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Sulla comunione in mano di don Giorgio Ghio

hanno coscienza di sé, avrebbero bisogno di classi dirigenti e di intellettuali, che ricordassero loro la storia recente di cui sono figli. Ma non vedo nessuno. L’ultimo tentativo l’ha fatto Benedetto XVI, con quali risultati lo abbiamo visto. Intanto l’ateismo da un lato e l’islamizzazione dall’altro avanzano inesorabili. Non c’è nulla che ci faccia gioire in questo anniversario che verrà simbolicamente celebrato, ma senza sostanza. Quasi una truffa politica e culturale, oltre che morale.

Un mese dopo la caduta del Muro, Vaclav Havel, l’eroe della primavera di Praga, pronunciò davanti al Parlamento di Varsavia un discorso particolarmente vibrante. Tra l’altro, disse: «Al

momento l’Europa è divisa. Ed è divisa anche la Germania. Sono due facce della stessa medaglia: è difficile immaginare un’EuropaSulla comunione in mano che non sia divisa in una Germania divisa, ma è anche difficile immaginare la Germania riunificata in un’Europa divisa. I due processi di unificazione dovranno svilupparsi parallelamente ed Durante l’emergenza Coronavirus ha suscitato sconcerto e perplessità, dopo l’accordo sottoscritto tra la Cei ed il governo Conte con le linee-guida per tornare a celebrare la Santa Messa, la decisione assunta anche subito, se possibile... I tedeschi hanno fatto molto per noi da molti parroci di dare d’ora in poi la Santa Comunione solo sulla mano, tutti: essi hanno cominciato da soli a demolire il muro, che ci senza reale necessità ed in spregio alle norme liturgiche. Norme, che ora separa dal nostro ideale: un’Europa senza muri, senza sbarre diè bene ribadire, come fa don Giorgio Ghio in questo articolo, ferro, senza filo spinato». Difficilmente oggi, trent’anni dopo queiinvitando tutti a resistere a disposizioni del tutto illegali. fatti che cambiarono in parte il volto del mondo, riusciamo a percepire l’eco di quelle ispirate parole del grande drammaturgodon Giorgio Ghio

La prassi di distribuire la Santissima Eucaristia sulla mano non risale a petizioni popolari né ad un movimento “dal basso”, ma va ascritta all’iniziativa con cui le conferenze episcopali, a partire dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, fecero istanza alla Santa Sede per ottenere il relativo indulto in deroga alla norma, che prescrive la somministrazione nella bocca come forma ordinaria. I vescovi, singolarmente consultati in proposito dalla Santa Sede, si erano espressi in maggioranza in senso negativo. Si legge nell’Istruzione Memoriale Domini, emanata dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino il 29 maggio 1969: «Dalle risposte date risulta chiaramente il pensiero della grande maggioranza dei Vescovi: la disciplina attuale non deve subire mutamenti; anzi un eventuale cambiamento si risolverebbe in un grave disappunto per la sensibilità dell’orientamento spirituale dei Vescovi e di moltissimi fedeli». Ma Paolo VI, pur riaffermando la disciplina tradizionale, aveva aperto un varco alla nuova prassi nell’intento di sanare un abuso già diffuso in qualche nazione europea, come Belgio, Olanda, Francia e Germania.

Inspiegabilmente, nel giro di pochi anni, molte conferenze episcopali del mondo chiesero e ottennero la concessione di una possibilità cui i vescovi si erano dichiarati contrari e alla quale il popolo non pensava affatto. Da allora, una capillare opera di “rieducazione” ha fatto sì che l’eccezione diventasse la norma e che i fedeli desiderosi di comunicarsi nella forma corretta venissero trattati con insofferenza, se non con aperta ostilità.

Eucarestia ed archeologismo

Il richiamo alle fonti patristiche, normalmente addotto a sostegno, non tiene conto del fatto che si tratta di testimonianze sparse con cui non si può provare che la distribuzione dell’Eucaristia sulla mano fosse anticamente una prassi universale. Quand’anche lo fosse stata, sarebbe comunque fuori luogo appellarsi ad abitudini cadute in desuetudine: sarebbe un’espressione di quell’archeologismo che Pio XII riprovò nell’enciclica Mediator Dei. Come esiste un legittimo sviluppo organico del dogma, così è naturale che, in certi dettagli, la liturgia abbia conosciuto un sapiente adattamento, che l’autorità ecclesiastica ha sempre portato avanti – viste le immediate ricadute sulla fede del popolo – in modo estremamente prudente e ponderato.

A partire dalla “riforma” liturgica seguita al Vaticano II, che appare piuttosto come un totale rifacimento del rito romano, la consapevolezza dei gravi effetti di ogni intervento in questo campo sembra invece es-

Il richiamo alle fonti patristiche non tiene conto del fatto che si tratta di testimonianze sparse con cui non si può provare che la distribuzione dell’Eucaristia sulla mano fosse anticamente una prassi universale. In ogni caso, appellarsi ad abitudini cadute in desuetudine è espressione di quell’archeologismo che Pio XII (nella foto) riprovò nell’enciclica Mediator Dei.

La prassi di distribuire la Santissima Eucaristia va ascritta all’iniziativa con cui le conferenze episcopali fecero istanza alla Santa Sede per ottenere il relativo indulto in deroga. Paolo VI lo concesse, nell’intento di sanare un abuso già diffuso (nella foto su licenza Creative Commons Paolo VI al Concilio Vaticano II).

sersi considerevolmente attenuata. Nell’ultimo mezzo secolo, di conseguenza, in tutti i Paesi di tradizione cattolica la pratica religiosa è vistosamente crollata e la fede è divenuta merce rara.

A parte la totale incoerenza di chi ha voluto restaurare un singolo uso antico dopo l’abbandono di un intero patrimonio, bisogna considerare la questione sia sotto l’aspetto formale che sotto quello sostanziale.

L’aspetto formale

Dal primo punto di vista, si sostiene che la distribuzione dell’Eucaristia sulla mano, in quanto possibilità autorizzata dai vescovi con l’avallo della Santa Sede, crea ipso facto il diritto dei fedeli alla scelta del modo di ricevere il Sacramento e, correlativamente, il dovere del ministro di rispettarla. Ora, la concessione di un indulto non obbliga ogni vescovo ad applicarlo nella propria diocesi, né i sacerdoti ad agire contro la propria coscienza. Visto che oggi si adduce l’argomento della coscienza soggettiva per amministrare l’Eucaristia a chi viva in oggettivo stato di adulterio permanente, un ministro di Dio può invocarlo ben più legittimamente. Da parte dei fedeli, invece, è quanto mai

opportuno che, anziché attribuire tanta importanza alla modalità esterna di ricezione del Sacramento, prima di accedervi verifichino seriamente lo stato e le disposizioni della propria anima, onde non correre il rischio di commettere un sacrilegio o anche solo di fare una comunione indegna (eventualità – ahimè – tutt’altro che rare).

L’aspetto sostanziale

L’aspetto sostanziale è ancor più decisivo. L’incomparabile dignità del Corpo e Sangue di Cristo impone ad ogni sacerdote l’obbligo assoluto e incondizionato di mettere in atto tutte le precauzioni umanamente possibili per impedirne qualsiasi detrimento, nonché quello di evitare con la massima cura, nei confronti di detto Sacramento, qualsiasi comportamento che possa risultare di scandalo per la fede.

L’imposizione clericale della comunione sulla mano ha portato moltissimi preti e fedeli a trattare la santissima Eucaristia come un semplice simbolo di unione e a considerarne la ricezione un mero segno di appartenenza. All’attenuarsi della fede nella Presenza reale del Signore con la sua divinità e la sua umanità, assunta e immolata sulla Croce per i nostri peccati, corrisponde una serie di abusi che, in ordine di gravità, vanno dall’assunzione pratica dell’Ostia consacrata nel modo di un’ordinaria galletta alla regolare distribuzione per mano di laici, alla diffusa noncuranza per la caduta di frammenti, alla sottrazione sacrilega per l’uso in riti satanici.

Sul piano sostanziale, questi fatti pesano enormemente di più del turbamento di chi si veda negato un presunto “diritto” di comunicarsi in una modalità piuttosto che in un’altra. La raccomandazione di educare i fedeli alla corretta ricezione sulla mano, peraltro, era già prima assolutamente inutile; ora che si è prescritto ai sacerdoti di lasciar cadere l’Ostia consacrata sul palmo – dopo averla presa, come un oggetto spregevole, con guanti che finiranno nella spazzatura – è arduo non pensare che tutta questa serie di disastrose innovazioni liturgiche risponda ad un disegno mirante a distruggere la fede nella Presenza reale.

Nessun compromesso!

I sacerdoti e i fedeli che ancora conservano la fede nella Presenza reale hanno perciò il dovere di resistere a disposizioni che risultano del tutto illegali, posto che lo Stato non ha alcuna competenza in materia di culto e che il presidente della conferenza episcopale ha oltrepassato le sue attribuzioni. Trattandosi del bene più prezioso in assoluto che la Chiesa abbia in custodia, ogni compromesso è moralmente inammissibile, mentre nessuna conseguenza canonica o giudiziaria vale la sua difesa, come insegnano i martiri dell’Eucaristia.

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Presidente della Conferenza Episcopale card. Gualtiero Bassetti, firmano il protocollo d’intesa il 7 maggio 2020 per la ripresa delle celebrazioni in pubblico.

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