LUCCA - Campionato di Giornalismo

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22 CAMPIONATO GIORNALISMO

MERCOLEDÌ 18 GENNAIO 2012

Scuola media Castelnuovo

C’era un tempo l’emigrazione Partivano dai paesi in cerca di lavoro. Ora c’è il fenomeno opposto LA SOCIETA’

La famiglia? In media solo 1,4 figli UNA VOLTA le redini familiari erano tenute dal maschio più anziano, il capofamiglia. Nella famiglia contadina, esisteva una rigida separazione di ruoli tra marito e moglie e tra genitori e figli. Spesso le esigenze familiari erano talmente forti che si venivano a creare modi di vita brutali, specialmente nei confronti della donna di casa o dei più piccoli. Il nucleo familiare era numeroso. Di solito se ne occupava la moglie del capofamiglia, che si destreggiava tra cucina e pulizie. Gli uomini uscivano di casa per andare a lavorare. Nelle famiglie delle nostre terre, anche i bambini svolgevano un ruolo importante: fin da piccoli si dedicavano all’allevamento del bestiame e alla pratica dell’agricoltura, attività essenziale per garantire le risorse necessarie alla vita familiare. Attività che alternavano alla frequenza della scuola che spesso raggiungevano a piedi, percorrendo sentieri o mulattiere che solcavano i boschi e attraversavano le campagne. Ad un certo punto però le nostre terre non furono più sufficienti al fabbisogno della popolazione locale per cui dalla Valle del Serchio gli uomini raggiungesero la Francia attratti da paghe migliori. A questa situazione si deve aggiungere la corrente delle donne, giovani spose o ragazze madri che raggiungevano la Francia dove si impiegavano come balie. Un lavoro temporaneo ma redditizio. Le balie erano trattate con tutti i riguardi possibili, ben nutrite e vestite. Certo era una scelta coraggiosa che investiva tutta la famiglia patriarcale, a cui veniva affidato il compito di crescere il proprio figlio. Un lavoro anche criticato perché sovvertiva il ruolo della donna, che non era più l’«angelo del focolare», ma colei che manteneva la famiglia e ne diventava il «capo». Tra Ottocento e Novecento, in particolare tra il 1906-1915, la famiglia garfagnina, a causa dell’emigrazione, cominciò a sgretolarsi. Il fenomeno si è accentuato in questi ultimi decenni e il nucleo familiare è sempre più ridotto: secondo i dati Istat ogni donna in Italia mette al mondo 1,41 figli (media).

EMIGRAZIONE e immigrazione. Un fenomeno molto importante che colpì l’Italia del XIX secolo, un Paese prevalentemente agricolo e con una popolazione in gran parte analfabeta, fu l’emigrazione verso paesi economicamente più sviluppati; furono registrate più di 24 milioni di partenze, un numero quasi equivalente alla popolazione del tempo. A differenza di ciò che si crede questo fenomeno, interessò tutte le regioni italiane per cui non si sottrasse nemmeno la nostra regione, la Toscana. All’epoca vi erano vari motivi per emigrare in luoghi migliori, ma la spinta maggiore venne soprattutto dall’aspirazione a migliorare la propria condizione di vita, quella di contadini a cui la terra non dava più il nutrimento necessario alla sopravvivenza. GENERALMENTE i fattori di spinta erano dunque rappresentati da situazioni di sotto sviluppo, miseria, sotto alimentazione, problemi politici, mancanza di un’ occupazione stabile. Queste condizioni, vissute in maniera negativa, furono il motore propulsore dell’esodo di massa dalla nostre campagne e dai

OGGI il numero d’italiani che lasciano il proprio paese per cercare migliori opportunità di lavoro all’estero si è fortemente ridotto, ma non è completamente esaurito. Si ha un flusso di circa cinquantamila persone che espatriano e altrettante che rimpatriano. Ciò che è mutato è la qualifica professionale degli emigranti: è aumentato il numero di tecnici e operai specializzati che si recano in cantieri o in imprese ad alta tecnologia soprattutto nei paesi del terzo mondo.

CORSI E RICORSI Ecco le... strade che portano a Castelnuovo

nostri paesi di montagna. Che cosa sapeva l’emigrante di ciò che l’aspettava? Il viaggio era un salto nel vuoto, verso l’ignoto; giorni e giorni trascorsi su una nave, circondati dall’oceano e dalla sua vastità. Ma cosa succedeva una volta giunti a Ellis Island, il porto che riceveva le navi dgli emigranti? Qui venivano effettuati i primi controlli sia a

livello burocratico che sanitario: l’immigrato ammalato veniva subito rimpatriato. Nel giro di qualche anno gli Usa adottarono misure restrittive (come il divieto di entrata di età superiore a 16 anni se analfabeti), che portò alla diffusione di una discriminazione xenofoba. L’italiano era soprannominato chianti o maccaroni, dago.

IL FENOMENO dell’immigrazione è cominciato ad affacciarsi timidamente nella realtà italiana negli anni ‘60 e ‘70 del XX secolo, ma solo nella prima metà degli anni ‘80 ha assunto una dimensione sociale pienamente visibile e socialmente rilevante. I «nuovi migranti» sono attratti dal mito dell’occidente ricco, forte dal punto di vista delle risorse, del lavoro e delle opportunità, unito all’immagine di una società democratica e moderna. Secondo i dati Istat più recenti, risalenti al 1˚ gennaio 2011 in Italia, sono presenti 4.570.317 stranieri, questo equivale al 7,5% della popolazione totale di oggi. Dallo scorso anno c’è stato un incremento del 7,9% rispetto l’anno precedente.

TESTIMONIANZE I NOSTRI COMPAGNI ARRIVATI DA CUBA, GEORGIA, MAROCCO, ROMANIA

In cerca di una nuova vita qui a Castelnuovo

LAVORO Tante famiglie straniere approdano in Garfagnana

UNA NUOVA vita a Castelnuovo Garfagnana. A partire dagli anni 80 del XX secolo, l’Italia è stata investita da un fenomeno che tutt’oggi è in continua crescita: l’immigrazione dai paesi africani ed europei. Milioni di persone, attratte dalle condizioni favorevoli presenti nel nostro Paese, si sono riversate sui nostri lidi, varcato i confini d’oltralpe, e hanno raggiunto le nostre città e i nostri paesi. Anche a Castelnuovo Garfagnana si sono stabilite diverse famiglie in cerca di una vita migliore, così nella nostra classe ci sono alunni che hanno seguito i loro genitori in questa scelta coraggiosa e hanno lasciato le loro terre natie: dall’isola caraibica cubana, dal freddo della Georgia, dalle terre della Romania, fino dalle coste del Marocco, i nostri compagni hanno iniziato un nuovo percorso di vita. Jasmine ci racconta che suo padre, prima di sta-

bilirsi a Castelnuovo con tutta la famiglia, era stato a lavorare in Spagna. Poi, una volta impiegatosi come operaio in una cartiera di Castelnuovo, ha deciso di ricongiungersi alla famiglia, che per tutto il tempo lo aveva aspettato in Marocco. I suoi fratelli erano già grandicelli quando sono venuti in Italia, mentre lei non era nata; è nata infatti a Barga 14 anni fa. Sicuramente alcune difficoltà ci sono state, ma tutti hanno imparato in pochi mesi l’italiano e ciò ha permesso un migliore inserimento nella vita quotidiana. La mamma non parla l’italiano, tuttavia lo capisce. Anche la famiglia di Todaer è venuta in Italia per ragioni di lavoro; aveva solo 8 anni quando con la famiglia ha lasciato la Romania, ed ogni tanto la nostalgia lo assale, ma per il momento la sua vita e qui, dove frequenta la scuola ed ha nuovi amici.

LA REDAZIONE La pagina è stata realizzata dagli alunni della II C della Scuola Media di Castelnuovo Garfagnana. Tutor la professoressa Silvia Prosperi. Dirigente Amina Pedreschi.

Ecco gli alunni: Bagatti Giulia, Bertucci Marta, Boni Simona, Bonacci Francesca, Bresciani Francesca, Crudeli Iacopo, Daddoveri Francesco, De Lillo Leonardo, Faur

Toader, Lakhoua Yasmine, Lopez Miguel, Marigliani Paolo, Mori Ilaria, Orlandi Alessio, Pardini Dalila, Satti Asia, Satti Matteo, Simonini Lisa, Tasoyti Jason, Tavaroli Costanza, Turati Laura, Turri Alessandro.


CAMPIONATO GIORNALISMO 23

MERCOLEDÌ 18 GENNAIO 2012

Istituto Comprensivo

Borgo a Mozzano

Finalmente... la felicità Il film di Pieraccioni ha mostrato all’Italia lo splendido Ponte del Diavolo UN NUOVO film natalizio di Leonardo Pieraccioni ormai non fa quasi più notizia, non fosse altro che stavolta il regista fiorentino, ormai giunto alla sua decima prova, ha scelto tra le location anche il monumento più rappresentativo del nostro comune, ovvero il suggestivo Ponte del Diavolo! Che emozione! Inutile dire che ci siamo precipitati in massa al cinema. La storia narrata nella pellicola di Pieraccioni è quella di Benedetto Parisi, un professore di musica di Lucca che, invitato da Maria De Filippi nella sua trasmissione «C’è posta per te», viene a scoprire l’adozione a distanza da parte della madre, da poco scomparsa, di una bambina brasiliana, Luna, diventata nel frattempo una stupenda modella (l’attrice Ariadna Romero). LA RAGAZZA, in Italia per un servizio fotografico, vuole conoscere così Benedetto, la cui vita, da quel momento, subisce un’improvvisa svolta. Il musicista si in-

sica per bambini. A chi ha visto il film non sarà certo sfuggito che una delle scene più carine è stata girata nel comune di Borgo a Mozzano, proprio sul nostro ponte. Tutto questo per noi è motivo di orgoglio perché le sue arcate millenarie di pietra che sovrastano il Serchio vengono ad essere uno dei simboli conosciuti e apprezzati di tutto il territorio lucchese.

CIAK Pieraccioni sul set con il sindaco Poggi: sullo sfondo il ponte

namora infatti perdutamente di Luna e per conquistarla la raggiungerà per ben due volte in Sardegna: la prima, aiutato dall’amico del cuore Sandrino (l’attore Rocco Papaleo) e la seconda dal collega Argante (Andrea Buscemi) che, per farsi perdonare una serie di scorrettezze, gli noleggia

addirittura un piccolo aereo. I DUE pertanto non potranno far altro che innamorarsi, condividendo una vita felice, rallegrata dalla nascita di una splendida figlia e dal successo professionale di Benedetto, concretizzatosi nell’apertura di una scuola di mu-

LA POPOLAZIONE di Borgo a Mozzano si è infatti sempre identificata in questa maestosa architettura, di forma così antica e allo stesso tempo moderna nella sua essenzialità, che lega tuttora il passato al presente, in una continuità di operosità e laboriosità che appartiene a tutta quanta la nostra comunità. Bravo, quindi, a Leonardo Pieraccioni per aver mostrato la bellezza del nostro territorio e averci fatto divertire con questo film, il cui titolo, «Finalmente la felicità», speriamo sia benaugurate per il nuovo anno! Non ci resta, quindi, che consigliarne a tutti la visione.

LA LEGGENDA LA NOTTE DI HALLOWEEN SI RICORDA LA STORIA POPOLARE DELLA NOBILDONNA

Lucida Mansi e quel patto di lunga giovinezza

MAGIA Una bella veduta del ponte del Diavolo

LUCIDA Mansi, nobildonna lucchese, era una donna molto attraente e altrettanto crudele, infatti uccise suo marito per contornarsi di schiere di amanti. Pare inoltre che Lucida uccidesse gli amanti che le facevano visita facendoli cadere dentro botole con lame affilatissime. Una mattina notò sul suo volto una ruga e, disperata, si mise a piangere e ad urlare così forte che davanti a lei comparve un ragazzo bellissimo, in realtà il Diavolo. Questo le fece un’allettante proposta: 30 anni di giovinezza in cambio della propria anima. Lucida accettò il patto e mentre tutti invecchiavano, lei rimaneva sempre giovane e bella.Trascorsi i trent’anni, la notte del 14 agosto 1623, il diavolo ritornò per prendersi ciò che gli spettava. Lucida tentò di ingannarlo: si arrampicò sulla ripida scala della Torre delle Ore provando a fermare la campana che faceva scoccare la mezzanotte, l’ora in cui il Diavolo avrebbe preso la sua anima. Però il tentativo fallì, il Diavolo la prese e la caricò sulla sua carrozza infuoca-

ta, trainata da un cavallo che aveva gli zoccoli d’oro. Le fece fare il giro della città perché tutti potessero sentire le sue grida per poi inabissarla nel laghetto dell’Orto botanico. A Borgo a Mozzano, la notte del 31 ottobre, quando si celebra la festa di Halloween, tutti si riuniscono nella piazza del Comune aspettando Lucida, interpretata da un’attrice che arriva verso mezzanotte. Lei inizia a raccontare la sua storia, poi arriva un attore che interpreta il Diavolo, prende Lucida e la scaraventa sulla sua carrozza trainata da due attori vestiti da mostri delle tenebre. Arrivati al Ponte del Diavolo, l’attrice viene sostituita da un fantoccio che verrà buttato nel fiume Serchio, illuminato da luci rosse che rappresentano le fiamme dell’inferno, con una musica tenebrosa di sottofondo. La leggenda narra che se si immerge la testa nell’acqua del laghetto dell’Orto botanico, si può ancora vedere il volto di Lucida sul fondo. Altri invece sostengono che nelle notti senza Luna si può vedere la carrozza infuocata di Lucida.

LA REDAZIONE Ecco gli alunni della I˚ B della media di Borgo a Mozzano che hanno partecipato: Alahyal Abderrazak, Baccelli Chiara, Bertoncini Thomas, Biagi Daniel, Cassataro Valentina, El Jaafari Hassna, El Missi

Achraf, Giannini Nicola, Klein Yamila, Likaj Edmir, Magnani Asia, Micheli Davide, Nardi Rebecca, Nicoletti Daniele, Nouamane Sukaina, Poggi Ginevra, Prata Filippo, Rondinone Alessio, Rondinone Luigi, Santi-

ni Giulia, Selouane Yassine, Shahu Ornella, Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo di Borgo a Mozzano: dott. Claudio Franciosi. Tutor l’insegnante di Lettere, prof. Andrea Santoro.

IL MONUMENTO

L’origine di questo nome curioso IL SINISTRO e curioso nome di «Ponte del Diavolo» è dovuto a una leggenda di cui esistono varie versioni. La più nota è quella che ci rimanda alla sua costruzione: si narra che il compito di edificare il ponte fu affidato a S.Giuliano l’ospitaliere. L’opera si rivelò fin dall’inizio di difficile realizzazione. Il capomastro, resosi conto che non avrebbe completato il ponte per la scadenza prevista, era nella disperazione, ma una sera, mentre sedeva da solo sulla sponda del Serchio a guardare il lavoro pensando al disonore che avrebbe subito per non aver terminato il ponte umile, apparve il diavolo a proporgli un patto. Il maligno avrebbe terminato il ponte in una sola notte, ma a una condizione: avrebbe preso la prima anima che avesse attraversato il ponte. Il patto fu siglato e in una sola notte il diavolo con la sua forca sollevò la grande campata del ponte. Da parte sua il costruttore, pieno di rimorso, andò a confessarsi da un religioso che gli suggerì di rispettare il patto, ma di aver premura che il primo ad attraversare il ponte fosse un… cane! Il giorno successivo così il capomastro impedì l’accesso e fece attraversare per primo il ponte alla bestia. La leggenda vuole che il diavolo,inferocito per la beffa si gettò giù dal ponte nelle acque del Serchio e con un colpo di schiena allargò l’arco maggiore e scomparve nelle acque senza farsi mai più vedere.

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MERCOLEDÌ 25 GENNAIO 2012

IC Piazza al S.

Gramolazzo Media di Gramolazzo

Ponte tra storia e innovazione La nostra indagine su tradizioni e ultime frontiere della tecnologia LEGGENDE

‘Biscio Bimbin’ Uno sguardo e non fuggi più NEI BESTIARI e nelle leggende greche ed europee, il basilisco è una creatura mitologica citata anche come «re dei serpenti», che si narra abbia il potere di uccidere con un solo sguardo diretto negli occhi. Secondo Plinio il Vecchio è velenosissimo e qualunque essere vivente entri in contatto con il suo fiato o venga morso, muore sul colpo. In Italia centrale, tra la Toscana, l’Umbria e l’alto Lazio, è diffusa nelle campagne la tradizione del «Serpente Regolo», anch’esso «piccolo re», serpente pernicioso e vendicativo, dalla testa grande come quella di un bambino, abitante fossi, campi, rovine e foreste. Anche nel nostro territorio è conosciuta la leggenda del «Biscio Bimbin». Una volta alcune persone che abitavano a Gorfigliano in prossimità della Chiesa Vecchia, videro un serpente di grosse dimensioni. Lo misero in un sacco e si accorsero che questo pesava sempre di più; aprirono il sacco e trovarono un serpente con la faccia di un bambino, con una stella bianca sulla fronte e che piangeva come un neonato. Chi lo guardava non poteva più scappare... I BASILISCHI sono stati utilizzati anche nei giochi, film, libri e romanzi fantasy moderni. Non è insolito trovarne nei bestiari dei giochi di ruolo come «Dungeons & Dragons» e «Final Fantasy». Anche nel mondo magico di Harry Potter esistono basilischi. In particolare nel secondo libro di «Harry Potter e la camera dei segreti», Harry dovrà battersi con il gigantesco serpente dallo sguardo mortale.

TRADIZIONE e innovazione: due opposti che si completano. Sembra stano dirlo, ma è proprio così… Infatti, senza tradizione non ci sarebbe innovazione, senza un passato non ci sarebbero le basi per costruire un futuro. E noi giovani, che siamo il futuro e l’ innovazione per antonomasia, abbiamo il dovere di conoscere il passato e di conseguenza le tradizioni che gli appartengono. Un modo per incuriosirci, per indagare su un passato non così lontano e per comprendere come tradizione e esperienza possono entrare nei meccanismi dell’innovazione e sporgersi sul davanzale del domani. Da tutto ciò è nata l’idea di realizzare il progetto «Montagna/ Immaginario», unendo appunto queste due cose. MA COME? Dando inizio alle indagini: ognuno di noi si è fatto raccontare dagli anziani del proprio paese storie, leggende e modi di dire di una volta ottenendo un gran numero di testimonianze. Si sono divertiti con noi a ripercorre-

FANTASIA Sotto due figure della leggenda garfagnina, a fianco la sede di Garfagnana Innovazione

re antichi «passaparola» avvolti da un velo di mistero e di immancabile suggestione. Investiti dai video game e dal mondo multimediale in genere, non abbiamo comunque potuto evitare di essere travolti dal fascino intramontabile di leggende e racconti tramandati da padre in figlio che resisto-

no innossidabili agli anni e alle mode. DAGLI STREGHI al Biscio Bimbin: sono tanti i personaggi fantastici che hanno popolato il nostro passato e ora non resta che renderli attuali. Per questo motivo abbiamo deciso di collaborare

con il centro «Garfagnana Innovazione», grazie al quale potremo realizzare qualcosa di concreto. Questo perché «Garfagnana Innovazione» si occupa del settore lapideo, dandoci la possibilità di realizzare un personaggio della leggenda garfagnina in marmo. MA IL LAVORO che ci aspetta non finisce qui: alla fine dell’ anno scolastico ci cimenteremo in una rappresentazione teatrale che avrà come protagonista assoluta la tradizione, avendo la possibilità di collaborare nuovamente con gli anziani dei nostri paesi, perché i loro ricordi sono importanti e in fondo appartengono anche a noi.Questa sarà anche un’ occasione per far sentire «speciali» queste persone, che spesso noi giovani trascuriamo considerandole «vecchie», ma non solo… Sarà un momento in cui nessuno di noi si vergognerà della propria provenienza, nel senso che potremo considerare il nostro paese non più «antico e monotono», ma un luogo ricco di cultura e tradizioni.

L’INTERVISTA STEFANO COIAI RESPONSABILE DEL CENTRO GARFAGNANA INNOVAZIONE

Imprese e giovani: il futuro parla così

IMPEGNO Stefano Coiai, responsabile del centro

COM’È NATO e che cos’è Garfagnana Innovazione? A rispondere è Stefano Coiai, responsabile del Centro. «Garfagnana Innovazione è stato realizzato a Gramolazzo dal Comune di Minucciano che ha cofinanziato assieme alla Regione Toscana sia la realizzazione degli immobili sia l’acquisizione delle attrezzature. La gestione è stata assegnata al Gal, Garfagnana Ambiente e Sviluppo». In cosa consiste l’attività del centro? «Il progetto di gestione prevede una prima fase rivolta all’individuazione ed all’incubazione di nuove imprese che successivamente verranno accompagnate nella fase di start up per un periodo pari a 36 mesi. Siamo anche un Centro Servizi ed un Polo Tecnologico. Quali sono gli ambiti di intervento? «Formazione. Fornitura di servizi di altissima qualità tecnologica ad aziende che abbisognino di particolari lavorazioni e che per ragioni economiche e tecniche

non hanno al loro interno macchinari (quali robot, macchine CNC ecc.) che possano fare quel tipo di servizio. Inoltre prepariamo i tecnici in grado di gestire questo tipo di tecnologia altamente specialistica e collaboriamo in sinergia con docenti e altri esperti del mondo dell’arte per proporre dei corsi, con l’intenzione di far diventare Garfagnana Innovazione un’eccellenza del settore». Come è nata l’idea di una collaborazione con la nostra scuola? «E’ la naturale conseguenza degli scopi sopra descritti, mettendoci in primo luogo al servizio del nostro territorio, cercando di far conoscere il nostro potenziale ai giovani, riuscendo magari a spronare qualcuno ad avvicinarsi in maniera del tutto nuova e tecnologica al settore lapideo che per tanti anni è stato la spina dorsale della nostra economia, unendo per così dire la tradizione con l’innovazione, elementi indispensabili per poter tenere in vita la nostra terra».

LA CLASSE CLASSE 1a: Asia Ambrosi, Francesca Benassai, Irene Biagioni, Erica Canozzi, Michael Canini, Sara Canini, Giovanni Casotti, Leonardo Davini, Gaia Ferretti, Diego Ferri, Giorgio Ferri, Giuseppe Ferri, Giada Iacopi, Michele Tenardi, Gabriele Tortelli. CLASSE 2a: Ilenia

Canozzi, Michael Catalini, Nicole Centofanti, Rebecca Coiai, Simone Franceschini, Michela Iacopi, Rita Iacopi, Alice Orsi, Jessica Orsi. CLASSE 3a: Alice Binzeschi, Lorenzo Cabonardi, Desirèe Canini, Stefania Chiavacci, Samuele Coiai, Gian Marco Comparini, Gioele

Ferri, Andrea Gatti, Elisa Iacopi, Mario Martinelli, Nicholas Nannizzi, Margherita Pancetti, Laura Romei, Clara Tenardi, Beatrice Torre. Dirigente scolastico: Umberto Bertolini. Insegnanti tutor: Maria Cesaretti, Annamaria Lorenzoni, Daniela Pancetti, Alessandra Casotti, Antonella Ferri.


CAMPIONATO GIORNALISMO 21

MERCOLEDÌ 25 GENNAIO 2012

Scuola Media

«Don Mei» Fornaci di Barga

L’eterna ricerca dell’Eldorado Barga: ieri terra di emigranti verso la Scozia, oggi terra di immigrati sono arrivati circa 1321 immigrati: 239 dalla Romania, 187 dall’Albania, 139 dalla Gran Bretagna, 119 dal Marocco; il resto da altri paesi europei ed extraeuropei.

«A CAPRONA, una sera di febbraio, gente veniva, ed era già per l’erta, veniva su da Cincinnati, Ohio».Così inizia «Italy» poemetto di Giovanni Pascoli del 1904, vissuto per vari anni a Castelvecchio di Barga. Già nel 1900, infatti, l’emigrazione di massa era una realtà e molti di quei 14 milioni di italiani che emigrarono per cercar fortuna altrove provenivano dal nostro comune. Partivano con velieri, detti «Le navi di Lazzaro» e il viaggio poteva durare anche un mese in condizioni assurde. LE CABINE, nella parte bassa della nave, erano anguste e al mattino tutti erano costretti a trasferirsi sui ponti, al di là delle condizioni atmosferiche. Portavano solo il «fagotto»: un pezzo di stoffa in cui avvolgere le poche cose da portare con sé. L’emigrazione da Barga si è sviluppata in due periodi diversi: quella dei figurinai già nel 1700 e il movimento di massa tra il XIX e il XX secolo. Sin dal 1870 si orienta soprattutto verso la Scozia. Un’emigrazione qualificata, che consentì di penetrare nella società scozzese con un’attività

L’ESODO La nostra era una terra di emigrazione, ora di immigrati

modesta ma tipica come, ad esempio, quella dei figurinai. Un altro settore rilevante fu quello della ristorazione: prima camerieri, poi cuochi, infine proprietari. Furono un successo i locali di «Fish&Chips», aperti anche alle donne, contrariamente ai pubs. Il Fish&Chips Festival che si svolge a Barga dal 1980 ne è testimo-

nianza. Ai parenti rimasti inviavano copiose rimesse e molti comprarono terreni agricoli o costruirono case, come le ville in stile liberty. I legami tra aree di insediamento e regioni di provenienza si riflettono nella nascita di associazioni quali i Lucchesi nel mondo e l’associazione Bargo-Scozzese. Nella sola Barga a partire dal 1985

LE INTERVISTE che abbiamo fatto ai nostri compagni in Italia da pochi anni, descrivono un’avventura non sempre facile. «Sono qui da 4 anni . I primi giorni mi sentivo molto triste e arrabbiato, volevo tornare in Marocco perché lì avevo lasciato la famiglia e gli amici. Adesso va meglio, ho un amico a cui tengo molto». Una alunna viene da Marrakech. La sua testimonianza è diversa. « Ero molto felice di venire qui insieme mamma e mio fratello, mentre mio padre viveva in Italia già da circa otto anni». Per un altro studente «l’Italia è più bella anche se in Senegal il giovedì e il venerdì erano giorni festivi per la scuola. A dir la verità ci ritornerei. I miei amici mi mancano anche se ci parlo sempre attraverso facebook». Il dolce sorriso di una nostra compagna albanese, qui da 4 anni, si spenge quando dice di non aver ancora amici. E’ il triste volto dell’immigrazione.

IL PERSONAGGIO IL SUCCESSO INTERNAZIONALE POI L’INCONTRO CON LA SUA TERRA D’ORIGINE

Paolo Nutini, star planetaria barghigiana PAOLO NUTINI, nato a Paisley in Scozia il 9 Gennaio, è un cantautore famoso nel mondo e di cui noi barghigiani siamo sempre più fieri. Nasce da padre toscano, originario di Barga, e madre scozzese. A soli 17 anni si trasferisce a Londra dove inizia ad esibirsi. La sua più grande fortuna arriva in occasione di uno spettacolo quando, in attesa di un noto cantante, un deejay organizza un quiz e Paolo, presente fra il pubblico, partecipa e vince la possibilità di esibirsi. E’ così che un famoso produttore, Ken Nelson, gli offre una collaborazione, dando il via alla sua carriera . Un paio di brani di Nutini circolano su internet e risultano subito tra i più scaricati. PREMIO Paolo Nutini con il sindaco di Barga, Bonini

NEL 2006 esce il suo primo album «These Streets», che ha scalato le vette delle hits vendendo ol-

tre due milioni di copie, e da cui sono stati estratti successivamente altri quattro singoli: Last Request, Jenny Don’t Be Hasty, Rewind e New Shoes. Il 29 maggio 2009 esce il suo secondo album «Sunny Side Up». Sempre in questo anno, la canzone «Candy» viene premiata ai Wind Music Awards. Nel 2010 partecipa al concerto del 1 Maggio a Roma, un grande omaggio alle sue origini italiane, d’altra parte Paolo ha dimostrato il suo attaccamento all’Italia già nel 2006 con un concerto a Barga. UNO SPETTACOLO che è rimasto indelebile nei cuori dei barghigiani. Con la speranza che possa tornare al più presto, il 24 luglio 2007 il nostro comune ha premiato l’artista con la medaglia d’oro di San Cristoforo, la maggiore onorificenza che la città gli potesse dare.

LA CLASSE CLASSE 3D: Dafne Angeli, Maurizio Bertoncini, Ramona Bianchi, Daniele Cioffo, Chiara Collini, Hanane Edbiri, Mohamed Erais, Giuseppe Felice, Imad Fouhamy, Luca Franchi, Martina Lucchesi, Gabriele Mazzoni, Leonardo Mazzoni, Sofia Moriconi, Stefania Nannini, Agostino Napolitano, Matteo

Nardi, Luca Paoli, Matteo Passini, Ilaria Semplici. CLASSE 3C: Alessio Angelini, Francesco Bechelli, Clementina Bertolini, Elena Biscardi, Ngagne Diop, Carmen Donatiello, Mirko Donato, Adil Edbiri, Saverio Fanani, Sara Gemignani, Greta Guelfi, Mirko Guidi,

Sidorella Lekatari, Lisa Marchetti, Giovanni Marchi, Filippo Marroni, Nicola Montagni, Fabiana Pizzo, Cristian Santi, Sofia Sebastiani. Dirigente: Iolanda Bocci. Insegnanti tutor Giulia Anzelmo, Doris Bellomusto, Daniela Taddei.

SONIA ERCOLINI

«Nella valigia tutto il futuro delle famiglie» QUEL VIAGGIO in treno fu tutto per Silvana Frediani. Ci salì a 18 anni da sola, in fuga dalla povertà del dopoguerra. «Mia madre era la figlia più grande — racconta Sonia Maria Ercolini referente dell’associazione bargo - scozzese —. Dopo lei emigrarono anche i fratelli, in Scozia, in Colombia, in Venezuela e in Irlanda. La sua meta era Glasgow dove poteva ritrovare la zia. Fu accolta bene, ma gli inglesi guardavano gli italiani con sospetto e timore». Trovò facilmente lavoro?

«Partì sapendo di poter lavorare nel negozio di fish&chips della zia». Conosceva la lingua?

«Neanche una parola d’inglese!» Si inserì subito nella cittadina scozzese?

«All’inizio fu difficile, non era mai uscita da Ghivizzano, si sentiva lontanissima dalla famiglia e dagli amici, catapultata in un mondo del tutto diverso. Poi si ambientò grazie anche alla comunità italiana. Conobbe mio padre, anche lui figlio di emigranti, e si sposò». La sua è la testimonianza di un ritorno...

«Sono nata a Glasgow e ho vissuto lì per 22 anni. Sono tornata in Italia dopo la laurea nel 1984. Sono cresciuta bilingue e i miei hanno mantenuto le tradizioni italiane. A Glasgow c’era una comunità italiana molto unita e frequentavamo il circolo “La Casa d’Italia”. Trascorrevamo l’estate a Barga. In Scozia mi trovavo bene, ma era un paese troppo diverso e non mi piaceva il clima. Da quando sono morti i miei non ci sono più tornata. Ma lo ammetto: non ho nessuna nostalgia!»

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CAMPIONATO GIORNALISMO

MERCOLEDÌ 1 FEBBRAIO 2012

Scuola media

Camigliano

In & out: la pagella della moda Viaggio nelle tendenze «under»: dai Gabber ai Cosplay agli Emo LA RICERCA

Il lungo respiro della via storica dei pellegrini LA VIA FRANCIGENA è una strada che partiva dai lontani paesi franchi giungeva a Roma o a Santiago de Compostela sulla quale transitavano i pellegrini. Serviva anche alle truppe per spostarsi da un campo di battaglia all’altro. Purtroppo adesso ne rimangono pochi tratti visibili, alcuni di questi nella nostra zona, da Lucca a Porcari attraverso Capannori. Questo tratto era chiamato «Via et strata de Porcari» ed attraversava le località di Antraccoli, Capannori, Porcari. Nell’ambito del comune di Capannori si riscontra una notevole densità di chiese romaniche. Nella zona nord si trovano testimonianze architettoniche anche precedenti al secolo XI come ad esempio la chiesa al bordo del padule di Porcari, che veniva chiamata la «Chiesa dei dispersi» perché i pellegrini quando passavano per recarsi ad Altopascio, se si perdevano nel padule, grazie al campanile di questa chiesa potevano ritrovare la via smarrita.

ALTRE PIEVI che si trovavano sul tragitto sono quelle della Chiesa di San Giusto, San Martino di Marlia delle quali sono purtroppo visibili alcuni piccoli resti. Una volta c’erano molti punti di ristoro ed ospedali dove i viaggiatori si potevano riposare e saziare. La strada era fatta di ghiaia e di terra; ai lati c’ erano dei solchi dove venivano immesse le ruote in modo che i carri fossero più stabili. Abbiamo percorso alcuni metri di quella antica strada con la macchina fotografica a tracolla e quando guardavamo nell’obbiettivo prima di fermare per sempre le immagini di quelle antiche Pievi, ci è sembrato di vedere camminare pellegrini con il bordone e carri trainati da buoi sbuffanti. Ma è bastato il suono ripetuto di un clacson per far scomparire definitivamente quelle immagini dall’obbiettivo.

NELLA SOCIETÀ di oggi, gli adolescenti in particolare hanno creato delle mode che non solo riguardano il modo di vestirsi ma anche veri e propri atteggiamenti e stili di vita. Tra i gruppi più diffusi troviamo gli «emo»: questa parola deriva da emotional che è un tipo di musica. L’abbigliamento degli emo è nato in seguito al genere musicale che si divide in tre grandi ondate: -1˚ondata «emotion hardcore» (1985-1994) -2˚ondata «post hardcore» (1994-2000) -3˚ondata «l’emo pop» (2000-oggi). L’abbigliamento emo, che trae le sue radici dalla scena «Hardcore punk\post hardcore» e «Straight edge» americana anni ’80 (in questi anni gli emo avevano capelli corti o rasati e non vi era traccia della frangia), è caratterizzato da: jeans spesso stretti e aderenti sia per le ragazze che per i ragazzi, frangia asimmetrica, occhi truccati di nero, T-shirt aderenti raffiguranti il musicista o la band preferita, cinture con borchie. I ragazzi di oggi adottano questo stile per-

LOOK A fianco, giovani «Gabber», sotto, da sinistra gli «Emo» e i «Cosplay»

ché è diventato tendenza fra i giovani, il cui elemento oltre il look è anche diventato una subcultura. PARLIAMO ora degli «Otaku»: termine giapponese usato a partire dagli anni ‘80 per definire un appassionato di Anime (i cartoni animati giapponesi) e di Manga (i fumetti giapponesi). Gli «Otaku»

si suddividono in vari gruppi a seconda degli interessi:Akiba Kei, appassionati di manga, anime e idol (cantanti giapponesi famose); Anime Otaku, appassionati degli Anime; Cosplay Otaku, appassionati dei Cosplay (vestirsi come un personaggio appartenente a manga, anime, videogame ecc….); Figure Moe Zoku: appassio-

nati e collezionisti di action figures e modellini (statuine di personaggi snodabili e non appartenenti a Manga,Anime o videogames ); Gemu Otaku, appassionati di videogame; Itascia, un gruppo che ha la passione di decorare veicoli come macchine o moto con i propri personaggi preferiti degli anime,manga o videogames. Poi ancora i Manga Otaku, appassionati dei manga, i Pasokon Otaku, appassionati del pc, e gli Wota appassionati delle Idol. Proseguiamo ora con la moda dei “Gabber” caratterizzata da capelli rasati dai lati, con una cresta al centro per i ragazzi, mentre per le ragazze la coda con la parte sottostante della nuca rasata ed una frangetta variopinta. Parte fondamentale dell’abbigliamento sono le scarpe, quest’ultime spesso di marca Nike, modello Air Max in particolare. Questa moda è caratterizata da sfumature che variano a seconda dello stato in cui si trova; ad esempio in Italia è stato aggiunta la tipica tuta acetata Adidas. Una ricca e variopinta carrellata che è solo un piccolo esempio delle culture e modi di essere nate dagli adolescenti di oggi.

CENTRO ASCOLTO PARACADUTE PER LA CRISI CHE HA COLPITO LE FAMIGLIE DEL NOSTRO TERRITORIO

La solidarietà è l’unica vera risposta

LA CRISI Nella vignetta la nostra visione di questo 2012

LA CRISI economica che si è abbattuta e che si sta ancora abbattendo sul continente europeo sta mettendo in ginocchio centinaia di famiglie che vivono nel nostro territorio e sempre più si stanno registrando casi di povertà estrema. Gli operatori del Centro d’Ascolto di Segromigno in Piano da noi intervistati, struttura sorta nel 2007 dall’unione con il gruppo Caritas, sono stati categorici: sempre più famiglie residenti nel comune di Capannori non sono più in grado di soddisfare i bisogni primari più elementari. Gli operatori del Centro quotidianamente ricevono persone che si rivolgono a loro, ascoltano i loro bisogni e cercano di capire la situazione che stanno vivendo. Ad ognuno viene data una parola di conforto ed una speranza. Successivamente si attivano per far avere a questi bisognosi generi alimentari come

il riso, la pasta, il latte, lo zucchero ed altri prodotti non deperibili. Il Centro d’Ascolto risente molto della crisi economica in atto e sempre più persone si rivolgono a questa associazione, perché è sempre più difficile per le famiglie arrivare alla fine del mese, far quadrare il magro bilancio dovuto al basso salario, alle misere pensioni, o all’assegno di disoccupazione.

LE PERSONE vengono accolte principalmente il sabato mattina dalle 9,30 alle 12. In più di quattro anni sono stati aiutati 325 nuclei familiari e in diversi casi sono state trovate soluzioni che hanno stabilizzato la condizione economica delle famiglie aiutate. L’invito che vogliamo lanciare dalle pagine di questo giornale è quello di donare vestiti, non laceri e sporchi, e alimenti in scatola di vario genere.

LA CLASSE ECCO i ragazzi della scuola media di Camigliano che hanno preparato questa pagina di giornale: Maria Sara Bartolini, Ginevra Bertolini, Alessia Bianchi, Gianni Campioni,

Erika Castiglioni, Giulia Cotrossi, Elena Della Maggiora, Alessandro Di Riccio, Sara Fulceri, Ilaria Gradi Ilaria, Veronica Guerrieri, Leonardo Licalsi, Matteo Mangiafave, Filip-

po Paiano, Giada Petretti, Francesco Quilici, Lorenzo Simoni, Tommaso Toschi. Dirigente: Giorgio Dal Sasso. Insegnante tutor: Luciano Giovanetti.


CAMPIONATO GIORNALISMO

MERCOLEDÌ 1 FEBBRAIO 2012

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Ist. Comprensivo

Camporgiano

Un poeta tra lupi e banditi Nelle lettere del sommo vate Ariosto il ritratto della nostra terra CHE CI FACEVA Lodovico Ariosto in Garfagnana? L’Ariosto non è stato soltanto uno dei più grandi poeti di tutti i tempi ma anche un ospite d’onore della Garfagnana: ecco perchè dedicare un articolo a lui, pur lontano da noi quasi cinque secoli. Dal 1522 al 1525 fu commissario del duca di Ferrara Alfonso I d’Este in questa regione selvaggia, dominio estense già dalla prima metà del ‘400. Vi soggiornò amministrando gente rozza che nemmeno immaginava — nel pieno del Rinascimento — la bellezza della cultura. Dalla tranquilla corte di Ferrara il poeta fu così catapultato nella fredda rocca di Castelnuovo a rappresentare il governo ducale. PER LUI iniziò un periodo problematico, affrontato con ansia e senso di impotenza. Ciò emerge dalle numerose lettere (156) scritte al duca, oppure alle autorità dei confinanti territori di Castiglione (sotto il controllo di Lucca) e Barga (sotto Firenze). La questione più spinosa era quella del banditismo. «...Vostra Eccellenza può

carono la testa alla madre della giovane da loro violentata perchè li aveva denunciati al capitano di giustizia. Fra tutti Battistino Magnano è il delinquente che più impegnò l’Ariosto e insieme a lui il Moro del Sillico, Bastiano Coiaio e molti altri. Le loro razzie più frequenti erano per il sale e il bestiame.

ANTICA DIMORA Qui viveva Lodovico Ariosto in Garfagnana

comprendere in che paura è tutto questo paese per sei o dieci ribaldi che ci sono», scriveva sconsolato al duca. I banditi compivano azioni violente costringendo la povera gente a vivere sottomessa. Controllavano i traffici del territorio ma il duca preferiva chiudere un occhio di fronte ai loro misfatti

per quieto vivere. In fondo la Garfagnana era lontana da Ferrara. Invece l’Ariosto avrebbe voluto punirli anche a proprio rischio, per amore della giustizia, come oggi farebbe un magistrato anti-mafia. I banditi spesso erano spietati. Nel 1523, ad esempio, i due figli di Ser Evangelista del Sillico spac-

UN GIORNO l’Ariosto pensò persino di accordarsi con i governi vicini (la geografia politica dell’epoca era molto complessa) per organizzare un esercito antibanditi formato da fanti «armati di schioppo» e «balestrieri». Ma la proposta fu respinta per il suo alto costo. Ci riprovò con l’introduzione di una taglia sui banditi ma anche questa idea fu bocciata per timore delle vendette dei malviventi. La frustrazione del poeta cresceva sempre più, come comprensibile, insieme alla nostalgia per Ferrara. E il duca Alfonso? Più che gradire gli sfoghi via lettera del poeta era interessato a ricevere regolarmente i funghi e le trote marinate della Garfagnana.

LA VISITA ACCOMPAGNATI DALL’ARCHEOLOGO NOTINI CI IMMERGIAMO NEI SEGRETI DELLA STORIA

Brividi e mistero tra i muraglioni della Rocca LA ROCCA di Camporgiano appare imponente e misteriosa. Il caso vuole che l’Ariosto abbia scritto l’ultima lettera al Duca proprio dalla Rocca di Camporgiano il 2 agosto 1524. Questa rocca, del tardo Quattrocento e a pianta quadrilatera, è a due passi da scuola. Siamo andati a visitarla: un monumento così importante non deve essere sconosciuto proprio a chi vi abita vicino.

FASCINO La nostra visita nella Rocca di Camporgiano

GUIDATI dall’archeologo Paolo Notini abbiamo imparato termini di architettura come mura «scarpate» (oblique, di notevole spessore), «beccatelli» (mensole per sorreggere il camminamento di ronda sommitale) e «caditoie» (fori posti fra i beccatelli da cui far cadere liquidi o sassi sui nemici in assalto). Subito abbiamo immaginato episodi di vita lontani quando le guarnigioni estensi scrutavano,

dall’alto delle mura, l’arrivo dei Lucchesi o dei Fiorentini. Pronte a difendere il loro presidio quando la guerra per il possesso del territorio era frequente. UNO DEI TORRIONI è visitabile, con due piani collegati da una ripida scala in pietra; resti di muri più antichi indicano che la rocca si è evoluta sulla base di un preesistente castello. La sua lunga storia è «raccontata» anche dalle ceramiche esposte nel torrione e rinvenute nel «pozzo da butto», grande discarica dove insieme ai rifiuti organici finivano piatti e utensili rotti. Le più raffinate sono le ceramiche «graffite» del Cinquecento, veri e propri serviti di pregio degni delle tavole del duca di Ferrara. Ma i segreti della rocca non sono finiti: potrebbero essere svelati da future campagne di scavo.

LA CLASSE ECCO i cronisti in classe dell’Istituto Comprensivo di Camporgiano che hanno preparato questa pagina. CLASSE II A: Jahad Amyn, Elena Bartolomei, Thomas Bernardi, Riccardo Bianchi, Ambra Braccini, An-

na Bruno, Alessandro Cardosi, Mattia Cecconi, Alessio Comparini, Andrea Fanani, Francesco Ferrarini, Maicol Massei, Marco Morotti, Elisa Orlandi, Lorenzo Orsetti, Ludovica Romei, Filippo Simoni, Luciano

Speranza, Martina Stefanelli, Francesco Telloli, MartinaTortelli, Ilenia Turri, Giada Valiensi, Eliot Watson, Dirigente scolastico: Carlo Popaiz. Insegnanti tutor: Lucia Giovannetti, Annalita Suffredini.

LA CURIOSITA’

Difficile come... menare l’orso a Modena MENARE il can per l’aia è un detto diffuso in tutta Italia che significa «fare andare a rilento una cosa». Solamente in Garfagnana è invece in uso il proverbio menare l’orso a Modena per indicare un’impresa difficile, ai limiti della possibilità. Lo usavano ancora i nostri nonni e la sua curiosa origine si lega al periodo di dominazione estense della Garfagnana. Alla metà del ‘500 la comunità di Soraggio (oggi nel comune di Sillano) ottenne in affitto dal duca di Ferrara i boschi di Monte Cipolla (l’Alpe Fazzola), nel versante settentrionale dell’Appennino, col patto di condurre (menare) ogni anno un orso vivo, per Natale, al Duca. ALL’EPOCA nei nostri boschi vivevano ancora questi feroci plantigradi: catturarli non era certo facile nè tanto meno farli attraversare «al guinzaglio» l’Appennino e poi la pianura fino a Ferrara. Già agli inizi del 1600 il duca diede la possibilità di sostituire all’orso un cinghiale o un porco domestico di libbre 300 (circa 90 kg), segno che gli orsi iniziavano a scarseggiare. Ma che ci faceva il duca con un orso vivo? La tradizione lo vuole un «amuleto» contro la tubercolosi o, più semplicemente, era un segno di potenza, per spettacolarizzare le feste di corte. Immaginiamo lo stupore degli invitati all’apparire improvviso dell’enorme belva garfagnina...

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