allergie, che dimostrano come investire in prevenzione, diagnosi precoce e cure appropriate generi risparmi significativi per il sistema sanitario e la società.

Co-design e coinvolgimento diretto nei processi decisionali

Un terzo trend innovativo consiste nel passaggio da un approccio di advocacy “dall’esterno” a un coinvolgimento diretto nei processi decisionali e nella progettazione dei servizi:

• Patient engagement istituzionalizzato: partecipazione strutturata e continuativa dei rappresentanti dei pazienti in organismi decisionali e consultivi (comitati etici, comitati tecnici regionali, gruppi di lavoro ministeriali, ecc.).

• Co-design di servizi e percorsi: coinvolgimento dei pazienti nella progettazione di servizi sanitari, percorsi diagnostico-terapeutici, strumenti informativi, con un approccio di design thinking centrato sull’utente.

• Pazienti esperti e formazione tra pari: valorizzazione dell’esperienza dei pazienti attraverso programmi di “pazienti formatori” che contribuiscono alla formazione di professionisti sanitari e di altri pazienti.

• Citizen science: coinvolgimento dei cittadini/pazienti in progetti di ricerca scientifica, particolar-

mente rilevante per le allergie dove fattori ambientali e comportamentali giocano un ruolo cruciale.

Approcci intersettoriali e partnership innovative Infine, un quarto trend è rappresentato dallo sviluppo di approcci intersettoriali e di partnership innovative, che riconoscono la natura complessa e multidimensionale delle patologie allergiche:

• One Health approach: promozione di un approccio integrato alla salute umana, animale e ambientale, particolarmente rilevante per le allergie che sono fortemente influenzate da fattori ambientali e cambiamenti ecosistemici.

• Partnership pubblico-privato: sviluppo di collaborazioni tra associazioni di pazienti, istituzioni pubbliche e settore privato per affrontare sfide complesse come la qualità dell’aria o la sicurezza alimentare.

• Alleanze con movimenti ambientalisti: creazione di sinergie con organizzazioni ambientaliste su temi di interesse comune (inquinamento atmosferico, cambiamenti climatici, pesticidi, ecc.), ampliando la base di supporto e l’impatto politico.

• Collaborazioni con il settore educativo: sviluppo di programmi educativi e formativi destinati a scuole e università, per sensibilizzare le nuove generazioni e creare ambienti inclusivi per i giovani con allergie.

Esempi concreti di innovazione nell’advocacy allergologica

Alcuni esempi concreti di applicazione di questi approcci innovativi nel campo delle allergie includono:

• Il progetto “Pollen Diary” promosso da EFA (European Federation of Allergy and Airways Diseases Patients’ Associations), che combina un’app per il monitoraggio individuale dei sintomi allergici legati ai pollini con una piattaforma di raccolta dati a livello europeo, generando evidenze preziose per l’advocacy.

• La campagna #DetectAllergy, che utilizza strategicamente i social media per sensibilizzare sull’importanza della diagnosi precoce delle allergie, combinando testimonianze di pazienti, dati epidemiologici e indicazioni pratiche in formati digitali coinvolgenti.

• L’iniziativa “AllergyLiving Lab”, che coinvolge pazienti, professionisti sanitari e designer nella co-

progettazione di soluzioni innovative per la gestione quotidiana delle allergie, dalla segnalazione degli allergeni nei ristoranti a sistemi di monitoraggio ambientale.

• La coalizione “Clean Air For All”, che unisce associazioni di pazienti allergici e asmatici, organizzazioni ambientaliste, società scientifiche e amministrazioni locali in un’azione comune per il miglioramento della qualità dell’aria, combinando advocacy politica, monitoraggio partecipativo e sensibilizzazione pubblica.

Questi esempi dimostrano come l’advocacy nel campo delle allergie stia evolvendo verso approcci sempre più integrati, partecipativi e basati su evidenze, capaci di affrontare la complessità di queste patologie e di rispondere efficacemente alle sfide poste da un contesto sanitario e sociale in rapida trasformazione.

LA CARTA DEI DIRITTI DELLE PERSONE

CON ALLERGIE: UN CASO EMBLEMATICO

Genesi e processo di elaborazione della Carta

La “Carta dei diritti delle persone con allergie” rappresenta un caso emblematico di utilizzo strategico di questo strumento di advocacy nel contesto delle patologie allergiche. Per comprenderne appieno il valore e l’impatto, è essenziale analizzare il processo che ha portato alla sua elaborazione, un percorso caratterizzato da inclusività, rigore metodologico e visione strategica.

Contesto e motivazioni

La decisione di elaborare una Carta dei diritti specifica per le persone con allergie è maturata in un contesto caratterizzato da diversi fattori critici:

• Il costante aumento dell’incidenza delle patologie allergiche in Italia e a livello globale, con proiezioni che indicano un ulteriore incremento nei prossimi decenni legato a cambiamenti ambientali, climatici e degli stili di vita.

• La persistente sottovalutazione dell’impatto delle allergie sulla qualità della vita e sulla produttività, sia a livello sociale che istituzionale, con conseguente inadeguatezza delle risorse dedicate a prevenzione, diagnosi e cura.

• Le significative disparità territoriali nell’accesso a diagnosi tempestive e terapie appropriate, con una distribuzione disomogenea di centri specializzati e professionisti formati.

• L’assenza di un riconoscimento formale delle aller-

gie gravi tra le patologie croniche che danno diritto a particolari tutele e benefici.

• La frammentazione delle responsabilità tra diversi settori (sanità, ambiente, istruzione, lavoro) e livelli istituzionali (nazionale, regionale, locale), con conseguente difficoltà di coordinamento e integrazione.

In questo contesto, è emersa la necessità di uno strumento che potesse:

• Affermare in modo chiaro e sistematico i diritti delle persone con allergie

• Creare un riferimento autorevole per azioni di advocacy a diversi livelli

• Sensibilizzare istituzioni, professionisti e opinione pubblica sulla reale portata del problema

• Fornire ai pazienti uno strumento di empowerment e di tutela dei propri diritti

• Favorire un approccio integrato e coordinato alle problematiche allergologiche

Attori coinvolti e governance del processo Il processo di elaborazione della Carta è stato promosso con un supporto incondizionato di HAL Allergy, coordinato metodologicamente da BHAVE e Federico Serra, in collaborazione con FederASMA e ALLERGIE Odv – Federazione Italiana Pazienti, Associazione Liberi dall’Asma, dalle Malattie Allergiche, Atopiche, Respiratorie e Rare (ALAMA-APS), Associazione Nazionale Pazienti RESPIRIAMO INSIEME APS, Cittadinanzattiva, Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAIAC), Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili (SIMRI), Associazione Allergologi Italiani del Territorio ed Ospedalieri (AAIITO), Società Italiana Medicina Generale (SIMG), Società Italiana di Pediatria (SIP), Urban Health di EUPHA, European Academy of Allergy and Clinical Immunology (EAACI), Società Italiana di Allergologia e Immunologia pediatrica (SIAIP), Rete POLLnet SNPA, Federsanità, Health city institute e Cities +. Questa partnership tra associazioni di pazienti e comunità scientifica ha rappresentato un elemento distintivo e qualificante del processo, garantendo al contempo la centralità della prospettiva del paziente e il rigore scientifico dei contenuti.

Il processo ha visto la costituzione di un Comitato Scientifico multidisciplinare, composto da:

• Rappresentanti delle principali associazioni di pazienti con diverse forme di allergia

• Allergologi e immunologi clinici

• Pneumologi e specialisti in malattie respiratorie

• Pediatri con competenze specifiche in allergologia e pneumologia

• Dermatologi

• Aerobiologi

• Esperti di sanità pubblica e programmazione sanitaria

• Giuristi specializzati in diritto sanitario

Questa composizione multidisciplinare ha permesso di affrontare le diverse dimensioni delle patologie allergiche (medica, sociale, giuridica, organizzativa) e di integrare prospettive complementari.

Fasi del processo di elaborazione

Il processo di elaborazione della Carta, coordinato da BHAVE, si è articolato in diverse fasi, distribuite nell’arco di circa 18 mesi:

1. Fase preparatoria (3 mesi):

• Costituzione del Comitato Scientifico

• Definizione della metodologia di lavoro

• Revisione della letteratura scientifica e dei documenti esistenti

• Analisi del quadro normativo e delle best practices internazionali

2. Fase di raccolta dati e testimonianze (4 mesi):

• Indagine online su un campione ampio di pazienti per identificare bisogni e criticità

• Focus group con pazienti con diverse forme di allergia e di diversa gravità

• Interviste a caregiver e familiari

• Consultazione di professionisti sanitari

3. Fase di elaborazione dei contenuti (6 mesi):

• Workshop tematici del Comitato Scientifico

• Redazione progressiva dei diversi articoli della Carta

• Confronto continuativo con gruppi di pazienti e professionisti

• Verifiche di coerenza con il quadro normativo

4. Fase di validazione (2 mesi):

• Consultazione pubblica sulla bozza della Carta

• Raccolta e analisi dei feedback

• Revisione finale dei contenuti

5. Fase di lancio e diffusione (3 mesi e oltre):

• Evento pubblico di presentazione con il coinvolgimento di istituzioni

• Campagna di comunicazione multicanale

• Diffusione presso strutture sanitarie, associa-

zioni, istituzioni

• Traduzioni in diverse lingue per la diffusione internazionale

Metodologia e principi guida

Il processo di elaborazione della Carta è stato caratterizzato da alcuni principi metodologici fondamentali:

• Centralità dell’esperienza del paziente: i bisogni e le esperienze dirette dei pazienti sono stati posti al centro del processo, con un’attenzione particolare alla diversità di manifestazioni e impatti delle patologie allergiche.

• Rigore scientifico: ogni affermazione e rivendicazione contenuta nella Carta è stata supportata da evidenze scientifiche aggiornate e validate dalla comunità scientifica.

• Approccio multidimensionale: la Carta ha considerato le molteplici dimensioni dell’esperienza di malattia (fisica, psicologica, sociale, lavorativa, ecc.) e dei relativi diritti.

• Realismo e fattibilità: pur affermando diritti ideali, la Carta ha mantenuto un approccio pragmatico, tenendo conto dei vincoli di risorse e delle realtà organizzative.

• Sostenibilità: particolare attenzione è stata dedicata alla sostenibilità delle richieste e delle proposte, in una prospettiva di medio-lungo periodo.

• Apertura e inclusività: il processo ha cercato di coinvolgere il più ampio numero possibile di stakeholder, garantendo trasparenza e apertura ai diversi contributi.

Sfide e criticità affrontate

Il processo di elaborazione della Carta ha dovuto affrontare diverse sfide significative:

• Eterogeneità delle patologie allergiche: la varietà di manifestazioni allergiche, con diverse gravità e impatti, ha reso complessa la definizione di diritti validi per tutte le situazioni.

• Bilanciamento tra aspirazioni ideali e fattibilità concreta: la necessità di affermare diritti ambiziosi mantenendo al contempo un approccio realistico e graduale ha richiesto un lavoro di mediazione continuo.

• Coordinamento tra molteplici stakeholder: la pluralità di attori coinvolti, con diverse sensibilità e priorità, ha richiesto uno sforzo significativo di coordinamento e sintesi.

• Risorse limitate: come spesso accade per le iniziative di advocacy dei pazienti, il processo ha dovuto fare i conti con risorse economiche e umane limi-

tate, richiedendo un significativo contributo volontario.

Nonostante queste sfide, il processo ha mantenuto la sua integrità e visione originaria, conducendo alla definizione di un documento ampio, articolato e rappresentativo, che ha saputo cogliere la complessità delle patologie allergiche traducendola in diritti concreti e rivendicazioni puntuali.

Struttura e contenuti della Carta

La “Carta dei diritti delle persone con allergie” si distingue per una struttura articolata e completa, che riflette la complessità delle patologie allergiche e la molteplicità di ambiti in cui i diritti dei pazienti necessitano di essere affermati e tutelati. Un’analisi dettagliata della sua struttura e dei suoi contenuti permette di comprenderne il valore innovativo e l’approccio olistico.

Struttura generale e organizzazione

La Carta si articola in diverse sezioni principali:

1. Preambolo: introduce il contesto epidemiologico e sociale delle patologie allergiche, ne sottolinea l’impatto sulla qualità della vita e sulla società, e afferma i principi fondamentali che ispirano il documento.

2. Articoli: il corpo centrale della Carta è organizzato in articoli tematici, ciascuno dedicato a uno specifico diritto o area di diritti. Ogni articolo comprende:

• Una dichiarazione generale del diritto

• Una spiegazione della sua rilevanza nel contesto delle allergie

• Implicazioni concrete e rivendicazioni specifiche

3. Appendici: la Carta include alcune appendici tecniche che forniscono approfondimenti, dati epidemiologici, riferimenti normativi e glossari, a supporto dei diritti affermati.

4. Firmatari e sostenitori: una sezione finale elenca le organizzazioni che hanno contribuito alla Carta e quelle che ne hanno formalmente sottoscritto i contenuti, elemento importante per la sua legittimazione

Contenuti principali: i diritti affermati

Sintesi del Manifesto dei diritti della persona con allergie respiratorie

Contesto e rilevanza

Le allergie respiratorie rappresentano un problema di salute pubblica di rilevanza mondiale, con circa 350 milioni di persone affette secondo l’OMS. In Italia, circa il 15-20% della popolazione soffre di allergie respiratorie, con tendenza in aumento, soprattutto tra bambini, giovani, adulti e donne. L’impatto è particolarmente significativo sui bambini: il 10% dei bambini di 14 anni soffre di asma, e nell’80% dei casi la causa è allergica.

Queste patologie comportano un consistente onere sociale ed economico per i sistemi sanitari, con costi diretti che rappresentano l’1-2% della spesa sanitaria totale. I costi indiretti, legati ad assenteismo scolastico e lavorativo, nei casi più gravi superano il 50% dei costi complessivi, con un impatto economico superiore a patologie come tubercolosi e infezione da HIV combinate.

Punti chiave del Manifesto

1. Diritti fondamentali e accesso alle cure

Il Manifesto afferma che i diritti delle persone con allergie respiratorie sono gli stessi delle persone senza allergie, con particolare enfasi sulla parità di accesso all’informazione, alla prevenzione, all’educazione terapeutica e ai trattamenti. Un punto cruciale è la richiesta di uniformità di accesso al servizio sanitario su tutto il territorio nazionale, elemento attualmente critico nel panorama italiano.

2. Remissione come obiettivo terapeutico

Un aspetto peculiare e innovativo del documento è il focus sulla remissione delle allergie respiratorie come obiettivo terapeutico primario, non limitandosi al controllo dei sintomi. Il Manifesto sottolinea l’importanza di garantire accesso omogeneo a tutte le terapie esistenti, incluse quelle che modificano la storia naturale della malattia, determinandone la remissione in assenza di terapia steroidea per via sistemica.

3. Ruolo dell’associazionismo

Il documento attribuisce un ruolo fondamentale alle associazioni di pazienti e alle organizzazioni civiche, considerandole risorsa insostituibile di collegamento tra sistema sanitario, pazienti e famiglie. Particolarmente rilevante è la richiesta di includere l’associazionismo nei processi decisionali e nella definizione dell’agenda politico-sanitaria, riconoscendo il valore della “patient evidence” come contributo essenziale all’elaborazione di politiche efficaci.

4. Approccio preventivo e ambientale

Il Manifesto sottolinea l’importanza di strategie preventive efficaci, con particolare attenzione ai fattori di rischio ambientali. Innovativa è l’enfasi posta sui cambiamenti climatici e gli effetti che investono l’anticipazione e il prolungamento delle stagioni polliniche, gli effetti avversi secondari ad eventi estremi (asma da temporale) e l’interazione con gli inquinanti ambientali. In questo contesto si è evidenziato il valore del monitoraggio aerobiologico e la sua relazione con l’inquinamento atmosferico e allergie respiratorie, con la richiesta di promuovere studi sull’interazione tra pollini allergenici e inquinamento, e di attivare protocolli condivisi per la gestione del verde pubblico mirata a ridurre la presenza di specie allergeniche.

5. Educazione terapeutica e continuità assistenziale Un punto di forza del documento è il riconoscimento dell’educazione terapeutica come strumento centrale nella gestione della patologia. Il Manifesto richiede uniformità di accesso alla terapia educazionale su tutto il territorio nazionale e la formazione di personale sanitario e volontari dedicati all’educazione della persona con allergie respiratorie e dei familiari.

6. Attenzione alle fasi di vita e alle fragilità

Il documento dedica sezioni specifiche alle diverse fasi della vita (includendo anche il periodo periconcenzionale e della gravidanza, l’età evolutiva e l’anziano fragile) e a situazioni di particolare vulnerabilità (immigrazione). Particolarmente innovativa è l’attenzione alla transizione dall’età pediatrica all’età adulta, fase critica spesso trascurata nei percorsi assistenziali, e alle necessità specifiche di pazienti con altre malattie croniche e degli anziani fragili, con la richiesta di interventi domiciliari e supporto alle famiglie/caregiver.

7. Ricerca e innovazione tecnologica

Il Manifesto pone forte enfasi sull’investimento in ricerca, non solo clinica ma anche epidemiologica e sociale. Un elemento distintivo è la richiesta di sviluppare piattaforme collaborative per l’integrazione dei dati presenti nei database del Sistema Sanitario Nazionale e l’istituzione di registri di monitoraggio per avere un quadro costantemente aggiornato delle allergie respiratorie sul territorio nazionale, utilizzando anche tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale.

8. Dialogo medico-paziente e approccio multidisciplinare

Il documento sottolinea l’importanza di un’alleanza terapeutica basata su ascolto attivo, comunicazione empatica e dialogo aperto, con verifica regolare non solo dello

stato di salute ma anche della qualità del servizio erogato. Viene evidenziata la necessità di un approccio multidisciplinare con competenze specifiche (mediche, psicologiche, infermieristiche, sociali) per rimuovere le barriere a una corretta gestione delle allergie respiratorie.

Elementi peculiari e innovativi

1. L’adozione di una metodologia partecipativa nella stesura del Manifesto, con il coinvolgimento di associazioni pazienti, organizzazioni civiche, società scientifiche e istituzioni.

2. L’attenzione alle responsabilità oltre che ai diritti delle persone con allergie respiratorie, sottolineando l’importanza dell’aderenza alle terapie e del rispetto delle indicazioni sullo stile di vita.

3. Il riconoscimento esplicito della dimensione territoriale nella gestione delle allergie respiratorie, con la richiesta di un Piano Nazionale e Regionale specifico.

4. L’enfasi sull’uso di nuove tecnologie nella gestione della continuità assistenziale, inclusi telemedicina e intelligenza artificiale.

5. L’attenzione alla diversità culturale e all’adattamento dei programmi di cura alle usanze dettate dalle tradizioni culturali e religiose degli immigrati.

6. Approccio life-course: la Carta adotta un approccio che segue l’intero percorso di vita del paziente allergico, dalle prime manifestazioni in età infantile fino all’anzianità, con attenzione specifica alle diverse fasi e transizioni.

7. Integrazione tra dimensione sanitaria e sociale: a differenza di molti documenti analoghi focalizzati prevalentemente sugli aspetti sanitari, la Carta dedica ampio spazio alle dimensioni sociali, lavorative, educative e ambientali delle allergie.

8. Attenzione alla diversità: la Carta riconosce e valorizza la diversità delle manifestazioni allergiche e delle esperienze individuali, evitando generalizzazioni eccessive e garantendo spazio alle specificità di diverse forme di allergia.

9. Orientamento all’azione: ogni diritto affermato è accompagnato da indicazioni concrete per la sua implementazione, con responsabilità chiaramente

attribuite a diversi attori (istituzioni, professionisti, associazioni, ecc.).

10. Prospettiva internazionale: pur nascendo nel contesto italiano, la Carta adotta una prospettiva europea e internazionale, facendo riferimento a standard e buone pratiche di diversi paesi e a documenti sovranazionali.

11. Approccio evidence-based: ogni affermazione e rivendicazione è supportata da evidenze scientifiche aggiornate, con riferimenti espliciti alla letteratura più recente.

12. Attenzione alla sostenibilità: la Carta affronta esplicitamente il tema della sostenibilità ambientale

Il Manifesto si configura come uno strumento utile che affronta le allergie respiratorie non solo nella loro dimensione clinica ma anche sociale, economica e ambientale, proponendo un approccio integrato che coinvolge tutti gli stakeholder e pone al centro la persona con allergie respiratorie in tutte le fasi della vita e in tutti i contesti sociali e relazionali.

5.6 ALFABETIZZAZIONE SANITARIA & BENESSERE

• IL CASO DELLA ANALISI DEI FATTORI CHE INFLUENZANO L’ADERENZA TERAPEUTICA PER LA COSTRUZIONE DI UN MODELLO PREVISIONALE BASATO SU MACHINE LEARNING

a cura di Lucio Corsaro

L’aderenza terapeutica, intesa come la corrispondenza tra il comportamento del paziente e le indicazioni condivise con il professionista sanitario, rappresenta una sfida prioritaria nella gestione delle patologie croniche. Una bassa aderenza comporta una riduzione dell’efficacia terapeutica, un aumento dei costi sanitari e un peggioramento degli esiti clinici (WHO, 2003).

Per rispondere a questa criticità, BHAVE ha sviluppato il DA.BA. Tool (DigitAI Behaviour Analysis), un sistema di raccolta e analisi dati avanzato, basato sull’integrazione di variabili statiche e dinamiche attraverso modelli di machine learning. Il presente articolo illustra le fasi di sviluppo del modello e approfondisce i principali determinanti dell’aderenza terapeutica, con l’obiettivo di identificare i predittori più rilevanti e le implicazioni per la personalizzazione degli interventi clinici.

IL DA.BA. TOOL: UN APPROCCIO INTEGRATO E PREDITTIVO

Il DA.BA. Tool si articola in sette fasi sequenziali:

1. Analisi dei dati: Costruzione del dataset normalizzato a partire da questionari validati in diverse aree cliniche (sclerosi multipla, diabete, asma, BPCO, ecc.).

2. Sviluppo di un regressore: Addestramento di un algoritmo basato su alberi decisionali per restituire un punteggio di aderenza specifico per patologia.

3. Validazione tramite SHAP Values: Uso di explainable AI (SHAP, LIME) per determinare l’importanza relativa delle feature.

4. Bayesian Network: Modellazione delle relazioni causali tra le variabili.

5. Architettura software: Definizione dei servizi per istanziare e gestire il modello.

6. Frontend interattivo: Dashboard per la visualizzazione dei risultati.

7. Backend e servizi: Integrazione con database e protocolli cloud per il deploy.

APPROFONDIMENTO SUL MODELLO DI MACHINE LEARNING IMPIEGATO DA DA.BA. TOOL

Il cuore predittivo del DA.BA. Tool è rappresentato da un algoritmo di regressione basato su modelli ensemble, in particolare Gradient Boosting Machines (GBM), con sperimentazioni su XGBoost e LightGBM per ottimizzare la performance su dataset ad alta dimensionalità e con dati eterogenei.

Durante la fase di sviluppo:

• Sono stati condotti test comparativi tra modelli tradizionali (alberi decisionali, Random Forest) e modelli deep learning (LSTM/GRU) per dati longitudinali.

• La scelta finale ha privilegiato modelli interpretabili tramite SHAP values, per mantenere trasparenza clinica.

• Sono state adottate tecniche di oversampling (SMOTE) per bilanciare i dataset con casi di nonaderenza sottorappresentati.

• Il modello è stato addestrato e validato con tecniche di cross-validation temporale, per garantire robustezza su predizioni future.

L’integrazione con una Bayesian Network ha consentito di rappresentare visualmente le relazioni causali emerse tra le variabili predittive, rafforzando l’utilizzo clinico del sistema come strumento di supporto alle decisioni (CDSS).

T ERAPEUTICA

Le scienze comportamentali forniscono un framework teorico fondamentale per comprendere e predire l’aderenza terapeutica, integrando aspetti psicologici, sociali e cognitivi che influenzano il comportamento del paziente. L’approccio del DA.BA. Tool si distingue per l’integrazione di modelli comportamentali come l’Health Belief Model, la Teoria del Comportamento Pianificato e il Modello Transteorico del Cambiamento. L’analisi include inoltre bias cognitivi (come disponibilità, conferma e bias

del presente) e principi di neuroscienze comportamentali (dual system, loss aversion, anchoring). Questi elementi permettono di considerare non solo gli aspetti clinici ma anche quelli psicosociali che influenzano l’aderenza. L’in-

corporazione di queste prospettive nel DA.BA. Tool rappresenta un avanzamento significativo rispetto ai modelli tradizionali basati esclusivamente su variabili demografiche e cliniche.

Teoria del Comportamento Pianificato (TPB)

Il modello delle credenze sulla salute identifica quattro costrutti chiave che il DA.BA. Tool integra attraverso specifiche feature:

• Suscettibilità percepita: Valutata tramite questionari sulla percezione del rischio di progressione della malattia

• Severità percepita: Misurata attraverso scale di impatto della patologia sulla qualità di vita

• Benefici percepiti: Quantificati mediante assessment dell'efficacia percepita del trattamento

• Barriere percepite: Identificate attraverso l'analisi di ostacoli logistici, economici e psicologici

La TPB contribuisce al modello predittivo attraverso:

• Atteggiamenti verso il comportamento: Sentiment analysis delle verbalizzazioni del paziente riguardo al trattamento

• Norme soggettive: Valutazione dell'influenza del supporto sociale e familiare

• Controllo comportamentale percepito: Assessment dell'auto-efficacia e del locus of control

Transteorico

Modello Transteorico del Cambiamento (TTM)

Il DA.BA. Tool classifica i pazienti nelle diverse fasi del cambiamento:

• Pre-contemplazione: Pazienti inconsapevoli della necessità del trattamento

• Contemplazione: Soggetti che riconoscono il problema ma sono ambivalenti

• Preparazione: Individui pronti ad iniziare il trattamento

• Azione: Pazienti che stanno attivamente seguendo la terapia

• Mantenimento: Soggetti con aderenza consolidata nel tempo

MODELLI TEORICI COMPORTAMENTALI APPLICATI

Bias cognitivi e euristiche nell’aderenza

Il modello incorpora specifici bias cognitivi che influenzano le decisioni terapeutiche:

Bias di disponibilità

I pazienti tendono a sovrastimare eventi rari ma memorabili (effetti collaterali gravi) rispetto a benefici a lungo termine meno percettibili. Il DA.BA. Tool quantifica questo bias attraverso:

• Analisi delle ricerche web del paziente su effetti collaterali

• Questionari sulla recall di eventi avversi

• Tracking delle interazioni con forum online di pazienti

Bias di conferma

La tendenza a cercare informazioni che confermano credenze preesistenti viene rilevata tramite:

• Pattern di utilizzo di app di salute

• Selezione di fonti informative

• Compliance selettiva a raccomandazioni mediche

Bias del presente

La preferenza per benefici immediati rispetto a quelli futuri è misurata attraverso:

• Test di discount temporale

• Preferenze dichiarate per formulazioni a rilascio ra-

Health Belief Model (HBM)
Modello
del Cambiamento (TTM)
Teoria del Comportamento Pianificato (TPB)
Health Belief Model (HBM)

pido vs prolungato

• Comportamenti di procrastinazione nell’assunzione

NEUROSCIENZE COMPORTAMENTALI

E DECISION-MAKING

L’integrazione di elementi delle neuroscienze comportamentali nel DA.BA. Tool include:

Sistema duale di processamento

Il modello distingue tra:

• Sistema 1 (automatico): Abitudini consolidate, riflessi condizionati, decisioni euristiche

• Sistema 2 (controllato): Decisioni ponderate, calcolo rischio-beneficio, pianificazione a lungo termine

Feature specifiche per ciascun sistema:

• Indicatori di automaticità comportamentale (routine consolidate)

• Markers di deliberazione cognitiva (tempo speso nella valutazione delle opzioni)

Neuroeconomia della salute

Applicazione di principi di neuroeconomia per predire scelte terapeutiche:

• Loss aversion: I pazienti percepiscono più intensamente le perdite (effetti collaterali) rispetto ai guadagni (benefici terapeutici)

• Framing effects: L’aderenza varia significativamente in base alla modalità di presentazione delle informazioni

• Anchoring bias: Le prime informazioni ricevute influenzano disproportionatamente le decisioni successive

ELEMENTI DELL’INTERAZIONISMO SIMBOLICO NELL’ADERENZA TERAPEUTICA

L’interazionismo simbolico, teoria sociologica sviluppata da George Herbert Mead e Herbert Blumer, fornisce un framework particolarmente rilevante per comprendere come i pazienti costruiscono significati attorno alla propria esperienza terapeutica e come questi significati influenzino l’aderenza. Il DA.BA. Tool considera anche i principi dell’interazionismo simbolico per analizzare i significati attribuiti alla malattia, al farmaco e alla routine terapeutica. Le interazioni sociali, la percezione del sé e i rituali terapeutici sono variabili significative incorporate nel modello attraverso tecniche di NLP, Social Network Analysis e tracciamento simbolico longitudinale.

I TRE PRINCIPI FONDAMENTALI APPLICATI ALL’ADERENZA

Primo principio: Significato e azione. Gli individui agiscono verso le cose sulla base del significato che queste hanno per loro. Nel contesto terapeutico, il DA.BA. Tool analizza:

• Significato attribuito alla malattia: La patologia può essere percepita come punizione, sfida, parte dell’identità o evento casuale

• Significato del farmaco: Il medicinale può rappresentare salvezza, controllo esterno, perdita di autonomia o simbolo di vulnerabilità

• Significato della routine terapeutica: L’assunzione può essere vissuta come rituale protettivo, imposizione medica o promemoria della malattia

Feature del modello derivate da questo principio:

• Semantic analysis delle narrazioni del paziente sulla propria condizione

• Categorizzazione delle metafore utilizzate per descrivere la terapia

• Assessment dell’identità di malato vs identità di persona sana in trattamento

Secondo principio: Costruzione sociale del significato I significati derivano dalle interazioni sociali. Il DA.BA. Tool incorpora:

• Interazioni medico-paziente: Qualità comunicativa, empatia percepita, condivisione decisionale

• Influenze del network sociale: Opinioni di familiari, amici, altri pazienti

• Rappresentazioni culturali: Stigma associato alla patologia, credenze culturali sui farmaci

Variabili specifiche:

• Net Promoter Score del rapporto medico-paziente

• Analisi del sentiment delle discussioni in gruppi di supporto online

• Indici di stigma sociale percepito

Terzo principio: Interpretazione e modifica dei significati I significati vengono continuamente interpretati e modificati attraverso l’autoriflessione. Il modello cattura:

• Evoluzione temporale delle credenze: Come cambiano le percezioni durante il percorso terapeutico

• Momenti di riflessione critica: Eventi che innescano riconsiderazione del trattamento

• Processi di rinegoziazione: Come il paziente adatta i significati a nuove esperienze

MECCANISMI DI COSTRUZIONE

DEL SIGNIFICATO NELL’ADERENZA

Role-taking e prospettiva del medico I pazienti aderenti tendono ad assumere la prospettiva del professionista sanitario, sviluppando quella che Mead definiva “capacità di role-taking”. Il DA.BA. Tool valuta:

• Grado di identificazione con gli obiettivi terapeutici del medico

• Capacità di anticipare le conseguenze mediche della non-aderenza

• Interiorizzazione delle raccomandazioni come proprie convinzioni

Sé specchiato (Looking-glass self) L’identità del paziente si forma anche attraverso il riflesso delle reazioni altrui. Variabili considerate:

• Percezione di come gli altri vedono la propria condizione di salute

• Impatto dell’approval sociale sull’aderenza

• Influenza delle aspettative familiari sul comportamento terapeutico

Definizione della situazione Secondo il teorema di Thomas, “se gli individui definiscono le situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”. Il modello analizza:

• Come il paziente definisce la propria situazione di salute

• Percezione della gravità della condizione

• Interpretazione dell’urgenza terapeutica

RITUALI TERAPEUTICI E ROUTINE SIMBOLICHE

L’interazionismo simbolico evidenzia l’importanza dei rituali nella costruzione di significato. Il DA.BA. Tool identifica:

Rituali di assunzione

• Timing simbolico (es. associazione con momenti significativi della giornata)

• Spazi dedicati per l’assunzione

• Sequenze comportamentali ripetitive che conferiscono senso di controllo

Oggetti simbolici

• Pillbox come simbolo di organizzazione e cura di sé

• App di salute come estensione dell’identità digitale

• Ricette mediche come simboli di legittimazione

Performance dell’aderenza

• Come i pazienti “mettono in scena” la propria aderenza di fronte ai medici

• Discrepanza tra aderenza dichiarata e reale

• Gestione delle impressioni durante le visite mediche

INTEGRAZIONE NEL MODELLO PREDITTIVO

Il DA.BA. Tool incorpora gli elementi dell’interazionismo simbolico attraverso:

Natural Language Processing

• Analisi semantica dei colloqui medico-paziente per identificare frame interpretativi

• Sentiment analysis delle narrazioni autobiografiche sui social media

• Categorizzazione delle metafore utilizzate per descrivere l’esperienza di malattia

Social Network Analysis

• Mappatura delle reti di influenza sociale

• Identificazione dei “significant others” nel processo decisionale

• Analisi delle dinamiche di gruppo nei forum di pazienti

Longitudinal Symbolic Tracking

• Monitoraggio dell’evoluzione dei significati nel tempo

• Identificazione di turning points nella costruzione dell’identità di paziente

• Predizione di cambiamenti nell’aderenza basati su shift simbolici

IMPLEMENTAZIONE COMPORTAMENTALE

NEL DA.BA. TOOL

L’integrazione delle scienze comportamentali si traduce in specifiche feature del modello:

Feature psicometriche

• Scale validate per Health Beliefs (HBM-S)

• Questionari Big Five per tratti di personalità

• Assessment del locus of control sanitario

• Misure di self-efficacy specifica per patologia

Behavioral tracking

• Pattern di utilizzo di app di salute

• Timing di assunzione dei farmaci

• Frequenza di ricerche online su tematiche mediche

• Interazioni con contenuti educazionali

Social sensing

• Analisi del supporto sociale percepito

• Sentiment analysis dei post sui social media

• Network analysis delle relazioni significative

• Assessment dell’influenza del caregiver

RISULTATI PREDITTIVI E IMPLICAZIONI CLINICHE

L’integrazione delle scienze comportamentali ha incrementato l’accuratezza predittiva del DA.BA. Tool del 23% rispetto ai modelli basati su sole variabili cliniche e demografiche. I miglioramenti più significativi si osservano in:

• Predizione di drop-out precoci (+31% di accuratezza)

• Identificazione di pazienti a rischio intermittente (+28% di accuratezza)

• Timing ottimale per interventi motivazionali (+19% di precisione)

Le implicazioni cliniche includono:

• Personalizzazione della comunicazione medico-paziente basata sul profilo comportamentale

• Timing ottimizzato per interventi educazionali

• Strategie di nudging personalizzate per migliorare l’aderenza

• Identificazione precoce di pazienti necessitanti supporto psicologico

ESEMPI PRATICI, COM-B E SIMULAZIONI DEL MODELLO DA.BA. TOOL

Il modello COM-B a supporto delle raccomandazioni personalizzate

A completamento dei modelli teorici sopra descritti, il DA.BA. Tool adotta anche la logica del modello COM-B per strutturare le raccomandazioni e le strategie di intervento comportamentale finalizzate al miglioramento dell’aderenza terapeutica. Il modello COM-B si basa su tre componenti fondamentali che condizionano ogni comportamento: Capacità (Capability), Opportunità (Opportunity) e Motivazione (Motivation). Nel sistema DA.BA., la Capacità del paziente è valutata sia nella sua dimensione fisica (abilità a somministrarsi il farmaco, presenza di deficit cognitivi) sia psicologica (alfabetizzazione sanitaria, autoefficacia). Le raccomandazioni derivanti da questa analisi possono includere interventi educativi personalizzati, materiali semplificati, o reminder adattati alle capacità cognitive e digitali del paziente.

L’Opportunità, intesa come insieme di fattori ambientali e sociali che facilitano o ostacolano il comportamento, è analizzata attraverso dati sulla distanza dai centri di cura, accessibilità ai farmaci, supporto sociale e presenza di caregiver. In base a questi elementi, il sistema può suggerire soluzioni come la consegna domiciliare dei farmaci, il coinvolgimento del caregiver o l’utilizzo di canali digitali per il follow-up.

Infine, la Motivazione, che comprende sia meccanismi automatici (abitudini, spinte emotive) sia riflessivi (credenze, intenzioni), è esplorata grazie all’integrazione dei modelli HBM e TPB, ai test di decision-making (es. discount temporale), e all’analisi dei frame simbolici. Gli interventi motivazionali raccomandati includono tecniche di nudging, storytelling personalizzato, e momenti di rinforzo positivo per consolidare la routine terapeutica.

Attraverso il modello COM-B, il DA.BA. Tool permette di individuare le leve specifiche da attivare per ogni paziente, rendendo le raccomandazioni operative coerenti con i determinanti reali del comportamento osservato.

L’uso combinato di COM-B e modelli predittivi consente quindi di passare da una previsione del rischio a un piano d’azione comportamentale personalizzato.

Di seguito sono riportati tre esempi reali che illustrano come il DA.BA. Tool possa tradurre una vasta gamma di dati individuali in previsioni personalizzate e suggerimenti operativi.

•Età: 54 anni

•Genere: femminile

•Livello di istruzione: medio

•Patologia cronica con andamento episodico

•Regime terapeutico: iniettivo mensile

•Tratti di personalità: alta coscienziosità, moderato nevroticismo

•Utilizzo app salute: attivo

•Supporto familiare: presente

•Ultima ricaduta: 5 mesi fa Punteggio di aderenza previsto : 82%

Fattori con impatto positivo : auto-efficacia, utilizzo regolare dell'app salute, supporto familiare

Fattori con impatto negativo : percezione ciclica della patologia, eventi stressanti recenti

Raccomandazioni :

• Notifiche personalizzate via app

•Counseling su gestione dello stress

•Follow-up medico più ravvicinato postricadute

•Età: 62 anni

• Genere: maschile

•Livello di istruzione: basso

•Regime terapeutico: associazione fissa (statina + ezetimibe)

•Complessità percepita: alta

• Autoefficacia: media

• Attitudine al digitale: buona (uso quotidiano di app per salute e promemoria)

•Supporto sociale: limitato

•Distanza dal centro sanitario: oltre 30 km

•Preoccupazioni per effetti collaterali: presenti

•Partecipazione a programmi di supporto: occasionale

Punteggio di aderenza previsto : 68% Fattori con correlazione positiva :

• Complessità_utilizzo (+0.13): maggiore percezione di gravità = maggiore attenzione

• Costo_copagamento (+0.09): contribuisce a percepire valore della terapia

• Autoefficacia (+0.08), Attitudine_digitale (+0.07), Preoccupazioni_trattamento (+0.05)

Fattori con impatto negativo :

• Distanza_strutture (0.60): ostacolo primario all'aderenza

• Supporto_sociale ( 0.15), Presenza_limitazioni_funzionali ( 0.13), Impatto_qualità_vita ( 0.11),

Partecipazione_programmi_sup porto ( 0.10)

Raccomandazioni:

•Attivare servizio di consegna domiciliare dei farmaci

•Valutare modalità di telemonitoraggio o follow-up da remoto

• Inviare contenuti educativi e rassicuranti sull'efficacia del trattamento tramite canali digitali

• Età: 68 anni

•Genere: femminile

•Livello di istruzione: alto

•Diagnosi di osteoporosi postmenopausale da 4 anni

•Trattamento: farmaco biologico iniettivo somministrato in ospedale ogni 6 mesi

•Comorbidità: lieve artrite reumatoide, in trattamento con FANS

• Supporto familiare: figlia caregiver coinvolta

•Attitudine digitale: scarsa

• Autoefficacia: alta per le terapie domiciliari, bassa per procedure ospedaliere

• Barriere logistiche: vive a 15 km dal centro prescrittore, con trasporto pubblico limitato

•Percezione della patologia: bassa priorità soggettiva, assenza di sintomi percepiti

•Preoccupazione effetti avversi: modesta

Punteggio di aderenza previsto: 58%

Fattori con impatto positivo :

•Supporto caregiver presente

•Livello di istruzione alto (migliore comprensione del razionale clinico)

Fattori con impatto negativo :

• Difficoltà logistiche nell'accesso alla struttura

•Scarsa percezione della malattia (assenza sintomi)

•Attitudine digitale bassa (mancato uso promemoria, notifiche)

Raccomandazioni :

• Invio promemoria personalizzati tramite SMS o telefonata automatizzata

•Coinvolgimento attivo della figlia caregiver nella gestione degli appuntamenti

•Fornitura di materiale educativo visivo per rafforzare la consapevolezza dell'efficacia del trattamento

•Esplorazione di opzioni di trasporto agevolato in collaborazione con enti locali

Caso 1: Sclerosi Multipla Caso 2: Dislipidemie
Caso 3: Osteoporosi

DETERMINANTI DELL’ADERENZA TERAPEUTICA:

EVIDENZE E IMPLICAZIONI

L’analisi condotta ha individuato sei macro-aree di variabili influenti:

Caratteristiche del farmaco e packaging: Usabilità, design emozionale, presenza di sistemi intelligenti (Granger & Bosworth, 2011).

Foglietto illustrativo: Comprensibilità, bilanciamento rischio-beneficio, personalizzazione culturale (Horne et al., 2013).

Formulazione farmaceutica: Facilita l’assunzione e riduce la frequenza (Sapkota et al., 2015).

Patologia e impatto percepito: Patologie croniche asintomatiche mostrano tassi più bassi di aderenza (Conn et al., 2016).

Profilo del paziente: Età, alfabetizzazione sanitaria, locus of control, tratti di personalità (Big Five), coping (Kardas et al., 2013).

Comorbidità e polifarmacoterapia: Depressione, compromissione cognitiva e regimi complessi riducono l’aderenza.

VARIABILI STATICHE E DINAMICHE

NEL MODELLO PREVISIONALE

Il modello distingue tra:

Variabili statiche (es. età, genere, cronicità della patologia)

Variabili dinamiche (es. sintomi fluttuanti, eventi di vita, utilizzo di app, interazioni digitali)

L’inclusione delle dinamiche consente un incremento del 15-25% nell’accuratezza predittiva. Sono state sperimentate anche tecnologie wearable e IoT, utili per integrare dati comportamentali passivi (JMIR, 2018).

IMPLEMENTAZIONE E SFIDE ETICHE

La realizzazione pratica del modello implica la gestione di:

Dati eterogenei e potenzialmente mancanti

Bias di selezione legati alla partecipazione volontaria Privacy e consenso informato, specialmente per l’uso di dati passivi

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE

L’aderenza è un fenomeno multifattoriale e dinamico. L’approccio proposto da DA.BA. Tool consente di:

Predire con accuratezza il rischio di non-aderenza

Personalizzare gli interventi clinici

Integrare componenti educative, motivazionali e digitali

L’integrazione delle scienze comportamentali e dell’in-

terazionismo simbolico rappresenta un avanzamento significativo nella comprensione e predizione dell’aderenza terapeutica, fornendo un framework più completo e nuanced per l’analisi del comportamento del paziente.

In prospettiva, il DA.BA. Tool si configura come uno strumento di riferimento per la medicina personalizzata e per le politiche sanitarie orientate al miglioramento dell’aderenza terapeutica. La sua forza risiede nella capacità di tradurre evidenze psicologiche, sociologiche e tecnologiche in raccomandazioni cliniche concrete, migliorando la qualità dell’interazione tra pazienti, professionisti e sistema salute.

RIFERIMENTI SELEZIONATI

WHO. Adherence to long-term therapies: evidence for action. 2003.

Horne R. et al. (2013). PLoS One, 8(12):e80633.

Conn VS et al. (2016). Res Soc Adm Pharm.

Kardas P. et al. (2013). Front Pharmacol, 4:91.

Granger BB, Bosworth HB. (2011). Curr Opin Cardiol. Sapkota S. et al. (2015). PLoS One.

JMIR Res Protoc. (2018). 7(9):e176.

Lipovetsky S., Conklin M. (2001). Appl Stochastic Models Bus Ind.

Ribeiro M.T. et al. (2016). KDD Conf.

Mead, G. H. (1934). Mind, Self, and Society. University of Chicago Press.

Blumer, H. (1969). Symbolic Interactionism: Perspective and Method. Prentice-Hall.

Kahneman, D. (2011). Thinking, Fast and Slow. Farrar, Straus and Giroux.

Thaler, R. H., & Sunstein, C. R. (2008). Nudge: Improving Decisions About Health, Wealth, and Happiness. Yale University Press.

IL CASO DEL RITARDO DIAGNOSTICO IN IBS (SINDROME DEL

COLON IRRITABILE)

a cura di Lorena Trivellato

La Sindrome del Colon Irritabile (IBS) è una condizione cronica e multifattoriale che colpisce una parte significativa della popolazione mondiale, con una prevalenza stimata intorno al 10% in un dato momento e fino al 40% nel corso della vita (Linedale et al., 2017; Pimentel, 2018). Nonostante questi numeri elevati, l’IBS rimane spesso una malattia “invisibile”: poco discussa, frequentemente banalizzata e relegata a una posizione marginale nelle priorità del sistema sanitario (Carter, 2024). Questa sottovalutazione ha tuttavia profonde implicazioni sul percorso diagnostico, e sul ritardo a cui esso troppo frequentemente va incontro. Non solo infatti la maggior parte dei pazienti si trovano ad affrontare periodi molto lunghi con sintomi debilitanti senza una risposta chiara, ma il ritardo diagnostico stesso diventa parte integrante del carico di malattia (o burden of disease), alimentando frustrazione, ansia e insoddisfazione.

Il ritardo medio di circa quattro anni per ottenere una diagnosi negli Stati Uniti, con dati simili anche in Europa (Carter, 2024), è la manifestazione concreta di un sistema diagnostico ad oggi ancora eccessivamente frammentato e inefficiente, per ragioni molteplici e che si intrecciano in modo complesso. Una delle cause principali risiede nella persistente percezione dell’IBS come una diagnosi di esclusione: nonostante le linee guida più aggiornate incoraggino un approccio diagnostico positivo, basato su criteri clinici e sintomi caratteristici come quelli definiti dai criteri di Roma IV, nella pratica quotidiana molti medici continuano a interpretare l’IBS come una condizione da diagnosticare solo dopo aver escluso ogni altra possibile patologia organica (Linedale et al., 2017; Carter 2024): un dato emblematico sempre in ambito statunitense rivela come il 72% dei medici di base e medici non esperti operanti sul territorio continui a percepire l’IBS in questi termini, contro appena l’8% degli specialisti gastroenterologi (Pimentel, 2018). Tutto ciò si traduce in un ricorso eccessivo a test diagnostici, spesso poco utili, che finiscono per allungare i tempi diagnostici senza incrementare l’accuratezza o l’efficacia delle diagnosi, ma piuttosto alimentando il senso di frustrazione del paziente.

Questo approccio diagnostico ha ovviamente una causa ben precisa, e bisogna farlo risalire alla natura stessa dei

sintomi dell’IBS: il dolore addominale e le alterazioni dell’alvo, sintomi cardinali della sindrome, non sono esclusivi di questa condizione ma si sovrappongono a quelli di numerose altre patologie, come le malattie infiammatorie croniche intestinali, la celiachia o perfino disturbi benigni come le emorroidi. In uno studio italiano è emerso che l’errore diagnostico più frequente nei pazienti con IBD consisteva proprio nell’essere inizialmente classificati come affetti da IBS. Questo fenomeno crea una sorta di paradosso diagnostico: da un lato, l’IBS continua a essere interpretata come una diagnosi residuale, da formulare per esclusione rispetto ad altre patologie e da un punto di vista comportamentale quindi il medico, per timore di trascurare una patologia organica, può ritardare l’attribuzione di una diagnosi funzionale, moltiplicando gli esami e i controlli; dall’altro lato, proprio perché i sintomi dell’IBS si sovrappongono ad altre malattie, accade anche il contrario cioè pazienti che in realtà hanno una malattia organica o autoimmune (come ad esempio la IBD o la celiachia) all’inizio possono essere etichettati come IBS, perché i sintomi sembrano banali o non specifici (Cantoro et al., 2024).

Sebbene abbiamo parlato di un approccio diagnostico più positivo, un altro elemento critico è rappresentato dall’assenza di un test diagnostico definitivo (Lv H et al., 2024). La diagnosi di IBS si fonda infatti su criteri sintomatologici e richiede un’attenta valutazione clinica, supportata solo da alcuni esami mirati ad escludere condizioni alternative e ciò implica che il processo diagnostico debba basarsi in larga parte sull’esperienza e sulla capacità interpretativa del medico, qualità che non sempre sono supportate da una formazione specifica o da un aggiornamento costante sulle linee guida più recenti.

Bisogna poi sottolineare come a pesare sia anche il gap di conoscenze tra specialisti e medici di medicina generale, per cui in molti contesti, i medici di base dispongono di informazioni parziali o superate riguardo alle modalità di diagnosi dell’IBS, e tendono quindi a prolungare le indagini diagnostiche, ordinando esami non necessari o ritardando il rinvio a uno specialista (Lv H et al., 2024). Inoltre, alcuni studi hanno rilevato come perfino gli specialisti tendano a utilizzare un linguaggio diagnostico in-

certo e meno assertivo quando comunicano diagnosi di disturbi funzionali, rispetto a quanto avviene per le patologie organiche, aumentando così l’incertezza percepita dai medici di base e dai pazienti stessi. (Linedale et al., 2024)

A tutto questo si aggiungono i cosiddetti fattori pazientedipendenti: il tempo che intercorre tra l’insorgenza dei primi sintomi e la decisione di consultare un medico può essere infatti sorprendentemente lungo. In assenza di dati specifici sulla IBS, ma rimanendo nella stessa area, uno studio italiano sulla malattia infiammatoria intestinale (IBD) ha mostrato che questo ritardo era in media di quasi undici mesi (Cantoro et al., 2017), ben superiore ai tempi di attesa attribuibili al sistema sanitario, un dato che potrebbe farci immaginare delle tempistiche persino superiori per la IBS. La paura, l’imbarazzo nel discutere sintomi intestinali, o la tendenza a minimizzare i disturbi possono essere solo alcuni dei fattori che possiamo ipotizzare portino a ritardare la ricerca di aiuto, aggravando ulteriormente il percorso diagnostico e la qualità di vita del soggetto.

LA QUALITÀ DI VITA DEI SOGGETTI

È proprio questo uno degli aspetti da attenzionare; queste difficoltà, infatti, non hanno solo implicazioni cliniche, ma si riflettono profondamente sulla qualità di vita dei pazienti in quanto la sindrome del colon irritabile compromette il benessere in molteplici dimensioni, non solo fisiche, ma anche psicologiche e sociali (Pimentel, 2018; Carter 2024). Alcuni studi (Pimentel, 2018) hanno dimostrato che la qualità di vita dei pazienti con IBS è significativamente inferiore rispetto a quella della popolazione generale, e per alcune misure anche rispetto ad individui affetti da altre malattie croniche come il diabete o il reflusso gastroesofageo in quanto il dolore persistente, il gonfiore addominale, la necessità di avere costantemente accesso a un bagno e le restrizioni alimentari imposte dalla sintomatologia finiscono per limitare le attività quotidiane, ridurre le opportunità sociali e incidere sul rendimento lavorativo.

Il prolungarsi del percorso diagnostico, associato alla natura cronica, altalenante e imprevedibile dei sintomi, può contribuire inoltre a generare ansia e depressione in molti pazienti, alcuni dei quali sviluppano una forma di ipervigilanza verso le sensazioni corporee (Linedale et al., 2017), una sorta di “ansia gastrointestinale” che amplifica la percezione del dolore e dei fastidi intestinale; in una sindrome fortemente condizionata dall’impatto dello

stress, si può dunque facilmente immaginare come tale condizione, a sua volta, possa esacerbare i sintomi, alimentando un ciclo di stress e peggioramento clinico di lunga durata.

E non meno rilevante è il senso di frustrazione e insoddisfazione che molti pazienti riportano nei confronti del sistema sanitario, con la frequente percezione di non essere creduti o di essere sottovalutati, di ricevere diagnosi vaghe o minimizzanti, o di essere abbandonati in un limbo diagnostico senza risposte concrete che mina la fiducia nel percorso di cura. Talvolta questa insoddisfazione può spingere i pazienti a cercare anche risposte alternative, rivolgendosi a terapie non convenzionali, con il rischio di esporsi a trattamenti che si rivelano di frequente inefficaci, costosi o potenzialmente dannosi (Linedale et al., 2017)

Come per molte altre condizioni e patologie, l’assenza di una diagnosi chiara non rappresenta solo una mancanza di etichetta clinica, ma si traduce in una percezione di incertezza e timore verso il proprio corpo che accompagna il paziente quotidianamente. In alcuni casi, sorge anche la preoccupazione che una malattia più grave sia stata in realtà trascurata, e che i sintomi

siano il segnale di una condizione non diagnosticata, e ciò contribuisce ulteriormente ad aumentare l’ansia, ridurre la qualità della vita e incentivare talvolta un utilizzo inappropriato delle risorse sanitarie che si aggiunge ai fattori che gravano sulla sostenibilità economica del SSN (si pensi ad esempio l ricorso ripetuto ad esami endoscopici e radiologici non necessari, o all’accesso improprio ai pronto soccorso per la gestione di sintomi cronici senza una diagnosi definitiva).

Come già accennato, tali problematiche di accesso tempestivo alla diagnosi dell’IBS si inseriscono in un circolo vizioso, fatto di ritardi diagnostici che alimentano l’ansia e la frustrazione, che a loro volta possono aggravare i sintomi, prolungare la ricerca di una causa organica e incrementare il ricorso a esami e consulenze.

QUALI SOLUZIONI?

Alla luce delle problematiche evidenziate, è evidente che serve un approccio multidimensionale, con alcune possibili azioni concrete, da implementare a livello istituzionale e di politiche sanitarie, che includono:

Formazione obbligatoria e continua per i MMG: la promozione di corsi obbligatori di aggiornamento sull’IBS e sulle nuove linee guida (in particolare sull’approc-

cio diagnostico) potrebbe ridurre significativamente il gap tra conoscenze accademiche e pratica clinica; Questa formazione dovrebbe includere non solo aspetti clinici, ma anche competenze comunicative per una gestione empatica e rassicurante del paziente che ha bisogno, e ragione, di sentirsi creduto ed ascoltato.

Linee guida nazionali vincolanti: sebbene esistano linee guida internazionali (come i criteri di Roma IV), spesso la loro adozione è lasciata alla discrezionalità dei singoli professionisti. L’introduzione di linee guida nazionali vincolanti e integrate nei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) potrebbe standardizzare l’approccio alla diagnosi, evitando indagini non necessarie e riducendo i tempi.

Campagne di sensibilizzazione pubblica: l’obiettivo è rompere i tabù legati ai disturbi intestinali, con campagne di informazione rivolte alla popolazione generale, che puntino a ridurre lo stigma, favorire la consapevolezza dei soggetti e incoraggiare una consultazione precoce con lo specialista gastroenterologo.

Creazione di ambulatori multidisciplinari per i disturbi funzionali gastrointestinali: la possibile istituzione di ambulatori specialistici, che includano gastroenterologi, dietisti, psicologi e infermieri specializzati, permetterebbe una presa in carico integrata, migliorando la qualità delle cure e riducendo la frammentazione assistenziale.

Monitoraggio e valutazione delle performance diagnostiche: Introdurre sistemi di monitoraggio degli indicatori di performance legati ai tempi diagnostici per l’IBS, simili a quelli utilizzati per altre patologie croniche, potrebbe incentivare una maggiore attenzione istituzionale al problema e portare nel tempo ad una riduzione sostanziale del ritardo diagnostico.

CONCLUSIONI

La sfida della diagnosi dell’IBS è indice di una tensione che si stabilisce molto frequentemente quando si ha a che fare con malattie sfuggenti, ma altamente dolorose, ovvero quella tra biomedicina e malattia soggettiva, tra la ricerca di una causa organica e il riconoscimento della sofferenza anche in assenza di prove biologiche. E riflettere su queste dinamiche ci spinge a interrogarci su cosa significhi davvero diagnosticare: ad oggi siamo sempre più consapevoli di come l’atto della diagnosi non consiste solo nell’attribuire un’etichetta clinica, ma dare significato ai sintomi, offrire un contenitore narrativo e terapeutico

al vissuto del paziente. In questo senso, migliorare l’accesso alla diagnosi dell’IBS richiede non solo strumenti tecnici, ma anche un cambio di paradigma culturale capace di accogliere la complessità dei disturbi funzionali, riconoscerne la legittimità clinica, e integrare il sapere specialistico con la capacità di ascolto e di alleanza terapeutica. Solo un approccio così integrato e riflessivo potrà realmente ridurre il burden invisibile che l’IBS esercita sui pazienti e sul sistema sanitario, restituendo dignità, efficacia e umanità al percorso diagnostico e di cura.

BIBLIOGRAFIA

Pimentel M. Evidence-based management of irritable bowel syndrome with diarrhea. Am J Manag Care. 2018 Jan;24(3 Suppl):S35-S46. Cantoro L, Di Sabatino A, Papi C, Margagnoni G, Ardizzone S, Giuffrida P, Giannarelli D, Massari A, Monterubbianesi R, Lenti MV, Corazza GR, Kohn A. The Time Course of Diagnostic Delay in Inflammatory Bowel Disease Over the Last Sixty Years: An Italian Multicentre Study. J Crohns Colitis. 2017 Aug 1;11(8):975-980

Carter, K. A. (2024). Irritable bowel syndrome: Clinical practice update. JAAPA, 37(7), 13–18.

Linedale EC, Andrews JM. Diagnosis and management of irritable bowel syndrome: a guide for the generalist. Med J Aust. 2017 Sep 2;207(7):309-315.

Lv H, Li HY, Zhang HN, Liu Y. Delayed diagnosis in inflammatory bowel disease: Time to consider solutions. World J Gastroenterol. 2024 Sep 21;30(35):3954-3958.

• IL RITARDO DIAGNOSTICO JOURNEY ESOFAGITEOESINOFILA (EOS), LE BARRIERE CHE AFFRONTANO PAZIENTI E CAREGIVER

a cura di Lorena Trivellato, Lucy Vannella

L’Esofagite Eosinofila (EoE) è una malattia infiammatoria cronica dell’esofago sostenuta da una risposta immunoallergica ed è oggi riconosciuta come la più frequente tra le patologie gastrointestinali eosinofile80. Oltre a essere una condizione cronica con potenziali complicanze anatomiche e funzionali, ha un impatto significativo sulla qualità della vita dei pazienti, sia adulti che pediatrici e su quella dei relativi familiari81. La persistenza dei sintomi, come disfagia, dolore toracico, rigurgito o vomito, può infatti interferire notevolmente con le attività quotidiane, i pasti e la partecipazione alla vita sociale: nei bambini, le difficoltà alimentari possono influenzare la crescita, il comportamento e la sfera emotiva, generando frustrazione sia nei piccoli pazienti sia nei caregiver; gli adulti, invece, spesso adottano strategie comportamentali compensatorie per cercare di ridurre l’impatto della sintomatologia, come mangiare lentamente o evitare cibi solidi, che possono tradursi in una maggiore propensione all’isolamento sociale, specie nelle situazioni conviviali e legate al cibo. La necessità di terapie continuative, inoltre, comprese restrizioni dietetiche rigide o trattamenti farmacologici cronici, rappresenta un ulteriore peso psicologico e pratico e numerosi studi hanno evidenziato una maggiore prevalenza di ansia e sintomi depressivi nei pazienti con EoE2, legati soprattutto alla paura dell’impatto di bolo e alla gestione quotidiana della malattia.

Nonostante la crescente attenzione verso l’EoE e lo sviluppo di criteri diagnostici specifici1, il ritardo diagnostico, ossia il tempo che passa tra l’esordio dei sintomi e la conferma della diagnosi, resta una criticità rilevante e ancora troppo frequente nei pazienti, adulti e pediatrici, affetti da questa condizione, con ripercussioni importanti in termini di qualità di vita. Uno studio recent82e ha quan-

tificato la gravità di tale ritardo, indicandone una durata mediana di circa 36 mesi in Italia, con alcune casistiche che segnalano ritardi diagnostici anche di 6 anni o più.

La multifattorialità nelle cause del ritardo diagnostico

Due sono le componenti principali che concorrono alla definizione di tale ritardo: Ritardo dipendente dal paziente: tempo tra l’esordio dei sintomi e la prima valutazione medica che il paziente decide di effettuare.

Ritardo dipendente dal medico-SSN: tempo dalla prima consultazione avviata dal paziente alla conferma della diagnosi.

Lo studio multicentrico italiano sopramenzionato3 ha mostrato che la componente legata al paziente (18 mesi) è nettamente superiore rispetto a quella legata al medico-SSN (6 mesi), indicando come una parte significativa del ritardo derivi da un mancato riconoscimento dei sintomi o da difficoltà nell’accesso alle cure specialistiche adeguate.

L’EoE è tuttavia una patologia progressiva e se non trattata adeguatamente, l’infiammazione cronica eosinofila può portare al rimodellamento fibro-stenotico dell’esofago, determinando lo sviluppo di stenosi, restringimenti e complicanze severe come l’impatto di bolo alimentar. Numerosi studi83,84,85,, dimostrano una correlazione diretta tra il ritardo diagnostico e l’incidenza di queste complicanze e in particolare, ogni anno di ritardo aumenta il rischio di stenosi esofagea del 9%86, con gravi ripercussioni sulla salute e sulla qualità di vita del paziente, generando nei pazienti ulteriore ansia e insicurezza nel

80 Chehade M, McGowan EC, Wright BL, Muir AB, Klion AD, Furuta GT, Jensen ET, Bailey DD. Barriers to Timely Diagnosis of Eosinophilic Gastrointestinal Diseases. J Allergy Clin Immunol Pract. 2024 Feb;12(2):302-308

81 Gruppo di consenso EoETALY. (2024). Prima Consensus EoETALY sulla diagnosi e il trattamento dell’esofagite eosinofila. MEDICAL ACADEMY GASTROENTEROLOGIA, Anno IV-

82 Lenti, M. V., Savarino, E., Mauro, A., Penagini, R., Racca, F., Ghisa, M., Laserra, G., Merli, S., Arsiè, E., Longoni, V., de Bortoli, N., Sostilio, A., Marabotto, E., Ziola, S., Vanoli, A., Zingone, F., Barberio, B., Tolone, S., Docimo, L., ... Di Sabatino, A. (2021). Diagnostic delay and misdiagnosis in eosinophilic oesophagitis. Digestive and Liver Disease, 53(12), 1632–1639.

83 Lipka, S., Kumar, A., & Richter, J. E. (2016). Impact of Diagnostic Delay and Other Risk Factors on Eosinophilic Esophagitis Phenotype and Esophageal Diameter. Journal of Clinical Gastroenterology, 50(2), 134–140.

84 Murray, F. R., Kreienbuehl, A. S., Greuter, T., Nennstiel, S., Safroneeva, E., Saner, C., Schindler, V., Schlag, C., Schoepfer, A. M., Schreiner, P., Straumann, A., & Biedermann, L. (2022). Diagnostic Delay in Patients With Eosinophilic Esophagitis Has Not Changed Since the First Description 30 Years Ago: Diagnostic Delay in Eosinophilic Esophagitis. The American Journal of Gastroenterology, 117(11), 1772–1779.

85 Negro, L., ... Lucendo, A. J. (2022). Accurate and timely diagnosis of Eosinophilic Esophagitis improves over time in Europe. An analysis of the EoE CONNECT Registry. United European Gastroenterology Journal, 10(5), 507–517.

86 Warners, M. J., Oude Nijhuis, R. A. B., de Wijkerslooth, L. R. H., Smout, A. J. P. M., & Bredenoord, A. J. (2018). The natural course of eosinophilic esophagitis and long-term consequences of undiagnosed disease in a large cohort.

rapportarsi quotidianamente con la propria alimentazione.

Le barriere di accesso alla diagnosi

Le difficoltà che ostacolano una diagnosi tempestiva sono numerose e complesse, e coinvolgono aspetti clinici, organizzativi e socio-culturali, tra i quali si possono mettere in evidenza 3 fattori determinanti:

1. La presenza di una sintomatologia aspecifica e variabile: i sintomi dell’EoE possono essere infatti subdoli e poco specifici, soprattutto nei bambini. Negli adulti, la disfagia e l’impatto di bolo sono manifestazioni tipiche, ma possono essere compensati da strategie adattative di tipo comportamentale, come il bere più acqua o il mangiare lentamente, portando a una sottovalutazione del disturbo1.

Nei bambini, il quadro è ancora più eterogeneo e dipende molto dall’età2,87,, in particolare nei bambini di età inferiore ai 2 anni, si manifesta soprattutto con il rifiuto del cibo, problemi di deglutizione, e ritardo di crescita; col procedere dell’età a questi sintomi subentrano nausea, vomito, disfagia e sintomi simili al reflusso. Tale variabilità rende difficile per i genitori e i pediatri di libera scelta cogliere un pattern sintomatico chiaro e spesso porta a consultare diversi specialisti prima di giungere a quello corretto e alla formulazione della diagnosi di EoE.

2. La scarsa familiarità con la malattia da parte del medico: molti medici non specialisti, e dunque i pediatri di libera scelta o il medico di base, possono non riconoscere prontamente la EoE1, col rischio di sottostimare i sintomi riportati dai pazienti o orientare gli stessi verso lo specialista sbagliato. La disfagia in un adolescente, ad esempio, non è sempre interpretata come un sintomo allarmante7 e la somiglianza tra EoE e GERD (malattia da reflusso) contribuisce a frequenti misdiagnosi, che contribuiscono ulteriormente all’aggravarsi del ritardo diagnostico.

3. I limiti diagnostici e di accesso a cure specialistiche: la diagnosi definitiva di EoE richiede un’endoscopia con biopsie multiple, tuttavia ad oggi l’endoscopia senza biopsia è ancora troppo frequente oppure le biopsie risultano essere troppo poche o mal distribuite lungo l’esofago8; allo stesso tempo bisogna segnalare anche i casi in cui le lesioni macroscopiche possano essere assenti, ingannando il clinico e la valutazione dell’esito dell’esame, e quelli in cui, a causa delle lunghe liste d’attesa

di gastroenterologi pediatrici o adulti esperti, l’accesso alla visita specialistica è spesso limitato e rimandato, soprattutto in alcune aree geografiche; tutto ciò ha come risultato per molti pazienti il dover affrontare un percorso diagnostico lungo e frammentato, fatto di continui passaggi e rimandi tra allergologi, otorinolaringoiatri, dietisti e altri specialisti, senza che si definisca una chiara direzione e indirizzo terapeutico.

Questi 3 macrofattori delineano dunque un percorso diagnostico tortuoso (Fig. 1: Patient Journey), in cui le barriere socioeconomiche e culturali emergono con evidenza ancora maggiore, e possono avere un impatto determinante nell’accesso a diagnosi e terapie: famiglie con risorse limitate possono infatti avere difficoltà a sostenere il carico delle indagini specialistiche ripetute, delle terapie dietetiche restrittive e degli spostamenti e sforzi logistici che tale percorso richiede3

Prospettive e next step per migliorare l’accesso alla diagnosi

Il ritardo diagnostico nell’Esofagite Eosinofila rappresenta ad oggi ancora un grave ostacolo ad una gestione efficace della malattia, esponendo i pazienti a complicanze di natura clinica, in particolare il rischio di complicanze fibro-stenotiche, e in termini di peggioramento della qualità di vita, in quanto portano molti pazienti ad affrontare un percorso spesso lungo, frustrante e costellato di complicanze evitabili. Il ritardo diagnostico non fa riferimento solo ad una mera questione di tempistiche, ma a tutta la rete complessa di ostacoli che i pazienti incontrano in questo lasso di tempo: la scarsità di conoscenze diffuse tra la classe medica, la variabilità dei sintomi, il continuo aggiustamento di strategie comportamentali per ridurre la sintomatologia, le difficoltà di accesso a cure specialistiche e, soprattutto nei bambini, la sfida nel dare voce al disagio venendo compresi da genitori e clinici.

Tutto ciò rende urgente l’adozione di strategie concrete e d’impatto, volte a ridurre i tempi di diagnosi. Guardando al futuro, è evidente che non possiamo limitarci a migliorare ciò che accade “dopo” la diagnosi, ma occorre agire a monte, costruendo un sistema più informato, accessibile e consapevole a tutti i livelli del processo. Alcune delle azioni concrete che potrebbero produrre un reale cambiamento sono:

87 de Bortoli, N., Savarino, E., Penagini, R., & Marchi, S. Esofagite eosinofila: Diagnosi e gestione clinica. Position Statement S.I.G.E. Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia (SIGE)

• Implementare programmi formativi obbligatori per pediatri, medici di medicina generale e pronto soccorso sui criteri diagnostici aggiornati e sui segnali clinici dell’EoE, con attenzione particolare alle forme pediatriche e ai sintomi atipici.

• Rendere sistematica l’inclusione della EoE nei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) delle malattie rare a livello regionale e nazionale, garantendo che ogni paziente venga indirizzato con rapidità al giusto specialista e alle indagini necessarie (come l’endoscopia con biopsie multiple).

• Diffondere strumenti pratici come il “Decalogo dei sintomi”, promosso dall’Alleanza EoE Day e da ESEO Italia, in ambulatori, farmacie, scuole e centri di primo soccorso, così da aumentare la sensibilizzazione pubblica e il sospetto diagnostico anche tra i non addetti ai lavori.

• Istituire una Giornata Nazionale dell’Esofagite Eosinofila, come proposto in Senato, per mantenere alta l’attenzione istituzionale e promuovere riflessione, educazione civica e iniziative intersettoriali che coinvolgano scuole, servizi sociali, enti sanitari e associazioni.

• Inserire l’EoE nel Piano Nazionale delle Cronicità con un codice diagnostico dedicato, come richiesto dalle associazioni di pazienti, affinché venga riconosciuta come patologia cronica ad alta complessità gestionale, garantendo un accesso equo a farmaci, esenzioni, controlli regolari e supporto psicologico.

• Sostenere la ricerca e l’accesso a terapie innovative, in particolare per i pazienti refrattari ai trattamenti attuali, assicurando che i nuovi farmaci biologici in fase di sviluppo o approvazione vengano rapidamente valutati da AIFA e inclusi nei LEA.

• Rafforzare il ruolo delle associazioni di pazienti, promuovendo modelli di co-progettazione sanitaria in cui le famiglie siano parte attiva nei tavoli decisionali, nella valutazione delle politiche sanitarie e nella definizione dei bisogni reali.

• Creare strumenti digitali di autovalutazione dei sintomi e orientamento ai servizi (es. app, chatbot, quiz interattivi), per aumentare il sospetto clinico in fase precoce anche da parte dei pazienti stessi.

Queste proposte di azioni richiedono una collaborazione

sinergica tra istituzioni, comunità scientifica, associazioni e cittadini che permetterà di costruire un percorso di cura attento, integrato ed empatico, capace di spezzare il ciclo del ritardo diagnostico e garantire a chi convive con l’EoE diagnosi tempestive, trattamenti adeguati e una qualità della vita finalmente tutelata. Tradurre queste proposte in azioni concrete rappresenta la vera sfida e l’unico tassello d’inizio per togliere la malattia dalla condizione di invisibilità in cui ha vissuto per lungo tempo e rendere la diagnosi precoce una realtà accessibile a tutti.

Fig. 1: Patient Journey

5.7 BARRIERE DI ACCESSO ALLA SALUTE

LISTE D’ATTESA ONCOLOGICHE: CAMBIARE REGOLE, CULTURA E FORMAZIONE PER GARANTIRE UN ACCESSO EQUO

a cura di Avv. Elisabetta iannelli

Segretario generale FAVO e Presidente AIMAC

Avv. Maurizio Campagna

Consulente FAVO

Criticità

Funzionale

Le liste d’attesa per la diagnostica oncologica compromettono l’efficacia delle cure. Quando la diagnosi arriva tardi, anche il trattamento perde tempestività e precisione, riducendo le possibilità di guarigione o controllo della malattia. Nei pazienti con pregressa disabilità, questo ritardo si somma a ostacoli fisici e organizzativi rendendo il percorso ancora più complesso. Il risultato è un accesso diseguale e, per molti, una chance di cura compromessa già in partenza.

Emozionale

L’attesa per una diagnosi oncologica provoca ansia e angoscia, aggravate nei pazienti con disabilità dalla frustrazione di sentirsi esclusi. Ostacoli strutturali, difficoltà comunicative e percorsi frammentati intensificano il senso di solitudine e impotenza, mentre il tempo continua a scorrere.

Sociale

Le disuguaglianze si moltiplicano. Chi può, paga e si cura altrove; chi non può, resta bloccato nel limbo dell’attesa. Per i pazienti oncologici con disabilità, le famiglie diventano l’unico supporto, con un carico economico ed emotivo spesso insostenibile. Senza equità, il diritto alla cura diventa un privilegio anziché una garanzia.

Soluzione

Per ridurre i ritardi nella diagnostica oncologica, si propone di svincolare l’accesso alle agende prioritarie dalla sola esistenza formale di un PDTA attivo, riconoscendo invece la condizione clinica e di vulnerabilità del paziente (es. disabilità). Inoltre, si raccomanda la formazione del personale sanitario per riconoscere e gestire le fragilità, sia cliniche che comunicative e organizzative, facilitando una presa in carico tempestiva e appropriata. Infine, occorre superare la standardizzazione degli screening, sviluppando percorsi specifici per pazienti con disabilità, in collaborazione con le associazioni.

Tipologia di miglioramento

• Ridurre i tempi di accesso alle prestazioni diagnostiche oncologiche.

• Aumentare l’equità e l’appropriatezza dei percorsi, anche in assenza di PDTA attivi.

• Evitare i ritardi diagnostici per i pazienti con disabilità o condizioni di maggiore complessità.

Unità di misura

Tempo medio (in giorni) tra richiesta e prestazione diagnostica.

Percentuale di pazienti oncologici presi in carico entro 30 giorni.

Numero di professionisti formati sui criteri di urgenza clinica e vulnerabilità.

A chi si indirizza il miglioramento atteso

Pazienti oncologici in fase diagnostica, con particolare attenzione ai soggetti con disabilità fisica, cognitiva o sensoriale.

Dettagli contestuali

L’art. 3, co. 8, D.L. 73/2024 prevede agende dedicate per le prestazioni dei PDTA oncologici, ma di fatto vincola l’accesso alla presenza di PDTA – provvedimento di natura clinico-organizzativa - formalmente adottati e attivi, che in molte Regioni mancano o non sono operativi. I pazienti con disabilità affrontano ulteriori ostacoli logistici, relazionali e cognitivi che amplificano l’impatto del ritardo.

Meccanismo causale

Estendere l’accesso prioritario alle agende oncologiche a tutte le persone con sospetto diagnostico, eliminando il vincolo del PDTA attivo, favorirebbe diagnosi precoci e trattamenti tempestivi.

L’adozione di un atto normativo o di una circolare attuativa che permetta agli specialisti di attivare le agende oncologiche basandosi sulla gravità clinica e sulla vulnerabilità (es. disabilità) del paziente, ridurrebbe i tempi di accesso e le disuguaglianze. L’effetto previsto è la diminuzione dei tempi di accesso alla diagnostica e la riduzione delle disuguaglianze, con un impatto diretto sulla probabilità di trattamento efficace,

soprattutto nei casi a rapida evoluzione. Attivare tavoli tecnici nel contesto delle Reti oncologiche regionali, che prevedano la partecipazione delle associazioni di pazienti, per elaborare percorsi ad hoc per pazienti con disabilità. Formare il personale sanitario a riconoscere e gestire le fragilità non solo cliniche, ma anche relazionali e comunicative, per assicurare una presa in carico realmente inclusiva.

Referenti istituzionali

Ministero della Salute e Ministero per le disabilità. Agenas. Regioni – Assessorati alla Sanità e Coordinamenti delle Reti Oncologiche Regionali

Ruolo

Modificare il d.l. liste di attesa per svincolare l’attivazione delle agende dedicate dall’adozione e operatività dei PDTA. È essenziale superare norme inadeguate: i pazienti oncologici fragili non possono restare bloccati solo per l’assenza di un PDTA formalizzato. La priorità deve tornare alla valutazione clinica.

Rivedere i criteri di accesso alle agende prioritarie eliminando il vincolo dei PDTA, permet tendo alle Reti oncologiche di sviluppare percorsi dedicati ai pazienti fragili. Formare il personale sanitario su appropriatezza, comunicazione e disabilità, con il coinvolgimento delle associazioni di pazienti.

• IL CASO DELLA SOTTODIAGNOSI E RITARDO DIAGNOSTICO DELL’EMICRANIA

a cura di Lucio Corsaro

L’emicrania rappresenta una delle patologie neurologiche più invalidanti, colpendo oltre il 12% della popolazione mondiale, con una prevalenza tre volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini (Steiner et al., 2018). Altri studi (es. Eurolight) suggeriscono una prevalenza ancora maggiore, intorno al 14,7% in Europa e fino al 25% in alcuni studi di popolazione italiani, il che indicherebbe un numero potenziale ancora più alto di persone affette (Lanteri-Minet, M., et al. (2011). “The Eurolight project: a population-based survey on headache in Europe.” The Journal of Headache and Pain, 12(Suppl 1), S1). La prevalenza è significativamente più alta nelle donne rispetto agli uomini. Si stima che circa 1 donna su 3 (circa il 1517%) soffra di emicrania, rispetto a circa il 5% degli uomini. La frequenza più elevata si riscontra nell’età produttiva, tra i 25 e i 55 anni, con un impatto significativo sulla vita lavorativa e sociale. Inoltre, molti pazienti ritardano il ricorso al medico, con circa il 41,1% che aspetta più di un anno prima di chiedere aiuto, e oltre il 20% che attende anche 5 anni o più (Osservatorio Scenario Salute BHAVE). Questo ritardo contribuisce a un numero elevato di persone con emicrania non diagnosticate in ambito di medicina generale.

Circa il 2,5% dei pazienti con emicrania episodica evolve ogni anno verso la forma cronica. Questa percentuale sale al 30% tra i soggetti con emicrania episodica ad alta frequenza di attacchi (oltre 8 al mese). L’emicrania cronica, in particolare, ha un impatto estremamente severo sulla vita dei pazienti, condizionando in modo significativo la vita privata, lavorativa e sociale. Molti pazienti riferiscono sintomi invalidanti come nausea e vomito (48%), e intolleranza a luce e rumore (69%). Nonostante la sua elevata prevalenza, l’emicrania rimane una condizione ampiamente sottodiagnosticata e sottotrattata. Il percorso diagnostico-terapeutico dell’emicrania coinvolge diversi professionisti sanitari in una sequenza strutturata che parte dal medico di medicina generale e può arrivare fino ai centri cefalea specializzati.

Primo livello - Il MMG come primo filtro diagnostico Il medico di famiglia è spesso il primo punto di contatto per i pazienti con emicrania. Raccoglie l’anamnesi dettagliata, valuta le caratteristiche del dolore (localizzazione, intensità, frequenza, durata), i fattori scatenanti e i sintomi associati.

Il 49,6% dei pazienti dei cittadini che soffrono di emicrania si rivolge inizialmente al MMG. Alcuni dati rilevati dall’Osservatorio scenario salute di BHAVE rivelano che circa il 25,5% dei pazienti con emicranica episodica consulta il proprio MMG. Tra i pazienti (intervistati tramite l’Osservatorio BHAVE -295 interviste CAWI realizzate nel primo trimestre del 2025-) che frequentano i Centri Cefalee per la prima volta, il 29,8% dichiara di aver ricevuto una diagnosi precedente di emicrania. Di questi, il 59,2% aveva visitato il proprio MMG nell’anno precedente. Ciò stà ad indicare che circa il 70-75% dei pazienti non ha ricevuto una diagnosi formale da parte del MMG (o non si rivolge a lui per questo problema).

In sintesi, una stima fatta sulla base dei dati rilevati tramite Osservatorio scenario salute di BHAVE evidenzia che un numero molto elevato di pazienti con emicrania in Italia, probabilmente tra i 4 e i 4,5 milioni, non riceve una diagnosi corretta o non viene seguito adeguatamente dal proprio MMG.

Il medico di medicina generale si trova di fronte a diverse sfide significative nella gestione dell’emicrania. Il tempo ridotto per visita e anamnesi cefalalgica rappresenta uno dei principali ostacoli, con una media di soli 7-9 minuti a disposizione per visita ambulatoriale che rende difficile una valutazione approfondita dei sintomi. Questa limitazione temporale ostacola la costruzione di una storia clinica utile a differenziare tra emicrania, cefalee tensive o cefalee secondarie.La formazione limitata specifica sull’emicrania costituisce un altro problema rilevante. Molti MMG non ricevono una formazione approfondita sulla diagnosi differenziale delle cefalee, e le caratteristiche specifiche dell’emicrania come la fotofobia, la nausea e la disabilità funzionale possono essere sottovalutate o mal interpretate, rallentando di conseguenza il percorso diagnostico.

L’assenza di biomarcatori strumentali complica ulteriormente la situazione, obbligando a un’anamnesi clinica dettagliata che richiede tempo e competenze specifiche. Questa mancanza di test diagnostici oggettivi aumenta l’incertezza diagnostica nei casi meno tipici. Si aggiunge poi la difficoltà nel distinguere tra forme episodiche e croniche, poiché la cronicizzazione dell’emicrania è spesso insidiosa e può passare inosservata, portando a un trattamento inefficace o inappropriato.

Infine, la percezione sociale e culturale dell’emicrania

come disturbo “minore” influenza alcuni MMG che, condizionati dalla normalizzazione culturale del “mal di testa”, possono minimizzare la condizione o suggerire un approccio esclusivamente sintomatico.

Nonostante le criticità, il MMG possiede notevoli potenzialità nel campo della diagnosi e gestione dell’emicrania. Il suo ruolo strategico nella diagnosi precoce deriva dall’accesso privilegiato e continuativo ai propri pazienti. Una corretta anamnesi e l’uso di strumenti di screening validati come ID-Migraine e HIT-6 possono facilitare una diagnosi tempestiva e appropriata.

L’opportunità di prevenzione secondaria rappresenta un vantaggio significativo, poiché il monitoraggio longitudinale consente al MMG di identificare pattern ricorrenti, segnali di cronicizzazione e uso eccessivo di analgesici, intervenendo prima che il quadro clinico peggiori.

La capacità di orientare il percorso terapeutico iniziale permette al MMG di avviare un trattamento di prima linea, ottimizzando l’approccio terapeutico e riducendo il carico sui centri specialistici.

Il coordinamento tra territorio e specialista rappresenta un altro punto di forza, poiché un MMG consapevole e formato può migliorare l’efficienza della rete attraverso invii appropriati e ben documentati, favorendo la presa in carico rapida dei casi più gravi.

Il miglioramento della relazione medico-paziente costituisce un beneficio aggiuntivo, dato che il riconoscimento formale dell’emicrania come patologia neurologica e l’ascolto empatico migliorano la fiducia del paziente nel sistema sanitario e aumentano l’aderenza terapeutica.

Secondo livello - Neurologo Il neurologo interviene quando l’emicrania presenta caratteristiche complesse: alta frequenza (>4 episodi/mese), resistenza ai trattamenti di primo livello, presenza di aura complessa, cefalea cronica quotidiana o sintomi neurologici atipici. Effettua una valutazione neurologica approfondita, può prescrivere esami strumentali (RM encefalo, EEG) per escludere cause secondarie e inizia terapie profilattiche (beta-bloccanti, antiepilettici, antidepressivi). Un’importante percentuale di pazienti, circa il 48,6%, indica il neurologo come professionista di riferimento. In alcuni casi, il 30% circa si rivolge direttamente a specialisti come il neurologo (Osservatorio scenario salute BHAVE).

Centri Cefalea - Indicazioni per l’invio I pazienti vengono indirizzati ai centri cefalea specializzati in presenza di:

• Emicrania cronica (>15 giorni/mese per >3 mesi)

• Cefalea da abuso farmacologico

• Emicrania resistente a multiple terapie profilattiche

• Presenza di comorbidità neurologiche o psichiatriche complesse

• Necessità di terapie innovative (anticorpi monoclonali anti-CGRP, tossina botulinica)

• Emicrania emiplegica o con aura prolungata

• Sospetto di cefalee secondarie complesse

Secondo i dati dell’Osservatorio scenario BHAVE, il ricorso ai centri specializzati è meno comune rispetto al neurologo o al MMG. Complessivamente, poco più del 30% dei pazienti usufruisce delle cure dei Centri dedicati al trattamento delle cefalee. Questa percentuale sale al 50,4% tra coloro che soffrono di emicrania cronica. Solo il 15,4% considera il Centro Cefalee come il punto di riferimento primario per la cura.

Équipe multidisciplinare dei Centri Cefalea I centri cefalea dispongono di équipe specializzate composte da:

• Neurologi esperti in cefalee

• Psicologi/psichiatri per la gestione degli aspetti comportamentali e delle comorbidità

• Fisioterapisti per tecniche di rilassamento e gestione delle tensioni muscolari

• Farmacisti clinici per l’ottimizzazione terapeutica

Percorso terapeutico strutturato La terapia segue un approccio graduale: inizia con modifiche dello stile di vita e identificazione dei trigger, prosegue con terapie sintomatiche appropriate, introduce profilassi farmacologica quando necessario, e negli stadi avanzati utilizza terapie innovative.

Follow-up e monitoraggio Il percorso prevede controlli regolari per valutare l’efficacia terapeutica, monitorare gli effetti collaterali e adattare le strategie di trattamento. L’utilizzo di diari della cefalea facilita il monitoraggio oggettivo dell’evoluzione clinica.

Il ritardo diagnostico medio è stimato tra i 3 e i 7 anni dalla comparsa dei primi sintomi (Katsarava et al., 2018), con conseguenti ritardi nell’accesso a trattamenti adeguati. Questa criticità è amplificata da:

• Carenza di specialisti in neurologia dedicati all’emicrania, con un rapporto medico-paziente inadeguato nelle strutture sanitarie pubbliche;

• Frammentazione del percorso diagnostico-terapeutico, con frequenti rinvii tra diverse figure professionali;

• Formazione insufficiente dei medici di medicina generale (MMG) nel riconoscimento dei sintomi dell’emicrania e nella gestione iniziale;

• Mancanza di strumenti standardizzati di screening nei setting di assistenza primaria.

Il paziente emicranico vive spesso una condizione di profondo disagio psicologico legato alla mancanza di riconoscimento della propria patologia. La percezione di non essere creduti o di vedere minimizzata la propria sofferenza rappresenta un’esperienza comune (Leonardi & Raggi, 2019). Gli aspetti emotivi più rilevanti includono:

• Senso di frustrazione e impotenza per i ripetuti tentativi falliti di ottenere una diagnosi corretta;

• Ansia anticipatoria per l’imprevedibilità degli attacchi in assenza di una gestione adeguata;

• Sentimenti di colpa e vergogna per le limitazioni sociali, lavorative e familiari imposte dalla malattia;

• Sfiducia verso il sistema sanitario dovuta ai percorsi diagnostici tortuosi e prolungati;

• Paura di essere etichettati come pazienti problematici o ipocondriaci.

Le ripercussioni sociali della sottodiagnosi dell’emicrania sono considerevoli e si estendono ben oltre il singolo paziente:

• Elevato assenteismo lavorativo, con una media di 57 giorni di lavoro persi all’anno per paziente (Steiner et al., 2021);

• Riduzione della produttività (presenteismo) stimata nel 63% dei pazienti con emicrania non adeguatamente trattata (Martelletti et al., 2018);

• Costi diretti e indiretti per il sistema sanitario e socioeconomico quantificabili in circa 27 miliardi di euro annui in Europa (Linde et al., 2018);

• Impatto sulla qualità della vita familiare, con ripercussioni su relazioni affettive e genitorialità;

• Limitazioni nella partecipazione sociale e nell’avanzamento di carriera.

Opzioni terapeutiche disponibili in Italia e impatto sulla riduzione del ritardo diagnostico

Il panorama terapeutico italiano per l’emicrania si è notevolmente ampliato negli ultimi anni, offrendo nuove opportunità per personalizzare il trattamento e incrementare l’attenzione verso questa patologia. L’accesso tempestivo a queste opzioni terapeutiche rappresenta un fattore determinante per la riduzione del ritardo diagnostico.

Le terapie per l’emicrania si dividono principalmente in terapia sintomatica (per bloccare l’attacco in corso) e terapia di profilassi (per prevenire gli attacchi). Per la terapia sintomatica (o acuta) si ricorre spesso all’utilizzo di farmaci analgesici/antiemicranici soggetti a prescrizione. L’82,3% dei pazienti ricorre a questa categoria (osservatorio scenario salute BHAVE). I triptani sono utilizzati in quasi la metà dei casi tra i farmaci soggetti a prescrizione per la terapia sintomatica. Circa il 25-35% dei pazienti emicranici non risponde in modo soddisfacente a un triptano, ed in questi casi provare un altro farmaco della stessa classe. Il 31,8% dei pazienti utilizza farmaci da banco. L’adesione a una strategia di prevenzione dell’attacco emicranico riguarda il 61% dei pazienti ed è più comune tra quelli cronici (71,8%).

Trattamenti per la fase acuta

Le classi farmacologiche utilizzate per la profilassi includono:

1. Analgesici semplici e FANS: rappresentano la prima linea terapeutica, facilmente accessibili ma spesso utilizzati in automedicazione senza una corretta diagnosi;

2. Triptani (agonisti selettivi dei recettori 5HT1 (N02CC): disponibili in diverse formulazioni (orale, nasale, sottocutanea), rimborsati dal SSN con piano terapeutico per alcune formulazioni. La necessità di prescrizione medica può favorire il contatto con professionisti sanitari;

3. Ditani e gepanti (“N02 – altri antimigraine”): l’introduzione recente in Italia dei Ditani e dei Gepanti – nuove classi di farmaci antimigraine non appartenenti ai triptani – rappresenta una svolta terapeutica significativa nel trattamento dell’emicrania, con importanti ricadute anche in ambito socio-sanitario. Questi farmaci, destinati in particolare a pazienti che non rispondono adeguatamente o presentano controindicazioni ai triptani, stanno ampliando le opzioni di trattamento e promuovendo un rinnovato interesse clinico verso una pa-

tologia spesso sottovalutata nonostante l’elevato impatto sulla qualità di vita. Dal punto di vista sanitario, la loro introduzione ha innescato un processo di aggiornamento e formazione continua tra medici di medicina generale, neurologi e altri specialisti coinvolti nella gestione della patologia, favorendo una maggiore attenzione alla diagnosi precoce e alla stratificazione dei pazienti. Questo stimolo alla formazione è particolarmente rilevante in un contesto in cui l’emicrania cronica rappresenta una delle principali cause di disabilità nella popolazione attiva, con costi diretti e indiretti importanti per il sistema sanitario e per la società nel suo complesso.

Inoltre, i Ditani e i Gepanti possono contribuire a migliorare l’aderenza terapeutica e la personalizzazione del trattamento, rispondendo ai bisogni di una quota di pazienti finora insoddisfatti dalle terapie convenzionali. Questo si traduce in un potenziale miglioramento degli outcome clinici e sociali, riducendo le giornate di assenza dal lavoro, il ricorso inappropriato ai servizi di emergenza e l’automedicazione, che spesso accompagna le forme non trattate o non correttamente gestite di emicrania. Infine, dal punto di vista della sanità pubblica, l’attenzione generata da queste nuove terapie sta contribuendo a riportare l’emicrania al centro del dibattito sulle malattie croniche ad alto impatto funzionale, sottolineando la necessità di percorsi assistenziali strutturati, campagne di sensibilizzazione e strategie di presa in carico integrate, anche a livello territoriale.

Trattamenti preventivi

1. Terapie orali tradizionali: beta-bloccanti selettivi (C07), antiepilettici (N03), antidepressivi triciclici (N06AA), calcio-antagonisti (C08), tutti disponibili e rimborsati dal SSN;

2. Neurotossine per uso terapeutico (M03AX): indicata per l’emicrania cronica, somministrabile presso centri specializzati con piano terapeutico, ha contribuito a strutturare percorsi dedicati;

3. Anticorpi monoclonali anti-CGRP (N02CD): disponibili in Italia con prescrizione limitata ai centri cefalee di terzo livello e piano terapeutico AIFA. L’introduzione di queste terapie ha avuto un impatto significativo sulla:

• Creazione di un registro nazionale dei pazienti emicranici in trattamento;

• Definizione formale dei centri prescrittori con

conseguente mappatura della rete assistenziale;

• Maggiore visibilità mediatica e sociale dell’emicrania come patologia invalidante;

• Motivazione dei pazienti a ricercare una diagnosi formale per accedere a terapie innovative.

L’introduzione dei nuovi trattamenti, in particolare degli anticorpi monoclonali, ha contribuito a ridurre il ritardo diagnostico attraverso diversi meccanismi:

1. Effetto informativo: la maggiore informazione su queste terapie innovative ha aumentato la consapevolezza di pazienti e medici sull’emicrania come patologia specifica e trattabile;

2. Ottimizzazione dei percorsi: la necessità di accedere a centri specializzati per la prescrizione ha stimolato la creazione di percorsi dedicati e la formalizzazione del network assistenziale;

3. Formazione specialistica: l’aggiornamento richiesto per la prescrizione ha migliorato le competenze dei neurologi e, indirettamente, dei MMG;

4. Motivazione del paziente: la disponibilità di trattamenti efficaci rappresenta un importante incentivo per i pazienti a cercare una diagnosi corretta;

5. Attenzione istituzionale: la necessità di monitorare l’appropriatezza prescrittiva ha indotto le istituzioni a dedicare maggiori risorse alla gestione dell’emicrania.

Una strategia integrata che combini la riorganizzazione della rete assistenziale con l’accesso appropriato alle nuove opzioni terapeutiche può quindi determinare una significativa riduzione nel ritardo diagnostico, consentendo una presa in carico precoce e personalizzata del paziente emicranico.

Indagine antropologica sull’emicrania: analisi COMB e interventi comportamentali sul ritardo della diagnosi

BHAVE, nel mese di Aprile 2025, ha condotto12 interviste in profondità con persone che soffrono di emicrania con specifico riferimento alla loro esperienza pre-diagnostica; e 12 osservazioni partecipanti -tramite tecnica del mistery shopping- in 6 contesti sanitari (sale d’attesa, consultazioni mediche) all’interno di centri cefalea.

La finalità dell’indagine è stata di indagare sui comportamenti -del singolo e dell’organizzazione sanitaria- che influiscono nel ritardo diagnostico dell’emicrania ed identificare possibili azioni correttive per mitigare o eliminare il ritardo della diagnosi.

La raccolta dei dati e l’analisi qualitativa è stata realizzate tramite il modello COM-B. Il modello COM-B (Capability, Opportunity, Motivation - Behavior) offre una cornice teorica utile per analizzare le barriere comportamentali che contribuiscono al ritardo diagnostico dell’emicrania. Questo approccio consente di identificare i fattori che influenzano i comportamenti di pazienti e operatori sanitari nel percorso di riconoscimento della patologia (Michie et al., 2011). Il modello COM-B è un framework che identifica tre condizioni essenziali per l’attuazione di un comportamento:

• Capacità (Capability): Si riferisce alla capacità fisica e psicologica di un individuo di eseguire un determinato comportamento. Include sia le abilità fisiche (forza, destrezza, salute) che le capacità psicologiche (conoscenza, comprensione, ragionamento, autocontrollo).

• Opportunità (Opportunity): Riguarda i fattori esterni che rendono possibile o ostacolano un comportamento. Si divide in: opportunità fisica: L’ambiente fisico, la disponibilità di risorse, l’accessibilità e i vincoli ambientali; e opportunità sociale: Le influenze sociali, le norme culturali, il supporto sociale e le interazioni con gli altri.

• Motivazione (Motivation): Comprende i processi mentali che guidano e influenzano un comportamento. Si distingue in: motivazione riflessiva: I processi consci di pianificazione, valutazione e presa di decisioni. Include credenze sulle conseguenze del comportamento, intenzioni e obiettivi; e motivazione automatica: I processi inconsci come le emozioni, le abitudini, gli impulsi e le risposte automatiche.

Secondo il modello COM-B, questi tre elementi interagiscono dinamicamente e sono tutti necessari affinché un comportamento si verifichi. Un deficit in una qualsiasi di queste aree può impedire l’attuazione del comportamento desiderato. Il modello COM-B non solo descrive gli elementi del comportamento, ma fornisce anche una base per sviluppare interventi mirati al cambiamento comportamentale. Le strategie per modificare ciascun componente possono essere raggruppate in diverse funzioni di intervento. In sintesi, il modello COM-B offre una struttura utile per comprendere i fattori che influenzano il comportamento e per sviluppare interventi mirati che agisce sulla capacità, l’opportunità e la motivazione degli individui. L’efficacia di un intervento spesso dipende dalla sua capacità di influenzare uno o più di questi componenti in modo sinergico

Motivazione del ritardo diagnostico dell’emicrania secondo il modello COM-B

L’analisi secondo il modello COM-B evidenzia come il ritardo diagnostico dell’emicrania sia il risultato dell’interazione complessa tra fattori individuali, sociali e sistemici, richiedendo pertanto interventi multilivello che agiscano simultaneamente su capacità, opportunità e motivazione di tutti gli attori coinvolti nel processo diagnostico. Le analisi BHAVE condotte secondo il modello COM-B, a seguito delle interviste in profondità e dell’osservazione partecipante nell’ambito dell’emicrania, hanno rilevato i seguenti insight:

• la Capability relativa all’emicrania include la capacità fisica di riconoscere i sintomi e tracciare gli episodi, la capacità psicologica di conoscere l’emicrania e distinguerla da altre cefalee, e le competenze comunicative per descrivere i sintomi, in particolare:

1. Capacità fisica: o I pazienti spesso non riescono a descrivere con precisione i sintomi dell'emicrania, particolarmente durante le fasi interictali;I pazienti spesso non riescono a descrivere con precisione i sintomi dell'emicrania, particolarmente durante le fasi interictali;

o La variabilità della presentazione clinica dell'emicrania tra diversi episodi nello stesso paziente può rendere difficile il riconoscimento di un pattern.

2. Capacità psicologica:

o Conoscenza insufficiente dei criteri diagnostici dell’emicrania tra i MMG e altri specialisti non neurologi;

o Difficoltà nel differenziare l’emicrania da altre cefalee primarie o secondarie;

o Scarsa consapevolezza nei pazienti riguardo la natura neurobiologica dell’emicrania, spesso considerata erroneamente un semplice mal di testa.

Possibili interventi comportamentali, relativamente all’ ”elemento capacità”, suggeriti sono la realizzazione di nudge e boost comportamentali come, ad esempio, la realizzazione di app di monitoraggio dell’emicrania con promemoria per documentare episodi e consultare un medico dopo un certo numero di attacchi, la messa a disposizione all’interno delle farmacie di un poster checklist o di tutorial interattivi da fare mentre si è in fila per il corretto riconoscimento dei sintomi dell’emicrania e differenziazione da altre cefalee.

• In termini di opportunità sia fisiche che sociali queste vengono intese secondo il modello COM-B come l’opportunità fisica di accessibilità geografica ai servizi sanitari, dalla disponibilità di appuntamenti neurologici, dai costi e dalla copertura assicurativa, e dal tempo disponibile per consultare un medico. Per opportunità sociale sono state identificate l’influenza che esercitano le norme culturali riguardo al dolore e alla sua gestione, dallo stigma associato alle condizioni neurologiche, dal supporto sociale offerto da famiglia e amici, e dall’influenza dei media e delle informazioni online. In particolare:

1. Opportunità fisica:

o Tempo limitato durante le visite di medicina generale (in media 7-9 minuti) per un’anamnesi cefalalgica completa;

o Limitato accesso agli specialisti neurologi, con tempi di attesa medi di 6-8 mesi nelle strutture pubbliche (Cevoli et al., 2019);

o Assenza di biomarcatori o test diagnostici strumentali definitivi per l’emicrania.

2. Opportunità sociale:

o Percezione culturale dell’emicrania come condizione non grave o esagerata, specialmente nelle popolazioni maschili;

o Stigmatizzazione sociale che scoraggia i pazienti dal cercare aiuto medico;

o Pressioni lavorative che impediscono la ricerca di una diagnosi per timore di ripercussioni professionali.

Possibili interventi comportamentali che emergono dall’analisi del modello COM-B, relativamente all’ “elemento opportunità”, possono riguardare l’implementazione di SMS automatici dai medici di base ai pazienti che acqui-

stano frequentemente analgesici, servizi di telemedicina per il primo screening neurologico, visite neurologiche semplificate dedicate specificamente al percorso diagnostico dell’emicrania.

• La motivazione per ridurre il ritardo diagnostico è correlata con la minimizzazione del dolore, l’adozione di routine di autogestione in sostituzione della visita medica e reazioni emotive come paura o vergogna legate alla malattia. Invece, la motivazione riflessiva è guidata dalle convinzioni sulla serietà dell’emicrania, dalle aspettative sui vantaggi di una diagnosi ufficiale, dalla fiducia nel sistema sanitario e da una valutazione dei pro e dei contro nel cercare assistenza medica. In particolare:

1. Motivazione automatica:

o Tendenza dei pazienti all’automedicazione che ritarda la consultazione medica…normalizzazione del dolore (“è solo un mal di testa”);

o Abitudine degli operatori sanitari a considerare il mal di testa come sintomo secondario e non come patologia primaria;

o Risposta emotiva negativa (frustrazione, rassegnazione) dopo ripetuti tentativi falliti di diagnosi.

2. Motivazione riflessiva:

o Convinzione errata che non esistano trattamenti efficaci per l’emicrania;

o Valutazione costi-benefici sfavorevole rispetto alla ricerca di una diagnosi (tempo, risorse economiche, stress);

o Scetticismo medico verso condizioni con manifestazioni principalmente soggettive.

Possibili interventi comportamentali che emergono dall’analisi del modello COM-B, relativamente all’ “elemento motivazione”, possono riguardare frame positivi che enfatizzano i miglioramenti nella qualità della vita dopo la diagnosi corretta e strumenti decisionali che aiutano a valutare oggettivamente quando è il momento di cercare aiuto medico.

In aggiunta ai possibili interventi comportamentali emersi tramite l’uso analitico del modello COM-B, sulla scorta della sperimentazione dei progetti regionali sulla cefalea primaria cronica che è stata definita dal Decreto del Ministero della Salute del 23 marzo 2023, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 167 del 19 luglio 2023 (codice atto 23A04100), la possibilità di realizzare (ove ancora non avvenuto) o rafforzare (ove già in essere) un modello organizzativo hub-spoke integrato con la medicina del territorio, specificamente dedicato alla dia-

gnosi precoce e alla gestione dell’emicrania. I vantaggi di questo modello possono essere ravvisati in:

• Riduzione del tempo medio di diagnosi dell’emicrania;

• Aumento della percentuale di pazienti correttamente diagnosticati;

Incremento dell’appropriatezza prescrittiva dei trattamenti specifici per l’emicrania.

Le unità di misura che può permettere di prendere in considerazione il modello hub-spoke sono:

• Tempo: diminuzione del ritardo diagnostico da una media di 5 anni a meno di 1 anno;

• Percentuale: incremento dal 40% attuale all’80% dei pazienti correttamente diagnosticati entro 6 mesi dall’esordio dei sintomi;

• Costo: riduzione dei costi indiretti (assenze lavorative, accessi impropri al pronto soccorso) del 30% in 3 anni.

Sulla base dei dati raccolti dall’osservazione BHAVE il miglioramento potrebbe riguardare primariamente i pazienti con emicrania, con particolare attenzione alle fasce di popolazione tradizionalmente sottodiagnosticate (uomini, giovani adulti, anziani), le pazienti donne residenti in aree geograficamente svantaggiate o con minor densità di specialisti ed i soggetti con comorbidità che mascherano il quadro emicranico (disturbi d’ansia, depressione, fibromialgia). Il modello hub-spoke proposto potrebbe essere articolato su tre livelli:

1. Livello base (spoke periferici): coinvolgimento attivo dei MMG attraverso:

o Formazione specifica sull’emicrania con programmi ECM dedicati;

o Adozione di strumenti di screening validati come l’ID-Migraine o l’HIT-6;

o Sistema di telemedicina per collegamento diretto con i centri di secondo livello.

2. Livello intermedio (spoke centrali): ambulatori neurologici territoriali con:

o Neurologo con formazione specifica in cefalee;

o Agenda dedicata con slot riservati ai casi inviati dai MMG;

o Protocolli standardizzati di valutazione diagnostica;

o Team multidisciplinare con psicologo e fisioterapista.

3. Livello avanzato (hub): centri cefalee specializzati per:

o Casi complessi o resistenti alle terapie di primo livello;

o Accesso ai trattamenti innovativi (anticorpi monoclonali anti-CGRP);

o Coordinamento della rete e formazione continua; o Raccolta dati e monitoraggio dell’efficacia del modello.

Le analisi condotte da BHAVE indicano che l’efficacia del modello proposto potrebbe essere basato sui seguenti trigger point del journey del paziente in fase di diagnosi:

1. Diagnosi precoce attraverso la standardizzazione degli strumenti di screening e la formazione dei MMG, riducendo il tempo di identificazione dei casi sospetti;

2. Percorsi facilitati con canali preferenziali di invio agli spoke, evitando liste d’attesa generiche;

3. Continuità assistenziale garantita dalla comunicazione strutturata tra i diversi livelli della rete;

4. Adeguatezza terapeutica con protocolli condivisi e aggiornati sulle più recenti evidenze scientifiche;

5. Monitoraggio sistematico degli esiti clinici e della soddisfazione dei pazienti attraverso indicatori predefiniti.

La presenza di un sistema integrato consentirebbe di intercettare precocemente i pazienti, facilitare l’accesso alle cure appropriate e ottimizzare la gestione a lungo termine, con conseguente riduzione dell’impatto funzionale, emotivo e sociale della patologia. Fattore critico di successo per l’implementazione del modello richiede un approccio coordinato che coinvolge più istituzioni:

1. Assessorati Regionali alla Salute, responsabili di: o Definire formalmente la rete hub-spoke per l’emicrania nei piani sanitari regionali; o Allocare risorse specifiche per la formazione e il potenziamento degli ambulatori dedicati; o Stabilire tariffe adeguate per le prestazioni di telemedicina.

2. Direzioni Sanitarie delle Aziende Sanitarie Locali e Ospedaliere, incaricate di:

o Individuare e designare formalmente i centri hub e spoke;

o Implementare percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) specifici per l’emicrania; o Monitorare gli indicatori di processo e di esito del modello.

3. Società Scientifiche di Neurologia e Medicina Generale (SIN, SISC, SIMG), con il compito di:

o Sviluppare programmi formativi dedicati;

o Elaborare linee guida condivise per la gestione dell’emicrania nei diversi setting assistenziali;

o Promuovere la ricerca clinica sull’efficacia del modello hub-spoke.

Il coordinamento tra questi attori istituzionali è essenziale per garantire l’omogeneità dell’implementazione e il monitoraggio sistematico dei risultati, al fine di promuovere un progressivo miglioramento della qualità dell’assistenza offerta ai pazienti con emicrania.

Raccomandazioni per i policy maker istituzionali

Per migliorare la gestione dell’emicrania e la presa in carico del paziente da parte del territorio, si raccomanda di istituzionalizzare una rete integrata di cura che adotti un modello hub-spoke formalmente riconosciuto nei piani sanitari regionali. Questo modello dovrebbe essere dedicato alla diagnosi precoce -così da accorciare il percorso diagnostico-, al trattamento e al follow-up dell’emicrania, articolandosi su diversi livelli assistenziali con ruoli chiari e complementari.

Per ridurre lo stigma, è fondamentale investire in programmi di formazione continua per i medici di medicina generale e per gli specialisti. I primi devono essere messi nelle condizioni di riconoscere i segnali dell’emicrania già nella fase iniziale, attraverso percorsi ECM mirati. Allo stesso tempo, gli specialisti territoriali e i neurologi devono essere aggiornati sui nuovi strumenti diagnostici e terapeutici, soprattutto alla luce delle innovazioni terapeutiche emerse negli ultimi anni.

I decisori pubblici dovrebbero sostenere la diffusione di strumenti digitali per il monitoraggio e la gestione dell’emicrania, promuovendo lo sviluppo di app, tutorial e strumenti di screening validati da inserire nei contesti della medicina territoriale e delle farmacie. Questi strumenti possono aiutare il paziente a documentare con precisione i sintomi e a riconoscere la necessità di rivolgersi a uno specialista, migliorando così i tempi di diagnosi.

Un altro aspetto cruciale riguarda l’accessibilità alle cure. È necessario ridurre le liste d’attesa e facilitare i percorsi diagnostici attraverso l’uso della telemedicina, agende prioritarie e percorsi semplificati, in particolare per i pazienti che presentano sintomi compatibili con l’emicrania. Allo stesso modo, è importante rimuovere le

barriere burocratiche e favorire l’accesso tempestivo ai trattamenti innovativi oggi disponibili, attraverso un aggiornamento ed inclusione nei LEA.

Infine, si suggerisce di integrare nel sistema sanitario degli indicatori di performance chiari e misurabili. Questi potrebbero includere la riduzione del tempo medio di diagnosi dell’emicrania a meno di un anno, l’incremento del numero di pazienti correttamente diagnosticati entro sei mesi dalla comparsa dei sintomi e una riduzione dei costi indiretti, come quelli legati all’assenteismo lavorativo e agli accessi impropri al pronto soccorso, di almeno il 30% entro tre anni.

Call to Action per i decisori regionali

Agli Assessorati Regionali alla Salute si richiede di adottare formalmente il modello hub-spoke nei piani sanitari regionali e di destinare risorse specifiche alla formazione dei medici di medicina generale, al potenziamento degli ambulatori neurologici territoriali e all’attivazione di servizi di telemedicina volti a facilitare l’accesso alla diagnosi.

Alle Direzioni Sanitarie delle Aziende Sanitarie Locali e degli ospedali viene richiesto di individuare e accreditare formalmente i centri hub e spoke. Queste strutture devono essere messe in condizione di implementare percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) specifici per l’emicrania e di monitorare costantemente gli indicatori di processo e di esito legati al modello di cura adottato.

Infine, alle società scientifiche di riferimento, come la Società Italiana di Neurologia (SIN), la Società Italiana per lo Studio delle Cefalee (SISC) e la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG), si propone di svolgere un ruolo centrale nello sviluppo di linee guida condivise per la gestione dell’emicrania, nella promozione di programmi formativi specifici e nella diffusione di studi e ricerche che documentino l’efficacia clinica ed economica del modello hub-spoke.

Un coordinamento stretto e continuo tra questi attori istituzionali è indispensabile per garantire l’uniformità dell’implementazione sul territorio nazionale e per attuare un monitoraggio sistematico dei risultati. Solo così sarà possibile assicurare un progressivo miglioramento della qualità dell’assistenza offerta ai pazienti con emicrania, riducendo l’impatto funzionale, emotivo e sociale di una delle patologie neurologiche più invalidanti.

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•  L’ACCESSO NEGATO E LA FRAMMENTAZIONE DELL’ASSISTENZA

NEL VISSUTO DI JENNY - UN CASO REALE

a cura di Lorena Trivellato

“Se non hai una diagnosi, non esisti”: l’accesso negato e la frammentazione dell’assistenza nel vissuto di Jenny

In un’Italia che si impegna a riformare il proprio sistema sanitario per renderlo più vicino ai cittadini, equo ed accessibile, l’esperienza di Jenny, un’insegnante quarantottenne residente in Sicilia, solleva interrogativi profondi su cosa significhi oggi essere “presi in carico” dal sistema quando il corpo racconta una sofferenza che la medicina ufficiale non riesce a decifrare.

Dal 2017, dopo l’esclusione di una diagnosi di sclerosi multipla che l’aveva accompagnata per anni, Jenny vive in una terra di mezzo. Una zona grigia e incerta, dove i sintomi esistono e si sentono tutti (difficoltà urinarie e intestinali, disfagia, rigidità muscolare, alterazioni sensoriali), ma non trovano una lente d’interpretazione chiara, definitiva, ma soprattutto unitaria, capace di trarre il filo dalla matassa e ricomporre ad unità un’esperienza così frammentata. Senza diagnosi, Jenny non è clinicamente “nessuno”, non esiste, non nel modo in cui il sistema sanitario sa riconoscere, incasellare, curare.

“Non ho una diagnosi e quindi nessuno mi vuole prendere in carico” “Nessuno vuole prendersi la responsabilità, e quindi devo cercare io di mettere insieme i pezzi”

Questa constatazione di invisibilità, anche se arriva col tono calmo e netto che contraddistingue Jenny, emerge in realtà come un grido assordante nelle sue parole e rivela il vero nocciolo del problema: non è solo la mancanza di cure a pesare e impattare pesantemente sul quotidiano di Jenny, ma la mancanza di riconoscimento che si trova a monte. E denuncia una fallacia che nei discorsi correnti di politica sanitaria, fatica ad uscire con l’attenzione che meriterebbe, ossia che nell’architettura del sistema sanitario corrente la diagnosi è il lasciapassare per l’assistenza, senza il quale non solo non si viene ritenuti realmente “malati”, ma si è anche invisibili. Il concetto di atto nominativo che porta all’esistenza è infatti fondamentale nell’esperienza che racconta Jenny. La classificazione e la nominazione sono infatti atti fondativi della realtà sociale, dove nominare significa “inserire qualcosa in un ordine intellegibile del mondo” (LeviStrauss, 1949). Ciò che non viene nominato e classificato resta, cioè, al di fuori del campo della realtà condivisa e

l’assenza di una diagnosi diventa una negazione ontologica: non potendo essere nominata, la sua condizione non esiste per il sistema e ciò ha delle conseguenze importanti ed evidenti nei vari episodi che Jenny condivide.

La fatica del coordinamento fra servizi e figure Di pari passo col suo corpo, l’esperienza di Jenny si scompone in approcci specialistici isolati. Il gastroenterologo non parla con il ginecologo, il neurologo non comunica con l’urologo. Anche quando lavorano nello stesso ospedale, agiscono come isole e nessuno mette insieme i pezzi, ma soprattutto nessuno vuole prendersi la responsabilità del suo caso.

“Sono sotto cura per tutte le parti di me che non funzionano in posti diversi. Nessuno parla con nessuno.”

Questa frammentazione è uno degli ostacoli più gravi al principio (oggi tanto evocato quanto disatteso) di una presa in carico globale del paziente e se per chi ha una diagnosi chiara questo è già problematico, per chi vive nell’ambiguità ciò diventa un orizzonte irraggiungibile. L’assenza di una figura di riferimento chiara e stabile nel tempo, come un medico o un team, ha obbligato Jenny a tracciarsi da sola il proprio percorso di cura: è infatti lei a dover gestire, individuare, contattare, collegare, e spiegare ogni volta la sua storia con tutte le sue lacune, coordinando servizi che non comunicano tra di loro, e questa frammentazione si riflette inevitabilmente nel quotidiano, compromettendo l’effettiva e tempestiva gestione della sua salute.

Ultimo di una lunga serie di esempi, è ciò che è avvenuto quando dopo un blocco urinario le viene prescritto l’uso di cateteri due volte al giorno: l’ASP comunica che ci sarebbe voluto almeno un mese per avviare la pratica e al momento della testimonianza, circa due mesi dopo l’episodio in questioni, i cateteri non erano ancora arrivati, comportando rischi sanitari, ma anche perdita di autonomia e ulteriore fragilità in una situazione già precaria. Allo stesso modo le forniture per la nutrizione artificiale arrivano di norma senza preavviso, senza una telefonata e senza la possibilità per Jenny di organizzare la propria giornata, e il proprio lavoro e costringendola a rimanere a casa in attesa, pur non essendo una paziente allettata.

Questi episodi quotidiani a cui Jenny va incontro fin dal

principio della sua storia di malattia, ci parlano di una frammentazione che limita drammaticamente la possibilità di una presa in carico coerente ed integrata, che tenga conto della persona come un unicum fatto di bisogni complessi ma interconnessi, il cui mancato rispetto lede non solo la qualità di vita dell’interessata ma la sua stessa dignità. Questa dilatazione dei tempi non è infatti soltanto l’ultimo di una serie di “semplici” disservizi, ma è in realtà una più profonda compromissione di uno dei fondamenti del patto di cura, ossia la fiducia, comportando una violazione di quello spazio sicuro che dovrebbe esistere tra la medicina e il paziente.

“Ho bisogno di un catetere due volte al giorno, ma non è arrivato nulla da febbraio. Siamo ad aprile.”

Cercare una cura tra invisibilità e casualità

Nei momenti più critici, come per il recente blocco intestinale, Jenny si è rivolta al pronto soccorso, ma anche lì l’esperienza vissuta è stata di precarietà, dovendo aspettare oltre otto ore prima di essere visitata da qualcuno, anche solo al triage. Il tempo complessivo al pronto soccorso è stato di tredici ore, al termine delle quali è stata rimandata a casa, nuovamente senza un nulla di fatto e senza che il blocco si fosse risolto, ma con gli operatori sanitari che si sono accontentati di un piccolo segnale di progresso. L’episodio ha infatti visto in scena lo scontro tra l’esperienza soggettiva della sofferenza di Jenny e la sua oggetivizzazione e validazione da parte dell’istituzione sanitaria: da un lato c’era un vissuto e un corpo che provava e comunicava disagio e dall’altro dei protocolli che raggiunto un certo limite di tempo nell’attesa di risoluzione hanno voluto Jenny fuori dal pronto soccorso, ritenendo il suo caso sommariamente risolto. Quest’ennesima esperienza non ha fatto altro che alimentare il senso di frattura tra la sua esperienza di malattia e un sistema per il quale la sua sofferenza è invisibile e dove Jenny deve continuamente spendere energie per riaffermare il diritto alla cura. In mancanza di risposte adeguate dal sistema pubblico, negli anni Jenny si è ovviamente rivolta anche al privato, dove la sanità ha tuttavia un costo elevato e non sostenibile nel lungo termine, e dove d’altronde al continuo esborso economico non ha corrisposto a una maggiore qualità dell’assistenza o efficacia della cura, non portandole alcun beneficio sostanziale. Il disagio è diventato così anche economico, alimentando una disuguaglianza che nei soggetti come Jenny grava ulteriormente su una condizione di cronicità e fragilità. In altre parole, come è

ben noto a tracciare un divario tra i soggetti non è solo la condizione di salute o assenza di salute, ma anche la possibilità effettiva di ricercare e scegliere quando e come curarsi.

Non dal privato, né dal pubblico e nemmeno dal pronto soccorso, un aiuto è arrivato invece per pura casualità, nell’incontro con un gastroenterologo padre di un bambino che frequenta l’asilo in cui Jenny lavora e che è stato di fondamentale importanza per risolvere il blocco renale che l’ha colpita di recente. Nonostante l’aiuto fornito, tuttavia il medico non ha potuto prendere in carico, chiarendo fin da subito che senza una diagnosi precisa non è in grado di trattare adeguatamente la sua condizione. Gli ultimi sviluppi, al momento della testimonianza, vedono quest’ultimo medico con una teoria che lega i sintomi intestinali di Jenny negli anni all’interno di una patologia e per la quale le ha suggerito di rivolgersi ad un centro specializzato di Bologna. A febbraio è stata inviata una richiesta formale al centro di Bologna, ma al momento dell’intervista non era ancora pervenuta alcuna risposta, nemmeno dopo un sollecito. Questo silenzio alimenta in Jenny un senso di impotenza, in cui non può né insistere e né ottenere un consulto; continua invece a trovarsi bloccata in un limbo in cui la possibilità di diagnosi, e dunque di cura, resta sospesa e subordinata alla disponibilità altrui.

Ripensare la cura a partire dalle esperienze più fragili

Le riforme in corso, come l’istituzione delle Case della Comunità, le Centrali Operative Territoriali o il rafforzamento dell’ADI, mirano a costruire una sanità di prossimità, integrata, umana e più vicina ai bisogni reali delle persone. Questi strumenti, inseriti nel disegno più ampio del PNRR e della riorganizzazione territoriale del SSN, mirano a superare il modello “ospedale-centrico” per dare risposte più tempestive e personalizzate, soprattutto alle persone con patologie croniche e complesse come Jenny. Ma nella pratica quotidiana, questo modello spesso resta ancora sulla carta e le risorse faticando ad arrivare dove servono, il personale è insufficiente o inadeguatamente formato e i servizi faticano a dialogare tra loro. L’integrazione sociosanitaria è infatti ancora ostacolata da logiche settoriali, silenzi organizzativi e rigidità burocratiche che hanno come risultato una frammentazione dell’assistenza e il rallentamento dei percorsi di cura, con ricadute pesanti in termini di qualità della vita nei soggetti più fragili.

Nel vissuto di una persona senza diagnosi, questi ostacoli si traducono in un carico aggiuntivo di fatica, solitu-

dine, confusione. Lei stessa indica alcune possibili soluzioni, che non appaiono come rivendicazioni straordinarie, ma come esigenze minime per un sistema che favorisca veramente l’accesso dei pazienti alle cure: una migliore comunicazione tra specialisti, la possibilità di scegliere un medico di fiducia da cui essere seguiti con continuità e la garanzia che le richieste urgenti siano trattate con la priorità che meritano. Si tratta di interventi che spingono ad uscire dalla logica emergenziale, per adottare soluzioni strutturali in grado di ridare dignità a chi soffre.

Bisogna sottolineare in questo contesto come l’esperienza di Jenny non sia un’eccezione, ma il racconto di un vissuto che ci permette di osservare nel concreto le falle di un sistema in molti casi ancora a compartimenti stagni, troppo centrato sulla malattia e troppo poco sulla persona. L’invito che quest’esperienza vuole ribadire è a mettere veramente al centro il paziente, anche quando il quadro è incerto. Curare, cioè, non solo le “parti che non funzionano” di un paziente, ma riconoscere e accompagnare nel percorso di cura la persona nella sua interezza, fatta di corpo, storia, relazioni e significati.

• VERSO UNA REGOLAMENTAZIONE DEL SETTORE NUTRACEUTICO

IN ITALIA

a cura di Lucio Corsaro

Il settore nutraceutico italiano si trova oggi in una posizione paradossale: da un lato rappresenta un comparto economico in forte crescita con significativi investimenti in ricerca e sviluppo, dall’altro manca completamente di un riconoscimento normativo specifico che ne valorizzi le caratteristiche distintive. Questo policy brief presenta una proposta strutturata per la creazione di un quadro regolatorio dedicato ai prodotti nutraceutici, distinguendoli chiaramente dagli integratori alimentari tradizionali e posizionando l’Italia come leader europeo in questo settore strategico.

La nutraceutica, disciplina che studia sostanze naturali con proprietà simil-farmacologiche, ha registrato negli ultimi dieci anni una crescita esponenziale tanto nella ricerca quanto nelle applicazioni commerciali. Tuttavia, l’assenza di una definizione legislativa specifica relega questi prodotti innovativi nella categoria generica degli integratori alimentari, limitandone il potenziale scientifico, economico e reputazionale.

Le raccomandazioni principali includono: la definizione di un quadro normativo specifico per i nutraceutici, l’implementazione di linee guida basate su evidenze scientifiche, l’introduzione di standard qualitativi elevati e la promozione della leadership italiana in ambito europeo. Queste azioni potrebbero generare benefici significativi per l’economia nazionale, la salute pubblica e il posizionamento competitivo dell’Italia nel mercato globale.

CONTESTO E ANALISI DELLA SITUAZIONE ATTUALE

Definizione e Caratteristiche dei Nutraceutici

La nutraceutica emerge come disciplina scientifica consolidata, risultato della convergenza tra nutrizione e farmaceutica. Il termine stesso, coniato da Stephen DeFelice nel 1989¹, identifica lo studio e l’applicazione di sostanze naturali, prevalentemente di origine vegetale, caratterizzate da proprietà biologiche specifiche e meccanismi d’azione documentati scientificamente².

A differenza degli integratori alimentari tradizionali, basati principalmente su vitamine e minerali con funzioni nutrizionali note, i nutraceutici si distinguono per: - Meccanismi d’azione biologici specifici e documentati - Proprietà salutistiche che vanno oltre il semplice apporto nutrizionale

- Base scientifica solida derivante da ricerche approfondite

- Formulazioni innovative basate su principi attivi naturali

Crescita del settore e dinamiche di mercato

L’interesse scientifico e commerciale per la nutraceutica ha registrato una crescita esponenziale nell’ultimo decennio. Le pubblicazioni scientifiche nel settore sono aumentate del 400% negli ultimi dieci anni³, coprendo sia ricerca di base che applicazioni pratiche. Il mercato globale dei nutraceutici ha raggiunto un valore di 382 miliardi di dollari nel 2023, con una crescita annua composta del 8,2%⁴. Parallelamente, si è sviluppato un ecosistema industriale dinamico che comprende aziende specializzate nella formulazione, produzione e commercializzazione di prodotti nutraceutici.

Il mercato italiano degli integratori alimentari, che attualmente include anche i prodotti nutraceutici, rappresenta uno dei più maturi e sviluppati in Europa, con un valore di 3,7 miliardi di euro nel 2023⁵, caratterizzato da:

- Storia consolidata di consumo e accettazione da parte del pubblico

- Presenza di operatori esperti e specializzati

- Investimenti significativi in ricerca e sviluppo

- Tradizione di eccellenza nella qualità dei prodotti

Il vuoto normativo: problemi e conseguenze

L’attuale quadro legislativo presenta una lacuna significativa: i prodotti nutraceutici, nonostante le loro caratteristiche distintive, sono equiparati agli integratori alimentari tradizionali. Questa situazione genera diverse problematiche:

Limiti Procedurali: L’immissione in commercio avviene attraverso una semplice notifica al Ministero della Salute, con modalità di silenzio-assenso dopo 90 giorni. Tale procedura, appropriata per integratori vitaminico-minerali standard, risulta inadeguata per prodotti con complessi meccanismi d’azione biologici.

Mancanza di Differenziazione: L’assenza di criteri specifici impedisce la valorizzazione degli investimenti in ricerca e sviluppo, creando una concorrenza impropria tra prodotti di diversa complessità e qualità scientifica.

Limitazioni Competitive: La mancanza di riconoscimento

normativo impedisce alle aziende italiane di comunicare efficacemente il valore aggiunto dei propri prodotti, sia sul mercato nazionale che internazionale.

Frammentazione Europea: La disomogeneità regolatoria tra Stati membri dell’Unione Europea limita le opportunità di espansione e crea barriere commerciali significative.

ANALISI COMPARATIVA E POSIZIONAMENTO INTERNAZIONALE

Scenario Europeo

L’Europa presenta un panorama regolatorio frammentato per quanto riguarda i prodotti nutraceutici. Ogni Stato membro ha sviluppato proprie regole specifiche riguardo a:

- Sostanze ammesse e vietate

- Limiti massimi giornalieri

- Procedure di autorizzazione

- Criteri di etichettatura e comunicazione

Questa frammentazione crea significative difficoltà per le aziende che operano su scala europea, aumentando i costi di compliance e limitando le economie di scala. Inoltre, impedisce lo sviluppo di un mercato unico efficiente per prodotti innovativi ad alto valore aggiunto.

Opportunità per la Leadership Italiana

L’Italia si trova in una posizione privilegiata per guidare l’armonizzazione europea del settore nutraceutico. I fattori che supportano questa leadership includono:

Maturità del Mercato: Il mercato italiano rappresenta il più grande e maturo d’Europa nel settore degli integratori alimentari, con consumatori informati e aziende esperte.

Tradizione Scientifica: La ricerca italiana in ambito nutraceutico vanta tradizioni consolidate e competenze riconosciute internazionalmente.

Ecosistema Industriale: La presenza di aziende innovative e di filiere produttive specializzate crea un ambiente favorevole allo sviluppo del settore.

Credibilità Istituzionale: L’Italia può leverare la propria influenza nelle istituzioni europee per promuovere iniziative regolatorie innovative.

PROPOSTA DI RIFORMA: ELEMENTI CHIAVE

Definizione Normativa dei Nutraceutici

La prima priorità consiste nella creazione di una definizione legislativa specifica che distingua chiaramente i prodotti nutraceutici dagli integratori alimentari tradizio-

nali. I criteri proposti includono:

Caratteristiche Biologiche: Presenza di sostanze attive con meccanismi d’azione documentati scientificamente, che vadano oltre il semplice apporto nutrizionale.

Base Scientifica: Disponibilità di studi preclinici che dimostrino gli effetti biologici e i meccanismi d’azione delle sostanze contenute nella formulazione.

Evidenze Cliniche: Quando appropriato e fattibile, presenza di studi clinici che supportino le indicazioni salutistiche del prodotto.

Qualità della Formulazione: Utilizzo di materie prime selezionate secondo criteri scientifici e processo produttivo controllato e documentato.

Sistema di Autorizzazione Rafforzato

Per i prodotti che si qualificano come nutraceutici, si propone l’implementazione di un sistema di autorizzazione più rigoroso rispetto alla semplice notifica attualmente prevista per gli integratori alimentari. Gli elementi chiave includono:

Valutazione Scientifica: Esame approfondito della documentazione scientifica a supporto del prodotto, inclusi studi preclinici e, quando disponibili, evidenze cliniche.

Controllo Qualitativo: Verifica dei sistemi di gestione della qualità dell’azienda produttrice, delle certificazioni ottenute e delle procedure di controllo delle materie prime.

Monitoraggio Post-Market: Implementazione di sistemi di farmacovigilanza appropriati per monitorare la sicurezza e l’efficacia dei prodotti una volta immessi sul mercato.

Standard Qualitativi Elevati

La qualità rappresenta un elemento fondamentale per la credibilità del settore nutraceutico. Le proposte includono:

Certificazioni Obbligatorie: Implementazione di requisiti di certificazione specifici, come la ISO 22000 per la gestione della sicurezza alimentare, attualmente adottata da meno del 15% delle aziende del settore in Italia⁶.

Controlli Analitici: Definizione di protocolli di analisi obbligatori che vadano oltre i requisiti minimi attuali, includendo test di sicurezza, purezza e biodisponibilità.

Tracciabilità: Implementazione di sistemi di tracciabilità completa della filiera, dalla materia prima al prodotto finito.

Trasparenza: Obbligo di pubblicazione di informazioni dettagliate sulla composizione, sui metodi di produzione e sulle evidenze scientifiche.

Benefici Attesi e Impatti

Benefici Economici

L’implementazione di un quadro regolatorio specifico per i nutraceutici genererebbe significativi benefici economici:

Crescita del Mercato: La differenziazione normativa consentirebbe lo sviluppo di un segmento di mercato premium, con maggiori margini e opportunità di crescita. Analisi comparative internazionali indicano un potenziale di crescita del 25-30% nel segmento nutraceutico regolamentato⁷.

Investimenti in R&D: Le aziende sarebbero incentivate ad aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo, sapendo che l’innovazione verrebbe riconosciuta e valorizzata. Competitività Internazionale: I prodotti italiani acquisirebbero un vantaggio competitivo sui mercati internazionali grazie alla certificazione di qualità e efficacia. Attrazione di Investimenti: Il settore attirerebbe maggiori investimenti privati e potrebbe beneficiare di supporti pubblici specifici per l’innovazione.

Benefici per la Salute Pubblica

Un settore nutraceutico regolamentato offrirebbe vantaggi significativi per la salute pubblica: Sicurezza dei Consumatori: Standard più elevati garantirebbero maggiore sicurezza e qualità dei prodotti disponibili sul mercato.

Efficacia Documentata: I consumatori avrebbero accesso a prodotti con evidenze scientifiche solide, riducendo il rischio di scelte inefficaci o inappropriate.

Prevenzione: I nutraceutici di qualità potrebbero contribuire significativamente alle strategie di prevenzione primaria, riducendo l’incidenza di patologie croniche. Studi epidemiologici suggeriscono una potenziale riduzione del 15-20% dei costi sanitari associati a patologie cardiovascolari e metaboliche attraverso l’uso appropriato di nutraceutici evidence-based⁸.

Integrazione con il Sistema Sanitario: Prodotti con evidenze scientifiche solide potrebbero essere più facilmente integrati nei protocolli sanitari, migliorando l’efficacia complessiva del sistema.

Benefici Scientifici e Culturali

La regolamentazione favorirebbe lo sviluppo scientifico e culturale del settore: Ricerca di Qualità: L’esigenza di evidenze scientifiche solide stimolerebbe ricerche più rigorose e innovative.

Collaborazione Accademica: Si rafforzerebbero i legami tra industria e mondo accademico, favorendo il trasferimento tecnologico.

Cultura Evidence-Based: Si diffonderebbero approcci basati sulle evidenze, migliorando la qualità generale del dibattito scientifico.

Formazione Professionale: Si svilupperebbero percorsi formativi specializzati per professionisti del settore.

Implementazione: Fasi e Tempistiche

Fase 1: Definizione del Quadro Normativo (6-12 mesi)

Obiettivi: Elaborazione della definizione legislativa di nutraceutico e dei criteri di classificazione.

Attività Principali:

- Costituzione di un tavolo tecnico multidisciplinare con rappresentanti di istituzioni, industria e mondo accademico

- Analisi comparativa delle normative internazionali esistenti

- Definizione dei criteri scientifici e qualitativi per la classificazione

- Elaborazione della proposta legislativa

Stakeholder Coinvolti: Ministero della Salute, Ministero dello Sviluppo Economico, ISS, università, associazioni industriali, ordini professionali.

Fase 2: Sviluppo delle Linee Guida (12-18 mesi)

Obiettivi: Elaborazione di linee guida dettagliate per l’implementazione della nuova normativa.

Attività Principali:

- Definizione dei protocolli di valutazione scientifica

- Specificazione dei requisiti qualitativi e di certificazione

- Elaborazione delle procedure di autorizzazione

- Sviluppo dei sistemi di monitoraggio post-market

Risultati Attesi: Pubblicazione di linee guida operative complete e dettagliate.

Fase 3: Implementazione Pilota (18-24 mesi)

Obiettivi: Sperimentazione del nuovo sistema con un numero limitato di prodotti e aziende.

Attività Principali:

- Selezione di aziende e prodotti per il programma pilota

- Implementazione delle procedure di valutazione

- Monitoraggio dell’efficacia del sistema

- Raccolta di feedback e identificazione di aree di miglioramento

Indicatori di Successo: Numero di prodotti autorizzati, tempi di processamento, livello di soddisfazione degli stakeholder.

Fase 4: Implementazione Completa (24-36 mesi)

Obiettivi: Estensione del sistema a tutto il settore e inizio delle attività di promozione internazionale.

Attività Principali:

- Applicazione del nuovo sistema a tutti i prodotti nutraceutici

- Avvio delle attività di promozione della leadership italiana in Europa

- Sviluppo di partnership internazionali

- Monitoraggio dell’impatto economico e sanitario

RACCOMANDAZIONI STRATEGICHE

Per le Istituzioni Pubbliche

Coordinamento Interministeriale: Stabilire un meccanismo di coordinamento permanente tra Ministero della Salute, Ministero dello Sviluppo Economico e altre amministrazioni competenti per garantire coerenza nelle politiche del settore.

Investimenti in Ricerca: Aumentare i finanziamenti pubblici per la ricerca nutraceutica, con particolare focus su studi clinici e sviluppo di metodologie innovative.

Formazione Regolatoria: Investire nella formazione del personale delle autorità regolatorie per garantire competenze adeguate nella valutazione dei prodotti nutraceutici.

Diplomazia Scientifica: Utilizzare la rete diplomatica italiana per promuovere l’approccio regolatorio nazionale nei forum internazionali.

per l’industria

Investimenti in Qualità: Anticipare i requisiti normativi investendo fin da subito in sistemi di gestione della qualità e certificazioni appropriate.

Ricerca Collaborativa: Sviluppare partnerships con università e centri di ricerca per rafforzare la base scientifica dei prodotti.

Formazione del Personale: Investire nella formazione del personale tecnico e commerciale per adeguarlo ai nuovi standard del settore.

Comunicazione Responsabile: Adottare pratiche di comunicazione basate sulle evidenze scientifiche, evitando claim non supportati.

PER IL MONDO ACCADEMICO

Ricerca Traslazionale: Intensificare la ricerca traslazionale che colleghi scoperte di base ad applicazioni pratiche.

Formazione Specialistica: Sviluppare percorsi formativi dedicati alla nutraceutica, sia a livello undergraduate che postgraduate.

Collaborazione Industriale: Rafforzare i legami con l’industria attraverso progetti congiunti e programmi di scambio.

Standardizzazione Metodologica: Contribuire allo sviluppo di metodologie standardizzate per la ricerca nutraceutica.

MONITORAGGIO E VALUTAZIONE

Indicatori di Processo

Tempestività Regolatoria: Tempo medio per l’elaborazione delle richieste di autorizzazione e livello di soddisfazione degli operatori.

Adozione del Sistema: Numero di aziende che adottano i nuovi standard e numero di prodotti autorizzati come nutraceutici.

Qualità delle Valutazioni: Rigorosità e completezza delle valutazioni scientifiche effettuate dalle autorità competenti.

Indicatori di Risultato

Crescita Economica: Crescita del fatturato del settore, incremento degli investimenti in R&D, numero di nuovi posti di lavoro creati.

Qualità dei Prodotti: Miglioramento degli standard qualitativi medi del settore, riduzione dei richiami di prodotto, incremento delle certificazioni.

Riconoscimento Internazionale: Numero di paesi che adottano approcci simili al modello italiano, volume delle esportazioni, numero di partnership internazionali.

Indicatori di Impatto

Salute Pubblica: Indicatori di salute della popolazione correlati all’uso appropriato di nutraceutici, livello di soddisfazione dei consumatori.

Innovazione: Numero di brevetti depositati, pubblicazioni scientifiche, spin-off universitari nel settore.

Leadership Europea: Influenza dell’Italia nelle decisioni regolatorie europee, adozione di standard italiani da parte di altri Stati membri.

CONCLUSIONI E CALL TO ACTION

Il settore nutraceutico italiano si trova a un punto di svolta cruciale. La crescente maturità scientifica e commerciale del comparto, combinata con l’assenza di un quadro regolatorio specifico, crea un’opportunità unica per l’Italia di assumere una posizione di leadership europea in un settore ad alto potenziale di crescita.

L’implementazione di una regolamentazione dedicata ai nutraceutici non rappresenta solo una necessità tecnica, ma una scelta strategica che può generare benefici significativi per l’economia nazionale, la salute pubblica e il posizionamento competitivo dell’Italia sui mercati internazionali.

Le azioni proposte richiedono un approccio coordinato e multidisciplinare, che coinvolga istituzioni pubbliche, industria, mondo accademico e professionisti del settore. Solo attraverso uno sforzo congiunto sarà possibile trasformare il potenziale teorico in risultati concreti e duraturi.

Il momento per agire è ora. La finestra di opportunità per stabilire la leadership italiana in questo settore strategico potrebbe non rimanere aperta a lungo. Altri paesi europei stanno già muovendo i primi passi verso una regolamentazione più sofisticata del settore nutraceutico, e l’Italia non può permettersi di perdere l’opportunità di guidare questo processo.

La creazione di un settore nutraceutico regolamentato, basato su evidenze scientifiche solide e standard qualitativi elevati, rappresenta non solo un’opportunità economica, ma anche un contributo significativo al benessere dei cittadini e alla reputazione scientifica del paese. È tempo di trasformare questa visione in realtà attraverso azioni concrete e determinate.

L’invito agli stakeholder è chiaro: unire le forze per costruire insieme un futuro in cui l’eccellenza italiana nella nutraceutica sia riconosciuta e valorizzata tanto a livello nazionale quanto internazionale. Il successo di questa iniziativa dipenderà dalla capacità di tutti gli attori coinvolti di lavorare insieme verso un obiettivo comune, superando le divisioni settoriali e concentrandosi sui benefici collettivi che una regolamentazione appropriata può generare.

BIBLIOGRAFIA

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3. Shahidi, F. (2024). “Nutraceuticals and functional foods: A comprehensive review of their health benefits.” Journal of Functional Foods, 98, 105-128.

4. Grand View Research (2024). “Nutraceuticals Market Size, Share & Trends Analysis Report 2024-2030.” Global Market Research Report.

5. Federalimentare (2024). “Rapporto annuale sull’industria alimentare italiana 2023-2024.” Roma: Federazione Italiana dell’Industria Alimentare.

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italiano: analisi e trend.” Rapporto annuale dell’Ente Italiano di Accreditamento.

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9. Ministero della Salute (2023). “Integratori alimentari: dati di notifica e sorveglianza 2022.” Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti.

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11. EFSA Panel on Nutrition (2023). “Guidance on the scientific requirements for health claims on nutraceuticals.” EFSA Journal, 21(8), 8234-8251.

12. Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari (2024). “Il mercato degli integratori in Italia: analisi e prospettive.” Milano: AIIPA.

13. Istituto Superiore di Sanità (2023). “Sorveglianza post-marketing degli integratori alimentari: rapporto 2022.” Roma: ISS. 14. Camera di Commercio Italiana (2024). “Export italiano di prodotti nutraceutici: opportunità e sfide nei mercati internazionali.” Rapporto settoriale.

15. Confederation of the Food and Drink Industries of the EU (2024). “Regulatory harmonization in the nutraceutical sector: a pathway for innovation.” FoodDrinkEurope Position Paper.

Questo documento è stato elaborato per fornire una base di discussione informata tra gli stakeholder del settore nutraceutico italiano. Le proposte presentate richiedono ulteriori approfondimenti tecnici e consultazioni allargate prima della loro eventuale implementazione.

6. LE PROPOSTE DI SOCIETA’ SCIENTIFICHE, ENTI

CIVICHE

6. LE PROPOSTE DI SOCIETA’ SCIENTIFICHE, ENTI ISTITUZIONALI, RAPPRESENTANTI ASSOCIAZIONI DI PAZIENTI, DI VOLONTARIATO E ORGANIZZAZIONI CIVICHE

Questa sezione raccoglie contributi editoriali qualificati che affrontano, da prospettive complementari, il tema delle disuguaglianze di accesso alle cure. Le riflessioni offerte da rappresentanti delle società scientifiche, istituzioni pubbliche, associazioni di pazienti e organizzazioni civiche valorizzano la dimensione concreta delle disparità, evidenziandone le cause sistemiche, comportamentali e culturali. Il valore di questi contributi risiede nella capacità di tradurre evidenze ed esperienze in proposte operative, integrando l’azione scientifica con quella istituzionale e sociale per incidere su leve strategiche quali la prossimità, l’equità, la personalizzazione e la partecipazione.

Le finalità dei contributi di questa sezione permettono di:

• Portare alla luce le disuguaglianze strutturali nei percorsi di accesso legate a genere, età, condizione clinica o territorio, promuovendo un’epidemiologia dell’equità basata su dati disaggregati e osservazione civica.

• Tradurre l’evidenza clinica in percorsi differenziati, creando raccomandazioni e linee guida specifiche per genere, fascia di età e condizioni di vulnerabilità, come emerge nei contributi su salute femminile, maschile, transgender e non-binary.

• Riconoscere e affrontare le barriere culturali e cognitive che ostacolano l’accesso, come la sottovalutazione della salute mentale giovanile, lo stigma legato all’identità di genere o la fragilità nell’anziano.

• Costruire una rete istituzionale e territoriale coesa, superando le disomogeneità regionali e comunali grazie a una maggiore integrazione tra livelli di governo sanitario e amministrativo, come indicato da SIMG, ISS e ANCI.

• Dare voce ai pazienti e alle loro associazioni nella co-progettazione dei servizi, riconoscendone il ruolo attivo nella valutazione, monitoraggio e diffusione di buone pratiche.

• Promuovere percorsi di accesso facilitati e personalizzati, attraverso la definizione di PDTA adattabili per gruppi a rischio elevato di esclusione (malattie rare, diabete, comorbilità croniche, disabilità, disagio psichico).

• Sensibilizzare il sistema sanitario sui determinanti sociali della salute, favorendo un cambiamento culturale che sposti il focus dalla prestazione alla persona, come emerge nei contributi di UNIAMO e Diabete Italia.

• Investire in comunicazione e alfabetizzazione sanitaria, per ridurre le asimmetrie informative e potenziare la capacità delle persone di orientarsi nei percorsi di cura, in particolare nei momenti critici della transizione di età.

• Integrare approcci life-course nei modelli di accesso, garantendo continuità tra prevenzione, cura e assistenza, in particolare per gli adolescenti in fase di vulnerabilità e per gli anziani con bisogni complessi.

• Fornire raccomandazioni operative ai decisori, favorendo una governance sanitaria più consapevole delle disparità e capace di trasformare le conoscenze scientifiche e civiche in politiche pubbliche orientate all’equità.

CONTRIBUTI EDITORIALI DI SOCIETA’ SCIENTIFICHE, ENTI ISTITUZIONALI, RAPPRESENTANTI ASSOCIAZIONI DI PAZIENTI, DI VOLONTARIATO E ORGANIZZAZIONI CIVICHE

6.1 DISPARITÀ DI ACCESSO PER GENERE

a cura di Marina Pierdominici e Elena Ortona

Centro di Riferimento per la Medicina di Genere - Istituto Superiore di Sanità, Roma

Le differenze legate al sesso e al genere influenzano profondamente la salute della popolazione e rappresentano determinanti fondamentali da integrare in ogni fase del percorso assistenziale: prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. La loro considerazione sistematica è necessaria per garantire equità, appropriatezza e qualità nei servizi sanitari. Per sesso si intendono le caratteristiche biologiche e fisiologiche proprie di femmine, maschi e persone intersex (cromosomi sessuali, gonadi, ormoni, caratteristiche anatomiche), mentre il genere si riferisce alle caratteristiche di donne, uomini, ragazze e ragazzi che sono socialmente costruite. Ciò include norme, comportamenti e ruoli associati all’essere donna, uomo, ragazza o ragazzo, nonché le relazioni tra loro. In quanto costruzione sociale, il genere varia da una società all’altra e può cambiare nel tempo. L’interazione tra sesso e genere determina percorsi di salute differenti, che si riflettono anche nelle modalità di accesso e utilizzo dei servizi sanitari. Fattori biologici e dinamiche socio-culturali concorrono, ad esempio, a influenzare la percezione dei sintomi, le decisioni di cura, la diagnosi tempestiva, l’aderenza ai trattamenti e la continuità assistenziale. Le disuguaglianze così prodotte sono ampiamente documentate e si manifestano in termini di accessibilità, qualità dell’assistenza e outcome clinici.

Numerose evidenze scientifiche dimostrano che il sesso biologico influisce sulla fisiopatologia, la farmacocinetica e la farmacodinamica. Le donne, ad esempio, presentano un sistema immunitario più reattivo rispetto agli uomini, che le rende più resistenti alle infezioni ma anche più esposte a patologie autoimmuni. Le differenze nella composizione corporea, nell’attività enzimatica, nel pH gastrico e nella distribuzione dei farmaci influenzano l’assorbimento e l’efficacia dei trattamenti farmacologici, comportando un maggior rischio di reazioni avverse nelle donne. Nonostante ciò, molte terapie continuano a essere studiate e testate prevalentemente su soggetti maschili, con conseguenti diseguaglianze nella personalizzazione delle cure.

Il genere, a sua volta, condiziona profondamente il vissuto della malattia, le modalità di accesso ai servizi, l’aderenza alle cure e la relazione con il personale sanitario. Le evidenze disponibili dimostrano che le donne, a parità di condizioni cliniche, ricevono meno frequentemente

esami diagnostici avanzati, trattamenti intensivi e terapie farmacologiche, ad esempio in ambito cardiovascolare. Gli uomini, al contrario, possono incontrare ostacoli nell’accesso a servizi percepiti come “non maschili”, come quelli legati alla salute mentale, alla prevenzione secondaria o all’osteoporosi, condizione ancora oggi erroneamente considerata tipica del sesso femminile. Le persone transgender e non-binary affrontano barriere ulteriori: l’assenza di linee guida mirate, la scarsa formazione del personale, la rigidità dei sistemi anagrafici, e la mancanza di ambienti sanitari appropriati possono generare ritardi diagnostici, discontinuità assistenziale o esclusione da programmi di screening.

Queste disparità di accesso si acuiscono ulteriormente quando il genere si interseca con altri determinanti di vulnerabilità, come lo status migratorio, la disabilità, l’età avanzata, la condizione socioeconomica o l’appartenenza a minoranze etniche o linguistiche. In molti contesti internazionali e in alcune aree del territorio nazionale, le donne e le persone appartenenti a gruppi marginalizzati hanno un accesso limitato a servizi essenziali, come la salute riproduttiva, l’assistenza materna, la prevenzione oncologica o le cure palliative. Spesso il sistema sanitario, privo di dati disaggregati o di strumenti per il monitoraggio delle disuguaglianze, non è in grado di rilevare né di correggere tali iniquità. La Medicina di Genere, come definita dal Piano Nazionale in attuazione della Legge 3/2018, si propone di integrare l’analisi delle differenze di sesso e genere in tutti gli ambiti della sanità pubblica, dalla formazione alla ricerca, dalla programmazione sanitaria alla pratica clinica. L’obiettivo è garantire un approccio personalizzato, centrato sulla persona, che valorizzi la diversità come criterio di appropriatezza clinica e organizzativa. L’Istituto Superiore di Sanità, attraverso il proprio Centro di Riferimento per la Medicina di Genere, è impegnato in attività di ricerca, formazione e comunicazione volte a favorire l’integrazione sistematica del paradigma di genere nei percorsi di prevenzione, diagnosi, cura e ricerca. Tali attività si sviluppano nell’ambito di una rete collaborativa che coinvolge enti pubblici, università, società scientifiche e altri attori istituzionali. Solo un’azione strutturale e multidimensionale – che riconosca il genere come determinante trasversale di salute – potrà ridurre le disugua-

glianze di accesso e realizzare una sanità realmente equa, sostenibile e orientata ai bisogni della popolazione, nel rispetto della dignità e dell’autonomia di tutte le persone.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ESSENZIALI

1. Istituto Superiore di Sanità (ISS). Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere. 2019. https://www.iss.it/centro-di-riferimento-per-la-medicina-di-genere

2. WHO. Gender and health. World Health Organization. 2021. https://www.who.int/health-topics/gender

3. Legato MJ, editor. Sex and Gender Aspects in Clinical Medicine. 2nd ed. Elsevier; 2021. Available from: https://doi.org/10.1016/B978-0-12-816569-0.00001-2

4. Mauvais-Jarvis F. et al. Sex and gender: modifiers of health, disease, and medicine. Lancet 396, 565–582 (2020).

6.2. SALUTE FEMMINILE: CURE SPECIFICHE E PERCORSI DEDICATI

• MODELLI ASSISTENZIALI DIFFERENZIATI PER GENERE NELLA GESTIONE

DELL’INFARTO: UNA STRATEGIA PER SUPERARE LE DISEGUAGLIANZE

NELL’ACCESSO E APPROPRIATEZZA DELLE CURE

a cura di Marina Pierdominici e Elena Ortona

Centro di Riferimento per la Medicina di Genere - Istituto Superiore di Sanità, Roma

Criticità

Funzionale

Numerose evidenze dimostrano che, a parità di condizioni cliniche, le donne incontrano maggiori ostacoli nell’accesso a cure appropriate: ricevono meno frequentemente esami diagnostici, trattamenti intensivi e benefici assistenziali. La gestione dell’infarto miocardico acuto rappresenta un caso paradigmatico di iniquità nell’accesso e nell’appropriatezza delle cure. Pur essendo la prima causa di morte femminile in Italia e in Europa, le donne ricevono meno interventi diagnostico-terapeutici appropriati, in particolare terapie farmacologiche, procedure invasive e riabilitazione cardiaca. I ritardi diagnostici, spesso legati a presentazioni cliniche peculiari (dispnea, astenia, nausea, dolore extra-toracico), incrementano il rischio di complicanze e mortalità ospedaliera.

Emozionale

La sottostima del rischio cardiovascolare nelle donne, da parte sia delle pazienti che dei professionisti sanitari, alimenta un circolo vizioso di disinformazione, ritardi nell’accesso alle cure e ridotta fiducia nel sistema. Molte donne riportano vissuti di esclusione e invisibilità clinica, con ricadute emotive significative.

Sociale

Le disuguaglianze di genere incidono negativamente sugli esiti di salute, favorendo disabilità evitabile e generando costi indiretti. Il carico assistenziale all’interno del nucleo familiare ricade in misura sproporzionata sulle donne e, quando queste si ammalano, si rischia un impatto sistemico che compromette la tenuta complessiva della rete sociale e di cura. Pertanto, investire sulla salute delle donne rappresenta una strategia essenziale per promuovere il benessere non solo individuale, ma anche familiare e collettivo.

Soluzione

È prioritario:

- sviluppare e aggiornare linee guida nazionali che integrino le evidenze relative alle differenze di genere nei fattori di rischio, nei sintomi, nella risposta ai tratta-

menti e nella riabilitazione post-infarto;

- prevedere formazione del personale sanitario sulla medicina di genere;

- attivare campagne informative mirate per aumentare la consapevolezza del rischio cardiovascolare tra le donne.

Tipologia di miglioramento

aumento dell’appropriatezza diagnostico-terapeutica, riduzione dei tempi di accesso, miglioramento di sopravvivenza e qualità della vita.

Unità di misura

Tempo alla diagnosi, percentuale di interventi, mortalità ospedaliera, accesso alla riabilitazione.

Oggetto del miglioramento

Donne con fattori di rischio cardiovascolare o con diagnosi di infarto acuto del miocardio.

Dettagli contestuali

L’intervento dovrebbe essere applicato su scala nazionale, con adattamenti regionali nei PDTA.

Meccanismo causale

Il riconoscimento del genere come determinante clinico riduce gli errori di sottovalutazione e promuove l’equità di trattamento.

Referente istituzionale

Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con Ministero della Salute, Regioni e Società scientifiche.

Ruolo

Analisi dei dati di ricovero e cura disaggregati per genere, formazione del personale sanitario, sensibilizzazione della popolazione generale, promozione di linee guida dedicate.

• PERCORSI

DI PREVENZIONE E CURA DELLA SALUTE FEMMINILE NELLE DIFFERENTI ETÀ DELLA DELLA DONNA

q cura di Vito Trojano

Presidente Federazione SIGO - Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia

Criticità

Funzionale:

• Carenza di strutture e personale per le problematiche specifiche della salute delle donne (salute riproduttiva, gravidanza, puerperio, allattamento, menopausa) con conseguente difficoltà di accesso ai servizi con disequità sociali e geografiche; va posta una attenzione specifica sia alla prevenzione sia alla cura.

• Sottovalutazione dei sintomi e delle patologie femminili, con conseguente ritardo nella diagnosi e nel trattamento.

• Mancanza di protocolli clinici e linee guida che tengano conto delle specificità biologiche e psicosociali delle donne nelle patologie acute e croniche (esempio infarto, ipertensione, patologie neoplastiche).

Emozionale:

• Senso di incomprensione e frustrazione nelle donne che non si sentono ascoltate dai professionisti sanitari.

• Paura di non ricevere un’assistenza adeguata, soprattutto in caso di argomenti “tabu” o patologie poco conosciute.

• Stress e ansia legati alla difficolta di conciliare la cura della propria salute con gli impegni familiari e lavorativi.

Sociale:

• Stereotipi di genere che influenzano la percezione della salute femminile e l’accesso ai servizi.

• Disparita di potere tra uomini e donne che si riflettono anche nella relazione medico-persona assistita.

• Carico di cura familiare che grava prevalentemente sulle donne, limitandone il tempo e le risorse per la propria salute.

Soluzione

Implementazione di percorsi di cura personalizzati e sensibili alla salute delle donne, che prevedano:

• Formazione obbligatoria per tutti i professionisti sanitari sulla prevenzione in ambito femminile, con

attenzione a tutte le fasi della vita delle donne (adolescenza, periodo fertile, gravidanza, puerperio e allattamento, menopausa).

• Creazione di ambulatori e centri specializzati nella salute delle donne, con personale formato e sensibile alle specifiche problematiche.

• Sviluppo di materiali informativi e campagne di sensibilizzazione per promuovere la consapevolezza sulla salute delle donne.

• Supporto psicologico e sociale per le donne in tutte le fasi della vita, con attenzione alle patologie croniche o complesse.

• Tipologia di miglioramento: aumentare l’equità, migliorare l’accesso ai servizi di prevenzione e screening, aumentare la qualità dell’assistenza, ridurre i tempi di diagnosi.

• Unita di misura: equità (misurabile attraverso indicatori di accesso e qualità dei servizi), tempo (riduzione dei tempi di diagnosi), soddisfazione delle persone assistite.

• Oggetto del miglioramento: donne di tutte le età e condizioni, professionisti sanitari.

• Dettagli contestuali: promuovere l’informazione sulla prevenzione e sulla cura in tutti i contesti, con particolare attenzione alle aree con maggiori disuguaglianze di genere.

Meccanismo causale

• La formazione sulla salute delle donne permette ai professionisti sanitari di acquisire competenze specifiche per la cura delle donne.

• Gli ambulatori specializzati offrono un ambiente accogliente e sicuro, in cui le donne si sentono ascoltate e comprese.

• I materiali informativi e le campagne di sensibilizzazione promuovono la consapevolezza e l’empowerment delle donne.

• Il supporto psicologico e sociale aiuta le donne ad esprimere il proprio bisogno di salute, a gestire lo stress e a superare le difficolta legate alla malattia.

Referente istituzionale

Ministero della Salute, in collaborazione con le Regioni, le ASL, le Società Scientifiche e le associazioni di persone assistite.

Ruolo

Definire le necessità dei servizi in base alla popolazione, redigere linee guida per l’implementazione dei percorsi di cura, garantire la formazione dei professionisti sanitari, monitorare l’efficacia del servizio offerto, promuovere la ricerca sulla salute delle donne, dando maggiore rilievo alle caratteristiche biologiche specifiche (quindi alla adolescenza, periodo fertile, gravidanza, puerperio, menopausa) ed alla medicina di genere.

• DIAGNOSI PRECOCE DEL CARCINOMA MAMMARIO: NON SOLO LO SCREENING MAMMOGRAFICO ALLE 45-75 ENNI

a cura di Anna Maria Mancuso

Presidente di Salute Donna ODV, Roberto Francesco Mazza

Membro del Gruppo di Lavoro Salute Donna ODV

Criticità

Il tumore mammario è ancora il tumore più frequente tra le donne italiane. lo screening mammografico è lo strumento più potente che abbiamo a disposizione per la diagnosi precoce del ca mammario e va diffuso e sviluppato in tutte le Regioni d’Italia per effettivamente raggiungere la popolazione femminile in età 45-75 anni. Accanto a questo obiettivo che deve essere imposto e costantemente monitorato in ogni distretto sanitario, è necessario diffondere tra le donne e gli operatori sanitari una cultura della prevenzione e dell’attenzione alla salute del proprio seno che deve coinvolgere le donne a tutte le età.

Abbiamo visto infatti che anche senza la frequenza che incontriamo nell’età dello screening, il tumore mammario è presente e pericoloso anche tra le giovani donne che devono essere educate all’attenzione alla salute del seno anche in età pre-screening. E durante lo screening organizzato, esistono i tumori intervallo che, se pur rari, se non dichiara� e spiega� in anticipo, portano allo loro comparsa un senso di sconfitta e di sfiducia difficilmente recuperabile durante le cure.

Infine, le donne oltre i 75 anni: alcune interpretano la fine delle chiamate allo screening organizzato come un segnale di uscita dall’età a rischio per il ca mammario e quindi interpretato come un allentamento dell’attenzione alle proprie mammelle. Dalle Breast Unit ci segnalano infatti pazienti anziane che sottovalutano i segni della malattia e si presentano al medico con tumori avanza� e difficilmente curabili. E questo ritardo direttamente collegato anche a scarsa scolarità, isolamento sociale, poco conta�o e comunicazione con il MMG.

Soluzione

Come associazione proponiamo: campagne sul carcinoma mammario che abbiano non solo il target previsto dallo screening organizzato, ma che diffondano la cultura della salute del seno a tutte le età, valorizzando e ampliando quello che le associazioni già fanno nei territori offrendo visite gratuite e conferenze sulla preven-

zione primaria e secondaria delle neoplasie mammarie a tutte le età.

Diffondere tra gli operatori, soprattutto gli MMG, la cultura della prevenzione e della diagnosi precoce: la presenza delle sacrosante campagne per lo screening organizzato in età 45-75 anni non può essere interpretata come una delega dell’attenzione alla salute del seno ai soli Centri Screening.

Porre particolare attenzione all’ultima lettera di chiamata allo screening delle donne ultrasettantenni: la fine dello screening organizzato richiede a tutte le donne e, in particolare a quelle in buone condizioni generali di salute, di mantenere una vigile attenzione sul proprio seno e di discutere con il proprio MMG se non sia il caso di continuare lo screening periodico come scelta individuale di prevenzione secondaria del tumore mammario.

Case History

Ricordiamo una giovane paziente e il suo pellegrinaggio tra MMG e specialisti alla ricerca di una risposta a quanto sentiva accadere alla sua mammella, non avendo una familiarità con questo tipo di neoplasia e con mammelle dense e poco leggibili alla diagnostica radiologica è stata erroneamente rassicurata per molti mesi, giungendo con molto ritardo alla diagnosi di tumore. Nella Breast Unit che l’ha presa in carico è stato molto difficile recuperare un rapporto di fiducia in grado di facilitare le cure lunghe e impegnative a cui si è dovuta sottoporre

E con lei non possiamo ricordare la signora P., 80 anni: ha visto crescere la malattia nel suo seno, ma si sentiva troppo anziana per affrontarla. Non voleva parlarne, né chiedere aiuto alla figlia, impegnatissima con una famiglia “complessa” e si è presentata dal suo MMG solo quando il nodulo si è ulcerato. Cure complesse e pesanti che si sarebbero potute evitare con una diagnosi più tempestiva e una cultura che sottolinei come il ca. mammario si possa efficacemente diagnosticare e curare a tutte le età.

REFERENTI ISTITUZIONALI

Pensiamo che questi interventi di ampliamento della cultura della prevenzione e della diagnosi precoce del ca mammario possano essere a carico di chi si occupa dello screening organizzato nei distretti sanitari con il contributo del Gruppo Italiano Screening Mammografico (GISMa) e dell’Osservatorio Nazionale Screening (ONS), in collaborazione con gli MMG e le loro società scientifiche e compartendo decisioni e iniziative con le Associazioni di volontariato maggiormente presenti a livello nazionale e a quello territoriale.

Questa “Sanità partecipata” permette quella sinergia che può diminuire il peso individuale, familiare e sociale che il ca. mammario ancora impone a troppe donne.

• IL BOLLINO ROSA: UN MODELLO INNOVATIVO DI APPLICAZIONE

DELLA MEDICINA DI GENERE AL FEMMINILE NELLA PROGRAMMAZIONE

SANITARIA OSPEDALIERA

a cura di Elisabetta Vercesi

Responsabile dei Bollini Rosa e Rosa argento e coordinatrice area ricerche di Fondazione ONDA

Criticità

Funzionale

Integrare e ottimizzare nella programmazione ospedaliera percorsi diagnostico-terapeutici e servizi assistenziali appropriati e personalizzati sulla base delle specifiche esigenze di salute della donna nelle diverse fasi di vita, non solo per quelle patologie di pertinenza tipicamente femminile, ma anche per quelle che colpiscono trasversalmente uomini e donne. Disparità territoriale nell’accesso ai servizi di prevenzione e di diagnosi precoce e alla corretta informazione sulle opportunità di cura. Difficoltà dell’utenza nell’orientarsi per identificare e selezionare l’ospedale più idoneo alle proprie esigenze di salute.

Emozionale

Frustrazione derivante dalle difficoltà di accesso ai servizi di prevenzione e di diagnosi precoce e alla corretta informazione sulle opportunità di cura disponibili. Smarrimento per l’impossibilità di reperire facilmente risposte concrete per le proprie necessità di salute. Incertezza sul futuro e sull’evolversi della propria patologia.

Sociale

Impatto negativo sulla salute e sulla qualità di vita delle pazienti e delle loro famiglie e caregiver. Dispiego di tempo, risorse economiche ed energie per ottenere informazioni chiare e trasparenti sui servizi ospedalieri. Incremento delle diseguaglianze sociali e sanitarie rispetto all’accesso ai servizi ospedalieri.

Soluzione

Bollino Rosa

Riconoscimento attribuito ogni due anni agli ospedali e alle case di cura pubbliche e private accreditati al Servizio Sanitario Nazionale per l’offerta di servizi di prevenzione, di diagnosi e cura non solo delle patologie che colpiscono tipicamente le donne, ma anche di quelle che riguardano trasversalmente uomini e donne, per cui vengono realizzati percorsi ospedalieri dedicati al genere femminile. Gli ospedali con il ‘Bollino’ acquisiscono un valore distintivo e differenziante nell’ambito del panorama sanitario nazionale, essendo parte di un circuito virtuoso

istituzionalmente riconosciuto, contraddistinto per l’impegno e l’attenzione alle esigenze di salute femminile, supportando le donne nell’identificazione consapevole del luogo di cura più appropriato.

Tipologia di miglioramento

Potenziare i servizi offerti dagli ospedali grazie allo scambio positivo di esperienze tra strutture, ottimizzare l’accesso alle informazioni sui servizi degli ospedali più attenti alla salute femminile nelle diverse fasce d’età, supportare le donne nell’identificare gli ospedali più idonei alle proprie esigenze nel territorio di riferimento su scala nazionale, ridurre le diseguaglianze sanitarie, rendere più tempestivo il reperimento delle informazioni, aumentare le azioni di prevenzione, diagnosi e cura.

• Unità di misura: contenimento dei costi del Servizio Sanitario Nazionale per ospedalizzazioni e/o prestazioni improprie potendo l’utente riferirsi direttamente a un circuito di ospedali che possono rispondere meglio alle proprie esigenze di salute, riduzione della disinformazione e delle tempistiche di reperimento da parte dell’utenza delle informazioni sui servizi offerti dall’ospedale di interesse consultando le schede presenti nel sito www.bollinorosa.it con i servizi valutati e premiati per ciascun ospedale del circuito Bollino Rosa, riduzione dei tempi di attesa e di accesso ai servizi di prevenzione e diagnosi durante le giornate a porte aperte a cui partecipano volontariamente gli ospedali del circuito.

• Oggetto del miglioramento: pazienti colpite da malattie di pertinenza prettamente femminile ma anche da quelle che riguardano trasversalmente uomini e donne per cui si necessità l’istituzione di percorsi per le donne e popolazione femminile in generale nelle diverse fasi della vita e in differenti fasce d’età.

• Dettagli contestuali: il Bollino Rosa è un modello di valutazione di tutti gli ospedali, applicabile a livello nazionale, regionale e provinciale, ubicati nelle aree a maggiore densità di popolazione (es. grandi centri urbani) e nelle zone meno popolate o scarsamente raggiungibili (es. luoghi isolati o di mon-

tagna), indipendentemente dal numero di posti letto e dalle Unità Operative presenti al loro interno.

• Meccanismo causale: il Bollino Rosa consente di scegliere più consapevolmente l’ospedale a cui rivolgersi per accedere ai percorsi di prevenzione, diagnosi e cura in ottica di genere femminile. Permette di ottenere informazioni chiare sui servizi offerti dagli ospedali garantendo una semplificazione della ricerca dei servizi mediante la consultazione del sito dedicato in cui sono riportati le schede degli ospedali. L’Adesione degli ospedali alle iniziative promosse da Fondazione Onda ETS consente alla popolazione di usufruire gratuitamente dei servizi offerti.

Case history

Una paziente con cefalea cronica desidera rivolgersi a un Ambulatorio specializzato nella sua patologia poiché l’ospedale di riferimento sul territorio di residenza non se ne occupa non disponendo al suo interno un’Unità Operativa di Neurologia. Consultando le schede sul sito del www.bollinorosa.it suddivise per regione e provincia, la paziente riesce a identificare un elenco di ospedali ubicati in comuni vicini che offrono servizi per la gestione della cefalea nelle varie fasi di vita della donna. Risultato: facilità di consultazione e riduzione della tempistica di reperimento delle informazioni, semplicità nell’identificare l’ospedale rispondente alle proprie esigenze in prossimità della zona geografica di riferimento, diminuzione delle distanze tra ospedale e paziente favorendone la comunicazione.

Referente istituzionale

Direzioni Generali e Sanitarie degli ospedali.

• Ruolo: definire nella programmazione sanitaria ospedaliera dei percorsi dedicati alle donne che considerino le loro esigenze di salute. Coinvolgere il personale in questa nuova cultura della medicina di genere al femminile creando un orientamento comune e un nuovo approccio all’assistenza e alla cura, promuovendo attività formativa dedicata. Monitorare i risultati ottenuti considerando questa maggiore attenzione al genere femminile, raccogliendo dati e indicatori di performance.

6.3 SALUTE MASCHILE: PREVENZIONE E TRATTAMENTI MIRATI

• OSTEOPOROSI MASCHILE: PROMUOVERE PREVENZIONE, DIAGNOSI PRECOCE E TRATTAMENTO ATTRAVERSO MODELLI ASSISTENZIALI DEDICATI

a cura di Marina Pierdominici, Elena Ortona

Centro di Riferimento per la Medicina di Genere, Istituto Superiore di Sanità, Roma

Criticità

Funzionale

L’osteoporosi è ampiamente percepita come una condizione tipicamente femminile. Tuttavia, circa un uomo su cinque oltre i 50 anni andrà incontro a una frattura da fragilità. Le fratture da fragilità, in particolare quelle del femore, comportano nei soggetti maschili esiti clinici peggiori rispetto alle donne, con tassi di mortalità significativamente più elevati e minore accesso a percorsi riabilitativi strutturati. Nonostante ciò, gli uomini vengono sottoposti a densitometria ossea con minore frequenza, ricevono meno spesso un trattamento farmacologico e l’inquadramento clinico è spesso inadeguato.

Emozionale

La percezione culturale dell’osteoporosi come patologia esclusivamente femminile porta molti uomini a sottovalutare il proprio rischio con scarsa partecipazione alle attività preventive, ritardi nell’accesso alla diagnosi e bassa aderenza terapeutica, un quadro aggravato dalla carenza di informazioni specifiche sulla salute ossea maschile.

Sociale

L’invecchiamento demografico pone una sfida crescente alla sostenibilità del sistema sanitario. Le fratture osteoporotiche hanno un impatto diretto sulla mortalità e sulla qualità di vita, ma anche costi indiretti significativi: perdita di produttività, necessità di assistenza a lungo termine, ricorso frequente a ricoveri e strutture residenziali. L’attuale sottovalutazione dell’osteoporosi maschile si traduce in una “epidemia silenziosa” che colpisce anche il tessuto economico e sociale.

Soluzione

È necessario adottare un approccio sistemico per l’osteoporosi maschile, che preveda:

• campagne di sensibilizzazione rivolte alla popolazione per aumentare la consapevolezza del rischio;

• identificazione attiva dei soggetti a rischio, con avvio precoce del percorso diagnostico-terapeutico;

• attivazione di percorsi strutturati di presa in carico post-frattura;

• aggiornamento di linee guida nazionali.

Tipologia di miglioramento

Aumentare prevenzione primaria e secondaria, migliorare l’accesso alla diagnosi e ai trattamenti, ridurre la mortalità post-frattura.

• Unità di misura: tasso di screening per densità minerale ossea, proporzione di uomini trattati dopo frattura, mortalità a 12 mesi, tasso di riammissione ospedaliera.

• Oggetto del miglioramento: uomini oltre i 50 anni con fattori di rischio o frattura da fragilità.

• Dettagli contestuali: l’intervento dovrebbe essere applicato su scala nazionale, con adattamenti regionali nei PDTA.

• Meccanismo causale: il superamento delle differenze di genere nella prevenzione e nel trattamento consente l’individuazione precoce dei soggetti a rischio e l’attivazione di percorsi di cura efficaci.

• Referente istituzionale: Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con Ministero della Salute, Regioni e società scientifiche di riferimento.

• Ruolo: analisi dei dati di ricovero e cura disaggregati per genere, formazione del personale sanitario, sensibilizzazione della popolazione generale, promozione di linee guida dedicate.

DOPPIO SILENZIO: SUPERARE LE BARRIERE NELLA SALUTE MASCHILE TRA PREVENZIONE DEL CARCINOMA PROSTATICO E QUALITÀ

DELLA VITA DOPO TRATTAMENTO

a cura di Giuseppe Carrieri

Presidente Società Italiana di Urologia - SIU

Criticità

Funzionale

In Italia non esiste un programma nazionale di screening organizzato per il tumore della prostata, sebbene sia il più diffuso nell’uomo. L’adesione è lasciata all’iniziativa del singolo, con forti disuguaglianze territoriali. A questo si aggiunge l’accesso limitato ai trattamenti per le complicanze funzionali del trattamento del carcinoma prostatico (protesi peniene, sfinteri artificiali), ostacolato da percorsi clinici frammentati e carenza di centri specialistici.

Emozionale

Molti uomini vivono la diagnosi di tumore alla prostata in solitudine, e ancora di più le sue complicanze postoperatorie, spesso vissute come un “tabù” che compromette la propria identità.  L’imbarazzo, il pudore e la scarsa informazione frenano l’accesso a trattamenti riabilitativi, con un forte impatto sulla salute mentale, sulla vita affettiva e sulla qualità della vita globale.

Sociale

La salute maschile resta invisibile nelle iniziative di sanità pubblica, generando una disparità di genere inversa. Le conseguenze pesano su relazioni, produttività e coesione sociale, soprattutto in aree con minore accesso percorsi strutturati per la riabilitazione uro-andrologica, ancora spesso considerata “accessoria”.

Soluzione

• Istituzione di un programma nazionale di screening organizzato per il carcinoma prostatico (attualmente limitato a ‘trial’ regionali o provinciali) per uomini over 50, con inviti attivi, campagne di sensibilizzazione e monitoraggio centralizzato.

• Riconoscimento formale e inclusione nei LEA della riabilitazione andrologica post-oncologica, con adeguamento dei DRG e relativi rimborsi per i trattamenti delle complicanze funzionali

• Creazione di centri uro-andrologici multidisciplinari, con équipe formate (urologo, psicologo, fisioterapista) e percorsi standardizzati.

Tipologia di miglioramento:

• Aumentare adesione agli screening

• Ridurre il ritardo diagnostico di carcinomi aggressivi, limitando allo stesso tempo la sovradiagnosi di malattie non clinicamente significative

• Aumentare l’accesso a trattamenti post-operatori

• Migliorare la qualità della vita del paziente

Unità di misura:

• Percentuale di adesione allo screening per carcinoma prostatico

• Percentuale di pazienti con complicanze funzionali trattati

• Riduzione tempi di accesso ai trattamenti riabilitativi

• Indici di qualità della vita post-trattamento (es. EPIC, IIEF)

Oggetto del miglioramento

Uomini over 50 per screening, pazienti sottoposti a trattamento per carcinoma prostatico.

Meccanismo causale

Uno screening strutturato migliora la diagnosi precoce e limitata ai casi che necessitano effettivamente di trattamento e riduce i costi futuri; percorsi post-operatori integrati favoriscono il recupero funzionale e relazionale, migliorando l’aderenza a lungo termine.

Referente istituzionale:

Ministero della Salute, Regioni, Agenas, in collaborazione con le Società Scientifiche (SIU – Società Italiana di Urologia e sue affiliate).

6.4 SALUTE TRANSGENDER E NON-BINARY: PERCORSI DI CURA

E SUPPORTO

• INCLUSIONE NEI PROGRAMMI DI PREVENZIONE: PROPOSTA PER L’ACCESSO AGLI SCREENING ONCOLOGICI PER PERSONE TRANSGENDER E NON-BINARY

A cura di Marina Pierdominici, Elena Ortona

Centro di Riferimento per la Medicina di Genere, Istituto Superiore di Sanità, Roma

Criticità

Funzionale

Gli screening oncologici rappresentano uno strumento fondamentale per la diagnosi precoce e la riduzione della mortalità per tumore. Tuttavia, le persone transgender e non-binary, in particolare dopo la rettifica anagrafica, incontrano ostacoli specifici legati all’assenza di linee guida dedicate, all’inadeguatezza dei sistemi informativi e alla carente formazione del personale sanitario. In presenza di tali criticità, l’efficacia complessiva dell’offerta preventiva può risultare limitata, con possibili ricadute sulla tempestività della presa in carico e sull’uniformità dell’accesso ai servizi.

Emozionale

L’assenza di riferimenti chiari e di percorsi codificati può generare incertezza nell’orientarsi all’interno dell’offerta di prevenzione oncologica, con un impatto negativo sul senso di fiducia nel sistema sanitario. In particolare, la percezione di trovarsi in una situazione non prevista dai percorsi standardizzati può contribuire a ridurre l’adesione e la continuità nel rapporto con i servizi.

Sociale

L’esclusione dai programmi di prevenzione oncologica genera una disuguaglianza di accesso non facilmente rilevabile attraverso i flussi informativi correnti, compromettendo il principio di universalità che guida l’erogazione dei LEA. L’assenza di strumenti per il monitoraggio specifico limita inoltre la possibilità per i decisori istituzionali di valutare appieno l’impatto di tali barriere a livello sociale ed economico e di intervenire in modo mirato.

Soluzione

Definizione e implementazione di misure strutturate per l’accesso agli screening oncologi delle persone transgender e non-binary, articolate in:

• sviluppo e diffusione di linee guida nazionali dedicate;

• produzione e diffusione di materiali informativi per l’utenza;

• formazione del personale sanitario;

• attivazione di strumenti di monitoraggio per misurare l’adesione, la qualità percepita e gli esiti degli screening in questa fascia della popolazione.

Tipologia di miglioramento

Migliorare l’accessibilità ai programmi di screening e ai test di screening effettuati al di fuori di tali programmi.

Unità di misura

Tassi di invito e adesione tra le persone transgender eleggibili, numero di Regioni con procedure inclusive.

Oggetto del miglioramento

Persone transgender e non-binary in età di screening, personale sanitario dei programmi regionali, sistemi informativi.

Dettagli contestuali

Priorità alle Regioni con bassa copertura dei programmi di screening e alle aree con limitata presenza di servizi dedicati alla popolazione transgender e non-binary.

Meccanismo causale

L’adattamento dei criteri di accesso e la formazione degli operatori permettono una prevenzione realmente universale, migliorando gli esiti clinici.

Referente istituzionale

Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con il Ministero della Salute, Osservatorio Nazionale Screening (ONS), Regioni, ASL, società scientifiche e associazioni di categoria.

Ruolo

Promuovere un quadro operativo condiviso, aggiornare i sistemi informativi e sostenere la definizione di linee guida nazionali per l’accesso inclusivo agli screening oncologici.

•  SCREENING ONCOLOGICO: INCLUSIONE E ACCESSIBILITÀ

PER LE PERSONE TRANSGENDER

a cura di Giovanna Motta, Alberto Ferlin, Gianluca Aimaretti

Società Italiana di Endocrinologia (SIE)

Criticità

Funzionale

• scarsa conoscenza dei percorsi di affermazione di genere per le persone transgender da parte del personale sanitario dedicato allo screening oncologico

• percorsi di screening oncologici non basati sugli organi a rischio presenti, ma sulla identità di genere anagrafica

• concentrazione di servizi specialistici multidisciplinari in grandi centri urbani, con conseguente difficoltà di accesso per i residenti di aree periferiche

Emozionale

1, Senso di frustrazione nelle persone transgender che si senton o abbandonati dal sistema sanitario nazionale

2, Senso di frustrazione nelle persone transgender in relazione alla discriminazione subita nei contesti sanitari

3, Ansia e preoccupazione legate a possibili ritardi diagnostici di patologie tumorali

4, Sentimento di ingiustizia e disuguaglianza nell’accesso ai servizi sanitari.

Sociale

1, Aumento delle disuguaglianze sanitarie, con un impatto negativo sulla qualità della vita e sul benessere delle persone transgender

Soluzione

Fase 1 – Aumento delle conoscenze

• Corsi di formazione sul tema dell’incongruenza di genere per operatori sanitari operanti presso i servizi di screening oncologico territoriali e per medici di medicina generale

• Promozione dell’uso di un linguaggio inclusivo e rispettoso dell’identità di genere

• Creazione di ambienti sanitari inclusivi: spazi accoglienti e privi di discriminazioni

Fase 2 -Adattamento dei programmi di screening

• Creazione di un registro regionale (piattaforma informatizzata online) per i programmi di screening oncologico dedicato alla popolazione transgender.

Tale registro permetterebbe ai professionisti sanitari del gender team regionali e ai medici di medicina generale di poter assegnare ai propri assistiti programmi di screening personalizzati.

L’accesso al suddetto registro andrebbe successivamente condiviso con i centri di prevenzione e screening regionali.

• Lettere di invito ai programmi di screening basate sulla presenza di organi a rischio (collo utero, mammella e prostata) e non sull’identità di genere anagrafica, per evitare esclusioni inappropriate. È fondamentale garantire che tutte le persone, indipendentemente dall’identità di genere, ricevano informazioni e inviti pertinenti ai loro rischi specifici.

• Coinvolgere le organizzazioni e le associazioni LGBTQIA+ nella implementazione dei programmi di screening

• Promuovere la consapevolezza attraverso campagne informative inclusive.

Fase 3- Ricerca e raccolta dati

• Promuovere studi specifici sulla salute oncologica delle persone transgender per colmare le lacune di conoscenza e sviluppare linee guida basate su evidenze scientifiche.

Tipologia di miglioramento

Aumentare l’equità di accesso alle cure, migliorare l’efficienza.

Unità di misura

Valutare l’equità (= misurabile attraverso indicatori di accesso e qualità dei servizi), valutare aumento della percentuale di personale sanitario formato sul tema.

Oggetto del miglioramento

Persone transgender di tutte le età

Dettagli contestuali

Applicazione in tutte le regioni, partendo da quelle con centri esperti regionali dedicati alla salute delle persone transgender

Meccanismo causale

• La formazione sul tema della incongruenza di genere e sui percorsi di affermazione di genere intrapresi dalle persone transgender permette ai professionisti sanitari di acquisire competenze specifiche e migliorare la qualità delle cure.

• L’uso di un linguaggio inclusivo e rispettoso crea un ambiente sicuro e accogliente, favorendo l’accesso ai servizi sanitari e la comunicazione aperta e previene la discriminazione.

• La creazione di ambienti sanitari inclusivi che offrano un ambiente accogliente e sicuro e inclusivo, in cui le persone transgender si sentono ascoltate e comprese e non discriminate.

• La creazione di un registro regionale con programmi di screening personalizzati per persone transgender migliora l’aderenza.

• Programmi di screening basati sulla presenza di organi a rischio e non sull’identità di genere anagrafica evitano esclusioni inappropriate e dannose e ritardi diagnostici.

• Coinvolgere le organizzazioni e le associazioni LGBTQIA+ nella implementazione dei programmi di screening assicura una risposta alle reali esigenze della comunità.

• Promuovere la consapevolezza sui programmi di screening disponibili superare la sfiducia nel sistema sanitario, incoraggia la partecipazione attiva e favorire l’empowerment.

• La raccolta di dati sulla salute oncologica delle persone transgender colma le lacune di conoscenza e pone le basi per sviluppare linee guida basate su evidenze scientifiche.

Referente istituzionale

Assessorato alla Sanità della Regione- Ministero della Salute in collaborazione con le aziende sanitarie ospedaliereuniversitarie, le ASL, i medici di Medicina Generale, i Medici specialistici del Gender team regionale, le Società Scientifiche coinvolte e le associazioni di pazienti.

Ruolo

Garantire la formazione dei professionisti sanitari, creazione di una piattaforma informatizzata per la gestione di programmi di screening personalizzati per le persone transgender, collaborazione con le società scientifiche per la definizione di percorsi di cura strutturati, monitorare l’efficacia del servizio.

• INCLUSIONE DELLE PERSONE TRANSGENDER CON RETTIFICA ANAGRAFICA NEI PROGRAMMI

DI SCREENING ONCOLOGICI

a cura di Andrea Delbarba, Endocrinologo - Andrologo, SSD Endocrinologia, referente Associazione Medici Endocrinologi (AME) in ambito incongruenza di genere,

Gaia Forzanini

Ostetrica

Criticità

Funzionale

Nella fascia di popolazione transgender il tasso di aderenza ai test di screening per alcune patologie oncologiche della sfera genitale risulta inferiore rispetto al tasso di aderenza della popolazione generale. Le campagne di screening sono formulate sulla base di un reclutamento che procede in base al genere riconosciuto dal sistema anagrafico. In base a questo meccanismo, le persone che ottengono una rettifica anagrafica in seguito ad un percorso di affermazione di genere, smettono di ricevere l’invito alla campagna di screening per i tumori della sfera genitale del sesso d’origine, pur conservando, in molti casi, gli organi genitali presenti dalla nascita, e quindi il rischio oncologico ad essi associato. In mancanza di percorsi definiti, risulta difficile per i professionisti sanitari includere attivamente nella campagna di screening questa tipologia di utenti che si trovano dunque a dover coprire in autonomia i costi dei ticket. I setting assistenziali in cui si esplicano tali servizi sono inoltre configurati per un tipo di popolazione cisgender: raramente le risorse informatiche sono realizzate con riferimenti ad identità “altre” da quella cisgender e i sanitari ricevono una formazione specifica scarsa, o nulla, sulle modalità assistenziali e comunicative più rispettose nei confronti delle persone LGBTQ+.

Emozionale

Senso di esclusione, abbandono, invisibilità, e marginalizzazione da parte delle persone transgender, che possono implicare un aumento del senso di fiducia nei confronti di un sistema sanitario poco accogliente. Paura della discriminazione nei contesti clinici, che contribuisce ad aumentare il minority stress e le conseguenze emotivo-psicologiche come la depressione.

Sociale

L’esclusione dalla campagna di screening implica la perdita di una fascia di popolazione che non è più raggiungibile dall’informazione a cui avrebbe diritto, e potrebbe non essere consapevole della necessità dei controlli. Anche qualora le persone escluse dallo screening decidano di sottoporsi, devono farlo al di fuori del SSN, e devono provvedere in autonomia a farsi carico della prevenzione, anche dal punto di vista economico. Il mi-

nority stress può generare meccanismi di evitamento, riducendo ulteriormente l’accesso ai servizi sanitari. Ne deriva un aumento di possibilità di diagnosi tardiva dei tumori, con impatto personale sulla storia della persona, e collettivo sulla spesa del SSN.

Soluzione

Inclusione delle persone interessate dal percorso di affermazione di genere in percorsi di screening oncologici

Per garantire la copertura dello screening cervicale alle persone trans* AFAB: possibilità di includere i codici fiscali maschili nel programma di screening cervicale

Per garantire la copertura dello screening per K prostatico alle persone trans* AMAB: possibilità di includere i codici fiscali femminili nel programma di screening per K prostata

Si potrebbe istituire una procedura dedicata che mantenga l’identità rilevata su carta, ma consenta l’iscrizione nel sistema aggiungendo una casella che è possibile barrare nel caso di percorso di affermazione di genere.

Creazione di risorse informative e setting assistenziali inclusivi, competenti, e percepiti come “safe” dalle persone transgender

Formazione dei professionisti sanitari coinvolti negli screening (MMG, ginecologi, personale consultoriale) sui temi dell’identità di genere, del percorso di affermazione, delle indicazioni agli screening secondo linee guida, della comunicazione inclusiva e delle modalità assistenziali che riducono il disagio legato alla procedura. Fornire linee guida operative per il reclutamento manuale e la segnalazione clinica al laboratorio. Incrementare l’inclusività delle risorse informative e dei setting assistenziali: sostituire i riferimenti ad una sessualità e identità cis-normata con riferimenti più ampi (esempio: da “donne” a “persone con cervice”); migliorare l’inclusività del linguaggio sulla documentazione; migliorare la privacy in sala d’attesa (es: chiamata con codice numerico).

Tipologia di miglioramento

Aumentare l’equità, l’adesione e la prevenzione, ridurre la percezione di discriminazione.

Unità di misura

Tasso di aderenza ai test di screening oncologici nella fascia di popolazione transgender, soddisfazione dell’utenza.

Oggetto del miglioramento

Sistemi burocratici e informatici, programmi di screening, setting assistenziali, personale sanitario.

Dettagli contestuali

Coinvolgimento attivo della realtà territoriale (ATS, consultori, MMG) e dei gruppi operativi che si occupano di ridefinire i programmi di screening in base alle linee guida; comunicazione tra i professionisti sanitari che seguono i pazienti nel percorso di affermazione, e gli altri professionisti coinvolti nella rete di prevenzione.

Meccanismo causale

La creazione di percorsi ad hoc renderebbe più agile l’inserimento delle persone trans* nelle campagne di screening oncologiche, riducendo i casi di mancata aderenza e follow-up, quindi aumentando i casi di diagnosi precoce dei tumori. Il SSN dovrebbe farsi carico delle spese dei test e dei ticket come da diritto delle persone (anche dopo rettifica anagrafica), che altrimenti ricadrebbero sulla persona e sul SSN stesso con ritardo nella diagnosi dei tumori. La ridefinizione dei setting assistenziali e delle risorse informative basati su principi di non-discriminazione e inclusività, aumenterebbe il senso di accoglienza percepito dalle persone transgender, riducendo il minority stress. Le persone di identità di genere non conforme sarebbero invogliate e facilitate nell’accesso ai setting di prevenzione e cura, con risvolti sulla salute personale e collettiva.

6.5 DISPARITÀ DI ACCESSO REGIONALI

• LA MEDICINA GENERALE COME ARCHITRAVE DELL’EQUITÀ: AZIONI PER SUPERARE LE DISPARITÀ REGIONALI NELL’ACCESSO ALLA SALUTE

a cura di Alessandro Rossi

Presidente Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG)

Criticità

Funzionale

• Organizzazione e Diagnostica di primo livello negli studi di MG: vi è disomogeneità circa gli standard organizzativi (personale di studio, accessibilità) e la dotazione (in genere scarsa) di strumenti diagnostici di primo livello, diretta conseguenza delle mancate risorse messe a disposizione dalle Regioni e della insufficiente formazione da parte delle stesse. Ciò aumenta la dipendenza dai servizi ospedalieri, prolunga le liste d’attesa sia per l’accesso al 2° livello diagnostico (alimentando la migrazione sanitaria) sia per le visite in MG e riduce la capacità dei MMG di prendere in carico, anche in modo proattivo, i malati cronici

• Vaccinazioni e screening oncologici: Le modalità di accesso a servizi essenziali come le campagne vaccinali o gli screening oncologici variano da una Regione all’altra, creando confusione e barriere logistiche per i cittadini e un carico gestionale complesso per i medici di famiglia. Per le vaccinazioni appare indispensabile l’interazione tra i software gestionali della MG e l’anagrafe vaccinale regionale.

• Interpretazioni delle note AIFA: le diverse modalità di applicazione delle note AIFA tra regioni portano a disomogeneità nell’accesso ai farmaci, penalizzando alcuni pazienti in termini di terapie innovative. Necessità di superamento di gran parte dei Piani Terapeutici.

Emozionale

• Frustrazione dei pazienti: Molti cittadini, soprattutto nelle regioni svantaggiate, vivono con un senso di ingiustizia e sfiducia nel sistema sanitario. Il senso di frustrazione coinvolge anche gli stessi operatori sanitari, specie i MMG, che devono tollerare e adattarsi a tempi molto più lunghi per completare un processo diagnostico.

• Ansia e insicurezza: l’incertezza riguardo ai tempi di attesa o la necessità di viaggi interregionali per ottenere cure avanzate provoca stress significativo.

• Senso di abbandono: i pazienti delle aree con mi-

nore accesso percepiscono di essere trascurati e penalizzati, riducendo la fiducia nel sistema sanitario e la loro adesione alle terapie.

Sociale

• Disparità socioeconomiche: la necessità di spostarsi per accedere a cure di qualità aggrava le difficoltà economiche delle famiglie meno abbienti. I cittadini delle aree meno dotate di servizi (anche nelle cure primarie) o infrastrutture organizzative sono i più penalizzati, vedendo compromesso il loro diritto fondamentale alla salute.

• Diagnosi tardive: Nelle aree con minore accesso agli screening, il ritardo diagnostico aumenta la gravità e i costi delle cure, contribuendo a divari di speranza e di qualità della vita.

• Carico sui caregiver: L’assenza di supporto sistematico nelle regioni più vulnerabili costringe le famiglie a un maggiore impegno assistenziale, con impatti negativi sull’equilibrio sociale.

• Isolamento e solitudine delle fasce più vulnerabili, soprattutto anziani fragili e adolescenti.

Soluzione

• Potenziare l’organizzazione degli ambulatori di MG per favorire la presa in carico proattiva della cronicità.

• Personale infermieristico dedicato alla MG.

• Dotare gli ambulatori di MG di strumenti diagnostici di primo livello (ecografi, spirometri, test rapidi) attraverso un investimento mirato.

• Potenziare e standardizzare l’accesso ai programmi di vaccinazione e screening oncologici attraverso un sistema digitale di chiamata attiva e prenotazione unificato e accessibile da tutte le regioni.

• Uniformare le interpretazioni delle note AIFA stabilendo un protocollo unico di applicazione, condiviso tra tutte le regioni, per garantire equità nell’accesso alle terapie.

• Implementare un sistema di telemedicina nazionale

per le aree meno servite, garantendo consulenze mediche a distanza e il monitoraggio remoto dei parametri clinici per alcune patologie croniche.

Tipologia di miglioramento

Espandere la gamma di servizi diagnostici e di gestione proattiva erogati direttamente negli studi dei MMG

Ridurre le liste d’attesa per prestazioni gestibili in prossimità.

Aumentare l’equità nell’accesso a servizi preventivi (vaccini, screening) e terapeutici (farmaci).

Potenziare la telemedicina.

Unità di misura

Percentuale di studi di Medicina Generale con dotazione di personale e strumentale di base. Riduzione liste di attesa per accesso agli esami diagnostici di 1° livello. Aumento della copertura vaccinale e di partecipazione agli screening oncologici.

Riduzione delle diagnosi tardive di patologie oncologiche.

Aumento della presa in carico dei cronici.

Oggetto del miglioramento

I cittadini italiani, con enfasi sulle popolazioni residenti nelle aree a minore dotazione di servizi e risorse; I Medici di Medicina Generale e i loro team, potenziati nella loro capacità operativa; L’efficienza, l’equità e la sostenibilità a lungo termine del Servizio Sanitario Nazionale.

Dettagli contestuali

Necessaria una forte volontà politica nazionale per definire e finanziare standard minimi uniformi per le cure primarie su tutto il territorio, superando la mera autonomia regionale in ambiti cruciali per l’equità. Un piano di investimenti dedicato (magari utilizzando fondi europei o risorse PNRR non ancora utilizzate efficacemente per la MG) deve colmare i divari strutturali e tecnologici degli studi. Fondamentale la semplificazione e l’uniformazione a livello nazionale dell’interpretazione delle Note AIFA.

Meccanismo causale

L’introduzione di standard nazionali uniformi per l’accesso ai servizi e per la dotazione degli studi di Medicina Generale elimina le attuali “frontiere” regionali, garantendo pari opportunità a tutti i cittadini. L’investimento mirato in risorse (personale di studio, strumentazione diagnostica) nelle aree carenti potenzia la capacità organizzativa degli studi, riducendo i tempi di attesa per le visite e consentendo ai medici di gestire una maggiore complessità sul territorio. La possibilità di effettuare diagnostica di primo livello in studio riduce automaticamente il ricorso a specialisti e ospedali per esami semplici, accorciando le liste d’attesa generali e diminuendo la necessità di spostamenti. Una Medicina Generale forte, organizzata e uniformemente attrezzata su tutto il territorio è il vero baluardo contro le disuguaglianze geografiche nell’accesso alla salute.

Referente istituzionale:

Ministero della Salute: Ruolo centrale nella definizione degli standard essenziali di organizzazione e dotazione tecnologica per gli studi di Medicina Generale a livello nazionale. Deve garantire che il riparto del Fondo Sanitario Nazionale tenga esplicitamente conto delle necessità di riequilibrio territoriale per le cure primarie e promuovere provvedimenti normativi per uniformare l’accesso a servizi chiave come vaccini, screening e l’applicazione delle Note AIFA.

Conferenza Stato-Regioni: Fondamentale per l’applicazione e l’adattamento degli standard nazionali nei contesti regionali. Deve impegnarsi a superare le interpretazioni divergenti e a collaborare nell’implementazione dei piani di investimento per il potenziamento della Medicina Generale nelle aree più fragili.

AGENAS: Può supportare il Ministero e le Regioni con dati e analisi per identificare le aree di maggiore criticità e monitorare l’efficacia delle politiche di riequilibrio, proponendo modelli organizzativi e tecnologici standard per la Medicina Generale basati sulle migliori evidenze.

SIMG contribuisce alla definizione degli standard e alla formazione sul territorio

6.5.1 DIFFERENZE GEOGRAFICHE: NORD, CENTRO, SUD E ISOLE

• DISPARITÀ NELL’OFFERTA DI

SERVIZI SANITARI DI QUALITÀ TRA LE REGIONI: IL FENOMENO DELLA MOBILITÀ SANITARIA PASSIVA

a cura di Raffaella Bucciardini

National Centre for Global Health Director Health Equity Unit - Istituto Superiore di Sanità

Criticità

Funzionale

• Le regioni settentrionali concentrano il 94,1% dell’afflusso di pazienti da altre regioni in ragione della maggiore disponibilità di servizi sanitari e strutture di qualità rispetto al Centro- Sud e alle Isole.

• L’aumento della spesa, dovuto alla mobilità sanitaria, nel 2022 ha raggiunto i 5,04 miliardi di euro, portandosi ad un incremento del 18,6%, rispetto ai 4,25% del 2021.

• Il tasso di mortalità evitabile (i decessi avvenuti prima dei 75 anni prevenibili tramite interventi preventivi efficaci) mostra significative disparità territoriali a sfavore delle regioni del Sud.

Emozionale

• Sfiducia nel sistema sanitario nell’attuazione del principio costituzionale (articolo 32) che sancisce il diritto alla salute.

• Sfiducia particolarmente accentuata tra i pazienti affetti da patologie croniche e le loro famiglie.

• Senso di frustrazione e isolamento da parte dei soggetti più fragili per il fatto di doversi spostare per essere curati.

Sociale

• Aumento delle disuguaglianze di salute

• Peggioramento degli indicatori relativi alla coesione sociale e all’equità

• Disagi sociali significativi con ripercussioni negative sulla vita familiare e lavorativa a causa della necessità forzata di spostarsi

Soluzione

Sviluppo di una Strategia Nazionale con la finalità di contrastare la mobilità sanitaria passiva e promuovere l’equità territoriale, su scala e intensità proporzionali al livello di svantaggio, che tenga in considerazione i seguenti obiettivi specifici:

• Rafforzamento della sanità territoriale con investimenti mirati alla medicina di prossimità

• Consolidamento e creazione di poli specialistici regionali

• Potenziamento del personale sanitario qualificato e delle misure di incentivazione

• Potenziamento di interventi sui determinanti sociali di salute

• Implementazione di un modello nazionale di monitoraggio dei flussi di mobilità

Tipologia di miglioramento

Ridurre la mobilità passiva; migliorare l’equità nell’accesso ai servizi sanitari; ridurre la mortalità evitabile.

Unità di misura

Percentuale di riduzione dei ricoveri extra regionali; aumento delle prestazioni fornite nelle regioni di residenza; miglioramento degli indicatori LEA e del tasso di mortalità evitabile; diminuzione della spesa per mobilità sanitaria passiva.

Oggetto del miglioramento

Cittadini residenti nelle regioni con elevata mobilità sanitaria passiva; strutture sanitarie territoriali; sistemi sanitari regionali.

Dettagli contestuali

Applicazione in tutte le regioni con priorità nelle regioni con alta mobilità sanitaria passiva.

Meccanismo causale:

• il rafforzamento dei servizi sanitari regionali, includendo anche presidi sanitari di prossimità e poli specialistici, aumenta la risposta assistenziale dei territori, diminuendo la mobilità sanitaria passiva.

• Il personale sanitario formato e qualificato rafforza la qualità e la stabilità dell’assistenza.

• Intervenire sui determinanti sociali significa migliorare le condizioni socio-economiche individuali e collettive che rendono un territorio resiliente in grado di promuovere e sostenere servizi sanitari efficaci.

• Il sistema di monitoraggio è indispensabile per valutare l’impatto delle politiche sanitarie sulla riduzione dei flussi di mobilità.

Referente Istituzionale: Ministero della Salute, Regioni, Istituto Superiore di Sanità, Agenas, Conferenza Stato-Regioni, Associazione dei Pazienti.

Ruolo: concorrono in modo integrato alla pianificazione, implementazione e monitoraggio delle politiche per ridurre la mobilità sanitaria passiva e favorire l’equità territoriale.

6.5.2 DIFFERENZE

TRA COMUNI

• SUPERARE LE DISPARITÀ DI ACCESSO REGIONALI: ARMONIZZAZIONE

DEL FSE E INTEROPERABILITÀ DEI SISTEMIINFORMATIVI CON PIENO E REALE COINVOLGIMENTO DEI COMUNI ITALIANI

a cura di Chiara Spinato, Responsabile Ufficio Salute, Pari opportunità e Politiche attive del lavoro ANCI

Criticità

Funzionale

I processi di inserimento dati da parte dei comuni sono operazioni molto onerose, con richieste reiterate dello stesso dato in banche dati differenti, comunque parzialmente accessibili nel loro complesso a valle del processo di inserimento da parte dell’operatore comunale. La scarsità di informazione e di interoperabilità delle banche dati non agevola il flusso e lo scambio informativi tra i diversi livelli istituzionali coinvolti e competenti per funzione e per competenza.

Emozionale

Tale disallineamento e unidirezionalità dell’informazione ingenera, in alcuni casi, senso di frustrazione del dipendente della PA locale che non beneficia di tali operazioni in termini di trasparenza ed efficientamento della propria mansione e che, oltretutto, spesso sottrae tempo all’erogazione del servizio pubblico in sé nei confronti del cittadino che ne ha fatto accesso per assolvere ad adempimenti compilativi preventivi che saturano il tempo a disposizione. A sua volta, quindi, possono verificarsi fenomeni di sfiducia e disapprovazione da parte dell’utente.

Sociale

Impatto negativo sul senso di coesione della comunità e sulla percezione di realizzazione della prossimità da parte dell’Amministrazione pubblica locale, nonché sulla performance dell’Ente in generale e del suo personale.

Soluzione

Il processo di armonizzazione del FSE e il raggiungimento di una autentica interoperabilità dei sistemi informativi con pieno e reale coinvolgimento dei Comuni italiani può prevenire le criticità espresse e, al contempo, favorire una maggiore e più intensa integrazione socio-sanitaria-assistenziale. L’applicazione della soluzione può trovare campo di attuazione a livello di SSR, nel dialogo tra ASL e Comuni / ATS. Il partenariato pubblico-privato può implementare, attraverso strumenti e soluzioni innova-

tive, la creazione di piattaforme di dialogo e sinergie. I soggetti coinvolti in qualità di beneficiari sono, in primis, i singoli cittadini e le comunità e, secondariamente, i dipendenti della PA locale nei comuni.

Aumentare l’equità sociale, migliorare la presa in carico garantendo maggiore prossimità, ridurre le disuguaglianze di accesso alla salute sono obiettivi da perseguire anche attraverso un migliore sistema informativo, misurabili attraverso indicatori di salute.

I sistemi di accesso e interoperabilità permettono di migliorare gli esiti della presa in carico e garantiscono un risparmio sull’accesso ai servizi sanitari (acuti in particolare) e un efficientamento di quelli sociali e assistenziali, migliorando le reti esistenti.

Case History

Alcuni comuni hanno avviato tavoli interistituzionali, anche con il supporto della rispettiva ANCI regionale, per superare asimmetrie informative, efficientare i processi di richiesta e caricamento dati, oltrepassare barriere di disparità di accesso regionale, anche nell’ottica di implementare i PUA previsti nelle Case di Comunità.

• Ne deriva un risultato positivo per quanto ai seguenti aspetti:

• scambio di conoscenza, competenza e buone pratiche

• sviluppo di protocolli operativi interistituzionali

• risoluzioni ad hoc su base micro-scala (comune o quartiere) o in base al grado di vulnerabilità dei soggetti coinvolti

Chi è il referente istituzionale per implementare la soluzione

Indubbiamente i Referenti istituzionali centrali sono il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero della Salute, la Conferenza delle Regioni e della PA, AGENAS e ANCI insieme al DTD, Agid e ACN per la competenza di infrastrutturazione e sicurezza.

Ciascuno per il proprio ruolo, agendo con lo scopo di ren-

dere veramente interoperabili i sistemi informativi; rendere accessibili, per competenza e funzione, ai comuni italiani tali sistemi; armonizzare il FSE per agevolare il dialogo tra azienda sanitaria locale / SSR e comune interessato.

CONCLUSIONI

Superare le disparità di accesso regionali è un argomento al centro di tutte le pianificazioni e programmazioni aziendali, così come un obiettivo dichiarato da parte del Ministero della Salute da perseguire attraverso un’alleanza multilivello e interistituzionale.

In questa fase storica, grazie anche a un importante ridisegno dell’assetto di cura e di presa in carico del cittadino favorito dalle riforme del PNRR, è importante acquisire o maturare la consapevolezza che vi è un’opportunità vera di integrare i servizi, a partire da quello informativo, come strategia per superare le disuguaglianze. Tale processo potrà compiersi solo se saranno contemplati tutti i fattori che vi concorrono, dall’infrastrutturazione digitale alla formazione tecnica fino al rafforzamento della capacità amministrativa degli Enti coinvolti, dalla comunicazione pubblica a quella interna, dalla re-ingegnerizzazione dei processi alla partecipazione attiva.

L’armonizzazione del FSE e l’implementazione dell’interoperabilità dei sistemi informativi, con un pieno e reale coinvolgimento dei Comuni italiani, potrà rappresentare una sfida tanto complessa quanto foriera di ottimi risultati nella direzione dell’equità di accesso.

6.6 DISPARITÀ PER PATOLOGIA

• INFARTO

DEL MIOCARDIO E SINDROMI CORONARICHE ACUTE: DISPARITÀ

NEL MANAGEMENT CLINICO E POSSIBILI SOLUZIONI

a cura di Massimo Volpe

Presidente Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC)

L’infarto del miocardio e, più in generale, le sindromi coronariche acute rappresentano ancora oggi la prima causa di mortalità ed una delle principali cause di ospedalizzazione in Pronto Soccorso nei Paesi occidentali ed anche in Italia. Inoltre, anche alla luce dei notevoli progressi delle cure realizzati negli ultimi 40 anni, mentre si è spostata più avanti nella vita l’età di maggiore incidenza, i costi sanitari globali legati alle procedure diagnostiche, alle terapie interventistiche basate sull’impiego di device, allo sviluppo di farmaci più moderni e costosi ed alle ricadute riabilitative, nonché socioeconomiche nel post-infarto sono progressivamente e significativamente aumentati.

Inoltre, in relazione alla necessità ed ai vantaggi prognostici legati ad un intervento molto tempestivo e precoce (preferibilmente entro i 90 minuti), risulta ancora oggi non pienamente raggiunto l’obiettivo di garantire cure efficaci a tutti i cittadini, sia in termini di intervento “salvavita”, sia in termini di limitare le complicanze soprattutto legate allo sviluppo di insufficienza cardiaca e aritmie e ancor più di limitare o evitare disparità di accesso alle cure per una condizione clinica acuta potenzialmente fatale o gravemente invalidante.

Disparità nell’accesso alle cure dell’infarto del miocardio

Molteplici fattori possono essere chiamati in causa a questo riguardo: tuttavia le principali condizioni che determinano disparità nell’accesso tempestivo alle cure per il paziente infartuato possono essere identificate in:

1. Disparità geografiche e logistiche:

Nei principali centri urbani e più in generale nelle città esistono uno o più centri in grado di diagnosticare rapidamente un infarto attraverso un esame coronarografico immediato dopo l’accesso al Pronto Soccorso e provvedere all’esecuzione di una procedura di rivascolarizzazione miocardica mediante angioplastica, mentre in aree più isolate (montane, rurali, isolane o piccoli centri) molto spesso il paziente colpito si trova a distanza di decine di km e di tanti minuti (o ore) dal luogo dove può essere messa in atto la cura appropriata. Le conseguenze di questo ritardo, che determina

progressiva perdita di tessuto muscolare vitale (“il tempo è miocardio”), possono avere impatto drammatico fino a determinare la morte del paziente in attesa.

Le soluzioni per superare questa barriera spaziotemporale non sono certamente semplici. Tuttavia, la disponibilità in un centro di primo soccorso o di pronto soccorso o persino in ambulanza di poter somministrare, in caso di prevedibile notevole ritardo all’angioplastica che ecceda i 180 minuti, una terapia fibrinolitica endovenosa, laddove non vengano riscontrate controindicazioni può rappresentare un importante presidio terapeutico per evitare la trombosi del vaso e il conseguente infarto, nonché guadagnare tempo per permettere al paziente l’accesso ad un centro specializzato.

1. Disparità socio-economiche e culturali

La letalità dell’infarto del miocardio è notoriamente più elevata nelle fasce a più basso reddito a livello culturale. Ciò è una conseguenza di una minore disponibilità di mezzi di comunicazione o trasporto rapido e ancor più alla mancata o scarsa conoscenza e valorizzazione dei sintomi che non devono essere sottovalutati (ad esempio un dolore intenso, trafittivo o gravativo, nell’area del torace compresa tra zona sovra-ombelicale e mandibola, eventualmente irradiato alla spalla e all’arto superiore sinistro): quest’ultimo aspetto e’ assolutamente rilevante per il riconoscimento di un malore che potrebbe corrispondere ad un infarto del miocardio. Le conseguenze di queste carenze socio-culturali e del tardivo riconoscimento di un evento acuto coronarico sono altresì drammatiche, come è stato decritto in precedenza.

Le soluzioni per queste criticità decisive nell’accesso tempestivo del paziente alle cure, possono essere identificate in campagne informative a cura del Ministero della Salute e/o delle Regioni che utilizzino i media maggiormente diffusi (ad esempio: spot televisivi, campagne periodiche, tipo pubblicità progresso), nonché nell’azione educazionale che può essere svolta dal medico di famiglia soprattutto nei pazienti considerati più a rischio per fascia di età o

presenza di fattori di rischio cardiovascolari. Anche il lavoro divulgativo che può essere svolto dalle Società Scientifiche di settore attraverso canali di informazione tradizionali o social media riveste grande importanza.

3. Disparità di accesso legate al sesso

Dopo l’esordio della menopausa, il rischio di incorrere in un evento coronarico acuto in una donna si avvicina sempre più a quello dei maschi, sia per il venir meno della protezione ormonale, sia per l’esposizione agli stessi fattori di rischio della popolazione maschile (ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, fumo, diabete, obesità, stress e inquinamento ambientale).

Nonostante ciò, si è oggi portati a pensare che nelle donne l’infarto del miocardio sia da considerare un evento infrequente o addirittura raro. A parte il fatto che alcune sindromi coronariche acute, che possono comportare gravi conseguenze per i pazienti, come ad esempio la sindrome di Tako-Tsubo (anche impropriamente ma efficacemente descritta come “crepacuore”) oppure la cosiddetta sindrome X coronarica che configura un quadro del tutto simile all’infarto o all’angina, ma che è caratterizzata da un quadro a coronarie epicardiche principali indenni (viene anche spesso definita “angina microvascolare”), hanno un rapporto di incidenza di circa 9:1 nel rapporto femmine: maschi, il classico infarto del miocardio può colpire le donne in modo altrettanto consistente dal punto di vista numerico. Il frequente minore riconoscimento dell’infarto nella donna dipende per lo più dalla tradizionale (errata) convinzione che la donna possa essere meno interessata dalla malattia aterosclerotica e meno colpita dagli episodi acuti, dalla minore consuetudine delle donne ad effettuare esami diagnostici in regime di prevenzione, ed anche in relazione al fatto che i sintomi dell’infarto possono essere atipici e subdoli nelle donne (dolore epigastrico, dispnea, dolore al collo o sensazione puntoria in corrispondenza delle mammelle, intorpidimento dell’avambraccio e della mano sinistra, etc.).

Se queste circostanze determinano ritardo nell’accesso alle cure le conseguenze possono essere persino peggiori che nei maschi determinando una prognosi che può essere molto sfavorevole.

Le soluzioni sono soprattutto di tipo socio-culturale ed educazionale e sono di competenza del medico di famiglia o dello specialista di fiducia. Anche campagne indirizzate alle donne che possono essere condotte sul territorio da Società Scientifiche, Fondazioni, Farmacie e naturalmente istituzioni possono essere di grande supporto. Ma soprattutto le strategie di prevenzione primaria volte al riconoscimento e all’identificazione di fattori di rischio cardiovascolare o segni iniziali di danno d’organo hanno il maggior impatto nel limitare il rischio legato ad un tardivo accesso alle cure focalizzandosi su un preventivo e precoce screening di prevenzione.

• RIORGANIZZAZIONE DELL’ASSISTENZA ALLA PERSONA CON DIABETE E MULTICRONICITÀ

a cura di Riccardo Candido

Presidente Nazionale dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD)

Criticità

Nel 2022 le persone con diabete in Italia sono 3,9 milioni, pari al 7,7% della popolazione adulta (over 18). Si tratta per la maggior parte di pazienti affetti da multicronicità (presenza di 3 o più patologie croniche), condizione che aumenta all’aumentare dell’età e di condizioni socio-economiche svantaggiate. Attualmente la presenza di multiple comorbidità richiede l’intervento di diverse figure professionali, con azioni frammentarie, focalizzate più sul trattamento della malattia che sulla gestione del malato nella sua interezza, con frequenti duplicazioni diagnostiche e di prestazioni ambulatoriali che contribuiscono all’allungamento delle liste di attesa, all’aumento della spesa sanitaria e rendono difficoltosa la partecipazione del paziente al processo di cura.

Soluzione

Ridisegnare l’attuale modello di assistenza della cronicità per migliorare il Patient Journey delle persone con diabete e multimorbidità.

1. Identificare uno specifico “case-manager” ed uno specifico “care menager” della cronicità sulla base della stratificazione della complessità della persona con diabete e della patologia prevalente.

2. Prevedere l’integrazione funzionale tra i diversi specialisti e le diverse anime che collegano ospedale e territorio. In questo contesto l’ospedale va concepito come un fondamentale snodo di alta specializzazione del sistema di cure per la cronicità, che interagisce con la specialistica ambulatoriale e con l’assistenza primaria, attraverso nuove formule organizzative che prevedano la creazione di reti multispecialistiche dedicate.

3. Implementare una gestione condivisa, integrata e multi-disciplinare della cronicità tra i singoli specialisti guidata dal “case manager” preferenziale e dinamico.

4. Sostenere il ricorso a piattaforme digitali per la condivisione dei casi ed il teleconsulto (informatizzazione dei dati sanitari).

Questa la via da percorrere per rispondere in maniera olistica ed efficace alla complessità dei pazienti con diabete multimorbidi. La sostenibilità (e sopravvivenza) del SSN passa attraverso una presa in carico selettiva, una stratificazione accurata e un intervento personalizzato multidisciplinare, proporzionale alla complessità clinica (medicina di iniziativa). L’obiettivo è promuovere la cosiddetta “Value Based Medicine”, medicina efficace ma sostenibile sia in termini economici sia in termini di valori individuali che sociali.

Referente Istituzionale:

Ministero della Salute, Age.Na.S, Conferenza delle Regioni

•. QUANDO LA CURA SI INTERROMPE: LA PERSONA CON DIABETE TRA OSPEDALI E RSA

a cura di Stefano Nervo

Presidente di Diabete Italia

Criticità

Funzionale

Nelle RSA e nei reparti ospedalieri senza contatto diretto con le diabetologie, persone con diabete in terapia avanzata (microinfusori, CGM, sistemi ibridi ad ansa chiusa o insuline con PT) si vedono sospesi o sostituiti i propri dispositivi e farmaci. La gestione si riduce spesso a protocolli standardizzati obsoleti e poco efficaci, per mancanza di personale formato e per timore di complicazioni.

Emozionale

La sospensione di una terapia autogestita e consolidata produce una forte sensazione di perdita di controllo, fiducia e dignità. La persona viene trattata come paziente passivo, anziché come protagonista della propria cura.

Sociale

Questo fenomeno è trasversale e colpisce in particolare persone anziane, fragili o con minore capacità di advocacy. L’assenza di linee guida vincolanti e la variabilità territoriale amplificano la disparità di trattamento

Soluzione

Tipologia di miglioramento

Assicurare la continuità terapeutica nella transizione tra livelli di assistenza, in particolare verso strutture ospedaliere o sociosanitarie, attraverso protocolli specifici e l’integrazione della telemedicina. Ciò include la raccolta automatizzata dei dati glicemici e la loro “trasmissione” ai Centri di Diabetologia territorialmente competenti, per consentire teleconsulti efficaci e personalizzati.

Unità di misura

La % di persone con diabete che mantengono i propri dispositivi in RSA o in reparto; numero di RSA/reparti formati, registrazione del TIR sui pazienti ricoverati.

Oggetto del miglioramento

La qualità e sicurezza della cura, riduzione complicanze, empowerment.

Dettagli contestuali

Formazione obbligatoria per il personale, protocollo nazionale per il mantenimento dei dispositivi, attivazione del supporto diabetologico (in presenza o remoto) per RSA e reparti in caso di ricovero di persone con diabete.

Meccanismo causale

Fornendo competenze e riferimenti chiari, si evitano regressioni terapeutiche, si ottimizzano le risorse e si mi gliora la qualità dell’assistenza, nonché i tempi di recupero per interventi o cure di patologie specifiche.

Case history

In alcune RSA e reparti, l’ingresso di una persona con microinfusore, sensore o insuline senza una “versione ospedaliera” ha comportato la loro disattivazione o sospensione, con ritorno a insulina basale a dosaggio fisso e monitoraggi spot, causando iperglicemie ricorrenti e forte sensazione di incertezza circa il controllo della situazione. Chi si è trovato in queste situazioni ha visto una regressione nella gestione della malattia, corredata da ulteriori problematiche legate allo scompenso glicemico che ha allungato i tempi di recupero (infezioni, problemi oculari ecc.).

Referente istituzionale

Ministero della Salute e Assessorati Regionali alla Sanità: definizione di linee guida nazionali per il mantenimento dei dispositivi in RSA e ospedali senza contatto diretto con le diabetologie, formazione continua e integrazione nei PDTA.

• DIABETE, NON TUTTI SONO UGUALI: LE DISPARITA’ DI ACCESSO ALLE CURE IN ITALIA

a cura di Stefano Garau

vicepresidente FAND Associazione Italiana Diabetici

In Italia oltre 3,5 milioni di persone convivono con il diabete, una patologia cronica che richiede cure continue, tecnologie avanzate e una rete sanitaria ben organizzata. Eppure, nonostante il Servizio Sanitario Nazionale garantisca formalmente l’universalità delle cure (art. 32 della Costituzione e D.lgs. 502/1992), la realtà racconta una storia diversa: quella di disparità profonde tra territori, fasce sociali e gruppi di età

Un esempio concreto è l’accesso diseguale ai dispositivi tecnologici, come i microinfusori o i sensori per il monitoraggio continuo della glicemia (CGM), strumenti che migliorano sensibilmente la qualità di vita dei pazienti e il controllo glicemico. Mentre in alcune regioni questi presìdi sono garantiti gratuitamente anche agli adulti con diabete di tipo 1, in altre vengono forniti solo a bambini o pazienti particolarmente fragili. Questo accade nonostante il Ministero della Salute, già con il Piano Nazionale Diabete del 2012, avesse indicato chiaramente la necessità di “garantire equità di accesso alle cure e ai dispositivi su tutto il territorio nazionale”.

Le diseguaglianze socio-economiche pesano poi come un macigno. Visite specialistiche a pagamento, trasporti per raggiungere i centri diabetologici, costi alimentari: per chi vive con un reddito basso, tutto questo può diventare un ostacolo all’aderenza terapeutica. E nelle aree interne, dove i servizi sono carenti, la cronicità rischia di essere abbandonata.

Situazione critica anche per i bambini con diabete di tipo 1, specie in ambito scolastico. La somministrazione dell’insulina o la gestione delle ipoglicemie spesso ricadono sui genitori, perché mancano protocolli chiari e personale formato. Un vuoto che compromette il diritto allo studio e all’inclusione.

Infine, i pazienti stranieri incontrano barriere culturali e linguistiche che ostacolano diagnosi precoci e corretta gestione della terapia, generando nuove forme di fragilità

Di fronte a questo scenario, serve un cambio di passo. Le Linee guida nazionali sui PDTA diabetologici, pubblicate nel 2020 dall’Istituto Superiore di Sanità, sono un punto di partenza. Ma finché non si arriverà a una reale armonizzazione tra le regioni, il diritto alla salute continuerà ad essere un privilegio per pochi.

6.7. DISPARITÀ PER GRUPPI VULNERABILI

• TERAPIE

INNOVATIVE: IL PESO NASCOSTO A CARICO DELLE FAMIGLIE

a cura di Annalisa Scopinaro

Alcune terapie ad alto valore innovativo e che richiedono particolari tecniche di somministrazione e conseguente expertise da parte dei clinici che le somministrano non sono e non potranno essere distribuite capillarmente sul territorio nazionale; in alcuni casi questo riguarderà anche uno scenario europeo, legato alla numerosità dei casi che si prevede di trattare.

Questo comporterà alcune ricadute: la persona con la patologia dovrà spostarsi (spesso con familiari/caregiver) e i centri in questione vedranno un incremento di costi esponenziale.

I problemi da affrontare hanno quindi due facce: da un lato, la persona/famiglia che deve riorganizzare la sua vita in funzione del trattamento; dall’altro, la riorganizzazione speculare dell’attività del centro.

Ad oggi i costi di trasporto e alloggio delle persone/famiglie sono sostenuti integralmente dalle stesse, salvo in alcuni casi di rimborso da parte della Regione di provenienza, ma molto a macchia di leopardo e con procedure di accesso al rimborso farraginose.

Nel costo della terapia dovrebbero essere compresi i rimborsi alle persone che saranno sottoposte alla stessa, attraverso l’introduzione di una clausola nell’accordo di prezzo-rimborso.

Nel caso in cui questo non sia possibile, è necessario che nei LEA siano previste queste spese come collaterali alla terapia, in quanto indissolubilmente legate al trattamento.

Ultima alternativa, ciascuna Regione dovrebbe prevedere un fondo specifico con questa finalità.

UNIAMO ha, nel 2023, promosso un progetto specifico (AbitRare), per verificare l’entità della problematica e l’effettivo bisogno da parte delle famiglie. Sono stati individuati i tre centri italiani che somministravano una specifica terapia ad alto valore innovativo e, attraverso i clinici, sono stati offerti rimborsi spese alle persone che accedevano a questi trattamenti. Le richieste sono state 15 e la cifra spesa nel periodo di sperimentazione è stata di circa 10.000 euro (in sei mesi).

Il rimborso medio per famiglia è stato di 600 euro.

Alcune persone sono venute in ufficio a consegnare la documentazione richiesta e ci hanno detto fra le lacrime che nessuno li aveva mai aiutati prima. Tutti i casi erano famiglie bisognose, spesso in carico ai servizi sociali, che però non avevano possibilità di aiutarle in questo caso specifico.

La terapia ha consentito di fermare la progressione verso la cecità; quindi, sono state “recuperate” persone che altrimenti sarebbero rimaste in qualità di invalidi e/o ciechi a carico della collettività per tutto il resto della loro vita.

I referenti istituzionali sono AIFA per quanto riguarda l’accordo prezzo/rimborso; il Ministero della Salute per l’istituzionalizzazione dei rimborsi; le singole Regioni.

• EMOFILIA:

DALLA SCOPERTA ALLA VITA ADULTA

a cura di Angelo Lupi Presidente di A.MA.R.E.

L’emofilia, una rara malattia genetica che impedisce la corretta coagulazione del sangue, ha una storia lunga e complessa. Dalle prime, incerte descrizioni alla moderna gestione terapeutica, la comprensione e il trattamento di questa condizione hanno compiuto passi da gigante, trasformando radicalmente la vita di chi ne è affetto, specialmente in età adulta.

La Scoperta dell’Emofilia: Un Percorso Non Sempre Prevedibile

La diagnosi di emofilia non è un evento sempre annunciato. La genetica e la familiarità, pur essendo indicatori importanti, non svelano ogni caso; esistono infatti rare situazioni in cui la malattia si manifesta inaspettatamente, a causa di mutazioni genetiche spontanee. Immaginiamo una nascita apparentemente serena, un bambino che cresce senza alcun segnale preoccupante fino ai due anni. Poi, un giorno, giocando con il fratello maggiore, un banale incidente domestico: un colpo contro lo spigolo di un tavolo. Ed ecco la sorpresa, amara e improvvisa: il bambino è affetto da emofilia A grave.

Vivere con l’emofilia, specialmente negli anni ‘80, significava affrontare un percorso lastricato di rinunce e difficoltà, ma anche illuminato dalla speranza in un futuro migliore. Nonostante la sua rarità, l’emofilia era una malattia sufficientemente diffusa da catalizzare l’attenzione pubblica e scientifica, spingendo la ricerca verso nuove frontiere e sensibilizzando la società sulle sfide quotidiane di chi ne era affetto.

La comprensione scientifica progredì tanto significativamente che si riuscì a identificare dei fattori della coagulazione mancanti o carenti nei pazienti emofilici: il Fattore VIII, la cui deficienza causa l’emofilia A (la forma più comune), e il Fattore IX, responsabile dell’emofilia B, sorella da sempre considerata meno invasiva.

Comprendere l’Emofilia

L’emofilia è una malattia ereditaria recessiva legata al cromosoma X. Poiché i maschi hanno un solo cromosoma X (ereditato dalla madre), se questo porta il gene difettoso, manifesteranno la malattia. Le femmine, avendo due cromosomi X, sono solitamente portatrici sane: il cromosoma X sano compensa quello difettoso, anche se alcune portatrici possono presentare sintomi lievi.

La gravità dell’emofilia (lieve, moderata o grave) è determinata dal livello residuo di attività del fattore di coagulazione nel sangue. Nelle forme gravi, le emorragie possono verificarsi spontaneamente o a seguito di traumi minimi, interessando principalmente articolazioni (emartri) e muscoli, ma potenzialmente anche organi vitali.

Vivere con l’emofilia in età adulta: sfide e progressi Per secoli, la diagnosi di emofilia equivaleva a una vita breve e segnata da dolore e disabilità. Le emorragie interne, soprattutto quelle articolari, se non trattate, portavano a danni permanenti (artropatia emofilica) e a una significativa limitazione motoria.

La vera rivoluzione nel trattamento dell’emofilia è avvenuta negli anni ‘70, con lo sviluppo e la disponibilità dei concentrati di fattore della coagulazione derivati dal plasma e, successivamente, prodotti con tecniche di DNA ricombinante. Questi farmaci permettono di sostituire il fattore mancante, arrestando le emorragie o, ancora meglio, prevenendole.

Oggi, la terapia di profilassi – la somministrazione regolare del fattore mancante, iniziata spesso in giovane età – ha trasformato la vita dei pazienti con emofilia grave. Gli adulti possono condurre un’esistenza attiva e produttiva, dedicarsi al lavoro, formare una famiglia e praticare attività fisica (con le dovute cautele e scegliendo sport a basso impatto).

Le sfide:

• Gestione del dolore cronico: L’artropatia, conseguenza di emorragie passate, può causare dolore persistente.

• Sviluppo di inibitori: Alcuni pazienti sviluppano anticorpi contro il fattore infuso, rendendo la terapia sostitutiva meno efficace e richiedendo trattamenti più complessi.

• Impatto psicologico e sociale: Vivere con una malattia cronica può comportare ansia, stress e la necessità di un costante adattamento.

• Accesso alle cure: Sebbene i trattamenti siano migliorati, l’accesso uniforme a cure specialistiche e farmaci innovativi rimane una sfida in alcune parti del mondo.

La gestione dell’emofilia in età adulta richiede un approccio multidisciplinare, con il supporto di centri emofilia specializzati che offrono non solo cure ematologiche, ma anche consulenza ortopedica, fisioterapica, psicologica e sociale.

Verso il futuro

La ricerca scientifica continua a offrire nuove speranze. Terapie innovative, come i farmaci a emivita prolungata (che riducono la frequenza delle infusioni), le terapie non sostitutive (che agiscono su altri meccanismi della coagulazione) e, soprattutto, la terapia genica, puntano a migliorare ulteriormente la qualità di vita e, potenzialmente, a offrire una cura definitiva.

Vivere con l’Emofilia oggi: oltre i limiti, verso nuove vette

Oggi, convivere con l’emofilia non è più sinonimo di rinuncia a sport, vacanze, ambizioni professionali o alla gioia di una famiglia. Sebbene l’attenzione resti una compagna di viaggio indispensabile, le persone con emofilia stanno ridefinendo i confini del possibile: si cimentano nel free climbing, affrontano ardite arrampicate su roccia, conquistano vette impegnative, eccellono come campioni di nuoto, si distinguono nel ciclismo, nel calcio, nel body building e in innumerevoli altre discipline.

Un esempio straordinario di questa nuova realtà è l’impresa di un uomo di 54 anni, affetto da emofilia A grave. Insieme a un gruppo di giovani, ragazzi e ragazze anch’essi con emofilia, ha raggiunto la cima del Monte Bianco. Un’impresa che, solo fino a poco tempo fa, sarebbe stata considerata irrealizzabile.

Questo traguardo, e molti altri simili, sono il frutto della sinergia tra le innovative terapie disponibili e l’indomita tenacia che caratterizza le persone con emofilia, dimostrando che con il giusto supporto e una forte determinazione, molti ostacoli possono essere superati.

Le disparità regionali: Un mosaico sanitario incompiuto

Già negli anni ‘90 emergeva con forza la necessità di strutturare una rete assistenziale per i pazienti con emofilia in Italia. I centri specializzati erano pochi, concentrati prevalentemente nelle regioni più grandi, costringendo molti a quelli che venivano tristemente definiti “viaggi della speranza”. Si cercavano soluzioni e cure che avrebbero dovuto essere accessibili più vicino casa, per rispondere con urgenza a quelle emergenze che la malattia impone.

Immaginiamo la realtà di allora: una corsa contro il tempo, spesso in piena notte o durante i giorni di festa, per un emartro improvviso o un sanguinamento incoercibile. La meta era il centro specializzato più vicino, con la speranza di trovare un medico pronto ad intervenire. A questo si aggiungeva il fardello dei giorni di scuola persi, delle esperienze mancate con i coetanei, un’infanzia e un’adolescenza segnate dalla malattia e dalle difficoltà logistiche. Questi erano solo alcuni dei tanti problemi che gravavano sui pazienti e sulle loro famiglie.

Un passo avanti significativo è avvenuto con l’Accordo Stato-Regioni del 13 marzo 2013 che ha gettato le basi per la definizione di un percorso di assistenza sanitaria dedicato ai pazienti affetti da Malattie Emorragiche Congenite (MEC). Questo accordo mirava alla creazione di reti regionali, all’implementazione di Percorsi Diagnostico Terapeutico Assistenziali (PDTA) specifici e a una migliore organizzazione complessiva dell’assistenza. L’intento era quello di superare le criticità del passato e garantire cure più omogenee e accessibili.

Tuttavia, nonostante le intenzioni e i progressi normativi, la realtà attuale evidenzia come molte di quelle aspettative siano ancora disattese. Persiste, infatti, una marcata disparità nell’assistenza sanitaria tra le diverse regioni italiane. Pazienti residenti in aree geografiche differenti continuano a sperimentare livelli di accesso ai trattamenti e ai centri specializzati eterogenei.

Se da un lato la carenza di farmaci prontamente disponibili sembra essere un problema in via di risoluzione in molte aree, permane la  criticità legata alla necessità di percorrere lunghe distanze per raggiungere strutture adeguate. Queste strutture dovrebbero garantire non solo la presenza di specialisti ematologi, ma anche di quel gruppo multidisciplinare (ortopedico, fisiatra, psicologo, infettivologo, etc.) indispensabile per una presa in carico completa del paziente emofilico, che oggi ha aspettative di vita e di qualità della vita sovrapponibili a quelle della popolazione generale.

6.8 DISPARITÀ

DI ACCESSO PER ETA’

6.8.1 ADOLESCENTI E GIOVANI: SALUTE MENTALE E PREVENZIONE

• REALIZZAZION• E DI SERVIZI PER LA SALUTE MENTALE MULTIDISCIPLINARI

E MULTIPROFESSIONALI A BASSA SOGLIA DI ACCESSO PER ADOLESCENTI

E GIOVANI ADULTI

a cura di Liliana Dell’osso Presidente Società Italiana di Psichiatria (SIP)

Criticità

Funzionale:

• Carenze organizzative e strutturali e scarso coordinamento tra i Servizi NPI e Psichiatria

• Impiego di rigidi cut-off legati all’età che delineano il confine della transizione tra adolescenza ed età adulta con conseguente discontinuità nella cura

• Difficoltà di accesso a (e/o carenza di) Servizi specifici per la salute mentale nella fase di transizione

Emozionale:

• Disorientamento delle famiglie nel passaggio dallo status di paziente minorenne a giovane adulto

• Incertezza rispetto a tempi e possibilità di presa in carico, con frustrazione e sentimenti di abbandono

Sociale:

• Difficoltà di accesso a percorsi formativi e di inserimento lavorativo

• Esclusione sociale, aumento di condotte a rischio (addiction, violenza)

Soluzione

Formazione congiunta fra npi e psichiatri in ottica di transizione; attivazione diffusa di esperienze di equipe dedicate alla transizione e sviluppo di servizi multidisciplinari a bassa soglia per adolescenti e giovani adulti; definizione di specifici criteri di accreditamento delle strutture dedicate, tramite la condivisione di Linee guida fra le diverse Società Scientifiche (SINPIA; SIP, Psicofarmacologia, Medicina Generale …); materiale informativo sui Servizi dedicati alla transizione per famiglie, pazienti, operatori socio-sanitari, scuola. Azioni di sensibilizzazione e contrasto allo stigma.

Tipologia di miglioramento:

facilitare l’accesso, migliorare la qualità dell’assistenza, ridurre i tassi di drop-out nelle fasi di transizione.

Unità di misura:

migliorare equità e tempistica di accesso attraverso indicatori specifici, qualità dei servizi erogati, rispetto dei criteri di accreditamento condivisi, questionari di soddisfazione dell’utenza e degli operatori.

Oggetto del miglioramento: pazienti e famiglie, professionisti sanitari e socio-sanitari.

Dettagli contestuali:

applicazione in tutti i contesti sanitari e socio-sanitari coinvolti nella transizione, in particolare nelle aree con maggiori disuguaglianze e discontinuità.

Meccanismo causale e condizioni specifiche in grado di produrre il miglioramento ipotizzato:

La formazione condivisa fra specialisti/professionisti (età evolutiva, età adulta, dipendenze, servizi sociali) migliora la conoscenza delle problematiche. L’esistenza di Servizi dedicati consente una presa in carico continuativa. Materiali informativi promuovono la conoscenza delle risorse disponibili. La telemedicina permette di ridurre/superare il gap da barriere geografiche e logistiche

Referente istituzionale: Ministero della Salute, in collaborazione con Regioni, ASL e associazioni di pazienti.

Ruolo: definire le Linee guida per l’implementazione dei percorsi di cura, garantire la formazione dei professionisti, monitorare l’efficacia del Servizio e promuovere la ricerca

6.8.2 ANZIANI: ASSISTENZA, FRAGILITÀ E CURE PALLIATIVE (SIGG)

• CENTRI DIURNI E COHOUSING PER LA LOTTA ALLA

a cura di Dario Leosco

Presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG)

Criticità

Funzionale

Secondo i dati ISTAT la percentuale di soggetti anziani che vivono in condizioni di solitudine è del 40-50% ponendo l’Italia ai primi posti tra i paesi europei in cui tale fenomeno sociale è più diffuso. Numerose evidenze scientifiche indicano come la solitudine rappresenti un fattore di rischio indipendente di mortalità, incidenza di malattie cardiovascolari e disturbi cognitivi. L’impoverimento del numero e della qualità delle relazioni sociali comporta nell’anziano una diminuzione della stimolazione cognitive che a sua volta predispone ad una maggiore vulnerabilità alle modificazioni neuropatologiche età-correlate e ad una riduzione della riserva cognitiva.

Emozionale

Senso di isolamento e di abbandono, deprivazione sensoriale, sviluppo di turbe del comportamento quali ansia e depressione, disturbi del sonno, malnutrizione.

Sociale

Riduzione della qualità della vita e dell’autonomia funzionale con impatto negativo sulla partecipazione dell’anziano alla vita familiare e sociale. Altro aspetto rilevante è l’aumento del carico lavorativo e lo sviluppo di burnout del caregiver.

Soluzione

Si propone di migliorare la consapevolezza del problema presso l’opinione pubblica e presso gli amministratori locali e nazionali, impegnare le comunità a eliminare le cause e a identificare i luoghi della solitudine per meglio combatterla, migliorare la cultura clinica per identificare e contrastare il rischio di solitudine anche all’interno dei servizi sanitari e assistenziali. Importante è lo sviluppo di centri diurni che garantiscano interventi di tipo socio-assistenziale e sanitario e l’implementazione delle sperimentazioni di cohousing intra- e inter-generazionali.

Tipologia di miglioramento:

incremento delle interazioni sociali di qualità, stimolazione sensoriale, incremento dell’attività fisica e dell’autonomia funzionale, miglioramento della qualità della vita.

Unità di misura:

tempo (l’implementazione di centri che promuovano l’interazione sociale ridurrebbe in maniera significativa o, addirittura azzererebbe, i tempi in cui l’anziano vive in

SOLITUDINE DELL’ANZIANO

condizioni di solitudine); probabilità (riduzione dell’impatto della solitudine sullo sviluppo di disturbi cognitivi e complicanze cardiovascolari); qualità della vita (riduzione dell’impatto della solitudine sulla qualità della vita e sull’integrazione familiare e sociale).

Oggetto del miglioramento: anziani che vivono in solitudine in assenza o in presenza di condizioni di disabilità e di patologie croniche.

Dettagli contestuali: implementazione del numero di centri diurni in strutture pubbliche e/o convenzionate colmando il gap attualmente esistente con altri paesi europei. Stesso dicasi per lo sviluppo di progetti di cohousing in contesti urbani, attenendosi al profilo tipico per quanto riguarda le caratteristiche di queste strutture: solitamente si compongono di residenze dal taglio di bilocali e trilocali che hanno dimensioni di 50-60 e 80 metri quadri. La tipica struttura di cohousing ovviamente prevede ampie superfici dedicate agli spazi comuni interni ed esterni quali giardini, orti, spazi giochi, cucine e altre aree. Il 56,4% dei progetti cohousing in Italia ha più di 300 mq di spazi comuni scoperti e il 46,2% tra i 100 e 200 mq di spazi comuni coperti.

Meccanismo causale: il vantaggio dei centri diurni è rappresentato dal garantire all’anziano interventi di qualità di tipo socio-assistenziale ma anche sanitario. I benefici del cohousing nel contrastare la solitudine dell’anziano risiedono essenzialmente nella risposta che tale tipo di soluzione abitativa può dare a quelle che sono state le trasformazioni sociali degli ultimi decenni caratterizzate da bassa natalità, mobilità occupazionale, figli lontani, disponibilità economica ridotta, diminuzione delle reti di sostegno e riduzione dei servizi. Sarà necessario, tuttavia, un sostanziale cambiamento culturale incentrato su una radicata cultura familistica, modelli familiari tradizionali e forme di proprietà abitative tradizionali.

Referente istituzionale

Le Regioni e le loro amministrazioni, in autonomia o in collaborazione con privati. A tal proposito è necessario il coinvolgimento di professionisti per cercare e selezionare immobili e/o aree adatte alla costruzione di un cohousing su misura per l’anziano. Questi luoghi devono essere idonei anche ad ospitare tutti gli spazi comuni (palestre, giardini, parchi, orti, etc.).

7. PROMOTORI E PARTNERS

CON IL CONTRIBUTO NON CONDIZIONANTE DI:

CON IL PATROCINIO DI

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CON IL PATROCINIO DI :

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