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Proprietà: DIRETTORE RESPONSABILE:

GERENZA Enrico Santarelli TIZIANA MATTIA direzione@primapaginaweb.it

Edito da E.C.S. Editori srl Redazione e Amministrazione PUBBLICITÀ: Graphic designer impaginazione: Supporto grafico:

STAMPA: Hanno collaborato:

Merito&Fare

La generazione del Duemila chiede rispetto. Giusto. Senza sottacere, tuttavia, le varie responsabilità, che sicuramente non hanno aiutato e non aiutano le nuove leve a trovare una strada, oltre che un lavoro.

Banche

IL PROGETTO DELLA BANCA DELL’ADRIATICO CON LA CARISAP

Supercassa le banche “fanno squadra”

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di Mira Carpineta

Scuola

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Nicola Arletti di Carlo Di Patrizio

Supporto web:

28 Agosto 2012

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Via Costantini, 6 - Teramo Tel & Fax . 0861. 250336 redazione@primapaginaweb.it direzionemkt@primapaginaweb.it

DISTRIBUZIONE

Lisciani Giochi Primo Giuseppe Altighieri Clementina Berardocco Marcella Calvarese Coralba Capuani Mira Carpineta Michele Ciliberti Grazia Ciunci Enrico Del Colle Claudio D’Archivio Mauro Di Diomede Adele Di Feliciantonio Fabio Di Gennaro Laura Di Paolantonio Ivan Di Nino Nicola Di Rocco Vittoria Dragani Gennj Flamminj Giampaolo Giuliani Vincenzo Lisciani Petrini Antonella Lorenzi Matteo Lupi Cristiane Marà Dino Mastrocola Giuseppina Michini Daniela Palantrani Jessica Pavone Gianfranco Puca Mauro Rosati Mariangela Sansone Piero Serroni Alessandro Tarentini Simone Valli Claudio Valsangiacomo Luca Verdi Nino Viandi Sail Post Agenzia Teramo 1

ABRUZZO UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Settembre “nero” per la scuola abruzzese di Michele Ciliberti

La responsabilità delle opinioni espresse negli articoli pubblicati è dei singoli autori, da intendersi libera espressione degli stessi. Alcune collaborazioni sono gratuite.

Territorio

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L’editore ha compiuto ogni sforzo per contattare gli autori delle immagini. Qualora non fosse riuscito, rimane a disposizione per rimediare alle eventuali omissioni

TERAMO E PROVINCIA

Spiano paese a “cavallo”

Le informazioni, testi, fotografie non possono essere riprodotte, pubblicate o ridistribuite senza il consenso dei titolari dei diritti.

di Daniela Palantrani

Asteroidi scoperte anche teramane

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di Grazia Ciunci

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Serenata per piano solo di Mariangela Sansone

Per i vostri quesiti ai nostri esperti redazione@primapaginaweb.it tel/fax 0861. 250336

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Esclusivo Radon

Tumore alla mammella diagnosi precoce di Claudio D’Archivio

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In copertina:

Un kiwi contro lo stress

illustrazione “LAVORO” 2012 Nicola Arletti

n. 28 anno 3 - agosto. 2012

di Alessandro Tarentini PrimaPagina 28 - ago. 2012

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risposta Gentile Direttore, leggendo l’editoriale del numero 26/2012 sul tema della disoccupazione giovanile, non ho potuto fare a meno di rispondere per l’indignazione che quelle poche righe hanno suscitato in me. Mi chiamo Corrado Puglia, ho 30 anni, laureato in Lingue e occupato a tempo indeterminato in una importante multinazionale con sede, tra le tante, in Abruzzo. Questa presentazione mi sembrava doverosa per sottolineare che chi scrive non è un disoccupato con il dente avvelenato dal Suo articolo, ma un giovane che, secondo i canoni della società moderna “ce l’ha fatta”. Ciò non toglie che, leggere il modo superficiale e disprezzante, se non a tratti arrogante con cui ha descritto la mia generazione mi ha davvero ferito. Mi permetta di citare solo alcuni passaggi del suo editoriale. Iniziamo con l’esempio, da Lei servito a freddo, del giovane ventenne che (parole sue) “comodamente stravaccato” mentre si rivolge alla ministro Fornero, asserisce in sostanza, di non voler lavorare e tantomeno di notte. Ebbene, Lei afferma che quel giovane “si scopre” (sempre parole sue) che “ha dietro, accanto e avanti a sé una fitta schiera di replicanti, convinti che tutto è dovuto”. Mi scusi, ma quel “si scopre” ho faticato a comprenderlo: chi scopre? e che cosa? Lei prende arbitrariamente come esempio un ventenne scansafatiche e lo erge a icona di una intera generazione, tacciandola sostanzialmente di (mi passi il termine) fannullonismo. Sarebbe interessante sapere su che basi fonda questa teoria. A fronte di un esempio tanto banale, cito solo un dato, ahimè drammatico (fonte: Eurostat): alla data di Maggio 2012 nell’ Unione Europea sono stati rilevati poco più di 24,5 milioni di disoccupati di cui oltre 5 milioni con meno di 25 anni. Questi

numeri basterebbero da soli a rispondere al tono sarcastico del suo editoriale oltre che, ovviamente, al suo contenuto. Mi piace citare un’ altra lusinghiera definizione da lei impartita con tanta sicurezza e gratuità, definendoci “adolescenti-prolungati”. Vorrei precisare che non è mia intenzione fare la paternale a nessuno, ma si rende conto di che inferno c’è fuori? E’ vero che ci sono giovani che non hanno voglia di lavorare, così come ci sono medici bravi ed altri meno bravi, ma questa è una

banalità, è nella natura umana, ma per questo non è possibile affermare che, a causa di un medico asino, tutti i medici siano asini. Concorda? Vede, la mia generazione è una forza immensa che ha pochissime possibilità per esprimersi; basti pensare che il mio caso (lavoratore trentenne a tempo intedeterminato) è l’eccezione che conferma la regola.

Vogliamo parlare dei cosiddetti “cervelli in fuga”? Perché i giovani scienziati fuggono dall’Italia? Meglio non divagare. Inoltre, mi permetta di dire che la mia generazione va rispettata fosse anche solo per il fatto che si è ritrovata addosso il mondo intero in rovina, senza colpe e soprattutto senza armi per difendersi adeguatamente, perché, mi creda, senza uno straccio di lavoro non si è nessuno e si finisce per scomparire nel nulla, perdendo, a volte, anche la dignità. Se sapesse che forza d’animo occorre nel passare ore e ore a studiare già sapendo che il lavoro sarà un miraggio. Siamo disoccupati già prima di entrare nel mondo del lavoro, ma Lei questo lo sa? La stampa è un mezzo straordinario e preziosissimo che va utilizzato con cura e rispetto verso la verità, per questo mi aspetterei da un direttore di un giornale che il dramma della disoccupazione dei nostri tempi venga trattato quantomeno con serietà. A mio modesto avviso, poteva criticare 50 anni di immobilismo politico, di ruberie, di affarismo, di raccomandazioni, di nepotismo, di politiche del lavoro assenti o inefficaci a causa di una classe politica reclutata per conoscenze e non per competenze, e invece ha pensato bene di sferrare un attacco tremendo e offensivo verso l’anello più debole della società: i giovani disoccupati. Ascolti un trentenne: faccia retromarcia, almeno nell’intimo del suo cuore. Cordialmente Corrado Puglia Caro dr. Puglia, forse ha capito male o non mi sono spiegata bene. Nessuna intenzione di processare la sua generazione, che rispetto. Anzi, se vuole saperlo, sono dalla parte dei giovani, da sempre. Ciò premesso, un problema giovani oggi purtroppo esiste.Tanto che torniamo a parlarne nel focus del mese. All’inizio del quale troverà il seguito della risposta alla sua lettera. Caro Direttore, ho letto tutto quello che hanno scritto su Teramo persone impegnate nel sociale e che sono state addentro alle problematiche di intervento in tutti i settori possibili che riguardano la città. Io non sono nessuno, mai ricoperto nessuna carica, non ho che una laurea in lettere nel cassetto e sono stata solo figlia, moglie, madre ed ora nonna e, nel ricordo di tutti gli anni che ho alle spalle e che ho vissuto e condiviso con tre generazioni, anzi 4, (poiché ho costantemente vissuto per sessant’anni con mio padre e mia madre che mi raccontavano

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risposta infiniti episodi dei loro tempi), mi permetto di dire che fare dei continui “mea culpa” non serve né a Teramo, né ai teramani. Le persone e situazioni cambiano nel tempo, si determinano altri modelli di vita di riferimento e non possiamo demonizzare nessuno perché colpevoli siamo “uno, nessuno e centomila”. Si è operato assecondando l’andazzo, ma difficile catalogare gli andazzi colpevoli da quelli innocenti. Quasi sempre chi prendeva le decisioni credeva di far bene? Ci siamo mai chiesti se credevano di far bene perché pensavano che era bene o se lo facevano nella certezza di assecondare i desideri della gente? Perché la gente non si ribellava? Perché non faceva tanti cortei come quelli delle “suffragettes” per il voto alle donne? Amo la mia città (e come si può non amare la città dove si è nati e dove si è trascorsa tutta la vita?), ma, più che indicare percorsi di miglioramento al suo aspetto fisico, più o meno adatto alle esigenze del momento, bisognerebbe capire bene che cosa le persone contemporanee vogliono dalla loro città. Il problema maggiore, problema che non dovremmo mai dimenticare (e che ogni nuova generazione ha avuto) è, analizzarla, osservarla e, nel possibile, correggerne i percorsi e far riemergere (perché ce ne sono) ambiti rispettosi del bene altrui e scuole che ne inculchino i comuni doveri-diritti. E’ auspicabile che da quel tipo di appartenenza si debbano scegliere i nostri politici. Siamo quello che siamo stati? Non è vero. Ci si riempie a volte di frasi fatte da intellettuali di mezza tacca, ma la verità è che “tutti” abbiamo lasciato che i nostri figli, i nostri nipoti andassero accontentati a tutti i costi, costi quel che costi, e, chiedendo scusa per il gioco di parole, tutto ci è sfuggito di mano. Come possiamo pretendere di far loro comprendere le infinite emozioni che ti regalano un’opera d’arte, un’antica statua, ad esempio una statua greca, quando ho sentito esclamare un ragazzo mentre la guardava: ”Ma che belle cosce!” Ed è il male minore! Se qualcuno di voi ha seguito l’inaugurazione dei giochi olimpici di Londra, avrà notato come alla fine del percorso storico verso la trasformazione industriale, un po’ caotico ma intrigante e piacevole da seguire, alla fine sia entrata in scena una massa innumerevole di giovani danzanti sulle musiche delle loro amate discoteche e concerti all’aperto dei loro idoli canori e, se vediamo in tv quanti giovani determinati e studiosi vadano fuori a studiare per poter iniziare un qualsiasi percorso di vita decoroso, i punti focali, nella confusione in cui annaspano i nostri centri politici, piccoli e grandi, non possono che vivere lo sconcerto tra le priorità economiche ineludibili e lo spinosissimo proble-

ma di ricondurre, nelle scuole e non solo, l’educazione dei nostri ragazzi a vedere e non solo guardare le vere priorità che possano riempire di bellezza e giustizia i loro percorsi di vita in ogni campo senza l’ossessiva smania del superfluo e del denaro. Se le fontane sono belle o brutte a loro non importa un bel niente, ma si arrabbiano maledettamente se non trovano il parcheggio del loro motore ultimo modello da cinquemila euro che i genitori hanno messo sotto il loro sedere per “premiarli” di aver superato l’esame di maturità. Lo stragrande numero di anziani che vive oggi a Teramo e che non ha la possibilità di “consumare” tutti i giorni seduto ad un bar, dove andrà a prendere un po’ d’aria? I problemi ci sono e vanno risolti da chi di dovere ma non possiamo “estrarli a sorte”

ragionando superficialmente; la priorità è, e deve essere, sempre una coscienziosa ed oculata analisi dei bisogni prioritari dei cittadini: se in una classe c’è un solo handicappato, il maestro non può correre dietro ai bravi, ma deve rallentare, se si perseguono realizzazioni pratiche per i meno dotati, a chi sta bene che danno si fa? Se si debbono fare manifestazioni sportive o fieristiche, perché invadere i centri urbani che ne vengono deturpati, creando caos, disordine e fastidiosi rumori senza rispetto alcuno? Non lo dico parlando “pro domo mea” a nome di tanti anziani come me, ma anche per chi deve dormire perché il mattino deve alzarsi presto e andare a lavorare… Ce l’abbiamo o no quei bei centri sportivi periferici e tante aree disponibili munite di adeguati parcheggi? Perché li abbiamo fatti? Mi piace terminare questa chiacchierata proponendo, utopicamente, che, al posto

di tanti centri culturali per pochi, (non si capisce perché si debbano “interrare essi e non il traffico vertiginoso aumentato in superficie), non si creino, invece, anche tanti decorosi ed appaganti ritrovi per molti, giovani e anziani, seguiti e gestiti con garbo e avvedutezza all’aperto o al chiuso, Perché non si può trasformare la metà ovest di Piazza Martiri della Libertà (lasciando l’altra metà ai tavoli dei due o tre bar adiacenti togliendo quella “superfetazione” inadeguata) in uno spazio verde e alberato con prato, fiori, vialetti come piazza Orsini con una bella fontana (magari a forma di conchiglia?) che, zampillando da sotto il portale murato del Duomo, lambisca, allargandosi, parte della scalinata, dove l’acqua trattenuta da due sponde in muratura (magari decorati da piccoli leoni zampillanti a richiamare i fratelli più famosi, grandi e piccoli, della città!) e si trasformi la piazza in uno bello spazio verde con alberi ombrosi e sedie “comode” e amovibili per permettere di socializzare senza danno (con attenta sorveglianza, s’intende!). Quale orrore vedere quelle persone sotto i portici del comune alloggiati in quelle sgangherate sedie di plastica bianca in cerca di compagnia e di fresco! Nessun gazebo arabeggiante figlio del dio denaro che danneggia i commercianti locali peggio del divieto di transito, e nessun bivacco sulla scalinata di una Chiesa antica che si trova al mattino sudicio e ridotto ad una pattumiera. E, un’ultima cosa che non costerebbe poi tanto: provate a chiedere al nostro pronto soccorso quanti femori rotti arrivano a causa delle nostre stradine centrali dissestate. Che dire…? I sogni a noi vecchietti ce li dovete lasciare e, poi… siamo dispettosi: se non ci sparate, non abbiamo nessuna intenzione di andare all’altro mondo! Caro direttore, prenda queste mie parole come un “pour parler”. Io, da incallita ottimista mi auguro che siano come sassolini gettati in un lago come fa un bambino per gioco, ma che tra i tanti cerchi formati dall’acqua, uno vada a lambire qualche riva e la faccia fiorire. Lilia Ferrajoli (classe 1928) Gent.mo direttore, sono a scriverLe della nostra città. Se non erro, negli anni ‘60-‘70 iniziarono i lavori di sistemazione della Antica Cattedrale, credo ad occuparsi del restauro fu la ditta Cingoli, demolirono degli edifici adibiti a Caserma dei Vigili del Fuoco ed altro lungo via Torre Bruciata. Si dovrebbe averne traccia nell’Archivio del Comune. Tutta questa zona è stata sistemata, purtroppo male, negli anni ‘90. a tempo si conosceva l’esistenza in quella zona di una villa roma-

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risposta na. Il famoso (e sfortunatissimo) Leone in mosaico era conosciuto da tempo, credo dalla seconda metà dell’ ‘800, quando fu costruito Palazzo Savini. I Savini facevano visitare il mosaico, che era rimasto in una cantina (l’accesso non era facile, tuttora visitarlo è quasi una vincita all’enalotto). Scavando nel famoso orto di Pompetti fu trovata la villa che uno, diciamo, sciagurato incaricato dei beni, o meglio “mali”, culturali ha coperto con quel famoso e costosissimo catafalco, rendendo la villa una serra per la coltivazione intensiva dell’ortica. Nell’occasione furono bruciate enormi somme di denaro per fare lo scavo sulla strada che non scoprì nulla di importante tanto è vero che furono ricoperti. Ma, il guaio lo ebbe il famoso leone, che poveretto annegò miseramente. Dopo di che alla fine degli anni ‘90 si procedette al salvataggio del povero animale. Una mosaicista mi disse che il restauro non fu fatto bene. Gli dettero una bella dimora, ma ora non lo fanno mai vedere. Sulla strada hanno messo dei vetri per mostrare un po’ di pietre romane, ma niente di notevole. Passiamo alla famosa Torre Bruciata. Una piccola proprietà della mia famiglia, ereditata da miei nipoti, figli di una mia sorella, confina con questa torre nella quale abitò per un certo periodo il giornalista teramano Fernando Aurini. La Torre, negli anni 90, fu acquistata dal Comune e fu restaurata e ... orrore, la parte bella di questione fu coperta con un anonimo intonaco. L’interno fu sistemato più o meno bene, anche con un ascensore, e dovrebbe essere adibito a museo da chi, non si sa perché, forse per ospitare i documenti delle ferite fatte dai nostri amministratori. Mi permetto di suggerire: si dovrebbe formare una squadra di volontari culturali che facciano vedere ai turisti quelle cose che non si possono vedere perché chiuse a chiave a tripla mandata. Basterebbe davvero poco. Un cordiale saluto. Giorgio Lucangeli

te che anche presentarsi a sportelli appositamente “creati” a risolvere problematiche o a presentare gli abusi subiti, ci si trova davanti un muro di impotenza. Le racconto quanto mi è accaduto quando mi sono presentata alla Usl di Nereto per la visita fiscale di aggravamento e richiesta della legge 104. Sono invalida, ho subito l’asportazione totale di un organo importante (dopo aver partorito la mia ultima figlia) e da anni ho gravi disturbi fisici e psichici. Ritrovare la dignità di vivere e un livello di vita qualitativo è stato un lavoro di anni, crescere i propri figli, poter lavorare ha richiesto un attenzione ed un impegno non indifferente, distrutti in dieci minuti di visita fiscale. Sentirsi un niente e sentire il peso di chiedere qualcosa come si fosse l’ultimo dei disperati che mendicano un soldo, venire offesi, sono uscita da quella stanza piangendo. Avevo pensato di portare con me un medico legale, a Roma mi era stato consigliato, ma interessandomi di come era il funzionamento delle visite alla Asl di Nereto, mi sono astenuta, eppure è un diritto, perché mi hanno detto che avrei “indispettito la commissione”. Quando è toccato a me, mi chiedevano la fotocopia del tribunale dove avevo fatto ricorso...a Roma mi avevano dato il 60% in prima battuta poi con il ricorso il 76%. Mentre mostravo il documento il presidente diceva che lui avrebbe annullato tutti i ricorsi del tribunale dando una spiegazione discutibile e senza tener conto che una sentenza del tribunale é inderogabile. Quando gli ho chiesto se si riferiva a me, ha risposto che parlava in generale. Quando mi hanno chiesto cosa chiedevo... spiegavo che richiedevo la 104 , la legge che tutela gli invalidi. Non so come è iniziata la “rissa “ come l’hanno definita loro... anche qui ci sono spunti privati, ma lo sfoggio di potere é stato terribile... Ricordo che mi salivano le lacrime e la rabbia... chi erano questi per intromettersi nella

Cari lettori, grazie per il vostro intervento. La nostra amata città ha bisogno sicuramente di una maggiore partecipazione dei cittadini . Il dibattito avviato su Prima Pagina conferma una esigenza che molti avvertono. Necessario portare un contributo di idee e proposte, senza salire in cattedra e ascoltandosi vicendevolmente. Per quanto ci riguarda, siamo sulla buona strada e anche per questo vi dico grazie. Gentile direttore, ho avuto per caso tra le mani la Vs. rivista, così ho pensato di scriverLe. La situazione in Abruzzo è così politicamente deprimen-

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mia vita privata ?... tutta la dignità di una persona veniva calpestata, così cercavo di riprendermi i miei documenti spiegando che volevo andare via, non accettavo quella seduta e che avrei chiesto la 104 a Roma. In quel momento tutta l’arroganza e la prepotenza del Signor Asl. In due minuti avevano fatto la diagnosi di 17 anni di vita con un problema come l’asportazione di un organo importante. Uscita dalla stanza piangente ed umiliata ho telefonato al mio avvocato, che mi chiedeva prontamente chi era con me durante la visita. Io sola e loro… Mi spieghi questo sfoggio di potere davanti a persone malate, distrutte da malattie invalidanti. Spero Lei possa dare voce a questa mia rabbia ...e alla rabbia di chi ignaro accetta verbali che hanno dimenticato da tempo quel giuramento di Ippocrate. Grazie Una lettrice Per ragioni di spazio, ho dovuto tagliare la sua lunga lettera, che però conserva intatto il senso della sua protesta. Come vogliamo chiamarlo caso malasanità quello che le è capitato? Oppure l’ennesima prodezza di una burocrazia fin troppo ottusa e poco paziente, anche davanti al dolore e alla sofferenza? Che posso dirle, oltre ad esprimerle una grande solidarietà? Per raddrizzare certe cose leggi e regolamenti non bastano. Tutto dipende da chi si trova a dare assistenza ai propri simili nei momenti difficili della sofferenza. La sanità che vorremmo è quella che parte dal cuore e dalla solidarietà umana. Ma da quanto la stiamo aspettando?


di Tiziana Mattia

PAROLE AL VENTO DI MALE IN PEGGIO ià detto che l’estate l’avremmo ricordata per “grandezza” (crisi, caldo e non solo). Passerà alla memoria degli abruzzesi, crediamo, anche per la supponenza. Deliri di onnipotenza (dettati dalle temperature altissime?), che hanno invaso giornali e tv. Con frasi celebri “ad effetto”. A ferragosto ha dato una scrollata all’estate l’uscita del presidente della Regione sui malaugurati effetti del “gasparismo” in Abruzzo. “Il nostro decantato sistema industriale – ha punzecchiato Chiodi – si fondava sull’assistenzialismo dello Stato. Anche l’enorme numero di persone impiegate nella pubblica amministrazione è frutto di una stagione politica in cui non c’era più correlazione fra entrate e spese”. Apriti cielo. Ne è seguita una serie di botta & risposta su tutti gli organi di informazione locali. Fino al totale spegnimento del dibattito. Lo diciamo? Fuorviante e alquanto sbagliato, come qualcuno si è premurato di puntualizzare. Ognuno ha detto la sua, come si fa qui che, quanto a chiacchiere, democratici lo siamo a 18 carati. Peccato che, alla fine, tutto resta come prima, senza conclusioni concrete. Come per la

battaglia persa (ma speriamo di no) per il salvataggio in extremis della provincia di Teramo. Strattonata di qua e di là. Allargata verso la costa per alcuni, ristretta al centro per altri, cancellata del tutto per qualcuno. Divertenti le dichiarazioni di fine estate. Perentorio Rabbuffo (Fli): “L’Abruzzo non è divisibile per due”; tragico Catarra (presidente della Provincia morente): “Una guerra fra territori che indebolirà tutta la regione”; pirandelliano Mascitelli (Idv): “In Abruzzo manca una visione unitaria e c’è un gioco delle parti”; mazziniano Tagliente (Pdl) rivolto alla sua parte: “La politica chiama, bussa alla vostra porta ma voi non ci siete”; laburista Mastromauro (sindaco di Giulianova): “La proposta Brucchi è puramente demagogica dal momento che non è attuabile”; conservatore Brucchi (sindaco di Teramo): “Pescara non avrai Teramo”. Silente, per ora, Chiodi, impegnato a decidere sul suo futuro. A chi gli chiede se si ricandiderà, sorvola, lasciandoci nel dubbio. Intanto, a noi che paghiamo le tasse aumentano la benzina e diminuiscono lo stipendio. Ma importa qualcosa? Non spingete, per favore. Per rispondere, non c’è fretta. Grazie.

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SUPERCASSA, LE BANCHE “FANNO SQUADRA”

di Mira Carpineta

i chiama Supercassa, il progetto che vedrà coinvolte, nei prossimi mesi, due realtà bancarie di rilievo del nostro territorio: la Banca dell’Adriatico e la Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno. Entrambe fanno parte della Holding Intesa Centro. Nel più ampio contesto dell’intero sistema bancario nazionale dove i numeri parlano di circa 2600 sportelli da chiudere e 36.000 esuberi di personale da gestire (fonte ABI), il Gruppo Intesa ha allo studio un progetto di riorganizzazione che vede nella prima il soggetto più adatto ad assumere un ruolo di riferimento nell’Italia centrale. Le sue performances sembrano aver convinto i vertici del gruppo della buona capacità di veicolare la trasformazione. La riorganizzazione delle province, inoltre, vedrebbe la scomparsa di Teramo, come capoluogo, mentre Ascoli Piceno destinata non solo a mantenere, ma a consolidare una leadership territoriale che andrebbe oltre i confini regionali. Quali scenari quindi, per la banca teramana e il futuro assetto politico - economico della nostra provincia? La Val Vibrata, con le sue spinte secessioniste verso il Piceno, che periodicamente ripropone, troverà nuovi avalli in questi movimenti, non solo di capitali? E cosa ne

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pensano i nostri amministratori, impegnati a difendere l’identità di una città che, poco alla volta, ma inesorabilmente, ha visto negli anni scomparire tante realtà istituzionali e tante in pericolo di sopravvivenza? Non si può fare a meno di pensare infatti, anche alla situazione della Tercas, dove al “terremoto” del commissariamento fanno ancora seguito “scosse di assestamento”, e della Banca di Teramo, orfana della sua guida carismatica, che non sfugge alle sofferenze che accomunano il sistema bancario totale. Giandomenico Di Sante, storico presidente di Banca dell’Adriatico sostiene che la nuova superbanca nascerà nel rispetto delle radici e della storia di entrambi gli

Sarà anzi un cambiamento – spiega Di Sante – che porterà solo un miglioramento nell’efficienza dei servizi...

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istituti coinvolti: “Sarà anzi un cambiamento – spiega Di Sante – che porterà solo un miglioramento nell’efficienza dei servizi, reso necessario dalla congiuntura economica, ma volto a conservare e migliorare i valori positivi della banca, a cominciare dalle persone, dalle professionalità e dalle competenze dei dipendenti, dai vertici alle basi. Rispetto alla percezione di “perdere altri pezzi” della città, non sono d’accordo perché il gruppo San Paolo è fortemente impegnato nella conservazione e tutela dei valori positivi- conclude il presidente – che entrambi gli istituti hanno costruito ed espresso nei rispettivi territori. Sono estremamente fiducioso nell’impegno e nella sensibilità che i vertici del gruppo San Paolo hanno profuso in questa operazione. Tuttavia, quando i cambiamenti diventano necessari per la sopravvivenza stessa, per evitare il ristagno della crescita, il senso di responsabilità impone di gestirli nella maniera più utile a tutti, e che siano motivo di coesione sociale e non di ulteriori conflitti”. Alla luce dei programmi di trasformazione a cui tutto il mondo economico è costretto, l’autunno teramano si prospetta forse più caldo dell’estate. E non certo per le temperature.


Tasche semivuote investire si può di Mira Carpineta

Le famiglie continuano ad essere preoccupate sul rendimento e il futuro dei loro risparmi. Nonostante la forte domanda di titoli di stato, in occasione delle aste, i rendimenti di questi investimenti continuano a scendere e i piccoli risparmiatori si chiedono se è ancora possibile oggi salvaguardare il valore dei sacrifici delle famiglie. Nell’ultimo piazzamento dei BOT, del 29 agosto, il Tesoro ha collocato 9 miliardi di Buoni a 6 mesi, a fronte di una richiesta pari a 15,2 miliardi. Il rendimento è sceso all’1,585%, -0,87%, rispetto alla precedente asta. Si tratta del livello minimo da marzo. Ad agosto, inoltre,

riferisce l’Istat, peggiorano ulteriormente le valutazioni delle famiglie rispetto alla loro situazione economica e continua a calare l’indice che misura il clima di fiducia delle famiglie soprattutto a causa degli aspetti legati alle opportunità attuali e alle possibilità future di risparmio. Secondo Fabio Di Giansante, gestore azionario per Pioneer Investments: “Investire i propri risparmi è ancora possibile, ma bisogna tener conto dei cosiddetti “profili di rischio”. In parole povere, se un risparmiatore non vuole correre rischi o vuole limitarli al minimo, troverà prodotti a basso rendimento. Il rendimento aumenta all’aumentare proporzionale del rischio.

Questo perché i tassi sono molto bassi e continueranno ad esserlo ancora per alcuni anni, una misura necessaria per gestire la crisi”. Tra i prodotti offerti ci sono le azioni, le obbligazioni, le monete. Le differenze riguardano appunto il rischio: “E’ chiaro – prosegue Di Giansante – che investire in azioni o obbligazioni, non può prescindere dalla conoscenza del mercato finanziario, ed è opportuno e consigliabile affidarsi ad esperti e fiduciari che in base ad analisi oggettive possono indirizzare i risparmiatori verso prodotti affidabili e programmi di risparmio e investimenti quanto più possibile sicuri”. Negli ultimi tempi infine si parla di merca-

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to delle monete o di Forex, ma di cosa si tratta? “Per quanto riguarda le monete – precisa Di Giansante – nei periodi di crisi si tende a preferire l’acquisto di cosiddette ‘monete forti’, come è capitato, ad esempio, con la forte richiesta di franchi svizzeri, considerati appunto un investimento solido. Tuttavia, a fronte di una richiesta crescente

Investire i propri risparmi è ancora possibile, ma bisogna tener conto dei cosiddetti “profili di rischio...

realizzate. Infatti, ogni giorno sul mercato Forex vengono effettuate quasi 2 mila miliardi di dollari di transazioni. Esistono due modi per investire nel Forex: la prima è direttamente, la piattaforma per operare, in genere fornita da un broker. Nella piattaforma si possono trovare i grafici delle monete più importanti per l’interscambio, alcune hanno all’interno anche i metalli tipo l’oro, l’argento e il Crude Oil (il petrolio). Esistono anche le piattaforme Demo, con tutte le funzioni della Reale per capire come funziona e come muoversi da soli. Il guadagno del broker sta nella differenza tra il prezzo di vendita ed il prezzo di acquisto di due monete, per ogni ope-

di questa moneta, il governo svizzero, ad evitare conseguenze sfavorevoli sulla propria economia, ha optato per una misura preventiva monitorando il cambio con l’Euro e mantenendolo costante”. Il Forex di cui si parla molto, cos’è? Il Foreign Exchange Market è universalmente riconosciuto come il più grande mercato finanziario del mondo, grazie al valore delle transazioni che su di esso vengono

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razione effettuata ( in un’ora si possono effettuare molte operazioni), anche sullo stesso interscambio e le valute trattate sono molte, mentre all’investitore vanno l’eventuale guadagno o l’eventuale perdita Il mercato ha molta volatilità, quindi è necessario avere innanzitutto delle conoscenze specifiche per la lettura dei grafici, importantissimi per questo tipo di mercato, conoscenze sull’uso degli indicatori di tendenza e non ultimo saper utilizzare al meglio gli strumenti della piattaforma. Il secondo modo per operare nel mercato del Forex è affidarsi ad una società che utilizza i propri traders, professionisti, che se da un lato dà minori possibilità di guadagno, di contro assorbe le eventuali perdite.


REGNO UNITO-ITALIA

OPPORTUNITÀ E FLESSIBILITÀ di Mauro Rosati di Monteprandone de Filippis Dèlfico

Inghilterra non è una “Zona Franca” dell’Europa. Il paese gode di grande reputazione economica a livello mondiale, ed è la porta preferita per il commercio europeo dall’Asia e dagli Stati Uniti, in quanto conoscono la garanzia dell’applicabilità delle leggi inglesi. L’Inghilterra offre ai suoi imprenditori immensi vantaggi stabiliti attraverso leggi semplici e facili da capire ed applicare. L’imprenditore è aiutato ad avviare e gestire un’azienda in modo facile, evitando lunghe attese, barriere burocratiche e costi iniziali troppo elevati che non fanno altro che “rubare” energia durante la fase di costituzione e avviamento. L’Inghilterra offre all’imprenditore molte agevolazioni fiscali, ovvero tasse ridotte rispetto ad altri paesi europei, oppure tasse che addirittura non esistono. Quando una società non produce perché il titolare è malato o non può lavorare si può bloccare tutto il carico impositivo. Inoltre molte tasse a cui gli italiano sono soggetti, Irpef e tasse comunali per l’esercizio, in Inghilterra non esistono, nessun problema di concessioni, non esistono albi professionali e una società

cosiddetta Limited (LTD) può svolgere immediatamente qualsiasi attività anche sul mercato internazionale per la presenza di accordi bilaterali di tassazione con tutti gli Stati Membri della Unione Europea. Secondo il diritto inglese, la Società Limited

Chi è • Docente di Ingegneria Economico Gestionale -Facolta di Scienze politiche alla laurea magistrale di Managementi delle imprese sportive • Docente di Diritto della Finanza Islamica-cattedra di Relazioni internazionali e diritto dei paesi Afroasiatici-Univ. di Teramo, e di diritto Tributario internazionale e societario al master “diritto della impresa e professioni economiche contabili” presso la facoltà di Giurisprudenza. • Si occupa di diritto del Trust e tutela patrimoni e di diritto internazionale dell’impresa. • Autore di innumerevoli pubblicazioni e relatore in convegni.

(abbreviata a “Ltd”) e` una delle due forme di società commerciale- di capitali inglesi, che per alcune sue caratteristiche` e molto simile alla nostra Società a Responsabilità Limitata. L` altra forma societaria britannica, la Public Limited Company (Plc) equivale alla nostra Società per Azioni. Le maggiori differenze con la situazione italiana consistono soprattutto nei costi di creazione e gestione, particolarmente bassi in Inghilterra (£GB 300,00 di costi vivi on line), dove non è richiesto neanche un limite minimo per il capitale sociale ( a volte costituito dal valore nominale di 1 sterlina), da una bassa tassazione dei profitti stabilita in base a fasce di reddito e nella facoltà di esenzione da IVA, che in Inghilterra è chiamata VAT. Le formalità burocratiche sono ridotte: la costituzione, pur essendo un attività complessa, avviene senza atto pubblico né l`intervento del notaio, ma con un semplice deposito di tutta la documentazione necessaria presso le Autorità, che effettuate alcune verifiche, emettono il Certificato di Costituzione. In Italia pecchiamo di “eccessivo burocratismo” non solo nella gestione della cosa pubblica, ma anche nell’esame

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dettagliato, minuzioso, bizantino del nostro ordinamento privatistico. Il diritto societario italiano se da un lato privilegia in maniera “scrupolosa” il diritto dei soci-azionisti, cercando di raggiungere pur sempre la trasparenza dei bilanci delle grandi aziende, ha creato di contro un “sistema completamente ingessato” non competitivo con il mondo d’oggi. Nel Regno Unito è diverso l’approccio di base: nella dinamica della governance aziendale c’è il rispetto della legge. La legge è semplice, chiara, non farraginosa, pretestuosa o sibillina che possa mettere in difficoltà l’imprenditore. Poche leggi con pochi articoli che non prestano il fianco ad interpretazioni elusive. È il sistema che è competitivo e non lascia spazio a manovre fraudolente di evasione fiscale. Diverso rapporto cittadino- fisco, basato sulla fiducia dello Stato sui dati del contribuente. Solo chi sbaglia ha realmente problemi! Non ci sono ricostruzione di redditi presuntivi né formalismi di circolazione del denaro. La regola è: circolazione moneta elettronica, senza commissioni ecc. Bassa tassazione anche sul costo del lavoro. Poche incombenze burocratiche e assenza di “lavoro in nero” . Nessun suddito rischierebbe, secondo l’assunto che più è alta la tassazione dei redditi e del costo del lavoro, maggiore sarà l’evasione. Un esempio: su una busta paga sindacale di £.GB 1000,00 il costo del lavoro previdenziale- assistenziale è di appena 9,60% al mese! Tutto è permesso purché non sia illecito. Tutto è flessibile, competitivo purché rispetti “ il contratto sociale”: se sbagli “volontariamente”, dolosamente, lo Stato si fa sentire. In modo concreto. Si è parlato in questi ultimi tempi di “decreti sviluppo”: proviamo a fare una comparazione, considerando alcuni punti: costituzione di una SRL con capitale sociale di €.1, con soci al di sotto dei 35 anni. Per il solo fatto che non sono previste norme di coordinamento con il codice civile, al primo esercizio che chiude in perdita la società va in liquidazione ipso jure per azzeramento del capitale sociale. E non potrebbe essere altrimenti almeno per i primi due, tre anni. Inoltre l’obbligo di adempimenti legali, attraverso i notai, per ogni atto “straordinario” o “ordinario”, i versamenti di acconto alla Banca d’Italia e tutte le restanti procedure previste da un grande ordinamento giuridico, come è quello italiano, con il suo eccessivo diritto di difesa e tutela, provoca inevitabilmente ingessamento e blocco della competitività costringendoci nella posizione di fanalino di coda, altro che sviluppo.

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RITORNO A SCUOLA

ECONOMIC@MENTE

di Jessica Pavone

i chiama “Economic@mente metti in conto il tuo futuro” il progetto di educazione finanziaria sottoscritto di recente a Pescara dall’Assessorato all’istruzione della Regione Abruzzo, dall’Ufficio Scolastico Regionale e dall’Associazione Nazionale dei Promotori finanziari. L’obiettivo è sviluppare attività di formazione e informazione sull’educazione finanziaria all’interno del programma scolastico, al fine di sensibilizzare gli studenti ai temi del risparmio e della pianificazione finanziaria. Michele Piergiovanni, associato Anasf e coordinatore dell’accordo spiega quanto “Economic@mente” sia una risorsa utile per gli studenti abruzzesi: in primo luogo sono i primi a poterne usufruire, poiché la Regione Abruzzo è la prima regione in Italia a stipulare un accordo simile. In secondo luogo, una formazione di questo tipo non può far altro che maturare, della coscienza di ciascuno studente, l’attenzione

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al proprio futuro, alla gestione indipendente del proprio denaro, dei propri risparmi. Con questo progetto l’istruzione abruzzese fa un passo avanti, avvicinandosi agli standard d’istruzione inglesi, francesi e tedeschi, che contemplano da anni discipline pratiche all’interno delle loro riforme scolastiche. L’assessorato all’Istruzione, dal canto suo, dichiara di “aver ritenuto importante, soprattutto in questa fase della nostra storia, promuovere un’iniziativa che vuole destare l’interesse e la conoscenza sui temi dell’economia e della finanza. E’ utile sviluppare la consapevolezza del ruolo del denaro e della necessità di gestirlo responsabilmente. Con questo protocollo desideriamo sostenere le attività formative rivolte agli studenti abruzzesi e dare loro l’opportunità di entrare il prima possibile a contatto con un mondo che troppo spesso ci vede sprovvisti di strumenti utili per la comprensione, l’analisi e la gestione delle dinamiche finanziarie”.


“Settembre nero” per la scuola abruzzese

di Michele Ciliberti

I mass media consumano il rito dell’interesse per la scuola all’inizio e alla fine dell’anno scolastico, evidenziando quasi sempre carenze, storture, disorganizzazione e altri aspetti negativi. La scuola sicuramente è una macchina molto difficile da gestire e governare; per tale complessità, però, ci sono figure professionali di alto livello che dovrebbero garantire il buon funzionamento dell’istituzione. Ogni anno, si dice, i soliti problemi: che non sono quelli accusati e discussi dalle mamme-massaie nei supermercati o presso i cancelli della scuola. Questa volta la situazione appare veramente tragica nella scuola abruzzese e particolarmente in quella teramana. I dati forniti dall’USR dicono che in Abruzzo ci sono 25, di cui 9 nella provincia di Teramo, istituti senza dirigenti e 27 (6 nel teramano) sottodimensionati che sono stati assegnati a reggenza. Molti di questi istituti hanno già subito il ridimensionamento e l’accorpamento e, pertanto, hanno più di mille alunni che sommati a quelli delle scuole di titolarità dei reggenti arrivano a oltre 2.500, cui bisogna aggiungere circa 250 docenti e una settantina di unità Ata. Non solo: ogni dirigente dovrà gestire un numero enorme di plessi su più Comuni. Es.: il 27 agosto, a pochi giorni dall’inizio del nuovo anno

scolastico, al dirigente dell’Istituto Omnicomprensivo di S. Egidio alla Vibrata è stata assegnata la reggenza dell’Istituto Comprensivo di Nereto – S. Omero, per cui dovrà amministrare 23 plessi distribuiti su 5 Comuni. Come farà ad organizzare e coordinare le attività didattiche e risolvere tutti i problemi logistici dei diversi plessi? Si avvarrà certamente di collaboratori per i quali il ministero non prevede alcun compenso se non una piccola incentivazione, da contrattare, derivante dal fondo d’isti-

tuto. Si fa notare, però, che la dirigenza non è delegabile, per cui tutte le responsabilità cadono sempre sulla testa di quel povero dirigente che sarà costretto a fingere di lavorare su tutti i problemi prospettati da docenti e genitori. Inoltre, quanti appuntamenti richiesti dai genitori dovrà disattendere? La mattina farà testa o croce per decidere in quale plesso si recherà! Il ridimensionamento, effettuato al solo fine della spending review, ha creato ulte-

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riori problemi come rivalità e rivendicazioni tra i diversi Comuni, che si sono contesi la sede dirigenziale, ove spesso mancano locali che possano ospitare megalattici collegi dei docenti. Sono pochissime, infatti, le scuole che hanno aule con capienza superiore a cento o centosessanta e oltre docenti! Si ricorda che per alcune deliberazioni occorre il collegio docenti unitario e plenario. Come fare? Affittare locali idonei? E con quali soldi? Forse una soluzione c’è, ma non è normata. Occorrerebbe riformare gli organi collegiali della scuola, attribuire loro compiti nuovi e diminuire il numero dei membri. Il collegio dei docenti potrebbe essere costituito dal dirigente e dai suoi collaboratori, dai fiduciari di plesso e dai coordinatori dei consigli di classe, d’interclasse e d’intersezione. Nasce, però, subito un contenzioso: i collaboratori e i fiduciari sono nominati discrezionalmente dal dirigente, quindi, non ci sarebbe rappresentanza democratica. Infine, occorre rieleggere le RSU, appena insediate, e i consigli d’istituto. Come mai in Abruzzo si è arrivati ad una simile situazione? Il concorso per dirigenti è in alto mare, mentre in altre regioni i neodirigenti sono stati già nominati e si è evitato il ricorso alla reggenza. Ci sono stati ben 5 presidenti di commissione dimissionari, il perché non è dato sapere: non ci sono fonti ufficiali. Le malelingue però parlano e dicono che ci sono state troppe ingerenze esterne, troppe pressioni. Il fatto è che tutto ciò, come pure la vacanza del direttore regionale, ha causato un danno enorme alla scuola

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abruzzese in un momento molto difficile e delicato come quello post-terremoto. Alcuni aspetti positivi, però, non mancano: questa volta sembra che l’anno scolastico inizierà veramente con tutti i docenti in cattedra e non è cosa da poco. Oltre tutto, gli studenti abruzzesi, su cui va riposta ogni fiducia, hanno consapevolezza di quanto accade e ciò lascia ben sperare. NdD. Michele Ciliberti, nostro valente e puntuale collaboratore lascia la dirigenza scolastica da settembre. Augurandogli tantissimi anni di “vacanza”, ne auspichiamo altrettanti di piacevolissimi contributi sul nostro giornale. Come tutti quelli fin qui prodotti.

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Questa volta la situazione appare veramente tragica nella scuola abruzzese e particolarmente in quella teramana...


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STAGIONE BALNEARE

A Giulianova ok, ma il parcheggio a pagamento… di Cristiane Marà

tagione balneare a Giulianova, è quasi ora di tirare le somme. Dopo numerose sagre, feste e polemiche. Raccontano brevemente come vanno le cose alcuni titolari. Lavinia Luciani, una delle titolari dello Spinnaker Beach, Lungomare Rodi: “Intanto la novità dei parcheggi a pagamento penso sia stata inutile. Tra il pagamento del demanio e della società che gestisce l’attività, il comune ne ha ricavato molto poco. E la collettività non ne ha tratto benefici. I turisti tra il costo dell’auto, del parcheggio e dello stabilimento sono stati penalizzati, tant’è che la gente si è portata ‘la pagnotta’ da casa come una volta, diminuendo le consumazioni. Si è creato poi il problema degli ingorghi nelle vie interne. Le persone preferiscono fare due passi in più. piuttosto che pagare il parcheggio. Quest’anno l’affluenza, nonostante quando letto sui giornali, non è stata molto alta, se non nei fine settimana e qualche giorno in più ad agosto. Diamo merito al sindaco per la disponibilità a

coinvolgere anche la zona Sud di Giulianova nella Notte Bianca. Le promesse però non sono state interamente mantenute. Le strade sono state chiuse, è vero, ma le spese per l’animazione, l’allestimento dei mercatini, dell’elettricità, è stata tutta a nostro carico. I concerti, ad esempio, si sono tenuti in centro. Alcune strade sono rimaste buie e vuote. Siamo soddisfatti perché grazie al nostro impegno la gente ha partecipato. La stagione è andata tutta così, siamo stati noi privatamente a organizzare serate all’insegna dell’arte e della cultura tipica. Nella nostra zona non sono presenti musei, attività commerciali, ma in maggior misura case. Se il Comune non si attiva per coinvolgere tutta la città, come si fa ad andare avanti? Per concludere, è nota la notizia delle multe per bivacco ai camperisti nel parcheggio adiacente Via dei Pioppi, ma da oltre un anno erano presenti roulotte di zingari che avevano persino recintato un’area pubblica per i loro cani, lasciando sporcizia e svolgendo dubbie attività.

Quello che posso dire però è che dove c’è movimento, c’è meno criminalità. Valorizzare e coinvolgere tutto il territorio e non solo il centro di una città è importante e speriamo che qualcuno ci ascolti”. Claudio Leone, titolare del Lido Cesare, Lungomare Spalato: “La pubblica amministrazione è già a conoscenza delle nostre problematiche. Ovviamente anche quelle legate all’introduzione dei parcheggi a pagamento. Questi ultimi hanno scoraggiato e creato malumore tra i turisti, i quali hanno anche scritto lettere di protesta. In linea di massima la stagione è andata bene. Personalmente mi sono impegnato per favorire attività sportive con numerosi campi da beach tennis e animazione in spiaggia. Infine, nonostante quanto diffuso dai media, non abbiamo avuto problemi con l’acqua che non è inquinata e nessuno è andato in ospedale dopo il bagno in mare. L’unica cosa che ora chiedo è l’eliminazione dei parcheggi a pagamento, perlomeno nelle piazzole”.

RUZZO

L’acqua c’è ma non si capta di Ivan Di Nino

la chiamano estate: i nubifragi di luglio hanno intorbidito con i detriti le acque delle sorgenti che non è stato possibile immettere nei potabilizzatori. Si obietterà che detti potabilizzatori devono essere sufficienti a garantire un servizio valido ed efficiente, ma così non è per un motivo semplicissimo: sono pochi e con manutenzione scarsissima. Se poi nella bella stagione la richiesta d’acqua raddoppia ed in alcuni casi triplica, causa turisti che si “ostinano” a voler soggiornare dalle nostre parti, ecco che

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un problema risolvibilissimo diventa uno spauracchio enorme. Di questi giorni “lo sfogo” –come è stato definito dalla stampa locale- dell’ex sindaco di Civitella del Tronto. Tulini, il quale ha affermato che c’è uno studio dell’Ato secondo cui sui Monti della Laga “si possono captare 1.400 litri di acqua al secondo”. Nella zona tra Civitella stessa, Campli, Rocca Santa Maria e Valle Castellana sarebbe possibile farlo ma non si fa, perché sono fermi due milioni di euro di finanziamenti statali. L’ex primo cittadino ha scelto la via del-

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la protesta contro la “politica del non far niente”. Ex consigliere dell’Ato 5 di Teramo, Tulini ricorda che, tra Villa Lempa e Cornacchiano, la Ruzzo Reti realizzò anni fa un pozzo con stazione di pompaggio e serbatoio, che durarono pochissimo ed ora bloccati per non meglio specificati ‘problemi tecnici’. Secondo Claudio Ruffini, consigliere regionale, un’altra possibile soluzione sarebbe quella di autorizzare l’attivazione del pozzo della diga Piaganini, che permetterebbe una captazione maggiore dell’acqua e sbloccare poi un progetto per la costruzione di


una mega condotta per tutta la costa teramana, ferma da più di un anno al vaglio del Cipe, e del costo di circa 50 milioni di euro. Soluzioni di certo più che valide che –la storia insegna- difficilmente vedranno la luce. Sono passati ormai quattro anni da quando ne “La deriva” (Ed. Rizzoli) Rizzo e Stella, riferendosi agli enormi problemi, baronie, raccomandazioni e pastoie burocratiche del Paese, scrivevano nella quarta di copertina “e intanto la politica, costosa ed impotente, troppo spesso parla d’altro”. A quanto pare nulla è cambiato.

OSPEDALE MAZZINI

IDV ALL’ATTACCO

Soluzioni di certo più che valide che difficilmente vedranno la luce.

Ci crede il sindaco di Chieti, Umberto Di Primio, quando annuncia che il prossimo anno sarà quello del rilancio della sua città. “Chieti non è una città fantasma”, ha dichiarato. E per essere coerente e scacciare gli spettri ha aggiunto che tra i punti da sviluppare per il “decollo” ci sarà il progetto del nuovo cimitero. Ottimista. Siamo a un passo dal fallimento? Nessuno, nel nostro Paese, ne parla a chiare lettere, per evitare reazioni incontrollate e incontrollabili. Al contrario, a quietare le folle sindacali, i professori tirano fuori dal cappello il “coniglio” Scuola, e il suo variegato mondo di aspiranti al posto fisso. Il ministro Profumo lancia il concorsone per 12.000 cattedre, dopo un fermo lungo tredici anni.Tornano a sperare i precari abilitati e non. Intanto, le vecchie guardie in cattedra, demotivate e stanche, sono costrette all’usura. Dall’alto confidano, forse, in quello stesso “decollo” programmato dal sindaco Di Primio? Ti.Ma.

na raccolta firme per chiedere con forza l’impegno della Asl a risolvere il problema della climatizzazione dei reparti ospedalieri, la riduzione dei tempi di attesa, il potenziamento del day hospital oncologico - così Valdo di Bonaventura, consigliere Idv- Queste le motivazioni per cui tutto il centrosinistra ha inteso proporre una raccolta di firme sotto forma di petizione popolare con tanto di documento di riconoscimento, iniziata e promossa dal Laboratorio delle Idee dal 21 luglio, con grande successo” . Sarebbero tanti i cittadini che hanno messo la loro firma sulla petizione popolare: 870 firme raccolte in soli 12 giorni (alla data del 3 agosto, ma la petizione continua) con cui si richiede alla dirigenza Asl di affrontare con determinazione i “punti dolenti” della sanità teramana. “Partiamo dalla climatizzazione dei reparti dell’Ospedale Mazzini – insiste Di Bonaventura - Questa estate particolarmente afosa, che tanto disagio ha creato a tutti i pazienti dell’ ospedale, ha aggiunto alle problematiche di salute anche il grave disagio delle alte temperature. Sono due anni che nel periodo estivo si mette in evidenza il problema, ma ad oggi tutto è rimasto come prima. La maggior parte dei reparti non sono ancora climatizzati nonostante gli interventi di ammodernamento. Una dimenticanza grave che ricade soprattutto sui malati an-

ziani. Probabilmente altre priorità hanno distolto la gestione dall’affrontare la questione: climatizzare gli uffici o creare nuovi primariati, quando basterebbe un poco di buon senso per capire che certi interventi tra l’altro a costi non così rilevanti, renderebbe più accogliente e dignitoso la permanenza in ospedale”. Le liste d’attesa, nonostante le promesse espresse dal management in più di un’ occasione vedono ancora tempi di prestazione inaccettabili e che favoriscono la mobilità passiva: “Liste d’attesa che si potrebbero definire “Sanità negata”- prosegue Di Bonaventura – per non parlare del day hospital oncologico. Sono trascorsi quasi 8 mesi da quando i malati di tumore si rivolsero al Tribunale del malato per manifestare disservizi, carenze di personale, strutture insufficienti, condizioni a volte disumane per pazienti che ogni giorno si sottopongono al trattamento chemioterapico. Un polo oncologico – conclude il consigliere Idv - che andrebbe supportato di ulteriore personale ed invece continua ad essere sottodimensionato e non sempre adatto ad assicurare quel minimo di accoglienza e assistenza dovuta a chi vive un momento drammatico della propria vita”. I problemi dell’ospedale cittadino, a cui si aggiungono la situazione del Pronto soccorso e dei parcheggi, danno a quanto pare, una diversa percezione degli annunciati successi della sanità teramana. Una percezione chiaramente espressa dalle 870 persone che hanno già firmato la petizione. Mi.Ca.

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Spiano paese “a cavallo” di Daniela Palantrani

piano, piccola frazione arroccata sulle colline, al confine tra il comune di Teramo e Montorio al Vomano. La particolarità di Spiano, costituita da tre contrade, Spiano Alto, Villa Monaco e Casette, è che una parte del paese rientra nel territorio del Comune di Teramo; l’altra, appunto, f parte del comune di Montorio. L’associazione “Amici di Spiano” spiega la situazione e i disagi dell’essere “divisi in casa”. I residenti sono affiatati e contenti di vivere in un piccolo paese e di conoscersi tutti. L’illuminazione è buona, il sindaco ha promesso anche la realizzazione di un piccolo parco giochi per i bambini. Il solito problema dei trasporti che fa si che i residenti si debbano spostare con mezzi propri. Curiosità, per esempio, è che la raccolta differenziata avviene con modalità separata e distinta. Una parte della frazione effettua raccolta porta a porta, gli altri no. Nota dolente la strada “della discordia” dissestata. Quel-

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la che divide il paese a metà e costituisce anche il confine tra i due Comuni. E così per questione di pochi metri, Spiano Alto è frazione del Comune di Teramo, il resto del paese è comune di Montorio. Purtroppo, le due amministrazioni si rimpallano la competenza e il conseguente accollo delle spese di rifacimento e manutenzione del manto stradale. Nel tempo, la strada è divenuta quasi impercorribile, soprattutto all’altezza della contrada Casette, ove è presente da diverso tempo una frana che preoccupa i residenti per quanto concerne la sicurezza delle abitazioni in prossimità della stessa. “Se la frana non viene sanata, porterà giù, prima o poi, anche le abitazioni?”. Alcuni residenti, al fine di risolvere il problema di competenze, hanno suggerito di spostare il confine, e far sì che Spiano diventi per intero frazione di Teramo. Il primo cittadino, Brucchi, risponde che la procedura è molto lunga. Ma, chi comincia, non è già a metà dell’opera?

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“Affinchè morte non ci separi...” Il mistero di Via Vinciguerra di Daniela Palantrani

a fine dell’estate ha sempre in sé un anticipo di tristezza. La sensazione di dover dare l’addio a qualcosa e archiviarlo tra i ricordi come si fa con una foto. Forse però qualche volta dire addio è impossibile, soprattutto se la vita assume altri significati. Così capita che due persone insieme da una vita, 87 anni lui, 83 lei, decidano di andar via insieme, come insieme hanno vissuto. Rinaldo e Clotilde sono stati ritrovati vicini, nella loro casa di via Vinciguerra a Teramo, lei sul letto, lui sempre vicino, sul pavimento, senza vita. Deceduti già da alcuni giorni. Ex dipendenti dell’Ufficio di Conciliazione del tribunale di Teramo, Rinaldo Di Lorenzo e Clotilde Di Bonaventura erano entrambi pensionati. Il giorno 30 agosto scorso, i primi ad intervenire sul posto, poco dopo le 13, sono stati i Vigili del Fuoco chiamati dal figlio Giosaffatte e dalla figlia Anna, titolare di una libreria a Piazza Dante, che hanno allertato anche Carabinieri e 118. I Vigili del Fuoco,sono stati i primi ad entrare in casa dalla finestra di un balcone. Immediatamente alla loro vista si è presentata la triste scena. La casa era in ordine e la porta chiusa dall’interno. Sono stati i Vigili ad aprila ed a richiuderla alla fine dell’intervento perché i figli non avevano una copia delle chiavi. Infatti

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sembra che di recente gli anziani coniugi avessero sostituito la serratura per timore di possibili intrusioni. Nessuna fuga di gas, nessun apparente incidente domestico, nessun segno di effrazione o evidente causa della morte.

Molte le ipotesi che si sono ventilate. Molti i dubbi insinuati e sussurrati... Il corpo della donna appariva in avanzato stato di decomposizione, almeno apparentemente meno avanzato per il marito. Gli operatori che hanno dovuto recuperare le salme hanno trovato un ambiente estremamente settico e maleodorante, probabilmente il caldo dell’ultima settimana di agosto ha contribuito ad accelerare il deterioramento delle salme. Molte le ipotesi che si sono ventilate. Molti i dubbi insinuati e sussurrati. I due coniugi erano conosciuti e stimati

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non solo dai vicini. Una coppia attiva ed estremamente indipendente, non era insolito che partissero senza dare immediate notizie. E sarebbero stati visti nei giorni immediatamente precedenti il ritrovamento, sia nei pressi della libreria di proprietà dei congiunti, sia sul balcone ad annaffiare i fiori. Quale sia la causa della morte sarà l’autopsia a chiarirlo, l’ipotesi maggiormente accreditata è che si sia trattato di un malore, prima della moglie poi del marito, che potrebbe essere rimasto agonizzante per diverso tempo. Il magistrato che si occupa del caso, la dottoressa Laura Colica, ha disposto l’esecuzione dell’autopsia a cura del dott. Giuseppe Sciarra. Sicuramente il referto sarà utile a capire le cause della fine di due esistenze, altro sarà capire se si sia trattato di un estremo gesto di affetto , morire quasi contemporaneamente dopo una vita trascorsa insieme. L’impossibilità di sopravvivere all’altro, come in un dramma classico o in un tempo in cui i sentimenti, i valori e le esistenze avevano altre caratteristiche. Oppure se si sia trattato dell’ennesima storia di vite solitarie, dove la solitudine, più che una scelta, è una condizione, oggi forse più frequente che in passato, ma altrettanto triste.


Quartiere Sacro Cuore

“Centrale” solo per i tributi di Antonella Lorenzi

associazione di quartiere Sacro Cuore a Teramo nasce dieci anni fa. Comprende il territorio che parte dalla stazione fino a lambire l’ospedale. Scende verso il parco fluviale fino alla zona dell’Acquaviva. In effetti, il comitato nasce ricalcando quello che è il territorio della parrocchia di riferimento. Pur coscienti che si tratta di due cose diverse, l’associazione, infatti, è laica. Il quartiere è molto ampio e si caratterizza per due grandi presenze, il polo scolastico rappresentato da Ipsia, Iti, Liceo scientifico e dalla scuola Risorgimento, nonché dalla scuola media D’Alessandro, da due asili nido e dall’area industriale dismessa, con tutte le problematiche che ne derivano. Per concludere, include anche la stazione ferroviaria. Il presidente dell’associazione di quartiere,, Pasquale Di Ferdinando, spiega: “Siamo il quartiere d’ingresso della città, nato negli

anni ‘60 a seguito della ‘deportazione’ dovuta alla costruzione delle case popolari di via Longo, oggi oggetto di disputa e ristrutturazione edilizia. La lamentela principale dei commercianti – prosegue Di Ferdinando - in particolare, è quella della pulizia delle strade. Ci si sente residenti di serie B, frase ormai logora, ma che spiega il concetto”. Il quartiere è autonomo, vi sono la chiesa, la farmacia, la banca, e ogni genere di servizio. In effetti, sembra quasi di trovarsi in pieno centro storico, se non fosse per il traffico e la carenza di servizi, ad iniziare dai trasporti urbani fino all’illuminazione. “I residenti – conclude il presidente - lamentano proprio questo. Ai fini di tasse e imposte comunali, i contribuenti del quartiere Sacro Cuore pagano le stesse aliquote che pagano i cittadini che abitano in pieno centro storico. In effetti, paghiamo le tasse come se ci trovassimo in corso San Giorgio, ma non usufruiamo della stessa qualità di servizi”.

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sembra quasi di trovarsi in pieno centro storico, se non fosse per il traffico e la carenza di servizi, ad iniziare dai trasporti urbani fino all’illuminazione...

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EMERGENZA CARCERE di Matteo Lupi

a Provincia di Teramo dà il via a un progetto per coinvolgere nel mondo del lavoro i detenuti del carcere di Castrogno. Ne parliamo con Giampiero Cordoni, segretario regionale del sindacato nazionale autonomo di Polizia Penitenziaria, il Sinappe. “Tutti questi tipi di attività sono piuttosto importanti, e infatti per i detenuti sono una festa, ma il problema è che non ci sono conseguenze, dopo”. Dopo, ovvero quando gli ospiti del carcere, pagato il loro debito con lo Stato, escono e tornano alla vita quotidiana. “C’è una certa ipocrisia nella società civile – prosegue Cordoni - nell’accogliere queste persone, motivo per cui nessuno vuole assumere un ex detenuto. Al momento, queste persone al limite si possono ritrovare solo in cooperative di ex detenuti, dove manca il collegamento con la realtà esterna”. Il problema della mancanza di una lavorazione assume dimensioni grottesche, se si considera che Castrogno ha a disposizione un laboratorio di ceramica e un teatro perfettamente a norma, ma che sono stati ben poco operativi negli ultimi anni, a causa di problemi di amministrazione, e che i detenuti si ritrovano in cella anche per ventidue ore al giorno. “Noi dovremmo assicurare a loro almeno un po’ di tempo di

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evasione, anche se questo magari non è il termine migliore – scherza Cordoni –, perché l’inedia è la cosa peggiore che gli possa capitare, in quanto pensano costantemente alla propria condizione”. E se tranquilli non sono i detenuti, tranquilli non possono neanche essere gli agenti della polizia penitenziaria. “Fino a qualche anno fa c’erano i problemi dei detenuti, e i problemi della polizia peni-

Teramo è il terzo carcere italiano per numero di suicidi, e questo è dovuto anche all’enorme aumento del numero di detenuti con patologie psichiatriche, che noi non sappiamo come gestire...

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tenziaria. Oggi i problemi sono collettivi, i loro passano attraverso i nostri e viceversa. Ecco perché in carcere si sviluppa una solidarietà istintiva, perché le privazioni accomunano tutti”. Ma nonostante la solidarietà, i problemi più gravi non sembrano trovare la soluzione che meriterebbero nel breve termine. “Teramo è il terzo carcere italiano per numero di suicidi, e questo è dovuto anche all’enorme aumento del numero di detenuti con patologie psichiatriche, che noi non sappiamo come gestire. Per questo motivo il Sinappe ha chiesto già due volte la soppressione del reparto di psichiatria, l’unico in tutto l’Abruzzo: ci lavora un’unica psichiatra con un contratto a tempo, 18 ore settimanali, ma a noi non viene fatto un corso di aggiornamento da anni. E’ ovvio che diventa difficile anche seguire il comportamento dei tossicodipendenti. Dal Sert mandano addetti alla somministrazione del metadone, e per il resto nulla. E a noi non rimane che aspettare che i momenti di crisi di queste persone passino”. Ma nonostante le sollecitazioni e gli appelli, il segretario sindacale lamenta di come a livello politico e amministrativo, tutti facciano “orecchie da mercante”. “Una volta, in seguito ad un suicidio, l’amministrazione carceraria mandò una commissione a vedere cose già sapute. Chiudono la stalla quando i buo-


ni sono scappati”. Al problema dei suicidi si aggiunge quello dell’inadeguata edilizia di un edificio costruito negli anni ’60, che si ritrova ad ospitare quasi il doppio del numero massimo di individui stabilito inizialmente, e delle unità di lavoro che andranno in pensione nella prossima primavera, oltre allo sbandierato arrivo di dieci nuove unità, di cui però quattro sono già a Teramo da anni e hanno semplicemente ricevuto una conferma nell’incarico – un “trucco contabile”, a detta di Cordoni. Che sul ruolo delle ‘guardie’ insiste: “Non sentiamo di essere abbandonati, ma non vediamo riconosciuto il nostro valore. In televisione ci chiamano ancora ‘secondini’, un termine del secolo scorso, valido quando il nostro ruolo era quelli di aprire o chiudere una cella. Oggi invece facciamo da educatori, infermieri e psicologi, pur con turni di lavoro a volte doppi, comunque massacranti. Per questo non siamo semplici secondini, ma veri operatori di polizia”. Eppure, nonostante le tante preoccupazioni, l’atteggiamento del segretario del Sinappe sembra piuttosto combattivo. “Un momento di rassegnazione può sempre sfiorarti, quando fai questo mestiere, perché sai di condurre una guerra contro i mulini a vento. Ma alcuni fattori mi spingono a continuare. Intanto, sapere che mai nessuno è riuscito a smentire anche una sola delle cose che il Sinappe ha denunciato in questi anni. E il ‘grazie’ di cuore detto da un detenuto, per avergli risolto un problema, anche piccolo. Il punto è capire ciò: questo non è un mestiere come un altro. Noi trattiamo materiale umano”.

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ESCLUSIVO Radon

Un nemico invisibile di Luca Verdi

iamo continuamente esposti a vari tipi di radiazioni: dalle radiazioni UV alla luce visibile, dal cosiddetto “elettrosmog” alle radiazioni ionizzanti. Di queste ultime si è parlato molto in occasione dell’incidente di Fukushima, poco invece in riferimento al radon, un nemico invisibile sempre presente nelle nostre case. Il radon è un gas radioattivo naturale, prodotto nell’ambito del decadimento dell’uranio. Si tratta di un gas nobile, inerte, inodore, insapore, incolore, di cui non avvertiamo la presenza con i nostri sensi. La concentrazione di radon viene espressa in Becquerel su metro cubo (Bq/m3) - che indica quanti atomi di radon decadono per secondo in un metro cubo d’aria. Poiché tutti i suoli contengono più o meno uranio, il radon è sempre presente nell’aria esterna (normalmente a livelli bassi). Dal terreno il radon può penetrare negli edifici, raggiungendo anche alte concentrazioni. L’inalazione di gas radon o dei suoi prodotti di decadimento porta all’emissione di particelle alfa dentro i nostri polmoni: esse possono interagire con le cellule provocando un danno al DNA. Il radon rappresenta la seconda causa di tumore polmonare, dietro al fumo di tabacco. I fumatori sono particolarmente penalizzati a causa dell’effetto sinergico fra radon e fumo. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) stima che fra il 3% e il 14% tutti i tumori ai polmoni sono legati al radon. La normativa tiene conto del radon indoor, distinguendo fra gli ambienti di lavoro e le abitazioni. Per gli ambienti di lavoro e per le scuole si applica il Decreto Legislativo 26/5/2000, n. 241 che fissa un livello di azione di 500 Bq/m3. In caso di superamento il datore di lavoro deve

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foto: Luca Verdi

intervenire. Per gli ambienti residenziali la Commissione Europea raccomanda 400 Bq/m³ per gli edifici esistenti e 200 Bq/m3 per i progetti di nuove case. Sulla base di aggiornate valutazioni l’OMS raccomanda di introdurre un livello di riferimento nazionale di 100 Bq/m³ per limitare il rischio agli individui. Al momento non


esiste alcun obbligo riferito alle abitazioni. In Italia la concentrazione media di radon è circa 70 Bq/m3, tuttavia vi sono diverse zone in cui sono frequenti valori anche superiori a 500 Bq/m3, con delle punte anche di migliaia di Bq/m3. All’interno degli edifici la temperatura è più alta che nel suolo, e questo genera un “effetto camino”, che tende a risucchiare l’aria fredda e ricca di radon che si trova nel terreno. Quindi sono più a rischio i locali al piano terra o quelli interrati, a maggior ragione se vi sono crepe e fessure nell’isolamento verso il terreno. Il problema radon si pone sia nella progettazione di nuovi edifici e che per gli edifici esistenti. In entrambi i casi esistono soluzioni tecniche. La prevenzione è semplice ed efficace: essa si basa sul concetto di buon isolamento dell’edificio verso il terreno, eventualmente prevedendo un sistema di drenaggio del radon. La bonifica degli edifici può essere realizzata p. es. sigillando crepe e fessure, tramite un

Chi è Luca VERDI, laurea e PhD in Fisica. Direttore del Laboratorio di Chimica Fisica presso l’Agenzia Provinciale per l’ambiente della provincia autonoma di Bolzano. Responsabile degli agenti fisici (radiazioni ionizzanti e non ionizzanti e delle misure di acustica), della rete di monitoraggio della qualità dell’aria, delle misurazioni dell’inquinamento dell’aria in immissione ed emissione. Da oltre 15 anni si occupa in particolare del problema radon (mappatura, misure, risanamenti).

sistema di ventilazione meccanica, oppure tramite un pozzetto radon. Gli interventi di risanamento energetico che incidono anche sul ricambio d’aria nei locali possono provocare un aumento del radon. Per conoscere la concentrazione di radon

nella propria abitazione bisogna effettuare una misura: a tal fine vengono utilizzati dosimetri passivi, delle dimensioni di una scatola di fiammiferi che non necessitano di energia elettrica. Se la concentrazione supera i valori di riferimento consigliamo un intervento di bonifica. Più in generale, una delle strategie con migliore rapporto costi/benefici consiste nell’introdurre in tutti i nuovi edifici semplici accorgimenti preventivi contro il radon.

Prevenzione oltralpe di Claudio Valsangiacomo Responsabile Centro competenza radon SUPSI

l radon è stato dichiarato cancerogeno sicuro dall’Organizzazione mondiale della sanità già negli anni Ottanta. Nella sua recente pubblicazione “Radon Handbook” del settembre 2009, l’OMS suggerisce un valore di soglia pari a 100 Bq/m3 (300 Bq/m3 per contingenze particolari come per esempio regioni ad elevata concentrazione radon). Le autorità sanitarie svizzere hanno ritenuto importante porre rimedio a questo agente tossico di origini naturali procedendo con campagne di misurazione nelle abitazioni private.

Chi è Claudio Valsangiacomo, biologo svizzero classe 1962, dottorato in biologia presso il Politecnico federale di Zurigo nel 1990. Ha lavorato nella ricerca nel settore agrobiologico e in quello biomedico. Dal 2007 è responsabile del Centro competenza radon della SUPSI.

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zioni a contatto con il suolo. Su una popolazione di poco oltre 300.000 abitanti sono state effettuate circa 60.000 misurazioni. La misurazione del radon residenziale è l’unico modo per scoprire se vi sia un’esposizione elevata degli abitanti alle radiazioni ionizzanti. Una misurazione può essere effettuata ad

Il Canton Ticino, regione di lingua italiana a sud delle Alpi svizzere, è stato riconosciuto come “regione ad elevata concentrazione radon”...

un costo relativamente basso (qualche decina di euro), per eventuali risanamenti è necessario rivolgersi a degli specialisti del settore. I risanamenti più semplici possono essere effettuati con alcune centinaia di euro, quelli più complessi (per esempio l’installazione di un pozzo radon), possono costare alcune migliaia di euro.

Il Canton Ticino, regione di lingua italiana a sud delle Alpi svizzere, è stato riconosciuto come “regione ad elevata concentrazione radon”. Per questa ragione sono state effettuate delle campagne di misurazione a tappeto che hanno toccato tutte le abitazioni giudicate rischio radon, essenzialmente le case unifamiliari, bifamiliari e tutte le abita-

tabella: fonte Arta Abruzzo, dti sullla presenza del radon nella provicia di Teramo

RISCHIO TERREMOTI di Giampaolo Giuliani

all’aprile 2009, in occasione del forte terremoto aquilano, il mondo, quello della gente comune, sente per la prima volta con insistenza ed apprensione, parlare di un gas nobile e delle sue molteplici peculiarità: il Radon-222. Il Rn è un gas nobile che nasce dalla catena di decadimento dell’Uranio-238, è l’unico elemento della

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catena ad avere la proprietà di gas, gli altri sono tutti elementi metallici. Questo elemento lo si ritrova in grande quantità nel fluido magmatico del Mantello e disciolto nelle rocce della crosta terrestre, emerge in atmosfera per effetto pressorio della Crosta sul Mantello e a causa dello stress cui vengono sottoposte le rocce della crosta. Sono questi alcuni dei motivi perché trova correlazione con gli eventi sismici.

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Durante la fase di preparazione di forti terremoti, sulle placche continentali, su quelle locali, nelle faglie dinamicamente attive, come quelle caratteristiche della nostra dorsale appenninica, si osserva sempre una forte variazione di concentrazione di Rn. Quando questa variazione supera la soglia di sicurezza, rispetto alla media del flusso monitorato, dopo un certo numero di ore, si verifica il rilascio di energia


sismica nella zona controllata. Per questo motivo dal 2002 abbiamo realizzato una rete di rilevamento Radon con tre stazioni posizionate a circa 40 km l’una dall’altra intorno al bacino aquilano. La prima stazione in Coppito (AQ), sobborgo a 8 km dal capoluogo, la seconda a Ripa Fagnano, 40 km da L’Aquila e la terza in prossimità del bacino marsicano, Magliano de’ Marsi a circa una quarantina di km da L’Aquila. Questa piccola rete ci permette di controllare per un raggio di circa 120-150 km dal bacino aquilano, tutte le anomalie osservate sul continuo del flusso di Radon dalle tre stazioni, individuando in anticipo la possibile zona epicentrale, quando l’attività dinamica delle faglie si verifica all’interno della stessa rete o ad una distanza da essa non superiore a 40-80km, a seconda anche dell’intensità dell’evento sismico in preparazione. Tutti i fenomeni fisici universali hanno delle cause che li producono. La conoscenza e lo studio delle cause dei fenomeni, permette agli esseri umani di difendersi da quella natura che erroneamente ed ingiustamente è spesso soprannominata matrigna. Per più di trent’anni in Italia si è trascurato lo studio, la ricerca, l’informazione, l’esercitazione e la cultura di base alla popolazione, elementi primari di prevenzione per la sicurezza degli uomini. E’ indispensabile per coloro che vivono in territori a grande rischio sismico, come quello italiano, acquisire informazioni sul fenomeno: che cosa è un terremoto, perché, come e quando può manifestarsi in forma violenta, come riconoscere la sua intensità nel momento in cui ci sorprende e cosa fare per difenderci negli attimi della sua maggiore irruenza. Essere preparati, anche nei momenti di calma sismogenetica, significa avere sempre a portata di mano un kit di prima sopravvi-

venza. La vera prevenzione sismica le amministrazioni locali la applicano nei periodi di silenzio sismico, predisponendo piani di emergenza, siti di accoglienza attrezzati, almeno 4 simulazioni l’anno per tutti i cittadini di tutte le fasce di età. Tutto questo in altre nazioni, anche meno sviluppate della nostra Italia, viene applicato ormai da più di trenta anni. La cosa in assoluto più importante, la vera prevenzione viene da ognuno di noi ed è forse quella più semplice ma la più difficile da realizzare: vivere rispettando la propria dignità e quella di qualsiasi nostro simile, vivere rispettando la natura che ci ospita, perché forse lei è la nostra vera madre che ci insegna la strada più semplice per la nostra incolumità.

Essere preparati, anche nei momenti di calma sismogenetica, significa avere sempre a portata di mano un kit di prima sopravvivenza. La vera prevenzione sismica le amministrazioni locali la applicano nei periodi di silenzio sismico...

foto: Giuliani in laboratorio

foto: il macchinario misura radon PrimaPagina 28 - ago. 2012

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AIMPA

SERVIZI “SU MISURA” PER LE IMPRESE ABRUZZESI di Mariangela Sansone

n questo periodo di grave crisi economica urgono nuove spinte per ripartire, è necessario ungere gli ingranaggi del motore del nostro Belpaese, rallentato da vincoli burocratici stratificati e spesso incomprensibili, e riuscire a cogliere le nuove occasioni che i mercati riescono ad offrire. Attraverso l’unione delle energie e delle risorse degli operatori si possono raggiungere più facilmente le soluzioni concrete alle miriadi di problemi comuni ed ottenere i suggerimenti utili a mantenere il passo con le continue evoluzioni normative e le opportunità di crescita. Un gruppo di imprenditori abruzzesi ha costituito un gruppo autonomo, vicino alle reali esigenze del territorio e libero da inutili sovrastrutture, dando vita nel 2009 all’AIMPA, Associazione degli Imprenditori Abruzzesi. L’AIMPA è aperta a tutte le imprese della regione, che siano esse industriali, artigiane, commerciali, professionali o agricole, e persegue l’obiettivo di contribuire con gesti effettivi allo sviluppo e alla crescita del sistema economico abruzzese, affiancando le singole aziende nei rapporti con le istituzioni e gli enti locali. La prima finalità dell’AIMPA è sviluppare rapporti e relazioni “su misura” a favore dei propri associati, seguendoli da vicino e mettendo a loro disposizione professionisti preparati ed esperti, in grado di offrire un servizio di assistenza globale, utile ad affrontare qualsiasi problema gestionale ed economicofinanziario correlato alla vita aziendale, in ambito previdenziale, fiscale, creditizio, in materia di sviluppo industriale e dei rapporti di lavoro. Tra la moltitudine di servizi ad ampio raggio forniti dall’AIMPA per poter assistere, tutelare e rappresentare i propri associati, appaiono particolarmente preziosi, considerata l’attuale crisi di liquidità, quelli specificamente dedicati all’assistenza per l’accesso al credito bancario e all’individuazione delle agevolazioni alle im-

prese, che offre un costante aggiornamento su tutte le opportunità di finanziamenti nazionali, regionali, provinciali e comunitari; tali servizi non hanno però soltanto un mero ruolo informativo, in quanto sono integrati dalla “consulenza gestionale” e cioè dalla diretta collaborazione nell’espletamento delle istanze di finanziamento. L’accesso alle risorse occorrenti ai propri associati per lo sviluppo delle proprie attività economiche e produttive è inoltre notevolmente agevolato dalle convenzioni stipulate dall’AIMPA con i consorzi di garanzia fidi, grazie alle quali le imprese possono ottenere condizioni particolarmente convenienti e trovare assistenza personalizzata per ogni tipo di operazione finanziaria, quali leasing, factoring, e aperture di linee di credito per scoperti di conto corrente, anticipi su fatture, su effetti e ricevute al SBF, all’import e all’export, su ordini e commesse, su crediti Iva e fideiussioni. Grazie alla sua struttura associativa, l’AIMPA è poi in grado di interloquire direttamente con i fornitori di energia elettrica e gas, e di riuscire a consentire ai propri associati di acquistare le fonti di energia nel mercato libero a prezzi più convenienti, anche attraverso l’analisi personalizzata dei consumi energetici e la valutazione delle soluzioni di risparmio, così come è in grado di fornire soluzioni adeguate per la progettazione e l’installazione di impianti per la produzione diretta di ener-

gia. L’AIMPA offre poi assistenza nella materia ambientale e nella gestione della sicurezza negli ambienti di lavoro, settori per i quali fornisce consulenze altamente qualificate che hanno l’obiettivo di migliorare la diffusione ed il livello qualitativo dei percorsi interni di formazione e di incrementare l’efficienza dei processi aziendali, secondo gli attuali standard UNI ISO 9000. Grazie ai propri partner qualificati l’AIMPA riesce, inoltre, a svolgere un’accurata e completa attività di consulenza per il conseguimento delle attestazioni e certificazioni necessarie per la partecipazione alle gare di appalto di servizi ed opere pubbliche e, più in generale, di assistere le imprese nella preparazione di tutta la documentazione occorrente. L’AIMPA, nata dalla volontà di non arrendersi al drammatico momento di crisi finanziaria, cerca di mantenere moderne e competitive le proprie associate, senza lasciare nulla al caso, ma valutando attentamente i bisogni delle piccole e grandi imprese che la compongono. Per risollevarsi dalla crisi ognuno deve profondere tutto il proprio impegno, e l’AIMPA dà il suo apporto cercando di unire e coordinare le energie delle imprese locali, restando costantemente a contatto con le radici stesse dell’economia regionale e cercando di crescere “grazie alle proposte, ai contributi di idee e alle problematiche espresse dagli associati”.

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La generazione del Duemila chiede rispetto. Giusto. Senza sottacere, tuttavia, le varie responsabilità, che sicuramente non hanno aiutato e non aiutano le nuove leve a trovare una strada, oltre che un lavoro. Basti citare come da anni sia stato inculcato dalle famiglie e dalla cattiva politica il mito del posto fisso. Il traguardo dorato della laurea facile per tutti, fino a ridurla a un pezzo di carta inutile. Ma non è finita. Il disastro è molto più ampio e, certo, non si può addossare ogni responsabilità ai trentenni/quarantenni, magari per ciò che non hanno ricevuto o che nessuno ha loro insegnato. L’abbandono delle campagne, l’industrializzazione selvaggia, il declino dell’artigianato, la cancellazione di gloriosi mestieri ora

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rivalutati sono il risultato di un modello di sviluppo e delle scelte perdenti fatte dalle diverse generazioni precedenti. Perdenti, ho detto, come conferma la situazione attuale. Che mentre vede il crollo sistematico di ogni falso mito, impone un passo indietro, per rileggere meglio e realisticamente la storia del nostro passato (nostro, ho detto, non dei giovani). Non tanto per distribuire responsabilità, ma per recuperare (con l’aiuto convinto delle nuove generazioni) un patrimonio che, forse, abbiamo buttato troppo in fretta e a nostro danno. Dando spazio al merito, in primo luogo, e al darsi da fare, anche con sacrificio. Di fannulloni, a vari livelli, ne abbiamo piene le tasche. Ti.Ma.


Laurea e posto di lavoro la parola ai presidi IL VOTO CONTA ma non basta Prof. Enrico Del Colle Preside della facoltà di Scienze politiche, Teramo

d un anno dalla laurea risulta occupato il 46,5% dei laureati dell’ateneo teramano, dato sostanzialmente in linea con quello medio nazionale (47,8%); anche il tempo medio di ricerca del lavoro (circa 4 mesi e mezzo) non si discosta molto da quello generale (4,1). Oltre la metà degli occupati, inoltre, ha trovato un lavoro stabile (53,1%), dato sensibilmente migliore di quello (34,2%) rilevabile per il complesso del sistema universitario (per la facoltà di Scienze Politiche la percentuale sale al 61,8%). Sette laureati su dieci lavorano nel settore privato, mentre tre nel settore pubblico, con una forbice più ristretta proprio per la facoltà di Scienze Politiche (cinque e quattro rispettivamente), mentre gli studenti delle facoltà scientifiche si collocano soprattutto nel settore privato (otto o nove su dieci, a seconda dei corsi di laurea); rimane ancora marginale la collocazione nel settore no profit (appena il 2,5% contro il 6,2% del dato nazionale). Altro elemento interessante riguarda le possibilità di guadagno, che sono per i laureati teramani (1.116 € netti al mese) superiori a quelle medie (993 € per tutte le università); permangono, tuttavia,

forti differenze di genere (861 € per le donne contro i 1.336 € degli uomini). In particolare, sono i laureati delle facoltà di Scienze Politiche (1.261 €) e di Scienze della Comunicazione (1.145 €) a far registrare i livelli retributivi più elevati. Altro elemento importante, riguarda il fatto che circa i due terzi degli intervistati giudicano abbastanza o molto

non sembra semplice comprendere se il teramano sia in grado di assorbire tutta la forza lavoro laureata... efficace il conseguimento della laurea rispetto alla ricerca del posto di lavoro, a testimonianza del fatto che i giovani percepiscono la formazione come basilare al fine di proporsi in modo adeguato nel mondo del lavoro stesso. I nostri laureati, in sostanza, sembrano

mostrare una capacità di penetrazione nel mercato del lavoro almeno in linea con quella riscontrabile, mediamente, per le altre università; non conosciamo, in realtà, l’effettiva collocazione sul territorio (non abbiamo, infatti, l’informazione sui luoghi di lavoro), e, quindi, non sembra semplice comprendere se il teramano sia in grado di assorbire tutta la forza lavoro laureata; tuttavia, ci pare un falso problema, in un’epoca globalizzata come la nostra, nella quale il giovane lavoratore deve essere sempre più disposto a muoversi sul territorio al fine di trovare la più opportuna collocazione sul mercato. Infine, per quanto riguarda il legame tra voto ed inserimento da una nostra indagine di qualche anno fa, risultava che il voto fosse correlato positivamente (come lecito aspettarsi) con la probabilità di trovare un posto di lavoro in tempi adeguati. Ricordo sempre, tuttavia la difficoltà di confrontare i dati del singolo ateneo, con quelli degli altri atenei: la probabilità di trovare un posto di lavoro non dipende solo dalla bravura del laureato e di chi lo ha formato, ma anche dal luogo di ricerca dello stesso (un laureato di Milano, sarà presumibilmente più avvantaggiato di quello catanese).

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RITORNO ALLA TERRA

Prof. Dino Mastrocola Preside della facoltà di Agraria, Teramo

n controtendenza sui dati generali i nostri laureati, soprattutto nel settore agroalimentare, vitivinicolo e delle biotecnologie si collocano molto bene, con un trend di crescita rispetto agli altri atenei, ma anche rispetto a tutte le 22 facoltà di Agraria italiane (60%). Scienze agroalimentari, enologia e viticoltura sono settori che nonostante la crisi, come suol dirsi “tirano” e rappresentano un settore che vive un momento di particolare attenzione e sviluppo soprattutto grazie anche al supporto di nuove tecnologie. E’ un ritorno alla terra, ma con importanti innovazioni. L’industria alimentare è in trasformazione, le piccole aziende quasi familiari cedono il passo a grandi realtà, dove l’approccio produttivo non può più prescindere dall’utilizzo delle moderne biotecnologie. Questa specializzazione in particolare ha un grande appeal culturale in questo momento. Il voto che si consegue alla fine

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del percorso universitario è abbastanza importante (63%) , soprattutto per i laureati magistrali, cioè coloro che hanno anche una specializzazione, mentre le lauree triennali trovano spazio soprattutto nelle aziende vitivinicole, dove alle esperienze dei tirocini segue quasi sempre l’assunzione. Una preparazione eccellente garantisce, in questo campo, un lavoro in tempi brevi e a volte si tratta anche di lavori prestigiosi, perché sono le aziende stesse a fare la ricerca tra i neolaureati più brillanti. Alcuni di loro hanno di recente ottenuto dottorati di ricerca all’estero, Europa, Stati Uniti, oppure chiamati da multinazionali come è accaduto di recente ad un nostro studente. E il lavoro è garantito sia come dipendenti sia come professionisti. Il nostro territorio riesce ad assorbire molti dei nostri laureati, ma c’è sempre chi preferisce cogliere l’opportunità di esperienze fuori territorio compreso il mercato internazionale.


dati statistici riguardanti i laureati dell’Università di Teramo nel 2012 fonte “Alma Laurea”

38,2%

caratteristiche lavorative

tempo indeterminato

16,2% 15%

non standard autonomo

4,7%

laureati

40,8 %

47,7 %

donne che lavorano

uomini

46,5%

970

contratti formativi

52,8 % uomini che lavorano

condizione occupazionale

occupati

18,2% 35,3% non lavora non cerca

occupati

29,3

età media di laurea

52,3 % donne

i dati aggiornati all’8 marzo 2012 PrimaPagina 28 - ago. 2012

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foto: il Presidente S. Di Paolo con il vice sindaco di Teramo

“STAGES E TIROCINI OBBLIGATORI” Il lavoro dalla parte di chi lo dà. Parla Salvatore Di Paolo, presidente di Confindustria Teramo di Mira Carpineta

alvatore di Paolo, presidente di Confindustria Teramo spiega quali sono i metodi e i criteri richiesti dalle aziende e propone qualche soluzione: Come viene gestita dalle aziende la ricerca e la selezione del personale? “Utilizzare i contratti a tempo, a termine ecc. è un metodo che le aziende sono quasi costrette ad adottare per conoscere la persona, verificarne le capacità e le attitudini, prima di decidere un’assunzione. Soprattutto se è una piccola realtà aziendale, che non può permettersi lo psicologo per la valutazione. Utilizzerà il periodo di prova per valutare e verificare la validità del lavoratore. Se una persona è valida l’azienda ha tutto l’interesse a trattenerla. In questo contesto quindi il merito è molto importante.” Quanto è importante il voto di laurea come espressione della formazione del candidato? “Il neolaureato, per quanto con il massimo dei voti, se non ha avuto modo di fare qualche esperienza in azienda, stage o tirocini, manca di alcuni importanti fondamenti necessari per entrare in breve tempo nel mondo del lavoro e che

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l’Università in sé, pur se valida non fornisce. Sono l’entusiasmo e gli stimoli che fanno crescere, la volontà di superare sacrifici e prove che danno l’idea di quanto si è disposti a investire su se stessi. Il valore paga, anche se non subito, perché nessuna azienda può permettersi il costo di un’assunzione fidandosi “sulla parola”. La cosiddetta “raccomandazione”, che tanto svilisce e demoralizza i giovani in cerca di lavoro, semmai rimane circoscritta a quei profili lavorativi con scarsa o nulla specializzazione. E’ molto importante la cultura dell’interazione tra scuola, aziende e territorio. I tirocini dovrebbero essere obbligatori durante il percorso scolastico e formativo con l’affiancamento studio-fabbrica. E dovrebbero essere le aziende a suggerire alla scuola che genere di preparazione è necessaria al territorio e alla sua composizione economica. E’ inutile “produrre” solo avvocati o ragionieri e poi non riuscire a trovare carpentieri o saldatori. Sarebbe utile a questo punto studiare un modello nazionale che disciplini la collaborazione scuola e pratica aziendale” E’ solo la crisi economica globale responsabile del problema lavoro? “Questo periodo non può esser preso come modello di riferimento, ma è indubbio che

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il costo del lavoro in Italia è troppo alto. Un operaio italiano guadagna molto meno di un operaio tedesco, ma il suo costo, per l’azienda italiana, è doppio rispetto ad un’azienda tedesca. E’ questo il vero nodo della questione, ciò che alimenta anche il lavoro nero. La difficoltà di licenziare è il problema dei problemi, se assumere qualcuno vuol dire sposarlo. Solo una riduzione dei costi potrebbe rilanciare un serio progetto di occupazione. Oggi abbiamo una legislazione che costringe i lavoratori a rimanete in attività sempre più a lungo e tanti giovani che invece vorrebbero iniziare e non possono. Allora forse potrebbe essere un’idea utilizzare gli ultimi anni di impiego di un lavoratore per affiancarlo ad un giovane, utilizzando i costi contributivi del primo per pagare il secondo, invece di versarli allo stato. In questo modo si avrebbe un ingresso massiccio di nuove forze che avrebbero anche tutto il tempo di formarsi durante l’avvicendamento. Con risparmio dei costi di formazione e di selezione. Sarebbe un modo anche per evitare il fenomeno degli esodati. E’ una proposta. Spero che se ne possa discutere a breve con le associazioni di categoria e con lo Stato”.


testimonianze di Fabio Di Gennaro

ono nato a Teramo nel 1980, ho frequentato il liceo scientifico “A. Einstein” di Teramo dove mi sono diplomato e successivamente mi sono iscritto all’Università degli Studi di Teramo. Ho conseguito la laurea triennale nell’ottobre 2003 e successivamente la laurea specialistica in Scienze e Tecnologie Alimentari con votazione 110 e lode nell’ottobre 2006. Subito dopo la laurea, ho lavorato presso la GIS Gelati di Mosciano S.Angelo svolgendo un ruolo nell’ assicurazione qualità/ricerca e sviluppo per l’apprendimento delle tecniche di produzione e gestione aziendale oltre alle normative in materia di produzioni alimentari. Inoltre per il conseguimento della laurea triennale avevo in precedenza svolto un’esperienza presso la Foodinvest Group con l’obiettivo di analizzare il processo di produzione monitorando le variabili che influiscono sui punti critici identificati nel piano di autocontrollo aziendale con metodologia HACCP. Dal 2007 lavoro ad Alba di Cuneo per la Ferrero SpA nella direzione acquisti con il ruolo di buyer e responsabilità sugli stabilimenti italiani. Il mio ruolo incarico consiste nella gestione diretta degli acquisti del comparto carta per il Polo Italia, con attività che vanno dalla strategia al marketing d’acquisto, compresa la ricerca e selezione di nuovi fornitori, analisi del valore, valutazione economica e qualitativa delle fonti d’approvvigionamento, gestione della negoziazione contrattuale con l’analisi e monitoraggio delle performance del parco fornitori in termini di miglioramento della qualità, affidabilità e costo del servizio. E’ frequente la partecipazione a corsi di aggiornamento e visite presso fornitori ed industrie collegate al settore oltre che a ricerche di mercato e corsi di lingue straniere. Ritengo che un titolo di studi qualificato come una laurea, ancor di più quella specialistica, sia un requisito indispensabile per accedere a posizioni lavorative, sia pubbliche che private, con buoni livelli di soddisfazione e prospettive di crescita. Naturalmente non può e non deve essere vista come una garanzia di lavoro, ma bisogna comprendere che rappresenta la chiave di accesso a selezioni e concorsi nei quali bisogna poi aggiungere la propria predisposizione personale e la propria capacità. L’università fornisce non solo le nozioni e la preparazione scientifica, ma anche la visione e l’apertura mentale utile ad approcciare scenari nuovi e in constante mutamento. Credo inoltre che sia sicuramente efficace una laurea conseguita con un buon livello di votazione, ma ritengo che sia altresì importante la tempistica impiegata per il raggiungimento della laurea. Laurearsi nei tempi corretti previsti dal corso di studi può essere un buon indicatore della determinazione e del talento del candidato, oltre a fornire la possibilità di cogliere prima opportunità professionali. La possibilità di trovare un impiego, in un mondo globalizzato e con un respiro sempre più internazionale, può inoltre essere aumentata se alla formazione universitaria si affiancano esperienze professionali o personali all’estero. Il nostro territorio, soprattutto a causa della crisi degli ultimi anni, è capace solo in parte di assorbire i giovani laureati che dovrebbero allargare le loro ricerche e rendersi disponibili a trasferirsi in Italia ed anche all’estero. Questo non deve essere visto come un problema, ma come un’opportunità. Esperienze lontane dai luoghi nativi permettono di maturare sia professionalmente che personalmente, facendo esperienze nuove e sperimentando approcci culturali diversi. Questo permette di acquisire un bagaglio di esperienza che poi tornerà utile se si desidererà tornare nella propria regione aumentando il valore del nostro tessuto sociale ed industriale.

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di Primo Giuseppe Altigieri

o iniziato il mio percorso formativo presso la facolta di Agraria dell’università di Teramo indirizzo Viticoltura ed Enologia e devo molto alla facoltà. Tutto è iniziato nell’anno accademico 2003- 2004. Mi sono laureato il 24 luglio 2007. Il 4 agosto dello stesso anno sono stato assunto presso la cantina sociale di San Marzano (Ta) come impiegato enologo, ovviamente a tempo determinato. Questo è stato possibile perche durante il mio percorso formativo ho fatto due esperienze all’estero (Cile e Australia) e altre in Italia, grazie alle conoscenze fatte durante il tirocinio. Credo sia importante essere determinati ed avere degli obiettivi per riuscire a trovare un occupazione subito dopo la laurea. Ho lavorato in Umbria e Abruzzo come direttore tecnico. Poi per una serie di eventi (purtroppo o per fortuna) sono diventato export area manager per Conserve Italia una delle più grandi cooperative (se non la più grande) per quanto riguarda il settore agro-alimentare. Un’ occasione che non ho potuto rifiutare, anche se il mondo del vino resta la mia passione, chissà magari un giorno.... Non so esattamente quali siano i dati degli esiti occupazionali dopo la laurea, ma credo che le lauree di carattere tecnico, come ad esempio Agraria, abbiano maggiori possibilità. Non credo che il voto di laurea possa garantire il lavoro, quella è una soddisfazione personale, ma non è decisiva nel trovare un occupazione. Quello che serve è fare bagaglio delle conoscenze che si acquisiscono e che tutto tornerà utile, anche quello che apparentemente non sembra esserlo. Certo rimane il fatto che il massimo dei voti è un buon biglietto da visita. Credo che il nostro territorio abbia bisogno di figure professionali e le possibilità sono tante, ciononostante non è cosi facile. Sono dell’avviso che bisogna fare molti sacrifci prima di vedere qualche risultato, ma non bisogna mai arrendersi alle difficoltà.

di Simone Valli

ppena iscritto alla laurea magistrale, mi fu offerta la possibilità di partecipare ad una selezione per uno stage presso una azienda della grande distribuzione organizzata in sede ad Ascoli Piceno. Fui scelto, ed anche dopo aver consultato il preside Mastrocola (lo ringrazio ancora) che mi consigliò di accettare, iniziai la mia esperienza nel settore acquisti e distribuzione di carne fresca. Oggi, a distanza di diversi anni, sono un buyer delle carni con un contratto a tempo indeterminato. Nel frattempo, ho portato a termine la laurea magistrale che ha migliorato ulteriormente la mia preparazione. Il corso di studi che ho scelto è stato fondamentale poiché mi ha dato sia una preparazione tecnica relativa al prodotto trattato, ma anche nozioni di economia e marketing, il tutto affinato con esperienza sul campo giornaliera e tanta voglia di imparare. L’azienda è Gruppo Gabrielli Spa, presente anche nel nostro territorio con i supermercati insegna Tigre e ipermercati con insegna Oasi.

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di Gennj Flamminj

uglio 2002. Sono trascorsi dieci anni, ma ricordo quel giorno come se fosse ieri. La tensione, l’emozione, lo stress, fino ad arrivare alla tanto desiderata laurea in economia e commercio. La soddisfazione era immensa, le aspettative erano tante ma ero ben consapevole che non sarebbe stato facile. Sapevo che la libera professione non sarebbe stata la mia strada. Il mio grande sogno ero un contratto a tempo indeterminato nel settore pubblico o privato. Non ho perso tempo e ho cominciato subito a cercare un lavoro: inviavo curriculum, consultavo la Gazzetta Ufficiale per i concorsi, visitavo i portali di ricerca di lavoro, ho provato anche la via breve (le conoscenze) ma i risultati sono stati deludenti. Decisi di partecipare ad un corso di specializzazione post-laurea organizzato da una società di consulenza accreditata come agenzia formativa. I meritevoli furono invitati a lavorare presso la medesima società per la realizzazione di alcuni progetti comunitari. Ero contentissima! Perché sapevo che sarebbe stata un’ottima esperienza professionale. Ma comunque difficile, sopratutto dal punto di vista economico, perché si trattava di raggiungere la sede fuori Teramo e i primi tempi non si guadagnava. Solo dopo alcuni mesi cominciai a ricevere un rimborso spese e dopo un po’ un fisso mensile di 500,00 euro. Rigorosamente in nero!!! Continuai a lavorare per circa un anno e mezzo, dopodiché la situazione cominciò a complicarsi. La possibilità di continuare a ricevere il fisso mensile cominciava ad indebolirsi. Purtroppo il settore era altamente concorrenziale e le possibilità di partecipare e vincere ai bandi comunitari non erano sempre facili. Per non parlare dell’ambiente poco umano. Decisi quindi di lasciar perdere. Iniziai l’anno 2006 senza avere prospettive per il futuro. Ero delusa. Mi recai a Milano per partecipare alla prova scritta di un concorso. Decisi poi di lavorare in alcuni call center, a Pescara e Teramo. Quando seppi di aver superato la prova scritta, decisi di dedicarmi esclusivamente alla prova orale. Andò bene ma non abbastanza: risultai idonea in graduatoria. Nel frattempo, decisi di iscrivermi ad un altro corso che prevedeva un stage di cinque mesi con relativo rimborso spese. Scelsi una società di consulenza di Teramo. Anche lì riuscii ad emergere professionalmente. La direzione era soddisfatta del mio lavoro. Purtroppo, non c’erano prospettive per un’assunzione, neanche per un contratto a progetto. L’unica possibilità era continuare a collaborare aprendo una partita Iva. Ma non feci in tempo a pensarci perché fui chiamata per un colloquio di lavoro presso uno studio di consulenza a Milano.Venni scelta. Si trattava però di contratto a progetto. Partii per Milano. Ero contenta ma anche triste di lasciare la mia famiglia. Iniziai la mia vita milanese; amici diversi, stili di vita diversi. Continuai a cercare occasioni lavorative migliori Dopo alcuni colloqui, riuscii a stipulare finalmente il desiderato contratto a tempo indeterminato con uno studio professionale. Un posto meraviglioso in pieno centro a Milano. Il lavoro era interessante e le persone meravigliose. Lavorai lì fino a marzo 2009, quando ricevetti la telefonata che mi cambiò la vita. Il concorso per cui risultai idonea. Stavano scorrendo la graduatoria per colmare la carenza di personale in Agenzia delle Dogane. L’unico particolare è che il posto non era a Milano, ma a Bari. Dopo essere rimasta a bocca aperta, accettai. Funzionario dell’Agenzia delle Dogane! Rimasi a Bari per un anno. Dopo, riuscii ad essere assegnata a Milano, dato che il mio nucleo familiare era ormai a Milano(perché oltre ad aver cercato lavoro, mi sono sposata e ho avuto una bimba).

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ILLUSIONE CATTEDRA di Vincenzo Lisciani Petrini

ettembre è un mese importante per gli aspiranti docenti, con la pubblicazione del bando per 12.000 cattedre. Non accadeva dal 1999, ben tredici anni fa. Inoltre è concentrato proprio in questo mese il grosso delle prove scritte per il TFA (tirocinio abilitante per aspiranti docenti), tristemente famoso per il suo quiz preliminare. La scuola sembra muoversi, ma occorre riflettere su quanto accade e sulle dinamiche in gioco. La domanda: perché un nuovo concorso se ci sono già docenti ben titolati e assumibili dopo la SSIS? Basterebbe esaurire la graduatoria già esistente, farla arrivare a zero e poi riorganizzarsi per le prossime ondate. I conti, purtroppo, sono stati fatti male da anni ed è mancata la necessaria lungimiranza e si procede per palliativi che non risolvono il problema. La tattica ministeriale è temporeggiare. Si cerca di rendere tutto il percorso lento e faticoso in modo scoraggiare i candidati. Le graduatorie non scorrono mai, tutto si

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muove appena. O, se si muove con forza, rimette in discussione tutto da capo. Viene in mente “Il castello” di Kafka. Il difetto più grave di questa situazione è la mancata trasparenza del MIUR: guai a dire alle future generazioni di docenti: “lasciate stare, tutto esaurito”. Eppure sarebbe meno doloroso del sentirsi presi in giro per anni. No, la possibilità, seppur remota, va salvata. Si può essere d’accordo o meno. In questo modo, tuttavia, si vanno a creare nuove graduatorie anziché esaurire le vecchie, trascinando migliaia di persone in un tragitto dalla durata non definibile. Illudendo. Inoltre, se i posti sono così pochi (e tra poco si esauriranno del tutto) ci si chiede perché tenere aperti corsi di laurea dove lo sbocco principale è l’insegnamento. Le università risponderebbero: “Noi facciamo percorsi di studio, senza preoccuparci di come troveranno lavoro i nostri studenti. Non ci riguarda”. Un simile discorso porterebbe al fallimento qualsiasi azienda e le università sono aziende del sapere, ma ormai assomigliano a veri e propri

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parcheggi. Si pensi bene, allora, come impiegare il proprio futuro e, prima ancora, il proprio presente. Scegliere bene cosa studiare e perché; e anche se studiare o meno. Intanto, il MIUR ha l’obbligo perentorio di affrontare a viso aperto i problemi della scuola. Il nuovo bando non è una soluzione, ma un ennesimo errore che si aggiunge ad altri in quanto non scende nel profondo della situazione e, per molti aspetti, è davvero ingiusto sottoporre a esame docenti precari già vincitori di concorso. Per questo ci si deve augurare un vero anno zero della scuola italiana. Intanto chi sta ancora ultimando gli studi in materie che danno accesso all’insegnamento cerchi di fiutare altre possibilità lavorative e altre strade. Andare fuori, ad esempio. Reinventarsi, adattarsi. Oppure aspettare che il posto per entrare si crei, che la scuola cambi, ma cercando nel frattempo soluzioni che permettano di essere indipendenti. È dura, ma occorre fare scelte coraggiose e difficili. La difficile situazione non permette molto altro.


Coraggio ragioniere di Nino Viandi

59 anni resta senza lavoro dopo una vita spesa a far quadrare i conti negli uffici da quando ne aveva 18 e si ritrova come nella canzone di Concato, “Oltre il giardino” : “Per fortuna avevo pensato a mettere da parte qualcosa già da quando ero ragazzo, altrimenti…” dice Rocco Di Nino, ragioniere, direttore amministrativo, nonché, nell’ultima fase lavorativa, amministratore di imprese. Nato in quel di Penne (Pe), stupendo borgo vestino, è l’emblema della generazione del primissimo dopoguerra, quando la psicanalisi e Freud erano pianeti lontani e bisognava mettere insieme il pranzo con la cena, spesso con modesti risultati. Padre deceduto quando aveva tredici anni, cinque figli, inizialmente si sostiene con le borse di studio, ma l’ambiente attorno a sé non è di certo quello dei più stimolanti e cresce, spiritualmente e materialmente, da solo. Una vita difficile, “con punte di blu tenebra!” scherza. Oggi i giovani sono in grado di affrontare i sacrifici ‘neri’ di quella generazione? “La maggior parte no, anche se le eccezioni non mancano. E’ pur vero che mi viene da ridere quando sento dire ‘il lavoro c’è ma i giovani non vogliono lavorare’. Effettivamente qualcosa si trova, ma solo se vuoi fare il cameriere in nero, il pizzaiolo o l’idraulico. Per chi ha studiato non c’è trippa per gatti. Forse bisogna cominciare a considerare la laurea uno strumento sorpassato per trovare lavoro. Certo, se si ha l’intenzione di fare l’ingegnere o il medico la strada è obbligata”. La sua vita è un florilegio di esperienze: “Non mi vergogno, agli inizi nel capoluogo ho dormito in macchina nonostante fossi già direttore amministrativo. Adesso, una cosa simile sarebbe impensabile”. Dopo varie esperienze in giro per l’ Italia, torna in Abruzzo, ma l’impresa dove lavora nel 2003 chiude i battenti. Seppur non troppo convinto e dopo

moltissime noie burocratiche, Rocco va in pensione. Potrebbe oggi un ragazzo fresco di studi ripercorrere, anche se in parte, una carriera simile? La risposta è una lunga infilzata di spada: “No, a meno che non si abbia una fortissima raccomandazione. All’estero alcuni conoscenti mi dicono che sia diverso, ma in realtà la non-differenza si pone per i lavori più umili, altrimenti anche in Inghilterra vogliono referenze ed esperienze pregresse. Questo è un altro punto a sfavore dei giovani d’oggi: come fanno ad avere ‘esperienza’ se nessuno gliela fa fare? Si dirà che è una questione di costi per le imprese, ma è vero in minima parte. Per la maggior parte dei lavori contabili, ad esempio, quali la registrazione di fatture, non serve chissà quale preparazione. Basta affiancare al nuovo che arriva uno che già le sappia fare, e dopo qualche giorno si opera da soli tranquillamente.

I governi, da par loro, non aiutano: con la tassazione cui le aziende sono sottoposte, oltre alla crisi drammatica che stiamo vivendo, si guardano bene dall’assumere. Oltretutto mancano le commesse. Oggi, più che di laureati si ha bisogno dei famosi tecnici: dall’operaio specializzato al direttore tecnico che sa mischiare in giuste dosi gli ingredienti per fare una ciambella, ma anche una suola di scarpa. In questo settore l’Italia è completamente mancante”. La domanda è volutamente gravosa: la generazione degli attuali cinquantennisessantenni ha delle colpe verso i ragazzi di oggi? Chi adesso ha venticinque-trent’anni ha creduto di avere la consapevolezza che la laurea fosse il grimaldello che avrebbe scassinato qualunque porta chiusa del mondo lavorativo. Evidente che non sia più così. Senza colpo ferire,il nostro ragioniere

foto: una scena de “Il secondo tragico Fantozzi” PrimaPagina 28 - ago. 2012

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lo Stato a dover dare lavoro: questo è vero per i medici degli ospedali, qualche funzionario annoiato, ma investire in attività produttive è un’altra cosa. Inoltre, paradossalmente, per quei fortunati che raggiungono un impiego si pone poi il problema del dopo-aver-trovato-il-lavoro: per molti la cosa finisce lì, l’obiettivo è raggiunto e non si danno più da fare. Di certo, lo dico senza timore di smentita, questa generazione ha molta meno fame della mia. Chi lavora deve sentirsi parte di qualcosa, non mettersi in cassa mutua per trebbiare o andare a raccogliere l’ulivo come spesso succede. C’è in gioco anche il ruolo dei sindacati che dovrebbero essere più collaborativi con i datori di

risponde: “ Si dice non datemi consigli, so sbagliare anche da solo! Venendo da anni in cui avere qualcosa in più del diploma dava possibilità enormi, i padri attuali hanno pensato che per i figli ci fossero le stesse possibilità, ma non ci siamo resi conto che il ‘nostro’ mondo è finito. Il fatto è che la domanda e l’offerta si incrociano magicamente solo nei modellini di economia. Oggi abbiamo bisogno di determinate figure lavorative che non si trovano. Le avremo, forse, tra cinque o dieci anni. Bene, e se nel frattempo le cose cambiassero ancora? Non c’è una ricetta valida per tutte le stagioni. Qualche personaggio politico fuori dal tempo afferma che è

lavoro”. C’è ancora speranza per la gioventù e di conseguenza per il Paese? “La speranza non può essere tolta, ma vedo molta ‘sufficienza’, parecchia arroganza. Gli stessi laureati di oggi sono capaci, tanto per dire, di non andare al mare il sabato e la domenica per studiare determinati aggiornamenti della loro professione? Le soste non sono ammesse, deve esserci un continuo progredire, invece c’è un certo intorpidimento dovuto alla ‘pancia piena’. In quanti sono disposti a non fare vacanze se non ci sono possibilità proprie, oppure spostarsi di migliaia di chilometri dalla famiglia, se necessario?”

IN PAESE I GIOVANI SFIDANO LA CRISI di Adele Di Feliciantonio

giovani di oggi sono capaci di arrangiarsi e re-inventarsi. A dispetto di chi li definisce “bamboccioni” i più temerari e coraggiosi, che non vogliono rinunciare alla propria indipendenza o a costruirsi una famiglia, cercano di trovare le soluzioni. Così alcuni ragazzi montoriesi, rispolverando un vecchio e famoso proverbio “aiutati che Dio ti aiuta”, hanno agito con lungimiranza e hanno riportato allo splendore uno dei borghi più belli della provincia di Teramo: Collevecchio. Arroccato su un colle, con il campanile dell’Abbazia di San Sebastiano che spicca imponente, questo gioiellino domina tutto il panorama della vallata del Vomano. I suoi vicoli, dopo la gloria e il movimento dei tempi addietro, erano desolati e tristi. Si respirava già l’aria di abbandono totale, quando il bisogno di genuinità e tranquillità, come antidoto alla stressante e veloce vita moderna, ha portato a un incremento notevole di insediamento, sia nella sua parte più antica, che nella pianura a ridosso, da parte di ragazzi e giovani famiglie. Collevecchio è un esempio di un fenomeno di riqualificazione dei piccoli paesi sempre più in ascesa. “Ho scelto di abitare in questa rilassante casa in periferia per essere più libero e perché qui c’è una pace che è un vero toccasana per la mia ansia da trentenne ancora precario in tutto; inoltre con i lavori occasionali che svolgo non posso permettermi affitti alti e spese inutili”, confida S., che

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sentendo il peso di vivere in famiglia ha deciso di rendersi autonomo rispettando, però, le esigue risorse a disposizione. S. non è l’unico che passati gli “enta” non riesce più a trovare equilibrio e serenità tra le braccia di mamma e papà; anche B. sostiene che “restare a casa senza un impiego iniziava a farmi diventare sempre più nervoso. La solidarietà dei miei coinquilini che hanno la mia stessa situazione mi rende meno catastrofico e inoltre posso finalmente pagarmi l’affitto (adeguato alle tasche di chi come me si “arrangia “ a svolgere qualsiasi lavoretto) e trascorrere ore serene con i miei amici”. La scelta di vivere in un piccolo paese si è rivelata vincente anche per le giovani coppie che hanno potuto crearsi il loro “nido d’amore” con una casa propria dal costo accessibile e che permette di pensare a un futuro con molta meno ansia. “Quando abbiamo deciso di sposarci –svelano A. e S. – ci siamo resi conto che acquistare un appartamento in città era impossibile: costi esagerati e troppe garanzie. Così abbiamo deciso di trasferirci in questo caratteristico paesino che ci ha conquistati per la sua architettura e il panorama che si intravede da ogni suo angolo e abbiamo comprato una casa tutta nostra senza caricarci di costi eccessivi. Siamo fieri della nostra decisione e i nostri bambini hanno la fortuna di giocare all’aria aperta e interagire continuamente con la natura”. F.e la sua compagna, invece, hanno deciso di restaurare una vecchia abitazione ottenuta

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in eredità dalla nonna. “Vogliamo convivere e convolare a giuste nozze quanto prima – raccontano -e così, anziché pagare l’affitto, abbiamo meditato questa soluzione. Tenendo conto che molti lavori di ristrutturazione li faremo noi in modo da economizzare dove possibile. Dovrò abituarmi a vivere nel verde, dopo una vita trascorsa in un centralissimo quartiere, ma l’idea di non accollarci un mutuo ci risparmierà molti problemi e qui si sta veramente bene”. Vivere in campagna non è una scelta di sola opportunità economica, ma dà una buona dose di relax, salute, socialità e perché no anche di ispirazione artistica. “Io e il mio fidanzato siamo due artisti – rivela V. attrice teatrale – e i nostri introiti non sono fissi, ma dipendono da quanti ingaggi riusciamo a ottenere; per questo l’affitto è alla nostra portata e inoltre abbiamo spazio sufficiente e possibilità di provare i nostri spettacoli senza dover rispettare i vincoli e le regole condominiali. Soprattutto nelle sere d’estate quando il silenzio della notte viene accarezzato dal frinire dei grilli e illuminato dalle lucciole la vena creativa e l’ispirazione sono al massimo livello. Anche il famoso trio dei Trem Azul hascelto di rimanere in provincia e haoptato per una casa in campagna perché “ incontrarsi regolarmente, scrivere i pezzi e suonarli anche alle 5 di mattina è sicuramente una condizione invidiabile; inoltre avere il giusto relax, la concentrazione di energie per arrangiare la nostra musica è straordinario”.


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ASTEROIDI Scoperte anche teramane di Grazia Ciunci Astronoma

astronomo, matematico e musicista tedesco Johannes Kepler, in Italia più noto come Keplero, sulla base della sua scoperta empirica delle leggi che regolano il movimento dei pianeti, nel 1596 congetturò su un pianeta ‘mancante’ nel Sistema Solare tra Marte e Giove. Circa 170 anni più tardi l’astronomo tedesco Titius von Wittenburg, utilizzando la legge empirica dell’altro astronomo tedesco Johann Elert Bode sul calcolo delle distanze planetarie, dedusse analiticamente l’esistenza di un pianeta ‘scomparso’ appunto tra Marte e Giove ad una distanza dal Sole di circa 2,8 Unità Astronomiche (1 UA = 150 milioni di km). Quando il 1 gennaio 1801 il presbitero e astronomo italiano Giuseppe Piazzi individuò casualmente un pianeta tra Marte e Giove, il mondo scientifico credette di aver finalmente colmato la ‘lacuna’ del Sistema Solare. Al pianeta fu dato il nome Cerere. Tuttavia, in seguito alla stima della grandezza di Cerere, il cui diametro medio risultò poco più di mille chilometri, molto minore di quello di Marte e di quello di Giove e dopo la successiva scoperta di altri pianeti minori, non ebbe più significato il concetto di ‘pianeta scomparso’, ma furono approntati cataloghi e mappe stellari per poterne individuarne altri. Da allora l’interesse per tali corpi, denominati ‘pianetini’ o ‘asteroidi’ è cresciuta rapidamente, fino a quando negli anni ’50 del XX secolo l’astronomo statunitense Gerard Peter Kuiper e i suoi collaboratori diedero inizio ad uno studio sistematico di questi piccoli corpi celesti, dal punto di vista della morfologia, della composizione

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chimica, dell’inclinazione dell’asse e del periodo di rotazione e non ultimo delle caratteristiche orbitali. Attraverso uno studio statistico gli studiosi cercano di individuare le origini dei singoli “pianetini”. Oltre 300 000 asteroidi sono già stati numerati e catalogati, e si stima che siano addirittura più di un milione quelli ancora da scoprire. La maggior parte degli asteroidi orbita tra Marte e Giove, a una distanza compresa tra 2,1 e 3,4 UA dal Sole, in una regione denominata Fascia Principale (Main Belt). Questi oggetti non poterono riunirsi a formare un pianeta, a causa delle forti perturbazioni gravitazionali del vicino pianeta Giove. Gli asteroidi più vicini alla Terra e a Marte sono costituiti da minerali rocciosi contenenti ferro, mentre quelli vicini a Giove hanno una composizione non molto diversa da quella della nebulosa primordiale formatasi 4,5 miliardi di anni fa. Per questo motivo lo studio di tali corpi può contribuire ad andare indietro nel tempo fino alle originarie strutture del nostro Sistema Solare. Il problema dell’origine degli asteroidi potrebbe essere, allora, considerato una parte più generale dell’origine dei pianeti. L’Unione Astronomica Internazionale ha stabilito la denominazione meteoroidi per gli asteroidi molto piccoli, tipicamente frammenti derivanti da collisioni, aventi dimensioni di un masso o anche meno. Sono ‘meteoroidi’, comunque, tutti gli asteroidi con diametro minore o uguale a 30 km. Quando entrano nell’atmosfera terrestre si surriscaldano a causa dell’attrito con l’aria e, a seconda della temperatura raggiunta e della composizione chimica, emettono un lampo di luce colorata: sono le cosiddette meteore o ‘stelle cadenti’. Le

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stelle cadenti visibili ad occhio nudo nel periodo intorno al 10 agosto, giorno di San Lorenzo, sono dovute ad uno sciame meteorico, chiamato Perseidi, che si trova in quella zona dello spazio attraversata dalla Terra ogni anno in quel periodo. Alcuni asteroidi sono il residuo di vecchie comete, che hanno perso il loro ghiaccio durante i ripetuti avvicinamenti al Sole e sono adesso composti per lo più di roccia; Corpi particolarmente massicci recentemente scoperti fuori del Sistema Solare sono considerati asteroidi, tra i quali Eris, Issione,Veruna. Sono più grandi di Cerere. In fase di catalogazione ai pianetini viene dato un nome, scelto dallo scopritore o dal gruppo di scopritori, preceduto da un numero progressivo di individuazione. Il pianetino 704 Interamnia, ad esempio, fu scoperto il 2 ottobre 1910 dall’astronomo

e matematico teramano Vincenzo Cerulli mediante il suo telescopio Cooke, tuttora montato presso la Specola di Collurania. Dal 1849 al 1865 Annibale De Gasperis, astronomo e matematico nato in provincia de L’Aquila, scoprì ben 9 asteroidi. La maggior parte degli asteroidi è composta di carbonio, silicio, nichel e ferro, materiali che non provengono dal nostro Sole, in quanto esso è costituito da idrogeno ed elio. Infatti, secondo un’accreditata teoria sull’origine del nostro Sistema Solare, all’inizio della sua formazione la nebulosa proto-solare è stata investita dall’esplosione di una supernova vicina, contenente tali materiali. Ma anche noi esseri umani siamo costituiti da carbonio e da metalli come il ferro. Possiamo, quindi, concludere, senza possibilità di smentita, che siamo di origine extraterrestre.

Altre curiosità Si chiamano Earth-crossing quegli asteroidi, le cui orbite intersecano quella della Terra. Negli anni ’70 si intensificarono le ricerche sulla dinamica dei pianetini, le quali in particolare hanno riguardato il problema della stabilità delle loro orbite. Se alcune configurazioni orbitali risultano stabili rispetto alle perturbazioni planetarie agenti su scale di tempi confrontabili con l’età del Sistema Solare, altre configurazioni sono a vita breve, nel senso che corpi in tali orbite potrebbero entrare in contatto con i pianeti oppure essere espulsi dal Sistema Solare o passare in altre orbite.

Plutone, che dal 1930, anno della sua scoperta, era considerato il nono pianeta del nostro Sistema Solare , dal 24 agosto 2006 è stato declassato dall’Unione Astronomica Internazionale a ‘pianeta nano’ o ‘oggetto trans-nettuniano, viste le sue limitate dimensioni (circa 2200 km di diametro, il doppio di Cerere) e un’orbita diversa dagli altri pianeti. Adesso è classificato con il nome di 134340 Pluto.

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Teramo che fu:

Palazzo Giusti e dintorni liberty di Giuseppina Michini

ual è la vocazione della nostra città? E’ l’interrogativo di Marcello Martelli in “Lunga la lista delle occasioni perdute” pubblicato nello scorso numero di “Prima Pagina”. Riprendo le parole del giornalista - scrittore per approfondire il contenuto di questa rubrica. Sono state tante le occasioni perse per guardare la città, conoscerla, viverla, riscoprirla. Per notare uno scrigno storico, artistico, architettonico. Teramo deve far crescere ciò che essa è; non deve invaghirsi di prototipi o di modelli correndo il rischio di scardinare la propria identità e, una volta svuotata, attendere lo schianto a capofitto, diseredata. Mettere in luce l’importante vocazione culturale della città è un filone che può e deve essere sviluppato e privilegiato. Si tratta di un foto G. Michini: interno palazzo Giusti

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orientamento fondamentale. Uno strillo che vorrebbe capitare anche sotto gli occhi di quanti conducono le redini della gestione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Questa volta il breve viaggio in centro storico ha raccolto le meraviglie di stile e architettura liberty di palazzo Giusti, palazzo Castelli, ma anche di altre residenze in via Chiasso dell’anfiteatro, via Raniero e via Francesco Filippi Pepe. Esse sono collocabili tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 quando in Europa si sviluppa un gusto particolare per la decorazione, basata sull’espressività della linea, che prende il nome di Art Nouveau in Francia e di Liberty in Italia. Poi si diffonde anche in America. Palazzo Giusti e palazzo Castelli sono datati 1908. Il disegno delle facciate delle case, l’arredamento, gli abiti, ma anche i più comuni oggetti d’uso sono caratterizzati da fasci di linee contorte e avviluppate tra loro, ispirati agli andamenti lineari di radici, steli, rami, foglie. Sono dominanti le linee ondulate a spirale e a voluta, che suggeriscono elasticità, agilità, movimento. Questa tendenza floreale adorna le porte, gli stipiti delle finestre, le balaustre e i corrimani in ferro battuto e legno come ammiriamo nei palazzi Giusti, Castelli e nelle aristocratiche abitazioni all’angolo di piazza Orsini o lungo le vie parallele al Corso San Giorgio. La ricerca delle forme e i particolari dei disegni legano la complicità strutturale dei diversi edifici. In questo modo è possibile ritrovare il motivo decorativo di alcune delle porte interne di palazzo Giusti riprese sul prospetto di palazzo Castelli o della dimora in via Raniero. Gli stessi dettagli in ferro battuto delle scalinate si ripropongono sulle cornici, sulle lesene. Siamo durante gli anni in cui Antoni Gaudì, massimo esponente del modernismo catalano, realizza a Barcellona casa Milà o casa Batllò. C’è sempre quella linea continua, flessuosa; la stessa bene

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Mettere in luce l’importante vocazione culturale della città è un filone che può e deve essere sviluppato e privilegiato...


sintetizzata nella contemporanea pittura di Gustav Klimt e che con glorioso stupore ritornano in Pomona e Flora, dee rispettivamente della frutta e della vegetazione le quali posano sulla facciata di palazzo Castelli. ChissĂ quante stanze ancora racchiudono i segreti del liberty teramano.

foto G. Michini: particolari in stile liberty

foto G. Michini: Palazzo Castelli decorazioni

foto G. Michini: Palazzo Giusti via Paladini PrimaPagina 28 - ago. 2012

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Nereto in “Festival” Intervista a Umberto Scida regista della storica compagnia di operette milanese, presenza fissa di uno degli eventi più attesi del calendario estivo della provincia

di Coralba Capuani

estival dell’Operetta a Nereto, appuntamento ormai diventato irrinunciabile per gli amanti della musica. Evento fisso del ricco calendario di spettacoli estivi, il festival vanta da sempre la numerosa presenza del pubblico che ha affollato il piccolo anfiteatro “B. Brecht”. Riconfermata anche per quest’edizione la storica Compagnia Italiana di Operette 2003 di Milano, una tra le più antiche – nasce nel lontano 1953 – e prestigiose d’Italia, presente sin dagli esordi del festival neretese. Con la sua ricca scenografia e i lussuosi costumi si presenta con un organico composto da 40 esecutori. Primo attore, direttore artistico e regista Umberto Scida, soubrette Elena D’Angelo, caratterista Armando Carini, dodici professori d’orchestra diretti da Orlando Pulin e coreografie di Monica Emmi. L’operetta, genere musicale decisamente particolare, «è una commedia musicale di argomento quasi esclusivamente allegro e

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scanzonato, almeno quella italiana – spiega Umberto Scida –. Poi ci sono anche tante meravigliose operette francesi, spagnole e austro-ungariche

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che sono spesso romantiche e passionali e che noi italiani abbiamo impreziosito con l’ironia e la comicità nel corso dei decenni. Posso dire che il mio innamoramento per l’operetta era inevitabile, scritto nel mio futuro fin da quando ho frequentato la “Bernstein School of Musical Theater”, l’Accademia di teatro musicale dove ho studiato canto, recitazione e danza. Lungo gli anni di tournée con i musical più importanti ho spesso incrociato il mio cammino con quello di colleghi che si occupavano di operetta e ho scoperto che il potermi divertire e far ridere mentre canto, recito e danzo, era il coronamento di un sogno; è meraviglioso poter far nascere un sorriso sulla bocca di chi è nel pubblico». La Compagnia Italiana di Operette vanta una lunga storia di successi, più di cinquant’anni. «Quando nel 2005 si rese vacante il ruolo più importante all’interno della Compagnia, quello del primo attore cioè del comico, i sig.ri Corucci – Sergio e suo figlio Claudio – mi considerarono degno di entrare in Compagnia e mi scritturarono, affidandomi questo ruolo così


onorevole e così oneroso allo stesso tempo». Quando si è in scena per tanti mesi, può venir meno il fattore divertimento, invece, quando vi si vede sul palcoscenico si nota sempre un forte feeling tra i componenti della compagnia. «Il trucco è “recitare” e non “fingere”: spesso sfugge l’enorme differenza che c’è fra le due cose. Recitare comporta l’ “essere” quel personaggio specifico in ogni istante in cui si è sul palco, in modo tale da non potersi distrarre: è necessario “sentire” di essere un personaggio ben preciso per poter essere sempre fresco e convincente, per se stessi e per il pubblico. In questo modo riesco a trasmettere tutta la mia energia agli attori che sono sul palco insieme a me, li trascino nel mio vortice e tutta la rappresentazione diventa viva, credibile, energetica, divertente dove deve esserlo e commovente o romantica se è necessario. Con Armando Carini, poi, che è il decano della Compagnia, un pozzo di sapienza teatrale e di esperienza, la cosa diventa ancora più facile: non smetto di osservarlo e di imparare l’infinità di cose che un attore del suo calibro può insegnarti». Da primo attore a performer completo, ora anche regista. «Devo dire che la sfida della regia mi è stata lanciata dall’impresario, Claudio Corucci, che

ha creduto nelle mie capacità fin dall’inizio della mia meravigliosa avventura in Compagnia. E io ho accolto la sfida con immenso piacere, anche se con tantissimo timore reverenziale. È anche vero che è nel percorso naturale di un attore approdare, prima o poi e anche solo per una volta, alla regia e stare dall’altra parte per creare non più un personaggio solo, il proprio, ma tanti personaggi, quelli dei colleghi, e un’intera opera teatrale. E dopo sette anni di militanza ufficiale nell’operetta, quest’anno è arrivato un riconoscimento insperato e graditissimo: ho ricevuto dalle mani della grande Viviana Larice il Primo Premio “Operetta” 2012 con una motivazione che, quando l’ho letta, mi ha fatto tremare le gambe: “erede della grande tradizione operettistica italiana”».

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Il trucco è “recitare” e non “fingere”: spesso sfugge l’enorme differenza che c’è fra le due cose. Recitare comporta l’ “essere” quel personaggio specifico in ogni istante in cui si è sul palco...

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SERENATA PER PIANO SOLO

foto N. Arletti: recente concerto a Campli con Gegè Telesforo

Il jazzista e compositore teramano Paolo Di Sabatino racconta il suo amore per la musica e per lo strumento che l’accompagna in giro per il mondo di Mariangela Sansone

eramo ha visto fiorire e sbocciare molti talenti che sono riusciti a distinguersi a livello nazionale e internazionale, e tra gli elementi maggiormente luminosi di un sorprendente caleidoscopio che colpisce le più diverse discipline artistiche, c’è il musicista Paolo Di Sabatino. Compositore, pianista e docente di jazz presso il conservatorio “A. Casella” di L’Aquila, Paolo Di Sabatino vanta già un prestigioso curriculum, costellato di importanti collaborazioni: Antonella Ruggiero, Mario Biondi, John Patitucci, Fabrizio Bosso, Javier Girotto, Stefano Di Battista, Daniele Scannapieco, Horacio “El Negro” Hernandez, Carlitos Puerto, Bob Mintzer e, per il disco “Voices”, Fabio Concato, Gino Vannelli, Peppe Servillo, Grazia Di Mi-

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chele, Gegé Telesforo, che hanno messo le loro voci a servizio dell’artista teramano. Dal 26 di giugno è in distribuzione il lavoro “Solo”, ultima fatica di una lunga ed articolata carriera discografica, iniziata nel 1994 e trascorsa tra la musica contemporanea, il jazz e il pop d’autore, sempre caratterizzata da profonda raffinatezza ed accurata eleganza musicale. Pianista jazz, compositore, arrangiatore e docente di jazz presso il Conservatorio “A. Casella” di L’Aquila, come riesci a conciliare tutti questi ruoli? “Ho sempre vissuto la musica a 360 gradi, senza pregiudizi. Ritengo la poliedricità uno degli aspetti fondamentali del mio essere musicista e nutro profondo rispetto per ogni forma espressiva, sempre però col comune denominatore della qualità, dalla quale non

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posso prescindere”. Nei tuoi lavori spazi con naturale leggerezza tra generi apparentemente distanti, dando vita ad inedite contaminazioni tra musica classica, jazz, ritmi sudamericani, e senza disdegnare neanche la musica leggera. Ci racconti come è nata e come si è evoluta la tua apparentemente infinita passione per la musica? “In una famiglia di musicisti è facile ricevere stimoli, poi però la passione si è sviluppata giorno dopo giorno; partendo dagli ascolti di musica classica e jazz, studiando il pianoforte fino al diploma, e contemporaneamente nutrendo la mia innata curiosità per le diverse sonorità che via via hanno accompagnato il mio percorso, professionale e privato”. Hai collaborato con grandi nomi della


musica internazionale; cosa ti hanno lasciato, umanamente e professionalmente? “Ogni persona/musicista che ho incontrato ha permesso al mio bagaglio di esperienze di accrescersi. Non tutti mi hanno lasciato sensazioni positive, ma ritengo che anche le vicende negative siano state fondamentali per la mia formazione. Sicuramente, ritrovarmi nel 2000 a registrare uno dei miei cd più importanti (“Threeo”) con due giganti come John Patitucci e Horacio “El negro” Hernandez, è stata una di quelle meravigliose emozioni che si sono radicate in me. Ultimamente il confronto col mondo del teatro mi ha dato ulteriori fonti di stimolo e arricchimento. Condividere il palco con nomi come Giorgio Albertazzi e Michele Placido, per citarne un paio, non può che rappresentare linfa vitale per l’anima. Oggi, una cosa bellissima per me è condividere molti miei progetti musicali con mio fratello Glauco e sognare un futuro gruppo con i nostri figli. Le emozioni si amplificano quando sono presenti forti affinità e la purezza del fare musica insieme può raggiungere livelli altissimi”. Ci sono stati musicisti che in qualche modo hanno rappresentato per te un modello da cui trarre ispirazione, stimolo ed impulso per la tua carriera e per i tuoi lavori? “Come ho detto, ho cercato di cogliere il lato positivo sempre e comunque, da chiunque. Sono molto legato però a due musicisti italiani

che hanno tenuto a battesimo la mia carriera a livello nazionale: Massimo Moriconi e Massimo Manzi, che ancora oggi rappresentano per me due esempi da seguire. Più recentemente ho collaborato poi con Cristian Meyer, batterista del celeberrimo “Elio e le storie tese” nonché grande jazzista. Da tutti loro ho imparato cosa significano la correttezza, l’onestà intellettuale e la riconoscenza, doti che purtroppo sono divenute merce rara”. Quali sono al momento gli artisti che segui e che apprezzi maggiormente? “In realtà cerco e trovo cose interessanti di continuo. Ho grande ammirazione e stima per il lavoro progettuale del pianista americano Brad Mehldau, davvero una delle più belle realtà degli ultimi anni”. In uno dei tuoi ultimi lavori, “Voices”, hai tradotto la tua musica in canzoni, avvalendoti della collaborazione di molti interpreti. Come hai vissuto questo impegnativo progetto? “È stato il lavoro più impegnativo della mia carriera! Circa tre anni di lavoro intenso, sia a livello concettuale che fisico ed organizzativo. Un cd che mi ha regalato emozioni intense e momenti memorabili, come trovarmi a collaborare con due miti della mia adolescenza quali Vannelli e Concato. Inoltre, ho avuto davvero tanti apprezzamenti, anche da personaggi importanti come il compianto Lucio Dalla e Gianni Morandi. Poi devo a questo lavoro un incontro meraviglioso con un’artista stupenda come Grazia Di Michele.

Abbiamo sentito immediatamente una grande affinità che è sfociata nel cd “Giverny”, che uscirà tra un paio di mesi, e presenteremo in Abruzzo il 18 ottobre a Borgo Spoltino (Mosciano, Te), nell’ambito della rassegna “Non solo Jazz”. Sì, perché si tratta di un lavoro con un suono acustico molto vicino al jazz. Grazia ha scritto brani bellissimi, io li ho vestiti con le sonorità che amo, seguendo la mia sensibilità, senza però prevaricare mai la canzone. Il risultato è davvero accattivante e pieno di fascino. Un cd che io acquisterei subito!”. Il 26 di giugno è uscito il tuo ultimo lavoro, il nuovo disco strumentale dal titolo “Solo” (Irma Records, distribuito da Edel); si tratta di una nuova digressione verso il jazz con la formula piano solo, nella quale hai proposto grandi successi americani, pezzi del repertorio sudamericano e brani originali inediti. “La formula del “piano solo” è il banco di prova supremo di ogni pianista jazz, e “Solo” è sicuramente la mia dichiarazione d’amore nei confronti della musica e del mio strumento. In questo cd viene fuori l’essenza del mio stile pianistico e compositivo, oltre al legame imprescindibile con i brani di repertorio, da Gershwin al Brasile, passando per il tango argentino. Il tutto lasciando sempre trasparire la cura del suono e delle dinamiche, aspetti con i quali cerco di valorizzare la continua ricerca melodica durante le mie improvvisazioni. E sono queste - a mio avviso - le peculiarità che mi contraddistinguono”.

PASSIONE FLAMENCOTANGO

Atmosfere notturne a Montorio alVomano di Adele Di Feliciantonio

on i loro ritmi e sonorità vivaci e colorate, in un viaggio emozionante e coinvolgente che parte dal cuore di Napoli con la forza espressiva della sua canzone, travalicando i confini nazionali per raggiungere la passione della cultura andalusa del flamenco e la sensualità di quella argentina del tango, i FlamencoTangoNeapolis hanno illuminato la notte montoriese regalando un’atmosfera magica che ha incantato gli spettatori. Il loro già straordinario repertorio di musica, danza e poesia ha ricevuto un ulteriore tocco di fascino grazie alla cornice suggestiva del Chiostro degli Zoccolanti. L’incontro di cinque artisti eclettici e completi con curricula lodevoli, con la collaborazione di altrettanti validi foto: un momento della serata a Montorio al Vomano PrimaPagina 28 - ago. 2012

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ballerini, ha dato vita a questo progetto che sposa tre culture diverse e che sta ottenendo consacrazione e riconoscimento in vari palcoscenici in Italia e anche all’estero. Una formazione artistica che libera estro, creatività e magia superando le barriere del tempo e dello spazio. Quando avete deciso di dare vita a questo progetto originale di musica e danza? Nel 2008 siamo partiti con un progetto prevalentemente musicale che prevedeva interventi della nostra ballerina di flamenco Alessia Demofonti. Più tardi abbiamo deciso di coinvolgere un altro ballerino di flamenco, l’argentino Emilio Cornejo e una coppia di ballerini di tango. Il nome FlamencoTangoNeapolis racchiude il vostro stile assolutamente singolare. L’idea è nata proprio dall’ unione di musicisti che eseguivano questi generi diversi: Salvo Russo la voce e il pianista del gruppo insieme al chitarrista Lucio Ponzone praticavano musica napoletana e flamenco; l’incontro con la violoncellista e cantante Giovanna Famulari e con il chitarrista di tango Massimo De Lorenzi ha generato un sodalizio artistico e una commistione di generi il cui nome Flamencotangoneapolis ne è l’espressione ideale. Lo spettacolo “Encanto” rappresenta un viaggio che parte dai vicoli vivaci di Napoli per approdare nella magia della cultura gitana e la sensualità del tango. Quando eseguiamo le nostre musiche

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pensiamo molto alla tecnica e alla concentrazione necessaria nel trasmigrare da un genere all’altro con disinvoltura, ma soprattutto ci facciamo trasportare dall’emotività che cerchiamo di trasmettere al nostro pubblico. E devo ammettere che in ogni spettacolo riceviamo davvero tanto calore e consensi. Encanto è anche il nome del vostro lavoro discografico che racchiude tutta la poesia che la vostra arte esprime. Per realizzare il nostro cd ci siamo “chiusi” per un mese in studio a scrivere i brani e gli arrangiamenti. Questa grande concentrazione che ci accompagna sempre in ogni nostro lavoro ci permette di dare una forza emotiva a ciò che stiamo facendo…forza che cerchiamo di riproporre e trasmettere dal vivo. Vi esibite in tutta Italia; avete una scuola e organizzate stages. Siete i testimoni che anche un progetto ambizioso e particolare come il vostro può raggiungere la consacrazione del pubblico. Tutti noi insegnando la nostra arte cerchiamo di trasmettere le nostre esperienze e soprattutto l’ amore per la musica e per la danza . I sogni si avverano con il duro lavoro: questo è il nostro credo. Montorio al Vomano è stata travolta e conquistata dal vostro fascino e bravura. Pensate di tornare in Abruzzo? Ci siamo già esibiti molte volte in Abruzzo; speriamo di tornarci presto anche perché questa regione ci ha sempre dato molte soddisfazioni artistiche, e poi il nostro chitarrista di flamenco è aquilano.

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Calda estate di Michele Ciliberti

stronomicamente le stagioni hanno una durata ben precisa e ognuna rappresenta l’intervallo di tempo tra un solstizio e un equinozio o viceversa. Quelle meteorologiche dipendono più che altro da fattori climatici e sono frutto di convenzioni. L’estate, quest’anno, è scoppiata con una grande sorpresa: questa volta non si tratta di crisi o di politica, ma dell’arrivo di un anticiclone che ha portato un’ondata di caldo eccessivo. Si dirà: “L’estate è sempre caratterizzata dalla presenza di un anticiclone”. Vero! La novità, però, non è il fenomeno in sé quanto il nome con cui è stato designato: Scipione! Perché proprio tale nome? Sicuramente per il fatto che proveniva dall’Africa e si è voluto evocare il vincitore della prima guerra mondiale ante litteram: Publio Cornelio Scipione detto l’Africano. Solo tra parentesi: un epiteto del genere era stato dato pure a Emilio Fede che, in virtù della sua propensione a spendere molto, quando era inviato speciale della RAI in Africa, fu soprannominato Sciupone l’Africano. La cosa interessante è che non si tratta solo del vincitore di Zama - c’è pure Virgilio -, ma sono stati scomodati pure altri personaggi, soprattutto della mitologia: Minosse, Caronte, Circe, Ulisse. In attesa di Nerone, qualcuno spera che non arrivi Efesto! Non si sa bene a chi sia venuta in mente l’idea di attribuire nomi mitologici o storici a fenomeni atmosferici, ma il fatto in sé induce a interessanti riflessioni. L’astronomia si è sempre avvalsa della mitologia, si pensi ad esempio ai nomi dei pianeti o di alcune costellazioni (Andromeda, Cassiopea, chioma di Berenice, Pegaso, Centauro, Idra, ecc.) o ancora ai segni dello zodiaco i cui simboli

animali sono tutti legati a personaggi mitologici. Il racconto stesso della “creazione” è mitico, avviene, cioè, per mezzo della parola: Esiodo insegna. Mithos inizialmente, prima che “racconto”, significava “parola”, o meglio “parola creativa”. Infatti la parola stessa diventa mito ovvero racconto della creazione: cosmogonia e teogonia. Nella Bibbia latina la parola creatrice è fiat, il creare dal nulla. Il testo greco, invece, fa riferimento al verbo ghignomai, cioè il generare o il dare origine dalla libera volontà. Il generato, a sua volta, diventa oggetto del raccontare: cosa si può quindi raccontare, se non c’è una parola che dice? E se non ci fosse l’oggetto del racconto (il generato), a cosa servirebbe la parola? Ecco allora che la storia del mito diventa mito della storia, come sosteneva il filosofo Enrico Castelli Gattinara, ossia esiste la parola perché c’è un qualcosa da raccontare e quest’ultimo è generato proprio dalla parola.Tutti i popoli hanno dei miti, cioè degli archetipi che in-

tendono spiegare l’origine di tutto ciò che esiste. Molti di questi racconti, a loro volta, sono comuni a popoli lontani e diversi, come gli eroi fondatori di civiltà che hanno avuto tutti origine dall’acqua: Mosè (= salvato dall’acqua), Romolo e Remo, Gilgamesh. Il mito accomuna popoli e civiltà e, in momenti difficili e di crisi, potrebbe affratellare piuttosto che dividere. Su quest’ultima considerazione bisognerebbe affrontare l’estate mitologica suggerita dai nomi attribuiti a fenomeni e ad eventi climatici. I miti della globalizzazione, cominciati con la cultura cosmopolitica di Alessandro Magno, si sorreggono solo su surrettizi disegni tecnico-razionali destinati a fallire con un contagio anch’esso universale. Teniamoci cari i miti, altrimenti Pluto, reso cieco da Zeus, continuerà a distribuire favori senza discernimento, né verrà, a tempo debito, in soccorso di chi ha bisogno, poiché la sua zoppia lo attarderà più del previsto. L’Ellade l’aveva spodestato, oggi se ne pente.

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a cura di Ivan Di Nino

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OLIMPIADI

ABRUZZO OK di Ivan Di Nino

è qualcosa di magico nelle Olimpiadi: gli atleti di ogni sport sono bravi, dotati, alcuni sembrano perfetti al punto da apparire invulnerabili. I ragazzi sono però esposti, attraversati da sentimenti ed emotività forti, nonché dal talento che per qualche magia rimbalza, restituito a noi poltronieri che facciamo il tifo coi pop corn ed una birra a fianco. Fortunati, raramente felici, a volte sembra restituiscano il loro essere giovani e belli quasi come un dovere, un’espiazione, neanche avessero un conto aperto con se stessi. Anche i trentesimi giochi estivi dell’era moderna sono andati in soffitta. A Londra l’Italia ha chiuso con otto ori, nove argenti e undici bronzi. Le maggiori soddisfazioni, si sa, sono arri-

vate da quegli sports cosiddetti “minori”: la scherma, con ben sette medaglie e quel podio tutto azzurro (De Francisca, Errigo, Vezzali, quest’ultima leggenda dello sport tutto) nel fioretto; il tiro con l’arco con l’oro a squadre maschile, Campriani nella carabina, Giorgia Rossi nel tiro a volo, Molfetta nello sconosciuto taekwondo e Molmenti nel kayak. L’Under 21 di calcio dell’Italia pallonara non si è nemmeno qualificata . Da rilevare l’unica medaglia nel ciclismo da parte di Marco Aurelio Fontana nella mountain bike, che ha percorso gli ultimi cinquecento metri senza sellino. Un guasto fantozziano, una sfortuna di grana grossa. Impalpabile il nuoto, naufragato fra le polemiche, male il setterosa, solo settimo, nella pallanuoto; non bene nemmeno il volley femminile con le ragazze battute ai quarti dalla Corea, di certo non insormontabile.

Sicuramente Valentina Vezzali, Phelps –nuotatore con ventidue medaglie olimpiche!- e Usain Bolt, il velocista giamaicano, sono i volti dell’Olimpiade. La grancassa è suonata per Alex Schwazer, noto marciatore italiano, trovato positivo all’antidoping per aver assunto eritropoietina (EPO). Ognuno ha detto la sua e gl’italiani sono abilissimi nel saltare giù dal carro dei perdenti. Il ragazzo ha sbagliato, l’ha ammesso con tanto di inutile conferenza stampa, ogni volta viene riciclata la sua foto con le mani tra i capelli. La gestione della vicenda, sia dall’entourage del bolzanino che dai mass media non è stata ottimale. Anche Vittorio Visini, pescarese e responsabile dei marciatori dell’arma dei Carabinieri, è stato tanto semplice quanto deciso: “Alex ha sbagliato e pagherà le sue colpe, né più né meno”. Ora basta, però. Daniele Greco-nativo di Nardò, ma pro-

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in PrimaPagina veniente dalla Bruni Val Vomano - è stato ottimo quarto nella finale del triplo (17,34) nonostante il solito infortunio al tendine che lo perseguita da tempo. Splendido terzo posto di Fabrizio Donato appena davanti Daniele. Gianmarco Tamberi –“abruzzese” di Civitanova, anche lui proveniente dalla Bruniha chiuso anzitempo nel salto in alto al 21/ mo posto nella classifica complessiva delle due serie di qualificazioni con 2,21. Daniele Lupo di Roma e Paolo Nicolai da Ortona sono arrivati fino ai quarti di finale del Beach Volley, quando sono stati battuti dagli olandesi Nummerdor e Schuil. Il presidente del Coni, Petrucci, si è detto “soddisfatto” ma l’Italia, seppur chiudendo all’ottavo posto nel medagliere su 204 paesi partecipanti, ha, al solito, dimostrato di non possedere quel sangue blu politico necessario quando si lotta punto su punto ed anche a Londra le ingiustizie verso i nostri atleti non sono mancate. “Che vergogna, che schifo!” così il campione del mondo di pugilato negli anni ’80 Patrizio Oliva ha commentato la vittoria dell’inglese Joshua nei confronti del nostro Cammarelle nella finale dei pesi massimi; il campano è stato infatti battuto dai giudici e non dal suo avversario. Stessa cosa per Vanessa Ferrari nella ginnastica, quarta, e per Tania Cagnotto nei tuffi: la figlia d’arte di cotanto padre si è fermata ai piedi del podio per venti centesimi di voto! Nel volley, durante la finale per il bronzo, sull’1-0 per l’Italia e nel secondo set sul 24-23 per i

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bulgari, l’arbitro ha datoil punto –ed il setalla Bulgaria affermando che l’Italia aveva fatto quattro tocchi. Li ha visti solo lui. Come ha affermato Igor Cassina, ex strepitoso ginnasta, gli italiani devono stravincere, altrimenti, quando ci sono le giurie di mezzo, perdono quasi sempre. Evidentemente né l’avezzanese Pescante, né Manuela Di Centa, entrati nel Cio, hanno saputo far pesare la bilancia non in nostro favore, ma per una giusta imparzialità. Il caso Nardiello, vittima di una incredibile

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ingiustizia alle Olimpiadi di Seul nell’88 – proprio con Pescante a bordo ring- non ci ha insegnato nulla. Buona l’organizzazione degli inglesi, seppur con qualche piccola sbavatura. Male, nel computo generale delle medaglie, la Germania, il Giappone e la Spagna; benissimo gli Usa che si sono ripresi il primo posto nel medagliere a scapito della Cina, l’Inghilterra, terza e più volte favorita da giudici ed arbitri, la Corea del Sud, il Kazakistan e la Francia.


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Telecronache “duplex” di Nicola Di Rocco

ualcuno lo avrà certamente notato. Sicuramente e con qualche fastidio. In questi ultimi tempi nelle trasmissioni sportive va di moda il telecronista coadiuvato da un “commentatore tecnico”, di solito un ex del settore: ex calciatore, ex pilota, ex tennista e via parlando. Non ci sarebbe niente di male se non ci fossero piccoli quanto fastidiosissimi problemi. Oltre al doppio costo dei ‘tecnici’ è il continuo parlare l’uno sull’altro nei momenti cruciali della trasmissione. Risultato: chi guarda e sente da casa non capisce assolutamente niente! Tutto questo, fino a poco tempo fa era prerogativa solo delle trasmissioni politiche. La sagra del caos è stata lampante anche durante le recenti Olimpiadi. Altro punto dolens, la grammatica: in formula 1 si “abortisce” un giro veloce quando i piloti rientrano anzitempo ai box, la velocità di un pilota rispetto a quella di un collega è “molto migliore”(sic!). Il con-

giuntivo e la ricchezza di linguaggio? Sconosciuti! Nessun capostruttura e nessun telespettatore lo fa notare. Ultimamente si sta insinuando anche un modo di fare fin troppo ‘familiare’ che ignora chi ascolta – e paga!- da casa: “Diamo la linea al nostro inviato tal dei tali: ci sono novità Giovanni?” “Sì Patrizia, ci sono!”. Qualcuno, infastidito cambia canale. affermando che non è giusto ascoltare i fatti degli altri… Dicono che sia un metodo mutuato dagli Stati Uniti. Nei telegiornali nazionali e locali il presidente del Consiglio è diventato premier, il presidente della Regione, governatore. Senza colpo ferire abbiamo unito Inghilterra ed America. Sarebbe curioso sapere come la penserebbero i vari Ciotti, Ameri e Carosi passati a miglior vita, ma anche lo stesso Bruno Pizzul, cronista per una vita delle più importanti partite di Coppe, campionati e dell’Italia dei mondiali, da quello messicano del 1986 a quelli coreani del 2002, molto professionale e signorile. Sperare di cambiare qualcosa è sicuramente utopia. E buona informazione a tutti.

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Socializzare a cavallo Intervista a Giuseppe D’Andrea, fotografo D’Andrea professionista e da sette anni istruttore di equitazione

di Matteo Lupi

ome si decide di diventare istruttori di questa disciplina? Per passione. Io volevo apprendere bene come trattare i cavalli. E dato che la nostra terra è avara di maestri, sono stato costretto a sentire diverse campane e ho potuto mettere a fuoco una mia personale visione, lo dico con tutta l’umiltà del caso. E di conseguenza è diventato anche lei maestro. No, il fatto di diventare maestro è dovuto ad una necessità, non una conseguenza. Perché una necessità?

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L’equitazione come momento per socializzare. Visto che tutti siamo sempre presi dal telefonino o dal computer, sarebbe bello che i giovani si ricordassero che vi sono altri metodi per interagire.. A proposito, come è attrezzato il territorio teramano? Paghiamo un gap con altri territori e non abbiamo una zona equestre, per questo chi monta a cavallo lo fa perché si diverte. L’investimento più grosso lo deve fare il docente, per poter trasferire l’insegnamento alle orecchie di chi ascolta. Anche per fare una semplice passeggiata ci vuole un minimo di preparazione, come per

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la macchina o il motorino, e la preparazione prevede una crescita, per far vivere in un giusto equilibrio cavallo e cavaliere Questo equilibrio è essenziale anche nell’ippoterapia. E’ un tipo di terapia molto importante, sia per l’allenamento che per la riabilitazione. E’ necessario investire in questo tipo di cure, e che si mettano dei paletti: chi non è perfettamente motivato non deve farlo. In questo caso, ancora di più, conta l’aspetto formativo. La crisi ha investito anche il vostro campo? A me personalmente ha toccato marginalmente, perché io faccio questo mestiere solo per hobby, ma so di colleghi che hanno avuto una contrazione economica netta, soprattutto per quanto riguarda l’iscrizione all’attività agonistica, l’organizzazione delle trasferte e i costi relativi al cavallo. Perché un ragazzo dovrebbe iscriversi ai vostri corsi, invece che a calcio o a nuoto? Calcio e nuoto sono sport di squadra, col cavallo si è soli, bisogna sapersi prendere la responsabilità nell’avere a che fare con un altro essere vivente, un animale. Solo chi è affascinato da questo animale e ha tenacia nel continuare riesce a fare equitazione. Tutto questo può sembrare assurdo, ma se tutte le nazioni sono competitive in questo campo e noi non abbiamo neanche avuto una rappresentativa alle Olimpiadi ci sarà un motivo.


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Uno studio americano ha evidenziato che benzina, gpl, gasolio e metano resisteranno fino al 2050

Nessuna alternativa ai carburanti di Antonella Lorenzi

opo l’ormai classico aumento del carburante di ferragosto, molti di chiedono se finirà mai il monopolio della benzina. La definizione di carburante è: “combustibile capace di dare, una volta mescolato intimamente con l’aria, una miscela infiammabile, prevalentemente usato per alimentare motori a combustione interna. I carburanti possono avere stato gassoso, come il metano, oppure liquido come la benzina e il petrolio. Da uno studio commissionato dal Dipartimento per l’ Energia degli Stati Uniti all’

US National Petroleum Council, è emerso un particolare che sotto certi aspetti ha dell’inquietante: i motori a benzina, gpl, gasolio e metano manterranno la leadership fino al 2050. Nonostante coloro che auspicano che le energie alternative prendano il posto di quelle tradizionali, ovvero che le auto elettriche diventino la stragrande maggioranza o addirittura soppiantino le auto tradizionali entro il 2020, la vita della benzina e del diesel sembrano ancora lunghe, ma soprattutto pesanti per le tasche dei consumatori. Secondo lo studio condotto negli Usa, i

motivi che condurranno ad un così lento avanzamento delle auto elettriche o a celle di idrogeno, sono da inquadrare, come ogni cosa, nelle spese ed aumento dei costi per lo sviluppo delle necessarie infrastrutture e reti di ricarica adeguati, che vanno potenziate quando non create. L’indagine, tra l’altro, ha evidenziato come combustibile maggiormente candidato a superare il petrolio nella mobilità privata Usa sia il gas naturale: a condizione che le compagnie non facciano cartello e mantengano i costi per i consumatori relativamente bassi.

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Dalle organizzazioni no-profit all’Impresa Sociale di Laura Di Paolantonio Dottore Commercialista

egli ultimi tempi le organizzazioni no-profit si sono imposte all’attenzione della realtà economica, e di conseguenza, di giuristi ed economisti. Hanno vissuto un passaggio da attività marginali ed economicamente poco rilevanti, ad attività che contribuiscono in maniera notevole al sostentamento e alla crescita del tessuto economico. Molte delle nuove organizzazioni no-profit hanno assunto un ruolo produttivo dal carattere imprenditoriale. Le organizzazioni no-profit sono di cinque tipi, sono organizzazioni private che operano senza fini economici, ma con finalità solidaristiche, esse sono le non governative (leg. 49/1987), quelle di volontariato (leg. 266/1991), le cooperative sociali (leg. 381/1991), le fondazioni ex bancarie (leg. 461/1998) e le associazioni di promozione sociale (leg. 383/2000). Ma ad oggi si parla sempre più di Impresa Sociale. Prima di provare a dare una definizione delle caratteristiche, degli obiettivi e delle prospettive dell’ Impresa Sociale, è opportuno evidenziare il percorso evolutivo che ha portato al passaggio da organizzazioni no-profit a Impresa Sociale. La realtà delle organizzazioni (nate dalla volontà di alcuni, che in collaborazione con gli enti locali, perseguivano obiettivi di solidarietà, mancando totalmente di

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ritorno economico) dai più è stata letta ed interpretata in maniera diversa, vedendo nelle stesse solo un mezzo per ottenere vantaggi fiscali, e quindi come strumenti elusivi; “realtà prive di valore economico”. In questo modo sono venuti meno i principi che regolano, caratterizzano e guidano gli enti no-profit, ma contestualmente si è continuato a ritenerle prive di interesse per l’analisi economica. Interpretando in maniera positiva le organizzazioni no-profit, cercando di capire se l’esistenza e lo sviluppo siano conseguenza del possesso di specifici vantaggi competitivi. Il settore no-profit è caratterizzato, in prevalenza, da piccole organizzazioni le quali ricorrono al volontariato, mancando di facoltose donazioni (come invece avviene in USA), e sono caratterizzate da stretti rapporti con le amministrazioni locali, per soddisfare la richiesta di servizi sociali. La crescita di domanda di servizi di utilità sociale, la differenziazione dei servizi offerti, la concorrenzialità tra le stesse organizzazioni ha aperto spazi per lo sviluppo di forme no-profit volte a erogare servizi di utilità sociale contando su un’organizzazione aziendale ed uno spirito imprenditoriale che mancava alle prime organizzazioni. Si comincia così a disegnare la figura dell’Impresa Sociale. Con il concetto di Impresa Sociale si

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vogliono individuare le organizzazioni la cui caratteristica è volta a combinare la natura imprenditoriale, con i suoi connotati di volontarietà, autonomia, rischio e propensione all’innovazione, con la produzione di un servizio a favore della comunità. Le stesse sono caratterizzate da un tessuto organizzativo di tipo aziendale, dalla prevalenza di un’attività volta alla produzione di beni e/o servizi in forma continuativa; da un elevato grado di autonomia nelle scelte e nella gestione aziendale; significativo livello di rischio economico, in quanto l’assetto proprietario assume direttamente il rischio di impresa, impegnando risorse finanziarie proprie o ricorrendo a capitali di terzi, sia il proprio lavoro e il relativo investimento in capitale umano, infatti a fianco al volontariato si sta sempre più ampliando la forza lavoro remunerata. La dimensione della socialità è definita in relazione all’organizzazione, le imprese sociali sono impegnate a realizzare attività che apportino benefici alla comunità, piuttosto che un profitto ai proprietari. Le imprese sociali possono parzialmente rispettare il vincolo di non distribuzione di utili, ammettendo, come nel caso delle cooperative sociali che una parte limitata dei profitti possa essere distribuita ai soci al fine di remunerare l’apporto di capitale di rischio o di incentivare l’impegno nello svolgimento dei compiti assegnati; sotto l’aspetto squisitamente gestionale le imprese sociali favoriscono una dinamica partecipativa, il coinvolgimento di diversi stakeholder e l’assenza di proporzionalità tra il diritto di voto e il peso delle decisioni interne ed il capitale sottoscritto. Le imprese sociali inoltre possono generalmente contare su sussidi e risorse non commerciali di provenienza pubblica e donazioni private. Se queste sono le caratteristiche dell’Impresa Sociale, da qui bisogna iniziare un percorso che mira a renderle strumenti attivi per la crescita e l’evoluzione nel tessuto economico, allo stesso tempo tutelare e valorizzare i principi sulle quali le stesse sono nate, ma contestualmente dotarle di norme ed interpretazione utili per la gestione delle stesse, ad oggi è leggera, ancora, l’importanza che questi organismi hanno assunto sotto il profilo sociale, aziendale, economico ed imprenditoriale


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Doveri nei confronti dei figli:

mantenimento, istruzione, educazione e … affetto di Gianfranco Puca Avvocato, Mediatore Professionista

art. 147 cc indica l’elenco dei doveri dei genitori nei confronti dei figli, che prevede il mantenimento, l’istruzione e l’educazione. Si tratta di concetti abbastanza noti e conosciuti, e la giurisprudenza ha contributo non tanto a specificarne il contenuto (di per sé abbastanza semplice ed intuibile) ma ad indicarne i limiti che il codice civile non prevedeva. Pensiamo ad esempio, al dovere di mantenimento, che implica la necessità, per i genitori, di sostenere economicamente i figli in relazione alle loro necessità per una adeguata crescita; nel codice non vi è una indicazione della scadenza, del termine massimo di tale obbligazione, e la giurisprudenza ha chiarito che esso non cessa con il raggiungimento della maggiore età del figlio, ma solo con il raggiungimento della indipendenza economica da parte del figlio, a meno la mancanza di autosufficienza derivi da un atteggiamento colpevole del figlio (che non si impegna a trovare un’occupazione, oppure rifiuta offerte di lavoro). Il dovere di istruzione è connesso alla frequentazione della scuola da parte dei figli; i genitori devono garantire ai figli la possibilità di frequentare anche la scuola secondaria e l’università, se sussistono le condizioni economiche e se il figlio ha capacità ed interesse per gli studi. Il dovere di educare, a differenza di quello di mantenere, si esaurisce con la maggiore età del figlio, e consiste nella trasmissione di quei valori etici e morali che permetteranno al figlio, una volta raggiunta la maggiore età, un corretto inserimento nella società civile. Accanto ai tre doveri sopra evidenziati, la giurisprudenza, ha elaborato un vero e proprio dovere di “cura e affetto” nei confronti dei figli che, evidentemente, va ben oltre il mantenimento, l’istruzione e l’educazione degli stessi; questo dovere è stato elaborato evidenziando delle “patologie” del rapporto tra genitori e figli, vale a dire delle situazioni particolari che producevano un danno ai figli.

Una tra le prime sentenze in tal senso ha evidenziato la figura della “privazione della figura genitoriale”, individuata nella ipotesi in cui il genitore si disinteressa del figlio sin dalla sua nascita, proseguendo nel suo disinteresse anche quando il figlio, ormai maggiorenne, ha rintracciato il genitore. La sentenza partendo dal presupposto (forse banale ma molto significativo) che la procreazione non è un mero fatto materiale come accade in buona parte del regno animale, e che i genitori, per il sol fatto della

il disinteresse di un genitore nei confronti di un figlio sin dalla nascita produce nel figlio un danno esistenziale costituito dalla mancanza di uno sviluppo sereno ed equilibrato ...

procreazione, sono tenuti ad adempiere ad una serie di obblighi, ha specificato che il disinteresse di un genitore nei confronti di un figlio sin dalla nascita produce nel figlio un danno esistenziale (valutato in via equitativa) costituito dalla mancanza di uno sviluppo sereno ed equilibrato (ved. Tribunale Venezsia, 30.6.2004). Altre sentenze di merito hanno condannato il genitore non solo al mantenimento dei figli non autosufficienti economicamente (e fin qui la sentenza non ha valore di novità in quanto il mantenimento è obbligo ex lege) ma anche e soprattutto riconoscendo un risarcimento del danno da deprivazione genitoriale, in quanto il Giudice ha stabilito che il mancato adempimento all’obbligo di sostenere economicamente il figlio implica anche la mancanza di affetto e cura, che produce un danno nella crescita equilibrata dei figli (ved. Tribunale Messina, 31.8.2009). In conclusione il dovere di “affetto e cura” dei genitori verso i figli, evidenziato dalla giurisprudenza nelle sentenze citate, altro non è che il riconoscimento del diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata, così come già attestato da numerose convenzioni internazionali in tema di diritti dei fanciulli.

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Tumore della mammella

Diagnosi precoce Dr. Claudio D’Archivio

Specialista in Radiodiagnostica e Scienze delle Immagini

risultati delle ultime indagini statistiche hanno riportato un generale aumento dell’incidenza di tumore della mammella; in Italia questa malattia viene diagnosticata a più di 31.000 donne ogni anno. Essa colpisce una donna su dieci nel corso della vita ed è la causa principale di morte in donne di età compresa tra i 45 e 65 anni. Evento eccezionale sotto i 20 anni di età, raro tra 20 e 29 anni, diviene via via più frequente dopo i 30 anni, raggiungendo il picco nel periodo menopausale e post menopausale. Oltre all’età, altri importanti fattori di rischio di tumore della mammella sono: familiarità, menarca precoce, menopausa tardiva, nulliparità e gravidanza tardiva. A fronte di un aumento di incidenza della malattia, la mortalità a causa di essa è in diminuzione del 30 – 50%, grazie alla maggiore efficacia della terapia nei casi in cui viene effettuata una diagnosi precoce alla quale è possibile giungere attraverso un iter specifico utilizzando metodiche e strumentazioni ottimali. L’autopalpazione del seno, o la palpazione effettuata dal medico, fondamentale per la ricerca di nodulazioni di dimensioni superiori ad 1 cm, può rappresentare un primo passo, ma la vera diagnosi precoce sta nel trovare lesioni microscopiche o comunque non palpabili; pertanto sono necessari altri mezzi per individuare formazioni di così piccole dimensioni. Una metodica sicuramente importante nella diagnosi precoce del tumore della mammella è l’ecografia, eseguita a completamento dell’esame mammografico nel seno denso o, da sola, nelle donne di età inferiore a 35-40 anni. Altrettanto importante e, in certi casi, fondamentale è la mammografia. Alcuni studi mostrano che le mammografie sono in grado di individuare i tumori del seno fino a tre anni prima che questi possano essere rilevati mediante la palpazione, migliorando notevolmente la prognosi delle pazienti. La diagnosi precoce del cancro della mammella consente, inoltre, di poter scegliere fra una gamma più ampia di trattamenti,

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fra cui interventi chirurgici meno invasivi e l’utilizzo di altre terapie coadiuvanti. La mammografia viene eseguita da un tecnico

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Sicuramente importante nella diagnosi precoce del tumore della mammella è l’ecografia, eseguita a completamento dell’esame mammografico nel seno denso nelle donne di età inferiore a 35-40 anni

specializzato. Il tessuto mammario è sensibile, come tutti i tessuti, alle radiazioni; è quindi importante che la dose sia la più bassa possibile, visto anche l’alto numero di controlli da effettuarsi nel tempo. E’ in commercio da qualche tempo il sistema Microdose Mammography che consente l’acquisizione di immagini eccellenti per il rilevamento di potenziali anomalie mediante l’utilizzo di basse dosi di radiazioni; l’innovativo supporto per il seno, ergonomico e riscaldato, ed il processo rapido ed efficace di acquisizione rendono indolore l’esame mammografico e più solerti le donne nella prevenzione. Di questo sistema si doterà a breve il Centro Diagnostico D’Archivio al fine di garantire un iter diagnostico icastico e non invasivo. In definitiva il tumore della mammella potrebbe non essere più la principale causa di morte nelle donne se solo si eseguissero, precocemente ed in modo routinario, esami mammografici e/o ecografici ma, purtroppo, ancora oggi, a farlo è solo il 20% delle donne italiane.


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CURA A COSTO ZERO Il semplice metodo dell’ odontoiatra Gino Galiffa Galiffa, per dormire corretto e prevenire gravi patologie a Sindrome da Decubito Mandibolare non esisteva nella letteratura scientifica. Fu coniata circa 20 anni fa dal dottor Gino Salvatore Galiffa, odontoiatra teramano, per descrivere uno studio, da lui condotto, per la cura delle patologie dentali, che lo ha portato a importanti conclusioni pubblicate su riviste scientifiche internazionali e raccolte anche in libro. Ma quali sono queste considerazioni? “L’essenza di questa scoperta – sostiene il dott. Galiffa- è nell’aver intuito l’importanza della deglutizione spontanea per la salute dell’apparato masticatorio e del sistema posturale. Il decubito sulla mandibola, ovvero dormire a pancia in giù, ostacola violentemente una deglutizione spontanea fluida e corretta, e le conseguenze possono essere piorrea, bruxismo, dolori, cefalee e persino acufeni e vertigini. Quindi dormire in posizione corretta, senza gravare sulla

Chi è Laureato in medicina e chirurgia all’ univertità la Sapienza di Roma e Specializzato in odontostomatologia e Protesi dentaria. Specializzato in O.R.L e Patologia cervico-facciale presso l’Università Cattolica di Roma. Già Responsabile della Sezione di Odontostomatologia dell’ Ospedale Civile “Mazzini” di Teramo. Ha pubblicato la Sindrome da Decubito mandibolare su Dental Cadmos 3/92 pagina 64.

mandibola può guarire diverse patologie.” Come è arrivato a questa conclusione? “Mi sono state di aiuto le nozioni apprese per la specializzazione in otorino e ho iniziato a raccogliere dati clinici e anamnestici dei miei pazienti, secondo il metodo scientifico. In condizioni di riposo e assenza di patologie, la mandibola è centrata,

bilanciata e i muscoli rilassati. I denti non sono a contatto. Ogni 4 minuti circa, durante la veglia (e così pure nel sonno) per tutta la vita, si attiva automaticamente la deglutizione spontanea, un atto riflesso, inconscio, incondizionato. Ma questo atto può realizzarsi solo se la mandibola è libera di muoversi e portare i denti a contatto giusto, in armonia anatomica e funzionale all’apparato masticatorio. Il comune denominatore dei pazienti da me osservati era la posizione prona assunta nel sonno. Da qui l’intuizione che dormire facendo gravare il peso del corpo su un solo lato, sbilancia la mandibola e spinge i denti contro gli antagonisti. Questi ostacoli impediscono di fatto la deglutizione spontanea e sviluppano tensioni muscolari, bruxismo, spasmi e piorrea, quest’ ultima favorita dalla ridotta circolazione sanguigna”. Quali sono le cure? “Il decubito prono, cioè la postura a faccia in giù è la causa di tante sofferenze, che non possono guarire con medicine, bite o interventi chirurgici, se non si elimina il trauma da decubito sulla mandibola. Ciò può avvenire solo correggendo la posizione nel sonno, quindi si tratta di una cura estremamente semplice e per di più a costo zero. Come possono testimoniare le numerose dichiarazioni di ex pazienti, raccolte nel corso degli ultimi 20 anni. Forse proprio la semplicità della soluzione e l’assenza di un mercato farmaceutico dedicato sembrano tenere a distanza il mondo medico da questa scoperta, che ancora, a mio avviso, non viene adeguatamente sostenuta, incoraggiata e diffusa dalla scienza ufficiale. Non ultimo il Ministero della Salute, che mai come in questo momento congiunturale dovrebbe invece prenderne atto, magari studiando un vero e proprio protocollo di sperimentazione e applicativo, perché la corretta informazione sulla prevenzione e terapia a costo zero realizzano il diritto di tutti alla salute e al benessere psicofisico”. Mi.Ca. PrimaPagina 28 - ago. 2012

foto: in alto posizioni errate per riposare; in basso posizioni corrette da assumere nel sonno

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OSSIGENO IPERBARICO PURO Dr. Vittoria Dragani

Specialista in Igiene e Medicina Preventiva

L’Ossigeno Iperbarico Puro è un trattamento non invasivo che, associato a sieri ad alta concentrazione di principi attivi, a base di acido ialuronico, vitamine ed aminoacidi, permette, già dopo una sola seduta indolore e svolta nel più assoluto relax, di: • Ridurre visibilmente i segni del tempo agendo sulle rughe e ridefinendo i contorni del viso; • Ossigenare in profondità la

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cute conferendole un aspetto luminoso e sano; • Favorire l’equilibrio e l’idratazione profonda della cute; • Levigare e rendere elastica la pelle del viso, collo, decolleté e mani; • Stimolare la produzione di fibrina, elastina e collagene; • Riattivare il microcircolo ed il metabolismo delle cellule incrementando la tonicità dell’epidermide.

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Lash extention, sguardo magnetico

di Marcella Calvarese

rriva dall’America il nuovo trend di bellezza. Si chiama lashextention ed è l’ultima mania in fatto di ciglia lunghe e folte. Un successo che sta conquistando anche l’Europa. Le lashextention sono un prodotto naturale, sono ciglia in seta, martora o fibra di cotone, di diversi colori e lunghezze, che vengono applicate una per una sulle ciglia naturali e non vanno assolutamente confuse con le più diffuse ciglia a ciuffetti. L’effetto è strepitoso: sguardi intensi e sensuali. Con questa nuova tecnica lo sguardo diventa irresistibilmente magnetico e non c’è più bisogno di utilizzare il mascara. Cerchiamo però ora, di fare chiarezza e dare risposte a quelle che sono sicuramente le domande più frequenti: Quanto durano le extention? -Si staccano

con la ciclica caduta delle ciglia essendo applicate ad esse. Da 30 a 120 giorni è la durata di un ciglio, ogni 30 o 60 giorni si potrebbe re-intervenire con un ritocco per rimpiazzare le ciglia cadute. Le ciglia naturali subiscono danni? -Con questo tipo di applicazione non si va a creare alcun danno alle ciglia naturali, certo è che bisognerebbe evitare di stropicciarsi gli occhi. Per le bionde inoltre, è bene prevedere una tintura delle ciglia prima di procedere all’applicazione di extention scure , perché bionde non esistono. A chi non è consigliato? -Non è consigliabile effettuare questo tipo di trattamento a chi ha perso completamente le ciglia a

causa di una patologia (alopecia universale o madarosi). Le extention hanno infatti bisogno di poggiare su ciglia vere, per chi accusa solo un diradamento è quindi consigliato e consigliabile. E’ possibile mettere il mascara? -Il mascara non servirà più, anzi, sarebbe meglio farne a meno; questo in sé non crea problemi alle extention, quello che può ridurre la durata del lavoro è lo struccarsi. I prodotti demakeup e il gesto di strofinare sono infatti sconsigliati. L’utilizzo dell’ombretto non è controindicato, ma la raccomandazione è di usare la dovuta cura mentre si struccano le palpebre. Pronte a sfoderare la vostra nuova arma di seduzione?

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Un kiwi contro lo stress

di Alessandro Tarentini

Italia non è solamente la terra di ottimi vini e formaggi rinomati in tutto il mondo. ma anche il maggior produttore mondiale del cosiddetto oro verde: il kiwi. Anche se secondo i dati dell’ultima stagione risulta un calo produttivo del 20-25%, il raccolto si è attestato sulle 447.600 tonnellate, superando di molto paesi come la Cina e la Nuova Zelanda. Il 70% della produzione italiana viene comunque esportata nei paesi dell’Unione Europea, tra cui Germania, Spagna, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio e Polonia. Di un certo interesse, soprattutto in prospettiva, sono alcuni paesi al di fuori dei confini europei, come Cina, Messico, Corea del Sud e Giappone, che potrebbero rappresentare ottimi mercati se non fosse per alcune barrieri commerciali che non permettono una penetrazione del mercato. Si può quindi comprendere perché il kiwi sia un prodotto di grande importanza per l’agricoltura italiana e per l’intero comparto ortofrutticolo e, secondo alcuni esperti del settore, deve assolutamente essere preservato e implementato. In Italia, le regioni più produttive sono il Lazio con 149.785 tonnellate previste, il Piemonte con 128.107 e, al terzo posto, l’Emilia Romagna con 75.943 tonnellate. La varietà principale è la Hayward, una bacca ricoperta da peluria, la polpa è di un verde caratteristico, punteggiata di minuscoli

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semi, violacei o neri, disposti intorno a un cuore biancastro. Anche se recentemente è stato introdotto una varietà di kiwi con aroma tipo ananas. Il risultato è un frutto meno acido e più acquoso dell’originale, con polpa gialla e buccia più spessa. Il sapore ricorda vagamente quello della varietà Hayward, mentre il sapore di ananas è più marcato. Il kiwi è ricchissimo di vitamina C. Un solo frutto può soddisfare il fabbisogno giornaliero del nostro organismo. La quantità presente, 85 mg per 100 g di parte edibile, è superiore, infatti, a quella delle arance (50 mg). Grazie a questa proprietà il kiwi è molto utile per prevenire e curare raffreddore e influenza, rinforzare il

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sistema immunitario, combattere l’anemia e le conseguenze della dieta vegetariana, proteggere e purificare il corpo dagli effetti dei radicali liberi e dai composti chimici tossici come i nitrati, i nitriti e le sostanze chimiche prodotte nella preparazione degli alimenti e durante la digestione. Il kiwi è ricco di fibre, potassio, calcio e fosforo che svolgono un’azione protettiva sulle ossa, prevenendo o aiutando a combattere l’osteoporosi. Inoltre, la ricchezza di minerali, quali il magnesio e il ferro, e la minima quantità di sodio rendono il kiwi un vero e proprio tonico contro lo stress quotidiano, consigliato per chi soffre di un’elevata pressione arteriosa.


quattro zampe

Prevenzione e cura della Leishmaniosi di Piero Serroni Veterinario

a leishmaniosi è una malattia infettiva (parassitaria) a carattere zoonosico, causata da protozoi del genere Leishmania. L’infezione colpisce prevalentemente i mammiferi (uomo, canidi e roditori). Nell’uomo è trasmessa unicamente dal vettore invertebrato, ossia il flebotomo. La diffusione della malattia risulta influenzata da molti fattori: ambiente, clima, condizioni socio-sanitarie. La malattia è endemica in Italia centromeridionale, ma le numerose segnalazioni di casi di leishmaniosi canina provenienti da aree tradizionalmente ritenute indenni (anche dell’Italia settentrionale), portano alla conclusione che in pratica non esistono zone che possano essere considerate completamente sicure. Nonostante la presenza dei flebotomi nel periodo maggio-ottobre, la malattia non assume un carattere di stagionalità perché il lungo periodo d’incubazione varia da un minimo di 1 mese ad un massimo di 4 anni. Risultano più colpiti i cani adulti, senza distinzione di sesso, razza, lunghezza del pelo, che vivono in ambiente esclusivamente o prevalentemente extradomestico. Nel cane la malattia si manifesta quasi esclusivamente nella forma generalizzata, detta anche «viscero-cutanea». La forma tipica è quella cronica dove il quadro sintomatologico risulta molto vario; all’inizio spesso si assiste ad un lento ma progressivo dimagrimento con appetito “capriccioso” (può essere aumentato o diminuito), accompagnato da lesioni cutanee. Uno dei primi segni osservabili è una certa rarefazione del pelo che può talvolta interessare tutta la superficie corporea (ma in particolare la testa e zona intorno agli occhi): la pelle si presenta poco elastica, secca, a volte ispessita, e ricoperta da forfora. La dermatite furfuracea rappresenta uno dei segni caratteristici della malattia. Le aree depilate possono presentare delle zone squamo-crostose, delle erosioni ed infine delle ulcere, ribelli ad ogni cura locale.Altra lesione caratteristica e presente nella maggior parte dei casi è la crescita abnorme delle unghie (onicogrifosi) quasi a forma di

artigli. L’onicogrifosi, lo scadimento organico ed il tipico segno rappresentato dalla presenza di alopecia periorbitale bilaterale (segno degli occhiali) fanno assumere all’animale il tipico aspetto di cane vecchio. Le mucose (gengivale, nasale, congiuntivale, ecc) si presentano generalmente pallide; nella mucosa nasale si possono formare delle ulcere che determinano sanguinamento dal naso, di solito monolaterale ed intermittente. La maggior parte dei soggetti con lesioni cutanee presenta anche una congiuntivite cronica; nei casi gravi si possono notare anche fenomeni di cheratite con opacamento corneale. Molto frequente è anche l’uveite anteriore (infiammazione della tunica media dell’occhio) che può portare allo sviluppo di glaucoma. Altri segni generali di malattia che divengono gradualmente sempre più gravi sono: dimagrimento progressivo che si accentua fino alla cachessia; linfoadenomegalia (aumento di volume dei linfonodi) generalizzata; abbattimento generale e sonnolenza che vanno anch’essi aumentando col passare dei giorni. Il coinvolgimento dell’apparato muscoloscheletrico può determinare delle zoppie. La poliuria (produzione di urina in quantità superiori alla norma) e/o polidipsia (aumento della sete) possono essere indicative di un danno renale: circa la metà dei cani leishmaniotici (49,5 %) ha una patologia renale. L’anemia è frequente. Sono state anche riportate lesioni a livello uterino nella cagna, responsabili di aborto nella fase avanzata della gravidanza. Nelle rare forme acute il quadro clinico è più grave: inizia con febbre elevata ed abbattimento generale seguiti dalla morte in pochi giorni. Molti dei suddetti segni clinici sono comuni anche ad altre patologie, e quindi non sufficienti per emettere una diagnosi. Occorre procedere ad esami specifici che consentano di diagnosticare con certezza la leishmaniosi, e andrebbero anche eseguiti esami aspecifici per valutare eventuali sofferenze di organi o apparati. Ad oggi non è ancora disponibile un farmaco risolutivo ed i trattamenti sono spesso lunghi, costosi ed inefficaci. Indubbiamente

la risposta alla terapia è migliore e più efficace quando il cane è ancora senza sintomi, in modo da evitare l’evoluzione della patologia in forme gravi. Purtroppo nella pratica clinica quotidiana il proprietario conduce alla visita il cane quando si accorge che c’è qualcosa che non va. Sarebbe opportuno, quindi, soprattutto nelle aree endemiche, procedere ad un controllo annuale per verificare se il nostro animale sia venuto a contatto o meno con la Leishmania, in quanto è di fondamentale importanza diagnosticare la malattia quando i segni clinici sono ancora lievi o addirittura non evidenti. Un ruolo decisivo è occupato dalla prevenzione: hanno un’importanza fondamentale gli antiparassitari da applicare direttamente sul cane, presidi che debbono avere un’azione insetticida e repellente; esistono in commercio formulazioni spot-on, spray o collari (che il veterinario saprà consigliare in base all’animale ed alla taglia) ed integratori alimentari con effetto repellente. Da pochi mesi, inoltre, è in commercio anche un vaccino il cui utilizzo non trova però concordi tutti i medici veterinari.

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servito

Risotto alla pescatora Ingredienti (per 4 persone) 320 gr di riso, 500 gr di cozze, 500 gr di vongole, 500 gr di gamberi, 500 gr di calamari, 250 ml di brodo, 1/2 bicchiere di vino bianco, 1 spicchio d’aglio, olio extravergine d’oliva, prezzemolo, sale, pepe Preparazione Pulire accuratamente le cozze. Far spurgare le vongole lasciandole per un paio d’ore

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in abbondante acqua salata. Cuocere le vongole e le cozze separatamente. Coprire e far cuocere a fiamma alta per qualche minuto, in modo da far aprire le cozze e le vongole. Quando le cozze e le vongole saranno pronte, togliere i molluschi dal guscio e metteteli da parte, quindi filtrare il loro brodo di cottura e tenerlo da parte per la preparazione del risotto. Pulire li calamari togliendo le interiora e sciacquare sotto l’acqua corrente. Staccare e spellare le sacche ed eliminare la parte con gli occhi. Far rosolare in un’ampia padella uno spicchio d’aglio e qualche cucchiaio d’olio,

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aggiungere i gamberi precedentemente sgusciati ed i calamari tagliati, quindi far rosolare per un paio di minuti. Nella stessa padella aggiungere il riso e farlo tostare, sfumando a piacere con il vino bianco. Ricoprire il riso con il brodo e con l’acqua filtrata dei frutti di mare. Aggiungere quindi i frutti di mare quando il riso sarà oramai pronto e completare la cottura facendo cuocere ancora qualche minuto, prima di aggiungere il pepe e il prezzemolo tritato. Togliere dal fuoco, mantecarlo con un cucchiaio di legno e servire nei piatti guarnendo a piacimento con prezzemolo.


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