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Proprietà DIRETTORE RESPONSABILE

GERENZA Enrico Santarelli TIZIANA MATTIA direzione@primapaginaweb.it

Edito da E.C.S. Editori srl Redazione e Amministrazione PUBBLICITÀ Graphic designer impaginazione:

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Supporto web 24 Aprile 2012

STAMPA

Hanno collaborato

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I nuovi “Mostri” Atterriti dalla paura del domani, dalla precarietà dei sentimenti, dall’indifferenza dei simili, ci siamo inventati effimeri (e spesso pericolosi) sistemi di annacquamento del dolore.

Attualità

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LUCI E OMBRE DI UN SUPER POTERE ALL’ITALIANA

Clementina Berardocco Coralba Capuani Mira Carpineta Lorenzo Censoni Michele Ciliberti Mattias Cocco Mauro Di Diomede Adele Di Feliciantonio Ivan Di Marcello Valter Di Mattia Laura Di Paolantonio Ivan Di Nino Gabriele Irelli Vincenzo Lisciani Petrini Antonella Lorenzi Matteo Lupi Alessio Macaluso Cristiane Marà Giuseppina Michini Daniela Palantrani Jessica Pavone Gianfranco Puca Mariangela Sansone Pierluigi Spiezie Alessandro Tarentni Maurizio Testardi Lidia Undiemi

Nella cassaforte del sindacato di Ivan Di Nino DISTRIBUZIONE

Territioro

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ArtiGraficheCelori - Tr - Umbria

Sail Post Agenzia Teramo 1 UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

COLLEATTERRATO BASSO

“Il campo c’è ma non si vede...”

La responsabilità delle opinioni espresse negli articoli pubblicati è dei singoli autori, da intendersi libera espressione degli stessi. Alcune collaborazioni sono gratuite.

di Mira Carpineta

L’editore ha compiuto ogni sforzo per contattare gli autori delle immagini. Qualora non fosse riuscito, rimane a disposizione per rimediare alle eventuali omissioni

Sociale

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Le informazioni, testi, fotografie non possono essere riprodotte, pubblicate o ridistribuite senza il consenso dei titolari dei diritti.

QUALI SONO LE DIFFICOLTÀ DI UNA FAMIGLIA TIPO

Vita in tempo di crisi di Coralba Capuani

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L’Arte in casa

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Avventure di un maestro di muisca

di Mariangela Sansone

di Vincenzo Lisciani Petrini

Per i vostri quesiti ai nostri esperti redazione@primapaginaweb.it tel/fax 0861. 250336

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Giovane Mountain bike di Maurizio Testardi

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“Esplorare per conoscere” In copertina:

di Adele Di Feliciantonio

I NUOVI MOSTRI

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Il bacino in primo piano

(foto: free royalty from internet)

n. 24 anno 3 apr. 2012

di Valter Di Mattia PrimaPagina 24 apr. 2012

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risposta

Gent.le redazione, quello che è successo a L’Aquila il 6 aprile del 2009 non è facilmente comprensibile a chi, pur dotato di grande sensibilità, non ha vissuto quel tragico evento. Non è possibile, difatti, comprendere nella sue vera essenza cosa significa la totale scomparsa di un’intera città, peraltro capoluogo di Regione, in una manciata di secondi. Tale situazione di completa devastazione, purtroppo, tranne pochissimi e minimali interventi, continua a persistere nel centro storico dell’Aquila, a tre anni di distanza da quella fatidica data. Per resistere ci vuole una forza d’animo che può trovare origine solo in radici antiche, nei padri che ci hanno preceduto, donandoci inconsapevolmente un Dna che ci rende capaci di affrontare e superare con forza e fierezza le avversità della natura. Non è possibile pensare che un disastro tanto immane possa essere risolto solo dalle istituzioni (locali, regionali o nazionali). Certo, a loro va il compito più gravoso, ma anche i cittadini devono adoperarsi con ogni sforzo, secondo le proprie possibilità, per contribuire alla ricostruzione. Per questo motivo abbiamo costituito il gruppo aquilano di azione civica “Jemo ‘nnanzi”, che ha un obiettivo ben preciso: l’impegno civico per dare un contributo concreto, senza polemiche, in sinergia con le Istituzioni preposte, con i cittadini, con altre associazioni, alla ricostruzione. Il gruppo è nato spontaneamente, aggregandosi già dopo le prime ore di quel fatidico 6 aprile, per il tramite di sms che il sottoscritto mandava ai vari amici aquilani sfollati in ogni dove ed al giornalista Angelo De Nicola, che provvedeva a pubblicarli il giorno dopo sul “Messaggero” nella rubrica “Diario di un terremotato”. Questi messaggi servivano a tenerci uniti e, concretamente, a trasmettere le notizie che raccoglievo in città (nei primi giorni dopo il sisma ero rimasto a L’Aquila per aiutare come potevo, dormendo in macchina). Ogni messaggio si concludeva con un incitamento a reagire nel nostro dialetto : Jemo ‘nnanzi (andiamo avanti). E’ diventato il “grido di battaglia” del Gruppo Aquilano di Azione Civica. Questo gruppo, che accoglie sempre maggiori adesioni, ha cominciato a darsi subito da fare ripulendo alcune zone del centro storico, le prime tornate percorribili (non più in zona rossa), creando eventi che potessero aggregare i cittadini intorno ad una comune idea di reazione ed a concretizzare il recupero materiale dei nostri beni culturali danneggiati dal sisma.

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Fratelli teramani, uniti a noi dall’appartenenza allo splendido Abruzzo e dalla maestosità del Gran Sasso, venite a vedere il nostro centro storico, per potervi rendere conto personalmente della vastità del disastro che tuttora persiste e per aiutarci a far risorgere la Grande Aquila, vanto ed orgoglio di tutti gli abruzzesi. Cesare Ianni (Gruppo Aquilano di Azione Civica Jemo ‘nnanzi) Gent.le direttore, l’inizio dell’anno 2012 ha finalmente visto l’apertura del nuovo ed atteso maxi parcheggio a servizio prevalente se non esclusiva dell’utenza dell’ospedale Mazzini. Atteso lungamente perché si pensava che avrebbe rappresentato un utile rimedio per far fronte al caos sempre più insopportabile degli automezzi parcheggiati in ogni angolo delle aree circostanti la sede ospedaliera, con intralcio al traffico ogni giorno più lento, inquinamento dell’aria sempre più irrespirabile, rumore crescente e quant’altro. Ciò che invece non si osava pensare era che il tutto fosse finalizzato ad assicurare lauti proventi ai gestori del parcheggio e ad incrementare l’attività della polizia municipale per l’irrogazione delle multe per divieto di sosta piuttosto che mirare all’obiettivo primario di migliorare l’accesso ai servizi ospedalieri ambulatoriali e della degenza, sia da parte della generalità dei cittadini, sia da parte degli operatori addetti all’ospedale. Ma, come insegna un vecchio adagio:“il peggio viene sempre appresso” e, in particolare, non c’era da illudersi che fra amministrazione comunale, improvvisamente rigorosissima nel riscoprire i divieti di sosta ed applicare le relative e salate sanzioni, e gestori del nuovo parcheggio molto filantropicamente

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interessati a riscuotere i pedaggi, non ci si sarebbe fatti sfuggire la ghiotta occasione di mettere le mani nelle tasche dei cittadini e dei lavoratori da punire severamente perché dediti all’appagante divertimento di trascorrere il loro tempo, libero e non, all’interno ed all’esterno dell’ospedale. Non tornano tanto i conti a pensare che avendo problemi di salute propri o di familiari od amici, alle ovvie connesse preoccupazioni debba aggiungersi anche il peso di salati pedaggi da parcheggio in assenza di soluzioni alternative non a pagamento. Ma,soprattutto non appare comprensibile la logica di provvedimenti che penalizzano quotidianamente e pesantemente anche persone costrette a recarsi quotidianamente in ospedale perché vi prestano servizio. Curiosamente l’amministrazione ospedaliera ha infatti individuato un’area destinata al proprio personale dipendente adibendola a parcheggio autovetture (per ora fruibile gratuitamente, ma c’è chi dice che sarà previsto un costo), ma ha del tutto ignorato la necessità di analoghe risorse per quei lavoratori che, pur non essendo dipendenti in senso stretto, tuttavia sono addetti a vari servizi della logistica ospedaliera gestiti in regime di convenzione esterna (servizi di pulizia, confezionamento e distribuzione pasti, guardaroba ecc.). Per dare una più comprensibile dimensione al problema può essere utile precisare che si tratta per lo più di lavoratori la cui retribuzione mediamente non supera gli 800 euro/ mese per cui non è difficile rendersi conto di quanto pesi su di loro una ritenuta forzosa di circa 100/120 euro mese come quella rappresentata dal pedaggio/parcheggio di cui si pretenderebbe che debbano farsi carico. F. B. (Teramo)


sorridere

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di Tiziana Mattia

silaranti notizie dal mondo (locale) della scuola. Scopriamo quali sono gli impellenti e irrinunciabili bisogni ( mai termine fu più appropriato) di certi adolescenti teramani a cui sarebbe negato l’uso dei bagni in certi momenti della mattinata scolastica. Con conseguenti vibrate proteste dei genitori, preoccupatissimi dell’imbarbarimento renale dei pargoli. (Di quello intellettuale non ci è dato di sapere). Risposta, altrettanto divertente, dalla Val Vibrata. Per dare un significativo segnale di dedizione alla “causa”, un consiglio d’istituto (anche qui i genitori impazzano) si è inventato l’accorciamento delle vacanze pasquali e l’allungamento dell’anno scolastico. Quattro giorni in tutto. Per compensare, hanno detto, le ore di lezione perse a causa delle abbondanti nevicate di febbraio. Un’idea geniale. Soprattutto pensando alle due mattinate in più di giugno, dopo la chiusura ufficiale del 9. Ci figuriamo la massiccia presenza nelle aule di alunni svegli, pronti, interessati a chissà quali approfondimenti o recuperi del tempo perso, nei mesi precedenti, a vagheggiare, magari anche lì, nei bagni. Non possiamo prendercela, tuttavia, con così incandescenti invasioni di campo di padri e madri. Protervamente incoraggiati da anni a esprimere pareri, e fornire consigli e soluzioni su temi dei quali sono, in molti casi, scarsamente edotti. Un po’ quello che accade in politica. E più o meno dallo stesso tempo. A conferma ci giunge la proposta “tecnica” di Francesco Profumo. Che, invogliato a lasciare un’impronta di sé, come tutti i suoi predecessori, apre a una proposta della quale si discute nella vicina Francia. Sono i compiti a casa nel mirino del ministro dell’Istruzione. “Da limitare – suggerisce, aggiungendo: “Credo che oggi nella scuola i ragazzi imparino solo una parte delle loro competenze: molti sono gli input che vengono da altre sorgenti”. Ha ragione il ministro a voler contenere, e poi magari, chissà, in un futuro prossimo abolire il lavoro domestico degli studenti. Chi non immagina i nostri adolescenti, nei lunghi pomeriggi senza compiti, a facebookare e twittare sul tema della gelosia che acceca il protagonista nella Sonata a Kreutzer di Tolstoj o sull’ influenza di Pascoli nella poetica di Pasolini. Hanno ragione i genitori teramani. Meglio una frequente e liberatoria pipì che l’analisi logica di un qualunque prof. Del resto, a che serve la scuola? PrimaPagina 24 apr. 2012

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TERREMOTO TERCAS Dopo il “caso S. Marino”, il blitz della Finanza e il cambio al vertice, arrivano la crisi e il bilancio in rosso. Con tante novità in vista per un glorioso istituto di credito che ha fatto la storia della provincia teramana… di Tiziana Mattia

he fosse un “terremoto” alla Cassa di Risparmio di Teramo, la più forte e importante in Abruzzo, lo avevamo già sospettato. Dopo il cambio al vertice con Antonio Di Matteo che parte e Dario Pilla che arriva alla direzione generale, a ruota un altro fatto rivoluzionario e clamoroso. Quello del bilancio che, per la prima volta, dopo anni di marcia trionfale e “vacche grasse”, chiude in rosso (-9 milioni di euro). Né basta agitare il mantello della crisi per spiegare tutto. C’è dell’altro e provvede la cronaca a farcelo scoprire…Per esempio, la spericolata operazione da 23 milioni di euro fagocitati dal cosiddetto maxi-fallimento Di Mario, con buco complessivo da 800 milioni, ora all’attenzione della magistratura romana. Ma c’è tutto un tratto di strada ancora

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andrebbe affrontata la spiegazione della improvvisa partenza di colui solennemente celebrato come regista-campione della maxi-fusione Caripe... da esplorare e portare alla luce, magari con il favore della svolta al vertice e il debutto di un nuovo direttore generale,

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tosto e volitivo, che ora parla anche di “novità” persino nell’informazione e nella trasparenza. Per costruire una BancaBella a portata di clic.Vedremo. Intanto, in primis, andrebbe affrontata la spiegazione non data della improvvisa partenza, nel momento più bello della festa, di colui a suo tempo era solennemente celebrato come regista-campione della maxi-fusione Caripe. Detta “della crescita e dello sviluppo”. Ma la marcia verso l’espansione del potente istituto di credito si è poi subito bloccata. Non è andata avanti. Stop a nuovi acquisti e acquisizioni. Il nuovo dg Dario Pilla si è subito affrettato ad escluderli tassativamente, ripiegando sul territorio, con una politica di maggiore attenzione. Dopo che il co-protagonista del maximatrimonio consumato in riva all’Adriatico, aveva fatto velocemente le valigie per andarsene insalutato ospitate.


Letta inaspettatamente la “notiziabomba” e colti di sorpresa, in molti erano rimasti basiti e insoddisfatti. Perché mai il “fine stratega” della finanza abruzzese d’avanguardia, colui che “pensava in grande” ed era riuscito ad inghiottire la Caripe con la prospettiva di papparne altre, perché mai lasciava? L’interrogativo è tuttora in piedi, in attesa di risposta. Ma arriverà? Dario Pilla, manager che parla spesso e volentieri con la stampa, promette una svolta anche nel modo di comunicare e, si spera, nel rendere trasparente fino in fondo pure il periodo che lo ha preceduto, dando corso ad un punto importantissimo del suo programma. Quello di “imparare ad ascoltare il territorio”. Un rapporto che negli anni, fin dai tempi del grande Ercole Grue, ha reso forte e unica la Cassa di Risparmio di Teramo. Un vincolo di trasparenza e fiducia da difendere e consolidare, svelando con coraggio e senza ombre tutto ciò che di bello o no si è verificato nella storia recente dell’importante istituto di credito, facendo cadere finalmente quella coltre soffice e discreta che a tratti non ha favorito la banca e, tanto meno, la vasta platea dei clienti. Quando ha avuto campo libero il non detto o il gossip, come per le vicende di S. Marino, di cui spesso si è solo sussurrato. Un capitolo tutto da leggere e da analizzare, per conoscere fino a che punto le attuali difficoltà di bilancio abbiano un filo con vicende ed operazioni non abbastanza svelate e conosciute. Il cambio ai vertici Tercas avrebbe dovuto fornire l’occasione per chiarire e fugare ogni dubbio, ma è stato solo normale passaggio delle consegne dal vecchio al

nuovo. Semplicemente. Si può dire che l’ “operazione trasparenza” sia appena iniziata e che rimanga del tempo- dal “caso S. Marino” al resto- per rispondere a pettegolezzi e illazioni che hanno connotato l’ “era Antonio Di Matteo”. Personaggio di “grande professionalità e ambizione”, è stato detto. Forse troppo, aggiungiamo, avendo il suo nome fatto spesso capolino nelle cronache della repubblica del Titano e nazionali. Oltre che su quelle locali, in Abruzzo.

Il cambio ai vertici Tercas avrebbe dovuto fornire l’occasione per chiarire e fugare ogni dubbio, ma è stato solo normale passaggio delle consegne dal vecchio al nuovo... A cominciare da quel primo fragoroso squillo di trombe, quando apparvero sulle cronache almeno cinquanta nomi di abruzzesi “amici di S. Marino” coinvolti in una vicenda oscura, da “paradiso fiscale” e altro. A seguire il “blitz” del 30 giugno 2011, quando uomini della Finanza si presentarono negli uffici della direzione generale Tercas di corso S.Giorgio,

nell’ambito di situazioni non chiare che vedevano coinvolte la banca di fiducia dei teramani benestanti e una banca di S. Marino, in indagini che rimbalzano da una procura all’altra. Operazioni sospette sulle quali il colonnello Roberto Di Mascio e gli uomini della Guardia di Finanza “avevano chiesto delucidazioni riguardo ad operazioni contabili attivate da un gruppo di conosciuti imprenditori teramani, titolari di un conto corrente nella banca della piccola repubblica in terra romagnola…”. Il tutto partendo “da una indagine per presunta evasione fiscale aperta da una procura del Nord Italia”. Le indagini si erano poi spostate a Teramo per un motivo ben preciso: “Pare che tra gli evasori fiscali, infatti, ci fossero rinomati quanto conosciuti industriali e professionisti teramani titolari di conti correnti nell’Istituto di S. Marino e finiti nella rete dell’inchiesta per evasione”. Dal che dovrebbe dedursi che il lavoro della magistratura, non ancora concluso, presto farà emergere fatti e nomi. Arriverà così il momento in cui cominceranno a chiarirsi i molti punti oscuri, almeno si pensa. L’uscita di Di Matteo dalla Tercas e la successione ai vertici per ora non hanno favorito, su questi aspetti, l’accendersi di nuovi riflettori per fare chiarezza su presunte spericolate operazioni di ingegneria finanziaria compiute; sulle luci e le ombre della “spedizione” teramana a S. Marino; sul commissariamento dell’istituto bancario nato dalle ceneri della Banca del Titano e, dulcis in fundo, sull’intreccio fra affari & “banchieri made in Teramo”. Protagonisti di una storia che sicuramente conosceremo al più presto e nella sua interezza.

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Luci ed ombre di un super potere all’italiana

NELLA CASSAFORTE

DEI SINDACATI di Ivan Di Nino

n Italia le sigle delle organizzazioni sindacali non si contano, ma se si chiede a qualunque uomo di strada quale ricorda per prima, snocciolerà sicuramente il rosario: Cgil, Cisl, Uil. Tutti sanno che i sindacati sono organi che raccolgono i rappresentanti delle varie categorie produttive o parti sociali allo scopo di difendere gli interessi degli stessi. Dette confederazioni sono ovviamente presenti anche sul nostro territorio. Il sindacato visto unicamente come “quello che organizza lo sciopero” non sta più al passo coi tempi: “Anche l’ideologia intesa come anni fa, quando era necessario iscriversi alla Cgil se si aveva la tessera del Pci, è esaurita”, dice Giampaolo Di Odoardo, segretario della Cgil di Teramo. In periodi di crisi drammatica come questi si ricorre spesso all’organizzazione per la tutela del lavoratore, vertenze contro datori di lavoro, ma anche molti altri servizi con i famosi “patronati”. Questi ultimi sono previsti dalla legge e sono ‘al servizio del cittadino’ per la tutela di diritti individuali. A loro si rivolgono quindi persone che abbiano problemi pensionistici, di assistenza sanitaria –ad es. per il riconoscimento dell’invalidità- nonché le prestazioni di “ultima generazione” come l’assistenza agli immigrati. Da un punto di vista economico i patronati ricevono un finanziamento pubblico, attraverso un fondo specifico accantonato presso gli istituti di previdenza. Tale fondo è composto da una percentuale dei contributi versati dai lavoratori dipendenti in ogni anno. Il finanziamento è trasferito ai patronati in maniera proporzionale all’attività svolta, verificata dal ministero del lavoro attraverso i propri ispettori. Spesso molto si è detto del potere dei sindacati e degli sprechi, ma a quanto pare questa è una realtà più nazionale che teramana: “Ma quali sprechi- ribatte con veemenza D.C., impiegato da una vita alla

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Cgil-. Qui non si arriva mai tra ricorsi di pensionati, richieste di ogni tipo e chi più ne ha più ne metta” e mostra con un ampio gesto della mano una scrivania sepolta da cartelle e fascicoli abbastanza pericolanti. Anche gli scioperi hanno un grosso costo per chi li organizza e per i lavoratori -in Italia frequentissimi, all’estero decisamente meno: “Lo sciopero è effettivamente una anomalia italiana così come strutturato, ma bisogna considerare che è pur sempre un grosso sacrificio per i lavoratori. Non è un divertimento” ammette Giampaolo Di Odoardo. Altra questione che potrebbe essere considerata come un problema è quella dei delegati delle r.s.a/r.s.u. nelle fabbriche i quali, pur percependo il loro normale stipendio di lavoratore, usufruiscono spesso, tra permessi e ferie, di molti più giorni fuori dalle imprese che dentro a lavorare; come si vede non è il solo articolo 18 –un unicum in tutto il panorama

Qui non si arriva mai tra ricorsi di pensionati, richieste di ogni tipo e chi più ne ha più ne metta... europeo - che andrebbe cambiato. Per quanto concerne quest’ultimo è evidente come tale articolo muovesse dal fatto che non si potessero licenziare i lavoratorisindacalisti. I sindacati si sono poi sempre rifiutati di entrare nei consigli d’amministrazione d’impresa (il solito muro contro muro all’italiana), mentre alla Volkswagen ci

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sono da trent’anni, percependo anche il compenso come amministratori. Tempo addietro erano presenti nei cda di alcuni istituti previdenziali, ma si sono ritirati. Inoltre il sindacato non deve presentare i bilanci consolidati: dicesi tale un documento consuntivo di esercizio che rappresenta la situazione economica, patrimoniale e finanziaria di un gruppo di imprese, elaborato dalla società posta al vertice (capogruppo). È un documento pubblico: ogni Caaf, patronato, sede territoriale ecc. presenta il suo, ma questi sono slegati dalla “casa-madre”. Col risultato che per verificare determinate cifre occorre un lavoro da archeologo più che da fiscalista. La mancanza di un bilancio consolidato non consente poi di fare chiarezza sugli stipendi dei circa 20 mila sindacalisti a tempo pieno delle tre grandi confederazioni. Della Cgil si sa solo che ne conta 14 mila -per il 40 per cento dirigenti, qualifica che scatta a partire dal grado di funzionario- e che il costo del lavoro è pari a circa il 40 per cento del fatturato. La Cisl dell’abruzzese Bonanni dispone di uno sconto sui trasporti pubblici. Secondo fonti non certe, Guglielmo Epifani, già segretario della Cgil avrebbe percepito 3500 euro mensili, un po’ meno i suoi omologhi di Cisl e Uil; Landini, segretario generale della Fiom, 2.300. I 12 segretari confederali circa 2.400 euro. La Cisl e la Uil pagano poco di meno i loro numeri uno -3.430 euro Bonanni e 3.300 Angeletti- ma sono più generose con i dieci segretari confederali -2.850 quelli di via Po, 2.900 quelli di via Lucullo. In tutto i sindacati contano in Italia circa 20.000 impiegati. Non sono forse troppi? Di Odoardo smentisce seccamente: “In realtà facciamo fatica a trovarli! Non è facile, bisogna essere adeguatamente formati, preparati ed essere disposti a lavorare di sabato e se serve anche di


domenica. Spesso quindi ricerchiamo chi abbia già lavorato in fabbrica, che abbia già una certa esperienza”. L’organizzazione si mantiene attraverso le trattenute sulla busta paga dei propri iscritti e tramite anche versamenti da parte del governo che li versa però al comitato centrale. Nella nostra città quanto guadagnano i sindacalisti? Trovare risposte ‘spontanee’ è parecchio impegnativo: c’è chi dice “non più di 1200”, altri, con qualche anno di più sulle spalle si limita a dire con fastidio “1350- 1400 euro netti al mese”. “Se si hanno responsabilità politiche, a seconda che siano provinciali o regionali, si può arrivare a 1700-1800 euro”, dice Silvio Amicucci Ioannone della Filla Cgil. Ancora, ogni anno l’Ue stanzia un miliardo e mezzo per la formazione professionale in Italia. Dieci dei quattordici enti che si spartiscono la metà dei finanziamenti

L’organizzazione si mantiene attraverso le trattenute sulla busta paga dei propri iscritti e tramite anche versamenti da parte del governo che li versa però al comitato centrale... nazionali sono partecipati dalle tre sigle sindacali più importanti. Una volta terminati, i partecipanti quasi mai trovano lavoro. “Effettivamente il sistema è da rivedere completamente- afferma Di Odoardo -. Per esempio, facendosi restituire i soldi dalle imprese che promuovono i corsi se non assumono”. Ultimamente, però, anche i sindacati se la cavano un po’ male, vista la drammatica crisi, sicché è partita “la rivolta delle tessere; molti pensionati, che continuano a pagare trattenute magari per una vecchia e “involontaria” iscrizione legata a un passato contatto con gli uffici Cgil, stanno disdettando –termine bruttissimol’iscrizione e vista aumentata la pensione. D’altronde, di questi tempi, c’è chi deve veramente “spaccare il centesimo in quattro”, come dice Alan Friedman. PrimaPagina 24 apr. 2012

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Il tutto nasce dalle elezioni dello scorso anno a Fraine (CH)

Immigrati, pensioni sociali da rivedere Caso scoppiato dopo l’accusa di truffa per sei anziani d’Argentina di Pierluigi Spiezia

inque anziani bollati come truffatori a danno dell’Inps, colpevoli di incassare pensioni sociali con le quali, in realtà, vivono in Argentina dove sono emigrati nel dopoguerra. E’ questa, in sintesi, la notizia uscita alcuni giorni fa in Abruzzo, che segue un’ altra indagine simile di alcuni mesi fa a Gorizia con nove indagati sempre emigrati in America Latina. In un primo momento abbiamo pensato a un giro di vite anche sugli assegni sociali che, secondo le norme Inps possono percepire solo gli over 65 che hanno “la residenza effettiva e abituale in Italia” e che non hanno altri redditi. Un misero assegno mensile, fra 429 e 600 euro, che lo Stato ha concepito per i poveri (persino se stranieri ma con la carta di soggiorno) che non hanno lavorato o raggiunto i contributi minimi per la pensione da lavoro. Soldi che, appunto, bisogna “spendere” in Italia e non all’estero, dove al massimo si può stare un mese. In realtà, dietro la denuncia ai sei vecchietti italo-argentini, si nasconde una delle più accese guerre elettorali che l’Abruzzo ricordi, le elezioni comunali 2011 di Fraine, un piccolo paese del chietino che conta 400 abitanti e 300 residenti all’estero iscritti

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nell’elenco Aire. Lo scorso maggio, infatti, finì 194 pari fra le due liste contendenti la carica di sindaco, per cui si dovette procedere a un imprevisto ballottaggio, in cui la spuntò per tre voti l’attuale sindaco Vincenzina Di Iorio, che vinse 201

Una regola, quella del domicilio coatto, a nostro avviso ingiusta e nemmeno conveniente... (50,37%) a 198 (49,62). Fra i supporter del giovane sindaco ci sarebbero stati anche tre o quattro dei sei pensionati sociali frainesi che, pur essendo tutti residenti nelle case di proprietà in paese, passano parte dell’anno anche in Argentina, come fanno tanti emigrati in pensione. Da qui la denuncia ai Carabinieri e la conseguente indagine della Procura di Vasto che li ha

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incriminati per truffa. Come ogni elezione di piccolo paese in cui si teme il foto finish, gli emigrati sono invitati a tornare a votare, se vivono in Europa – con tanto di pullman granturismo, perché il diritto al voto amministrativo ce l’hanno anche i residenti all’estero, ma devono tornare in patria. Nelle elezioni 2011 sono stati ben una sessantina i frainesi tornati a votare, prevalentemente da Svizzera e Francia. Ma gli sconfitti se la sono presa con gli elettori argentini, perché colpevoli di percepire l’assegno sociale per il quale l’Inps prevede la “dimora stabile e abituale” e il permanere all’estero massimo un mese. Non importa se quei concittadini pagano l’Ici, la Tarsu, l’Irpef e le imposte sulle utenze: se vuoi l’assegno devi forzatamente dimorare in Italia. Una regola, quella del domicilio coatto, a nostro avviso ingiusta e nemmeno conveniente. Perché non tiene conto di ciò che gli emigrati hanno inviato di rimesse in Italia, molto più di ciò che hanno ricevuto e ricevono tuttora e che ha permesso al nostro paese di riemergere dalle macerie della Guerra. Con la pensione sociale in Italia si vive male, ma in America Latina è un buon reddito. Oltretutto nella parte dell’anno in cui si vive all’estero non si grava sul bilancio della sanità italiana, su cui


foto: l’ex deputata italo-venezuelana Marisa Bafile

gli anziani pesano notevolmente. L’assegno sociale ai tanti emigrati poveri in America Latina fu una proposta di legge dell’ex deputata pd abruzzese Marisa Bafile, eletta in Sudamerica dal Venezuela, rilanciata a vuoto anche in questa legislatura dal Pdl Giuseppe Angeli, altro onorevole abruzzese d’Argentina rieletto nello stesso continente, al quale il governo Berlusconi rispose che “il ministero delle Finanze ha stimato che iniziative legislative in merito comporterebbero oneri di entità rilevante per la finanza pubblica, valutabili in almeno 500 milioni di euro annui”, comunque molto meno delle attuali rimesse dall’estero, comprese le pensioni estere di chi è rientrato, che fanno aggirare le entrate in Italia in oltre tre miliardi di euro l’anno. “L’illegalità non va mai giustificata premette la Bafile – ma il disagio di molti nostri emigranti soprattutto in America Latina è un fatto innegabile. Sono anziani, spesso malati e fanno fatica a mettere insieme due pasti al giorno. Medicine e cure mediche sono poi un vero lusso che pochi possono permettersi e lo dimostra il costante aumento di richieste

di aiuto presso i Consolati. Purtroppo la caduta del governo Prodi interruppe un iter che sembrava destinato a buon fine e, nonostante questa iniziativa sia stata riproposta nel corso dell’attuale legislatura, il silenzio di chi decide nelle stanze del potere è stato assordante. Alla luce della situazione drammatica di

L’illegalità non va mai giustificata, ma il disagio di molti nostri emigranti soprattutto in America Latina è un fatto innegabile...

una generazione destinata piano piano a estinguersi, sarebbe il caso di rivedere la legge dell’assegno sociale rendendolo più flessibile e quindi aiutando non soltanto chi vive all’estero in condizioni disagiate ma anche quegli italiani che potrebbero vivere più degnamente con l’ importo di quella pensione se potessero spostare il loro domicilio in paesi in cui la vita è più economica. L’Italia, paese ormai d’ immigrazione, è incapace di guardare al suo passato anche solo per costruire una politica d’immigrazione credibile e giusta. Grandi titoli nei giornali ci vengono dedicati solo quando tra i milioni di emigrati ne scovano qualcuno che prende un assegno sociale di cui hanno diritto solo gli italiani di serie A cioè quelli che vivono in Italia. Le rimesse vecchie e nuove? L’indotto per il made in Italy? – conclude la Bafile - Frasi che fanno solo storcere il naso. Eppure dietro a quelle frasi ci sono cifre vere. Cifre che sopperirebbero di gran lunga a un piccolo aiuto dell’Italia verso quelli che all’estero vivono in situazioni di estrema povertà”

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ELEZIONI AMMINISTRATIVE

DOVE QUATTRO CANDIDATI SONO TROPPI E UNO È POCO di Matteo Lupi

omenica 6 e lunedì 7 maggio nove milioni di cittadini saranno chiamati a votare per il rinnovo delle amministrazioni di 1.025 comuni italiani. Per quanto riguarda Teramo, le cittadine interessate sono sei: Martinsicuro (sindaco uscente Di Salvatore), che presenta ben quattro liste, Bisenti (De Luca), Crognaleto (D’Alonzo), Penna Sant’ Andrea (Fabri), Pietracamela (Di Giustino) e Valle Castellana (Esposito). MARTINSICURO Andrea Buonaspeme della lista civica Cambiamo insieme, appoggiata dal centrosinistra, ha le idee chiare su quello che non ha funzionato, e con riferimento alla giunta Di Salvatore – che non si ricandida – spiega: “Abbiamo avuto cinque anni di non-sicurezza e di mancato sviluppo del settore turistico. Per questo abbiamo intenzione di istituire una ‘vigilanza di prossimità’, con vigili di quartiere che facciano da tramite tra il cittadino e il Comune”. Pur inizialmente riluttante a rilasciare dichiarazioni, lo sfidante Francesco Tommolini (Lega

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Nord) risponde che “in tempo di vacche madre non possiamo illudere i cittadini promettendo opere faraoniche, ma dobbiamo puntare alla manutenzione del territorio. Personalmente, riteniamo di poter attingere da vari fondi – comunali, regionali e quelli europei inutilizzati – per puntare su un potenziamento degli organici di polizia e una forte lotta alla criminalità e all’immigrazione clandestina”. Gli altri candidati in corsa sono Paolo Camaioni (Città Attiva) e Massimo Vagnoni (Progetto Comune) BISENTI - Per un sindaco che non si ricandida, un ex sindaco ed un ex vicesindaco pronti a contendersi il “trono” della nuova giunta. Il consigliere uscente di minoranza Enzino De Febis (lista civica La Fonte) intende riprendere il discorso da dove era stato interrotto: “Cinque anni fa, da sindaco avevo lasciato soldi che non sono stati spesi. Vorrei attingere da questi fondi per promuovere percorsi di riqualificazione artistica e il recupero di una struttura scolastica, che crei anche posti di lavoro”. Lo sfidante Marcello De Antoniis

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(Bisenti che vogliamo) punta invece sul turismo e i giovani: “Fondamentale è promuovere in maniera diversa i nostri prodotti tipici, ma anche essere più vicini alle esigenze dei giovani e di chi è più in difficoltà. Per questi vorremmo realizzare un nuovo sportello informatico”. PIETRACAMELA - Rivendicazione di tipo “tecnologico” quella presentata da Antonio Di Giustino, sindaco uscente e candidato con la lista Insieme per Pietracamela : “Abbiamo assistito la popolazione digitalizzando tutto il borgo – spiega – senza contare i lavori pubblici di riqualificazione e quelli per mantenere attiva la cabinovia”. L’altro candidato, Paolo di Furia (lista Intersemoli), sottolinea l’intenzione di “assistere la popolazione più anziana, che è la maggioranza, e di lavorare per la ricostruzione post-terremoto”, senza dimenticare l’importanza di “riportare Pietracamela al proprio posto, come leader tra i paesi di montagna” CROGNALETO - Sempre a proposito di montagna, il sindaco uscente Giuseppe D’Alonzo, con la lista civica chiamata


Trasparenza e Serietà su “mandato” del Partito Democratico, spiega: “Noi vorremmo ‘fare squadra’ con i Comuni vicini con l’interesse di salvaguardare la montagna, che ha un ruolo centrale. Per il resto, rivendico l’attuazione del vecchio programma per un buon 70 %, nonostante il sisma e le varie alluvioni”. Pietro Ceci, candidato con la lista Montagna Viva, tiene a precisare di non essere appoggiato dal Pd (pur essendone stato tesserato per tutto il 2011) e attacca l’eccessiva personalizzazione dell’ultima amministrazione:“A Crognaleto, Pd significa ‘partito D’Alonzo’, e ogni avvenimento era a vantaggio suo e non della collettività. Io, quando fui sindaco di questo paese, non aumentai neanche una tassa, anche in presenza di tagli da parte della Regione”. PENNE SANT’ ANDREA - Antonio Fabri è il sindaco uscente che ha presentato la lista Un impegno per il futuro: “Ritengo di aver mantenuto gli impegni anche più di quanto inizialmente promesso, per questo mi sono riproposto con l’intenzione di puntare alla ricostruzione

del centro storico, mediante l’utilizzo di fondi pubblici e privati”. Lo sfidante Emidio Degnitti (Progetto Futuro), invece, con riferimento alla raccolta differenziata spiega come Penne sia “il fanalino di coda” del territorio teramano, e aggiunge che “il patrimonio culturale versa in stato di abbandono. Nel nostro progetto di rinnovamento, vorremmo riqualificare la rete urbana della Val Vomano e installare ripetitori wi-fi nei giardini del paese, senza dimenticare il centro storico e le esigenze di ricostruzione”. VALLE CASTELLANA - Vincenzo Esposito, oltre che sindaco uscente, è anche candidato unico. Ma quest’ultima condizione non sembra essere accolta positivamente: “Non è che sono contento di correre da solo”. Eppure, perché si abbiano elezioni di questo tipo, un motivo deve esserci. “Mi piace pensare che abbiamo governato tanto bene da non aver creato alcun minimo contrasto. Quando mi presentati cinque anni fa, non feci promesse particolari, ma dissi solo che avrei lavorato per il paese, e la

gente lo ha visto. In anni di lavoro abbiamo avviato importanti investimenti per quanto riguarda strade, piazze, scuole e impianti fotovoltaici”.

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QUARTIERI “Rifiutati” os’hanno in comune Colleparco, Colleatterrato e la Cona? Tutti e tre sono quartieri periferici e tutti e tre ospitano veri e propri “centri di raccolta” di rifiuti abusivi. Grandi buste, piccole bottiglie di plastica, ma anche zaini e sanitari sono presenti un po’ ovunque: in via Luigi Marcozzi, che collega come una “scorciatoia” il quartiere San Benedetto di Colleatterrato Basso a viale Europa; nelle piazze di sosta di Contrada Villa Tordinia, il tratto stradale che dalla Cona porta al bivio per Torricella; nelle zone più alte di Coste Sant’Agostino, a poche centinaia di metri dall’università. Rifiuti, la cui raccolta non spetta a Teramo Ambiente, che vengono nascosti dai cittadini tra le piante che costituiscono il “verde” cittadino: oltre al danno, la beffa. M.L.

foto M. Lupi: la situazione diffusa di discariche in vari quartieri di Teramo: Cona; Colleparco e Colleatterrato

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COLLEATTERATO BASSO

Il campo c’è ma non si vede… aldo Di Bonaventura, esponente dell’IDV teramano, in una recente interrogazione al consiglio comunale, torna a sollevare la questione dell’abbandono dei progetti di qualificazione urbanistica del quartiere di Colleatterrato “Il Piano integrato realizzato dalla C.N.I. Costruzioni nel quartiere di Colleatterrato San Benedetto – spiega Di Bonaventura prevedeva la cessione a favore dell’amministrazione comunale di un campo polivalente, di un parcheggio coperto, di un centro sociale e di un campo di bocce. Stiamo parlando di un programma di intervento localizzato nell’area del centro commerciale previsto all’interno di questo piano che è in attività già da tempo. Nel piano integrato si prevedeva la cessione in comodato d’uso di un locale di una certa consistenza per un periodo di 7 anni, ma quel locale ancora non viene preso in consegna

dall’amministrazione nonostante i solleciti dell’impresa”. Cosa è successo? “Ad oggi l’ amministrazione comunale non è entrata ancora in possesso di tali opere e a quanto pare non tanto per colpa dell’impresa, ma per suo disinteresse – continua il consigliere -. Sono passati circa sei anni da quando l’impresa costruttrice ha manifestato inutilmente la volontà all’amministrazione di riconsegnare tali opere regolarmente realizzate. Tale ritardo ha provocato un degrado delle strutture. L’amministrazione si giustifica dicendo che le opere mancano di collaudo e di alcuni lavori di rifinitura”. Ed è vero? “E’ vero che le opere mancano di collaudo, ma è l’amministrazione comunale d’intesa con l’impresa che deve attivarsi per il collaudo – insiste Di Bonaventura – perché i lavori mancanti sono di scarsa rilevanza e derivano da un piccolo contenzioso tra la società proponente del Piano e l’amministrazione, che partecipava anche economicamente nella realizzazione di

tali opere. Piccoli problemi che non possono giustificare ritardi così vergognosi. Queste opere sono di grande utilità per la collettività del quartiere, ma sono da risanare prima ancora di essere utilizzati, situazioni da profondo sud. Rappresentano una grande opportunità dal punto di vista sociale per un quartiere che per troppi anni è stato penalizzato. Senza dimenticare che hanno richiesto somme importanti per la realizzazione ed oggi invece risultano praticamente abbandonate. Non voglio polemizzare con l’amministrazione – conclude Di Bonaventura -, ma la questione va affrontata e risolta. Invito l’amministrazione, soprattutto nella persona del nuovo assessore all’Urbanistica, che apprezzo per il suo impegno e competenza, ad affrontare la problematica con decisione e ad acquisire entro pochi mesi le strutture per metterle a disposizione della collettività di Colleatterrato San Benedetto, che sicuramente merita la massima attenzione”. Mi.Ca.

Ma Silvi chiude le porte

OGM, PIÙ SÌ CHE NO di Ivan Di Nino

uando si giunge nella splendida Silvi (altro esempio di come le colline italiane entrerebbero nel mare, perché sembrano protese verso l’acqua quasi a volersi fare abbracciare da tutto quell’azzurro) colpisce una scritta, sita proprio sotto il cartello stradale d’ingresso in paese: “Comune libero da OGM”. Come tutti sanno gli OGM sono gli organismi geneticamente modificati. Il prof. Silvio Garattini, un luminare della scienza ha affermato a chiare lettere: “La contrapposizione tra prodotti biologiciper definizione buoni- e prodotti chimicicattivi- non è basata su seri confronti ed evidenze scientifiche”. Prosegue il professore, commentando il caso del batterio killer che l’anno scorso uccise diverse persone in Germania e mezza

Europa: “Forse non è una coincidenza che il prodotto fosse biologico. Senza voler condannare nessuno, questi prodotti che si giovano solo di sostanze naturali, spesso si arrogano meriti indebiti. Sono infatti i produttori coloro che garantiscono la purezza dei prodotti e quindi la salute; dobbiamo chiederci se l’infezione sarebbe avvenuta se, invece di usare il letame, si fossero utilizzati concimi chimici”. Il treno dell’innovazione attraversa le principali aree agricole mondiali tranne il vecchio continente. Lo sviluppo degli OGM è stato velocissimo, dai 2,6 milioni nel 1996 di ettari agli attuali 160 milioni. L’Europa, sempre più stanca e vecchia, si è ottusamente intestardita, picchettando i suoi campi e chiudendoli verso un mondo che non esiste più, ma deve importare comunque materia prima OGM per una

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Per coprire la richiesta di carne, uova e latte si allevano ogni anno 6000 milioni di avicoli, 6.5 milioni di bovini e quasi 10 milioni di suini. Ne servirebbero il doppio. Così il nostro tanto amato Paese deve importare quasi il 50% delle materie prime vegetali

Nuovo ospedale di Giulianova

INAUGURAMI FRA VENT’ANNI… di Ivan Di Nino

tanto nota quanto cronica carenza di soia e mais destinati alla zootecnia. In Italia, manco a dirlo, siamo come al solito indietro rispetto al resto del mondo civile: la produzione di cereali e semi oleosi è insufficiente per soddisfare la domanda. Per coprire la richiesta di carne, uova e latte si allevano ogni anno 6000 milioni di avicoli, 6.5 milioni di bovini e quasi 10 milioni di suini. Ne servirebbero il doppio. Così il nostro tanto amato Paese deve importare quasi il 50% delle materie prime vegetali, di queste 10 milioni di tonnellate sono cereali e 3.5 milioni di tonnellate sono di farina di soia, di cui oltre il 90% e di natura GM. Così, un po’ come per altre cose vitatissime, ma di largo consumo, anche da noi gli OGM sono una realtà, e anche se non possono essere coltivati, sono da tempo largamente utilizzati in sicurezza. Le posizioni di OGM free come l’Italia sembrano destinate a scomparire per forza di cose. Dietro questa nuova popolarità non c’è solo la pressione dei mercati, ma anche piante di “terza generazione”, molto più sofisticate di quelle che 15 anni fa erano semplicemente sviluppate per resistere agli erbicidi, e vennero immediatamente bollate come “cibo Frankenstein” dall’Europa. Gli alimenti così modificati potrebbero essere da un lato meno inclini all’appassimento, da un altro renderebbero possibile sfamare anche chi è intollerante verso quegli stessi cibi. Ancora una volta il pregiudizio spinge l’Italia sempre più giù nel piano inclinato in cui stiamo vivendo.

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i è svolto a L’Aquila l’incontro tra il presidente della Regione, Gianni Chiodi, e alcuni sindaci del teramano per la realizzazione del nuovo ospedale di Giulianova, che dovrebbe sorgere dalle parti di Via Cupa. Se tutto va come previsto- e si sa come vadano le cose nel nostro Paese- il nuovo nosocomio costiero dovrebbe, forse, aprire nel 2020-2025! Appena l’anno scorso l’ingegner Sabatino Casini, manager dell’Asl di Teramo per un quinquennio, si esprimeva così: “Si sente sempre più spesso parlare della costruzione del nuovo ospedale di Giulianova, dei veti e delle difficoltà che impedirebbero tale realizzazione, ma nessuno dice che alla base di tutto ciò vi è una scarsa conoscenza del problema. Negli anni si sono avvicendati a vario titolo tanti, forse troppi attori, ma tutti non protagonisti ed il risultato è quello che ascoltiamo: «manca tutto». Tutto ha inizio il 22 luglio 2005 nel consiglio comunale di Giulianova n. 86 . Ciò che è interessante notare è che la conclusione del consiglio fu che si chiedeva di non volere la costruzione del nuovo ospedale, adducendo motivazioni che sono contenute sempre nella citata delibera, e che sarebbe triste riportare nella sua interezza. È interessante, tuttavia, segnalare come si chiedesse l’ampliamento del padiglione ovest con una conseguente dotazione tecnologica, senza, però, specificare in quale sito installarla”. E’ tutto davvero molto strano: c’è chi dà la colpa a Del Turco il quale avrebbe –

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processo in corso e accuse da provare!messo in ginocchio la già fragile sanità abruzzese, chi fa risalire le colpe a Pace, chi addirittura a Remo Gaspari…, chi dice che i soldi c’erano già dieci anni fa, e che non si sa che fine abbiano fatto… C’è invece chi afferma che l’attuale Giunta regionale abbia raggiunto sì la parità di bilancio nella sanità, ma col “trucchetto” di aver lasciato fuori dai conti i pazienti che vanno a curarsi fuori regione causa mancanza di strutture in Abruzzo. Infatti, la Asl “esterna”, ricevendo un paziente esente dal ticket che viene da fuori regione, si rivale successivamente con la Asl di provenienza per il rimborso delle spese sostenute. Dato che i nostri conterranei che vanno a curarsi fuori sono moltissimi… altro che parità! Al solito, si rimpallano le competenze Asl, Comune, Regione, Ministero. Si rinvia all’ennesimo consiglio comunale a tema, in quel di Giulianova, per una storia che sembra non avere fine.

Negli anni si sono avvicendati a vario titolo tanti, forse troppi attori ma tutti non protagonisti ed il risultato è quello che ascoltiamo: «manca tutto»...


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[intra]VISTO?

“MAI PIÙ IN PRIMA LINEA, MA…” Gianni Di Pietro, già parlamentare del PD e vice sindaco nella giunta Sperandio rievoca il passato recente della sinistra locale e nazionale e fa il punto sul futuro prossimo di Daniela Palantrani

osa l’ha allontanata dalla politica attiva? “Sono in politica fin da ragazzo con ideali e valori a sinistra. Faccio parte di quella generazione di politici, che sull’onda delle istanza di rinnovamento espresse nei nuovi movimenti studenteschi e sindacali dei primi anni ‘70, da una parte ha cercato di laicizzare la politica e dall’altra di modernizzare I’Italia e la sinistra italiana, cercando di raccordarla alla sinistra europea. Sono stato autorevole dirigente del Partito Comunista Italiano e poi, tra i promotori del rinnovamento del PC e della sua trasformazione in un partito del socialismo europeo. Sono stato eletto per la prima volta in parlamento con il PC e poi ho seguito tutte le fasi del passaggio del PC ai Democratici di Sinistra. Mi sono battuto, con grande forza e convinzione, per la formazione di un PD che raccogliesse tutte le istanze progressiste in questo paese e diventasse un partito senza vincoli ideologici, progressista e riformatore. L’obiettivo era quello di dare una laicità alla politica italiana, dove c’è sempre qualcuno che cerca più di parlare del nemico di comodo che dei contenuti. Cito Berlusconi che dietro la lotta ai comunisti ha nascosto nefandezze. Sono stato amministratore del Comune di Teramo, protagonista della costruzione di quel centro sinistra che è andato al governo della città nel 1995, in una fase nella quale le amministrazioni comunali hanno avuto possibilità di cambiare le realtà cittadine, in quanto la riforma elettorale degli enti locali, e le scelte del primo governo di centrosinistra (guidato da Prodi), furono scelte di trasferimento delle risorse finanziarie agli enti locali. Fu la grande stagione dei sindaci come Bassolino, Rutelli e Cacciari. Una fase di grande rinnovamento e reale cambiamento della società italiana.” A Teramo si è avvertito quel cambiamento? “A Teramo ci fu una fase di grande fervore, di grande cambiamento e di grande fiducia nella PA. Grande fu la partecipazione, e la formazione di numerosi comitati di quartiere e di frazione. Molte furono le opere pubbliche impostate o realizzate

che hanno cambiato, la faccia della città”. Vi era più partecipazione rispetto ad oggi? La gente comune sembra essersi allontanata dalla politica. “In quella fase ci fu grande desiderio di partecipazione che si realizzò appunto nella costituzione di comitati quartiere e frazione. Ovunque c’erano comitati fatti di cittadini, con cui stabilimmo un rapporto molto diretto. Questo atteggiamento fu apprezzato e premiato dai cittadini perché Sperandio fu eletto la seconda volta, con un ampio consenso. Se mi chiede la differenza con il periodo attuale è indubbio che la situazione pesante sul piano economico del Paese in generale, si scarica molto sugli enti locali che hanno molte meno risorse da gestire. Conseguente ed inevitabile il taglio dei servizi. A Teramo, i cittadini, comunque percepiscono come molto vicino il Comune che è il primo referente istituzionale. Poi dipende dalla volontà e dalla cultura di chi amministra. Di solito gli amministratori sono “costretti” a rapportarsi con i cittadini in maniera molto diretta. Altra storia è il livello istituzionale come la Regione che, soprattutto in questa fase di grande malessere sociale, possa sembrare lontano. Tante volte ho sentito parlare di questa lontananza, ma poi l’Italia vanta sempre una delle più alte percentuali al mondo di partecipazione alle elezioni”. Lei si è allontanato dalla politica? “No, assolutamente. Io vivo la politica come l’ho sempre vissuta. E’ una grande passione e quindi non faccio politica in prima linea, non ho incarichi diretti di amministrazione. Partecipo alla vita del mio partito. Sono dirigente e militante del PD, impegnato affinché il partito, che considero una grande operazione politica, molto nuova, cresca ed evolva per diventare un partito di massa”. Mette la sua esperienza a disposizione dei giovani? Penso che chiunque possa dare un contributo, è chiaro che in prima linea debbano andare i giovani., che soltanto sperimentandosi possono crescere e migliorare. La politica si fa in tanti luoghi e modi. E’ importante partecipare. Il PD è l’unico partito che fonda il suo essere sulla partecipazione della gente. L’unico che non si chiama con il nome di un leader, ma è un vero e proprio partito”.

Progetti per il futuro? “Partecipare alla crescita del progetto del PD”. E’ possibile un suo ritorno in prima linea? “Assolutamente no. Vanno promossi ed aiutati i giovani. Io ho fatto 40 anni di politica in prima linea adesso è il momento di aiutare i giovani ad affermarsi, costruire la propria esperienza e fare bene”. E in famiglia? “Io incoraggio tutti a fare politica. I giovani devono avere l’occasione e le motivazioni. Un partito si valuta anche in base alla capacità che ha di coinvolgere e mobilitare energie nuove”. Si vedono sempre le solite facce. “Vedo dei nomi soliti, ma anche tanti nuovi. E’ importante che non ci sia degrado morale, che prevalgano i valori dell’onestà, del rigore e della meritocrazia. Mi rendo conto che in questo momento arrivano messaggi opposti, anche e soprattutto a livello nazionale, ma c’è anche grande lavoro di recupero da parte di persone oneste. C’è chi amministra con criterio e grande senso del dovere e delle istituzioni. Purtroppo le notizie negative coprono la normalità di chi lavora e fa politica con onestà”.

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Chi è Giovanni Di Pietro Nato a Teramo il 18/10/1947 . Laurea in Scienze Politiche; . Segretario PC provinciale e regionale dal 1977 al 1987; . Parlamentare eletto alla Camera dei Deputati nella undicesima e dodicesima Legislatura; .Vice sindaco di Teramo ed Assessore ai Lavori Pubblici per due consiliature dal 1995 al 2004.

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Vita in tempo di crisi Quali sono le difficoltà che incontra una famiglia tipo? Calcolatrice alla mano, abbiamo sbirciato nelle tasche di una giovane coppia con bambini di Coralba Capuani

isultano davvero allarmanti le prime stime relative al Pil nel 2012. Secondo una denuncia di Ferconsumatori e Adusbef, i consumi sono in forte calo, persino nel settore alimentare, registrando una diminuzione del - 4,8%, pari cioè a una minor spesa di 264 euro annui a famiglia. Si compra meno anche a rate, visto il numero sempre più crescente dei cassa integrati e dei licenziati. Ma quando la crisi arriva a intaccare persino i consumi alimentari, vuol dire che il potere di acquisto delle famiglie ha raggiunto livelli

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davvero preoccupanti. Le voci che pesano sul bilancio familiare sono molteplici: crescita record del prezzo della benzina, arrivato a sfiorare i 2 euro a litro, aumento al 21% dell’Iva che si ripercuote un po’ su tutti i settori, anche quelli strettamente indispensabili come vestiario e alimentari appunto, nonché la reintroduzione dell’Imu, sorella e sostituta dell’Ici, con la differenza però di essere notevolmente più pesante per le tasche dei contribuenti. Come affronta la crisi e l’aumento dei prezzi una famiglia tipo? Quanto ciò influisce nella gestione familiare? Quante

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sono le rinunce? Quanto rimane, in sostanza, alla fine del mese? Lo abbiamo chiesto a una famiglia teramana formata da quattro componenti: Teresa e Daniele, entrambi quarantenni e i loro due bambini, Eleonora, cinque anni a giugno, e il piccolo Simone di un anno. Un lavoro part-time nel settore commerciale lei, riparatore di elettrodomestici lui. Milleottocento euro mensili in due, un mutuo decennale che “succhia” 600 euro ogni mese, oltre alla rata di 270 euro dell’unica auto che hanno deciso di lasciarsi (averne due era un diventato un lusso oramai) che si va ad


aggiungere a quella della stufa a pellet (120 €). Dello stipendio restano 810 €. Come impiega quello che rimane dello stipendio? «Quello che resta – spiega Teresa – ci deve bastare per tutto il mese. Le spese sono tante, soprattutto per i bambini, c’è la retta dell’asilo di Eleonora, i pannolini, il latte in polvere, le pappine di Simone. Solo per loro spendo almeno 200 euro al mese. E meno male che non compro i vestiti; spesso infatti me li regalano ai compleanni o a Natale, oppure capita di scambiarceli tra amiche. I bambini crescono in fretta, così un vestito quasi nuovo passa da un’amica all’altra e poi, quando non serve più, si restituisce. Solo per le scarpine non risparmio. Non mi va che si rovinino i piedini, e un buon paio di scarpe costa sui 50 €.» Qual è la voce che incide maggiormente nel bilancio familiare? «Sicuramente gli alimentari, le spese per la casa e per l’igiene personale. Più di tanto non si può economizzare, perché si tratta di cose indispensabili, anche se cerchiamo di fare la spesa negli hard discount. Comunque, non riesco a spendere meno di 100 € a settimana.» E le bollette? Anche quelle saranno un problema. «Per le bollette devo dire che siamo fortunati. È mia suocera che se ne occupa, altrimenti sarebbero almeno altre 300 € di spese. Solo il riscaldamento è a carico nostro, e anche quello non è proprio insignificante. Tra ottobre e marzo abbiamo speso 500 € di pellet». Immagino che anche l’aumento record della benzina abbia influito sul vostro bilancio. «Per fortuna non è una voce che pesa tantissimo, mio marito usa il furgone della

ditta per lavorare e la macchina la uso solo io. Abbiamo l’impianto a nafta per risparmiare, ma ormai, anche quella è arrivata alle stelle.» Qual è la voce che incide meno? «Cerchiamo di risparmiare sulle spese per noi: vestiti, scarpe ecc. Magari, se serve qualcosa per me o mio marito, faccio acquisti durante il periodo dei saldi. Anche se, spesso, lascio perdere. Si rinuncia alle cose superflue: magari a una pizza fuori o al parrucchiere.»

... è praticamente impossibile mettere qualcosa da parte. Alle spese mensili si sommano quelle annuali come il bollo, l’assicurazione dell’auto, le varie spese mediche... Riuscite a risparmiare qualcosa a fine mese? Almeno saltuariamente? «No, è praticamente impossibile mettere qualcosa da parte. Alle spese mensili si sommano quelle annuali come il bollo (200 €), l’assicurazione dell’auto (400 €), le varie spese mediche, tra controlli di routine e spese farmaceutiche. D’inverno, ad esempio, capita spesso che i bambini si ammalino e allora sono almeno 30 € a prescrizione. Inoltre, se è vero che le visite mediche per i bambini fino a 6 anni sono gratuite, quelle specialistiche sono un vero e proprio salasso.

Riusciamo a barcamenarci tra mesi in cui andiamo in perdita e mesi in cui riusciamo a rimetterci in pari. Vuoi perché le spese sono minori o grazie alle tredicesime e alla mia quattordicesima che, nel mio lavoro, per fortuna è prevista. Ma risparmiare, per il momento, non è proprio possibile.» Avete risentito del peso della crisi? «Sì, la crisi l’abbiamo sentita eccome. Ma devo dire che è stato soprattutto dopo la nascita del secondo figlio che le spese sono notevolmente aumentate. Non so come facciano certi politici a lamentarsi che in Italia si fanno pochi figli; ma hanno idea di quanto costa crescere un bambino?» Il futuro vi preoccupa? «Ho paura anche per i miei figli. Mi preoccupa non sapere che mondo troveranno quando saranno grandi. Speriamo che per allora le cose cambino. Ma sono ancora piccoli, c’è tempo. Invece, quello che mi spaventa di più è pensare a un futuro senza l’aiuto di mia suocera. Non solo per l’indispensabile contributo economico che ci dà, ma anche per tutto quello che fa per i nipotini. Io e mio marito siamo tutto il giorno fuori per lavoro e io, soprattutto, ho degli orari assurdi, quindi capita spesso che sia mia suocera a occuparsi dei bambini. Quando, ad esempio, ho il turno del mattino presto, è lei a svegliarli, lavarli, preparare la colazione, aspettare il pullmino che porta mia figlia all’asilo, e quando torna a casa. Se non ci fosse lei dovrei trovarmi una babysitter disposta a seguire i miei turni di lavoro. Per il momento mi ritengo abbastanza fortunata, dopo tutto io e mio marito lavoriamo, ma ho amiche, pure con figli, che vivono con uno stipendio solo e che non possono contare nemmeno sull’aiuto dei suoceri. Io, almeno da questo punto di vista sono molto fortunata.»

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Liberalizzazioni cosa cambia per il professionista di Gianfranco Puca

PROMESSE DI UN LAVORO MANCATO di Vincenzo Lisciani Petrini

Avvocato

l testo del Decreto Legge 1/12 (decreto liberalizzazioni) è stato definitivamente approvato, con modifiche, e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 71 del 24.3.12. L’art. 9 riguarda la professione dell’avvocato (e, in genere, tutte le professioni intellettuali) e questi sono i principi fondamentali relativi alle tariffe ed al compenso per l’attività professionale. ABROGAZIONE DELLE TARIFFE – PROROGATIO DELLE TARIFFE LIMITATAMENTE ALLA LIQUIDAZIONE DELLE SPESE GIUDIZIALI . Le tariffe professionali sono abrogate. Entro 120 giorni dalla data di pubblicazione della legge di conversione (24.3.12) il Ministro competente dovrà determinare i parametri di riferimento in caso di liquidazione del compenso professionale da parte di un organo giurisdizionale. Le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del decreto 1/12 devono continuare ad essere applicate, ma solo limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla entrata in vigore dei decreti ministeriali e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge IL COMPENSO PROFESSIONALE – IL PREVENTIVO DI MASSIMA - LA POLIZZA ASSICURATIVA PER LA RESPONSABILITA’ CIVILE. Il compenso per le prestazioni professionali e’ pattuito con il cliente al momento del conferimento dell’incarico professionale; il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell’incarico, fornendo anche le informazioni utili circa tutti gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento dell’incarico fino alla conclusione dell’incarico stesso. La misura del compenso deve, comunque, essere previamente resa nota con una preventivo di massima, e deve essere adeguata all’importanza dell’opera professionale; per tutte le singole

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Il compenso per le prestazioni professionali e’ pattuito con il cliente al momento del conferimento dell’incarico professionale... prestazioni devono essere indicate tutte le voci di costo, incluse spese, oneri e contributi. Il professionista deve indicare i dati della polizza assicurativa per la responsabilità civile professionale. Alcune osservazioni sulla nuova disciplina. Al professionista, anche se la legge non prevede tale obbligo, è certamente consigliabile redarre per iscritto il “preventivo di massima” nel quale inserire: 1. le indicazioni relative alla copertura assicurativa; 2. le indicazioni relative alla informativa sulla privacy; 3. le indicazioni sull’accesso alla mediazione civile e commerciale (art. 4, comma 3, D.Lgs. 28/10); 4. la misura del compenso, che dovrà necessariamente essere commisurato alla complessità dell’incarico; proprio in virtù del principio di chiarezza sul quale deve essere basato il rapporto professionista/ cliente, il compenso indicato deve comprendere tutti gli oneri di legge (vale a dire, in altri termini, che il compenso indicato deve corrispondere proprio all’importo da fatturare e che verrà corrisposto dal cliente).

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uccede, purtroppo. Come se non bastasse il vorticante giro dei colloqui di lavoro con le solite frasi (“Bel curriculum, molto interessante, vedo che lei si è già occupato/a di molte cose. Le faremo sapere…”), oggi le difficoltà dei giovani aspiranti lavoratori è quello di occuparsi con la promessa di essere messi sotto contratto, dopo il cosiddetto periodo di prova. La gavetta, insomma, che spesso si tramuta in un vero e proprio sfruttamento senza il minimo ritegno. Riporto qui l’esperienza di un giovane teramano, che ha chiesto di restare anonimo. Era stato chiamato per uno stage insieme ad altri ragazzi presso un’azienda di Teramo, e da subito il dirigente aveva prospettato loro, con toni entusiastici, la possibilità di una luminosa carriera. Il capo comincia subito a chiedere ore in più da passare in ufficio, e di avere pazienza perché era tutto lavoro che sarebbe servito per imparare il mestiere. Intanto il periodo da stagisti cominciava a volgere al termine, con promesse che in breve tutto si sarebbe sistemato con un nuovo contratto a progetto e una buona paga. Il tempo scade e i giovani stagisti cominciano a guardarsi in viso preoccupati: di un nuovo

Tutti vanno via alla spicciolata dall’ azienda: frustrati e delusi di essere stati presi in giro nonostante le migliori intenzioni...


Finanza etica

LA SVEZIA INSEGNA ANCHE A TERAMO contratto nemmeno l’ombra e intanto si continua a lavorare. Gratis, ovviamente, e pensare che alcuni di loro per arrivare in ufficio impiegano anche quaranta minuti di auto. Benzina non rimborsata, ovviamente. Il giovane teramano non sa bene che pesci pigliare: al momento altre possibilità lavorative non si muovono e quindi concede ancora fiducia al suo capo. La situazione, tuttavia, non cambia: ogni volta che si parla di un rimborso spese, di un contratto, di una paga, il dirigente glissa bonariamente, asserendo che ci sta già pensando.. Uno dei ragazzi non ce la fa più e minaccia la denuncia. Riceve in risposta minacce di “terra bruciata alle agenzie di collocamento e segnalazioni in nero del suo curriculum”. Situazione paradossale. Gravissima. Tutti vanno via alla spicciolata dall’ azienda: frustrati e delusi di essere stati presi in giro nonostante le migliori intenzioni. Di questi tempi, tuttavia, non è meglio accontentarsi piuttosto che continuare a subire frustrazioni e delusioni? Il giovane stagista risponde: “L’importante è tentare sempre il tutto per tutto. Se poi subentreranno altri fattori, come la necessità di mettere su una famiglia, allora ci si accontenterà anche solo di portare il pane a casa. Intanto, però, voglio credere che sia ancora possibile realizzarmi in questo paese”.

di Mattias Cocco

nato il comitato promotore per la costituzione della Banca Popolare Jak Italia, il soggetto giuridico preposto a compiere tutti i passi amministrativi e pratici per costituire, quasi quarant’anni dopo l’erogazione del primo prestito in Svezia, una banca senza interessi anche in Italia. Da noi il progetto è stato avviato tre anni fa. quando fu fondata l’associazione culturale Jak Bank Italia (oggi 150 soci e un migliaio di iscritti alla newsletter in tutta Italia), con lo scopo di replicare l’esperienza svedese. Ovvero, creare un sistema bancario fondato su una visione alternativa di finanza, non speculativa ma al servizio di persone e PMI che si prestano danaro tra di loro, secondo un modello reciprocamente equo e instaurando forme di mutualità e cooperazione. Il modello Jak sostiene la tesi per cui il pagamento di interessi su debiti e crediti, e più in generale la remunerazione del denaro, producano nel lungo periodo effetti negativi a livello di qualità della vita nei nostri sistemi sociali. In primo luogo, provocando un aumento della disuguaglianza tra soggetti ricchi e persone in disagio economico: in una parola, sperequazione. A cascata, quindi, sopraggiungono l’aumento costante dei costi di beni e servizi, ovvero inflazione, spreco di risorse ambientali e crisi economico-finanziarie cicliche. Il sistema Jak propone di non perseguire

la massimizzazione del profitto nello svolgimento dell’attività bancaria, ma solamente la copertura dei costi di esercizio. Il meccanismo di base è semplice: i depositi non vengono remunerati, mentre i prestiti hanno un costo che, insieme alla quote associative annuali (25€ in Svezia), rappresentano unicamente le spese per il lavoro dei dipendenti della banca e per lo sviluppo e diffusione del sistema. JAK Medlemsbank conta 37.000 soci, gestisce un giro d’affari di circa 100 milioni di € l’anno, ha 30 dipendenti, nessuno sportello al pubblico ma efficaci servizi di home-banking e assistenza telefonica. Una rete di circa 500 volontari promuove il modello in tutto il paese. In Italia sono stati compiuti passi importanti e si sta procedendo alla creazione della rete necessaria alla realizzazione del progetto. Le sfide che attendono sono impegnative, ma una rete di volontari determinati supportata da professionisti esperti, oltre all’appoggio della casa madre svedese, sono i punti di forza di un progetto che intende incidere una testimonianza concreta di finanza utilizzata per il bene comune. Il 9 maggio a Milano si terrà un convegno gratuito a tema JAK aperto da Matteo Marzotto, con la partecipazione di un membro del board della banca svedese e di professori delle università Bicocca e Bocconi. Il 21 aprile ci sarà l’assemblea dei soci a Torino, e a breve è previsto un incontro Jak di introduzione e accoglienza a Teramo.

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MANICOMI CRIMINALI CHIUSI LEGGI “STRUZZO” di Ivan Di Nino

ui sono i pochi, forse neppure i veri”; questa era la scritta che troneggiava nei manicomi italiani, compreso quello teramano. Fino a poco tempo fa si veniva malamente scherniti da chi abitasse in provincia: “Di dove sei?” “Di Teramo” “Ah, a Teramo c’è il manicomio!”. Come se fosse stata una colpa. Considerati come una vergogna, furono eliminati. In principio fu la contestatissima legge 180 del 13 maggio 1978, più conosciuta come legge Basaglia: ispirandosi alle idee dello psichiatra ungherese Thomas Szasz, il dottore veneto promosse una normativa che se aveva il pio intento di chiudere dei veri e propri lager, dove se non si era veramente pazzi lo si diventava, si basava d’altro canto su assunti clinici oggi ritenuti completamente obsoleti. Basaglia applicò un metodo terapeutico antipsichiatrico, rifiutando il modello medico biologico della malattia. Per il trattamento dei casi singoli essa riconosce validi solo gli interventi psicoterapici e politicosociologici, che avrebbero il compito di suscitare nel malato la presa di coscienza della vera origine della propria sofferenza. In pratica, una persona “fuori di testa” doveva capire da solo di essere pazzo e regolarsi di conseguenza! Tali teorie sono oggi considerate del tutto sorpassate, a partire dall’idea miseramente fallita di poter curare senza ricorrere all’uso dei farmaci, provenendo la pazzia da una multifattorialità di cause biologiche, genetiche ed ereditarie. L’ennesimo provvedimento legislativo, emanato pochi giorni fa dal Parlamento, ha avviato in modo conclusivo la chiusura definitiva (entro il 31 marzo 2013) anche degli OPG- Ospedali psichiatrici giudiziari. Il ricovero in tali luoghi è trattato dall’articolo 222 del Codice Penale, su cui si è più volte espressa la Corte Costituzionale; importante la sentenza

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253/2003 con cui è stata sancita l’illegittimità costituzionale della parte dell’articolo che «non consente al giudice [...] di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale». Analoga la sentenza 367 del 29 novembre 2004 che ha sancito l’illegittimità costituzionale di parte dell’art. 206. Secondo il presidente della Repubblica, Napolitano, tali istituti sono “un orrore” che riguardano al momento circa 1500 persone. I manicomi criminali, tuttavia, rispondevano ad una esigenza innanzitutto di Pubblica Sicurezza, cautelando i malati gravi sia da loro stessi, che dalla pericolosità che essi avevano verso gli altri. Cosa accadrà allora domani ai malati? Anche la legge Basaglia prevedeva strutture sanitarie diverse dai manicomi e più rispondenti ai tempi moderni ma nessuno le ha mai viste. Ad oggi una buona parte delle strutture psichiatriche esistenti di tipo comunitario non sono assolutamente in grado di fronteggiare questa nuova emergenza. In realtà, moltissimi studiosi concordano sul fatto che vadano trovate pene alternative per chi è pericoloso per sé e per gli altri, ma nessuno si è mai addentrato nello specifico: niente ospedali, niente manicomi, niente carcere. Dove allora? Per legge sono state abolite le case di tolleranza, così sempre per legge non esistono più le prostitute; vengono periodicamente ributtati in società i manigoldi detenuti nelle nostre carceri perché sarebbe troppo faticoso trasferirli nelle nuove già esistenti o costruirne altre. Sempre per legge, adesso verranno aboliti i manicomi, così non esistono più i pazzi. Qualcuno lo spieghi alle famiglie di provenienza, che verranno ancora una volta lasciate sole a fronteggiare problemi gravissimi che potrebbero sfociare nelle ennesime storie di cronaca nera.

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Il male di vivere del ventunesimo secolo è poliedrico e “democratico”. Non sceglie come vittime individui particolari, ma azzanna indifferentemente e con ferocia, cambiando solo il costume. Atterriti dalla paura del domani, dalla precarietà dei sentimenti, dall’indifferenza dei simili, ci siamo inventati effimeri (e spesso pericolosi) sistemi di annacquamento del dolore. Non abbiamo altra soluzione che tornare a salire. In fondo, dove stiamo, si incomincia a boccheggiare. Qualcuno ci indichi dove sta la fune per aggrapparci. T.M. PrimaPagina 24 apr. 2012

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UNA CRISI

“DEMOCRATICA” di Mira Carpineta

mprenditori, lavoratori, disoccupati, giovani e anziani: 33.000 mediopiccole aziende fallite negli ultimi 9 mesi, in Italia. Dalla mala economia alla mala politica, le vittime della crisi appartengono “democraticamente” a tutte le categorie e le fasce sociali. Non passa giorno ormai che le cronache non riportino notizie di suicidi o atti estremi. Una volta chi entrava in banca con una pistola era per fare una rapina, oggi c’è chi lo fa per non farsi negare un prestito, necessario a far sopravvive una piccola azienda o la famiglia, mentre chi ruba spesso lo fa per sfamarsi, come una coppia di anziani sorpresi dall’antitaccheggio in un supermercato. Abbiamo chiesto un commento a tre diversi esponenti dell’economia teramana e il messaggio, forte e chiaro, è stato anche unanime: basta con le chiacchiere.

Gloriano Lanciotti (direttore provinciale Cna Teramo)

“Le misure di Monti sono state necessarie. Qualcuna pienamente condivisa altre un po’ meno. Sarebbe però utile maggiore incisività per quel che riguarda il sostegno al credito, anche attraverso i Confidi che sono poi i garanti delle imprese presso le banche. I Confidi si sono fatti carico di sostenere e garantire l’accesso al credito, ma da due anni aspettiamo ancora i fondi FAS assegnati allo scopo. Nel 2011 la provincia di Teramo ha invece fatto un passo indietro: 58 milioni in meno di erogato rispetto al 2010. Ne pagano le conseguenze soprattutto le piccole imprese sottocapitalizzate. La questione dei suicidi è drammatica e sarà affrontata nei prossimi incontri della nostra associazione perché le richieste di aiuto che riceviamo sono davvero tante e a volte è davvero difficile rispondere. La questione principale riguarda soprattutto i crediti nei confronti di enti pubblici, che non vengono riscossi, mentre rimangono gli impegni di uscita, gli stipendi, le tasse. Per questo oggi è necessaria una maggiore flessibilità delle banche devono essere più flessibili e maggiori risorse per i Confidi. In realtà finora abbiamo avuto solo chiacchiere. Le banche hanno utilizzato i fondi erogati dalla BCE per risanare i propri

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conti economici e riportare così lo spread a livelli dignitosi, ma non è più possibile rimandare la redistribuzione di quel denaro alle imprese, anche se rimangono altre difficoltà oggettive. L’obiezione è sempre la stessa: se le aziende non sono sane il credito non viene erogato. Ma oggi anche grandi imprese hanno problemi di liquidità, figuriamoci le piccole e per i motivi già detti. Il primo passo quindi è sbloccare tutti i pagamenti che le aziende pubbliche devono alle imprese. E parliamo di cifre già ingenti: 60 milioni di euro di crediti verso enti pubblici Da 4 anni discutiamo in questa provincia di alcune aree di crisi, ma ad oggi non è stato fatto ancora niente. Da 3 anni non si ricevono risorse, nonostante i periodici annunci sui giornali. Di cosa parliamo? Tutti i giorni ascoltiamo i problemi delle imprese, ma abbiamo a che fare con una classe politica troppo lenta nel dare risposte che invece devono essere immediate. Non è più tempo di discutere, ma di muoversi. Non c’è un ente in questa provincia, comuni, Asl, ecc. che paghi entro i 30 giorni previsti, salvo forse la Camera di Commercio. Uno dei nostri associati sta aspettando da circa 2 anni di essere pagato. Il nostro tessuto economico è fatto principalmente di piccole realtà, oltre il 90% delle imprese di questo territorio ha meno di 10 dipendenti e se non si interviene subito con un’iniezione di liquidità, con concretezza, sarà difficile farla ripartire perché tranne alcuni grossi nomi che lavorano con l’export, il resto vive del mercato locale che dipende quindi dai consumi locali. Di contro abbiamo invece delle risorse che rischiano di andare perdute, un vero e proprio spreco. Due grandi opere che gridano vendetta: l’autoporto di Roseto, costato13 miliardi di vecchie lire, finito e mai messo in funzione e quello di Castellalto, ancora da finire. Chi è responsabile di questo? La politica non se ne occupa e per utilizzarli o riconvertire l’incompiuto bisognerebbe fare un bando, affidarlo a privati liberi di gestirlo e in grado di ricavarne dei guadagni. Abbiamo impiegato 25 anni per finire (si fa per dire) la Teramomare. Per quanto riguarda la classe politica credo che la prossima volta che si andrà a votare sarà sottoposta forse per la prima

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volta nella nostra storia, a una vera selezione. Gli imprenditori oggi osservano molto attentamente chi sta lavorando e come, per il territorio, perché chi dovrà rappresentarci non avrà più deleghe in bianco. La classe politica dovrà capire che il cambiamento è inevitabile e che dovranno lavorare sodo per il rilancio dell’economia, a tutti i livelli. Le decisioni dovranno essere rapide perché i prossimi mesi saranno ancora duri. Non chiediamo contributi a fondo perduto, ma risorse e sostegno per imprenditori e dipendenti che i confidi possano utilizzare per ridare ossigeno al movimento economico”.

Gianfredo De Santis (presidente regionale Fidimpresa)

“Nel 2011 sono state 186 le imprese abruzzesi fallite. E i fallimenti hanno un effetto a catena perché coinvolgono anche le altre attività ad esse collegate. Infatti, quando un’impresa fallisce, i suoi creditori hanno comunque anticipato le tasse (iva) sui crediti che vantano, ma nonostante la perdita o il mancato incasso, non possono recuperarle. La regione ha un ruolo importante nel rilancio dell’economia abruzzese e deve agire di conseguenza. I fondi Fas ad esempio, dovrebbero essere al più presto sbloccati e messi a disposizione delle imprese, attraverso banche e confidi, come dichiarato in molte occasioni dall’assessore Castiglione. Purtroppo i bilanci delle piccole imprese hanno poco capitale e questo per le banche è una discriminante grave, occorre più coraggio da parte loro perché in tempi di facili guadagni, le stesse banche hanno attinto da quelle piccole imprese, anche se poco capitalizzate. E’ indispensabile quindi che la politica smetta di fare chiacchiere e agisca. A livello nazionale sono circa 70 milioni i crediti vantati dalle imprese nei confronti di enti pubblici, mentre solo nella nostra regione sono 1,400 milioni. Questo Governo regionale ha dato il via libera per certificare il credito che le imprese hanno verso gli enti, ma quando sarà veramente attivato e riscuotibile? Anche i fondi POR destinati alla patrimonializzazione dei confidi ancora non si vedono, come non si sono ancora visti i fondi per le le alluvioni, le calamità e le aree di crisi. Le nostre convenzioni hanno un indice moltiplicatore da 15 a 20, ciò significa che con una disponibilità di un milione di euro possiamo garantire le aziende per 20 milioni, quindi con i 30 milioni assegnati potremmo garantire per 600 milioni di liquidità e se tutto ciò avvenisse con la sinergia delle banche, la cosa sarebbe veramente risolutiva

per l’economia abruzzese. I dati Fidimpresa Abruzzo invece dicono altro: abbiamo deliberato per 144 milioni di euro, però le banche hanno erogato per 72 milioni di euro, quindi solo il 49% del nostro deliberato. C’è da riflettere. E’ possibile che non ci siano imprese che meritino investimenti e aiuti?”.

Luca Verdecchia (presidente giovani imprenditori Confindustria)

“Il male di questa economia ha radici profonde e adesso siamo nel collo dell’imbuto. La difficoltà di accesso al credito non fa che peggiorare lo stato di gravità. Confindustria Teramo di recente ha siglato un accordo con Banca dell’Adriatico del Gruppo Intesa proprio per intervenire su questo argomento. Se è vero che le banche sostengono oggi solo le imprese con una storia consolidata, per i giovani che si trovano a creare iniziative imprenditoriali il discorso cambia. Le banche devono credere nei progetti per assumersi l’impegno a sostenere. Spesso mancano però proprio i progetti. I fondi a disposizione ci sono, ma le scelte da fare vanno ponderate. Oggi inoltre è fondamentale che la politica si faccia carico di questa realtà e lavori per sostenere le imprese e l’economia. In questo si avverte il cambiamento che la politica dovrà necessariamente affrontare. Il governo tecnico ha tolto il velo e messo la politica di fronte ai problemi reali. C’è bisogno di idee nuove e i giovani possono essere decisivi, è una grande occasione per nuove progettualità, ma se la classe politica non cambia o non cambia il suo approccio alla realtà sociale le cose non possono realmente migliorare. . Possiamo ipotizzare che alle prossime consultazioni elettorali, il paese chiederà alla politica cambiamenti reali, maggiore presenza di giovani, nuovi atteggiamenti nei confronti dei cittadini. Dal fisco alle tutele sociali, dai controlli alle sanzioni. Nel nostro recente convegno inoltre è emerso che nessuna provincia abruzzese è tra le prime 20 in Italia per tasso di imprenditorialità giovanile e tra le possibili spiegazioni c’è che fare impresa in tempo di crisi è difficile … figuriamoci per i giovani; siamo un paese gerontocratico; i tempi – ed i costi - per aprire un’impresa sono biblici; le tasse in Italia sono troppe; se sei giovane e intelligente meglio andare all’estero! E’ anche vero, però, che non si comunicano adeguatamente le storie di “quelli che ce l’hanno fatta” ma si preferisce parlare di “fuga di cervelli” e che molti giovani non conoscono adeguatamente le lingue ed oggi il mercato più attraente è spesso oltre-confine”.

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foto: il Ministro Elsa Fornero

La “guerra tra poveri” di Monti di Lidia Undiemi

i recente mi è stato chiesto di parlare della riforma del mercato del lavoro, del governo Monti, in ottica di genere, cioè affrontando i nodi relativi all’occupazione femminile che nel testo del disegno di legge occupa – parole della signora ministro Fornero – un intero capitolo. Tuttavia, nella situazione di crisi economica che stiamo vivendo, i disagi che in passato caratterizzavano soprattutto il lavoro delle donne – ineguaglianza, discriminazione sul piano retributivo, ecc. – stanno drammaticamente coinvolgendo altre categorie di lavoratori, anche uomini di una certa età con un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato. In sostanza, in questo periodo di grave crisi economica si sta creando un appianamento delle differenze di genere nel mondo del lavoro. Risolvere questi problemi senza ridefinire il quadro sociale complessivo è praticamente impossibile. Qualsiasi riforma, qualsiasi progetto di legge che miri al miglioramento delle condizioni delle donne non può

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prescindere dal contesto generale. Le riforme hanno un senso solo se consentono l’attuazione di un obiettivo politico. Se la proposta di legge parte da un governo “tecnico”, com’è quello attuale, allora dietro lo scopo politico deve esserci un’analisi della realtà che consenta ai cittadini di poter misurare la credibilità, le capacità ed il senso di responsabilità dei rappresentati istituzionali.

Bisognerebbe discutere del perché la flessibilità ha fallito...

Quali sono i motivi tecnici che giustificano l’intervento del governo Monti in materia di licenziamenti illegittimi?

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I principali problemi dell’Italia sono la corruzione politica, che incide pesantemente sull’inefficienza della pubblica amministrazione, e la speculazione finanziaria. Il governo Monti, piuttosto che agire con forza e determinazione contro questi fenomeni, sta incentivando una “guerra tra poveri”, mediante la realizzazione di politiche di austerità, del tutto indifferenti al genere. Alla base del progetto di riforma del mercato del lavoro c’è infatti l’idea che la precarietà e le difficoltà di accesso al mondo del lavoro siano principalmente causate dal fatto che ci sono altri lavoratori “stabili” che invece riescono ad arrivare a fine mese. E’ chiaro che una motivazione di questo tipo non può reggere perché non cerca di trovare soluzioni per incrementare i posti di lavoro, ma tende a generare una specie di riciclo di quelli già esistenti. Perché il governo non ha ancora reso noto un piano di sviluppo “anticrisi”, e continua a lavorare sulle politiche di austerity attribuendo il peso della crisi ai cittadini? La carta bianca in qualche modo si dà solo ai poteri bancari. La Banca Centrale


Europea (BCE) ha erogato alle banche qualcosa come un trilione di euro al tasso dell’1%. Perché “regalare” denaro alle banche e contemporaneamente rendere praticamente inaccessibile il credito alla piccola e media impresa? Chi gestisce un’attività economica, chi fa veramente impresa, sa benissimo che il suo “nemico” non è il lavoratore. E’ chiaro che esistono situazioni di conflittualità, ma in questi casi la legge, con le sue imperfezioni, mette a disposizione gli strumenti per poterlo risolvere, tenendo conto della condizione di debolezza contrattuale del lavoratore rispetto al datore di lavoro. Il vero “ostacolo” per l’imprenditore è la crisi economica e sociale, un fenomeno pilotato dalle logiche speculative e dalla corruzione. Questo squallido intreccio di interessi “paralizza” l’economia reale e obbliga chi fa impresa a chiudere l’attività e a licenziare i dipendenti. La proposta di riforma del governo Monti è espressione di una visione “limitata” del conflitto sociale, dato che, ancora una volta, viene tirata in ballo la questione della mancanza di flessibilità nella gestione del rapporto di lavoro per giustificare i mali dell’economia. Un approccio non soltanto minimalista ma anche tecnicamente inconsistente visto che gli strumenti di flessibilizzazione del mondo del lavoro introdotti con la legge del 2003, impropriamente definita “Biagi”, si sono rivelati un fallimento, a giudicare dai risultati odierni. Bisognerebbe discutere del perché la flessibilità ha fallito. Manca un’analisi tecnica. Anche il pensiero di Biagi viene talvolta stravolto. Lo studioso mirava ad un obiettivo che è stato completamente invertito dall’attuale scuola di pensiero che sostiene il “dualismo di sistema”. Un modo elegante per sostenere, come già accennato, che le difficoltà lavorative che affliggono milioni di precari italiani dipendono dal raggiunto benessere di quei lavoratori che riescono ancora a guadagnare uno stipendio decente. Biagi sosteneva che occorreva effettuare una graduale applicazione dei diritti tipici del lavoro “stabile” in favore dei lavori “precari”. La politica, soprattutto in quest’ultimo periodo, tende invece a ridurre i diritti dei lavoratori che stanno un po’ meglio. E veniamo al tema del “licenziamento”. La questione più discussa dai mezzi di informazione e dalle parti sociali riguarda il tentativo da parte del governo di ridurre la possibilità, per il lavoratore, di ottenere il reintegro, nei casi in cui si accerti giudizialmente l’illegittimità del licenziamento per motivi economici. La legge attualmente in vigore consente

al datore di lavoro di poter licenziare per ragioni inerenti l’attività d’impresa, ad esempio per la riorganizzazione della forza lavoro. Il giudice non può entrare nel merito delle scelte imprenditoriali, e l’obbligo di reintegro interviene soltanto quando le ragioni, che giustificano l’espulsione , di fatto non sussistono oppure quando manca il nesso di causalità fra le scelte economiche e il licenziamento. Ciò vale per i datori di lavoro rientranti nel campo di applicazione dell’articolo 18, ossia quelli con più di 15 dipendenti. La tutela del reintegro non è quindi una forma di flessibilità del lavoro, ma una protezione del dipendente contro licenziamenti non giustificati da reali motivazioni economiche. Il governo Monti intende limitare queste opportunità. In una prima bozza di riforma, i ministri avevano addirittura progettato di togliere ai lavoratori la possibilità di reintegro in tutti i casi di licenziamento economico infondato, lasciando solamente la possibilità di ottenere un indennizzo monetario. Questo approccio radicale è stato duramente criticato perché espone i lavoratori ad abusi ingiustificati. “Vediamo di formulare una regolamentazione che eviti gli abusi”, sostiene il primo ministro. Quali abusi? Monti si riferisce ai licenziamenti discriminatori nascosti dietro finti recessi per motivi economici. Le dichiarazioni del professore sono “tecnicamente” irragionevoli, perché l’abuso non è necessariamente discriminatorio, ma può anche essere economico, non si capisce, infatti, per quale motivo il datore di lavoro debba potere utilizzare, in modo strumentale, esigenze aziendali inesistenti per cacciare via un dipendente. La legge tutela già i lavoratori contro le estinzioni dei rapporti di lavoro dettati da fini discriminatori, consentendo al lavoratore di potere essere reintegrato, anche al di là dei limiti dimensionali contenuti nell’articolo 18. Il punto non è dunque evitare gli abusi, ma tutelare più in generale i lavoratori contro l’utilizzo abusivo dei licenziamenti economici illegittimi. Nell’ultima versione della riforma viene sostanzialmente ripristinato l’obbligo di reintegro nei casi di licenziamento per motivi economici, ma solo nei casi di “manifesta insussistenza” delle motivazioni che giustificano il licenziamento. Un concetto non facilmente comprensibile. ma che ha un effetto ben definito: l’obbligo di reintegro sussiste soltanto se il giudice - rispetto alle varie ipotesi di licenziamento per motivi economici – stabilisce che la

foto: Lidia Undiemi

Chi è Dottore di ricerca in Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente.Titolo conseguito presso l’Università degli Studi di Palermo Caporedattore della rivista scientifica di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente – GIURETA (www.giureta. unipa.it). Responsabile nazionale sezione dipartimentale “Trasformazioni d’impresa e tutela dei diritti” e responsabile Dipartimento Lavoro e Welfare Sicilia Nata a: Palermo il 26/11/1978 Si occupa di politica economica e legislativa di contrasto alle speculazioni. Esperta in materia di tutela dei lavoratori contro le esternalizzazioni abusive e studiosa di fenomeni sociali legati al diritto del lavoro e al diritto societario.

ragione economica è sostanzialmente palesemente infondata. La modifica dell’articolo18 ha monopolizzato i mezzi d’informazione di massa. Ci sono altri interventi che meritano attenzione ma di cui non si parla, come la ratifica di due trattati europei, quello sul meccanismo europeo di stabilità (ESM) e quello sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria. Il trattato ESM, a quanto pare sconosciuto alla classe politica italiana, prevede l’attribuzione del fondo “salva-stati” ad una organizzazione finanziaria intergovernativa che, fra immunità, condoni ed altri privilegi, si propone si concedere soldi agli stati in difficoltà in cambio della possibilità di potere incidere sulle scelte di politica interna, da far gravare sulle spalle di intere popolazioni. Rischiamo di avere all’orizzonte un’ondata di austerità imposte da un’istituzione non democraticamente eletta, che gode inoltre della “inviolabilità” dei documenti. E’ di questo che dovremmo discutere. Le soluzioni esistono, parliamone.

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Vendette di padri di Coralba Capuani

Uomini che uccidono i figli per colpire le loro ex compagne. La dott.ssa Pompilii, psicoterapeuta teramana, fornisce una chiave di lettura del preoccupante fenomeno

La maternità è automatica, il senso materno nella donna nasce nel momento stesso in cui scopre di portare un figlio in grembo, mentre per il padre è più complesso. La paternità si instaura al momento della nascita del bambino...

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Padri che fuggono, uccidono, padri che si vendicano delle loro ex compagne colpendole nel loro punto più debole: i figli. La cronaca degli ultimi anni è piena di episodi in cui sulla ribalta si erge la figura di un genitore che, dopo essere stato lasciato dalla moglie o dalla convivente, decide di vendicarsi sul proprio figlio. A volte si tratta di uomini già di per sé violenti che, non potendo più sfogare la loro bestialità sulle proprie donne, decidono di punirle con una scelta atroce, andando a colpire gli affetti più cari. Si pensi all’uomo che, lasciato dalla compagna dopo l’ennesimo maltrattamento, ha gettato nel Tevere il suo bambino di pochi mesi. Più spesso si tratta di uomini “normali”, padri considerati affettuosi e amorevoli, che imprevedibilmente cambiano la loro natura mite per diventare assassini. Chi non ricorda il caso delle gemelline scomparse – probabilmente uccise – che il padre, Matthias Schepp, ha portato con sé nell’abisso della sua follia? È ancora recente, ma di tutt’altro genere fortunatamente, il caso di Yuri, giovane padre di Valle Castellana che, dopo la decisione del Tribunale dei minori di Ancona di affidare la custodia del bambino alla mamma, è scappato portandosi dietro il figlio. L’uomo si è costituito dopo dieci giorni. Uno dei pochi casi a lieto fine. Ma cos’è che spinge un padre che ama (o che dice di amare) il proprio figlio, ad accanirsi contro di lui per punire sua madre? Quale la molla che scatta? E perché quest’ultimo caso si è risolto in maniera diversa? Lo abbiamo chiesto alla dott.ssa Carla Pompilii, psicoterapeuta clinica a indirizzo fenomenologico-esistenziale, specializzata in psicoterapie integrate. «Premesso che ogni episodio è un caso a sé, - esordisce l’esperta - la violenza, la gelosia fino al possesso sono il retaggio di una mentalità maschilista ancora dura a morire. Dopo un abbandono, una persona sana, con un buon equilibrio, riesce a reagire in modo positivo, superando le difficoltà. Ma quando siamo di fronte a un individuo già di per sé violento, incapace di usare la parola per risolvere i conflitti, ecco allora che l’uomo ferito nell’onore ricorre alla minaccia, alla violenza verbale e, infine, a quella fisica fino ad arrivare, nei casi più estremi, all’omicidio.» Si tratta di persone in cui improvvisamente scatta qualcosa, o questo disagio era già latente? «Spesso chi compie questi atti è un uomo che ha grossi problemi relazionali e di inserimento sociale.» Però i familiari ne parlano come di individui del tutto “normali”, almeno prima dell’accaduto. «È molto difficile riconoscere i sintomi di un disagio e, spesso, l’unico in grado di cogliere certi segnali è solo uno psicoterapeuta; nel senso che è molto raro che una persona con tali difficoltà se ne renda conto e chieda un intervento terapeutico. Se così fosse, certe tragedie si potrebbero davvero evitare. Invece, il più delle volte, né i familiari né il soggetto si rendono conto che un mediatore familiare può essere di aiuto. Prendiamo il caso di Schepp, ad esempio. Un uomo che è riuscito a mascherare il suo malessere sotto l’aspetto di un apparente equilibrio. Un uomo normale, amorevole con le figlie, ma che è stato capace di pianificare con lucida freddezza la sua vendetta. Ma anche quando il disagio è palese, la famiglia o la partner stessa non riescono a vedere.» Cosa intende? «In queste famiglie, molto probabilmente, la violenza viene tollerata, considerata normale. Forse per retaggio culturale, perché la forza, l’arroganza, il senso dell’onore in una società che non è ancora riuscita a liberarsi da un certo maschilismo, sono considerati dei pregi. In questo modo si innesta una pericolosa spirale che mina l’autostima e la forza di reazione della donna che accetta passivamente finché, in alcuni casi, si va a sfociare in situazioni estreme. Ma anche quando alcune donne trovano la forza di ribellarsi denunciando, spesso si trovano sole. Non ricevono cioè un vero supporto dalle forze dell’ordine a causa delle lacune legislative ancora da colmare. Si pensi ad esempio ai numerosi casi di stalking che sono sfociati in delitti; quante volte si è poi scoperto che la vittima aveva già denunciato il suo aggressore?». Oltre al disagio personale, vi possono essere altre cause più profonde che coinvolgono aspetti sociali più complessi, come ad esempio il mutato rapporto uomo-donna o la crisi e lo sfaldamento della famiglia tradizionale? PrimaPagina 24 apr. 2012


«Sicuramente il mutato rapporto uomo-donna può in certi particolari soggetti cui ho accennato influire negativamente. La maggiore indipendenza della donna, la possibilità di scegliere di separarsi o divorziare, mentre in passato era costretta a sopportare, può aggiungere instabilità in persone ancora culturalmente legate a questa mentalità. Si tratta comunque, come ho detto, di individui con uno scarso equilibrio interiore, incapaci di fare i conti con questa diversa realtà, individui che invece di ricorrere alla parola per risolvere le controversie preferiscono le minacce e la violenza e, in sostanza, incapaci di controllare la propria rabbia e la propria aggressività.» Ma perché un uomo che dice di amare i propri figli o si è sempre dimostrato un buon padre può arrivare a far loro del male? «Prima di tutto bisogna premettere che la maternità e la paternità sono due meccanismi che si attuano in maniera molto diversa. La maternità è automatica, il senso materno nella donna nasce nel momento stesso in cui scopre di portare un figlio in grembo, mentre per il padre è più complesso. La paternità si instaura al momento della nascita del bambino e, in alcuni casi, anche più in là, quando cioè il bambino è in grado di relazionarsi. Inoltre, è un fenomeno abbastanza normale che il padre provi una sorta di gelosia nei confronti del bambino, poiché va a sottrarre le attenzioni della partner nei suoi confronti. Non è raro infatti che l’uomo tradisca proprio durante questa delicata fase. Comunque, per tornare ai fatti di cronaca, non credo che si possa parlare di un vero rapporto padre-figlio in questi casi. Spesso questi padri non hanno una vera relazione affettiva con i propri figli, non provano empatia o vero affetto. Anche ciò fa parte della difficoltà di questi individui di relazionarsi con gli altri; anche se si tratta del proprio figlio.» Parliamo invece di Yuri, il papà che è fuggito con il figlio di tre anni. In cosa, secondo lei, è diverso dagli altri episodi di cronaca? «Credo che per quanto legalmente sbagliato sia stato il comportamento di questo ragazzo, non si possa assimilarlo ad altri episodi di cronaca come quello di Schepp o del padre che ha gettato nel Tevere il proprio bambino di pochi mesi. Qui siamo di fronte a una sofferenza vera da parte di un padre che ha deciso di fuggire proprio per tutelare il suo rapporto con il figlio. Anche la scelta di costituirsi ci fa capire che si tratta di un soggetto sano. Direi che questo caso rientra più che altro nella problematica dei figli di genitori appartenenti a paesi diversi, con tutte le relative problematiche post separazione. In questi casi accade spesso il contrario. Se è vero che molte donne subiscono le violenze o le ritorsioni di partner violenti, sempre più spesso ultimamente, le donne, consapevoli di essere maggiormente tutelate dalla legge, usano i figli come ritorsione verso mariti e compagni. Si tratta di una “violenza passiva” che non utilizza la forza. Molto più sottile e subdola, ma non per questo meno devastante.» PrimaPagina 24 apr. 2012

Si tratta comunque, come ho detto, di individui con uno scarso equilibrio interiore, incapaci di fare i conti con questa diversa realtà...

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Le tenebre del gioco di Mariangela Sansone

giorni in cui viviamo sono cupi e bui, le tenebre sono alimentate dalla crisi economica e dalla perdita dei valori morali, degli ideali e degli stimoli. Mancano i punti di riferimento, gli slanci di ottimismo, i posti di lavoro, e le nuove generazioni sono sempre più confuse; Ungaretti diceva “la morte si sconta vivendo”, e questa frase ben si attualizza al contesto sociale di questi ultimi anni. Gli effetti di questo periodo di generale sfiducia si vedono nelle grandi città come nella provincia; Teramo non rimane esclusa da questo clima rarefatto, da questa selva oscura, in cui la diritta via è, ormai, smarrita. Crescono le paure ed il malessere, soprattutto tra i giovani, che cercano di fuggire dalla concretezza di questo presente incerto, trincerandosi nella rete, tra le pieghe (che nell’eccesso si trasformano in piaghe) di Facebook e dei social network. Come ci spiega la dott.ssa Carla Pompilii, psicoterapeuta integrata ad approccio fenomenologicoesistenziale: “Per quanto riguarda i casi del teramano, mi è capitato di intervenire con pazienti che manifestavano una forma di dipendenza da Internet ma nella mia esperienza venivano da me per altre problematiche legate alla sfera intima e relazionale. Ho fatto fatica in tutti i casi a mettere le persone di fronte all’evidenza di aver sviluppato una dipendenza dal

web, prevalentemente dai social network, con cui tendevano a sostituire la loro vita sociale reale”. Le relazioni interpersonali si affievoliscono, si riscontra una totale assenza di fiducia nel prossimo e si preferisce comunicare attraverso lo schermo di un computer, nascosti tra le mura domestiche o negli uffici, sfuggendo al rischio del contatto diretto e preferendo non esporsi direttamente alle delusioni affettive. Eppure si cerca sempre un barlume di speranza tramite il quale uscire dalle tenebre, ma una volta caduti in basso e dopo aver perso tutto, cercando di risalire la china, è forte il rischio di arrendersi al mito dei soldi facili e di perdersi inseguendo l’illusione di una vincita improvvisa, che potrebbe risolvere i problemi di chi si ritrova il laccio della crisi economica ben stretto intorno al collo. Ci si butta allora sulle scommesse, gratta e vinci, superenalotto e quant’altro; la dott.ssa Pompilii ci racconta che anche a Teramo è ormai assai diffusa questa vera e propria mania: “i soggetti, prima di realizzare che hanno una problematica, si riducono sul lastrico e causano tanti problemi alla famiglia, che solo alla fine interviene; solitamente queste persone si rivolgono ad un centro specialistico e vengono seguiti da un’equipe, proprio come gli alcolisti o i tossicodipendenti, piuttosto che da

un terapeuta privato, poiché l’intervento richiesto è di rieducazione al controllo del comportamento. Si tratta quindi di dipendenze molto difficili da riconoscere e ammettere”. È un momento di forte pessimismo e il cinema, da sempre riflesso dei tempi e della società, in questi giorni propone, non a caso, opere come “L’altra faccia del diavolo”, sull’ancestrale rapporto tra l’umano e il demonio, o “Romanzo di una strage”, che ci riporta nel clima angosciante degli anni di piombo. Sono pochi gli spazi lasciati alla leggerezza, non c’è nulla da ridere, non c’è nulla per cui stare sereni. Alex Proyas, con il suo successo dark per antonomasia, “Il Corvo”, attraverso la suadente voce dello sfortunato Brandon Lee, suggeriva di non abbandonare mai la speranza, perché, in fondo, “non può piovere per sempre”. Non ci resta, quindi, che attendere, magari con la complicità della primavera, il ritorno del sole e di tempi migliori, anche se forse, come insinuava Dostoevskij, nei suoi “Demoni”: “l’uomo, oltre a volere la felicità, ha un eguale, identico bisogno anche della sventura”; l’alternarsi di cicli storici fortunati ad altri più cupi potrebbe essere funzionale all’umanità per rigenerarsi e trovare una forza vitale pronta a supplire alle carenze della società, e comunque questa alternanza è purtroppo un’inevitabile parte della natura umana.

LA VITA NELLA SALA SCOMMESSE di Adele Di Feliciantonio

l giocatore dipendente è come un agente segreto che agisce in incognito… si aggira quatto quatto, con aria di diffidenza per paura di essere riconosciuto e con l’unica fissazione di portare a termine la missione: giocare, giocare e ancora giocare; trascorrere giornate intere a sfidare la dea bendata, la sua più accesa rivale; vincere anche irrilevanti somme a discapito di quelle di gran lunga superiori

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investite in tutto il pomeriggio, ma soddisfatti per avercela fatta. La smania di “grattare”, di “dare numeri” o di perdersi davanti al monitor di un videopoker è talmente forte che ci si dimentica di tutto: delle finestre aperte, della famiglia che reclama il pranzo o la cena, della macchina parcheggiata in doppia fila con gli automobilisti che suonano il clacson all’impazzata, del ritardo che si sta facendo al lavoro. PrimaPagina 24 apr. 2012

Si arriva persino, una volta terminati i soldi, a chiedere disperatamente credito, a umiliarsi purché soddisfare il demone dentro che scalpita come un cavallo inferocito, affamato, insaziabile, beffardo e tremendamente subdolo. Una vincita, anche piccola, dà un senso di appagamento, ma solo momentaneo. “Giocatori della porta accanto” si potrebbero definire: casalinghe, pensionati, disoccupati, studenti, badanti, impiegati.


Persone che conducono una normalissima vita, ma che non attendono altro durante la giornata se non di potersi recare nella più vicina tabaccheria, sala scommesse o semplicemente in un bar. Il “giocatore della porta accanto” teme di essere scoperto; il suo timore più grande è quello di essere additato come sciupapatrimonio o ancor di più perdente e sfortunato. Rimugina su come eludere gli occhi attenti degli altri in una città di provincia dove tutti si conoscono e tutto si sa di tutti. Il suo sguardo è perso tra i soldi da poter vincere che gli passano davanti, la sua ossessione, e inconfondibili

sono le sue movenze. Dall’entrata in un luogo di gioco inizia il rito imperituro della corsa al tempo. Ogni munito perso potrebbe rappresentare un’estrazione fortunata sfuggita, un biglietto “buono” “grattato” da chi lo ha preceduto, un videopoker che da troppo tempo non paga e che aspetta il “fortunato”che riscuote il tutto. Sempre in guardia, adotta un atteggiamento omertoso, sguardo fintamente distratto e silenzio assoluto sui numeri giocati, sui sogni fatti, guai a farsi copiare una schedina compilata. una volta giocata è meglio distruggerla, disintegrarla, ridurla in

mille pezzi. Non mancano i riti scaramantici: chi recita preghiere e versi mentre la giocata è in atto, chi ripete gesti propiziatori, e chi inizia a mettere in atto tattiche e strategie degne del miglior allenatore: schemi e moduli sui numeri in ritardo, studio della collocazione dei gratta e vinci all’interno del negozio e così via. Cosa resta a fine serata? Non delusione e amarezza, non c’è tempo per poter realizzare la perdita di tempo, soldi e salute, ma solo l’attesa trepidante che arrivi domani, per iniziare di nuovo a giocare, magari sarà la volta buona.

EFFETTI COLLATERALI l gioco d’azzardo si sa, può essere una vera e propria malattia, ma nel caso di malati di Parkinson in terapia dopaminica, può essere un “effetto collaterale” e anche tra i più gravi. Di recente, se ne sono occupati nel programma “Le iene show” di Italia1. Si tratta di persone affette da morbo di Parkinson e trattati con farmaci a base di una molecola detta “dopamina”. Un farmaco tra i più efficaci nel trattamento della malattia, ma che produce particolari effetti collaterali. Alcune testimonianze presentate nel programma televisivo, mostrano persone che a causa dell’assunzione di antagonisti della dopamina, hanno sviluppato una dipendenza dal gioco d’azzardo, con i comprensibili e scontati danni economici (e a volte anche giudiziari), conseguenti. Roberto C. : “Nel 2007 sono stato ricoverato al Policlinico Umberto I e, dopo 7 giorni di esperimenti è saltato fuori che avevo il Parkinson. Fui trattato con Levodopa, Synemet ed infine il Mirapexin. Ovviamente non fu fatta parola sugli effetti disastrosi che si sarebbero manifestati da lì a un anno circa. Alla fine del 2008, avevo iniziato a giocare

alle slot e al gratta e vinci, in principio pochi soldi, poi sempre di più. La storia è durata un anno circa, ma il danno era stato fatto e oggi non ho più neanche una moglie.” I primi casi segnalati sono del 2000 e in Italia del 2004. I farmaci incriminati sono in commercio dal 1999, ma solo nel 2005, all’interno del foglietto illustrativo, appariva una dicitura con la quale si invitava il paziente ad avvisare il proprio medico qualora vi fossero state manifestazioni conclamate di dipendenza dal gioco d’azzardo. Il fenomeno non è marginale, infatti, secondo degli studi risalenti al 2005, più del 60% dei pazienti affetti da malattia di Parkinson curati con medicinali a base di “dopamina” presentano dei sintomi psichiatrici, come ansia o depressione, con disturbi emozionali e comportamentali, che possono sfociare in gioco d’azzardo patologico, alcolismo, bulimia, ipersessualità , shopping compulsivo, mentre, in altri casi, in attacchi di panico, allucinazioni, psicosi. Questi sono tutti effetti collaterali indotti e correlati all’uso dei medicinali quali il Mirapexin e il Pramipexolo, il cui impatto sui ricettori del cervello si

conosce da anni, addirittura dal 1997. In uno studio del 2006 condotto dall’equipe del Sert di Cortemaggiore (Piacenza) , e composta dai dott. Maurizio Avanzi, Mario Baratti, Silvia Cabrini, Elena Uber e Flavio Bonfà, si è evidenziato che: “Il gioco d’azzardo patologico nei malati di Parkinson è un effetto collaterale dell’indispensabile terapia farmacologica ad azione dopaminergica, che serve a tenere sotto controllo i sintomi motori della malattia di Parkinson. Il legame tra gioco d’azzardo patologico e malattia di Parkinson è stabilito dalla dopamina, un neurotrasmettitore cerebrale. La dopamina è una molecola che interviene nella regolazione delle funzioni cognitive (apprendimento, presa di decisione ponderata, memoria di lavoro), nella regolazione dei comportamenti motivati, nella regolazione del controllo motorio, nelle regolazioni neuro-ormonali (risposte allo stress) e in quella del tono dell’umore”. E’ proprio il caso di dire che i foglietti illustrativi dei farmaci, che non contenevano queste informazioni, erano dei veri e propri “bugiardini”. Mi.Ca.

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PERVERSIONI E TRASGRESSIONI di Mira Carpineta

on un termine moderno si chiamano “parafilie” e indicano quei comportamenti patologici legati alla sessualità e che venivano indicati con i termini “perversione” o “devianza sessuale”. Secondo la scienza medica, ciò che definisce la patologia sono alcune precise caratteristiche, quali fantasie, impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti sessualmente che riguardano oggetti inanimati, la sofferenza o l’umiliazione di se stessi o del partner; bambini o altre persone non consenzienti. E che si manifestarsi per almeno sei mesi. Ma prima di arrivare ad essere casi clinici, sono molti i comportamenti definiti invece “trasgressivi” che riguardano pratiche sessuali, per così dire, alternative. Si va dallo scambio di coppie al bondage, dai sex toys al trampling. In questo tipo di giochi erotici si parte naturalmente dal presupposto che tutti gli attori siano consenzienti e disponibili. Nello scambio di coppia, secondo recenti studi “ l’aspettativa è promotrice di una forte tensione che mischia curiosità ed eros. E’ un modo per uscire dalle consuetudini e, in molti casi, un estremo tentativo di riaccendere quello che nel privato della coppia sembra avere perso smalto, o essersi spento, tuttavia, il rischio è quello di dover alzare sempre di più la posta per ottenere quanto desiderato. Accade talvolta, infatti, che la trasgressione acquisti le caratteristiche di una droga che non lascia più la possibilità di godere delle più consuete esperienze di intimità di coppia”. Il bondage, dall’inglese, significa “legame”, quindi corde, nodi, lacci che

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diventano necessari e indispensabili per la realizzazione della fantasia erotica, ma giova ricordare che questa definizione può indicare anche “costrizione”,“schiavitù” con conseguenze a volte tragiche come la cronaca ci ha segnalato qualche mese fa, quando una ragazza romana rimase vittima delle corde che la tenevano sospesa senza che il partner potesse riuscire a liberarla in tempo utile per salvarle la vita. Il trampling, altra parola inglese significa invece “calpestare” ed evidenzia una pratica “estrema” dove l’individuo si procura una certa eccitazione facendosi calpestare dal partner, spesso a piedi nudi, ma anche facendogli indossare particolari tipi di scarpe. Mentre un capitolo a parte meritano i sex toys cioè “giocattoli” per il piacere sessuale che , senti senti, non sono un’idea nuova e legata al business della trasgressione degli ultimi tempi, anzi, pur non avendo chiare testimonianze dell’utilizzo dei dildos (oggetti di forma fallica, costruiti con vari materiali) nelle donne dell’età della pietra, ci sono invece documenti a partire dal periodo della Grecia classica. In Danimarca al Museo Nazionale di Copenaghen, ad esempio, le raffigurazioni di un vaso greco mostrano una donna che pratica attività autoerotica per mezzo di un dildo . Anche i romani si avvalsero di questo tipo di oggetti erotici utilizzando per la loro costruzione vari materiali come il cuoio, l’osso e il legno. Inoltre, basti pensare a Pompei e le stanze dove sono raffigurate scene di sesso: alcune di esse mostrano giochi erotici con i dildos e altre scene particolarmente piccanti. La dipendenza da ssso (o sex addition) in Italia è presente in misura del 5,8%.

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STORIA DI

SCAMBISTI A TERAMO Giorgio e Maria, coppia di scambisti, 42 e 40 anni, hanno iniziato con un annuncio, in cui si presentavano come una “coppia simpatica alla ricerca di coppie e singoli per serate bollenti” con annessa descrizione delle caratteristiche fisiche, a cui seguiva, dopo i contatti via mail o telefonici, anche l’invio di foto. “Funziona così: prima le foto, noi mandiamo la nostra e chi ci contatta ci manda la sua, un primo piano, ma non solo del viso” – spiega la coppia, descrivendo anche i luoghi dove si possono poi mettere in pratica “gli scambi” e cioè locali o club privé, che ormai si trovano un po’ dappertutto e che sono anche dotati di una serie di “servizi” accessori anche molto raffinati e per ogni tipo di tasca. “Andiamo almeno due volte alla settimana - racconta Giorgio - Ma ci spostiamo anche in altre città: da Milano a Roma, dove per le stanze del privé riservato ai soci, le coppie pagano meno dei singles che arrivano a spendere anche 200 euro. Non mancano naturalmente case e appartamenti privati, noi ne abbiamo frequentato una nel centro di Milano, molto lussuosa dove c’era anche la piscina. Il proprietario, vi organizzava incontri ogni settimana all’insegna della pura trasgressione.


Satana nel duemila di Mira Carpineta

quando si ha di fronte un probabile caso di possessione, prima di affermare che sia il caso di praticare un esorcismo è necessario escludere qualsiasi altra spiegazione...

el suo libro più recente Padre Amorth si definisce “l’ultimo esorcista”, ma anche se la Chiesa ufficiale tende a non incoraggiare le pratiche di esorcismo, sono ancora diversi, oggi, i sacerdoti autorizzati dai propri Vescovi a tale ufficio. “Chi non crede al diavolo non crede al Vangelo, sosteneva Papa Giovanni Paolo II - esordisce così Padre Paolo, lunga esperienza di sacerdozio e di esorcismi . Il Male è sempre stato presente e oggi sembra avere un terreno ancor più fertile per le sue lusinghe e le sue tentazioni, soprattutto quando non ci sono più valori e principi di riferimento chiari. Tra i giovani, ad esempio, che a volte neanche sanno di esserne vittime.” Padre Paolo racconta di aver condiviso, con Padre Amorth , oltre ad una sincera amicizia, anche lo stesso maestro spirituale, Padre Candido Adamantini, grande esorcista. Una fede incrollabile, lo sguardo limpido, il piglio burbero ma aperto e disponibile. Nonostante la sua non verde età (sta per festeggiare 90 primavere) padroneggia con molta disinvoltura le moderne tecnologie, cellulare e mail. Mentre parliamo infatti, manda sms e scarica posta. In realtà è lui a fare domande, ma tra un pensiero e l’altro riesco a chiedergli se i tempi che viviamo, i disagi e le sofferenze, sono riconducibili alla presenza del Maligno? “Certo, oggi più che mai. Anche se la Chiesa è molto cauta nel trattare questo tipo di argomento. Anche molti santi sono stati in contatto con il diavolo, lo stesso Don Orione fu esorcizzato. Tuttavia quando si ha di fronte un probabile caso di possessione, prima di affermare che sia il caso di praticare un esorcismo è necessario escludere qualsiasi altra spiegazione. Spesso infatti si tratta di persone con comportamenti anomali, a volte anche molto violenti, dovuti a vere e proprie patologie psichiche. Per questo le persone vanno osservate in modo concreto e psicologi, psichiatri e preti dovrebbero avere una collaborazione senza pregiudizi. Purtroppo – conclude Padre Paolo – la maggior parte dei medici, e non solo loro, è atea o scettica di fronte alla possibilità che ci siamo spiegazioni alternative”.

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Teramo che fu

Gli antichi ponti di Giuseppina Michini

n’équipe di professionisti, furono usate anche durante i secoli medievali. sotto la direzione della Esistono ancora oggi. Sicuramente esse ebbero soprintendenza e in rilevanza in età romana, perché, su questi collaborazione con altri assi stradali, sono stati trovati gloriosi resti enti, riaccosta fonti e dati di ville rustiche scavate tra ottobre 2011 e i materiali secondo una forma primi mesi del 2012. Inoltre, la presenza di mentis archeologica. Riportano alla luce fortificazioni a controllo di tali percorsi, dimostra le meraviglie del passato e noi possiamo la loro continuità d’uso perdurata oltre l’epoca esserne fieri. L’archeologa aquilana Barbara medievale”. percorsi fluviali avvicinano di Vincenzo si è occupata di ricostruire la I quotidianamente i teramani ai resti dei storia della viabilità in Abruzzo. Come si collocava la città di Teramo nella ponti. “Teramo, dal punto di vista delle infrastrutture fitta trama delle infrastrutture antiche? connesse alla viabilità, “La cittadina era servita fornisce indubbiamente da un sistema stradale un’esclusiva. Gli unici ricco e articolato. Una resti di ponti edificati delle principali vie in epoca medievale si di collegamento era Rispetto alle altre trovano in questa città. la via Caecilia che Le rovine del medioevo collegava il territorio città sicuramente coesistono insieme amiternino al teramano sì. Teramo è una ad alcune costruzioni attraverso il valico delle di epoca classica che Capannelle. Si tratta di piccola Pompei. non hanno subito un’arteria che ha origini Soprattutto stravolgimenti con preromane. Questo per quanto il passare dei secoli. tracciato stradale ha Almeno tre sono i ponti avuto certamente concerne la fase sicuramente medievali. Il grande importanza repubblicana... ‘Ponte degli impiccati’, le durante l’età romana cui vestigia sono ubicate e nei periodi successivi. sul lungofiume Vezzola, Ha subito delle sotto il piazzale San modifiche nel tempo, ma è sopravvissuto perlopiù integralmente Francesco. Un altro rudere si trovava fuori la sino ai giorni nostri. Fondamentali erano la porta romana, oggi perduto, mentre il ‘Ponte via del Tordino (l’antico collegamento Teramo- degli stucchi’ di importanza eccezionale è Giulianova) e la via del Vomano (Teramo-Roseto) ancora visibile. Si trova sotto il palazzetto dello che attraversa la valle del fiume. Incrociando gli sport di Scapriano. Si allacciava all’arteria studi topografici e i dati archeologici, possiamo principale, la Teramo-Ascoli, la quale tuttora documentare che queste due diramazioni ricalca la S.S. 81. Era sicuramente legato a una

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fondazione abbaziale. In quest’area esistevano diverse strade che conducevano alle frazioni minori, ma voglio sottolineare, che questa era una zona ricchissima di monasteri. Il ponte fu costruito in piena età medievale, a meno che saggi e studi dettagliati del paramento non confutino questa tesi. La struttura era costituita da due fornici e caratterizzata da un singolare concio con croce incisa.”. Ci sono rischi? “Sì, perché è coperto da una vegetazione fortemente invasiva e, a mio avviso, questo rappresenta un pericolo grave per le murature. Anche il fiume minaccia danni strutturali. Infatti, eventuali inondazioni o trasformazioni del corso del Vezzola potrebbero deteriorare il ponte. È un’emergenza architettonica che andrebbe ripulita e documentata con un rilievo, almeno”. La città si rende conto della sua potenzialità, del suo valore storicoartistico? “Rispetto alle altre città sicuramente sì.Teramo è una piccola Pompei. Soprattutto per quanto concerne la fase repubblicana ha restituito

delle testimonianze straordinarie. Tra il II e il I secolo a.C. deve essere stata una città di una rilevanza notevolissima. C’è consapevolezza, ma è sicuramente poca cosa rispetto a quello che si rinviene. Tanto è vero che, nell’ultimo convegno fatto presso la Fondazione Tercas, quando sono stati mostrati i pavimenti a mosaico scoperti a Teramo, il prof. Federico Guidobaldi disse: ‘Voi scavate delle cose straordinarie e forse non ne siete neanche coscienti, perché, cose di pari bellezza si trovano solamente a Pompei’. Secondo me, la rarità di alcune delle evidenze archeologiche del nostro territorio rappresentano un unicum”. Dopo quasi dieci anni di lavoro in centro storico, qual è lo scavo che le è rimasto nel cuore? “Quello dell’area ex Lisciani, tra via del Baluardo, via dei Mille e via Noè Lucidi. Questo sito, pur avendo avuto tante vicissitudini, ha permesso di riportare alla luce pavimenti di singolare pregio, che per la prima volta saranno presentati in una pubblicazione al fine di valorizzare la strepitosa varietà di reperti”.

foto G. Michini: (sopra) Ponte degli Impiccati (sotto e a lato) Ponte di Stucchi PrimaPagina 24 apr. 2012

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L’ARTE IN CASA In una famiglia di pittori e scultori si forma l’esperienza di Gloria Troiani che racconta, nelle sue opere, mondi destrutturati e confusi, attraverso uno sguardo personalissimo di Mariangela Sansone

ebulose di colore, paesaggi avvolti da atmosfere nebbiose, immersi nelle infinite variazioni della luce, luoghi e non luoghi raccontati dalle pennellate di Gloria Troiani, giovane pittrice con alle spalle una formazione artistica solida ed un’entusiastica passione per la pittura ed i suoi linguaggi. Racconta nelle sue opere mondi destrutturati e confusi, attraverso uno sguardo personale ed unico. Parlami di te e di come nasce la tua passione per l’arte. Ho ventiquattro anni e amo l’arte in tutte le sue forme di espressione ed in particolar modo trovo ispirazione nella pittura. Ho trascorso l’infanzia in un paesino della Basilicata e provengo da una famiglia che ha sempre amato l’arte e tutto ciò che la riguarda. I miei genitori hanno sempre lavorato nel campo delle vetrate artistiche ed io sono cresciuta

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nel loro laboratorio tra fogli, colori e matite. Ricordo che le altre bambine giocavano con i trucchi e con le barbie ed io invece le disegnavo con indosso abiti dai colori vivaci. L’amore per il bello e la passione per l’arte cosa rappresentano per te, si

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Il colore è l’artefice dell’opera e le tonalità spesso si confondono miscelandosi e diventando una cosa sola...

tratta di un hobby, un’esigenza o cosa? Io credo che non si possa definire un hobby quella forza che ti spinge a prendere un pennello in mano e ti porta a creare e gestire dei colori che diventeranno immagini suggestive e toccanti. Personalmente penso si avvicini più ad un’esigenza, probabilmente è una sorta di emozione che cerca di liberarsi travestendosi e diventando materia anziché essere una lacrima, un gesto di rabbia o di gioia. Può diventare un hobby nel momento in cui capisci che di sola arte non si vive e sei costretto a lavorare in un campo completamente diverso per mangiare. Questo accade un po’ perché le condizioni culturali ed economiche non lasciano spazio a questo mondo e un po’ perché il tutto viene gestito sempre e solo dai soliti ignoti. Le tue creazioni sono molto particolari, i colori sono i principali protagonisti ed ombre sfumate popolano i tuoi


paesaggi, a metà strada tra l’onirico ed il visionario. Raccontaci qualcosa sui soggetti delle tue tele, sul tuo linguaggio artistico e sulle tecniche che prediligi. In linea di massima ho sempre dipinto paesaggi, influenzata sicuramente dall’esperienza di mio padre, pittore paesaggista. Il mio percorso pittorico è iniziato con la realizzazione di paesaggi all’orizzonte con la tecnica ad acquerello su carta, abbastanza realistici e lineari. Pian piano ho capito che dovevo superare questo linguaggio e fare un passo avanti; così ho eliminato la struttura graficocompositiva della pittura tradizionale ed ho abbandonato ciò che gli occhi vedono, a vantaggio di ciò che sfugge. Ho iniziato a pensare a tutte quelle immagini che ci scorrono veloci davanti agli occhi, a quelle impressioni cha catturiamo senza neanche esserne consapevoli ed è nato il mio linguaggio astratto. Una scia di luce, un paesaggio confuso visto da una macchina in movimento etc. Il colore è l’artefice dell’opera e le tonalità spesso si confondono miscelandosi e diventando una cosa sola. Il supporto che più prediligo è la carta poiché si impregna del pigmento ad olio e valorizza la traccia della pennellata casuale. Quale è stato il tuo iter formativo, i tuoi studi ed i linguaggi artistici con cui ti sei confrontata? Ho frequentato l’Istituto Statale d’Arte di Rieti con indirizzo sperimentale in Rilievo e Catalogazione dei Beni Culturali. poi mi sono iscritta all’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, con indirizzo pittura. Dopo aver conseguito la laurea triennale con il massimo dei voti, nel 2009 mi sono trasferita a Roma, dove ho frequentato la specialistica, sempre in pittura, nella storica sede dell’Accademia di Belle Arti di Roma, in via di Ripetta, e dove nel 2011 ho conseguito la laurea con 110 e lode. In tutti questi anni di formazione ho imparato varie tecniche artistiche, dall’acquerello su carta all’olio su tela, dall’olio su carta telata all’acrilico su tela, dai mosaici alla lavorazione del vetro d’arte. Oltre a questo, la mia ricerca si estende a quelle che sono le esperienze artistiche contemporanee relative agli attuali linguaggi performativi e tecnologici. Per vivere a pieno l’arte è importantissimo sapere come si è evoluta nel passato e come progredisce oggi. Che rapporto hai con il pubblico? Ho già esposto in una mostra intitolata “Eredità d’Arte” realizzata nella Sala Mostre del Comune di Rieti nel dicembre 2010 e che ha visto la partecipazione di tutta la mia famiglia. Mio padre pittore paesaggista, mia sorella creatrice di intarsi in legno e mio fratello scultore. Durante l’estate giro l’Italia con un gruppo di giovani che fanno parte di un’associazione

dal nome Maestri Medievali e tutti insieme allestiamo dei veri e propri mercati d’arte medievale ed io in particolare realizzo affreschi dal vivo coinvolgendo adulti e bambini nella spiegazione di tutte le fasi di lavorazione. L’esperienza acquisita nel campo dell’associazionismo e nelle esperienze artistiche mi ha permesso di sviluppare un ottimo livello relazionale con figure di tutte le età e posizioni sociali. Qual è lo stile pittorico che ha ispirato le tue opere e chi sono gli artisti che più ami? La casualità del gesto pittorico e del colore fanno sì che la mia pittura provenga da uno stile detto “espressionismo astratto”, nato negli anni quaranta in America e che si distingue per l’importanza del gesto di dipingere come espressione diretta dell’esperienza dell’artista e per la piattezza della superficie, ovvero l’eliminazione di qualsiasi illusione prospettica e la presentazione di una superficie priva di rilievi che adotta il colore come se fosse una tintura. L’artista che mi rappresenta di più è Jackson Pollock, che invade la tela con gesti casuali e la ricopre di segni confusi e affascinanti, nati dalla dichiarazione di uno stato d’animo. Oltre alla pittura, quali sono le tue passioni? Come avrete capito,

la passione per l’arte è in cima alla lista e ovviamente adoro visitare i musei, soprattutto d’arte contemporanea, per capire ed osservare le nuove sperimentazioni, ma amo anche molto la musica; in particolar modo adoro andare ai concerti, poiché la musica dal vivo sprigiona una forza unica e spettacolare. Di solito leggo libri legati all’arte o alle metodologie dei mass media. Mi piace molto navigare su internet e cercare tutti i tipi di informazioni necessarie per essere sempre aggiornati su cosa succede nel mondo in tempo reale.

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Avventure di un maestro di musica

di Vincenzo Lisciani Petrini

ominciare a studiare musica dipende molto dai genitori. In Italia serve prima una scuola privata e poi il conservatorio: è un vero e proprio investimento. Chi riesce ad arrivare in fondo assapora il chimerico sogno di diventare concertista di fama mondiale. Diventare un maestro che manda la folla in tripudio dopo concerti leggendari. Bene, da qualche mese sono stato chiamato davvero così, non però nel senso del grande concertista, ma come insegnante nelle scuole elementari. Il primo giorno mi sembrava di trovarmi nella gabbia dei leoni, per di più disarmato. Urli, cerchi di domarli, di avere attenzione, di provare a fare lezione, ma inutilmente. L’ora finisce. Torni a casa malconcio, frustrato e afono. Rifletti e capisci che mettendosi più in discussione, l’avventura può diventare entusiasmante. Puoi essere maestro in un senso molto più profondo. Si torna allora alla carica, questa volta più preparato, partendo da piccole cose: cantare in coro, ritmare, costruire strumenti musicali, ascoltare musiche diverse, disegnare insieme i colori dei suoni, etc. Non senza difficoltà, ecco qualcosa si sblocca e la musica riesce a passare. Però l’ora finisce e via alla settimana prossima. Il tempo è troppo esiguo. Di recente anche Ennio Morricone ha accusato l’istruzione musicale a scuola stigmatizzando i metodi e l’impreparazione degli insegnanti.

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Questa critica è però da completare in quanto il problema non è tanto di metodo, quanto di cultura. Quel sogno di diventare concertisti, cui accennavo prima, mette in luce come in Italia non interessi mai che sia tutta la comunità a crescere, ma solo e soltanto il singolo opposto al pubblico. Per questo insegnare musica a scuola è ancora un ripiego per il musicista, nonostante l’intrinseca difficoltà della docenza e nonostante la possibilità di creare davvero una piccola comunità musicale. La scuola dell’obbligo non punta sulla musica perché questa è già affidata a ‘scuole a parte’. La comunità così cresce dispari: tanti musicisti e nessuna esigenza di impiegarli nella formazione. Nessuna esigenza di prepararli adeguatamente all’insegnamento per far sì che la cultura della musica si

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diffonda. L’Italia, in questo senso, è quanto di più lontano da un paese musicale. Certamente adeguare i metodi sarebbe già un primo passo, ma non è solo lì il problema. Se le cose resteranno invariate, l’avventura dei poveri maestri continuerà: dovranno procedere a tentativi, superficialmente, con appena una o due ore a settimana per classe. Alcuni cercheranno di fare qualche piccolo miracolo per educare alla materia, cercando comunque di dare il meglio. Altri, invece, se ne laveranno le mani, limitandosi al minimo indispensabile, tirando allo stipendio. Badate che, in ognuno dei due casi, ci saranno le nostre future generazioni sempre più ignoranti di musica. E, in fondo, è proprio qui che casca l’asino.


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“Riciclamici”...il nostro futuro A cura dei mini cronisti delle classi 4^ e 5^ della Scuola Primaria “C. Sarti” Piano della Lenta – 3° Circolo Teramo i parla oggi di “emergenza rifiuti”, un argomento che ci riguarda da vicino perché i rifiuti aumentano, gli spazi per le discariche sono insufficienti, i consumi poco attenti, c’è uno spreco di materie prime e di energia, e le risorse nel nostro pianeta diminuiscono. Come possiamo ridurre la produzione dei rifiuti? Un primo passo è quello della raccolta differenziata di qualità, fondamentale per il riciclo e il recupero. Il progetto, dal titolo “Riciclamici”, si avvale della collaborazione dei nostri genitori, degli Enti Locali (Provincia e Comune), della TE.AM. che si occupa della raccolta “Porta a Porta” nella nostra città.. I nostri insegnanti hanno lanciato l’idea di metterci nei panni dei giornalisti per scrivere un articolo in cui raccontare un avvenimento, particolarmente significativo, accaduto a scuola e ringraziamo “Prima Pagina” per averci offerto la possibilità di pubblicarlo. Alcuni giorni fa, presso i locali della nostra scuola, è avvenuto l’incontro con la responsabile della comunicazione aziendale TE.AM. e responsabile dell’Igiene Urbana di Teramo, Rita Di Ferdinando. Presente anche l’Ambasciatrice dell’Unicef, Amelia Rubicini. Abbiamo posto delle domande per saperne di più e per aver un riscontro riguardo il percorso effettuato sin d’ora. La responsabile della comunicazione aziendale ci ha fornito informazioni in merito a materiali riciclati e in particolare alla plastica che pur essendo più

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voluminosa, è meno pesante rispetto al vetro. Nella raccolta della carta i cittadini teramani sono stati collocati in prima fascia, in quanto sono riusciti ad ottenere ottimi risultati non solo sulla quantità, ma anche sulla quantità della raccolta. Inoltre, i nostri concittadini sono stati definiti “virtuosi” nell’effettuare la raccolta differenziata: ad esempio, nei giorni di emergenza neve, si è raggiunto il 67% di raccolta. I risultati positivi raggiunti, per l’anno 2010, hanno reso possibile la premiazione della nostra città, nell’area Centro-Sud da parte della COREPLA (Consorzio Nazionale per la Raccolta il Riciclaggio e il Recupero dei Rifiuti di imballaggi in Plastica) e Teramo proclamata “Città Riciclona”. Ma tra i tanti cittadini “virtuosi” c’è qualcuno che si distingue nel non rispettare le regole dettate dalla raccolta differenziata: essi vanno incontro a multe sino alla denuncia penale. Quindi bisogna prestare attenzione, per esempio, a non lasciare le buste del rifiuto indifferenziato al di fuori del mastello grigio. Ci siamo chiesti: “Ma dove vanno i nostri rifiuti?” Ci è stato comunicato che il nostro organico viene portato in Emilia Romagna, il vetro nella zona di Roma, l’alluminio nelle Marche, la plastica e la carta nella nostra provincia: la prima a Castelnuovo Vomano e la seconda a Tortoreto. Vi sono dei Consorzi che vigilano sulla raccolta delle varie materie, controllati dal Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI). Diverso

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è il percorso seguito dai rifiuti pericolosi: batterie, farmaci scaduti sono portati nelle Marche, vicino Pesaro. Grazie alla raccolta differenziata e al riciclo, vi è un’influenza positiva nell’ecosistema sia se si parla di risparmio energetico che di risparmio delle materie prime. Pensate che dalla plastica riciclata, trasformata in scaglie e granuli, si ottengono imbottiture, moquette, flaconi, shoppers, vasi per fiori e tanto altro: ad esempio, con 45 vaschette di plastica si può realizzare una panchina, con 27 bottiglie di plastica è possibile confezionare un pile. Tutte le attività predisposte per preparare i cittadini alla raccolta “Porta a Porta” (60 incontri nei vari quartieri della città) sono state utilissime per raggiungere risultati positivi, ma alcuni di noi hanno rilevato che essa non avviene in tutte le zone: il nostro territorio può essere definito “a macchia di leopardo”, per cui in alcune zone limitrofe, dove non è possibile raggiungere case singole e lontane viene offerta la possibilità di portare i rifiuti differenziati sulla strada principale, così possono essere recuperati dagli operatori. Siamo giunti alla conclusione che ognuno di noi può contribuire a salvaguardare il nostro territorio: collaborando in famiglia per una corretta separazione dei rifiuti in casa, possiamo renderci capaci di azioni a favore dell’ambiente, diventando noi stessi promotori di cultura. Appuntamento a maggio, nel cuore della nostra città, per la manifestazione “Teramo in posa plastica”!


Televisione e dintorni: cattivi maestri? di Michele Ciliberti

uono e cattivo costituiscono solo un giudizio etico, molto distante oggi da una valutazione complessiva o tecnica sulla struttura dei format e sulla loro fruizione da parte del pubblico. Il giudizio popperiano - “Cattiva maestra televisione” - resta datato e limitato al tempo che i bambini trascorrono davanti alla Tv e a cosa essa insegna. Un mezzo, di per sé, non può essere né buono né cattivo, ma il beneficio o il male, che produce, dipende dall’uso che se ne fa. Alcuni anni or sono, Tullio De Mauro sosteneva che l’unità (linguistica) d’Italia è stata fatta da Mike Bongiorno, cioè dalla televisione: uso ottimo del mezzo, che non va né demonizzato né mitizzato. Oggi la televisione si integra con altri potenti strumenti del comunicare, quali computer e internet. Se alla fine degli anni ’60 e inizi anni ’70 Marshal McLuhan sosteneva che “il mezzo è il messaggio” non il contenuto, oggi ciò appare ancora più evidente, altrimenti il solo aspetto sociologico o economico non riuscirebbe a spiegare, oltre alla trovata pubblicitaria, perché milioni di individui nel mondo fanno giorni di fila per poter diventare primi possessori del telefonino o dell’ipad di ultima generazione. Con la televisione è avvenuta una mutazione antropologica: si è passati dall’homo audiens (tribale) all’homo videns (globale), cioè al prevalere dell’occhio sull’orecchio (M. McLuhan, Galassia Gutenberg). I nati digitali risentono di tale trasformazione tanto che “non ascoltano più”. Per chi è o era abituato ad ascoltare o a sentire (il Manzoni poneva il problema se dire: “sentir messa o udir messa”) gli anziani (= senatori, saggi), il

giudizio sopra riportato - non ascoltare più - si trasforma in analisi valoriale, mentre, in realtà, si assiste semplicemente ad un nuovo stadio o status esistenziale. Il giudizio etico va dato sui contenuti. Quanti programmi trash, soprattutto di pomeriggio, sembrano essere di estrema attualità e basati solo sul senso comune, mentre risultano vuoti artificiosi e privi del tutto di senso? (Qualcuno li ha definiti cloaca maxima). Altri programmi, invece, sebbene di parte, riscuotono interesse e fanno informazione. La tecnologia, come mezzo, crea assuefazione e dipendenza e pone l’individuo nell’impossibilità di rifiutare ciò che la stessa gli impone di accettare: il telefonino ne è testimone. Secondo Maurizio Ferraris, il telefonino presuppone ubiquità. Tanto che, quando si chiama una persona cara, non si chiede più: “Come stai?”, ma: “Dove sei?” e si va in panico non per aver lasciato il telefonino a casa, ma perché non c’è campo. Il telefonino ha prodotto una rivoluzione ontologica data dall’accresciuta ubiquità e dislocazione e dalla capacità di accumulare e conservare iscrizioni (testi, immagini, musica, film, video). Il telefonino, la più grande rivoluzione tecnologica, si fonda su un’antichissima capacità di conservare memoria: SMS = Sua Maestà Scrittura (M. Ferraris, Dove sei? Ontologia del telefonino, Bompiani, 2005). L’ultimo nato, l’ipad, è essenzialmente memoria, protesi dell’anima cui affidare l’archivio di tutta la nostra vita (M. Ferraris, Anima e i-pad, Guanda, 2011). Sulla base di queste ultime considerazioni occorre fondare anche una nuova pedagogia che non faccia più ritenere che c’è lui, mister pc, amico fedele con 2 tera di memoria, per cui non serve imparare ancora la poesia. PrimaPagina 24 apr. 2012

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a cura di Ivan Di Nino

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Giovane mountain bike di Maurizio Testardi

X-TEAM TERAMO si occupa di sport agonistico nella specialità della mountain bike. E‘ una società relativamente giovane, infatti nasce nel 2006 con solo 6 tesserati. Nel 2008 passa a 32, per poi arrivare alla notevolissima cifra di 70 tesserati del 2009, che la pone ai vertici regionali per numero di tesserati tra tutte le società F.C.I. non solo nel fuoristrada. Atleti di 7 regioni italiane (Abruzzo, Molise, Lombardia Marche, Piemonte, Puglia, Basilicata) già compongono la squadra, competitivi in tutte le categorie amatoriali e semi professionistiche, compreso Elite, Allievi, 1 Junior Donna, Master Donna. Con la convinzione di chi vuole rappresentare al meglio i principi di questo sport, la mountain bike in costante crescita di tesserati e di talenti. La squadra teramana porta in giro per la penisola la maglia con i colori della nostra città e della nostra regione, dimostrando che anche in Abruzzo c’è un bel movimento in ambito ciclistico fuoristrada, sperando di incontrare, strada facendo, tanti sostenitori e sponsor, che li supportino in questo notevole impegno.

Palmares 2010 - 2011 2010

2011

. Tre Campioni Italiani Intersud . 1 Campione Regionale Ciclocross . 1 Campione Regionale Marathon . 8 Vittorie Assolute in 4 Regioni tra Ciclocross e Mountai Bike . 1 Medagliato d’Oro Ricevuto al Quirinale per meriti sportivi

. Tre Vittorie assolute in lombardia e piemonte . 1 Coppa Piemonte Ciclocross . 10ecimo posto Campionato Italiano Assoluto Ciclocross

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“Esplorare

per conoscere” Intervista al teramano Davide Peluzzi di Adele Di Feliciantonio

splorare per conoscere”, questo il motto di Davide Peluzzi, esploratore, nonché direttore della Explora Perigeo, orgoglio teramano, la cui opera è lodata e riconosciuta dall’intera comunità scientifica internazionale e insignita di medaglie e premi. Nato a Nerito di Crognaleto, montoriese di adozione, Davide ha effettuato importanti scalate sul Monte Bianco, Monte Rosa, Cervino, ghiacciai islandesi, Himalaya ed esplorazione delle terre groenlandesi; ha redatto insieme al suo team, e grazie alla collaborazione con importanti università italiane progetti importanti come il Saxum 2008, la Carta dei Popoli Artici, il Meteo Mundi e l’attuale Earth Mater di cui è stata allestita una mostra. Com’è nata la passione per l’esplorazione? Non so darre una risposta precisa. Ho il ricordo di un sogno ricorrente della mia infanzia. Ero in un tunnel buio che fortunatamente terminava con una montagna e il cielo… io correvo verso l’alto. Effettivamente l’esplorazione mi ha sempre affascinato. Solo dopo aver effettuato le spedizioni ho compreso, però, che richiede

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grande sacrificio. In questo periodo, in collaborazione con il Dipartimento di genetica di Bologna, stiamo studiando lo spostamento e la migrazione degli ominidi dall’ Africa. Siamo partiti da un interrogativo: “perché l’uomo si è spostato dall’Africa in varie parti del mondo?” Sicuramente ciò è avvenuto per cibo, benessere, ma soprattutto per esplorare, per scoprire l’ignoto. L’uomo vuole sfidare la morte ed è per questo che credo fermamente che

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I luoghi più estremi che ho visitato sono i Poli. La vita è davvero dura; non esiste il concetto di albero, sentiero, strada, spazio...

l’esplorazione è insita in ognuno di noi. Lei ha compiuto esplorazioni in aree estreme; che sensazione ha provato nello sfidare la natura fino a quasi l’impossibile? I luoghi più estremi che ho visitato sono i Poli. La vita è davvero dura; non esiste il concetto di albero, sentiero, strada, spazio. Proprio questo ci ha spinto, sempre con il Dipartimento di genetica, a studiare le migrazioni al contrario; ci siamo chiesti perché gli Inuit, abitanti della Groenlandia, siano emigrati in un luogo così freddo e ostile. La nostra ricerca è in corso e con il progetto Saxum è iniziata la mappatura genetica delle popolazioni di etnia mongola, proprio per svelare il motivo che li ha spinti a stanziarsi in quelle zone impervie. Inoltre il progetto Earth Mater è legato alla ricerca dell’uomo dei ghiacci, il primo alpinista della storia: l’uomo di Neanderthal. Come si organizza una spedizione? Una spedizione artica o himalayana necessita di un’organizzazione molto complessa con almeno due anni di preparazione. Ogni spedizione, oltre ad avere un alto dispendio di tempo e risorse umane, necessita di risorse economiche e soprattutto della scelta giusta dei componenti della squadra esplorativa. Bisogna circondarsi di persone competenti e ci deve essere un alto senso della collaborazione.


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A tal fine organizziamo degli incontri preparatori a livello psicologico perché la mente si deve abituare alle condizioni estreme che la madre terra riserva ancor di più dal corpo. Ad esempio, nella regione artica la percezione del tempo è totalmente falsata. Nel periodo estivo non esiste la notte e in inverno non esiste il giorno, senza tralasciare la durezza della vita all’interno delle tende sui grandi ghiacciai della terra. Cosa prova ogni volta che riesce a portare a termine una spedizione? Non si ha nemmeno il tempo di realizzare il tutto perché nel momento in cui termina un’impresa, ne inizia un’altra. Ad esempio, appena rientrato dall’Himalaya ho sentito il bisogno impellente di tornarci per fare qualcosa di concreto per le popolazioni che ci hanno aiutato nella spedizione come i portatori di Sherpa e Tamang. Voglio ricordare che la nostra è ricerca scientifica, ma anche cooperazione internazionale e condivisione della nostra esperienza con gli altri al fine di comprendere e migliorare la vita sulla terra. Le nostre finalità sono legate sia ai simbolismi primordiali come il progetto “Pietre e popoli” con il suo messaggio di pace attraverso lo scambio di sassi, sia a importanti collaborazioni come quella con l’esperimento “Ermes” dei laboratori del Gran Sasso nello studio e la

ricerca della radioattività delle rocce nei luoghi estremi. Hai mai avuto paura di non farcela? Certamente; la paura è l’essenza per andare avanti, è la forza. Ricordo un episodio. “Eravamo a 5500 m. in Himalaya sul ghiacciaio del Drolombao tra il Nepal e il Tibet. Tre dei nostri portatori, dopo aver percorso 130 km di valli e montagne della Rolwaling,

... la paura è l’essenza per andare avanti, è la forza. Ricordo un episodio. “Eravamo a 5500 m... decidono di fermarsi e tornare indietro abbandonando la spedizione. Il tempo da giorni era molto brutto, nevicava e le

temperature erano sempre sotto zero; separarci significava metterci in guai seri. Il meteorologo Roberto Madrigali mi avvisava sul satellitare che una possente perturbazione si sarebbe stabilizzata sopra o meglio sotto i nostri piedi a 5500 m. La decisione fu difficile; eravamo lontanissimi da qualsiasi centro abitato e i portatori, spaventati anche dall’ambiente, continuavano a ripetere che gli dèi erano contrari e che saremmo andati incontro alla morte. Da capo-spedizione mi trovai in un momento critico: assecondare il volere dei portatori in difficoltà oppure continuare e convincerli a rimanere compatti, uniti? In quel momento pensai davvero di non riuscire a venir fuori da quella situazione estrema. L’area viene chiamata dagli Sherpa (etnia himalayana) “la Tomba”. Alla fine con grande forza interiore e con il supporto prezioso della guida Nimgmar Tamang, siamo riusciti a convincere i tre ragazzi sedicenni a proseguire il viaggio e tornare incolumi dalla valle del Rolwaling alla valle del Kumbu. Il futuro? La realizzazione di ulteriori progetti della Perigeo onlus, gruppo di ricerca che dirigo, nato dalla riunione di “amici – ricercatori” con lo scopo di apprendere e diffondere la conoscenza del sapere umano.

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dintorni a cura di

Perché si è bocciati all’esame di guida? di Alessio Macaluso

emozione dell’esame di guida non si scorda mai. E’ un momento fondamentale nella vita di ognuno di noi, un po’ perché arriva con il diciottesimo anno di vita e comunque perché rappresenta un vero e proprio cambiamento del proprio stile di vita. Insomma, un piccolo grande passaggio verso l’età adulta. Un momento che i giovani affrontano con mille preoccupazione e spesso è l’emotività a prendere il sopravvento. Capita sempre più spesso infatti che la preparazione non sia sufficiente a vincere sulle sensazioni creando così un piccolo esercito di bocciati vittime solo della propria insicurezza. Proviamo quindi a scoprire quali sono i motivi classici che portano a non superare il tanto sospirato esame della patente. Attenzione ai nervi Probabilmente è uno dei motivi fondamentali. Il nervosismo da prestazione inizia a comparire già dalla vigilia dell’esame. Inizialmente un semplice batticuore che inesorabilmente si traduce alla guida in autentici attacchi

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di tremore (soprattutto delle gambe)… decisamente deleteri per riuscire a “staccare” la frizione senza far spegnere l’auto. Capiamo perfettamente cosa frulli nella testa degli aspiranti patentati, ma l’unica soluzione in questi casi è arrivare al giorno fatidico preparati. Non c’è rimedio migliore alla tensione quanto la sicurezza nei propri mezzi. Usiamo bene agli specchietti Il candidato ha l’obbligo di “aggiustare”, appena salito a bordo della vettura, tutti gli specchietti (esterni ed interno) in modo tale da essere orientati al meglio. Le auto degli esami sono guidate da più persone infatti e scegliere il miglior “Set-up” di certo darà un’idea di sicurezza nei confronti di chi alla fine dovrà emettere un giudizio. Ma non basta orientarli: occorre anche guardarli. Chi ci esamina infatti coglierà anche i momenti in cui li utilizzeremo, ma soprattutto farà attenzione a quali sanno i comportamenti successivi. Esempio facile? Prima di una svolta guardiamo correttamente lo specchietto, avvistiamo una vettura in procinto di sorpassarci, ma decidiamo ugualmente di passare… a cosa è servito guardare lo specchietto allora?

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Scarso controllo della vettura In questo ambito ci sono moltissimi aspetti che dovremo considerare. In primis l’uso degli indicatori di direzione. Questi vanno usati sempre, mai dimenticarlo, ogni qualvolta avremo l’intenzione (o più presumibilmente ci sarà chiesto) di svoltare, superare etc. Anche l’utilizzo delle corsie sarà preso in considerazione. Viaggiamo sempre in quella più libera sulla destra e posizioniamoci in quelle corrette, ad esempio al semaforo. Se l’intenzione è di andare a destra o sinistra, sistemiamoci sul lato giusto! Altre pecche, tutte assolutamente fatali ai fini del conseguimento della patente, le troviamo poi nella scorretta impugnatura del volante o addirittura nell’utilizzo errato, anticipandone o ritardandone l’intervento con il rischio di svoltare “stretti” o “larghi”. Infine, l’errore più ingenuo: superare, anche di pochissimo, il limite di velocità. Attenzione sempre al tachimetro quindi, che non deve mai superare i 50 Km/h in città… e non facciamoci ingannare dal classico rettilineo amplio e con poco traffico. Di contro, non andiamo nemmeno troppo piano! Anche quello è un comportamento che viene punito, sinonimo d’insicurezza. Occhio alle manovre Almeno due le manovre che quasi scientificamente sono richieste ai candidati: inversione e parcheggio. Si tratta probabilmente delle due operazioni più temute. Anche in questo la parte del leone la farà la preparazione ed il sangue freddo. Il consiglio è quello di fare costantemente attenzione agli specchietti: nel parcheggio, ad esempio, andare ad impattare contro il marciapiede è quasi sempre sinonimo di bocciatura. Anche il controllo del veicolo è indispensabile per compiere correttamente le manovre richieste. Non facciamo mai “sfuggire” l’automobile… “giochiamo” con frizione ed acceleratore con delicatezza in modo da spostarci, ma lentamente.


dintorni a cura di

LA BENZINA PLUS CONVIENE DAVVERO? di Alessio Macaluso

uelle che per intenderci costano di più e hanno più ottani, fanno davvero consumare meno? Non sempre, almeno stando ai risultati di uno studio condotto da “What Car?”. Al contrario le Compagnie petrolifere affermano che il vantaggio ci sarebbe tutto, tale da giustificare un prezzo per litro decisamente più elevato rispetto a quello della benzina “tradizionale”. Alcune Compagnie sostengono che utilizzando questo tipo di benzina si possano ottenere percorrenze, e quindi consumi appunto, migliorati fino al 10% rispetto ai dati riportati da Casa madre. Lo studio condotto da “What Car?” ha quindi preso in esame questi dati verificandoli con serbatoio e

contachilometri a portata di mano. Sono state quindi analizzate le prestazioni di alcune benzine cosiddette “plus” e i risultati conseguiti non hanno fatto gridare al miracolo. L’efficienza dei veicoli in effetti registra miglioramenti, ma nell’ordine del 2% a fronte di un “pieno più caro” di quasi il 4%. Discorso simile per quanto riguarda il Diesel “potenziato”. La media di miglioramento promessa da molte Case dice “fino al 3%”, ma i numeri snocciolati da “What Car?” parlerebbero invece di uno scarso 1,4% in rapporto ad un prezzo per litro maggiorato di circa il 3,6%. Il Sito inglese che ha effettuato la prova sostiene di aver operato in modo molto scrupoloso e neutrale, effettuando test su diversi tipi di strada e per parecchie centinaia di chilometri. Non solo, le prove

sarebbero state affidate a personale specializzato, come ingegneri e ricercatori “super partes”. Puntuale è arrivata però la risposta di alcuni noti marchi produttori di benzina e gasolio. Tra questi, il portavoce di una rinomata Casa francese ha confermato che dai propri test effettuati, durati 21 mesi e svolti su una flotta di oltre 30 mila vetture, i miglioramenti viaggerebbero in media tra l’1,5 ed il 5%. Ovvio, la verità sta nel mezzo. Ogni vettura può rispondere diversamente e gran parte del merito (o demerito) dipende anche dallo stile di guida, dal “dove” guidiamo e dalle condizioni dell’auto. L’ideale, se si vuole davvero risparmiare qualcosa, è quindi verificare caso per caso, comprendendo davvero se ne “valga la pena”…

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dintorni

Viaggiare sicuri… con il seggiolino di Gabriele Irelli Direttore ACI TERAMO

Aci di Teramo aderendo al progetto nazionale denominato “TrasportACi Sicuri”, prosegue nell’attuazione del progetto di educazione e sicurezza stradale, con la formazione dei propri dipendenti per incontri informativi da eseguire sul territorio della provincia. Gli incontri, hanno l’intento di far recepire a bambini e genitori l’importanza dell’uso del seggiolino per il trasporto in auto dei bimbi. Nella provincia di Teramo, nel corso dell’anno 2010, sono stati ben 77 i bambini

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feriti a seguito di incidenti stradali. Sulle strade europee, le giovani vittime sono circa 5000 ogni anno. Nonostante la legge imponga l’uso dei dispositivi di sicurezza, oltre il 60% dei bambini che viaggia in auto non fa uso del seggiolino. Il seggiolino deve essere installato preferibilmente sui sedili posteriori in senso contrario a quello di marcia e montato correttamente, seguendo le istruzioni, inoltre, deve essere conforme al peso del bimbo. Necessita ricordare che non si puo’ prescindere dall’uso del seggiolino in quanto le cinture di sicurezza e gli airbag

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sono progettati per gli adulti e non offrono una protezione efficace ai bambini, anzi, possono risultare pericolosi per i piccoli in caso di incidente. L’Aci di Teramo, per l’anno 2012 ha lanciato diversi interventi informativi da effettuare sul territorio, nelle Asl, nelle scuole e negli Ospedali, per sensibilizzare i genitori in merito all’utilità di dei sistemi di protezione. Gli interventi, gratuiti, richiedono al massimo 60 minuti e comprendono la proiezione di due brevi filmati, uno rivolto ai bambini e l’altro rivolto ai genitori.


legale

COPPIE IN CRISI

TRA FIGLI E CASA di Gianfranco Puca Avvocato, Mediatore Professionista

ANTENIMENTO DEI FIGLI. Il quarto comma dell’art. 155 c.c. prevede che, fatti salvi gli accordi sottoscritti dai genitori, ciascun genitore provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice è tenuto a stabilire una somma da corrispondere solo se necessario, e la norma indicata individua anche cinque criteri guida per la determinazione di tale assegno. La norma, quindi, individua due forme di mantenimento, quello diretto e quello indiretto; nel mantenimento diretto ogni genitore provvedere direttamente al mantenimento della prole secondo le proprie capacità, senza alcune determinazione giudiziale dell’assegno; nel mantenimento indiretto, invece, il giudice fissa un assegno da corrispondere. Il mantenimento diretto è quello “preferito” dal legislatore, in quanto in linea con la legge 54/2006 e con i criteri ispiratori: il minore ha due genitori che, anche se non sono più coppia, restano genitori, con i quali il minore ha diritto ad intrattenere un rapporto continuativo ed equilibrato. Se i genitori riescono ad assolvere alla loro funzione, e sussiste anche il concorso di altre condizioni il mantenimento diretto deve e può essere prescelto. Se le condizioni oggettive non sussistono, il giudice interviene fissando l’importo di un assegno periodico, che solitamente è mensile. L’assegno di mantenimento, sino a quando il figlio è minore, viene percepito dall’altro genitore, mentre, quando il figlio diventa maggiorenne, il giudice può disporre che l’assegno sia versato direttamente al figlio maggiorenne non economicamente indipendente; tale possibilità è prevista

dall’art. 155 quinquies. La legge, quindi, allo scopo di tutelare il figlio, equipara la situazione del minore alla situazione del figlio maggiorenne che non ha raggiunto la indipendenza economica; ma l’obbligo di mantenimento non è senza termine ma, per giurisprudenza costante (Cass. Civ. 24.9.2008, n. 24018, Tribunale Monza, 28.9.2010, Tribunale Cassino 12.1.2010 ed altre) cessa quando il genitore provi il raggiungimento della indipendenza economica, ovvero una condotta “colpevole” del figlio, che è inerte, inattivo nella ricerca di un lavoro, ovvero rifiuta senza giustificazioni una attività lavorativa. In maniera molto opportuna, il secondo comma dell’art. 155 quinquies c.c., equipara ai figli minori -rendendo loro applicabili tutte le norme dettate per i figli miori – anche i maggiorenni affetti ha grave disabilità ai sensi della legge 104/1992. Autoridurre l’assegno stabilito dal giudice è reato poiché, come si legge testualmente nella sentenza n. 5752/2011 della Suprema Corte: “Il corretto adempimento dell’obbligazione gravante sul genitore in favore dei minori consiste nella dazione (messa a disposizione del minore) dei mezzi di sussistenza, nella qualità e nel valore fissato dal giudice e comporta, di necessità ed agli effetti dell’applicazione dei disposti normativi dell’art. 570 cpv. c.p., n. 2, l’apprestamento solo ed esclusivamente di quel bene o di quel valore che il giudice della separazione o del divorzio ha ritenuto di determinare, nel dialettico confronto delle parti e nel superiore interesse del soggetto debole, oggetto di tutela privilegiata”. Non è, pertanto, consentito al soggetto tenuto al mantenimento dei figli l’autoriduzione dell’assegno disposto a favore di questi ultimi, salva la sua comprovata incapacità di far fronte al suddetto impegno.

ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE. L’art. 155 quater c.c. tratta il tema dell’ assegnazione della casa familiare. Per la giurisprudenza il temine “casa familiare” è utilizzabile in due significati: casa intesa come bene immobile, individuabile fisicamente; casa familiare come luogo degli affetti, degli interessi e delle consuetudini (Cass. Civ., s.u., 23.4.82, n. 2494; Cass. Civ., s.u. 21.7.2004, n. 13603) In tale immobile, dopo la disgregazione della coppia, continuerà a vivere un nucleo composto dal/dai figlio/figli ed un genitore. L’assegnazione della casa familiare è strettamente connesso al secondo concetto e, quindi, non vi è ragione di attribuire l’abitazione al coniuge affidatario, qualora l’immobile non è più “casa familiare” in tale secondo significato, ovvero se i figlio sono maggiorenni ed autosufficienti, ovvero se vi è stato un allontanamento definitivo dal luogo in cui si condividevano affetti, consuetudini e interessi (Cass. 13.2.2006, n. 3030). La Giurisprudenza ha più volte chiarito come in tema di separazione personale dei coniugi, la disposizione dell’articolo 155, comma 4, c.c. è dettata nell’esclusivo interesse della prole minorenne, sicché essa non è applicabile, neppure in via di interpretazione estensiva, al coniuge non affidatario, ancorchè avente diritto al mantenimento; né a quest’ultimo l’abitazione nella casa familiare può essere assegnata in forza in forza dell’art. 156 c.c., che non conferisce al giudice il potere di imporre al coniuge obbligato il mantenimento di adempiervi in forma diretta e non mediante prestazione pecuniaria. Il diritto a godere della casa familiare viene meno quando il genitore inizia una convivenza, oppure contrae matrimonio, oppure cessa di risiedere nella casa familiare (seconda parte art. 155 quater c.c.)

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informazione pubblicitaria

Aumenta lo shopping … con i buoni sconto!

Risparmiare con coupon, codici e altre forme di sconto o promozione L’arte di acquistare e pagare meno con Buoni e Coupon Una delle occasioni di risparmio più apprezzate oltreoceano è senza dubbio quella offerta dai buoni sconto (o coupon che dir si voglia), buoni cartacei a scalare che i consumatori raccolgono ed utilizzano quando fanno la spesa, riuscendo a spendere spesso molto meno di chi non ne fa uso. Sebbene molto più lentamente rispetto ai consumatori americani, anche in Italia l’uso dei buoni sconto e dei coupon sta diventando una pratica seguita quando si fa shopping; tuttavia, prima di entrare nel

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dettaglio, è necessario fare una distinzione tra due termini, “Buoni acquisto” e “Buoni sconto” (o “Coupon”), su cui spesso inevitabilmente si tende a fare un po’ di confusione. I buoni sconto I buoni sconto, o coupon, sono invece veri e propri buoni (tipicamente di carta) relativi a singoli prodotti che i negozi distribuiscono per incentivare la clientela a fare shopping presso i propri esercizi. L’uso dei buoni sconto è una tendenza molto apprezzata negli Stati Uniti, tanto da venire integrata alle promozioni e alle offerte speciali dai consumatori più astuti per arrivare a pagare la spesa anche solo pochi dollari. In Italia,

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al contrario, questa soluzione per risparmiare è sfortunatamente ancora poco sfruttata, nonostante negli ultimi anni si stia assistendo a movimenti piuttosto incoraggianti. La percentuale di sconto o la cifra da scalare dal prezzo del prodotto è riportata sul buono sconto, che deve essere presentato alla cassa direttamente in fase d’acquisto. Mentre negli States i buoni sconto vengono distribuiti sui giornali, su volantini e tramite ogni canale disponibile, in Italia riuscire ad arrivare a questi buoni non è altrettanto semplice. Forse proprio perché sono ancora in pochi ad offrire ai propri clienti questo tipo di occasioni.


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& dintorni

Statuto dei lavoratori

IL “DISCUSSO” ARTICOLO 18 di Laura Di Paolantonio Dottore Commercialista

lla data di andare in stampa, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavori è ancora sul tavolo del Governo. Cerchiamo di capire la logica di fondo che ha portato a valutare la rivisitazione di questo articolo. Oggi lo Statuto dei lavoratori prevede che il dipendente non può essere licenziato in mancanza di giusta causa (sono inclusi quei comportamenti talmente gravi da non consentire la prosecuzione del rapporto) o di giustificato motivo soggettivo (ossia inadempimenti meno gravi degli obblighi contrattuali, un esempio può essere l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro). Si parla di licenziamento disciplinare dovuto a comportamenti colposi o dolosi del lavoratore e che, a seconda della gravità degli stessi, si qualificano come licenziamenti per giusta causa o licenziamenti per giustificato motivo (soggettivo). Rientra nel campo di applicazione dell’attuale art. 18 anche il licenziamento effettuato in mancanza di giustificato

motivo oggettivo, vale a dire per ragioni attinenti ad un’eventuale crisi aziendale, per motivi di natura economica e/o tecnica, quali la riorganizzazione del lavoro, le innovazioni tecnologiche, la modifica dei cicli produttivi. Il lavoratore che sia stato licenziato in mancanza di giusta causa o di giustificato motivo (soggettivo od oggettivo) può fare ricorso all’Autorità Giudiziaria, la quale – accertata l’illegittimità del licenziamento, emette una sentenza avente ad oggetto l’obbligo del datore di lavoro di reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato. In alternativa, se il lavoratore non intenda tornare ad occupare il posto di lavoro, la legge consente e di chiedere il pagamento di una indennità sostitutiva, pari a 15 mensilità della sua retribuzione globale di fatto “tutela reale”. Questa norma si applica a tutte le aziende con più di quindici dipendenti. Nelle aziende che hanno fino a 15 dipendenti, invece, laddove il giudice dichiari illegittimo il licenziamento, il datore può scegliere tra la riassunzione del lavoratore e un risarcimento in suo favore “tutela

obbligatoria”. Come cambia l’articolo 18? Secondo lo Statuto dei lavoratori è nullo qualsiasi atto o patto diretto a licenziare un lavoratore a causa della sua affiliazione o attività sindacale, o della sua partecipazione ad uno sciopero, altrettanto nulli sono i licenziamenti attuati ai fini di una discriminazione politica, religiosa razziale. Tale punto non è stato messo in discussione dalla riforma. Nel caso in di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo soggettivo, legato cioè a motivi disciplinari, si lascia al Giudice la scelta tra il reintegro o l’equo indennizzo, su questo punto ci sono pareri contrastanti, la Cgil vorrebbe mantener l’obbligo del reintegro; Confindustria spinge per limitare quest’ultimo solo a particolari situazioni. Quando il giudice accerta che un licenziamento è avvenuto senza giustificato motivo oggettivo, cioè senza i cosiddetti motivi economici, legati a ragioni organizzative e produttive, è previsto un indennizzo economico. Su questo punto la Cgil ha mostrato meno resistenze.

scadenziario APRILE 2012 Contribuenti che si avvalgono dell’assistenza fiscale prestata dai sostituti d’imposta

Contribuenti di età pari o superiore a 75 anni aventi i requisiti per l’esonero dal pagamento del canone RAI

Titolari di abbonamento alla radio o alla televisione

Presentazione al datore di lavoro o ente pensionistico del modello 730/2012 e della busta contenente la scheda per la scelta della destinazione dell’8 e del 5 per mille (Mod. 730-1)

Presentazione della dichiarazione sostitutiva ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000 Alla dichiarazione deve essere allegata copia fotostatica non autenticata del documento d’identità del sottoscrittore.

Versamento della seconda rata del canone trimestrale

entro il 30/04/2012

entro il 30/04/2012

entro il 30/04/2012

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in primapagina

DIGITALE TERRESTRE

QUALI I VANTAGGI? di Mauro Di Diomede tecnichal - manager

l digitale terrestre o dtt, la nuova trasmissione digitale per la ricezione dei canali televisivi, permette di ricevere più canali con una migliore qualità audio e video. Si ha la possibilità di ricevere eventi sportivi, film, documentari, in alta definizione con formato cinematografico 16/9 e con audio dolby digital. Si apre una nuova frontiera interattiva. Il telespettatore, oltre ad avere segnali digitali, ha la disponibilità di interagire con programmi televisivi, quali quiz, giochi a premi, risposte a sondaggi, televoto o effettuare un commento. Un altro importante aspetto è l’accesso diretto per il pagamento delle bollette, richieste dicertificazioni, lavoro in borsavalori, visualizzazione di corsi di formazioni etc. A questo punto le domande più frequenti sono: - Devo cambiare la mia antenna terrestre? No, le antenne per la ricezione dtt sono identiche a quelle usate per la ricezione analogica, tuttavia in qualche caso è richiesto il montaggio di un’ antenna supplementare. - Devo cambiare il mio vecchio televisore? Non è necessario, basta acquistare un decoder dtt e collegarlo alla presa

d’antenna esistente. - Sono in grado di installare da solo il decoder? Si, basta staccare la spina dell’antenna che è attualmente sul tv analogico, inserirla sull’ingresso del decoder ed effettuare la ricerca automatica - Che differenza c’è tra un decoder interattivo e uno non interattivo? Un decoder non interattivo chiamato “zapper” consente di ricevere i consueti programmi televisivi, mentre un decoder interattivo utilizza una scheda (cam) per

accedere e acquistare eventi, film, documentari etc. - Possiedo già un’impianto satellitare, a cosa mi serve un decoder digitale terrestre? Il vantaggio sta nella possibilità di vedere in chiaro e senza spese tutte le tv pubbliche e private, senza incorrere in inconvenienti di non visibilità, cioè oscurati, perché criptati e quindi senza diritti per trasmissioni estere. Come sempre, il nostro consiglio prima di fare un acquisto è di informarsi e valutare in base alle proprie esigenze.

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Sanitaria - Ortopedia - Articoli medicali L’entusiasmo e l’amore che mettiamo in ciò che facciamo... Cura del piede

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benessere

L’ARTROSI Dott. Lorenzo Censoni Fisioterapeuta

artrosi è una patologia infiammatoria che colpisce le articolazioni con alterazioni regressive a carico della cartilagine e secondariamente a carico dei capi ossei articolari, della capsula, dei legamenti, della membrana sinoviale, dei muscoli e delle strutture tendinee periarticolari. Si manifesta principalmente con dolore, limitazione funzionale dei movimenti e atteggiamenti viziosi, sintomi che solitamente compaiono dopo qualche tempo dall’insorgenza della patologia. Il dolore spesso ha un andamento periodico con fasi di riacutizzazione e fasi di quiete. Le cause sono ancora sconosciute, ma si possono individuare fattori di rischio che possono essere generali o primari: -età, -ereditarietà, -obesità, -alterazioni metaboliche, -ambiente (di vita e di lavoro); locali o secondari: -alterazioni articolari di varia natura ( infiammatoria, traumatica,…), -sollecitazioni meccaniche eccessive o errate (deviazione di assi di carico). Spesso l’artrosi viene scoperta in seguito all’esecuzione di radiografie effettuate per motivi diversi dovuti, probabilmente, a dolori di altra natura. In questo caso non bisogna trattare l’artrosi per principio con una terapia farmacologica, ma ne deve essere fatta una valutazione medica per affrontarla correttamente. Infatti, una cura con farmaci antidolorifici assunti quotidianamente è necessaria solo in un numero relativamente limitato di pazienti. I metodi strumentali per indagarla sono: L’esame radiografico convenzionale:

metodica più utilizzata per la valutazione e la diagnosi differenziale delle patologie osteo-articolari. TAC: non è l’esame di prima istanza per l’artrosi. Quando è indicata, permette di visualizzare le strutture articolari in modo dettagliato TAC vertebrale: trova indicazione elettiva nello studio delle discopatie protrusive e della stenosi del canale vertebrale. RMN: importante metodo d’immagine per la valutazione delle patologie articolari perchè include la valutazione delle parti molli. Permette di visualizzare muscoli, tendini, legamenti, dischi e menischi, e indirettamente anche le ossa. Gli scopi del trattamento anti-artrosico devono essere individuati con precisione: modificare in senso favorevole l’evoluzione del processo artrosico; attenuare il dolore nelle fasi algiche; attenuare l’infiammazione nelle fasi flogistiche; salvaguardare il trofismo del complesso articolare; salvaguardare la funzione essenzialmente in termini di movimenti finalizzati alle attività quotidiane o lavorative; vicariare la funzione quando questa è perduta; rendere disponibili al paziente le necessarie informazioni sul suo problema. La terapia generale dell’artrosi comprende l’impiego di farmaci modificatori della struttura, di FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei), di farmaci per via topica (creme trans-dermiche) in sostituzione dei fans, della terapia iniettiva intra-articolare, di interventi in artroscopia, di interventi di sostituzione protesica, di terapia fisica, chinesiterapia, istruzioni di economia articolare e terapia termale. Il tentativo non è di combattere

esclusivamente il dolore e le espressioni flogistiche quanto di interferire con l’evoluzione della patologia. La chirurgia dell’artrosi è oggi molto differenziata. Gli ammalati d’artrosi grave possono venire operati di osteotomia (riallineamento con modifica dei punti di pressione), di artrodesi (irrigidimento di articolazioni troppo dolenti o instabili), o di artroprotesi (sostituzione parziale dei capi articolari). Un discorso più approfondito merita l’ acido ialuronico: sebbene i meccanismi non siano ben noti si può osservare un effetto antinfiammatorio, antiossidante e se utilizzato precocemente anche un effetto protettivo della cartilagine. Il trattamento riabilitativo ha un aspetto importante in questa patologia, ha lo scopo di scaricare le articolazioni, di eliminare le contratture e di rieducare la muscolatura con esercizi isometrici e riflessi. Sono importanti a questo fine gli esercizi di rinforzo muscolare che perseguono un miglioramento della stabilità articolare. Per quanto riguarda l’artrosi del rachide, esistono esercizi specifici globali o segmentari, con tecniche differenziate che privilegiano di volta in volta il potenziamento della stabilità, il ripristino della postura e della armonia del movimento. Nonostante questa sia una patologia degenerativa, quindi non curabile, deve comunque essere trattata e seguita da specialista, infatti come in tutti i trattamenti riabilitativi l’obiettivo finale è la “riabilitazione” a tutte le attività quotidiane sfruttando al massimo le capacità residue di ogni paziente.

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benessere

Ginnastica

il bacino Valter Di Mattia

Stazione eretta, appoggiare la schiena ad una parete, flettere un ginocchio al petto afferrandolo con le mani. Espirando, contrarre il muscolo trasverso cavizzando l’addome.Eseguire 2 serie alternate da sei (2X6).

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l bacino (pelvi) è la parte anatomica che mostra maggiori differenze tra l’uomo e la donna: Nelle femmine si sviluppa maggiormente in larghezza con le ali iliache più svasate ed inclinate in fuori, con gli acetaboli più distanziati; nei maschi si sviluppa in altezza con diametri inferiori e l’angolo pubico più acuto. Queste differenze che si manifestano in pubertà, sono legate strettamente alla riproduzione. La donna con il bacino più largo riesce a sopportare il peso del feto, contenerlo durante la gestazione ed espellerlo. I muscoli del pavimento pelvico Il pavimento pelvico (P.P.) è composto da diversi strati di muscolo e di altri tessuti: questi strati muscolari iniziano dall’osso sacro posteriormente sino all’osso pubico anteriormente. Nell’uomo sostiene la vescica, l’uretra (via urinaria) e il retto (porzione che conduce all’orifizio anale). Si indeboliscono per svariate cause: interventi chirurgici alla prostata; stitichezza cronica con sforzi ripetuti per evacuare; continui sforzi (come sollevare pesi eccessivi o lavori molto stressanti); tosse cronica (bronchite del fumatore, asma); obesità; mancanza di forma fisica generale. Nelle donne il prolasso degli organi pelvici è comune, essendo rilevabile nel 50% delle donne che hanno avuto figli. RIABILITAZIONE Sono previste diverse tecniche: Esercizi di Kegel Furono destinati a donne con incontinenza urinaria o prolasso genitale e sono ottimi da fare dopo la menopausa. E’ importante eseguire gli esercizi a vescica vuota: stringere i muscoli del P.P. (come quando si cerca di interrompere la pipì) e mantenerli contratti per circa 10 secondi; rilassare i muscoli per 10 secondi. Cercare di fare una serie di esercizi almeno 3 volte al giorno, possono essere fatti sia in decubito supino che seduti. Biofeedback perineale E’ una ginnastica attiva fatta sotto la guida di un fisioterapista con l’aiuto di macchinari associati a stimolazioni tattili ed uditive. In tutte le tecniche riabilitative è importante stimolare all’inizio l’abilità nel sensibilizzare il reclutamento della muscolatura pelvica. Questo rinforzo deve essere eseguito giornalmente per almeno 6 mesi, con due sedute di 15 minuti al giorno.


benessere

in primo piano E’ importante eseguirli sempre a vescica vuota, giornalmente e con costanza: 1. Stazione eretta, appoggiare la schiena ad una parete, flettere un ginocchio al petto afferrandolo con le mani. Espirando, contrarre il muscolo trasverso cavizzando l’addome. Eseguire 2 serie alternate da sei (2X6); 2. In ginocchio, mani a terra (posizione quadrupedica): espirando assumere la posizione di “gatto spaventato”, contraendo il muscolo pubo-coccigeo, quello che ci fa bloccare l’urina. Eseguire 10

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ripetizioni (2X5); 3. Stazione eretta, ginocchia semi piegate con i piedi in valgismo, mani in appoggio sulle ginocchia: espirando, retrovertere il bacino e contrarre il muscolo pubo-coccigeo. Eseguire 2 serie da 5 esercizi (2X5); 4. Posizione decubito supino, gambe piegate, pianta dei piedi a contatto con ginocchia aperte in fuori (posizione a ranocchio): espirando, retrovertere il bacino sollevando leggermente i glutei e comprimendo la zona lombo-sacrale a terra. Durante la fase espiratoria, contrarre l’orifizio anale ed uretrale. Eseguire 2 serie di 5 esercizi con relative pause (2X5); 5. Decubito supino gambe distese ed accavallate, mani che spingono a terra lungo i fianchi: stringendo le cosce espirare contraendo i glutei, staccando leggermente il bacino dal suolo. Questo esercizio aiuta a potenziare il pavimento pelvico, specie nella zona anale (coccigea). Fare 2 serie da 5 esercizi con fasi di rilassamento (2X5); 6. Seduti, possibilmente davanti

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ad uno specchio: portare il bacino leggermente indietro facendo leva sul coccige, espirando contrarre il muscolo pubo- coccigeo cercando di chiudere gli orifizi (2X5); 7. Decubito supino, gambe piegate, braccia lungo i fianchi: espirando, sollevare il bacino da terra in retroversione. Tutto questo senza spanciare per non andare in iperlordosi. Eseguire 2 serie da 4 esercizi (2X4); 8. Posizione supina gambe piegate: inspirare leggermente e poi, espirando, contrarre i muscoli del perineo portando dentro l’ombelico. Alla fine dell’espirazione, rimanere un attimo in apnea, bloccando con una mano le narici (2X5); 9. Posizione supina, gamba sinistra piegata in appoggio a terra, la destra flessa con l’avambraccio appoggiato sulla zona interna del ginocchio: inspirare ed espirare lentamente contraendo il perineo e premendo l’avambraccio sul ginocchio che oppone resistenza (contrazione dei muscoli obliqui). Fare 2 serie da 5 esercizi per lato (2X5).


& salute

ALIMENTAZIONE

LATTE PER RESTARE GIOVANI DI TESTA di Alessandro Tarentini

n gruppo di ricercatori americani ha recentemente determinato che il consumo regolare di latte può agevolare varie funzioni del cervello come, ad esempio, la memoria. Come sono riusciti a determinarlo? Hanno sottoposto 900 persone, tra uomini e donne, di età variabile (23-98 anni) a diversi test per valutarne la reattività in determinate circostanze, e tenendo conto del consumo abituale del prezioso liquido. I risultati di quest’esperimento sono stati per alcuni versi illuminanti, in quanto si è dimostrato che chi consumava almeno un

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bicchiere di latte al giorno era avvantaggiato nello svolgere i vari esercizi “mentali”. Naturalmente queste performance non sono spiegabili solamente dal consumo o meno di latte ma, generalmente, chi lo beve ha un regime alimentare più salutare. Inoltre tenendo conto dei vari benefici già dimostrati dalla comunità scientifica, come il rafforzamento delle ossa o i vantaggi a livello cardiovascolare, il cosiglio di utilizzare latte anche in età adulta si è molto rafforzato. Tutto questo perché si può favorire la prevenzione di malattie degenerative del cervello tipiche della terza età. L’INRAN consiglia di consumare un bicchiere di latte (125 cl) ogni giorno.

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chi consumava almeno un bicchiere di latte al giorno era avvantaggiato nello svolgere i vari esercizi “mentali”...


& salute

Una dieta equilibrata migliora la vita fonte il Ministero della Salute www.salute.gov.it

a corretta alimentazione è fondamentale per una buona qualità di vita e per invecchiare bene. La salute, infatti, si conquista e si conserva soprattutto a tavola, imparando sin da bambini le regole del mangiare sano. Il tradizionale modello alimentare mediterraneo è ritenuto oggi in tutto il mondo uno dei più efficaci per la protezione della salute ed è anche uno dei più vari e bilanciati che si conoscano. Ma va sottolineato che se si vuole perdere qualche chilo o in caso di disturbi e allergie connesse all’alimentazione è necessario rivolgersi al medico. No alla diete “fai da te”. Tre-cinque porzioni di verdura al giorno e due-tre di frutta. È quanto raccomandano i migliori nutrizionisti per mantenerci in forma e in buona salute. Frutta e verdura, ricche di vitamine, fibre e tanta acqua, sono un vero concentrato di salute; contengono

molti minerali e poche calorie. Grazie alla loro composizione, idratano l’organismo, mantenendo l’equilibrio idrosalino e ci aiutano a tenere il peso sotto controllo. Un’alimentazione a basso contenuto di grassi è premessa fondamentale, non solo per il controllo del peso corporeo, ma anche per ridurre i livelli di colesterolemia e prevenire l’insorgenza di malattie cardiovascolari. Restare leggeri è una regola d’oro del mangiar sano. Significa da un lato evitare le abbuffate, dall’altro limitare i cibi poco digeribili, come i grassi, o troppo elaborati come i fritti e le salse. Il tradizionale modello alimentare mediterraneo è ritenuto oggi in tutto il modo uno dei più efficaci per la protezione della salute ed è anche uno dei più vari e bilanciati che si conoscano. Esso si basa prevalentemente su alimenti di origine vegetale come i vari cereali (grano, riso, orzo, segale, farro), legumi, frutta, ortaggi,

pesce, olio di oliva e moderati consumi di alimenti animali. Diverse e recenti pubblicazioni scientifiche dimostrano i benefici effetti sullo stato di salute prodotto da un’attività fisica moderata e svolta con regolarità. Al contrario possiamo definire a rischio per la salute un comportamento o uno stile di vita sedentario. Quando si parla di sport o meglio attività fisica in grado di incidere positivamente sullo stato di salute non si intende parlare di quel tipo di allenamento che compie l’agonista, ma di quel “leggero esercizio fisico” in grado di portare beneficio a tutto il nostro organismo e in particolar modo al nostro sistema cardiocircolatorio. Un buono stato di forma fisica, soprattutto negli anziani, previene molte malattie, mantiene alto il tono dell’umore e riduce anche la mortalità per tutte le cause e in tutte le età, tutti ottimi motivi per modificare un stile di vita caratterizzato dalla sedentarietà.

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servito

Tagliatelle alla salvia Ingredienti: 125 g di Philadelphia Classico in vaschetta 400 g di tagliatelle fresche 1 mazzetto di salvia 20 g di burro sale pepe

Preparazione: Sciogliete il burro con la salvia tagliata a striscioline e fatelo spumeggiare un paio di minuti Unite Philadelphia e un mestolino di acqua calda per stemperarlo: regolate di sale e di pepe e mescolate per ottenere una salsa fluida.

Arrosto

di vitello al limone Ingredienti: 1 kg di girello di vitello 2 limoni sale pepe olio d’oliva Preparazione: Salate il vitello e rivestitelo tutto con fette di limone legate attorno alla carne con lo spago da cucina. Adagiatelo poi su una teglia rivestita con un foglio di carta da forno, bagnatelo con un filo di olio di oliva, quindi richiudete la carta in modo da formare un cartoccio. Cuocete l’ arrosto in forno già caldo per circa un’ora poi, aprite il cartoccio, alzate la temperatura del forno e continuate la cottura per 15 minuti, girandolo e bagnandolo con un po’ di acqua se occorre. Quando l’arrosto è ben dorato da tutte le parti, toglietelo dal forno e fatelo riposare per circa 5 minuti. Poi affettate e servite condito con il sughetto di cottura.

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