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GERENZA Enrico Santarelli TIZIANA MATTIA direzione@primapaginaweb.it

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STAMPA:

DISTRIBUZIONE

Sail Post Agenzia Teramo 1

Un numeroso sciame di api abitava un alveare spazioso. Là, in una felice abbondanza, esse vivevano tranquille...

UN’ANALISI SULLE RICHIESTE DI LAVORO IN PROVINCIA

di Mira Carpineta

Sanità

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ArtiGraficheCelori - Tr - Umbria

Flavio Bartolini Clementina Berardocco Francesco Bonini Coralba Capuani Emiliano Caretti Mira Carpineta Michele Ciliberti Mattias Cocco Christian Corsi Luciano D’Amico Claudio D’Archivio Giovanni Di Bartolomeo Adele Di Feliciantonio Pasquale Di Marcantonio Laura Di Paolantonio Ivan Di Nino Rocco Di Nino Vittoria Dragani Francesca Maria Guadagno Vincenzo Lisciani Petrini Antonella Lorenzi Matteo Lupi Cristiane Marà Marcello Martelli Giuseppina Michini Daniela Palantrani Jessica Pavone Gianfranco Puca Mariangela Sansone Alessandro Tarentni

Il lavoro c’è, ma non lo vedono

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di Carlo Di Patrizio

Hanno collaborato:

Morale della favola...

Economia

Nicola Arletti

Supporto web:

26 Giugno 2012

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Via Costantini, 6 - Teramo Tel & Fax . 0861. 250336 redazione@primapaginaweb.it direzionemkt@primapaginaweb.it

OSPEDALE DI GIULIANOVA UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

La voce ruggito del sindaco Mastromauro di Cristiane Marà

La responsabilità delle opinioni espresse negli articoli pubblicati è dei singoli autori, da intendersi libera espressione degli stessi. Alcune collaborazioni sono gratuite.

Territorio

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VILLA RUPO

L’editore ha compiuto ogni sforzo per contattare gli autori delle immagini. Qualora non fosse riuscito, rimane a disposizione per rimediare alle eventuali omissioni

Frazione “scollegata”

Le informazioni, testi, fotografie non possono essere riprodotte, pubblicate o ridistribuite senza il consenso dei titolari dei diritti.

di Daniela Palantrani

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Copiare con originalità

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Immigrazione tra i banchi

di Mariangela Sansone

INSERTO

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Speciale Gastronomia

Abbandoni estivi di Coralba Capuani

di Flavio Bartolini

Per i vostri quesiti ai nostri esperti redazione@primapaginaweb.it tel/fax 0861. 250336

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Gelato: si chiama artigianale si legge indutriale

In copertina: MORALE DELLA FAVOLA... (foto: Mario MOnti, attuale capo di Governo italiano)

n. 26 anno 3 giugno. 2012

di Alessandro Tarentini PrimaPagina 26 giu. 2012

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risposta

Gent.le direttore, girando per la città, si ha la sensazione di vivere in una Teramo abbandonata e degradata. Una città in cui si avverte la colpevole latitanza di chi dovrebbe governare. Grave la situazione del traffico con gravi ripercussioni sulla qualità dell’aria, il centro storico adibito a sosta selvaggia, auto che sfrecciano sulle vie adiacenti Corso San Giorgio; la bellissima P.zza Dante sommersa, in tutti i sensi, dalle auto; zone archeologiche di prestigio che dovrebbero testimoniare l’antica grandezza di Teramo, adibite a improvvisati campetti di calcio o nascoste da palizzate di legno. Si osserva in ogni angolo la totale mancanza di manutenzione: strade in pessime condizioni, strisce pedonali e segnaletica orizzontale invisibili, erbacce e sterpaglie diffuse, marciapiedi devastati. Trasporti pubblici inadeguati per una città che si sta espandendo: bisogna continuamente procedere con raccolta di firme per rendere i quartieri raggiungibili con i mezzi pubblici. Tutto contribuisce a dare un’ immagine negativa di Teramo. Chi amministra risponde oramai sempre con la solita tiritera: “Non ci sono i fondi, c’è la crisi”.

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Non è una giustificazione, è diventato l’alibi più comodo. Chissà perché poi i fondi per le feste, assurde sagre, maratonine, etc. si riesce sempre a spenderli. Teramo è diventata una città anonima, sciatta e senza identità. Si pensi alla Villa comunale invasa da immondizie e rami rinsecchiti, i cui viali non possono che essere deserti. I lavori di Piazza Garibaldi, lasciati incompiuti, tra l’indifferenza dei cittadini. Non può essere questa la città che i teramani vogliono, ma l’esatta antitesi. Se chi ci governa non è in grado nemmeno di provvedere alla manutenzione spicciola, dovrebbe onestamente e coerentemente rassegnare le dimissioni. Paolo D’Incecco (Teramo Città di Virtù) Caro lettore, legga quanto risponde, proprio su questo numero, alla nostra Daniela Palantrani l’avv. Walter Mazzitti. Troverà un’analisi puntuale e senza mezzi termini di Teramo e dei suoi abitanti. Naturalmente di quelli che vivono ai piani alti. E che “dall’alto”, appunto, hanno talvolta una visione sfuocata dei fatti.


di Tiziana Mattia

foto: “Tempi Moderni” Charlie Chaplin

a insomma, questo lavoro c’è o non c’è? La domanda non è buttata lì. Ricordate il giovane che alla ministro Fornero (lei in piedi, lui comodamente stravaccato) dichiarava: “Lavorare di notte? Per carità, ho altro da fare”, sicuro come molti suoi coetanei che le ore “nere” devono essere dedicate soltanto alla movida? Ebbene si scopre che quel ventenne con la biro in mano (chissà a cosa gli serviva) ha dietro, accanto e avanti a sé una fitta schiera di replicanti, convinti che tutto è loro dovuto. Con pochi sacrifici, un lavoro facile, a pochi metri da casa. E esclusivamente di giorno, naturalmente. Ma la giovane età non può accollarsi interamente le colpe di una puerizia fissata al chiodo dell’incoscienza. Questi adolescenti-prolungati hanno sulle spalle le mani carezzevoli di genitori incapaci di dire “no”, di negare paghette (si da per dire) sul genere vitalizio ministeriale, di illudere colpevolmente la prole che la vita è facile, percorsa nei corridoi delle università. Un attento lettore mi ha posto, qualche giorno fa, una domanda: “Meglio tanti laureati a spasso, o pochi ma ben inseriti e soprattutto preparati?”. La risposta è talmente ovvia che fa gridare allo scandalo proprio per questo. Chi? I soliti che da troppi anni rubano impuniti il futuro delle ultime generazioni, dopo aver costruito una realtà virtuale fatta di menzogne, e nella quale i giovani sguazzano, certi di essere nel giusto. La nostra Mira Carpineta ha sentito l’assessore provinciale al Lavoro, Eva Guardiani, che ha confermato (non ne avevamo dubbi) i timori dei più realisti: il lavoro c’è, ma il più delle volte richiede sacrificio e rinunce. Di conseguenza, rifiutato. Perché darsi da fare, dopo il diploma, se è molto più comodo (e riposante) iscriversi all’università? E’ orgoglio di mamma e papà dichiarare di avere un figlio “studente” piuttosto che “disoccupato”. Alla laurea prima, o molto poi, ci si arriverà. Allora, con il titolo di “dottore”, potrà mai il “tesoruccio di mamma” fare, che so, la guardia notturna? PrimaPagina 26 giu. 2012

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Intervista con il Presidente Onorario Marcello Di Pasquale

“CONFARTIGIANATO AGLI ARTIGIANI E NON SARA’ UNA SCATOLA VUOTA” Dopo il commissariamento e l’espulsione di Luciano Di Marzio, si gira pagina. Ma la lunga guerra non è ancora finita. di Tiziana Mattia

lla Confartigianato di Teramo, sodalizio fra i più vecchi e prestigiosi della città, mesi e anni di laceranti contrasti e polemiche. Espulsione della intera vecchia guardia, migliaia di soci artigiani in fuga, crisi profonda dell’associazione. Poi, l’annuncio del commissariamento e dell’espulsione dell’uomo che, a lungo, ha accentrato nelle mani tutte le leve di potere, attirando polemiche e accuse. Il commissariamento e l’espulsione di Luciano Di Marzio, presidente di “lungo corso”, hanno praticamente aperto la strada a un “nuovo corso”, come annunciato in vari interventi e comunicati stampa. Ne parliamo con Marcello Di Pasquale, personaggio storico della Confartigianato locale e figlio del mitico fondatore, che da anni guida l’azione di riscossa nella sua qualità di presidente onorario dell’Unione Provinciale Artigiani Una battaglia di anni, ormai. Ma con quali obiettivi precisi? “Intanto, per restituire la organizzazione fondata da mio padre Antonio agli artigiani. Nell’interesse primario, non di un furbetto divenutone “proprietario e despota”, ma dell’intera categoria di noi artigiani. Costretti, da troppo tempo, a subire torti e umiliazionicome ampiamente documentato- oltre che a pagare errori e costi di una dissennata gestione personalistica. Il presidente a vita Luciano Di Marzio andava disarcionato e schiodato dal trono e bene hanno fatto i massimi or-

gani della Confartigianato ad adottare i provvedimenti presi. Tuttavia, non sarà una mera operazione di facciata, ma una svolta effettiva, sorretta con atti di assoluto rigore e concretezza. Per restituire ai soci artigiani di Teramo non una scatola vuota, ma la Confartigianato con il suo ricco patrimonio storico e morale, finanziario e d’immagine”. Questo significa che i provvedimenti già adottati sono solo l’inizio e che altri ne arriveranno? “Noi artigiani ci battiamo per normalizzare in concreto e fino in fondo la situazione con atti conseguenti, che purtroppo non sono ancora arrivati. Tanto è vero che Di Marzio, pur commissariato ed espulso dalla Confartigianato, ha continuato e continua a servirsi con assoluta padronanza del marchio, delle insegne

Noi artigiani ci battiamo per normalizzare in concreto e fino in fondo la situazione con atti conseguenti, che purtroppo non sono ancora arrivati

e dei mezzi finanziari come se niente fosse accaduto. Il commissario dr. Omati, nominato dai competenti organi centrali, dopo l’offensivo trattamento ricevuto di non poter neppure accedere nella sede di Teramo, dovrà adottare tutte le procedure consentite e previste dal nostro statuto e dalle leggi”. Oppure, ci sono soluzioni di compromesso in vista? “Sicuramente non si potrà regalare a noi “ribelli”, a compenso di umiliazioni e persecuzioni di ogni genere fin qui patite (vedi vicenda emblematica mia personale e di altri soci), una consolatoria ‘vittoria di Pirro’. Sia chiaro: la nostra lunga battaglia di trasparenza e moralizzazione- oltre a spazzare il responsabile della disfatta della nostra associazione localepunta a ben altro. Di Marzio e i suoi puntelli lasciamoli pure al loro destino inevitabile (responsabilità e comportamenti saranno oggetto d’attenzione in altre sedi competenti). A noi stanno a cuore la Confartigianato e tutto ciò che di buono resta del suo patrimonio, sotto ogni aspetto. A cominciare dai lontani tempi della sua fondazione. Aver commissariato ed espulso “il tiranno”, bene, ma che tutto non finisca qui, facendo credere che ora si possa andare tranquillamente avanti, magari creando a Teramo (e sarebbe una ipotesi davvero risibile) una Confartigianato bis o addirittura tris, lasciando tutto il resto (‘tesoretto’ incluso) a chi (e non si capisce a quale titolo) non si rassegna a mollare l’osso”. Lei teme una scissione, addirittura una

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frantumazione della Confartigianato di Teramo? “Mi rifiuto persino di pensarlo, ma l’operazione Di Marzio va portata avanti fino in fondo, con coerenza, nell’interesse dalla nostra gloriosa associazione e della nostra categoria vicina per tradizione alla Confartigianato. Altrimenti, a bocce ferme, si perderebbe ogni residua credibilità, a ulteriore vantaggio di altre associazioni e organizzazioni nostre concorrenti. L’impegno di tutti, a cominciare dai massimi organi centrali, è quello di tutelare legalità e ‘risanamento ambientale’.Visto che si tratta in sostanza di prendere le distanze di sicurezza da un personaggio che, oltre a creare divisioni e a rendersi responsabile di una gestione personalistica e illegale, alla fine ha sferrato attacchi violenti e persino lesivi contro tutti, avendo la tracotanza di trasformarsi da accusato di varie irregolarità in accusatore. Tutto questo dovrà essere una ragione ulteriore, da parte dei competenti organi della Confartigianato e non solo, per sradicare dal nostro ambiente un personaggio che, oltre a combinare disastri in ambito locale, butta fango persino sui maggiori organi che ci rappresentano. Impossibile subire e non reagire. Vorrebbe dire accettare e tollerare chi minaccia, alza la voce e butta discredito. Mentre dobbiamo essere tutti decisi a batterci fino in fondo, in difesa del prestigio e del buon nome della Confartigianato, davanti agli occhi dei soci e dell’opinione pubblica in generale. La ‘linea Di Marzio’ dei pugni sul tavolo non è e non sarà vincente, nel nome e a vantaggio di quanti (cioè la maggioranza) si battono per il recupero dei vecchi sacri principi di trasparenza e legalità. Che, per quanto ci riguarda, sono fondamentali per riprendere il cammino, recuperando centinaia e migliaia di soci che ci hanno lasciati o che sono in finestra ad assistere ad uno spettacolo davvero poco edificante”. Quindi, quali saranno i prossimi passaggi?

“Il Commissario dr.Giampiero Omati farà il suo lavoro fino in fondo, mentre da parte nostra abbiamo già promosso una riunione con una rappresentanza di 29 artigiani per costituire una nuova associazione. Ma sia chiaro, senza ombre e compromessi, recuperando per intero il patrimonio sociale della nostra vecchia associazione, senza cedimenti verso chi male ha operato e rompendo in maniera irreversibile con il recente passato. Il nostro progetto andrà comunque avanti e resterà lontanissimo dai vecchi logori giochetti di poltrone e piccoli grandi interessi. Proprio per essere fedeli e coerenti con l’appello che torniamo a ribadire, che è quello di portare avanti, fino in fondo, il processo di pulizia e legalità della nostra vecchia Associazione di Teramo. Senza se e senza ma, con verità e giustizia. Confermiamo che questa sarà la nostra azione anche per il futuro. Con riserva di presentare prossimamente all’assemblea dei soci e, ove necessario, alla competente autorità giudiziaria, il dossier già pronto sui conti della Cooperativa di garanzia città di Teramo. Andremo avanti con determinazione, contando ancora sul sostegno della Confartigianato, ma comunque non ci fermeremo. Forti soprattutto del consenso e della unità d’intenti dei numerosi colleghi artigiani nostri solidali compagni di strada”.

Aver commissariato ed espulso “il tiranno”, bene, ma che tutto non finisca qui...

Un pò di dati:

Abruzzo: tasso di disoccupazione in percentuale e classe di età

Teramo 15-24 anni

22% Pescara 15-24 anni

28% Teramo 35 anni e più

5%

Pescara 35 anni e più

5,5% Teramo 18-29 anni

19% Pescara 18-29 anni

26% 8

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Non Lo Vedono

IL LAVORO C’È MA…

CRISI

di Mira Carpineta

econdo i dati Istat riferiti al periodo 2004-2011, la provincia di Teramo è, in Abruzzo, quella con il più basso tasso di disoccupazione, considerata la fascia di età che va dai 15 ai 74 anni. I 4 Centri per l’Impiego, del nostro territorio, hanno tuttavia registrato negli ultimi anni un aumento di iscritti. Aumento che si spiega, secondo l’assessore Provinciale alla Formazione e alle politiche del Lavoro, Eva Guardiani, oltre che con la difficile situazione economica, che costringe le famiglie a cercare di incrementare le entrate con l’occupazione di entrambi i coniugi, anche con un minore ricorso alle agenzie di lavoro interinale e quindi maggior fiducia nei servizi dei Centri per l’Impiego. “Tra gli inoccupati, inoltre, figurano anche quelle persone che pur avendo un impiego non raggiungono i requisiti minimi previsti per lo status di occupato – spiega l’assessore -. La percentuale di disoccupazione è dell’ 8.1%, e sono naturalmente cambiate le tipologie di contratto applicate: nel 2010 i contratti a tempo pieno e indeterminato riguardavano circa 5000 dipendenti, mentre oggi sono molti meno. I contratti più frequenti sono a tempo determinato, part-time e intermittenti. Questi ultimi anche detti ‘a chiamata’ sono triplicati, da 1200 a 3200. Questo naturalmente significa aumento della precarietà”. Quali sono le fasce di età maggiormente censite dai Centri? “La fascia di età attualmente più presente, - spiega l’assessore, illustrando i dati - oltre ai giovani è quella che va dai 35 ai 55 anni, persone che avevano un’occupazione dipendente e che l’hanno persa, oppure che avevano una propria attività indipendente, che oggi non hanno più, e quindi cercano una

ricollocazione. E qui interviene il patto per le politiche attive, che prevede, per queste figure percorsi di riqualificazione e ricollocazione, perché riguardano soprattutto lavoratori ancora lontani dalla pensione, ma difficilmente ricollocabili perché con poche tipologie di competenze, avendo svolto magari sempre la stessa mansione, o perché ex imprenditori di stessi, con un tipo di competenze limitate al loro settore”. Che titoli di studio ha, prevalentemente, chi cerca lavoro attraverso i Centri o le Agenzie? “I titolo di studio vedono un’altissima percentuale di diplomati tra le fasce dei più giovani, contro una bassa scolarizzazione tra i 40/50enni”. Qual è il settore che offre maggiori opportunità di lavoro? Il settore che offre maggiori richieste di lavoro – continua l’assessore - riguarda le figure specialistiche, tornitori, saldatori, geometra di cantiere, figura non facilmente reperibile, ma richiesta, così come nell’agroalimentare e tra i panificatori, per i quali a breve partirà proprio un corso, su questa figura professionale richiestissima, ma praticamente introvabile. C’è qualcuno che rifiuta dopo essersi rivolto ai centri? Tanti di quelli che si rivolgono ai Centri per l’Impiego esordiscono dicendo: “Ho bisogno di lavorare mi accontento di tutto”, ma quando poi si trovano di fronte ad offerte sacrificanti, lavoro notturno o festivi, prevale la scelta dell’esigenza familiare. Atteggiamento prevalentemente riferito ai giovani che prima di ‘arrendersi’ preferiscono continuare la ricerca di un lavoro meno fisicamente impegnativo, mentre le persone mature (oltre i 40) – conclude Eva Guardiani -sono più disposte ad accettare anche lavori sacrificanti, dal punto di vista fisico e familiare.

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Cresce il numero di suicidi in Italia È possibile riconoscere i segnali del disagio?

La crisi uccide Si può arginare il fenomeno? Risponde lo psicoterapeuta di Coralba Capuani

un vero e proprio bollettino di guerra il numero di suicidi imputabili in qualche maniera alla crisi economica. Trentacinque solo nei primi quattro mesi dell’’anno. Si parla spesso di imprenditori strozzati dal cappio invisibile delle lungaggini burocratiche che ritardano i pagamenti dovuti alle aziende dallo Stato anche di due anni. Ma il fenomeno coinvolge tutte le fasce sociali e anagrafiche: disoccupati, pensionati, artigiani, operai, giovani laureati delusi da una società che non dà speranze. È un fenomeno che fa paura.Viene spontaneo chiedersi come sia possibile che una persona dalla vita apparentemente normale decida di punto in bianco, anche se per gravi motivi, di farla finita. Possibile che non ci sia un segnale a indicare la presenza di questo cancro interno che lacera le anime e le menti di queste persone? «In realtà, si tratta sempre di soggetti con una fragilità latente – spiega Carla Pompilii, psicoterapeuta integrata ad approccio fenomenologico-esistenziale –, una fragilità che viene alla luce in particolari momenti difficili e traumatici. Il fallimento di un’azienda ad esempio, è una sorta di terremoto che porta a galla tutta una serie di ansie e timori sentiti come ingestibili da parte del soggetto. Un alto tasso di stress, il senso di responsabilità, l’incapacità di far fronte ai propri doveri, sia nei confronti dei propri dipendenti ma anche della famiglia, sono tutti elementi che possono schiacciare un individuo già di per sé fragile». Un modo per arginare questo fenomeno è sicuramente il dialogo: «è importante – continua l’esperta – che chiunque si trovi in difficoltà ne parli con i propri familiari o con un medico, che non si tenga tutto dentro per paura o per vergogna. Fondamentale inoltre è la famiglia che dovrebbe saper cogliere certi segnali; chi ripete da

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tempo che la vita non vale più la pena di essere vissuta, mostra agitazione, un’insonnia persistente, trascura il proprio aspetto fisico e l’alimentazione, vende beni e cose che gli sono care come se facesse una sorta di testamento, è soggetto a repentini e immotivati cambi d’umore – tutti campanelli d’allarme – è probabile che soffra di un disagio grave». Questo quanto può fare la famiglia; e lo Stato invece? Le istituzioni fanno abbastanza? La dottoressa è molto critica a riguardo. «Le istituzioni e la sanità sottovalutano il problema, manca un qualsiasi tipo di aiuto, un incoraggiamento o un qualsivoglia messaggio di speranza. Si insiste molto sull’importanza di una politica austera, sul rigore, senza offrire prospettive di speranza e miglioramento. Storicamente tutte le crisi economiche più importanti sono coincise con un aumento del tasso di suicidi, di malattie mentali, di dipendenza da droghe e alcol, per questo è fondamentale offrire un sostegno psicologico a chi è in difficoltà anche attraverso un potenziamento dei servizi di salute mentale. Mi sconcerta il silenzio del servizio sanitario nazionale. Per il momento, infatti, ci si sta muovendo solo attraverso iniziative private di professionisti. È cosa recentissima un progetto promosso e ideato dal Centro Indivenire di Roma. L’iniziativa, ‘Occupiamoci dei disoccupati’, è rivolta a tutti coloro che hanno perso un lavoro o non riescono a trovarne uno e si propone di offrire un sostegno psicologico gratuito da parte di professionisti specializzati che decidono di aderire liberamente. È un messaggio di speranza importante, fondamentale direi, perché, limitarsi a presentare in modo sensazionalistico le notizie di suicidi da crisi economica, induce solo ad altri suicidi innescando un pericoloso effetto domino».

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GRANDE FIUME SENZA MARE di Rocco Di Nino

n Italia c’è un fiume immenso che si ingrossa ogni anno sempre più. E’ il grande corso d’acqua delle imposte, tasse, addizionali, accise eccetera che i cittadini italiani pagano a Stato, Regioni, Province, Comuni, enti vari di dubbia utilità. E’ il caso di porre sul piatto alcune considerazioni. Dal 2012 è stata ripristinata la tassa sulla prima casa. I nostri governanti sono fantasiosi ed al posto dell’Ici l’hanno chiamata Imu. In realtà, sarebbe stato meglio chiamarla Isp ( imposta sacrifici persone). Dopo aver acceso un mutuo che finiranno di pagare le generazioni future, con la spada di Damocle dell’istituto di credito che ti chiede di ‘rientrare’ anche se si va sotto di due euro, lo Stato punisce fortemente le persone che hanno un tetto sopra la testa! La paghi allora il vero proprietario di casa: la banca.Anni fa fu introdotta una estrazione in più del lotto –il martedì- a settimana i cui proventi sarebbero serviti per le belle arti e la cultura. Poi ne è stata inserita una terza -il giovedì.


JAK Una banca come la vorremmo di Mattias Cocco

con grande riconoscenza che torniamo a parlare di JAK. Dopo il primo articolo apparso qualche settimana fa c’è stato un discreto riscontro, ma speriamo che si tratti solo di un inizio, e che Teramo e dintorni possano diventare un punto di riferimento per il nostro progetto. Nelle ultime settimane JAK ha ricevuto

l’attenzione di parecchie testate giornalistiche cartacee e on-line, tra cui Vita, Milano Finanza, Famiglia Cristiana e altri. Siamo stati ospiti di Radio 24 il 20 maggio, alla trasmissione “Si può fare, cronache da un paese migliore”, e in occasione del Festival dell’Economia di Trento il 3 giugno. Gli incontri organizzati dagli attivisti riscuotono sempre un sincero interesse da parte dei

Questi denari, però, sono davvero serviti a poco, visto che sia nel terremoto aquilano che in quello dell’Emilia, tali fondi per il ripristino di chiese e musei non si sono visti. Inoltre le vincite fino al 31 dicembre del 2011 erano tassate alla fonte; dal 2012, oltre a questa, c’è un ulteriore prelievo del 6%.Paghiamo le imposte, come l’IVva, sulle tasse (addizionali). La Regione Abruzzo è una di quelle con la maggiore potenza impositiva: per una vettura da 100KW l’anno scorso si pagavano € 280 di bollo, quest’anno più di €310. Non parliamo poi della ‘quota fissa’ nazionale da €10 inserita per le prestazioni sanitarie e per il ticket sulle ricette. A volte tali tributi superano di gran lunga il costo della prestazione o del farmaco. Il presidente della Regione Abruzzo ha dichiarato di non avere introdotto nuove tasse. L’aumento del bollo regionale cos’è, un nuovo amaro con indicazione geografica tipica? Una parte di questo immenso fiume di vessazioni dovrebbe sfociare in un immenso mare di servizi per i cittadini: tra-

sporti, infrastrutture, una sanità all’inglese certa e gratuita per tutti. Invece no. Questo è un autentico mar morto; è proprio vero che ultimamente le cose vanno tutte “a Monti”.

Una parte di questo immenso fiume di vessazioni dovrebbe sfociare in un immenso mare di servizi per i cittadini

partecipanti, che si ritrovano catapultati in una dimensione in cui il denaro vuole essere uno strumento di condivisione delle risorse e non di accumulazione di ricchezza, condotti spesso da gente comune, non necessariamente economisti, o provenienti dagli ambienti della finanza. Persone semplicemente accomunate dall’obiettivo di fondare una banca che non realizzi alcun profitto, ma che faccia circolare le risorse tra persone e imprese sostenibili. Il professore della Bicocca Luigino Bruni ha dichiarato: “Jak Bank è un modello di banca cooperativa, di “banca dei soci”, in cui quando un socio si trova in difficoltà, gli altri hanno a disposizione una serie di strade per aiutarlo...e qui entra in gioco la vera forza delle relazioni. Sbaglia chi crede che le relazioni non fanno parte di un’economia di mercato, chi crede cioè che il mercato sia fondato sulla competizione (…) La cooperazione è la vera dimensione fondativa del mercato. Senza cooperazione non c’è mercato, la competizione viene dopo.... la cooperazione è quella che crea la “torta” e la competizione è quella che ne fa le fette, premiando chi è più competitivo, efficiente, efficace e così via...... La base, dunque, sta nella cooperazione, non nella competizione: sta nei comportamenti virtuosi, nel rispetto delle regole, nella correttezza, in tutto quello cioè che è indispensabile..... perché poi il mercato esista e funzioni...” In base agli studi condotti da economisti svedesi e tedeschi, un modello bancario che persegua e favorisca nella realtà dei fatti il benessere delle persone, il corretto uso del denaro e la cooperazione, senza tuttavia rinunciare alla competizione per la ripartizione delle risorse in eccesso (ovvero quelle residue oltre la soddisfazione dei bisogni primari, come vitto, alloggio, educazione e qualità della vita in genere), trova la sua realizzazione in una banca senza interessi, o interest-free come dicono i nostri amici anglosassoni. In Svezia una banca simile esiste già, si chiama JAK Medlemsbank (www.jak.se) e conta 38.000 soci, in Italia abbiamo compiuto dei passi importanti ma c’è ancora parecchi strada da fare. Si tratta di un percorso che riusciremo a portare a termine solo attraverso una grande partecipazione. Non c’è una tempistica certa perché, riprendendo l’intervista a Radio 24: “Le tempistiche…dipendono dalle persone. Questo è un progetto che ha dietro delle persone, non grossi gruppi imprenditoriali, insomma i tempi dipenderanno dai tempi di risposta e dalla quantità di persone che risponderanno e stanno rispondendo al nostro appello”. E allora reiteriamo questo appello: venite a conoscerci, a scoprirci, entrate nel dibattito e partecipate alla costruzione di una banca cooperativa, equa, in cui ognuno conta uno: una banca come la vogliamo noi!

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Delocalizzaione Golden Lady

Dio salvi il

made in… Teramo di Adele Di Feliciantonio

l clima di disillusione e di preoccupazione generale investe anche la nostra provincia dove ci sono molte aziende in crisi o addirittura che hanno dovuto cessare la loro attività licenziando numeri elevati di dipendenti. Confrontando i dati statistici forniti dalla Camera di Commercio di Teramo abbiamo notato che nel primo trimestre del 2012 il numero di cessazione delle imprese è molto alto e si avvicina al numero complessivo dell’anno precedente. Le cause sono sicuramente da attribuire alla congiuntura economica negativa che genera disoccupazione e licenziamenti, ma gli alti costi di gestione delle attività imprenditoriali favoriscono il fenomeno della delocalizzazione che rischia, ulteriormente, di mettere a rischio imprese e posti di lavoro. La delocalizzazione delle imprese, che fa parte del processo di internazionalizzazione delle stesse, sta subendo un processo inarrestabile; molte attività sono state, infatti, trasferite, creando non pochi problemi per i dipendenti che sono rimasti senza lavoro e senza speranze.

Una crisi, per questo comparto, non solo contingente ma strutturale...

foto: uno degli stabilimenti Golden Lady in Abruzzo

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E’ proprio l’industria manifatturiera che sta attuando massicciamente questo cambiamento e il teramano è una zona prolifera di queste attività. A questo proposito abbiamo incontrato Giovanni Timoteo della Cgil, segretario provinciale della categoria lavoratori tessili, chimici, energia e pubbliche utilità e che ha guidato, con Cisl e Uil e le rappresentanze sindacali aziendali, le trattative per salvare e salvaguardare la Golden Lady di Basciano. Ci può illustrare la situazione del settore tessile - abbigliamento nella nostra provincia? Questo settore in passato, nel sistema industriale provinciale è stato di primaria importanza per numero di occupati e per la quota di reddito prodotta. Anzi, i dati statistici testimoniano che è stato il comparto trainante per il sistema economico teramano facendolo comparare, per molti anni, con i territori industriali del Nord-Est. Dagli anni ’80 in poi c’è stato un fiorire di attività imprenditoriali nel settore tessile – abbigliamento, ma anche nella pelletteria. Attività in prevalenza endogene, integrate da molti dei principali marchi nazionali, attratti, certamente dalle risorse pubbliche disponibili, ma anche dalla duttilità e cultura del lavoro della manodopera locale in grado di fornire risposte efficienti e di qualità alla domanda di produzione manifatturiera. Negli anni questo sistema si è sviluppato realizzando la prima voce del PIL e dell’esportazione nel territorio e contribuendo in modo decisivo alla crescita economica della provincia di Teramo. Questo ha permesso buone e diffuse opportunità di occupazione soprattutto al femminile; proprio le donne hanno maggiormente beneficiato di questo fenomeno. Purtroppo negli ultimi dieci anni questo quadro ha subito un’involuzione drammatica con una crisi che in pochi anni ha causato la chiusura di centinaia di aziende con una perdita di almeno di 10.000 posti di lavoro. Una crisi, per questo comparto, non solo contingente ma strutturale, dovuta ad un’apertura pressoché globale a nuovi merca-


ti di produzione in assenza totale di un sistema di regole di produzione che tutelassero e proteggessero il made in Italy . Così si è arrivati alla dequalificazione del valore aggiunto che il prodotto italiano portava con sé. E questo ha comportato l’avvio di massicci processi di delocalizzazione con una fortissima riduzione dell’occupazione italiana e teramana. Basti pensare che i principali attori del settore tessile italiano come Leglhler, Miroglio, Zucchi, la Perla, Pompea, Sixty che si erano insediate nel nostro territorio con attività gestite direttamente, hanno chiuso e sono andate via. Prendiamo il caso della Golden Lady che ci riguarda più da vicino. Con la crisi ha registrato una riduzione dei fatturati e per sostenere la competizione ha abbassato i costi di produzione, delocalizzando in Serbia (caso Omsa di Faenza e Golden Lady di Gissi) oltre a una riorganizzazione delle sedi del mantovano. L’Abruzzo è stato fortemente penalizzato da questa strategia aziendale perché ha subito la chiusura di Gissi e la riduzione delle attività a Basciano. Cosa è stato fatto per cercare di evitare o quantomeno limitare queste decisioni drastiche? A Gissi il confronto tra sindacati, istituzioni e direzione dell’impresa ha portato a un progetto di riconversione che appare positivo anche se un giudizio conclusivo ci è permesso solo quando tutte le fasi del progetto saranno portate a compimento e tutti i lavoratori saranno rioccupati. Fino ad allora tutti abbiamo l’obbli-

go di verificare e supportare tutti i passaggi. E Basciano? Basciano rappresenta all’interno del gruppo un’esperienza produttiva e industriale quasi completa di tutte le fasi della preparazione dei prodotti basico dalla filatura al cucitura della calza. Purtroppo, da circa tre anni la crisi, la riduzione dei consumi e in parte la delocalizzazione hanno messo in difficoltà questo stabilimento. Abbiamo avuto un confronto continuo con l’azienda che ci ha permesso di gestire la riduzione di attività con la CIG (cassa integrazione) prima e poi con il contratto di solidarietà previsto fino al 28 febbraio del 2013. Resta, purtroppo, la decisione dell’azienda di cessare i reparti di cucitura manuale e tessitura intimo che potrebbe portare a un esubero strutturale di alcune decine di unità. Noi siamo coscienti che la gestione che abbiamo concordato con la quale gli eventuali esuberi vengono individuati con i lavoratori si rendono disponibili ad essere collocati in mobilità è socialmente sostenibile, ma non possiamo nascondere un punto di amarezza perchè il territorio, anche in questo caso, si trova a perdere occupazione. Per questo ci auguriamo che, di seguito al confronto instaurato con l’azienda e considerando l’approccio positivo che la stessa ha avuto anche nella riconversione di Gissi, di poter incontrare al tavolo teramano la stessa sensibilità e la stessa convinzione e determinazione operativa. Non crede che il trasferimento potrebbe considerarsi una strategia con effet-

to boomerang, considerato che in molti paesi novelli dell’UE anche il costo del lavoro aumenterà? Ho quasi dismesso questa speranza. Di fatto in questi anni lavoratrici e lavoratori italiani, oltre all’occupazione, hanno visto ridotto anche molto del loro potere di acquisto senza nessuna inversione dei processi di delocalizzazione. Non credo che potrebbe accadere l’effetto boomerang. Se pur presenti nel mondo processi di rivendicazione dei lavoratori in paesi che hanno fruito della delocalizzazione, penso che questi fenomeni, per portare a risultati apprezzabili, hanno bisogno di realizzare una consapevolezza sociale e di tempi lunghi che noi non possiamo permetterci. Da sindacalista come vede il futuro dei lavoratori italiani? Crisi e outsourcing sono manifestazioni che hanno scaricato negatività sui lavoratori italiani e sulla capacità della nostra società di fornire nuove e diverse opportunità, rispetto al passato, per organizzare la vita delle persone. La cosa più preoccupante è che, nonostante questi problemi siano stati denunciati da diversi anni dal sindacato in particolare, su questo terreno non si trovano iniziative, progetti degne di attenzione e alle quali attribuite fiducia e impegnarsi per invertire lo stato delle cose. Molto semplicemente, a mio avviso, quello che manca in primis è un laboratorio delle idee vero, concreto, ideale e oggettivo che la politica avrebbe il dovere di mettere in campo.

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Sanità teramana

foto: il dirigente Varrassi

GIRO DI BOA

CON CRITICHE di Mira Carpineta

a asl di Teramo e la gestione Varrassi sono arrivati al primo giro di boa. Dopo 18 mesi di incarico è iniziata la verifica del mandato e dei risultati ottenuti e la relazione della sua attività di gestione, verificata e integrata dalla relazione del Comitato ristretto dei sindaci, sarà sottoposta alle conclusioni del governo regionale che entro il 31 agosto ne deciderà l’approvazione. Il manager aquilano, nello stilare l’atto aziendale ha indicato le linee programmatiche della futura gestione dell’ASL teramana, tenendo presenti le indicazioni fornite dalla regione. Il dottor Filippo Gianfelice, segretario regionale Anaoo –ASSOMED, il maggior sindacato dei Medici Ospedalieri, ha rilevato che: “considerata la necessità di procedere alla riorganizzazione della rete ospedaliera, con necessari tagli a strutture complesse, secondo quanto indicato dalle Linee guida commissariali, mi sembra che gli obiettivi si siano raggiunti, anche se tuttavia l’atto aziendale è migliorabile. In alcuni pun-

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ti sono state disattese le indicazioni del Piano di rientro – spiega il dottore – per esempio, la riduzione delle unità operative complesse così come indicato, comporta necessariamente la riorganizzazione della rete ospedaliera, con l’eventuale riconversione di alcune strutture; inoltre se occorre stringere la cinghia, questo si faccia, ma il metodo deve essere applicato anche in ambito amministrativo. Credo giusto che il direttore generale possa scegliere di rispettare le eventuali esigenze territoriali e tecniche andando in deroga alle indicazioni

se occorre stringere la cinghia, questo si faccia, ma il metodo deve essere applicato anche in ambito amministrativo...

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di riduzione. In altre ASL di questa Regione ciò è stato fatto, rispettando equilibri territoriali, come nella ASL di l’Aquila dove permangono alcune specialistiche doppie, e derogando anche ad alcune limitazioni, mentre qui a Teramo no. Infatti mancano alcune unità complesse come neuropsichiatria infantile, farmacia territoriale, fisica sanitaria, che si sarebbero potute inserire migliorando il quadro complessivo. Poco si parla nell’Atto Aziendale dell’integrazione ospedale- territorio, che rappresenta la seconda colonna della riorganizzazione della rete ospedaliera: se manca la interconnessione con distretti e strutture territoriali l’intero impianto salta.”. Per quanto riguarda invece la convezione con l’Università dell’Aquila, il dottor Gianfelice spiega che “ nel maggio dello scorso anno, con uno sforzo non indifferente, abbiamo integrato la convenzione esistente con l’università de L’Aquila: in quel momento la necessità di salvaguardare un territorio quale quello della Val Vibrata insieme alle difficoltà reali di assumere personale hanno condotto a queste scelte che


si cambia la cultura della gente, il pronto soccorso sarà sempre in difficoltà – sostiene ancora Gianfelice -Così come per le liste di attesa. A fronte di un aumentata offerta c’è anche un eccesso di domanda. Un recente studio di radiologi dice che il 50 % delle richieste inviate sono inappropriate e l’80% delle risposte negative. E’ necessario quindi governare la domanda. Formare chi la produce dando dei corretti percorsi ai medici di medicina generale. Dall’altra parte bisogna rendere più facile la risposta. La richiesta urgente deve essere rapidamente soddisfatta, ma il controllo o una seconda visita possono aspettare un po’ di più”.

sono comunque temporanee e soggette a verifica, della commissione paritetica preposta ma questo non può essere un mezzo per trasformare un’azienda ospedaliera in un’azienda universitaria, anche perché occorre – continua il dottore – rispettare le prospettive di carriera per il mondo ospedaliero”. Per quanto riguarda la rete nascite invece , sempre secondo Gianfelice “la riorganizzazione è data da un progetto che deve coinvolgere tutto l’Abruzzo e mettere al centro dell’attenzione la donna, la gravidanza e il bambino., sia identificando i punti nascita, sia riorganizzando la rete pediatica e delle TIN (Terapie intensive neonatali) Tenendo conto dell’esigenza di fornire un’assistenza sicura e di garanzia, che elimini i problemi prima, durante e dopo la nascita. Quanto più è alto il numero di parti del punto nascite, tanto più è sicuro il Centro per la madre e il figlio; la donna oggi partorisce in media due volte nella sua vita. Quindi se in 30 anni di vita fertile, si dovrà recare due volte in ospedale per partorire, anche lo spostarsi un po’può garantire il massimo della sicurezza per la madre e il bambino. La situazione del Pronto Soccorso, altro punto dolente della sanità teramana, può essere affrontata attraverso più azioni: innanzitutto riducendo gli accessi (se si considera che circa il 50% sono rappresentati da codici bianchi, cioè patologie curabili non in ospedale) migliorando l’efficienza del PS stesso riorganizzando il percorso assistenziale (ed il progetto di una Piastra dell’emergenza ci vede perfettamente d’accordo) ed infine agendo con un cambiamento culturale. Se non si attiva una corretta medicina del territorio, se non

E conclude infine sulla mobilità passiva dell’ASL di Teramo, di cui tanto si parla: “ è fatta soprattutto d’interventi di cataratta, varici e protesi d’anca: tutti interventi ,questi , di basso peso, cioè meno gravi e sono soprattutto realizzati non in Ospedali Pubblici, ma verso case di Cura private, che spesso speculano sulla malattia dei pazienti. In altre ASL di questa regione la mobilità passiva è molto bassa, perché le case di cura l’hanno nel proprio territorio, noi purtroppo le abbiamo a pochi km dal confine nord della nostra regione. Sono sicuro che il nuovo sub commissario dott. Zuccatelli saprà trovare la soluzione al problema”.

Ospedale di Giulianova

LA VOCERUGGITO

del sindaco Mastromauro di Cristiane Marà

tagli ai reparti e ai servizi nell’ospedale di Giulianova (Comune che ha superato i 23.500 abitanti nel 2010) hanno penalizzato tutta la popolazione. Si sono formati comitati in difesa dell’ospedale e molteplici appelli per evitarne la chiusura. Sull’argomento si è espresso il sindaco, Francesco Mastromauro. Sulla situazione dell’ospedale di Giulianova, e le polemiche sull’assenza di un reparto natalità, può spiegarci, se ci sono, progetti per il futuro? “Punto nascite, davvero una ferita aperta per Giulianova. Il reparto maternità, che nel 2006 aveva registrato 350 parti e 637 interventi chirurgici, fu chiuso nel 2008, e fu l’unico della provincia a subire

la soppressione, per le cattive performance registrate. Ricordo che all’epoca quel reparto era diretto da Camillo Antelli, oggi direttore sanitario della Asl. Le polemiche sono legittime, perché si promette senza mantenere, si parla, si discute, e intanto i servizi sono tagliati o perdono di qualità. Ormai è uno stillicidio continuo. Progetti per il futuro? “Io ne ho molti, ma bisogna vedere se e quando i signori della Regione decideranno anche solo di esaminarli. Cominciando dal ripristino proprio del punto nascite sino al rafforzamento della pianta organica, oggi sottodimensionata, e alla restituzione di operatività a strutture d’eccellenza, come il centro di patologia della nutrizione”. L’ospedale sarà chiuso?

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“Con una recente puntata di Ballarò la sanità teramana è stata messa sul banco degli accusati per le lunghe liste d’attesa e la forte mobilità passiva, tutte cose già da tempo rese note dal sottoscritto e dal mio partito, il Pd. Le soluzioni ai tanti problemi c’erano e ci sono, ma non sono quelle miopi e pasticciate del presidente Chiodi. Per l’istituzione di un punto nascita a Giulianova non occorre interpellare ingegneri o architetti, ci vuole solo la volontà politica della direzione sanitaria.

Non possiamo negare i problemi economici. Ci sono e sono gravi. È anche vero che... Ma dubito che si voglia fare concretamente qualcosa. Prendiamo il caso del nuovo ospedale, cui sinceramente abbiamo creduto e per il quale ci siamo attivati sollecitamente. La Asl aveva chiesto al Comune alcune aree in nodo da poter scegliere quella giusta per il nuovo nosocomio. Ne abbiamo presentate cinque. Una volta scelta dalla Asl l’area, nel settembre 2011 abbiamo formalizzato la disponibilità a modificare la sua destinazione d’uso. Al momento è tutto in alto mare. Se il nuovo ospedale non si farà, almeno si lavori su quello esistente, che ha davvero bisogno d’interventi. Se poi lo vogliono chiudere, lo si dica chiaramente. Senza prendere in giro i cittadini e chi li rappresenta nel territorio”. I cittadini sono mal informati, e ci si chiede come mai ci sia scarsa comunicazione. “I cittadini sono poco e male informati, quanto lo sono i loro rappresentanti istituzionali. A me le comunicazioni giungono con il contagocce, costringendomi spesso a proporre osservazioni su questioni importanti in brevissimo tempo, quando invece sarebbe necessario averne per ben ponderare senza dover passare nottate in bianco su documenti e dati. Attualmente abbiamo una nuova TAC, ma secondo me è una rondine che non fa primavera. Per carità, sono contento. Occorre ben altro. Non so dire cosa si stia pensando e muovendo nelle stanze dei bottoni. Spero, e scusatemi la battuta, che non si pensi solo alle asole”. È una questione politica, economica o altro? “Non possiamo negare i problemi economici. Ci sono e sono gravi. È anche vero che a volte, secondo un aforisma molto sapido, si garantiscono fatui bisogni a pochi, che non pochi e fondamentali bisogni a molti. E quando ciò avviene, è senz’altro colpa della politica. O meglio, di certa, cattiva politica”.

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Come sindaco che posizione ha? “Molto critica. Tanto che, come membro del Comitato ristretto dei sindaci, ho chiesto che sia abolito, perché quest’ organismo così com’è, non serve a nulla. E’ infatti inutile riunirsi se le posizioni e le riflessioni dei sindaci, primi rappresentanti delle esigenze e delle interpellanze del territorio, sono destinate puntualmente a rimanere inascoltate dalla Asl. Mi riferisco non unicamente ma soprattutto all’atto aziendale, svuotato dei contributi che alcuni sindaci, tra i quali il sottoscritto, hanno provato a dare. Insomma, non ci sto a riunirmi per l’aria fritta”. Che cosa dire alle madri che devono spostarsi fino a Teramo o altrove per partorire o ai genitori che per qualunque problema devono portare i loro figli in altri ospedali? “Durante la terribile nevicata, erano i primi di febbraio, una donna di Roma si recò con il marito al nostro Pronto soccorso per minacce d’aborto. Alla risposta che non esisteva più la divisione di Ostetricia e Ginecologia, i due coniugi chiesero aiuto a una pattuglia della Guardia di Finanza per raggiungere quindi l’ospedale di Teramo. Giulianova è la sede ospedaliera più vicina al casello autostradale e, non dimentichiamolo, dispone della principale stazione ferroviaria della provincia. E’ proprio in situazioni di emergenza che si evidenzia l’importanza strategica della città. Eppure il nostro ospedale continua a vedere ridotti i servizi. Ed ecco quel che accade.Voglio un ospedale dotato di reparti e servizi non per campanilismo, ma per dare risposte a Giulianova, alle località vicine e anche a coloro che, per lavoro, per turismo o semplicemente perché di passaggio, si trovano in città. In questa battaglia la mia è una voce. E’ quindi necessario che per diventare ruggito alla mia si aggiungono altre voci: quelle dei politici responsabili, non importa di quale schieramento, e soprattutto quelle dei cittadini”.

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foto: Il sindaco di Giulianova


Esami “dolci” E IN TEMPI BREVI Le ultime tecniche di indagine radiologica spiegate dal dr Claudio D’Archivio a cura della salute, dalla prevenzione alla diagnosi, passa attraverso tecniche e tecnologie che tendono ad essere sempre meno invasive e traumatiche per chi è costretto a ricorrervi. Senza dubbio un esame “dolce” e non traumatico per il paziente, oltre a incentivare la prevenzione, consente di affrontare più serenamente i disagi derivanti da qualsiasi malattia.Con il dr. Claudio D’Archivio, specialista in Radiodiagnostica e Scienze delle Immagini, cerchiamo di capire cosa sono e come funzionano le tecniche diagnostiche di ultima generazione. “Per quanto riguarda la radiodiagnostica – esordisce il dr. D’Archivio - siamo passati dalla tecnologia semplice della radiologia degli anni ‘70 ad un incremento di metodiche diagnostiche esponenziale. Ecografia, Tomografia Computerizzata e Risonanza Magnetica, ogni metodica ha ampliato il suo raggio d’azione. Attraverso questi strumenti, oggi è possibile indagare su tutti i distretti del corpo: ence-

falo, addome, rachide, pelvi ed articolazioni. Se negli anni ‘70 si aveva a disposizione solo la possibilità di eseguire esami radiografici, oggi l’indagine può completarsi ed ampliarsi con diversi ed ulteriori mezzi diagnostici e, non meno importante, in tempi brevi, dato, quest’ultimo, notevole, visto che cresce sempre più l’ansia di sapere presto e con precisione cosa c’è che non va”. E’ ipotizzabile la realizzazione di un’indagine medica non invasiva o traumatizzante per il paziente? “Sicuramente il futuro va verso una diagnostica sempre meno invasiva – prosegue il dr. D’Archivio. - Facciamo un esempio. Se in passato, dopo l’esecuzione di una radiografia diretta dell’addome era necessario sottoporsi ad una pneumo-peritoneografia come esame di II livello, eseguita mediante introduzione di un ago ed inoculazione di mezzo di contrasto, quale l’aria, oggi, l’approccio alla patologia addominale è diventato molto più semplice, economico e non invasivo; infatti con l’introduzione dell’esame ecografico dell’addome PrimaPagina 26 giu. 2012

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si ha la possibilità di ottenere maggiori informazioni e possibilità diagnostiche già con un solo esame. Lo stesso discorso lo si può fare per l’angiografia, per la quale fino a poco tempo fa era necessario un ricovero di breve durata per tenere il paziente sotto controllo e poter intervenire prontamente qualora la puntura femorale evolvesse in ematomi o altre complicanze. Oggi si può aggirare questo tipo di ostacolo intervenendo con una puntura dell’arteria radiale, che riduce notevolmente il rischio di ematomi o altre complicanze, permettendo al paziente di sottoporsi a questo esame in regime di day-hospital”. Le radiazioni tuttavia possono comportare dei rischi. Come e quali sono invece le tipologie di indagine a scansione? “E’ vero, le radiazioni ionizzanti possono comportare dei rischi biologici – spiega il dottore -, ma le metodiche di ultima generazione, che sfruttano questo principio, erogano dosi sempre più basse, tanto che alcuni esami TC vengono impiegati nei progetti di screening, come, ad esempio, la colonscopia virtuale. Questo esame, infatti, è stato designato dall’American Cancer Society una delle migliori metodiche di screening per la diagnosi del tumore del colonretto. Un altro esempio di screening mediante esame TC è quello per lo studio del parenchima polmonare. A tal proposito, infatti, l’Istituto Europeo Oncologico (IEO) di Milano, diretto dal Professore Umberto Veronesi, ha avviato il progetto “Cosmos 2” per lo screening del tumore polmonare su una popolazione a rischio. La diagnostica per immagini utilizzata nello screening è proprio una TC Low Dose e, oltre

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all’ospedale Mazzini di Teramo anche il centro diagnostico D’Archivio di Giulianova è inserito nel progetto di screening per la provincia di Teramo. Le metodiche a scansione sono, oltre alla Tomografia Computerizzata, l’ecografia e la risonanza magnetica che utilizzano, rispettivamente, il principio degli ultrasuoni e delle onde elettromagnetiche le quali, ad oggi, si ritiene non comportino alcun rischio per il paziente. Tra le indagini a scansione si può, infine, citare la mammografia 3D ad alta definizione, cosiddetta “tomosintesi”, un concetto innovativo di indagine mammaria. Si tratta di una mammografia tridimensionale che consiste in 15 scatti della durata di 4 secondi circa acquisiti da diverse angolazioni, che permettono di studiare la mammella a strati, scomponendola in tante sezioni. La successiva sovrapposizione di queste immagini permette la ricostruzione della mammella nella sua completezza.Tutto questo si traduce in un grande vantaggio per i seni difficili da leggere, come quelli densi, che possono essere analizzati più in dettaglio e con maggiore sensibilità. Questa nuova tecnica permette una diagnosi ancora più precoce mediante l’individuazione di lesioni molto piccole migliorando e semplificando il lavoro del radiologo”. Che differenza c’è tra le diagnostiche TC o RM? “Tendenzialmente possono arrivare entrambe alla stessa diagnosi, ma con principi diversi. Il limite consiste solo sulla presenza delle radiazioni ionizzanti. Le onde elettromagnetiche, utilizzate nella risonanza magnetica, sem-

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brano dimostrare a tutt’oggi un’assenza di tossicità, mentre le radiazioni ionizzanti, per quanto minime, emesse dalla TC, possono essere non indicate sulle persone giovani o donne in età fertile. Per lo studio dell’addome è preferibile la TC alla RM, ma nell’encefalo, nello studio del midollo e delle articolazioni è indiscutibilmente più utile la RM; mentre il torace, ed in particolar modo lo studio del polmone, è appannaggio della TC. La sanità e la diagnostica, pubblica o privata, preventiva o contingente- conclude il dr D’Archivio - rappresentano una parte importante nell’economia e nel sociale. Diagnostiche accurate e poco invasive consentono sicuramente una maggiore adesione alla prevenzione e di conseguenza un risparmio sulla spesa sanitaria”. M.C.

Questa nuova tecnica permette una diagnosi ancora più precoce mediante l’individuazione di lesioni molto piccole...


LA CRISI IN CASA FLI Intervista a Berardo Rabbuffo, consigliere regionale del partito di Fini di Mira Carpineta

econdo Oscar Giannino, prestigiosa firma de Il Sole 24 ore, “mezza Italia è senza casa politica” e si chiede, anche in modo veemente se sia o no il momento “di tirar su le maniche e ricostruire dal basso un punto di riferimento per l’azione civile e politica coerente a quelle posizioni liberali, personaliste, sussidiariste, a difesa del diritto naturale contro la prevaricazione del costante abuso di diritto positivo, che oggi visibilmente manca”. Abbiamo girato la domanda a Berardo Rabbuffo, espressione abruzzese del Fli, per capire se i finiani teramani abbiano intenzione o meno di “occupare” questa casa, e con quali proposte, in un momento storico- politico incerto per i partiti maggiori, crisi delle coalizioni e del bipolarismo e l’avanzata di movimenti populisti, come i grillini del Movimento 5

stelle, che hanno spopolato nelle recenti elezioni amministrative. “Che ci sia, in tutta la politica, una mancanza di punti di riferimento è sotto gli occhi di tutti- esordisce il consigliere-. La crisi ha messo a nudo tutto ciò che non è più sostenibile, a cominciare da atteggiamenti anacronistici di feudalesimo e vassallaggio, di gruppi politici che dispensando privilegi tengono i cittadini in condizioni di sudditanza. La politica deve tornare ad essere servizio, riscoprire e rispettare il cittadino e non considerarlo un elettore-consumatore a cui elargire regalie in prossimità delle elezioni”. Politica di servizio, come si pratica secondo lei? “Intanto bisogna ribadire che il cittadino a fronte di diritti è anche depositario di doveri. Per non essere sudditi bisogna essere consapevoli di avere anche delle responsabilità – spiega Rabbuffo –, soprattutto quando si delega la propria rappresentatività, scegliendo persone dotate di buon senso, non ‘campioni

Movimento 5 Stelle

Ramificazioni abruzzesi di Jessica Pavone

anuel Anelli ha vent’anni, un impegno importante e una testa piena di sogni, speranze e aspettative. E’ consigliere comunale a Montesilvano per il Movimento 5 stelle. Gli chiediamo delucidazioni sul gruppo (non partito) a cui appartiene. Dopo le incoraggianti vittorie alle elezioni amministrative di maggio, il Movimento ha continuato a crescere e a riscuotere successi. E’ presente nelle quattro province abruzzesi e si sta ramificando per coprire anche i paesi e le piccole città. A Montesilvano e a Spoltore le elezioni hanno reso possibile al Movimento di essere rappresentati al Comune, con il 4 e il 7.8 % dei voti. Quali le vittorie più significative? “Sicuramente questa. Abbiamo lavorato tanto e bene, però devo dire che è stata una grandissima sorpresa, non ce l’aspettavamo. Abbiamo sofferto tanto perché fino all’ultimo non sapevamo

se saremmo rientrati o meno ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Adesso non siamo più una novità, siamo l’alternativa, e qui comincia il bello, perché saranno i fatti a parlare.” Parliamo del programma. “I punti principali sono gli stessi del Movimento. Rimane l’attenzione sulle cinque stelle: acqua, ambiente, trasporti, sviluppo ed energia. Poi ogni Comune ha una realtà a parte e delle problematiche specifiche, ed è a queste che l’attività del Movimento si plasma.In generale,ci battiamo affinché i cittadini si sentano davvero rappresentati, poiché la classe politica, di destra e di sinistra, non lo fa più.” Progetti? “Ci auguriamo di crescere, espandendoci sempre di più sul territorio e ovviamente di riscuotere sempre maggior consenso dalla popolazione.” A tale scopo è stato aperto un forum sul sito del Movimento e sono state indette delle riunioni regionali aperte a tutti, nelle quali chiunque, democraticamente, può partecipare.

di incassi’ politici. La politica deve essere riformatrice, cambiare atteggiamenti e di conseguenza modo di operare. Cambiare cultura. Snellire le leggi, attuare riforme liberali, il primo a fare queste critiche è stato proprio Fini. Oggi si parla solo di tagli, ma fini a se stessi, lineari, non giovano a niente e lo spread non cala. Aumentano le tasse, ma aumenta anche la spesa pubblica. A Teramo la situazione rispecchia quella nazionale. Dalla questione dei rifiuti alla sanità, abbiamo ancora qualcuno che ci fruga nelle tasche… “Nonostante gli slogan, infatti, sono sempre i cittadini a sobbarcarsi gli oneri più pesanti – insiste il consigliere –, ma oggi deve esigere comportamenti chiari da parte degli amministratori. A Teramo la Tia raccoglieva 6 milioni di euro, oggi è a 12 milioni. La raccolta differenziata ha fatto lievitare i costi anziché abbatterli. Ogni Comune sceglie come trattare i rifiuti, come se non ci fosse un metodo unico applicabile in tutto il territorio italiano. I progetti iniziati nel 2004 sono tuttora bloccati. I cittadini devono imparare a pretendere di sapere in che modo vengono spesi i soldi pubblici, pretendere gare e bandi, non subire semplicemente decisioni che spesso volgono a favore di aziende monopoliste del settore”. E poi vigilare sugli sprechi? “Certo. In tempi di vacche grasse sono stati allestiti e finanziati diversi cantieri, come ad esempio i due autoporti di Roseto e Castellalto. Due strutture abbastanza vicine e rimaste incompiute e inutilizzate e con forti difficoltà a poter essere riconvertite. Senza i necessari supporti per l’utilizzo rimangono delle cattedrali nel deserto. E per quanto riguarda la sanità è anche peggio – aggiunge Rabbuffo –. Si fa il megaparcheggio a pagamento e si chiudono i reparti. Funzionari pubblici super pagati per non decidere. In un momento in cui le famiglie contano i centesimi per vivere. Per questo capisco la gente scandalizzata, ma chi critica e poi non va a votare non lo giustifico”. Oggi però votare sembra una decisione alquanto difficile. Esiste ancora il bipolarismo? E soprattutto esiste una politica onesta, di vocazione e non di professione? “Il bipolarismo è un metodo, non un valore da difendere. Bisognerebbe uscire da queste secche. Può funzionare con i collegi uninominali in cui non contano tanto i partiti quanto gli individui - conclude l’esponente del Fli -. Di figure politiche negative ce ne sono tante, ma ce ne sono anche tanti che lavorano sodo. È un’attività pesante, ma non deve essere un lavoro. Per fortuna c’è ancora qualcuno che ci crede, che ha le mani pulite, e nonostante la disillusione, vuole ancora fare. Se fatto bene è il volontariato più alto e nobile che ci possa essere. Futuro e libertà è nato proprio come alternativa, perché è il vero centro destra, non ideologizzato, europeo, laico ma non laicista, moderato e pronto ad andare verso i cambiamenti necessari che ci attendono”.

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Ospedale di Teramo

Parcheggio sicuro… per chi? di Ivan Di Nino

ospedale di Teramo è immerso nel verde; non c’è che dire, se non fosse che lì dentro la gente soffre per davvero, sarebbe un magnifico posto. Come ben si sa, con squilli di tromba e col solito ritardo, è in funzione da qualche tempo il parcheggio a pagamento del nosocomio. Fermo restando che rispetto ad altri stazionamenti simili-vedi quello di San Benedetto- occorre attualmente una bella passeggiatina per giungere all’ingresso dell’ospedale, resta il fatto che da quando tale spazio sia stato aperto, di colpo sono state scoperte “esigenze di sicurezza” che giacevano addormentate da quarant’anni. Sono così quasi scomparsi i parcheggi gratuiti di fronte all’ex sanatorio – al momento di andare in stampa la stradina stretta che costeggia il complesso è stata riaperta per metà, sicché è divenuta un vicolo cieco e gli automobilisti una volta imboccata tale via per riuscire devono per forza fare un breve pezzo contromano! - nonché gli stalli di fronte all’ospedale “nuovo”. Proprio adesso i lavori all’ex sanatorio, proprio ora tanti birilli in terra per non far né fermare né sostare le auto neanche in zona sud, quella che ‘riesce’ vicino alle camere mortuarie. E’ però giusto aver fatto un parcheggio apposito per chi all’ospedale ci lavora, sicché parte della già citata zona sud e quella sita vicino l’eliporto sono state “sbarrate” e l’accesso è consentito solo al personale autorizzato. E’ tuttavia notizia di questi giorni che l’ospedale si starebbe dis-attrezzando, onde consentire il pagamento del parcheggio anche a chi nel nosocomio ci lavora; detto in altri termini anche i medici dovrebbero trovare posto a pagamento. Immaginate un chirurgo che venga chiamato urgentemente per un’operazione: prima deve andare al parcheggio, fare la fila dietro simpatici anziani che non hanno dimestichezza col posto, poi entrare, ricercare uno stallo - a proposito: si noti come non sempre i due-trecento “posti disponibili” segnalati dal led luminoso in ingresso corri-

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spondano poi al vero una volta entrati!- fare una piccola camminata e poi entrare in sala operatoria. Come se non bastassero i continui aumenti, il cittadino viene ancora di più spremuto proprio in quei posti dove dovrebbero esserci parcheggi a iosa, larghi e facilmente accessibili. La Polizia locale ha avuto un improvviso quanto temuto risveglio, e miete multe a pacchi dove sicuramente la legge vieta di parcheggiare, ma proprio lì dove prima dell’apertura del parcheggio a pagamento si chiudevano entrambi gli occhi. Strane coincidenze.

Lotto Zero

LA TELA DI PENELOPE di Ivan Di Nino

a tela di Penelope potrebbe terminare, ma non di certo a breve. Lo svincolo della Gammarana del Lotto Zero dovrebbe forse realizzarsi, ma non prima di un anno o due. Il Comune di Teramo ha infatti annunciato che tale opera dovrà tornare agli albori, al progetto originario. Dopo la continua querelle con i residenti ed i dissidi non risolti dal Tar, che non nega una sospensiva a nessuno, si rifarà tutto daccapo. Il daccapo non sta per “ricominciare i lavori”m ma per ripartire da…zero. Si ri-comincerà con gli espropri, poi al riprogetto, poi ritorneranno- forse – le ruspe ed i macchinari che servono per far sì che questo svincolo finalmente serva quei cinquemila abitanti teramani di fatto esclusi dal Lotto Zero. Entro fine anno si deve infatti concludere

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l’iter, altrimenti scompariranno i finanziamenti europei che l’Italia ha storicamente dimostrato di non gradire. Certo, il tempo c’è ed in abbondanza, ma quando si tratta di programmi pubblici… L’assessore alla Progettazione Strategica Giacomo Agostinelli ha commentato con amarezza questo ‘ritorno al futuro’: “Mi auguro che ci sia un maggiore senso di responsabilità, che si guardi all’interesse generale, più che a quello particolare, anche se l’uno non esclude l’altro. E’ chiaro che l’area diventerà più appetibile, oltre al fatto che i lavori daranno respiro e occupazione alle imprese locali. Parliamo di uno svincolo determinante per l’intero territorio”. “Al momento” ha aggiunto Agostinelli “il costo dell’opera si aggira attorno al milione e 400mila euro, compresi gli indennizzi alle imprese per il lungo stop”. A questo probabilmente il Tar non aveva pensato.


Villa Rupo

frazione “scollegata” di Daniela Palantrani

l rinnovato comitato di frazione, attraverso il suo presidente, Battista Tribuni, manifesta soddisfazione per i rapporti con l’amministrazione comunale, “buona e costruttiva”. Ricordano che la strada è stata asfaltata l’anno passato, la sede del comitato, il vecchio edificio scolastico, è stato da poco restaurato, e anche l’illuminazione è buona. “Fondamentalmente non abbiamo lamentele –dicono –, l’unico punto su cui vorremmo ci si impegnasse è il collegamento. Villa Rupo non è lontana da Teramo, una trentina di case arroccate sopra una collina, conta un centinaio di residenti con tanti bambini. Per gli scolari che si

IL POLO

recano a scuola a Piano della Lenta c’è il servizio scuolabus del Comune, mentre per i più grandi che si recano a scuola a Teramo abbiamo un servizio taxi, una corsa di un piccolo autobus, solo due volte al giorno in orario scolastico. Quando la scuola è chiusa, il servizio viene sospeso per riprendere a settembre alla riapertura delle scuole”. In estate, o nelle ore pomeridiane, durante il restante periodo dell’anno, è praticamente impossibile spostarsi da questa piccola frazione, senza l’ausilio dell’auto. “Sarebbe utile – conclude il rappresentante del comitato – avere almeno una corsa autobus nelle ore pomeridiane e una la mattina, ma durante tutto l’anno”.

contestato

di Matteo Lupi

andro Santacroce, capogruppo di Rifondazione Comunista in consiglio comunale, fa sentire la propria voce contro il progetto di realizzazione di un nuovo Polo scolastico presso una zona di verde pubblico nell’immediata periferia della città, ovvero nel territorio compreso tra lo stadio vecchio, il fiume e il Lotto Zero. A che punto è la situazione, tra idee sulla carta e prospettive concrete? La situazione è che l’amministrazione ha i suoi percorsi riservati, tiene nascosta ogni notizia, e ciò che si apprende spunta fuori dai giornali. Quello che possiamo dire è che, come al solito, l’amministrazione non prende decisione dal punto di vista urbanistico, delegandole ai privati. Quali sarebbero le conseguenze negative dell’adozione di un nuovo Polo in quella zona? Si svuota la città. Si intaserebbe il traffico e non si aiuterebbe il commercio del centro cittadino, perché una volta fuori casa, l’automobilista di solito va a fare la spesa al più vicino centro commerciale, e non certo dentro Teramo. Le scuole “inglobate” nel nuovo Polo dovrebbero essere San Giuseppe, Savini e dell’infanzia di via del Baluardo. E forse anche la S.Giorgio, ma questo non lo si dice per evitare ulteriori contestazioni.

Si procede per illazioni, a fronte di dichiarazioni dell’assessore Romanelli e del sindaco Brucchi, che solo un mese fa garantivo un’apertura al confronto, e parlavano della necessità di usare il territorio in modo corretto. Oggi invece le proteste sono diventate “strumentali” e noi “il partito del no”. Alla maggioranza non passa neanche per l’anticamera del cervello che c’è chi possa avere idee diverse, questo è un atteggiamento infantile. Contestate solo la collocazione del Polo, il tipo di finanziamento col ‘project financing’ o l’idea stessa di Polo? Noi siamo contro la collocazione, non il Polo in sé. Quella di adottare un Polo è una scelta difficile e importante al tempo stesso, che per questo necessita di una meditazione profonda. Invece nell’amministrazione si nascondono dietro la fatiscenza delle vecchie scuole per evitare questi passaggi. A nessuno è venuto in mente di recuperare altre strutture, ad esempio l’enorme e semideserto palazzo dell’Enel a viale Bovio o l’ex ospedaletto di Porta Romana? Anche a Porta Romana il traffico impazzirebbe, probabilmente. Ma almeno non si intaccherebbe il territorio, e quel poco di verde pubblico che abbiamo. Il problema rimane sempre lo stesso: non si programma l’urbanistica. La salvaguardia del territorio viene sbandierata, ma solo a chiacchiere. PrimaPagina 26 giu. 2012

Quando è tempo di iscrizione alle superiori, uno spot impazza su una tv regionale. Si decantano le virtù di un istituto scolastico abruzzese nel quale si offrono, nell’ordine: ampio parcheggio per gli scooter, corsi di musica ultramoderna, comodi spazi per lo sport e la ricreazione in generale. Solo in fondo, ma molto in fondo, la voce accattivante promette una non ben definita preparazione nelle varie materie di studio. La pubblicità televisiva torna alla memoria proprio in questi giorni nei quali giunge notizia che l’università di Teramo si colloca all’ultimo posto in Italia per numero di iscritti. Le ragioni per gli utenti, cioè gli studenti? La carenza di servizi, essenziali per giungere con soddisfazione alla laurea. Cioè: mensa difficile da raggiungere, segreterie lontane dalle sedi, biblioteche poco efficienti, e aggiungiamo, senza timore di essere smentiti, la ancora troppo provinciale movida in città. Che con gli studi c’entra ben poco, ma fa tanto curriculum universitario da raccontare ai nipoti. Replica, come al solito puntuale, del preside di Scienze della Comunicazione, Luciano D’Amico: “Non possiamo certo competere con Roma. Il nostro modello di ateneo deve puntare alla qualità della didattica. Non è importante essere ultimi per iscritti, importante che l’ateneo non sia ultimo per la qualità dell’insegnamento”. Ma questo, caro professore, è un optional per la maggior parte dei “trastullatori da corridoio”. Non se n’è accorto? Le parole vanno e vengono, si dimenticano e tornano alla memoria, volano nell’aria e si afferrano maldestramente. Si accorciano e si allungano, seguendo la moda del momento. Come gli orli delle gonne. Non c’è stato periodo storico che non abbia avuto in auge le sue. Per non farla lunga, ne cito alcune. Molti lettori le ricollocheranno al punto giusto. Comincio con “autarchia”, seguita da “ricostruzione”, e poi “boom”, “austerity”, “perestroika”, “tangentopoli”, “globalizzazione”, “crisi”. Le ultimissime: “crescita” e “servizi”. Le parole sono leggere e quasi sempre libere. Complesso renderle pesanti e ricche di contenuto. Ecco perché è più semplice declamarle. Non costa nulla. Ti.Ma.

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[intra]VISTO?: Walter Mazzitti

“Non ti riconosco più” Dalla politica, all’università, dal lavoro alla gestione dell’acqua, Teramo esaminata a tutto tondo. Senza sconti per nessuno… di Daniela Palantrani

on riconosco più Teramo, non ne riconosco i colori, il paesaggio, gli odori, le persone”.Walter Mazzitti, racconta la sua visione di Teramo, da persona che l’ha conosciuta, amata, vissuta, e poi se ne è allontanato. “Ricordo gli anni ’70 in cui la città era gradevole, si respirava bene, sotto tutti i punti di vista. Era una città tranquilla e aveva tutti i vantaggi di un capoluogo di provincia. C’era tutto: prefettura, esercito, sedi regionali di banche e sedi provinciali di servizi Enel e Telecom. Componenti che davano tono alla città. Scomparendo, Teramo si è trasformata in una città di impiegati. Artigiani non ce ne sono più”. Abbiamo tanti laureati, nessuno sbocco sul lavoro. “La colpa è sempre della politica. Quanti miliardi sono stati spesi nella formazione inesistente a livello regionale e provinciale. Con le organizzazioni sindacali hanno gettato miliardi per fare formazione nell’artigianato, per formare chi? Non ci sono artigiani, perché non sono stati formati. I soldi sono stati rubati, usati in maniera oscena. Quando in una città non c’è più nulla, la responsabilità è di chi gestisce. Come fa la politica a non ritenersi responsabile del fatto che la città non conta e non offre più nulla? Un capoluogo di provincia che ha due taxi e una stazione senza biglietteria è la dimostrazione di quello che ne è il movimento economico. Un turista cosa dovrebbe venire a vedere a Teramo? Fatta eccezione per la cattedrale, non sempre aperta, tutto il resto è chiuso e tenuto in condizioni pietose. Però se interroghiamo le persone ti rispondono ‘e vabbè che vuoi fare?’ Ecco perché dico che non c’è possibilità di recupero. La società or-

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mai si è adeguata ed imbarbarita. Potrei dire in maniera più offensiva e, includo anche la mia persona, si è ‘incafonita’. Incombe l’ignoranza della politica, non voglio dire interesse, ma come hanno ridotto una piazza storica come piazza Dante? Per fare un parcheggio? Piazza Garibaldi: togliere la fontana è stato un errore enorme. L’acqua rappresentava movimento, vita. Spendere tutti quei soldi – continua l’avvocato - per creare un obbrobrio. I politici, se interrogati su questo, direbbero che hanno dovuto impiegare i soldi, altrimenti li avrebbero dovuti restituire non avendo altro modo di spenderli. Questo è amministrare? Una volta esisteva il confronto, le persone si pronunciavano, scrivevano lettere aperte ai giornali. Sapevano che ne sarebbe seguito un dibattito. Oggi nessuno si pronuncia più, perché le poche persone disposte a scrivere una

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lettera sanno perfettamente che ogni tentativo di confronto cade nel vuoto. Le persone di talento non vengono ascoltate, perché il politico è consapevole di avere un basso profilo. Si circonda di persone ancora più mediocri per emergere. Il lavoro del politico, invece, dovrebbe essere l’esatto contrario, circondarsi di tecnici capaci e di altissimo livello che studino diverse possibilità tra cui poi, scegliere la soluzione da attuare. In Italia, a Teramo ma anche in regione, invece, si teme il doversi mettere in discussione”. In passato la politica si faceva ‘porta a porta’. “Si, con pro e contro. Il ruolo svolto dalla Dc a Teramo, fino a quando non è crollato il sistema, ha dato degli impulsi enormi. L’italiano, in generale, vuole sapere di avere un rappresentante politico a cui rivolgersi, e questo veniva fatto bene dai politici, che adesso non esistono più. Il nuovo sistema elettorale ha introdotto dei cambiamenti, non c’è più rapporto diretto tra elettore ed eletto. Il politico non ha interesse a stare sul territorio, viene nominato da un

Chi è

foto: Walter Mazzitti

Walter Mazzitti Avvocato, già vice presidente del cda della Strada dei Parchi, ha dato il via a studi e progetti per la sperimentazione e la creazione di nuovi modelli gestionali del patrimonio monumentale, Consigliere del Ministro dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare per la politica internazionale dell’acqua, Consigliere giuridico presso il Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri.


superiore e non eletto. Avanza quella categoria di politici che non hanno una vera cultura politica, un livello trasversale di persone che arrivano, e all’improvviso decidono di candidarsi. Non hanno lo spessore per far crescere la città. Non hanno l’esperienza giusta, non hanno la cultura sufficiente e soprattutto non hanno la professionalità, che è fondamentale per svolgere un ruolo politico”. Teramo esprime importanti nomine politiche, governatore della regione e parlamentari. Nonostante questo, la città sembra crollare politicamente ed economicamente. “E’ una città che si sta disgregando e la situazione è irrecuperabile. Il tessuto sociale prima era più elastico, si poteva entrare nelle maglie, si riusciva a ragionare. Questo tessuto ormai si è serrato e non c’è possibilità di penetrarlo. La gente non è più disposta ad accettare di cambiare, perché non vede e non sa neanche cosa c’è di meglio. Chi amministra è molto avvantaggiato, perché di fatto non ha una opposizione, la gente si è abituata a vivere secondo questo standard. Non si è in grado di mostrare un’alternativa”. Il sistema sta crollando, qualcosa si dovrà forzatamente muovere? “Ogni tanto mi capita di parlare con qualche vecchio amico teramano, e da qui capisco che non c’è reazione. Qualche mese fa sono stato all’università, un incontro con gli studenti, ad illustrare la politica dell’acqua a livello internazionale. Gli studenti mi hanno chiesto perché nessuno andasse a spiegare loro queste

cose, come avevo appena fatto io. Ho risposto, chiedendo cosa facessero loro in prima persona. Il vero problema sono i giovani. Dinanzi a quello che sta accadendo a livello europeo, gli universitari come si pongono? Ho studiato a Teramo e passavo giornate intere all’università, non solo per seguire le lezioni, ma anche per discutere sui problemi della città o della politica”. Abbiamo diverse facoltà in città, ma i ragazzi sono “immobili”, non c’è voglia di fare? “Questo dipende molto dalla qualità delle facoltà. Tra le battaglie che ho portato avanti c’era quella di impedire la nascita dell’università di Teramo, quando questa decise di staccarsi dall’università regionale d’Annunzio di Chieti. Fu una scelta fatta esclusivamente per un interesse personalistico dell’allora on. Tancredi che decise che voleva ‘essere l’uomo dell’università, voleva una sua università’. All’epoca abbiamo avuto scontri durissimi – prosegue Mazzitti –, ed alla fine rimasi letteralmente solo. Giovane e senza esperienza, seguendo l’istinto sostenevo che questa città non avesse nulla di specifico per avere una università sua. In Italia i piccoli centri hanno università solo se nate storicamente con secoli di vita alle spalle. Teramo non aveva la struttura e l’organizzazione per ricevere una università. Allora l’Università di Chieti godeva di grande prestigio. Siamo scesi da un treno in corsa per realizzare una piccola università che di fatto non è servita a nulla. E’ una delle università agli ultimi posti nelle

graduatorie nazionali. Si è voluto, però, rispondere ad esigenze personali di una stragrande maggioranza di professori universitari, che hanno interesse nel far proliferare le cattedre per gestire il potere ‘della cattedra’: docenti, master, corsi, assistenti”. Ha parlato di acqua. Una volta dai nostri rubinetti usciva acqua buonissima… “L’acqua è ancora ottima, quando non c’è il cloro. Purtroppo c’è un grave problema di reti, nel senso che sono bucate, perché non si è fatta la manutenzione negli anni passati. Siccome le reti passano vicino le fogne, per evitare problemi di sicurezza viene messo, a volte abusando, il cloro. Il problema delle manutenzioni ha radici lontane. Negli anni ‘80 – ricorda Mazzitti - in consiglio comunale si doveva nominare il cda del Ruzzo, che era gestione diretta del Comune. Non si davano incarichi per meriti o conoscenze tecniche, ma si assegnavano gli incarichi. All’epoca, ad esempio, fu nominato nel cda anche il farmacista Crocetti. Con tutto il rispetto per la sua professione, cosa poteva saperne di gestione dell’acqua? Non si è mai amministrato con criterio, non si sapeva quanto costavano le tubature, i dipendenti o la struttura. Si usava la riduzione della tariffa dell’acqua per ottenere consensi tra gli elettori in campagna elettorale. La gestione mai economica, mai di intervento e manutenzione ha portato alla situazione attuale. La dispersione di acqua è elevata, quasi il 45%”.

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QUELLE PLACCHE CHE SCUOTONO L’ITALIA di Pasquale Di Marcantonio Geologo

terremoti sono lo strumento col quale la Terra cambia forma e si evolve, i monti s’innalzano, le valli si aprono; insomma dimostrano che il nostro pianeta è “vivo” e in continua mutazione. Alla base della vitalità geologica della Terra è la sua immensa energia dovuta al calore presente al suo interno, nel nucleo, nel mantello e nell’astenosfera; su quest’ultima galleggiano le placche della litosfera terrestre, lungo le cui zone di contatto avvengono generalmente i terremoti, dovuti a un brusco rilascio di energia per lo spostamento reciproco delle masse rocciose nel sottosuolo lungo fratture dette faglie. In Italia i terremoti sono molto frequenti (circa 2000 l’anno) e oltre il 50% della superficie del Paese è ad elevato rischio sismico, proprio perché al di sotto di essa convergono due placche: quella africana e

quella euroasiatica. La placca africana spinge contro quella euroasiatica, provocando l’accorciamento di qualche mm/anno della Pianura Padana; ciò causa la sismicità dell’Emilia Romagna. Nella regione sono noti alcuni terremoti storici molto violenti; il più importante colpì Ferrara nel 1570; ne seguì uno sciame sismico durato circa 4 anni. Le numerose, recenti, scosse violente in Emilia dimostrano che l’energia a lungo accumulata si può liberare in terremoti che provocano morti e distruzioni. L’entità dei danni dipende, oltre che dall’idoneità strutturale dei fabbricati, anche dal terreno: la maggiore o minore vulnerabilità sismica di un territorio è dovuta agli aspetti geologici e geomorfologici, che possono determinare effetti locali o “di sito” quali: amplificazione del segnale sismico, cedimenti, instabilità dei versanti, liquefazione dei terreni.

foto: struttura sotto la crosta terrestre

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La liquefazione è uno degli effetti del terremoto che ha colpito l’Emilia; ha interessato in particolare le aree corrispondenti ai paleoalvei dei fiumi Secchia, Panaro e Reno dei comuni di S. Felice sul Panaro, S. Carlo di Sant’Agostino e Bondeno. La liquefazione può avvenire in terreni sabbiosi e limosi saturi, ovvero con falda acquifera superficiale; quando si verifica un terremoto violento aumenta la pressione interstiziale, diminuisce l’attrito tra i clasti e i terreni fluidificano. La liquefazione può dare origine ad effetti di varia natura (zampillio di

prioritarie per convivere con i terremoti e salvare vite umane. Si potrebbe obiettare che le normative in materia antisismica in Italia ci sono, ma se non vengono applicate o se la concessione di deroghe continua, il problema resta. Da geologo, lamento il fatto che troppo spesso il nostro contributo in materia di prevenzione dei rischi per calamità naturali (terremoti, ma anche dissesti idrogeologici) è sottovalutato e

siamo chiamati solo a disastro avvenuto. Nel campo della prevenzione del rischio sismico è ora di acquisire un concetto fondamentale: costruire edifici solidi è condizione necessaria, ma non sempre sufficiente. E la foto seguente può servire a chiarire questo aspetto meglio di mille parole. Si ringrazia per la collaborazione la geologa Roberta Russo

Chi è Pasquale Di Marcantonio vive e lavora a Teramo, laureato in Scienze Geologiche all’Università degli Studi di Bologna nel 1986. Iscritto all’albo dei Geologi della Regione Abruzzo, specializzato nell’esecuzione di studi e indagini geologiche, geotecniche e geofi siche per la prevenzione e la mitigazione del rischio sismico.

getti d’acqua e sabbia con formazione di caratteristici coni, creazione di vuoti nel sottosuolo, affondamento di edifici nel terreno, gravi danni alle infrastrutture). Purtroppo ad oggi non esistono valide basi scientifiche per la previsione dei terremoti; nonostante ciò, prendersela con la natura non aiuta a risolvere il problema. Per mitigare gli effetti devastanti di questi fenomeni naturali occorrono opportune azioni di prevenzione, messa in sicurezza, informazione. Queste azioni sono necessarie e

foto: (sopra) grafica del movimento della penisola italiana (sotto) comportamento delle placche in movimento

Prevenire per limitare i danni di Francesco Maria Guadagno

ivere un forte terremoto è certamente scioccante: sentire la terra muoversi, vedere le mura ritenute solide danneggiarsi o addirittura crollare è senza dubbio un’esperienza che si ricorda forse per tutta la vita. Nel 1980 ho visto le pareti della mia casa respirare quasi fossero quelle di un mantice. Nonostante io fossi già geologo, in quei pochi secondi molte cose mi sono divenute più chiare, come quando un miope indossa finalmente le lenti. Da allora le mie ricerche sono state inesorabilmente con-

centrate sulla comprensione della generazione dei fenomeni naturali e, soprattutto, sulle conseguenze, dirette o indirette, di questi fenomeni. Il punto cruciale è la risposta a questa domanda: previsione dei terremoti o prevenzione dei fenomeni che questi generano? Anche se si arrivasse alla previsione del periodo di possibile innesco di un evento sismico attraverso, ad esempio, gli studi satellitari della deformazione al suolo o lo studio delle emissioni del famoso gas radon, la prevenzione resta senza dubbio l’unica arma per limitare i danni. Prevenzione che deve essere adottata per gran parte del territorio italiano estendendosi

la pericolosità sismica in quasi tutte le regioni, con meccanismi genetici geodinamicamente differenziati. Cosa è la “pericolosità”? E’ la probabilità che un evento naturale di una data intensità (un terremoto, una frana, ma anche una valanga) avvenga in una certa zona entro un definito periodo di tempo. Quindi è un dato definito principalmente su base storico-statistiche. E’ banale dirlo, ma più passa il tempo e più, ovunque noi siamo sul nostro territorio nazionale, ci avviciniamo statisticamente alla probabilità che un evento sismico si verifichi. Quindi ci dobbiamo preparare a subire prima o poi gli effetti di un sisma più o

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La prevenzione è l’unica arma per difenderci efficacemente dai sismi e dagli altri rischi naturali ... ficare, anche di molte volte, l’entità dello scuotimento, proprio come un amplificatore di tipo elettronico. Ciò spiega perché in zone anche ravvicinate possano realizzarsi danni molto diversificati su strutture anche similari. Le condizioni geologiche locali inducono, quindi, amplificazioni spesso catastrofiche, per cui solo una conoscenza dettagliata dell’immediato sottosuolo può consentire di predisporre opportune azioni di contro misura. Ma non solo. Le caratteristiche del terremoto, in termini di frequenza della oscillazione (siamo abituati a cambiare le frequenze di ricezione delle onde radio), sono diverse da terremoto a terremoto e dipendono strettamente dalle caratteristiche del sisma e dalle condizioni locali. Importante è evitare che le caratteristiche dello scuotimento coincidano con il periodo proprio di oscillazione delle strutture in elevazione. La risonanza spiega perché strutture di limitata altezza possano crollare e, invece, grattacieli altissimi rimangano intatti pur subendo lo stesso scuotimento. L’opinione comune che edifici alti siano più intrinsecamente vulnerabili è, quindi, da smentire. Lo scuotimento del terremoto induce anche altri fenomeni che spesso si rilevano ancora più dannosi dello scuotimento. Parlo di tsunami, frane, liquefazione. Se i primi due effetti sono ben chiari anche per recenti avvenimenti, quali il terremoto che ha colpito il Giappone e quello della Cina del 2008, o ancora per il richiamato

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terremoto dell’Irpinia durante il quale si riattivarono decine di frane, la liquefazione è un fenomeno particolare e raro in Italia. A differenza dalle “frane sismo-indotte”, presenti nella gran parte delle aree montuose e collinari italiane, infatti, solo limitate aree del nostro territorio presentano quelle condizioni geologiche affinché si manifestino i fenomeni liquefattivi dei terreni. In particolare, il sottosuolo deve essere costituito da materiali sabbiosi immersi in falde acquifere: la naturale tendenza del materiale sabbioso a compattarsi (come quando si scuote un barattolo di zucchero o di caffè) induce lo sviluppo di sovrappressioni dell’acqua di falda che tende a riportarsi verso la superficie consentendo la formazione di particolari forme come i vulcanelli di sabbia. Se in quella zona sono presenti costruzioni, ne potranno derivare danni di particolare importanza perché, durante lo scuotimento, è come se le costruzioni si reggessero su un fluido. Sono, quindi, anche gli effetti “sismo indotti” a provocare danni. La prevenzione è l’unica arma per difenderci efficacemente

Chi è Ordinario di Geologia applicata, Preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università degli Studi del Sannio, presidente dell’Associazione Italiana Geologia applicata, componente della Commissione Nazionale Grandi Rischi

dai sismi e dagli altri rischi naturali. Ma per fare prevenzione è necessario che amministratori motivati favoriscano lo sviluppo di progetti di ampio respiro, scevri dall’efficacia in termini elettoralistici; che cittadini “consapevoli” sollecitino azioni di messa in sicurezza del territorio nei periodi di “pace”, evitando per primi di attuare deprecabili azioni abusivistiche; che tecnici preparati possano adeguatamente progettare; che i ricercatori possano contribuire efficacemente alla definizione di scenari di rischio. Ma qui apriamo il racconto ad un’altra storia interconnessa: se una nazione riduce sempre più gli investimenti nella ricerca, e, in particolare, nella ricerca applicata ai rischi geologici, è evidente che le risposte che potranno venire dal modo dell’Università e da quello dei centri di ricerca saranno sempre meno efficaci. Sapere quando avviene un terremoto può forse salvare la vita di molte persone, ma non riduce certamente le possibili conseguenze catastrofiche che spesso si rivelano ancora più dannose del terremoto stesso.

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LA FORZA DELL’AQUILA

meno forte a seconda di dove siamo. Ma quali sono gli effetti di un sisma? L’effetto più evidente è quello sulle strutture edilizie, sugli edifici. Lo scuotimento induce l’oscillazione di tutte le strutture in elevazione, come se fossero un diapason. Se la struttura non è adeguatamente concepita e realizzata subirà dei danni, fino ad arrivare al collasso. E’ però da dire che l’azione dinamica del terremoto non dipende solo dalla intrinseca energia del terremoto, ma anche da fattori locali connessi alla specifica situazione geologica, che è in grado di ampli-


foto: 2 giugno 2012 rievocazione della battaglia di Bazzano L’Aquila

di Mira Carpineta

n pomeriggio di festa che anticipa l’estate, una piazza piena di sole. Bambini che corrono, persone a passeggio in gruppi o a coppie, qualcuno già gusta gelati. Un corteo in costume cinquecentesco sfila nella via principale. Musica e voci diffuse da altoparlanti zittite all’improvviso da un maestoso scampanio che segna un’ora particolare. E’ il 2 giugno, a L’Aquila. L’Italia celebra la Repubblica, gli aquilani qualcosa di più grande. L’amore per una città che ancora, dopo tre anni, porta i profondi segni delle ferite. L’Aquila ha subito un’oltraggiosa aggressione, il corpo ancora segnato e deturpato da cicatrici doloranti e aperte. Eppure viva, forte. Gli edifici del centro, inchiodati e trattenuti da puntelli, travi e chiodi cercano di impedirne ulteriori crolli, in attesa di una ricostruzione che ancora non si vede. Cesare Ianni e Gianluca Museo, del gruppo civico “Jemo ‘nnanzi”, raccontano la storia della battaglia di Bazzano: “ Il 2 giugno del 1424 vide la vittoria, sofferta, di una città stremata, delle truppe capitanate da Antonuccio Camponeschi, soldato di ventura, contro l’esercito di Fortebraccio da Montone. Come si legge nelle Croniche di Buccio di Ranallo, la vittoria segnò anche l’inizio dell’epoca d’oro cittadina in cui l’Aquila raggiunse il massimo del suo splendore. Cinquecento anni dopo, nel 1924, quella data venne degnamente ricordata con l’apposizione di una targa in pietra a capo di via delle Bone Novelle, che si chiama così perché da quella strada arrivò il nunzio ad avvisare il popolo aquilano della sconfitta di Braccio. La targa purtroppo è stata distrutta dal sisma e nonostante il recupero

della maggior parte dei resti non è stato possibile restaurarla, e non sarebbe comunque potuta più tornare dov’era prima del sisma. Come cittadini e aquilani abbiamo allora deciso di fare una copia fedele all’originale, eseguita dallo scultore Marino Di Prospero, che utilizzando le stesse tecniche manuali usate nel 1924, ha creato un piccolo capolavoro. La targa è stata così donata alla nostra comunità che la custodirà in attesa di ricollocarla nella stessa sede che ospitava l’originale. Insieme ad altre associazioni, la Compagnia Rosso D’Aquila e il gruppo storico della Perdonanza Celestiniana abbiamo così voluto celebrare la ricorrenza, testimoniando che le sinergie tra Aquilani non sono solo auspicabili e necessarie, ma possibili e concrete”. Gli uomini e le donne dell’Aquila che dalle macerie recuperano ogni giorno, silenziosamente e caparbiamente le proprie radici, insegnandone i valori e i ricordi ai bambini perché non dimentichino ciò che c’era, sentono che “è doveroso contribuire alla ricostruzione e come cittadini ognuno può assumersi delle responsabilità invece di rimanere in attesa che qualcun altro decida. Comunque – incalza Cesare- il terremoto è un acceleratore di emozioni. Chi era positivo lo è diventato molto di più, perché la gente ha voglia di fare. Ha bisogno di poter credere e fare, anche cose semplici. Sono questi gli sproni a sopportare sacrifici, pur di coltivare la speranza per le giovani generazioni”. A distanza di tre anni si può affermare che l’emergenza è stata gestita in modo eccellente, come concordano i componenti del gruppo, e che tutti hanno avuto modo di lasciare tende e container, ma la ricostruzione è un altro capitolo ed è tutto da scrivere.

La zona centrale e storica della città è completamente disabitata e secondo Cesare e Gianluca “ci vuole coraggio a passeggiare di notte in centro”, nessun cantiere, pochissime attività. Oggi un’altra tragedia devasta un’altra regione italiana. Gli aquilani sentono profondamente questo nuovo disastro, che ha colpito l’Emilia e che temono possa impoverire un’altra porzione d’Italia, vista la scarsità di risorse economiche a disposizione, ma tra i progetti del gruppo “Jemo ‘nnanzi” c’è anche un’iniziativa d’aiuto alle popolazioni emiliane.

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foto: 2 giugno posa della targa

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“POSSO COMBATTERE SOLO CIÒ CHE VEDO” Una voce dall’Emilia colpita dal sisma Da queste parti non va troppo bene. Mi spiego meglio. Ormai da circa un mese ogni tanto ci balla la terra sotto i piedi. Casa mia fortunatamente per ora non ha avuto danni, ma le continue scosse ci fanno vivere ogni giorno con apprensione. Vivo a circa 20 km dagli epicentri e dal 20 maggio, ogni volta che si sente un rumore strano o una piccola vibrazione (soprattutto la notte) scatta “ l’allarme”. In questo momento stiamo vivendo in una calma apparente in attesa di qualcosa che, si spera, non arrivi mai. La settimana scorsa sono stato a Mirandola (ormai penso che tutta Italia conosca questo paese), dove tra l’altro il fratello della mia compagna ha un appartamento (che comunque ha lasciato il 20 maggio per andare a vivere a casa di parenti a Carpi), che nonostante sia stato dichiarato inagibile è stato evacuato in quanto, accanto al suo condominio c’è il fungo dell’acquedotto dichiarato a rischio crollo. Le immagini che hanno riportato le televisioni non rendono affatto l’idea. E’ stata un’esperienza terrificante... lo scenario è apocalittico. Sembra che il paese sia stato

bombardato. Nonostante la presenza di molta gente si può sentire un silenzio gelido dove puoi solo percepire il terrore. Mi sono venuti i brividi. Ormai in paese inevitabilmente l’unico argomento di conversazione è il terremoto, anche quando provi a parlare d’altro ogni conversazione va sempre a finire là. Un imprenditore mi raccontava che, nonostante il suo capannone risulti essere agibile, la sua attività è chiusa e sta cercando di recuperare dei container per metterci dentro

L’unico problema è capire quando le scosse finiranno perché...

foto: L’Aquila situazione al 2012

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i macchinari necessari per poter riprendere il lavoro in quanto i suoi dipendenti (giustamente) hanno paura a lavorare all’interno del capannone. Nonostante tutto la voglia di riprendere a lavorare (sempre con le dovute cautele) è molta. Nella zona industriale di Mirandola si può vedere che nei parcheggi di molte aziende vi sono dei grossi gazebo. Là sotto sono stati trasferiti tutti gli uffici amministrativi. Si possono vedere gli impiegati che tranquillamente lavorano ai loro terminali sotto le tende. L’unico problema è capire quando le scosse finiranno perché la voglia di rimboccarsi le maniche e ricominciare a vivere è tanta. A riguardo mi viene una citazione fatta da Tommy Lee Jones nel film Vulcano: “Posso combattere solo ciò che vedo” . Questa frase calza a pennello. La rabbia è proprio questa, non si può combattere un fenomeno imprevedibile ed invisibile come il terremoto e, quindi non si può nemmeno programmare un ritorno alla normalità.

S.V.


VACANZE 2012

Tra crociere e fai da te di Adele Di Feliciantonio

e previsioni “vacanziere” per la bella stagione si preannunciavano disastrose, e invece, con cauto ottimismo, abbiamo appreso che i nostri concittadini, seppur con sacrificio e qualche privazione, non vogliono rinunciare alla tanto attesa vacanza estiva. Le statistiche nazionali prevedono un calo record del 15% rispetto all’anno precedente, ma molti non hanno intenzione di privarsi dell’unico momento dell’anno in cui finalmente “si stacca la spina” dalla noiosa e ripetitiva routine giornaliera e lontano dai problemi del lavoro. Sarà stato il tanto temuto calendario Maya che profetizza la fine del mondo a dare un incoraggiamento al “si vive una volta sola?” Ironia a parte, l’arrivo dell’estate è accompagnata, purtroppo, dalla crisi economica che porta con sé disoccupazione dilagante, aumento delle accise dei carburanti, la neonata Imu e la tristezza per il sisma che ha colpito l’Emilia. Tutto questo si ripercuote, indubbiamente, sul potere di spesa delle famiglie italiane, ma abbiamo scoperto che ancora una volta i nostri connazionali hanno rispolverato una grande inventiva, imparando a “fare economia” anche nella villeggiatura. Le agenzie di viaggio sul nostro territorio ci hanno confermato che al momento la situazione può definirsi stabile e per niente allarmante. Non c’è stata una variazione nelle prenotazioni rispetto agli anni precedenti, anche se i budget sono limitati e si tenta di ridurre la durata del riposo (di una settimana rispetto ai quindici giorni di un tempo). Single, coppie, ma anche intere famiglie preferiscono “cambiare aria” e dirigersi in posti lontani rispetto a quelli

abituali. “Non vedo l’ora di partire, finalmente, per riposare corpo e mente, incontrare gente nuova, ma soprattutto interagire con culture e modi di vivere diversi”, svela Lorenzo, che esausto dagli impegni lavorativi, attende con ansia e trepidazione la tanto meritata e sudata vacanza. Gettonate le offerte dei tour operator come i pacchetti all inclusive e ancora di più i last minute e l’acquisto di biglietti con compagnie low cost. L’Italia con le sue bellissime spiagge e isole sta riprendendo sempre più quota nelle prenotazioni, ma anche Spagna, Mar Rosso e crociere. “Nonostante la recente tragedia della Concordia, non hanno subito nessun arresto e restano la vacanza ideale per chi vuole rilassarsi soprattutto con bambini a seguito” ribadisce una tour operator della nostra città..

L’Italia con le sue bellissime spiagge e isole sta riprendendo sempre più quota nelle prenotazioni... Fenomeno sempre più in ascesa quello della partenza per lidi lontani che ha sfatato e messo in crisi la tradizionale abitudine nostrana della casa in affitto al mare. Ci sono, poi, le vacanze “mordi e fuggi” … gite fuori porta con rientro serale per chi non può permettersi altro. Ci si impegna a ricorrere ad accorgimenti di ogni genere proprio per contenere le

uscite. Per questo molti dei vacanzieri giornalieri, di fronte all’aumento dei costi dei servizi offerti dagli stabilimenti balneari e dei ristoranti, rispondono con un “italianissimo” kit fai-da-te . “Andiamo al mare con ombrellone, pranzo e merenda al sacco…come si usava negli anni Sessanta” – confida con un nostalgico, ma anche amaro sorriso Maria – e aggiunge “siamo tanti in famiglia, le entrate sono esigue e non possiamo permetterci lussi…ma così facendo abbiamo riscoperto un grande senso di gruppo e organizzazione nei preparativi e possiamo concederci qualche giorno di svago in più” . Da non tralasciare i numerosi pic-nic domenicali sulle nostre splendide località di montagna dove carne alla brace inebriano di profumo invitante le splendide vallate e le escursioni a piedi e in bicicletta costituiscono un momento di contatto autentico con la natura e i suoi tesori. Ci si arrangia un po’ come si può, ognuno concedendosi la vacanza proporzionata alle proprie possibilità, ma in rari casi a rinunciarvi. E per chi resta in città? Sicuramente non si respira più quella tristezza delle vie fantasma che anni addietro erano il simbolo per eccellenza della desolazione dei pochi sfortunati che vi rimanevano. Chi non vuole o non può permettersi un periodo lontano da casa non vive nessun dramma. Negozi aperti e passeggio tardopomeridiano, ma soprattutto una serie di iniziative ed eventi organizzati dai Comuni e dalle associazioni culturali che rendono movimentata e accogliente qualsiasi città o paese e meno triste la permanenza dei sempre più sfortunati che devono “fare i conti in tasca” con una crisi che ci sta togliendo tutto, ma soprattutto il sorriso e la voglia di fare.

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QUELL’ ITALIA DELLA “UNO BIANCA”

di Mariangela Sansone

ei giorni scorsi, presso la sede del Circolo teramano, è stato presentato il libro “L’Italia della Uno bianca Una storia politica e di mafia ancora tutta da raccontare”, edito da Chiarelettere. L’autore, Giovanni Spinosa, attualmente riveste l’incarico di Presidente del Tribunale di Teramo. In magistratura dal 1981, ha diretto indagini difficili e delicate, come quelle sui sequestri di persona ad opera dell’Anonima sarda, avvenuti in Emilia Romagna nella seconda metà degli anni Ottanta. Nelle stesse vesti, e in stretta collaborazione con lo storico Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, ha svolto le prime indagini sulle associazioni mafiose legate ai corleonesi insediatesi a Bologna ed in Romagna a partire dal 1984 (in particolare su Salvatore Rizzuto, mafioso legato a Pippo Calò). Si è inoltre occupato di diverse inchieste sulla ’ndrangheta, sulle bische - che hanno coinvolto Giacomo Riina (zio del più noto Totò) - e di quella sulla revoca della scorta a Marco Biagi, assassinato nel 2002 dalle Brigate rosse. È stato titolare, inoltre, dell’indagine sui crimini della Uno bianca, consumati in Emilia Romagna tra il 1987 e il 1994. Il suo libro racconta questa storia criminale, che ha sconvolto l’Italia della fine della Prima Repubblic. Dietro, un’enorme beffa: i criminali disposti a tutto, che usavano sempre Fiat Uno bianche rubate per le loro vili incursioni, erano agenti di polizia. Poliziotti-banditi spietati, freddi, meticolosi nella preparazione dei colpi, esperti con le armi e abili nelle fughe, riuscivano a compiere le loro rapine senza mai lasciare una traccia, un’impronta, mai un testimone in grado di riconoscerli. Roberto Savi, soprannominato “il corto”, arrestato il 21 novembre 1994, cui fu attribuita un’intelligenza “luciferina”, era un poliziotto in servizio presso la questura di Bologna, e allo stesso tempo il capo della banda, spalleggiato dal fratello, Fabio Savi, “il lungo”, capace di ridere di fronte ai parenti delle vittime in un’aula di tribunale. Poi il terzo fratello, Alberto, agente di polizia presso il commissariato di Rimini, ritenuto il più debole dei tre, meno risoluto e succube dei primi due. Alla banda dei Savi si aggiunsero nel tempo

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Il libro di Giovanni Spinosa, Presidente del Tribunale di Teramo altri tre agenti di polizia della questura di Bologna, in momenti diversi, tutti agli ordini di Roberto Savi quando era capo pattuglia alle volanti: Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli. Nel gruppo non poteva certamente mancare la femme fatale, Eva Mikula, donna appariscente di cui si innamorò Fabio Savi. Dopo gli arresti sarà proprio lei, con la sua testimonianza, ad inchiodare tutti i membri della banda, tradendo Fabio e garantendosi l’impunità. Secondo le dichiarazioni di Fabio Savi, fu soltanto la brama di denaro a spingere tutti a tradire lo Stato e le istituzioni cui avevano giurato di essere fedeli, e a giustificare una serie sterminata di atti di inaudita ferocia e crudeltà - 82 delitti, 23 morti e centinaia di feriti -, ma il magistrato che ha a lungo indagato su questi atroci avvenimenti si interroga ancora sulle loro reali cause e sulle complicate trame che i processi non sono riusciti a spiegare. Il testo rivela scenari ignoti, approfondisce e cerca di collegare i tanti elementi ancora irrisolti di questa odiosa storia. Spinosa documenta voragini investigative, bugie, depistaggi orchestrati dai fratelli Savi, i cui rapporti con la criminalità organizzata, con la mafia catanese e con la camorra cutoliana e casalese non sono mai stati compiutamente esplorati. Il magistrato, raccontando alcuni dei tanti momenti tragici di quella “strage a rate” di cittadini inermi, ha scandito sempre con veemenza e trasporto i nomi delle vittime, al dichiarato fine di sottolineare che dietro ciascuno di loro c’erano una storia personale e una vita vera, recisa senza alcun motivo. L’autore tiene però soprattutto a ricordare la vittima principale dell’intera vicenda: la conoscenza, vero cardine su cui si regge la democrazia.


La “Favola delle api” è un poemetto satirico composto da Mandeville nel 1705 e contiene una critica al modello di società appena avviatosi alla rivoluzione industriale. Rileggendola oggi, alcuni decenni dopo l’elaborazione e l’applicazione delle teorie keynesiane, sembra contenere spunti utili per il dibattito attualmente in corso sulle alternative modalità di rilancio dell’economia, modalità che, con molte semplificazioni ed estremizzazioni, possono essere ricondotte a due opposti modelli: il rigore, secondo cui il risanamento dei conti è necessaria premessa per l’avvio di una fase di sviluppo; il rilancio delle domande attraverso l’intervento dello Stato, ad altri attori pubblici quali la BCE, con ulteriore indebitamento. Come reagirebbe l’alveare? Luciano D’Amico (Preside della Facoltà di Scienze della comunicazione-Teramo) PrimaPagina 26 giu. 2012

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LA FAVOLA DELLE API VIZI PRIVATI E PUBBLICHE VIRTÚ di Bernard de Mandeville (Rotterdam, 1670 – Hackney, 1733) n numeroso sciame di api abitava un alveare spazioso. Là, in una felice abbondanza, esse vivevano tranquille. Questi insetti, celebri per le loro leggi, non lo erano meno per il successo delle loro armi e per il modo in cui si moltiplicavano. La loro dimora era un perfetto seminario di scienza e d’industria. Mai api vissero sotto un governo più saggio; tuttavia mai ve ne furono di più incostanti e di meno soddisfatte. Non erano né schiave infelici di una dura tirannia, né esposte ai crudeli disordini della feroce democrazia. Erano condotte da re che non potevano errare, perché il loro potere era saggiamente vincolato dalle leggi. Questi insetti, imitando ciò che si fa in città, nell’esercito e nel foro, vivevano perfettamente come gli uomini ed eseguivano, in piccolo, tutte le loro azioni. Le opere meravigliose compiute dalle loro piccole membra sfuggivano alla debole vista degli uomini; tuttavia (…) non v’è nulla di ciò che si vede presso gli uomini di cui questi operosi animali non si servissero. E siccome il loro linguaggio ci è sconosciuto, possiamo parlare di ciò che le riguarda solo impiegando le nostre impressioni. Si ritiene

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generalmente che questi animali non conoscevano affatto l’uso dei bossoli né dei dadi; ma poiché avevano dei re e delle guardie, si può presumere che conoscessero qualche di gioco. Si vedono mai, infatti, degli ufficiali e dei soldati che si astengono da divertimenti? Il fertile alveare era pieno di una moltitudine prodigiosa di abitanti, il cui grande numero contribuiva alla prosperità comune. Milioni di api erano occupate a soddisfare la vanità e le ambizioni di altre api, che erano impiegate unicamente a consumare i prodotti del lavoro delle prime. Malgrado una così grande quantità di operaie, i desideri di queste api non erano soddisfatti.Tante operaie e lavoro potevano a mala pena mantenere il lusso della metà della popolazione. Alcuni, con grandi capitali e pochi affanni, facevano dei guadagni considerevoli. Altri, invece, condannati a maneggiare la falce e la vanga, si guadagnavano la vita col sudore della fronte e consumando le loro forze nei mestieri più penosi. Altri ancora si applicavano a dei lavori misteriosi, che non richiedevano né apprendistato né sostanze, né travagli. Erano i cavalieri d’industria, i parassiti, i mezzani, i giocatori, i ladri, i falsari, i maghi, i preti, e in

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generale tutti coloro che sfruttavano con pratiche losche a loro vantaggio il lavoro dei loro vicini, che non essendo essi stessi capaci d’ingannare, erano meno diffidenti. Costoro erano chiamati furfanti; ma coloro i cui traffici erano più rispettati, anche se in sostanza poco differenti dai primi, ricevevano un nome più onorevole. Gli artigiani di qualsiasi professione, tutti coloro che esercitavano qualche impiego o che ricoprivano qualche carica, avevano tutti qualche sorta di furfanteria che era loro propria. Erano le sottigliezze dell’arte e l’abilità di mano. Come se le api non avessero potuto distinguere il legittimo dall’illegittimo, esse avevano dei giureconsulti, occupati a mantenere le animosità e a suscitare malefici cavilli: questo era lo scopo della loro arte. Le leggi fornivano loro i mezzi per rovinare i loro clienti e per approfittare destramente dei beni in questione. Preoccupati, soltanto di ricavare degli elevati onorari, non trascuravano nulla al fine d’impedire che si appianassero le difficoltà attraverso un accomodamento. Per difendere una cattiva causa, analizzavano le leggi con la stessa meticolosità con cui i ladri esaminano i palazzi e i negozi. Ciò soltanto allo scopo di


scoprire il punto debole. I medici preferivano la reputazione alla scienza e le ricchezze alla guarigione dei loro malati. La maggior parte, anziché applicarsi allo studio dei princìpi della loro disciplina, cercavano di acquistarsi una pratica fittizia. Sguardi gravi e un’aria pensosa erano tutto quello ch’essi possedevano per darsi la reputazione di uomini dotti. Non preoccupandosi della salute dei pazienti, lavoravano soltanto per acquistarsi il favore dei farmacisti, le lodi delle levatrici e di tutti coloro che vivevano dei proventi tratti dalle nascite o dai funerali. (…). Tra il grande numero dei preti di Giove, pagati per attirare sull’alveare la benedizione del cielo, ve n’erano ben pochi che avessero eloquenza e sapere. La maggior parte erano tanto presuntuosi quanto ignoranti. Erano visibili la loro pigrizia, la loro incontinenza, la loro avarizia e la loro vanità, malgrado la cura che si prendevano per nascondere agli occhi del pubblico questi difetti. Furfanti come dei borsaioli, intemperanti come marinai. Alcuni invece erano pallidi, coperti di vestiti laceri e pregavano misticamente per guadagnarsi il pane. E mentre questi sacri schiavi morivano di fame, i fannulloni per cui essi officiavano, si trovavano a loro agio. Si vedevano sui loro volti la prosperità, la salute e l’abbondanza di cui godevano. I soldati che erano stati messi in fuga venivano egualmente coperti di onori, se avevano la fortuna di sfuggire all’esercito vittorioso, anche se tra essi vi fossero dei veri poltroni, che non amavano affatto le stragi. Se vi era qualche valente generale che metteva in rotta i nemici, si trovava qualche persona che, corrotta con dei regali, favoriva la loro ritirata. Vi erano pure dei guerrieri che affrontavano il pericolo comparendo sempre nei punti più esposti. Prima perdevano una gamba, quindi un braccio, infine, quando tutte queste mutilazioni li avevano resi non più in grado di servire, li si congedava vergognosamente a mezza paga; mentre altri, che più prudentemente non andavano mai all’attacco, ricavavano la doppia paga. I loro re erano, sotto ogni riguardo, mal serviti. I loro ministri li ingannavano.Ve n’erano invero parecchi che non tralasciavano nulla per far progredire gl’interessi della corona; ma contemporaneamente saccheggiavano impunemente il tesoro che s’industriavano ad arricchire. Essi avevano il felice talento di spendere abbondantemente, nonostante i loro stipendi fossero molto meschini. Si esagerava forse nel considerare le loro prerogative quando le si denominava le loro “malversazioni”? E anche se ci si lamentava che non si comprendeva il loro gergo, essi si servivano del termine di “emolumenti”, senza mai voler parlare senza camuffamenti dei loro guadagni. Infatti non vi fu mai un’ape che sia stata effettivamente soddisfatta nel desiderio di apprendere, non dico quello che

guadagnavano effettivamente questi ministri, ma neppure ciò che essi lasciavano scorgere dei loro guadagni. Essi assomigliavano ai nostri giocatori, i quali, per quanto siano stati fortunati al gioco, non diranno tuttavia mai in presenza dei perdenti quello che hanno guadagnato. Chi potrebbe descrivere dettagliatamente tutte le frodi che si commettevano in questo alveare? Colui che acquistava del letame per ingrassare il suo prato, lo trovava falsificato per un quarto con pietre e cemento inutili; e per giunta qualsiasi poveretto non avrebbe avuto la facilità di brontolare di ciò, perché a sua volta imbrogliava mescolando al suo burro una metà di sale. La giustizia stessa non era meno sensibile al brillante splendore dell’oro. Corrotta dai doni, essa aveva sovente fatto pendere la bilancia che teneva nella mano sinistra. Imparziale in apparenza, quando si trattava d’infliggere delle pene corporali, di punire degli omicidi o degli altri gravi crimini, essa aveva ben spesso condannato al supplizio persone che avevano continuato le loro ribalderie dopo esser state punite con la gogna.Tuttavia si riteneva comunemente che la spada che essa portava non colpiva se non le api che erano povere e senza risorse. (…) Con questa ingiusta severità, si cercava di mettere al sicuro il potente e il ricco. Essendo così ogni ceto pieno di vizi, tuttavia la nazione di per sé godeva di una felice prosperità. Era adulata in pace, temuta in guerra. Stimata presso gli stranieri, essa aveva in mano l’equilibrio di tutti gli altri alveari.Tutti i suoi membri a gara prodigavano le loro vite e i loro beni per la sua conservazione. I vizi dei privati contribuivano alla felicità pubblica. Da quando la virtù, istruita dalle malizie politiche, aveva appreso i mille felici raggiri dell’astuzia, e da quando si era legata di amicizia col vizio, anche i più scellerati facevano qualcosa per il bene comune. Le furberie dello stato conservavano la totalità, per quanto ogni cittadino se ne lamentasse. (…). Così i membri di quella società, seguendo delle strade assolutamente contrarie, si aiutavano quasi loro malgrado. La temperanza e la sobrietà degli uni facilitava l’ubriachezza e la ghiottoneria degli altri. L’avarizia, questa funesta radice di tutti i mali, questo vizio snaturato e diabolico, era schiava del nobile difetto della prodigalità. Il lusso fastoso occupava milioni di poveri. La vanità, questa passione tanto detestata, dava occupazione a un numero ancor maggiore. La stessa invidia e l’amor proprio, ministri dell’industria, facevano fiorire le arti e il commercio. Le stravaganze nel mangiare e nella diversità dei cibi, la sontuosità nel vestiario e nel mobilio, malgrado il loro ridicolo, costituivano la parte migliore del commercio. Sempre incostante, questo popolo cambiava le leggi come le mode. I regolamenti che erano stati saggiamente stabiliti venivano annullati e si

sostituivano ad essi degli altri del tutto opposti.Tuttavia con l’alterare anche le loro antiche leggi e col correggerle, le api prevenivano degli errori che nessuna accortezza avrebbe potuto prevedere. In tal modo, poiché il vizio produceva l’astuzia, e l’astuzia si prodigava nell’industria, si vide a poco a poco l’alveare abbondare di tutte le comodità della vita. I piaceri reali, le dolcezze della vita, la comodità e il riposo erano divenuti dei beni così comuni che i poveri stessi vivevano allora più piacevolmente di quanto non vivessero prima. Non si sarebbe potuto aggiungere nulla al benessere di questa società. Ma, ahimè, qual è mai la vanità della felicità dei poveri mortali! (…). Il gruppo mormorante aveva spesso affermato di esser soddisfatto del governo e dei ministri; ma al più piccolo dissesto cambiò idea. Queste api riunirono le loro lagnanze, diffondendo ovunque queste parole: “siano maledette tutte le furberie che regnano presso di noi!”. Tuttavia ciascuna se le permetteva ancora; ma ciascuna aveva la crudeltà di non volerne concedere l’uso agli altri. Un personaggio che aveva ammassato immense ricchezze, ingannando il suo padrone, il re e i poveri, osò gridare a tutta forza: “il paese non può mancare di perire a causa di tutte le sue ingiustizie!”. E chi pensate che sia stato queste severo predicatore? Era un guantaio, che aveva venduto per tutta la sua vita, e che vendeva anche allora, delle pelli d’agnello per pelli di capretto.(…). Mercurio (il dio dei ladroni) non poté trattenersi dal ridere nell’ascoltare una preghiera così sfrontata. Gli altri dèi dissero che era stupidità il biasimare ciò che si amava. Ma Giove, indignato per queste preghiere, giurò infine che questo gruppo strillante sarebbe stato liberato dalla frode di cui si lamentava. Egli disse: “Da questo istante l’onestà s’impadronirà di tutti i loro cuori. Simile all’albero della scienza, essa aprirà gli occhi di ciascuno e gli farà percepire quei crimini che non si possono contemplare senza vergogna. (…) Ma, per Dio, quale costernazione! quale improvviso cambiamento! In meno di un’ora il prezzo delle derrate diminuì ovunque. Ciascuno si strappò la maschera d’ipocrisia che lo ricopriva. Alcuni, che erano ben conosciuti già da prima, apparivano degli stranieri, quand’ebbero ripreso le loro maniere naturali. Da questo momento il tribunale fu spopolato. I debitori saldavano di propria iniziativa i loro debiti. (…) Non si videro più processi in cui entrassero la malvagità e la vessazione. Nessuno poteva più accumulare ricchezze. La virtù e l’onestà regnavano nell’alveare. Che cosa potevano fare allora gli avvocati? Anche coloro che prima della rivoluzione non avevano avuto la fortuna di guadagnare molto, disperati, abbandonavano la loro scrivania e si ritiravano. La giustizia, che sino

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ad allora si era occupata di far impiccare alcune persone, concedeva la libertà a quelle che teneva prigioniere. Ma, dopo che le prigioni furono vuotate, diventando inutile la dea che ad esse presiedeva, costei si vide costretta a compiere una ritirata, con tutta la sua corte.Tra esso si videro i fabbri, addetti alle serrature, alle catene e alle porte munite di sbarre di ferro. Poi si videro i carcerieri e i secondini.Venne poi la dea preceduta dal suo fedele ministro scudiero, il carnefice, grande esecutore delle sue sentenze. Essa non era armata della sua spada immaginaria, bensì in sua vece portava l’ascia e la corda. La signora giustizia, con gli occhi bendati, seduta su di una nuvola, fu così cacciata nell’aria accompagnata dalla sua corte. Attorno al suo seggio e dietro di esso vi erano i sergenti, gli uscieri e i domestici di tale specie, che si nutrivano delle lagrime degli sfortunati. L’alveare aveva ancora dei medici, come prima della rivoluzione. Ma la medicina, era affidata ora a uomini abili. Essi erano così numerosi e così diffusi nell’alveare, che nessuno di essi aveva bisogno di una vettura. Il compito di guarire prontamente i pazienti era quello che unicamente li occupava. Pieni di disprezzo per le medicine importate da paesi stranieri, essi si limitavano alle semplici medicine prodotte nel loro paese. Convinti che gli dèi non mandavano alcuna malattia alle nazioni senza donar loro, nello stesso tempo, i veri rimedi. I ricchi ecclesiastici, destati dalla loro vergognosa pigrizia, non facevano più servire le loro chiese da api prese alla giornata; officiavano essi stessi. Tutti coloro che ritenevano si potesse fare a meno dei loro servizi, si dimettevano senza indugio dalle loro cariche. Non vi erano occupazioni sufficienti per tante persone, se pur ne restava ancora qualcuna: giacché il loro numero diminuiva intensamente. Erano tutti modestamente sottomessi al pontefice, il quale si occupava esclusivamente degli affari religiosi, abbandonando agli altri gli affari dello stato. Il reverendo capo, divenuto caritatevole, non aveva più la durezza di cuore di cacciare dalla sua porta i poveri affamati. (…) Il cambiamento fu meno considerevole anche fra i primi ministri del re e fra tutti gli ufficiali subalterni. Divenuti economi e temperanti, i loro stipendi bastavano loro per vivere. (…) Una sola persona era sufficiente per adempiere le funzioni un tempo eseguite da tre persone . Non v’era più bisogno di affiancare un collega per sorvegliare le azioni di coloro a cui si affidava il mantenimento degli affari. I magistrati non si lasciavano più corrompere. (…) Non era più cosa onorevole il far figura alle spese dei propri creditori. Le livree restavano appese nelle botteghe dei rigattieri. Quelli che brillavano per la magnificenza delle loro carrozze, le vendevano a poco prezzo. I nobili si

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liberavano di tutti i loro superbi cavalli per pagare i loro debiti. Si evitavano le spese inutili con la stessa cura con cui si evitava la frode. Non si mantenevano più degli eserciti all’estero. Non curandosi più della stima degli stranieri e della gloria frivola che si acquista con le armi, si combatteva solo per difendere la propria patria contro coloro che attendevano ai suoi diritti e alla sua libertà. Gettate ora lo sguardo sul glorioso alveare. Contemplate l’accordo mirabile che regna tra il commercio e la buona fede. Le oscurità che offuscavano questo spettacolo sono scomparse: tutto si vede allo scoperto. Coloro che facevano delle spese eccessive e che vivevano su questo lusso sono stati costretti a ritirarsi. Invano tenteranno nuove occupazioni: esse non potranno fornir loro il necessario. Il prezzo dei poderi e degli edifici crollò. I palazzi incantevoli, i cui muri, simili alle mura di Tebe, erano stati elevati con armonia musicale, divennero deserti. (…) L’architettura fu del tutto abbandonata. Gli artigiani non trovavano più nessuno che li volesse impiegare. La scultura, l’incisione, il cesello e la statuaria non furono più rinomate nell’alveare. Le poche api che vi restarono, vivevano miseramente. Non ci si preoccupava più di come spendere il proprio denaro, ma di come guadagnarne per vivere. Quando dovevano pagare il loro conto alla taverna, decidevano di non rimetterci più piede. Non si vedevano più le donne da bettola guadagnare tanto da poter indossare abiti drappeggiati d’oro. Torcicollo non donava più delle grosse somme per avere del borgogna e degli uccelletti. I cortigiani, che si compiacevano di regalare a Natale alla loro amante degli smeraldi, spendendo in due ore tanto quanto una compagnia di cavalleria avrebbe speso in due giorni, fecero bagaglio e si ritirarono da un paese così miserevole. La superba Cloe, le cui grandi pretese avevano un tempo costretto il suo marito troppo condiscendente a saccheggiare lo stato, ora vende il suo abbigliamento, composto dei più ricchi bottini delle Indie. Ora sopprime le sue spese e porta tutto l’anno lo stesso abito. Le mode non si susseguono più con quella bizzarra incoscienza. Dal canto loro, tutti gli operai che lavoravano le ricche stoffe di seta e d’argento e tutti gli artigiani che dipendevano da loro, si ritirarono. Una pace profonda domina in questo regno; e ha come sua conseguenza l’abbondanza.Tutte le fabbriche che restano producono soltanto le stoffe più semplici; tuttavia esse sono tutte molto care. La natura prodiga, non essendo più costretta dall’infaticabile giardiniere, produce bensì i suoi frutti nelle sue stagioni; però non produce più né rarità, né frutti precoci. A misura che diminuivano la vanità e il lusso, si videro gli antichi abitanti abbandonare la

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loro dimora. Non erano più né i mercanti né le compagnie che facevano decadere le manifatture, erano la semplicità e la moderazione di tutte le api.Tutti i mestieri e tutte le arti erano abbandonati. La facile contentatura, questa peste dell’industria, fa loro ammirare la loro grossolana abbondanza. Essi non ricercarono più la novità, non hanno più alcuna ambizione. E così, essendo l’alveare pressoché deserto, le api non si potevano difendere contro gli attacchi dei loro nemici, cento volte più numerosi. Esse difendevano tuttavia con tutto il valore possibile, finché qualcuna di loro avesse trovato un rifugio ben fortificato. Non v’era alcun traditore presso di loro.Tutte combattevano validamente per la causa comune. Il loro coraggio e la loro integrità furono infine coronate dalla vittoria. Ma questo trionfo costò loro tuttavia molto. Parecchie migliaia di queste valorose api perirono. Il resto dello sciame, che si era indurito nella fatica e nel lavoro, credette che l’agio e il riposo, che mettono a sì dura prova la temperanza, fossero un vizio.Volendo dunque garantirsi una volta per sempre da ogni ricaduta, tutte queste api si rifugiarono nel cupo cavo di un albero, dove a loro non resta altro, della loro antica felicità, che la contentatura dell’onestà.


ALLA RICERCA DEL “BENE COMUNE” di Francesco Bonini politologo

andeville e le sue api sono uno spartiacque. Fino a lui le api e l’alveare erano l’esempio tipico della concordia e del bene comune, che si realizza quando ciascuno fa la sua parte. Virtù individuale e virtù pubbliche sono reciproche e la società è fondata su questo accordo e se ne fa garante. Con Mandeville il paradigma cambia: le api, ciascuna alla ricerca del proprio nettare, si comportano così per il proprio vantaggio e la prosperità dell’alveare è il risultato del soddisfacimento da parte di ciascuno delle proprie passioni e dei propri interessi: vizi privati, pubbliche virtù. Sennonché il cambio di paradigma comporta la cessazione della corresponsabilità tra gli individui, cioè dei legami orizzonti della società. Crescono invece quelli verticali: siccome non è

possibile una gaia anarchia, si enfatizza l’autorità centrale. Che viene investita di un compito difficilissimo, perché da un lato deve garantire la maggior soddisfazione delle passioni e degli interessi individuali, i quali diventano in prospettiva dei diritti, dall’altro, per poterlo fare, finisce coll’essere sempre più invasiva e pervasiva. Mandeville insomma, anche se vellica il nostro desiderio di piacere e di autorealizzazione, non funziona, perché l’alveare dei vizi privati e delle pubbliche virtù rischia in prospettiva di diventare un macchinone totalitario. Invece, tra individuo e totalità, bisogna recuperare il livello intermedio, quello della comunità, per cui le virtù private contribuiscono a costruire la virtù comune. O il bene comune, come si dice con un’espressione che oggi è ritornata di moda. Perché? Proprio perché l’assioma degli illuministi

non funziona più. Non funziona più la ricerca della pubblica felicità, come missione del potere a garanzia della felicità individuale. Il meccanismo deve essere ri-centrato. Partendo dalla responsabilità di tutti. Perché le api di Mandeville ad un certo punto smettono di produrre. E scoppiano le crisi economico-finaziarie. Come quella che stiamo vivendo in questi anni. E da cui si esce lavorando sodo e lavorando tutti, con quella prospettiva comune che ancora purtroppo sembra mancare.

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Chi è Docente e Direttore del Dipartimento di Storia e Critica della Politica all’UNITE. E’ stato consigliere del Ministro per le Riforme Istituzionali del Governo Ciampi (L. Elia – 1993/94).

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POLITICA DEL RIGORE

e comune tragedia

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non in Europa, a paesi, non certo virtuosi, in difficoltà è stato imposto un rigore senza precedenti, più per motivi di etica o convenienza politica che economica. Con il risultato di far diventare una situazione allora costosa, ma risolvibile, in una tragedia comune.

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SEMPRE ATTUALE

uesta vecchia favola è ancor oggi molto attuale. Nel contesto della odierna crisi economica, come sostenuto dalle probe api, molti ritengono che il perseguimento delle politiche “virtuose” di rigore economico è la giusta ricetta per risolvere il problema e la diretta conseguenza dei comportamenti “viziosi” del passato. Ciò potrebbe essere anche eticamente giusto: “Dopo anni di sperpero è ora di rimettere a posto i conti in casa” si sente spesso dire, ma le conseguenze di tale virtù sono sottovalutate. Come è già accaduto nel passato esiste il rischio che queste “virtuose” politiche, che fanno da contrappeso ad un passato “vizioso”, si rivelino infine molto costose. L’estrema restrizione monetaria e fiscale in un momento come questo rischia infatti di innescare un circolo vizioso di caduta del reddito e depressione economica, che a sua volta alimenta ulteriori politiche “virtuose” di restrizione e di rigore che deprimono ulteriormente l’economia e così via. Alla fine i sostenitori del rigore a tutti i costi, come le probe api, rischiano di far andare la società alla deriva e farla sprofondare nella povertà, trasformando una pesante recessione in una lunga crisi economica. Questa politica del rigore a tutti i costi è potenzialmente pericolosa per il nostro Paese tanto quanto lo è per l’Europa intera. Del resto, proprio dopo l’arrivo della crisi, che ricordiamo essere nata negli Stati Uniti e

UNA VECCHIA FIABA

di Luciano D’Amico , Giovanni Di Bartolomeo, Christian Corsi Facoltà di Scienze della Comunicazione-Teramo


di Marcello Martelli giornalista-scrittore

na vecchia fiaba, utile per l’attualità come chiave di lettura della crisi che viviamo. Non è male l’idea di rimettere al centro, in tempi di “spread” impazzito, la “teoria di Mandeville”. Siamo fra rovine e disastri, a cominciare da quelli del terremoto, ma niente paure e sgomento. Le “calamità concorrono al benessere generale”. Parola di Bernard de Mandeville, medico e filosofo olandese. Le costruzioni ridotte a macerie? Risorgeranno più belle di prima, grazie a carpentieri e manovali, che con il nuovo lavoro conosceranno un benessere maggiore. Il premier Monti lo sa, da gran tecnico qual è. Sa fare i conti meglio dei politici, per capire che “la somma dei benefici causati dall’evento disastroso… supera la somma dei lutti”. Il modello dell’alveare di Mandeville funziona pure per l’oggi, spiegato così: « Il vizio è tanto necessario in uno stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare. È impossibile che la virtù da sola renda mai una nazione forte e gloriosa». Nei mesi trascorsi abbiamo sprecato tempo e mezzi, in nome del recupero della buona politica e dell’etica. Accaniti contro “bunga-bunga” e facili costumi, siamo entrati in collisione con la

“religione di Mandeville”, che in materia sentenzia: “Il libertino, nel soddisfare i suoi vizi, si dimostra anche prodigo nel dare lavoro ai sarti, ai servitori, ai cuochi e alle donne di vita, che a loro volta spenderanno a beneficio di altre categorie”. Conclusione: “Della rapacità e violenza del libertino se ne avvantaggerà tutta la società nel suo insieme”. Né possiamo farci condizionare troppo dalla norma eticamente perentoria: “Il vizio è peccato”. Principio a cui è ancorato il nostro “alveare”, influenzato (ma ora non troppo) dall’alto magistero di Papa Ratzinger. Meglio e di più dalle manovre del premier Mario Monti, che nella difesa ad oltranza dei conti dello Stato, trova più consona la teoria del medicofilosofo, che arriva a sostenere (in barba al principio montiano dell’austerità) “la necessità del vizio, poiché la ricerca della soddisfazione del proprio interesse è la condizione prima della prosperità”. Modello opposto quello di coloro che, viceversa, “impostano l’esistenza secondo il virtuoso principio di accontentarsi della propria condizione, conducendo una vita di rassegnazione e pigrizia…”. Ma così danneggiano la produzione industriale, causano la povertà della nazione e ostacolano la crescita, portando l’imposizione fiscale verso il basso. Una scelta siffatta potrebbe mai avere il

gradimento, nell’esercizio delle rispettive funzioni, del nostro Super-Mario e del manager Equitalia, Befera? Dicevamo della spinta della religione, che ha perso mordente nella elevazione del livello etico generale, nonostante la paura della morte come deterrente. Farmaco e ricette di un vecchio passato in archivio. Adesso c’è chi teorizza la rete telematica come paradossale surrogato di un nuovo “entusiasmo mistico”, senza chiese, ma con schiere di fedeli e nuovi profeti della “rivoluzione digitale”. Siamo all’“alveare tecnologico” dei nostri tempi, che dovrà imparare a “godere dei conforti più sofisticati”, ma anche “a sottomettersi agli inconvenienti che nessun governo o società sulla terra sarà capace di correggere o porvi rimedio”. A cominciare dalle guerre, che portano distruzione, ma poi anche una grande rinascita. Intanto, provati e disorientati, fra cadute e risalite, saremmo a volte tentati di fermare tutto. Per scendere e dire basta al fardello di insuccessi e rinascite, ambizioni e conquiste, schiavitù e soddisfazioni, aggressioni e vittorie. Mentre la ruota gira, come sempre, con le regole della vecchia favola di Mandeville e nessuno sa fermarla. Ma sarebbe drammaticamente peggio, lasciando che tutto crolli.

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foto: l’ex Capo di Governo Silvio Berlusconi

Egoismi e narcisi della Politica di Michele Ciliberti storico e dirigente scolastico

ià in qualche precedente contributo si è detto che la crisi potrebbe essere una grande occasione di rivalsa e di rinascita, cioè bisognerebbe approfittare di questo momento negativo per liberarsi di tutto ciò che non va e porre le basi per costruire una società migliore. Si è detto pure che occorre conoscere la crisi e le sue cause, per poterla governare. A tal proposito appare utile l’analisi fatta, nel 1705, da B. de Mandeville in L’alveare scontento, ovvero i furfanti resi onesti. Il titolo sembra una perfetta fotografia della corruzione e degli scandali odierni. Però, se si va ad esaminare meglio l’opera, riedita nel 1729 con il titolo di Favola delle api, ovvero, vizi privati, pubbliche virtù, si constata che la corruzione del corpo sociale, oggi, non produca assolutamente progresso e benessere. La legittima aspirazione della società alla giustizia e all’equità non può assolutamente contraddire la

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produttività e la pacifica convivenza, come, invece, avviene in Mandeville. Suonano devianti e scandalose alcune asserzioni fatte, poco tempo fa, dall’ex ministro R. Brunetta il quale, concordando con Mandeville, afferma che, in Italia, se circola una certa quantità di moneta lo si deve esclusivamente all’evasione fiscale, poiché lo Stato non è in grado di utilizzare al meglio i soldi dei contribuenti. L’amara e pessimistica analisi del Mandeville si fonda sul contrasto naturale tra virtù e progresso, poiché la civiltà è frutto delle passioni e dei vizi umani. I vizi, riprovevoli nel singolo, si trasformano in azioni virtuose per la comunità: essi, dunque, sono utili, come pure le passioni, il male e il negativo. Goethe, nel prologo del Faust, dice che senza Mefistofele gli uomini non farebbero nulla di buono, essi sono spinti solo dall’utile e dall’interesse privato. Le api raccolgono nettare per la loro cupidigia, eppure risultato di tale egoismo è il miele, proprio come la ricchezza

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pubblica discende dall’avarizia dei singoli. Una simile concezione per la società odierna non avrebbe senso, poiché il vizio è vizio, etimologicamente deriva da veto e, pertanto, è ciò che è vietato; mentre virtù deriva da vir, cioè, indica l’eccellenza dell’uomo. Occorre riflettere che non è il negativo a generare il positivo mediante la negazione di se stesso, come afferma la dialettica hegeliana, e che la condizione disastrosa, non solo economica, è figlia legittima e naturale delle azioni malvagie di chi dovrebbe garantire progresso e prosperità all’intera comunità. Il libertinismo di Mandeville non può risolvere i nostri problemi, ma un liberismo autentico, come sostenevano Croce ed Einaudi, sorretto da personalità coraggiose e illuminate, sì. Il prossimo governo politico dovrà mostrarsi capace di superare gli egoismi e il narcisismo dei singoli partiti che svendono sviluppo e progresso per una sedia da occupare in Parlamento.


Crisi

Le banche

continuano a speculare Secondo il rapporto Bri ancora rischio fallimenti *fonte: AGI Il circolo vizioso che ha innescato la crisi finanziaria, che poi ha colpito i debiti sovrani, continua come prima. E’ quanto emerge dalla Relazione annuale della Bri. “Gli istituti di maggiori dimensioni - si legge - continuano ad avere interesse ad accrescere la leva finanziaria senza prestare la debita attenzione alle conseguenze di un possibile fallimento: data la loro rilevanza sistemica, essi confidano che il settore pubblico si fara’ carico delle ripercussioni negative”. Malgrado i passi avanti nella ricapitalizzazione, prosegue la Bri, “molte banche seguitano a ope-

rare con un alto grado di leva finanziaria, comprese quelle che appaiono ben capitalizzate, ma in realta’ presentano enormi posizioni in derivati”. Gli istituti di maggiori dimensioni, prosegue il rapporto, “continuano ad avere interesse ad accrescere la leva finanziaria senza prestare la debita attenzione alle conseguenze di un possibile fallimento. Preoccupa inoltre vedere che, dopo una breve pausa indotta dalla crisi, l’attivita’ di negoziazione e’ tornata a essere una delle principali fonti di reddito delle grandi banche”.

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La “maga” delle casalinghe Incontro con Marisa Valleriani, imprenditrice di successo di Adele Di Feliciantonio

n una società dove persistono molti pregiudizi sulle capacità delle donne in ambito professionale, Marisa Valleriani è l’esempio di come una, moglie e mamma, dapprima contabile in un’impresa edile e oggi imprenditrice, abbia saputo inseguire e avverare la sua ambizione più grande: gestire un’attività propria, vero laboratorio di idee innovative al fine di creare prodotti per la casa. Così è nata Valmar, azienda con sede a Montorio al Vomano. Abbiamo incontrato questa donna di successo, affinché ci illustrasse la sua attività, ma soprattutto ci svelasse il segreto che l’ha vista passare dalla scrivania di un’azienda, dove era immersa nei libri contabili, a un palcoscenico sovra-nazionale che sta conquistando ogni giorno con i suoi prodotti. Lei conduceva una tranquilla vita lavorativa come ragioniera. Quando e soprattutto perché ha deciso di abbandonare per avviare una sua attività? Non ho abbandonato il mio lavoro improvvisamente. Tutto è avvenuto in modo graduale e senza progetti. Ogni giorno, mentre svolgevo i lavori domestici, soffrivo nel vedere il pane conservato in una busta di plastica. Per me era quasi un disagio. Ricordavo mia mamma e mia nonna che lo conservavano in un’arca di legno e pensavo che noi stiamo togliendo la dignità a questo elemento fondamentale della nostra alimentazione e della nostra cultura, soprattutto religiosa. Il pane è un elemento sacro e inviolabile, tenerlo nelle comuni e antigieniche buste della spesa o buttarlo perché ammuffito significa mancare di rispetto a noi stessi. E così ho creato il sacchetto “Fresco pane” che grazie all’utilizzo di un sistema brevettato mantiene il pane fresco e a contatto diretto con la fibra naturale, mantenendo fragranza e morbidezza per vari giorni. Da qui è partito tutto. Quella di gestire un’attività è stata da sempre la sua ambizione? Ho sempre desiderato di essere autonoma, perché ho continuamente la curiosità di scoprire, guardare avanti, voglia di fare. Dove ha trovato il coraggio in tempi così difficili? Forse quello che ci vuole è un po’ di incoscienza, ma si deve credere immensamente nel prodotto che si ha in mente. Immaginavo ogni famiglia che potesse risolvere, come me, il problema di non buttare il pane e quindi avere la mia creazione. E con il tempo ciò è accaduto, perché ho sempre più conferme, anche oltreoceano,

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della efficienza del mio sacchetto. Naturalmente la performance del “salva pane” è stata sperimentata e validata dal Dipartimento di Scienze degli alimenti dell’università di Teramo. Con le prove di laboratorio di un anno è stato certificato che con esso la conservazione è migliore rispetto a ogni altro metodo. Ed è nata la Valmar. E’ nata dal sacchetto “Fresco pane” ed è cresciuta grazie alle con-

ferme di chi lo ha utilizzato che mi ha incoraggiato a pensare ad altri prodotti. I suoi prodotti nascono tutti per dare soluzione a “problemi di casalinga”, suggeriti dal suo essere donna di casa in primis e poi imprenditrice. E cosa ci dice della neonata “Stireria a peso”? Anche qui tutto è stato pensato per la donna che è sempre più impegnata, agevolando il lavoro della stiratura con un servizio veloce e in ordine. La novità è che il bucato asciugato si può portare a stirare “a peso” in modo rapido, risparmiando tempo e denaro. Questo deve essere un input per cambiare la mentalità provinciale: anche la donna ha diritto a facilitazioni che permettono di investire parte del lavoro de-

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dicato ai mestieri di casa a se stesse e alla vita di coppia e dei figli. Il senso pratico, la sensibilità, l’attenzione verso le problematiche più sottili e il saper organizzare la vita familiare, caratteristiche tipicamente femminili, costituiscono quel valore aggiunto nel gestire il suo team di lavoro? Il saper organizzare casa e famiglia porta a un miglior senso pratico, che permette di organizzare con più scioltezza la vita aziendale. Ho tre figli e ho sempre lavorato. So quanti sacrifici comporta ed è per questo che cerco di trovare tutti i modi migliori per poter aiutare le donne di oggi. Come vede il futuro? Che ambizioni ha per la sua azienda? La Immagino in continua crescita, attraverso il potenziamento delle risorse umane con specifica formazione professionale; crescita e formazione sono inscindibili. Per quanto riguarda le ambizioni, mi concentro sempre alla ricerca di nuovi mercati. Il mio maggiore obiettivo: buona commercializzazione con selezione della clientela, soprattutto in questo periodo di crisi delle aziende. Cosa consiglia ai giovani e alle donne che hanno un sogno imprenditoriale nel cassetto, ma anche tanta paura? Di chiedere il coinvolgimento delle persone vicine. L’unione fa davvero la forza, soprattutto nella famiglia. Essere convinti del proprio progetto trasmette un entusiasmo sano che coinvolge le persone giuste. Ultima domanda: qual è il segreto nella riuscita di un progetto? L’impegno costante e il non arrendersi alle sconfitte e ai rifiuti che non devono assolutamente scalfire la bontà del prodotto e le nostre idee.


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foto G. Michini: a lato sinistro la parete di Torre Bruciata In basso al centro la chiesa di Sant Anna

Teramo che fu: ANTICA CATTEDRALE di Giuseppina Michini

na provincia nobilitata dal tempo di cui è carica, dagli affetti e gli sguardi indagatori di illustri innamorati, come ad esempio: Mario Pomilio, Carlo Emilio Gadda, Laudomia Bonanni. La fantasia di ritrovare l’ambiente teramano dal quale essi furono attratti, ora rappresenta una facile seduzione. Dopo la sosta al caffè, saggiando il gusto della “Belle Époque ” lungo Corso Cerulli, va da sé che si affianchi via dell’Antica Cattedrale. Il vicolo pieno d’ombra si slarga su una piazzetta appartata. Coccolata dalle case

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Dal nefasto incendio si salvarono la torre, realizzata a difesa dell’intera area sacra (tuttora “torre bruciata”) e la chiesetta di S. Anna...

che la incartano. Dispiace la magagna dei parcheggi autoritari e autorevoli. C’è un crogiolo di musei in una piazza dove è stata riportata alla luce la primitiva cattedrale di Santa Maria Aprutiensis. La pianta è rettangolare, con abside centrale. Lo spazio, ripartito da tre navate è affiancato da due ambienti laterali. Si mantenne in uso fino al 1155, quando fu completamente distrutta dalle truppe normanne di Roberto di Loretello. Dal nefasto incendio si salvarono la torre, realizzata a difesa dell’intera area sacra (tuttora “torre bruciata”) e la chiesetta di S. Anna. Infatti, la cima isolata trionfa sul retro dell’edificio di culto che si elevò sulle


vestigia di una domus e fu originariamente dedicato al martire San Getulio. Il piccolo sacrario era annesso alla vetusta cattedrale. Per volere della famiglia Pompetti, durante la seconda metà del Settecento, furono apportate delle modifiche alla struttura. Anche il nome mutò e fu così che divenne Sant’Anna dei Pompetti. L’attuale soglia d’accesso alla chiesa si affaccia sul lastricato e sfrutta il passaggio che un tempo portava sull’orto dei Pompetti. Questa scelta si concretizzò all’indomani di un restauro, il quale pose in secondo piano l’entrata principale della chiesa, ubicata sulla parete orientale, sotto l’arco e gli affreschi bizantini. L’attimo dei paesaggi trascorsi, si deposita dentro i cuori mentre ognuno ritaglia uno scorcio, una scena personale sul largo di S. Anna. Alcuni immaginano di sedere in un’agorà; più spontaneamente però, il piazzale diventa salotto per le chiacchiere, i baci, i calci al pallone, i giochi dei bimbi. I rocchi dorici, cotti al sole, dormono nel vialetto di ghiaia, sul quale il piede sente il rumore scandito di ogni passo fatto tra le pietre.

L’attuale soglia d’accesso alla chiesa si affaccia sul lastricato e sfrutta il passaggio che un tempo portava sull’orto dei Pompetti...

foto G. Michini: Resti della antica Cattedrale e della domus romana

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Tastiera e giovani talenti

foto: il giovane Di Stefano in una performace

di Vincenzo Lisciani Petrini

abio Di Stefano è un giovane pianista teramano molto promettente.Teramo si conferma così una piccola culla di giovani talenti, sebbene spesso non trovino spazio negli eventi della nostra cittadina. Ormai cominciano a essere maturi i tempi per una stagione concertistica giovanile teramana più lunga e articolata. Il bel tentativo della Riccitelli da poco concluso è stato lodevole. Però è ancora embrionale e, se non incoraggiato da nuova linfa e nuove aperture, resterà limitante, cosa che di certo nessuno vuole, specie i musicisti. Fabio, gli inizi sono sempre casuali per

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ogni musicista. Si comincia anche per gioco. Come è entrata la musica nella tua vita? La musica a casa mia è sempre stata presente dato che in famiglia tutti sanno suonare uno strumento o cantare. Già da piccolissimo ero molto affascinato dal pianoforte e a sei anni ho cominciato a studiarlo sotto la guida della mia prima insegnante, Alessandra, con cui ho instaurato da subito un rapporto molto speciale. Dopo aver sostenuto l’esame di compimento inferiore, per vari motivi, insieme a lei ho deciso di iscrivermi in conservatorio a Teramo. A volte il Conservatorio non è un luogo molto accogliente. Cambiano i rap-

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porti con gli insegnanti, con i colleghi di corso etc. Tutto diventa più serio e si perde l’aspetto ludico che contraddistingue invece i primi anni di studio. Come è stato per te? Devo dire buono. Ho conosciuto il M° Alessandro Cappella ed entrando nella sua classe ho avuto modo di scoprire una nuova realtà che fino a quel momento ignoravo. Scoprivo la possibilità di conoscere tanta persone che suonavano come me il pianoforte (o un altro strumento). Era molto stimolante poter condividere questa passione con loro e mi sono arricchito molto con questi rapporti artistici e umani. A un certo punto, dopo le scuole supe-


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riori, hai dovuto scegliere tra l’università e la carriera nella musica. Cosa hai scelto? Ho cercato di conciliare questi due aspetti. Arrivato al IX anno di pianoforte mi sono iscritto alla facoltà di Ingegneria all’università “La Sapienza” di Roma. E’ stato un periodo difficile, perché il tempo a disposizione si è ridotto molto. Così non ho potuto affrontare gli ultimi due anni di pianoforte con la serenità

Chi è NOME: Fabio COGNOME: Di Stefano CLASSE: 1990 CITTA’: Sant’Egidio alla Vibrata (TE) STUDI: Diploma di Pianoforte presso l’IMP Braga di Teramo Iscritto al 3° anno della Facoltà di Ingegneria presso L’Università “La Sapienza” di Roma RICONOSCIMENTI: Primo premio assoluto al Concorso internazionale “Memorial Mario Polovineo” di Teramo, secondo premio alla “Prima rassegna musicale città di Pescara”, secondo premio al Concorso “Ars Nova città di Teramo”, secondo premio al Concorso “Città di Bucchianico”. (scegli tu cosa mettere e cosa no) COLLABORAZIONI: Duo con il Violoncellista M° Alan Di Liberatore CONCERTI: “La stanza delle meraviglie” presso S.Omero (2008) “Sulla via dell’arte” presso Ascoli Piceno (2009), “Maratona Liszt” presso Teramo (2011) “Giovani Talenti in musica” (concerto di musica da camera con il M° Alan Di Liberatore) (2011) PROSSIMI PROGETTI: Collaborazione con la Giovane Orchestra d’Abruzzo, Chopin Concerto op.11 in mi minore. UN SOGNO NEL CASSETTO: Diventare un “vero” pianista e girare il mondo conoscendo nuove culture. UN MOTTO O UN AGGETTIVO PER DESCRIVERTI: L’impegno dà sempre i suoi frutti.

to, cosa hai imparato? Penso di essere una persona molto modesta in questo. Conoscendo altri musicisti mi sono sempre messo in un clima di sana competizione; non, quindi, una gara per decretare chi fosse il migliore, bensì un modo per essere spinti a fare sempre meglio, a dare di più, senza mai accontentarsi. Tuttavia il confronto ridimensiona anche quelle aspettative. Non tutti, per intenderci, sono nati per essere concertisti, ma – questo è l’importante– ognuno può ricoprire un posto di rilievo nella musica. Qual è il tuo? E’ una domanda molto interessante, soprattutto perché non ho ancora trovato una risposta definitiva. Ricordo che mi divido tra ingegneria e musica: non è un ripiego, ma anche una vera passione. Mi trovo spesso diviso, ma in risposta provo a dare il massimo in entrambi i campi senza precludermi nulla. A volte si rischia di non arrivare a tutto, ma i risultati positivi ripagano gli sforzi fatti. Comunque, devo riconoscere che la musica mi dà soddisfazioni uniche e inarrivabili. Secondo te si può ancora dire qualcosa di nuovo nell’interpretare il repertorio classico o c’è bisogno di cercare altrove stimoli più interessanti? Musica contemporanea, sperimentale, ambient music etc. Per quanto riguarda questi generi devo am-

mettere di non saperne abbastanza. Invece per ciò che mi riguarda più da vicino credo che il repertorio classico non abbia fine. Ogni singolo brano cresce dentro un musicista parallelamente alla sua maturazione musicale. Un brano studiato a vent’anni sarà suonato diversamente a quaranta e ancora a sessanta, trasmettendo sensazioni ed emozioni sempre nuove. Credo che non si possa mai dire di essere arrivati alla fine. Come è secondo te la situazione musicale a Teramo e in Abruzzo? E’ realmente fruita oppure no? Credo che a Teramo, grazie alla stagione concertistica e ad altri eventi organizzati, ci sia la possibilità di assistere a spettacoli di buon livello, ma i giovani sono ancora poco coinvolti. L’età media ai concerti di musica classica è molto alta, troppo alta, ma ho riscontrato questo problema anche in una grande città come Roma. Peccato. In fondo la musica è sempre un punto di riferimento importante e davvero, come diceva Nietzsche, “Senza musica la vita sarebbe un errore”. Al giorno d’oggi bisognerebbe prendere come esempio l’esperienza del Venezuela e della Simon Bolivar Orchestra, dove molti ragazzi grazie alla musica sono riusciti a risollevarsi da una situazione di miseria. Questo dimostra come un’arte, pur così interiore e astratta, possa dare risultati decisivi nella vita di ognuno di noi.

foto: Fabio Di Stefano

e la concentrazione necessarie. Ora, forse, me ne pento un po’. Nonostante tutto ho sempre dato il massimo che potevo, riuscendo ad ottenere alla fine i risultati desiderati. O quasi. Durante gli studi, spesso in modo quasi improvviso, comincia a manifestarsi il talento e maturano delle aspettative che spingono al confronto con gli altri, più e meno bravi… Da questo confronPrimaPagina 26 giu. 2012

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“COPIARE CON ORIGINALITÀ” Il designer teramano Luca Di Sabatino spiega il suo mondo di “artigiano” dell’immagine di Mariangela Sansone

uca Di Sabatino è un giovane creativo teramano con alle spalle un bel po’ di esperienza. Da sempre appassionato di arte, musica, cinema, fumetto, fotografia e design, ha iniziato a lavorare come illustratore circa 20 anni fa, e successivamente come graphic designer. Personaggio dalla spiccata sensibilità e con uno spasmodico amore per il bello, Di Sabatino non ha mai voluto porre limiti alla ricerca tecnica e stilistica, si è messo alla prova ogni volta che ne ha avuto la possibilità, confrontandosi con diversi settori espressivi. Proprio il personalissimo modo di lavorare e l’ eclettismo gli hanno consentito di essere in diverse occasioni protagonista sulle riviste di settore. Oltre a lavori di grafica, illustrazione e design, Luca realizza anche storyboards, regie e direzioni creative di spot e brevi animazioni, in Italia ed all’estero. Da qualche tempo svolge anche un’intensa attività didattica. Quando hai iniziato ad avvertire il fascino dell’immagine, dell’illustrazione e del disegno? “Credo che tutto sia cominciato quando ero molto piccolo, ma è con l’iscrizione al Liceo Artistico che ho davvero capito che quella del designer sarebbe stata la mia strada. Sono sempre stato attratto e incuriosito da tutto ciò che è immagine; poco importava se fosse cinema, fotografia o se fossero fumetti o manifesti, guardavo tutto e disegnavo tantissimo. Durante il mio percorso di studi mi sono ritrovato ad interrogarmi su tutte le dinamiche proprie

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della rappresentazione 2D e della ‘messa in tavola’. Ambiti nei quali gusto, equilibrio, enfasi e contrasto coesistono dando vita ad un’immagine con una vita propria. Essere un designer vuol dire vedere qualunque cosa -una for-

Essere un designer vuol dire vedere qualunque cosa -una forma. una pagina o un disegnointerrogandosi su cosa c’è dietro... ma. una pagina o un disegno- interrogandosi su cosa c’è dietro, cercando di immaginare le linee di costruzione e l’iter progettuale che ha generato quel determinato prodotto. Non fermarsi mai alla superficialità della rappresentazione, ma cercare di entrare il più possibile in empatia con l’immagine stessa e sperare che ti parli. A volte succede e a volte no; anzi, davvero di rado, ma quando accade gli occhi si riempiono di gioia”. La tua carriera è costellata da molte

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collaborazioni. Con quali aziende hai lavorato nel corso degli anni? “Sono freelance dal 2004. Ho lavorato sempre, o quasi, come consulente per agenzie e per loro ho avuto modo di realizzare progetti per aziende, come Conad, Roland Europe, Proel, Tigre Gabrielli, Wwf Italia, Bellantuono Sposa, Mariella Burani, Bluemarine, Indian Rags, Tonic Magazine, Gaia Edizioni, Giochi Preziosi, Primigi, Faber - Castell e molte altre, in vesti molto diverse che vanno dall’illustrazione al graphic design, al design, allo storyboarding, e anche alla regia. A Teramo ho la fortuna di collaborare da ormai parecchi anni con la Riccitelli. Sono attivo ormai da parecchio e di cose ne ho fatte davvero tante. Teramo è una piccola realtà e per lavorare bisogna, ahimé, emigrare. A parte poche cose (che reputo altamente stimolanti e divertenti), ho sempre lavorato poco nella mia città. Sono poche le possibilità di emergere, farsi riconoscere e soprattutto trovare stimoli”. Come nascono le idee per i tuoi progetti? “Nella maggior parte dei casi cercando di entrare il più possibile nel contesto che mi viene richiesto di rappresentare. Ci sono ambiti dove questo è ormai automatico come la musica o l’editoria per ragazzi, e altri ambiti dove faccio un po’ più fatica, ma dove mi sento ugualmente stimolato (come ad esempio la comunicazione istituzionale). In ognuno dei casi la prima fonte dalla quale attingo è il mio bagaglio di esperienze. Viaggio molto, mi guardo attorno, ascolto tanta musica e compro molti libri e fumetti. Cerco di leggere tanto sugli argomenti che mi interessano e di non


trascurare quelli che, in futuro, potrebbero essermi utili. Giro sempre con una macchina fotografica e tutto quello che mi ‘ispira’ lo fotografo. Non so mai cosa mi riserva il futuro, quindi cerco di essere pronto a qualunque sfida mi si dovesse parare davanti. Diversifico tantissimo la mia produzione. Cerco di essere il più possibile al passo con le richieste di mercato e per fare questo è importante “tenere il polso” di quella che è la creatività non solo in Italia ma soprattutto all’estero. Io dico sempre che l’originalità non esiste, esiste ‘copiare con originalità’, le cose sono nell’aria. L’ispirazione, il guizzo è nell’aria, molte volte la bravura o il talento del designer è riuscire a captare queste vibrazioni prima degli altri”. Quali sono le tue creazioni a cui sei più legato? “Solitamente lavoro sempre come se quel determinato progetto fosse il più importante della mia carriera. È però indubbio che qualcuno sia stato più importante, fosse anche solo per un discorso di visibilità. Per ‘Dmen’ ho realizzato tantissimi lavori belli e stimolanti. Tra questi, ad esempio, il design dell’interfaccia dell’applicazione iPad di Don Matteo per Lux Vide e Rai Fiction, e molti altri progetti di design di interfacce sempre per tablet e smartphone. Un’altra bella esperienza è stata la lavorazione di una clip di 45 secondi, totalmente realizzata in 3D, per Pampers. Per questo progetto mi sono occupato della sceneggiatura, dello storyboard, del character design dei personaggi, della regia e dei disegni di background. Un progetto stimolante che

ha visto impegnate 20 persone per circa 3 mesi di realizzazione. Mai prima di allora mi ero occupato di un progetto in tutti gli aspetti della sua lavorazione e devo dire che, a parte qualche divergenza interna su alcune scelte, il risultato finale è stato davvero buono. Altra tappa per me molto importante è stata il design di Robottino ABC, un giocattolo in plastica per bambini molto piccoli, con alcune funzioni didattiche”. Il tuo è un modo particolare di esprimerti artisticamente. “Sono sostanzialmente un artigiano e non un artista, anche se nel corso del 2011 ho realizzato una serie di circa 110 grafiche che ho raccolto in un libro dal titolo ‘Duplicity’. Sono grafiche non applicate al lavoro, ma realizzate per il puro gusto di esprimere me stesso attraverso una serie di media che conosco abbastanza bene (dalla macchina fotografica, alla matita, ai pennarelli, alla tavoletta grafica ed al computer). Il design è una missione. Non ho comprato un Mac e poi ho iniziato ad arrangiarmi sul computer cercando filtri e girando senza senso tra le palette dei vari programmi. Ho scelto il computer come mezzo di espressione, come scelgo le matite 2B per disegnare e le penne a sfera per scrivere. Il computer velocizza il processo creativo, ma non soppianta il processo stesso. L’arte è, parafrasando un artista che amo molto, ‘l’incontro fortuito di un ombrello e di un ferro da stiro su un tavolo di dissezione anatomica’. Questa frase di Ernst incarna al

meglio anche il mio pensiero rispetto al concetto di arte”. Ti senti limitato, artisticamente, da tutta quella serie di aspetti, legati ad esempio alla funzionalità ed alla convenienza economica della produzione dei beni di consumo, che un buon designer immagino non possa mai trascurare? “Limitazioni ve ne sono sempre ed ovunque. Fossero anche solo riferite a procedimenti di stampa particolari o a dimensioni che vorresti che il tuo progetto raggiungesse e che per questioni di costi non raggiungerà mai. L’aspetto economico rappresenta sempre un grosso scoglio, e non nascondo che una delle emozioni che mi riprometto di provare in futuro è quella di non avere vincoli di budget. Fino a qualche anno fa era il creativo, il designer o l’agenzia a dire al cliente di cosa realmente poteva aver bisogno e quali erano gli stanziamenti da dover affrontare per ottenere quel determinato risultato, ora non è più così. Sempre più spesso si assiste a pantomime nelle quali persone senza il minimo gusto danno “brief ” a grafici improvvisati, pensando di aver ben chiara l’immagine che potrebbe rappresentare al meglio la loro azienda.. Polemiche a parte, il buon designer a mio avviso è quello che riesce, banalmente, a mettere insieme le proprie velleità espressive, il proprio gusto e riesce a dare corpo alle necessità dell’azienda che in quel momento lo contatta. Nella mia esperienza mi ritengo molto fortunato”.

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Immigrazione tra i banchi di Flavio Bartolini

proprio all’interno della scuola che una percezione stereotipata degli immigrati può portare a conseguenze negative non solo per il percorso scolastico degli studenti figli di immigrati, ma anche per la loro possibilità di mobilità sociale. Da tempo ormai si parla nella scuola di “educazione interculturale”, con riferimento non solo alla necessità da parte dei docenti di attivarsi per dare una risposta immediata alla presenza di alunni stranieri, ma anche al dovere di innescare una politica educativa nuova, che si basi sui valori della convivenza pacifica, della solidarietà e del rispetto dei diritti e dei bisogni dell’altro, indipendentemente dalla condizione sociale, religiosa o culturale. L’idea di una scuola che educhi alla diversità rappresenta il punto di partenza per formare adulti e cittadini consapevoli, che non sentano il peso dell’impatto con la multietnicità, ma che siano consapevolmente cresciuti al suo interno. Nonostante decreti e circolari ministeriali da molti anni insistano sulla realizzazione di campagne di sensibilizzazione e aggiornamento degli insegnanti, l’educazione interculturale è oggi ancora solo un traguardo ideale, se si eccettuano situazioni in cui si fa sentire l’impegno concreto di dirigenti, docenti e operatori culturali più avvertiti. Regna oggi l’idea dell’ “emergenza immigrazione”, che si traduce nella scuola in attività e atteggiamenti di tipo “compensativo”, volti a risolvere problemi immediati, ma che non si fondano su una politica di lunga durata. Vanno in questo senso gli improvvisati “corsi di recupero” o i “laboratori linguistici” che spesso rappresentano una comoda etichetta per compilare progetti e unità didattiche, ma che nella maggioranza dei casi sono condotti da insegnati che, non essendosi formati in questo senso, devono con imbarazzo adeguarsi ad un ruolo che non sono preparati a ricoprire.. Sono corsi che spesso diventano l’inizio di un processo di ghettizzazione degli studenti stranieri che si insinua prima di tutto nella mente di questi ragazzi. Tutto il corpo docente è chiamato ad un tipo di impegno che vada al di là dell’insegnamento della propria disciplina e che ponga le basi di un nuovo atteggiamento. Per far questo è necessario partire dalla consapevolezza che le insufficienze scolastiche che spesso riguardano gli studenti stranieri non dipendono da mancanze di questi ultimi e che non serva

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semplicemente “recuperarli”. Lo scarso rendimento è spesso il frutto della mancanza di servizi educativi adeguati, che creino il clima favorevole all’integrazione e all’apprendimento. Perché si possa effettivamente parlare di “formazione interculturale” ci sembra che sia essenziale basarsi su un’ informazione seria ed approfondita, su un tipo di sapere che non si articoli solo sul piano cognitivo, ma anche su quello emozionale. Lo scopo deve essere quello di contenere le paure, razionalizzandole e rivelando i meccanismi spesso inconsci ma errati su cui si basano, orientare e convertire il senso di aggressività che spesso questi timori creano verso gli altri in atteggiamenti di impegno al confronto, educare e motivare gli studenti a tendere con entusiasmo e curiosità verso il nuovo, perché abbiano la voglia e il coraggio di mettersi in gioco e imparare dall’altro.

LA SCUOLA CHE CAMBIA Intervista al dirigente Umberto La Rosa di Clementina Berardocco

l nostro Paese è attraversato da un vento di cambiamento culturale. Cosa sta mutando nella scuola italiana? I cambiamenti sono sempre più rapidi, segno di una trasformazione veloce nei modi di pensare. La scuola ne è ampiamente coinvolta visto che, insieme alle altre agenzie del territorio, deve rispondere ai bisogni educativi emergenti. Ma deve essere ben attrezzata dal punto di vista culturale, anche per quanto riguarda gli strumenti e l’organizzazione di cui dispone: la scuola non può essere impoverita nelle risorse umane e finanziarie, nelle collaborazioni con gli enti territoriali e nel suo assetto istituzionale, perché corre il rischio di non offrire delle risposte qualificate, andando incontro al fenomeno della “delegittimazione”. Quali i ruoli e i contenuti della scuola del primo ciclo alla luce delle recenti

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indicazioni ministeriali? Il testo colma un vuoto che la scuola del primo ciclo ha avuto per tre anni. Recentemente il ministro Profumo, ravvisando la necessità di emanare nuovi programmi per la scuola di base, ha affidato ad una commissione di esperti la revisione delle indicazioni e, a mio modesto parere, essa ha realizzato un buon lavoro in breve tempo, visto che ha avuto a disposizione pochi mesi. Il testo è offerto alla consultazione delle scuole italiane che devono metterne in luce i punti di forza e le criticità. È da ritenere sicuramente utile e opportuna l’operazione lanciata dal ministero, perché viene data “la parola”alle scuole. Cos’è il dimensionamento scolastico? La bozza delle nuove indicazioni è centrata sull’organizzazione dell’istituto comprensivo che investe scuola dell’infanzia, primaria e la secondaria di primo grado. Il primo ciclo co-


stituisce il primo segmento del percorso scolastico ed è finalizzato a promuovere il pieno sviluppo della persona. La “comprensività” però non va solo decretata per legge, ma va costruita con il contributo fondamentale dei docenti dei tre ordini di scuola, attraverso l’elaborazione di un curricolo verticale per competenze.

Quest’ultime già definite dal Parlamento europeo. Qualcuno ha nostalgia della scuola del “leggere, scrivere e far di conto”. Lei cosa ne pensa? Nel testo sulle indicazioni si fa specifico riferimento all’alfabetizzazione culturale di base che comprende anche l’alfabetizzazione strumentale (leggere, scrivere

e far di conto), potenziandola mediante i linguaggi e i saperi delle varie discipline. Nessuno, penso, possa prescindere dall’offrire agli alunni gli strumenti della prima alfabetizzazione, ma ciò non è sufficiente oggi, nella società della conoscenza, per soddisfare i bisogni degli allievi, ai quali occorre offrire i quadri concettuali di interpretazione della società. Anche il sistema valutativo è mutato. Occorre prima di tutto che le forme di insegnamento siano sempre più raffinante, motivanti per gli alunni se vogliamo garantire un scuola di qualità. Ovviamente, un buon processo di insegnamento non può prescindere da un buon processo di valutazione che implica l’adozione di scelte condivise da parte del corpo docente. Se il curricolo verticale verrà elaborato collegialmente, attivando una fase di negoziazione, di certo le scelte per la valutazione formativa dell’allievo saranno condivise, scongiurando in tal modo dinamiche conflittuali tra i docenti. I docenti hanno bisogno di essere “accompagnati” per la messa in atto delle indicazioni. Quali iniziative sono state programmate sul nostro territorio? Una valida occasione è rappresentata dal Seminario del 26 giugno a Teramo, con relatori il prof. Mario Castoldi dell’Università degli Studi di Torino, il prof. Giancarlo Cerini membro del nucleo redazionale delle nuove indicazioni, l’ispettrice Mariella Spinosi dell’Ufficio Scolastico Regionale i prof. Sala, Mapelli, Consegnati e Guardiani che hanno condotto i laboratori sulle metodologie innovative di insegnamento.

foto: il dirigente scolalastico La Rosa

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a cura di Ivan Di Nino

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non per caso

Agility dog L’agility dog è uno sport cinofilo che consiste in un percorso ad ostacoli (di solito dai 15 ai 20), ispirato al percorso ippico, che il cane deve affrontare nell’ordine previsto, possibilmente senza ricevere penalità e nel minor tempo possibile. Questa disciplina implica una buona armonia tra il cane e il suo conduttore che porta a una intesa perfetta tra i due. E’ necessario che i partecipanti posseggano gli elementi di base d’educazione e obbedienza e il conduttore deve seguire il cane comunicando con esso, dandogli

dei comandi e accompagnandolo in tutto il percorso, “ ma tutto è soprattutto un gioco – spiega Roberta Di Blasio istruttrice Aia (Associazione italiana agility) e responsabile, insieme a Marianne Osund del centro Agility Dog Abruzzo di Cepagatti- per questo l’interazione tra il cane e il conduttore è basato sulla familiarità e il divertimento di entrambi nell’eseguire i percorsi e gli esercizi di agilità senza alcun tipo di coercizione. Come tra le persone ci sono cani più giocherelloni di altri, ma è difficile per un cane resistere alla tentazione di una bella corsa o del gioco”.

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ANAGRAFE CANINA - ULTIMO AGG. 09 MAGGIO 2012 fonte: il “Ministero della Salute”

5.705.687 (cani, gatti, furetti) STRUTTURE ACCOGLIENZA CANI E GATTI Situazione nazionele

915 (strutture autorizzate)

Situazione in Abruzzo

51.709 (cani) 31(strutture autorizzate)

STIMA DELLA POPOLAZIONE CANINA RANDAGIA

124.101 Situazione nazionele

15.220

Situazione in Abruzzo

ABBANDONI ESTIVI Con il ritorno della bella stagione cresce il fenomeno del randagismo. Consigli da Ilaria Ferri, direttore scientifico dell’Enpa di Coralba Capuani

on l’estate si ripresenta l’annoso problema dell’abbandono degli animali. Nonostante gli appelli lanciati dalle varie associazioni animaliste, il fenomeno non sembra in calo e, come sempre, a settembre arrivano i dati degli animali “condannati” a una vita di stenti in mezzo alla strada o a morte; spesso investiti dalle auto. Abbiamo posto alcune domande a Ilaria Ferri, diret-

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tore scientifico Ente Nazionale Protezione Animali. «Il problema del randagismo – spiega la dottoressa – nasce prima di tutto dalla mancanza di responsabilità di chi decide di adottare un animale. Spesso lo si fa per accontentare i bambini o per moda, perché una razza particolare è protagonista di un film ad esempio. Non ci si rende conto che un animale ha delle esigenze proprie, ha bisogno delle nostre costanti attenzioni, di cure veterinarie, e non solo quando l’animale è vecchio e amma-

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lato. Per prevenire l’abbandono è necessaria un’adozione responsabile che tenga conto delle esigenze e dello stile di vita del proprietario, della famiglia ma anche dell’animale stesso». Che problemi crea il randagismo? «Si deve pensare che un animale abituato a vivere in famiglia se abbandonato non sarà autosufficiente, cioè in grado di procurarsi da mangiare, ad esempio. Per non parlare poi del trauma che si infligge all’animale che si trova all’improvviso privo dei suoi riferimenti affettivi. È un fenomeno vergognoso e incivile che offre anche una bruttissima immagine del nostro Paese, non è raro infatti che i turisti provenienti da paesi più sensibili ai diritti degli animali si lagnino di questo fenomeno affibbiandoci l’etichetta di paese poco evoluto. Inoltre, il fenomeno può rappresentare a volte anche un pericolo per i cittadini; non è raro infatti che branchi di cani inselvatichiti attacchino l’uomo a volte provocandone persino l’uccisione, la cronaca è piena di questi episodi. Vale la pena ricordare poi che l’abbandono, l’uccisione o il maltrattamento sono reati puniti severamente dalla legge; chiunque abbando-

Inoltre, il fenomeno può rappresentare a volte anche un pericolo per i cittadini; non è raro infatti che... ni un animale rischia dai tre ai diciotto mesi di carcere oltre a un’ammenda che va dai 3.000 ai 15.000 euro». Se un cittadino si trova di fronte a una colonia felina o a un cane randagio, cosa deve fare? «Il cittadino non può sostituirsi alle istituzioni preposte a occuparsi del problema, in primo luogo il sindaco, che è tenuto a farsene carico rappresentando anche l’autorità sanitaria e comunque le asl che provvederanno alla sterilizzazione e a inserire un microchip identificativo sottopelle». Consigli? «In primis far sterilizzare il proprio animale, cane o gatto che sia, e dotarlo di un microchip; è un’operazione veloce e indolore che serve a identificare l’animale in caso di smarrimento. Inoltre, suggerirei di riflettere bene prima di prendere in casa un essere vivente, di valutare tutti i pro e i contro, perché è una scelta impegnativa che ci vincolerà per tutta la vita dell’animale».


dintorni

Truffa dello specchietto

a cura di

di Emiliano Caretti

vete mai sentito parlare della truffa dello specchietto? E’ un raggiro tornato recentemente di moda di chi cerca di farsi risarcire in contanti e “al volo” per un finto danno, causato - secondo il truffatore di turno da una condotta scorretta dell’ignara ed ingenua “vittima”. La sceneggiata avviene quasi sempre su strade trafficate ed il via lo si ha con un lieve colpo alla carrozzeria senza visibili conseguenze. Ma ecco che spunta il furbacchione: una macchina dietro di noi spara colpi di abbaglianti con l’intento di farci accostare. Nel caso l’invito fosse accolto, scatta la truffa vera e propria, ultimamente effettuata anche con varianti piuttosto sinistre. Mangiare al volante è come guidare da ubriachi Il presunto danneggiato accusa quindi l’altro automobilista di aver colpito la propria vettura e, per dimostrarlo, mostra lo specchietto rotto o una vecchia ammaccatura sulla carrozzeria. Un particolare che a que-

sto punto dovrebbe farci insospettire sarà il rifiuto di compilare, con la onnipresente scusa della fretta, il CID - preferito ad un più rapido “saldo contestuale”, anche per evitare scocciature o aumenti del premio assicurativo; insomma: abbiamo incontrato un gentleman! Altra variante dello stesso raggiro, ma più macabra, è stata recentemente segnalata dalle Forze dell’Ordine e riguarda il ferimento del “truffatore” che cammina su un lato della carreggiata sprovvisto di area per pedoni, nonostante la presenza di un largo marciapiede sulla parte opposta. In tal caso, dopo il colpo alla vettura, il truffatore mostrerebbe addirittura ferite sanguinanti (auto-provocate in precedenza) su mani o braccia e gli eventuali segni di sangue sulla carrozzeria a testimonianza della propria sincerità. Ovviamente, anche in quest’occasione, la presunta vittima pretenderà di essere risarcita “brevi manu” per il danno subito senza passare per l’ospedale o l’intervento di Polizia o Vigili Urbani (obbligatorio in

presenza di feriti ndr). In entrambi i casi citati il cittadino onesto potrebbe realmente sentirsi responsabile di quanto accaduto, magari ulteriormente commosso da racconti più o meno toccanti su presunte necessità economiche o dalla presenza di un “testimone”, ovviamente anch’egli “attore consumato”. Litigi in auto: svelate le motivazioni Ora che siete a conoscenza di quanto potrebbe accadere sul tranquillo tragitto da casa a lavoro pensate anche al da farsi nel caso vi capiti una situazione del genere. L’ideale sarebbe ovviamente avvisare le Forze dell’Ordine, rifiutando di “essere accompagnati in luoghi più tranquilli”. Purtroppo tra il “dire e il fare c’è di mezzo un mare”, ragionare con questo tipo d’interlocutori può risultare piuttosto pericoloso e quella di “mercanteggiare” resta purtroppo una delle vie d’uscita più accreditate. Ammettere di avere pochi Euro può aiutarci a “sbrigare la pratica”, anche se resta l’amaro e la rabbia di una violenza subita.

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legale

Tradimenti coniugali e risarcimenti di Gianfranco Puca Avvocato, Mediatore Professionista

na recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 8862 del 1° giugno 2012, chiarisce la responsabilità risarcitoria derivante dalla violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale; tale sentenza si inserisce in una evoluzione della giurisprudenza -di merito e legittimità- che ha esteso anche al diritto di famiglia -con riferimento ai rapporti tra i coniugi e tra genitori e figli- la logica e i metodi della responsabilità civile (sono i cd danni endofamiliari). Questa la vicenda giudiziaria. Il Tribunale di Macerata pronunciava la separazione giudiziale tra i coniugi AB e CD con addebito al marito, assegnando la casa coniugale alla moglie, disponendo l’affidamento congiunto delle figlie minori, ponendo a carico del marito assegni a favore delle figlie, ma escludendo l’assegno di mantenimento ed il risarcimento dei danni non patrimoniali (morali) per la moglie. La moglie appellava la sentenza, lamentando, appunto, sia la mancata concessione di un assegno in suo favore, sia il mancato riconoscimento e risarcimento dei danni non patrimoniali a suo favore; la Corte di Appello modificava solo gli importi degli assegni a favore delle figlie minori confermando, per il resto, la sentenza. La moglie ricorreva quindi dinanzi alla Corte di Cassazione; il marito proponeva ricorso incidentale. La Suprema Corte rigettava integralmente il ricorso incidentale proposto dal marito, mentre accoglieva quello principale proposto dalla moglie. Circa il mancato riconoscimento dell’assegno di mantenimento a favore della moglie la Corte osservava quanto segue. E’ orientamento consolidato ( ved. Cass. 6698/2009) che per determinare l’assegno di separazione (o di divorzio) l’inadeguatezza dei redditi del coniuge richiedente l’assegno va commisurata al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale, accertato il quale il Giudice dovrà valutare se i mezzi economici a disposizione del richiedente gli permettano di conservarlo e, in caso negativo, dovrà procedere alla valutazione comparativa dei mezzi a disposizione di ciascun coniuge. La sentenza impugnata (e cassata dalla Corte) ha, da un lato, accertato la sussistenza di un tenore di vita molto elevato durante la convivenza matrimoniale e, dall’altro - con

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una motivazione insufficiente e, almeno in parte, contraddittoria- ha precisato che la moglie non avrebbe dimostrato la propria inadeguatezza dei redditi, svolgendo attività lavorativa retribuita; il Giudice non aveva verificato nulla circa i mezzi economici della coniuge richiedente l’assegno, quasi che una qualsiasi attività lavorativa sia in grado di escludere l’assegno di mantenimento. Circa il mancato riconoscimento del risarcimento dei danni non patrimoniali, la

“ la legge ha eliminato il carattere illecito dell’adulterio” e, quindi, il desiderio di “libertà e felicità” del marito, ... sarebbe sanzionato solo con l’addebito della separazione Corte ha cassato la sentenza con una motivazione più complessa. La sentenza impugnata viene fortemente criticata nella parte in cui, ritenendo non “antigiuridica” la condotta del marito, ha rigettato la richiesta di risarcimento dei danni morali della moglie, soprattutto in considerazione che la “legge ha eliminato il carattere illecito dell’adulterio” e, quindi, il desiderio di “libertà e felicità” del marito, pur comportando disgregazione della famiglia, sarebbe sanzionato solo con l’addebito della separazione, escludendo (secondo la Corte d’Appello) la possibilità di poter considerare il comportamento del marito come fonte di risarcimento danni. La Cassazione ha chiaramente affermato come il giudice della sentenza impugnata non abbia tenuto conto della evoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni, che ha esteso anche al diritto di famiglia, con

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particolare riferimento ai rapporti tra i coniugi e tra i genitori e i figli, l’area della responsabilità risarcitoria. La Corte di Cassazione ha affermato come, se è vero che l’adulterio non ha più rilevanza penale, sia altrettanto vero che, oggi, i danni non patrimoniali non sono solo quelli derivanti da reato; la Corte, infatti, ha ripetutamente precisato che la violazione dei diritti fondamentali della persona, incidendo sui beni essenziali della vita, da luogo a responsabilità risarcitoria per danni non patrimoniali ( ved. Cass. nn. 7281, 7282, 7283 del 2003). La Cassazione ha precisato come la responsabilità del coniuge nei confronti dell’altro coniuge, o del genitore nei confronti del figlio, non si fondi sulla mera violazione dei doveri, matrimoniali o genitoriali, ma sulla lesione, a seguito dell’avvenuta violazione di tali a doveri, di beni inerenti la persona umana, come la salute, la privacy, i rapporti relazionali (ved. Cass. 9801/2005 e, specificamente sull’obbligo di fedeltà, Cass. 18853/2011 e 610/2012). La Cassazione ha censurato la sentenza impugnata anche nella parte in cui riteneva l’addebito della separazione (strumento più sanzionatorio che risarcitorio) non cumulabile ad una condanna al risarcimenti dei danni non patrimoniali. La Cassazione, sul punto, ha rilevato come la violazione di obblighi nascenti dal matrimonio, da un lato, è causa di intollerabilità della convivenza e giustifica la pronuncia di addebito, e, da altro lato, tale violazione si configuri come comportamento (doloso o colposo) che incide sui beni essenziali della vita e produce un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento a favore dell’altro coniuge; per la Cassazione, quindi, possono sicuramente coesistere pronuncia di addebito e condanna al risarcimento dei danni. La Corte di Appello non ha esaminato gli effetti negativi, provati dalla moglie, del comportamento del marito sulla privacy, sulla salute e sulla reputazione della moglie stessa. La Cassazione, quindi, ha cassato la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Ancona che, in diversa composizione rispetto a quella che ha pronunciato la sentenza cassata, dovrà pronunciarsi sia sull’assegno di mantenimento a favore della moglie e sia sul risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dalla stessa a causa della violazione dei doveri coniugali da parte del marito.


& dintorni

Conto corrente di base di Laura Di Paolantonio Dottore Commercialista

ome previsto dal Decreto Salva Italia dello scorso dicembre e dalla convenzione del 28 marzo a cura del ministero dell’Economia, Bankitalia, Abi, Poste Italiane e Aiip (Associazione italiana istituti di pagamento) dal primo giugno presso le banche sono stati offerti i tanto attesi conti di base. Sono conti correnti a costi contenuti, trasparenti, offerti senza spese alle fasce della popolazione disagiate. La convenzione prevede quattro tipologie basic a disposizione: per tutti i consumatori, per le fasce meno abbienti, per i pensionati. Analizziamo le principali caratteristiche di ogni tipologia di rapporto. Il prodotto ordinario è disponibile per tutti i vecchi e nuovi clienti. È dovuto il pagamento di un canone, non è prevista una

remunerazione sulle giacenze, ha una limitata operatività, possono effettuarsi prelevamenti e versamenti, pagamenti e incassi con bonifico, versamento assegni. Non è possibile emettere assegni, chiedere una carta di credito, aprire un deposito titoli o ottenere un affidamento. È sul canone che gli intermediari potranno stabilire il loro vantaggio competitivo. Altro limite è dettato dal numero esiguo di operazioni che possono essere effettuate, oltre le quali la banca ha potere di addebitare ulteriori costi. Previsto altresì il pagamento del bollo. Per le fasce meno abbienti non c’è addebito delle spese ed è esente da bollo. Condizione essenziale è avere un indicatore ISEE (indicatore situazione economica equivalente attestato da Inps, Comune o Caf), inferiore a 7.500,00 euro. Modello che deve essere presentato in sede di apertura di conto corrente e poi ogni anno entro il

primo marzo, pena pagamento del canone e del bollo. Per i pensionati è stato statuito un prodotto per coloro che hanno una pensione mensile netta fino a 1.500,00 euro, escluse le forme di previdenza complementare, non soggetto al pagamento del canone, ma lo è all’imposta di bollo. Molte delle operazioni sono a pagamento ed è gratuita solo parte dei servizi. Versione ulteriore del conto per pensionati è il conto per pensionati gratuito, è del tutto simile al precedente, ma non consente al titolare di accedere a servizi aggiuntivi, nemmeno a pagamento. Un consiglio prima di accedere, e decidere il passaggio, da una tipologia di versione. E’ opportuno fare un’attenta verifica dell’operatività bancaria, ossia dell’effettivo utilizzo e valutare caso per caso il prodotto che meglio sposa le esigenze, anche tenendo conto dei relativi costi e oneri.

scadenziario luglio 2012 entro il 16/07/2012

entro il 31/07/2012

entro il 31/07/2012

Locatori, persone fisiche titolari di partita Iva, proprietari o titolari di altro diritto reale di godimento su unità immobiliari abitative locate

Persone fisiche non titolari di partita Iva tenute ad effettuare i versamenti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi annuali (UNICO PF)

Titolari di abbonamento alla radio o alla televisione

Versamento,della 2° rata dell’imposta sostitutiva nella forma della c.d. “cedolare secca”, dovuta a titolo di saldo per l’anno 2011 e di primo acconto per l’anno 2012,con applicazione degli interessi mella misura dello 0,08%

Versamento della 2° rata dell’Irpef risultante dalle dichiarazioni annuali, a titolo di saldo per l’anno 2011 e di primo acconto per l’anno 2012, con applicazione degli interessi mella misura dello 0,23%

Versamento della 3° rata del canone trimestrale Versamento della 2° rata del canone semestrale

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IMU, non è finita qui… di Antonella Lorenzi

unga attesa ha caratterizzato i “lavori in corso” della nuova tassa sugli immobili: IMU. L’apprensione però non ha colpito i residenti nel comune di Valle Castellana(TE), Vincenzo Esposito, sindaco uscente, unico candidato e, ovviamente, sindaco riconfermato, si sta guadagnando la fiducia dei suoi elettori a “colpi di esenzione”. Il Comune montano ha puntato sulla promozione del territorio iniziando ad invogliare chi vi risiede a rimanere eliminando l’IMU sulla prima casa. Meno fortunati i residenti negli altri comuni della zona che hanno già dovuto versare la prima rata dell’imposta. PRIMA CASA Novità più cocente: è stata reintrodotta la tassazione sulla prima casa. Dal sito del comune di Teramo “Tutti sono tenuti al pagamento. Vengono meno le esenzioni sia per le abitazioni principali(…). La nuova IMU cancella l’esenzione per i fabbricati rurali”. Consegue che l’imposta si applica sia nella casa in cui

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si risiede, sia nelle altre. Le aliquote stabilite a livello nazionale sono: 0,40% (aliquota ridotta) per la prima casa e relative pertinenze; 0,76% per le proprietà diverse dall’abitazione principale. Permane, l’esenzione per i terreni agricoli siti nel territorio del Comune di Teramo in base all’art. 7 del D.L. n. 504/1992, che considera esenti da imposta i terreni agricoli ricadenti in aree montane. CHI E QUANDO E’ tenuto al pagamento dell’IMU, chiunque risieda in territorio italiano e sia proprietario di un immobile, titolare di un diritto reale su immobili (es. uso od usufrutto) o proprietario di terreni e/o aree edificabili. Il termine per il versamento del primo acconto, è scaduto il 18 giugno ed il saldo andrà versato entro il 16 dicembre. Per quanto concerne il versamento dell’imposta relativa alla sola prima casa il contribuente ha avuto facoltà di scegliere se versare la metà dell’importo oppure un terzo ed usufruire di ul-


teriori due rate (17 settembre e 17 dicembre). COME SI CALCOLA La base imponibile parte dalla rendita catastale a cui bisogna applicare una rivalutazione fissa del 5%. All’importo ottenuto si applica il moltiplicatore relativo alla categoria catastale a cui appartiene l’immobile, in caso di abitazione principale 160, si riduce per le altre categorie. Successivamente, si applica, all’importo risultate dai calcoli precedenti, la relativa aliquota (0,40% per abitazioni principali, 0,76% per le rimanenti proprietà). I dati necessari per il calcolo sono rilevabili da una semplice visura catastale. COME SI PAGA E’ stato possibile pagare l’IMU solo mediante modello F24. I codici tributo istituiti sono: ABITAZIONE PRINCIPALE E RELATIVE PERTINENZE - cod. 3912 FABBRICATI RURALI AD USO STRUMENTALE cod. 3913 AREE FABBRICABILI – Q.TA COMUNE - cod. 3916; AREE FABBRICABILI – Q.TA STATO - cod. 3917; ALTRI FABBRICATI – Q.TA COMUNE - cod. 3918; ALTRI FABBRICATI – Q.TA STATO - cod. 3919 ;

AGEVOLAZIONI Si possono detrarre € 200 per l’abitazione principale ed una detrazione aggiuntiva di € 50 per ogni figlio a carico, di età inferiore agli anni 26 (fino ad un massimo di 4 figli), se residenti nell’abitazione principale. CASI DI ESENZIONE In caso di divorzio o separazione è il coniuge che abita la casa a dover pagare l’imposta. Nel caso che i possessori degli immobili siano disabili o anziani che dimorano in istituti di ricovero, ogni singolo comune ha dovuto decidere se considerare l’abitazione come prima casa oppure no. Permangono altre esenzioni applicabili in casi particolari.

di 100 metri quadri in affitto, costerà mediamente € 831 annui a Pescara, € 653 a Chieti, € 574 all’Aquila e € 475 a Teramo. Spicca il dato di Pescara che si classifica al 12° posto nella classifica nazionale. A seguire troviamo Chieti, in 30esima posizione, L’Aquila (posiz. n. 51) e Teramo (posiz. n. 77).

ALIQUOTE Il primo tassello dell’Imu è imposto dallo stato, il secondo dai comuni (i codici tributo sono distinti) che possono intervenire sulle aliquote fino ad un massimo dello 0,3%. Molti comuni, al fine di far quadrare i propri bilanci sono già intervenuti, a Teramo l’aliquota per immobili diversi dalla prima casa, da applicare nel calcolo della seconda rata, è la massima. Da un indagine pubblicata di recente dal Sole 24Ore è emerso che in Abruzzo, l’Imu ad aliquota base, considerando un appartamento

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Gelato

SI CHIAMA ARTIGIANALE si legge industriale di Alessandro Tarentini

Basta leggere la lista degli ingredienti per rendersene conto. Oramai l’utilizzo di addensanti come gli alginati e le gomme agar sono d’uso comune...

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industrializzazione del gelato, in Italia, incomincia nella seconda metà del ‘900 con la nascita di aziende come “Motta” e “Alemagna”. Il 1951 segna quindi l’inizio di una guerra impari tra la grande industria e i piccoli produttori. La “Motta”, tramite una sapiente campagna stampa, colpisce duro su uno dei punti deboli della produzione artigianale: l’igiene. Utilizzando lo slogan “L’ice cream è garantito – igienico” fa intendere che i concorrenti producevano sì un prodotto gustoso, ma che peccava molto in quanto a salubrità. A tutto questo si aggiunse una serie di convegni e tavole rotonde, organizzate sempre dalle grandi aziende, in merito alle norme di vigilanza igienica sulla produzione e la vendita del gelato. Una volta plasmata l’opinione pubblica fu la stessa “Motta” a proporre ai piccoli gelatieri di cessare la produzione propria e vendere i suoi prodotti. Purtroppo furono in molti a cedere a tale “ricatto mediatico”, ponendo fine a una tradizione tramandata di padre in figlio. Al giorno d’oggi la produzione artigianale non esiste più, così come non esiste neanche un fantomatico mastro gelataio che seleziona con cura la materia prima (l’acqua, gli zuccheri, il latte e la panna, le uova, la frutta fresca, etc.), magari di produzione locale e biologica, e li lavora, seguendo precise ricette, per poter dare al consumatore un prodotto di qualità. La realtà è, purtroppo, ben diversa. Basta leggere la lista degli ingredienti per rendersene conto. Oramai l’utilizzo di addensanti come gli alginati e le gomme agar sono d’uso comuPrimaPagina 26 giu. 2012

ne. Agiscono sull’acqua rendendo il gelato asciutto e stabile; in tal modo ritardano lo sgocciolamento del gelato quando viene immesso al consumo. A completare la lista molto probabilmente ci sono degli emulsionanti, che rendono più cremoso il prodotto finale. Tra essi segnaliamo i monogliceridi, i monodigliceridi, i Sucresteri, le lecitine. Fanno parte degli additivi anche i coloranti e gli aromi. Tutti di questi ingredienti permettono a chi produce gelato “artigianale” di avere un prodotto perfettamente riproducibile in ogni momento dell’anno. Inoltre, un consumatore attento avrà notato che molte gelaterie non hanno un vero e proprio laboratorio di lavorazione. Questo perché la maggior parte di venditori di gelato, è proprio il caso di dirlo, acquista semilavorati industriali, a cui basta aggiungere acqua e mantecarlo per avere un prodotto finito. Oppure esiste in commercio un semilavorato “bianco” privo di additivi ed emulsionanti a cui vanno aggiunti i vari ingredienti in base alla propria fantasia, dando vita a gelati a base di acqua (frutta, infusi ecc.) oppure gelati a base di latte (creme ecc.). Bisogna precisare che quest’ultimi sono prodotti sani e genuini, ma, siccome utilizzano anch’essi la denominazione “gelato artigianale”, traggono in inganno il consumatore poco informato. E tutto questo è a norma di legge, perché il legislatore non ha mai disciplinato la materia e i produttori furbi attaccano la parola “artigianale” a prodotti che sono tutto tranne che fatti a mano.


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Caffé

SALUTE NELLA TAZZINA (senza eccedere) di Alessandro Tarentini

ere un caffè durante la giornata ha molteplici significati: può rappresentare un momento di socializzazione, oppure di semplice relax solitario, o ancora un piacere quotidiano che a volte si trasforma in vizio, se non in dipendenza, nei casi più estremi. Gli italiani hanno sempre considerato, sbagliando, il caffè come una delle bevande più tradizionali della loro cultura. Da qualche anno sappiamo però che il primato dei consumi europei è nella mani dei norvegesi, con ben 9,9 kg pro capite, contro i soli 5,9 kg degli italiani. La realtà dei fatti, però, non è così semplice come questi numeri vorrebbero farla apparire. Da nazione in nazione, infatti, cambiano le modalità di preparazione e la varietà di caffè utilizzato influenza non solo il gusto, ma anche la quantità di una molecola molto importante: la caffeina.Tale sostanza è da anni sotto l’osservazione di attenti ricercatori che cercano di capirne gli effetti sull’organismo umano. Anche in questo caso vale la regola generale “è la

dose a fare il veleno”. Alle dosi abituali la caffeina riesce a stimolare la concentrazione favorendo lo svolgimento di lavori lunghi e monotoni. Naturalmente se lo stato di vigilanza è già al massimo non si potrà aumentarla ancora. Da tempo la scienza cerca anche correlazioni tra il consumo di caffè e malattie cardiovascolari, con risultati molto contrastanti. Sembra comunque che il consumo di caffè faccia aumentare di poco la pressione arteriosa, senza diventare quindi un problema per la salute umana. Si è escluso anche il rischio dell’insorgenza di alcune forme di tumore, mentre, anzi, si è dimostrato l’effetto protettivo nel caso del cancro al colon retto. Numerosi studi scientifici hanno sfatato anche la leggenda urbana che il consumo di caffè possa influenzare negativamente il periodo della gravidanza. I medici comunque consigliano di ridurne il consumo in quei casi in cui vi siano situazioni cliniche considerate critiche, come ipertensione, aritmia, ulcere pre-esistenti, come pure durante l’allattamento (la caffeina può passare nel latte

materno ed influenzare negativamente il sonno del bambino). Inoltre, secondo l’NCI (US National Cancer Institute) il consumo di caffè può diminuire del 10% il rischio di morte. La ricerca ha coinvolto circa 40.000 persone, e ha seguito le abitudini alimentari di uomini e donne tra i 50 ed i 71 anni. Secondo i ricercatori la presenza di importanti antiossidanti nel caffè influisce positivamente sull’organismo umano. In tal modo, secondo gli studiosi, se associato al vizio del fumo si ha una riduzione dei casi di morte prematura. Tale ricerca ha comunque dei limiti. Non si tiene conto, ad esempio, delle diverse modalità di preparazione. Il caffè preparato nel nord Europa, una sorta di beverone nero, è molto diluito rispetto al caffè preparato nella moka o quello espresso. In quest’ultimo caso, l’espresso lungo contiene più caffeina rispetto a un caffè corto o ristretto in quanto l’acqua ha avuto più tempo per estrarla. Concludendo, si può dire che il caffè è sicuramente un prodotto sicuro, se consumato con moderazione.

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benessere

Colonscopia virtuale Dr. Claudio D’Archivio

Specialista in Radiodiagnostica e Scienze delle Immagini

l cancro del colon retto è la terza neoplasia per incidenzae mortalità nel mondo e la seconda causa di morte oncologica nei paesi industrializzati. In Italia ci sono circa 38.000 nuovi casi di CCR l’anno, che situano questa neoplasia al secondo posto tra le localizzazionitumorali con un totale di decessi di circa 17.000. La sopravvivenza è di circa il 73% a 1 anno e del 49% a 5 anni. Raro prima dei 45-50 anni, aumenta notevolmente la sua incidenza a partire da questa fascia di età. Il precursore della neoplasia è il polipo adenomatoso, che può essere individuato precocemente dalle tecniche di screening, interrompendo così la sequenza adenomacarcinoma. Pertanto è fondamentale anche nel CCR la diagnosi precoce. La colonscopia ottica (CO) rappresenta il gold standard nell’individuazione del CCR o suoi precursori (polipi adenomatosi), ma recentemente, l’American cancer society ha inserito la colonscopia Virtuale (CV) tra le metodiche di screening per il carcinoma colorettale, definendola come un’eccellente tecnica di screening. Da recenti studi di meta-analisi di lavori che

hanno valutato il valore diagnostico della CV rispetto alla CO, in una popolazione media a rischio, si evidenzia che la CV ha un’ottima sensibilità per adenomi _>10 mm, mentre è relativamente più bassa per adenomi da 6 a 9 mm. La sua sensibilità sia bbassa ulteriormente per i polipi di diametro _< 5 mm, ma in questi la possibilità di avere un tumore, o che lo diventi, è davvero minima. Tra i vantaggi della CV vi sono: una migliore compliance del paziente e l’essere meno invasiva rispetto alla CO. Un limite della CV è l’impossibilità di effettuare prelievi bioptici per l’esame istologico, al quale si è ovviati utilizzando la dimensione del polipo come surrogato dell’istopatologia. Infatti tutti i polipi di dimensioni _>6 mm vanno inviati all CO in accordo con le linee guida Usa. In un lavoro, Pickhardt ha dimostrato un alto valore predittivo positivo tra i risultati della CV e la successiva valutazione con CO. Quest’ultima ha identificato alcune lesioni non riportate dalla CV; ma il 70% di esse erano <_ di 5 mm, e di questi il 70% erano polipi iperplastici. L’alta affidabilità della CV nell’individuare piccole lesioni dipende da molti fattori: preparazione intestinale, distensione colica, sensibilità del Tomografo Multistrato e possibilità del software di elaborazione. Oltre all’esperienza del radiologo, elemento da non sottovalutare.

foto: (a lato sx) test con risultato negativo (in alto dx) test con risultato positivo

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Tra i vantaggi della Colonscopia Virtuale vi sono: una migliore compliance del paziente e l’essere meno invasiva rispetto alla Colonscopia Ottica


& salute

Radiofrequenza non ablativa Dr. Vittoria Dragani

Specialista in Igiene e Medicina Preventiva

a radiofrequenza non ablativa è una tecnica di rimodellamento del tessuto cutaneo e sottocutaneo, conferisce levigatezza e turgore alla cute riducendo in maniera efficace la lassità cutanea. Il trattamento non è invasivo, si effettua in ambulatorio, non è doloroso e non richiede né anestesia né medicazioni. Il dispositivo TEKNOFREQUENCY RINNOVA TS WALLY EXPORT TOUCHSCREEN Viso Corpo sfrutta l’energia elettromagnetica che produce un aumento di temperatura a livello del derma che induce un immediato ringiovanimento cutaneo visibile già dalle prime applicazioni. La temperatura di circa 40° che si raggiunge nel derma profondo, crea una denaturazione dei legami delle fibre di collagene con conseguente accorciamento delle fibre stesse. Ne consegue un aumento di consistenza del derma e un effetto tensorio molto visibile. L’azione è duplice in quanto a questo effetto lifting immediato si aggiunge un effetto a lungo termine, quello della produzione di nuovo collagene. Un ulteriore effetto benefico del calore sui tessuti è l’aumento del microcircolo sanguigno con effetto drenante e favorente il metabolismo cellulare (thermoterapy). La ricostruzione del derma e dell’ipoderma avverrà pertanto nei tempi fisiologici e naturali in relazione ad alcune variabili quali: età del paziente, lassità del tessuto ed abitudini di vita. Studi scientifici hanno dimostrato che non ci sono effetti sulla melanina; questo rende la metodica sicura in tutti i fototipi e pertanto può essere effettuata in ogni periodo dell’anno. I trattamenti con radiofrequenza possono essere effettuati sia sul viso e collo che sul rilassamento della braccia e dell’interno cosce, dell’addome, nel trattamento dell’invecchiamento delle mani. La metodica può essere utilizzata in abbinamento ai trattamenti con Osmosi ultrasonica Inversa utilizzata per la riduzione

delle adiposità localizzate. La visita medica preliminare permette di valutare le indicazioni al trattamento e gli eventuali criteri di esclusione. Al termine dell’applicazione non sono stati osservati effetti indesiderati. Il lieve rossore che si evidenzia si attenua comunque in poche ore dopo applicazione di una emulsione lenitiva. Il protocollo di trattamento prevede da un minimo di 8 ad un massimo di 20 sedute a seconda delle aree da trattare. Il tempo medio di applicazione è di 45 minuti circa.

I trattamenti con radiofrequenza possono essere effettuati sia sul viso e collo che sul rilassamento della braccia...

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servito

Scampi alla Catalana Gli scampi alla Catalana sono un un antipasto proteico ricco di proteine e fibre, ma con valori per il colesterolo più alti rispetto agli altri molluschi e pesci. ( da 95 a 180 mg ogni 100 grammi) Per l’insalata di scampi alla catalana ci serviranno i seguenti ingredienti (valido per 2 persone): 1. 10 scampi freschi 2. 2 carote 3. 1 Trevisana 4. 1 belga 5. mezzo peperone rosso e mezzo giallo 6. 1 cipolla tropea 7. 3 coste di sedano 8. 30 grammi di olive di gaeta 9. 30 grammi di capperi in fiore con gambo 10. 100 grammi di pomodori pachino 11. succo di limone 12. olio extra vergine d’oliva 13. sale, pepe, prezzemolo

centro vuoto per poi adagiarci pomodorini, olive, capperi e cipolla, tagliati in sottili rondelle. In una pentola, far bollire l’acqua. Tagliare gli scampi a metà, senza separarli, e immergerli per 3 minuti. Una volta raffreddati, disporli sul piatto unendoli alle verdure e al condimento precedentemente preparato. Spolverare e condire con pepe, sale,olio, limone e prezzemolo tritato.

Preparazione: Lavare, pelare e tagliare dello spessore di circa 1cm la trevisana, la belga, le carote, il sedano e i peperoni. Disporre la verdura in modo circolare su un piatto, lasciando il

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Sanitaria - Ortopedia - Articoli medicali L’entusiasmo e l’amore che mettiamo in ciò che facciamo... Cura del piede

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