Organo Ufficiale di Italian Federation of Cardiology
Mensile - Poste Italiane SpA - Sped.Abb.Post.DL 353/03 (conv.L.46/04) art.1 comma 1, DCB Roma - ISSN 1827 - 8981
Volume 20 | Suppl. 2 al n. 10 | Ottobre 2019 www.giornaledicardiologia.it
SocietĂ Italiana di Chirurgia Cardiaca
Editor Giuseppe Di Pasquale
Gestione clinica della sindrome coronarica acuta nella Regione Lombardia Guest Editors Maddalena Lettino Aldo Pietro Maggioni
Organo Ufficiale di Italian Federation of Cardiology Società Italiana di Chirurgia Cardiaca
Gestione clinica della sindrome coronarica acuta nella Regione Lombardia Guest Editors Maddalena Lettino Aldo Pietro Maggioni
e3 Maddalena Lettino, Aldo Pietro Maggioni Introduzione Introduction e4
Giuseppe Di Tano, Roberto Bonatti Il percorso del paziente con dolore toracico The clinical care pathway of patients with chest pain
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Raffaella Ronco, Giovanni Corrao Sindrome coronarica acuta: dati dal mondo reale in Lombardia Acute coronary syndrome: real-world data from the Lombardy Region
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Guido F. Villa Il soccorso preospedaliero nella sindrome coronarica acuta Out-of-hospital management of acute coronary syndromes
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Roberto F.E. Pedretti La fase della riabilitazione The rehabilitation phase
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Anna Carla Pozzi La gestione domiciliare del paziente con cardiopatia ischemica Home management of patients with ischemic heart disease
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Maddalena Lettino, Aldo Pietro Maggioni Conclusioni Conclusions
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Introduzione Le modalità di gestione della sindrome coronarica acuta e della successiva fase di riabilitazione e di pianificazione e conduzione delle strategie di prevenzione secondaria si sono modificate nel corso degli ultimi decenni grazie alla pubblicazione di numerosi studi clinici i cui risultati sono stati incorporati tempestivamente nelle attuali linee guida internazionali. I simposi e le presentazioni congressuali in tema di sindromi coronariche acute sono ovviamente molteplici, data la rilevanza epidemiologica della patologia, ma raramente contemplano nello stesso ambito congressuale tutto il percorso dall’insorgenza del dolore toracico, alla gestione preospedaliera, ai trattamenti della fase acuta, alla fase di riabilitazione, fino alla gestione ambulatoriale della prevenzione secondaria (auspicabilmente) condivisa fra specialisti cardiologi e medici di medicina generale. Ancor meno frequenti sono le occasioni nelle quali si ha la possibilità di discutere non solo di quello che si dovrebbe fare ma di quanto viene effettivamente svolto nella pratica clinica quotidiana in un ambito territoriale ben definito e rappresentativo. Per l’insieme di questi motivi, il giorno 8 maggio è stata organizzata una giornata di discussione in una sede istituzionale come quella della Regione Lombardia dal titolo “Gestione clinica della sindrome coronarica acuta nella Regione Lombardia” con la finalità di mettere a disposizione di tutti gli stakeholder interessati (specialisti cardiologi generalisti e interventisti, professionisti dell’emergenza-urgenza, specialisti della riabilitazione, medici di medicina generale, associazioni scientifiche, autorità sanitarie, giornalisti di settore): – il quadro più esaustivo possibile dell’intero percorso clinico di un paziente affetto da sindrome coronarica acuta; – i problemi che, anche in un ambiente geografico tecnologicamente e culturalmente evoluto, rimangono tuttora aperti; – le potenziali, e possibilmente realistiche, soluzioni per cercare di soddisfare i bisogni riconosciuti come ancora inevasi. All’interno di questo Supplemento del Giornale Italiano di Cardiologia, i relatori che hanno discusso ognuna delle fasi che caratterizzano il percorso clinico di un paziente con sindrome coronarica acuta descrivono la loro esperienza e i dati provenienti dal mondo reale della Lombardia, includendo anche quali possono essere le soluzioni ragionevoli ai problemi ancora aperti. È nostra convinzione che questi dati, provenienti da una singola regione italiana, possano essere condivisi, perché considerati interessanti e meritevoli di discussione, anche in altri contesti geografici italiani con una diversa organizzazione sanitaria. Questa iniziativa condotta in Lombardia potrebbe essere ripetuta con modalità analoghe anche in altre regioni italiane così da poter avviare, se non un confronto, delle descrizioni territoriali sia di tipo organizzativo che clinico sulla patologia che rimane, nel nostro Paese e non solo, la principale causa di morte e di disabilità. Maddalena Lettino U.O.C. Cardiologia Ospedale San Gerardo, ASST-Monza Monza e-mail: maddalena.lettino@hotmail.it Aldo Pietro Maggioni Centro Studi ANMCO Firenze e-mail: maggioni@anmco.it
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Il percorso del paziente con dolore toracico Giuseppe Di Tano1, Roberto Bonatti2 1 U.O. Cardiologa, Ospedale ASST, Cremona U.O. Cardiologia, Ospedale S. Anna, Fermo delle Battaglie, ASST Lariana, Como
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Chest pain is a common general practice presentation that requires careful diagnostic assessment because of its diverse and potentially serious causes and its evaluation remains challenging. The proportion of patients presenting to the emergency department because of acute chest pain appears to be increasing. Nowadays, the essential chest pain-related issues are the missed diagnoses of acute coronary syndromes with a poor short-term prognosis and the increasing percentage of hospitalizations of low-risk cases. It is well known that hospitalization of a low-risk chest pain patient can lead to unnecessary tests and procedures, with an increasing trend of complications and burden of costs, but chest pain is never low risk and appropriate diagnosis is always mandatory. The correct diagnosis will guide the treatment strategy. The implementation of networks between hospitals (hub and spoke) with various levels of technology, provide optimal care while minimizing delays, thereby improving clinical outcomes. Cardiologists should actively collaborate with all stakeholders, particularly emergency physicians, in establishing such networks. Key words. Acute coronary syndrome; Chest pain; Differential diagnosis; Emergency department; Network. G Ital Cardiol 2019;20(10 Suppl 2):e4-e7
La gestione del dolore toracico è una delle più grandi sfide nei dipartimento d’emergenza in tutto il mondo. Il sintomo di dolore toracico costituisce la causa più frequente di accesso al Pronto Soccorso (tra il 5-9%)1, la seconda causa di accesso negli Stati Uniti assieme alla dispnea, è uno dei motivi più comuni di attivazione dei servizi d’emergenza medica e comporta una mortalità elevata (2-4%) in caso di mancata diagnosi e di dimissione impropria2. Si stima che il 25-50% dei pazienti con dolore toracico acuto hanno un ricovero inappropriato, mentre le dimissioni inappropriate raggiungono il 2-8% dei casi3. L’erronea dimissione dei pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA) rappresenta il 20% delle spese medico-legali contro i medici del dipartimento d’emergenza negli Stati Uniti4,5. Inoltre è importante sottolineare come la maggioranza dei pazienti con dolore toracico nel dipartimento d’emergenza non ha una SCA (10-20%) e spesso l’ECG non è diagnostico. Gli obiettivi di un percorso adeguato per il paziente con dolore toracico (Territorio – (118) – Pronto Soccorso/Ospedale) sono quelli di6: –– evitare sia la mancata diagnosi o le dimissioni improprie (entrambe ad elevata mortalità con notevole impatto sociale e medico-legale), che un’estensiva ospedalizzazione di pazienti a basso rischio, che comporterebbe un eccessivo e ingiustificato aggravio della spesa sanitaria; –– identificare precocemente i pazienti con dolore toracico di origine coronarica (SCA); –– instaurare un rapido, adeguato trattamento; –– ridurre i tempi d’intervento/diagnosi.
© 2019 Il Pensiero Scientifico Editore Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Dr. Giuseppe Di Tano U.O. Cardiologia, Ospedale ASST di Cremona, Largo Priori 1, 26100 Cremona e-mail: giditano@tin.it
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Il concetto guida essenziale è che per molti pazienti i minuti persi sono dannosi, la diagnosi precoce è cruciale, e il trattamento precoce e tempestivo può salvare una vita. In pratica, nessun tipo di dolore toracico ha un livello di rischio così basso da non giustificare accertamenti. Il dolore è comunque spesso un sintomo ingannevole e la sua intensità non correla con la gravità. Inoltre alcune condizioni quali l’età avanzata, la coesistenza di multiple comorbilità (in particolare il diabete, la fibromialgia o le patologia articolari e digestive), in una parola la maggiore complessità della popolazione sanitaria, rendono spesso non facile l’esatta diagnosi. Inoltre sintomi atipici o equivalenti anginosi (dispnea, astenia generalizzata, sincope/lipotimia, alterazioni della coscienza, sintomi addominali (dispepsia, epigastralgia) contribuiscono a rendere ancora più complessa l’esatta e rapida identificazione eziologica del dolore toracico. La parte più impegnativa nella gestione preospedaliera ed ospedaliera del dolore toracico è rappresentata proprio dall’identificazione, trattamento e trasferimento dei pazienti con dolore toracico presso Centri di riferimento (hub) evitando ritardi e garantendo gli intervalli di tempo ideali per la diagnosi e l’intervento come delineato dalle linee guida internazionali7. Nell’ultimo decennio queste ultime hanno progressivamente modificato le loro direttive comportamentali, giungendo all’attuale indirizzo di visione integrata in cui il percorso ideale e più efficace del paziente con dolore toracico si basa oltre che sui tempi d’intervento (più brevi possibili), sull’organizzazione di una Rete territoriale hub & spoke (Figura 1) condensata nell’aforisma “Non solo il tempo ma anche l’organizzazione è muscolo”. In dettaglio, alla base del percorso c’è la corretta valutazione del sintomo di presentazione – è importante acquisire informazioni su epoca di insorgenza, durata e persistenza del sintomo dalla presentazione. Si definisce “dolore toracico” qualsiasi dolore che anteriormente si colloca tra la base del
Il paziente con dolore toracico naso e l’ombelico e posteriormente tra la nuca e la dodicesima vertebra e che non abbia causa traumatica8. Il dolore toracico può essere categorizzato in tipico (senso di pressione toracica anteriore o posteriore/senso di morsa interna, oppure irradiato ad entrambe le braccia) o atipico rispetto alla localizzazione (Figura 2). A livello intraospedaliero si avvia normalmente il percorso di valutazione che preveda un periodo di osservazione necessario al riconoscimento eziologico che lo sottende: una SCA in quasi il 45% dei casi, un’embolia polmonare nel 4% dei casi, uno pneumotorace spontaneo nel 3% dei casi o nell’1% da dissecazione aortica o da pericardite-miocardite acuta, oppure ad escludere/identificare cause di dolore non cardiovascolari come quelle gastrointestinali (malattia ulcerosa peptica, da reflusso gastroesofageo), polmonari (polmoniti, pleurite), sindromi della parete toracica (dolore muscolo-scheletrico, costocondrite, radiculopatia toracica, herpes zoster), psichiatriche (ansia)6,9 (Tabella 1).
La diagnosi precoce e la conseguente stratificazione del rischio sono essenziali per la pianificazione del trattamento più tempestivo ed idoneo (invasivo o conservativo) e la scelta del reparto di degenza più appropriato: unità di terapia intensiva coronarica, degenza cardiologica ordinaria o medicina d’urgenza per coloro a cui viene diagnosticata una patologia vascolare acuta; la dimissione precoce per quelli a cui viene esclusa. L’evoluzione e la continua, nonché innovativa, implementazione degli strumenti diagnostici a disposizione in questa categoria di pazienti, in particolare l’estesa adozione del dosaggio della troponina ad alta sensibilità come marcatore precoce di danno ischemico, e l’evoluzione dei test d’imaging non invasivo, sia a riposo che da stress, con un significativo incremento della loro accuratezza diagnostica ha indotto le recenti linee guida ad una rimodulazione dei percorsi diagnostici in Pronto Soccorso integrando il dosaggio della troponina con i sintomi e l’ECG10.
Figura 1
Figura 1. La Rete territoriale hub & spoke. EMO, Emodinamica; PS, Pronto Soccorso; STEMI, infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST; UCIC, unità di cura intensiva coronarica. Figura 2
Figura 2. Localizzazione tipica ed atipica del dolore toracico. G ITAL CARDIOL | VOL 20 | SUPPL 2 AL N 10 2019
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G Di Tano, R Bonatti Tabella 1. Cause di dolore toracico oltre alla sindrome coronarica acuta. Cause cardiovascolari • Pericardite acuta, versamento pericardico • Miocardite acuta • Severa crisi ipertensiva • Cardiomiopatia da stress (“Takotsubo-like syndrome”) • Cardiomiopatia ipertrofica, stenosi aortica • Insufficienza ventricolare sinistra acuta • Sindrome aortica acuta (dissezione, ulcera aortica, ematoma intramurale) • Embolia polmonare, infarto polmonare, severa ipertensione polmonare • Contusione cardiaca • Rottura/disfunzione acuta di protesi valvolare biologica o meccanica Cause non cardiovascolari • Spasmo esofageo, esofagite, reflusso gastroesofageo • Ulcera peptica, colecistite-pancreatite acuta • Polmonite, bronchite, attacco d’asma • Pleurite, versamento pleurico, pneumotorace • Trauma toracico • Costocondrite, frattura costale • Danno vertebrale o discale a livello cervicale/toracico • Herpes zoster • Ansia, depressione
In dettaglio, viene raccomandata l’adozione di score di valutazione del dolore (TIMI risk score e Heart score) che permettono di integrare in modo standardizzato i dati anamnestici, obiettivi, elettrocardiografici e biochimici, consentendo una stratificazione prognostica più accurata del dolore. L’ECG rappresenta l’esame basale e fondamentale. Deve essere eseguito e valutato entro 10 min dal momento dell’arrivo in Pronto Soccorso se il dolore è in atto o il più precocemente possibile se cessato, e sulla base di elementi quali le variazioni del tratto ST, la comparsa di blocco di branca sinistro o blocco atrioventricolare di grado avanzato, permette rapidamente e con elevata certezza la diagnosi. Il dosaggio/andamento alterato della troponina è attualmente considerato in un contesto clinico suggestivo di ischemia miocardica acuta, lo standard diagnostico di infarto miocardico acuto. Il suo innalzamento avviene dopo 2-4 h dall’inizio dei sintomi e l’adozione della troponina ad elevata
BIBLIOGRAFIA 1. Pitts SR, Niska RW, Xu J, Burt CW. National Hospital Ambulatory Medical Care Survey: 2006 emergency department summary. Natl Health Stat Report 2008;7:1-38. 2. Fernandez JB, Ezquerra EA, Genover XB, et al. Chest pain units. Organization
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sensibilità ha elevato il potere predittivo negativo di un singolo test (circa il 95%, con due il 100%). Il protocollo di dosaggio 0-3 h più utilizzato e attualmente raccomandato dalle linee guida europee del 2015 sulle SCA senza sopraslivellamento del tratto ST10, si è rivelato utile specie nelle procedure di “rule out”, garantendo un’affidabile dimissione precoce nei pazienti a basso rischio con troponina negativa e deve essere adottato con modelli di gestione concordati con il proprio Pronto Soccorso e volti soprattutto ad accelerare i tempi di attesa, limitando il sovraffollamento.
CONCLUSIONE La gestione del dolore toracico necessita di una stretta integrazione e cooperazione tra tutte le figure coinvolte (medici, cardiologi, triagisti, infermieri), compreso il paziente (informazione/condivisone dei percorsi, ecc.)6. Il prerequisito è che l’organizzazione si basi su un condiviso, “revised”, rapido percorso diagnostico-terapeutico con l’obiettivo di: –– confermare il sospetto di SCA e definire il successivo iter gestionale, –– stratificare il rischio e decidere il timing d’intervento, –– sospettare una cardiopatia oltre la coronaropatia, –– definire un percorso diagnostico una volta esclusa la SCA, –– rassicurare il paziente. A tal fine l’istituzione di un Chest Pain Team in ogni struttura ospedaliera rappresenta la formula organizzativa più efficace dal punto di vista clinico ed economico, in cui una condivisione di competenze ottimizzi la gestione di questa tipologia di pazienti, riducendo nello stesso momento la percentuale di mancate diagnosi di SCA e un’ospedalizzazione eccessivamente estensiva e dispendiosa di risorse6.
RIASSUNTO Il dolore toracico è una delle cause più frequenti di accesso al Pronto Soccorso e richiede un’attenta valutazione diagnostica a causa delle sue conseguenze potenzialmente fatali e delle implicazioni medico-legali connesse ad una diagnosi errata. Il dolore toracico è una sindrome complessa, per definizione mai a basso rischio, e necessita di una specifica e condivisa attenzione operativa che coinvolge molte figure professionali oltre al cardiologo. Gli obiettivi di un virtuoso percorso del paziente con dolore toracico sono principalmente quelli di evitare la mancata diagnosi di sindrome coronarica acuta che si associa ad una cattiva prognosi a breve termine, a contenere la crescente percentuale di ricoveri inappropriati e a instaurare nel più rapido tempo possibile un’adeguata e appropriata strategia terapeutica. A tal fine l’istituzione di una Rete territoriale basata su percorsi diagnostico-terapeutici condivisi rappresenta attualmente la soluzione gestionale organizzativa più efficace. Parole chiave. Diagnosi differenziale; Dolore toracico; Emergenza; Rete organizzativa; Sindrome coronarica acuta.
and protocol for the diagnosis of acute coronary syndromes. Rev Esp Cardiol 2002;55:143-54. 3. Pope JH, Aufderheide TP, Ruthazer R, et al. Missed diagnoses of acute cardiac ischemia in the emergency department. N Engl J Med 2000;342:1163-70. 4. McCarthy BD, Beshansky JR, D’Agos-
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Il paziente con dolore toracico myocardial infarction. Ann Emerg Med 1989;18:1029-34. 6. Zuin G, Parato VM, Groff P, et al. Documento di consenso ANMCO/SIMEU: Gestione intraospedaliera dei pazienti che si presentano con dolore toracico. G Ital Cardiol 2016;17:416-46. 7. Ibanez B, James S, Agewall S, et al. 2017 ESC Guidelines for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation: The Task Force for the management of acute
myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J 2018;39:119-77. 8. Ottani F, Binetti N, Casagranda I, et al.; Commissione Congiunta ANMCO-SIMEU. Percorso di valutazione del dolore toracico. Valutazione dei requisiti di base per l’implementazione negli ospedali italiani. G Ital Cardiol 2009;10:46-63. 9. The ACCA Clinical Decision Making Toolkit – 2018 Edition. https://www.
escardio.org/Education/Practice-Tools/ Clinical-Decision-Making-Toolkit [accessed September 16, 2019]. 10. Roffi M, Patrono C, Collet JP, et al. 2015 ESC Guidelines for the management of acute coronary syndromes in patients presenting without persistent ST-segment elevation: Task Force for the management of acute coronary syndromes in patients presenting without persistent ST-segment elevation of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J 2016;37:267-315.
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Sindrome coronarica acuta: dati dal mondo reale in Lombardia Raffaella Ronco, Giovanni Corrao Centro di Ricerca Interuniversitario Healthcare Research & Pharmacoepidemiology, Università di Milano-Bicocca, Milano
Background. The short-term outcomes of acute coronary syndrome (ACS) have been extensively studied; however, the role of post-discharge monitoring, treatment and rehabilitation in the prevention of longterm outcomes remains debated. The aim of this study was to measure the adherence to a therapeutic pathway and to assess its impact on the log-term risk of hospitalization for cardiovascular (CV) causes. Methods. A total of 106 104 incident cases of ACS, in which patients aged 40-90 survived hospitalization, were recorded in the administrative databases between 2009-2015 and were identified as index shelters. Each patient had accumulated person-years from the index hospitalization discharge to the first of the following events: hospitalization for CV events or censorship (death, emigration, June 30, 2018). The association between exposure (drug therapy and rehabilitation) and risk of CV hospitalization was assessed using a Cox model in accordance to the intention-to-treat principle. Results. Compared to untreated patients, those who received prescriptions of beta-blockers, statins, antiplatelet agents or angiotensin-converting enzyme inhibitors/angiotensin receptor blockers in the year after the index discharge experienced a risk reduction of 13% (95% confidence interval [CI] 11-15%), 10% (95% CI 8-12%), 5% (95% CI 2-6%), and 3% (95% CI 1-6%), respectively, whereas rehabilitation within 2 months reduced the risk by 29% (95% CI 26-32%). Conclusions. Patients undergoing close monitoring with strict adherence to the recommended treatment after admission have a reduced risk of experiencing long-term CV events. Key words. Acute coronary syndrome; Adherence; Cardiovascular events; Rehabilitation; Treatment. G Ital Cardiol 2019;20(10 Suppl 2):e8-e12
INTRODUZIONE La sindrome coronarica acuta (SCA) comprende le diverse manifestazioni dell’ischemia miocardica, ossia assenza totale o parziale di afflusso di sangue al tessuto miocardico con conseguente carenza di ossigeno ed elevato rischio di sviluppare necrosi cardiaca1. In Italia si stima che il numero di soggetti colpiti da eventi coronarici in 1 anno superi i 135 000 casi, e che di questi circa 45 000 siano fatali2. Sebbene la SCA sia considerata una sindrome tempo-dipendente, e quindi sia fondamentale riconoscerne tempestivamente l’insorgenza e intervenire di conseguenza per ridurre il rischio di esiti negativi3,4, è tuttavia importante che i pazienti siano opportunamente monitorati dopo la dimissione e che vengano somministrate adeguate terapie di supporto e di riabilitazione5.
© 2019 Il Pensiero Scientifico Editore G.C. dichiara di aver ricevuto finanziamenti per la ricerca dalla Comunità Europea (EC), dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR). Ha preso parte a numerosi progetti finanziati da aziende farmaceutiche (Novartis, GSK, Roche, Amgen e BMS). Ha anche ricevuto da Roche il titolo di membro onorario presso l’Advisor Board. R.R. dichiara nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Dr.ssa Raffaella Ronco Centro di Ricerca Interuniversitario Healthcare Research & Pharmacoepidemiology, Università di Milano-Bicocca, Via Bicocca degli Arcimboldi 8, 20126 Milano e-mail: raffaella.ronco@unimib.it
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Questo studio intende (1) misurare l’aderenza al processo territoriale di monitoraggio e cura e alla riabilitazione in regime ospedaliero dei pazienti dopo la dimissione ospedaliera conseguente a un episodio di SCA e (2) valutarne l’impatto sulla riduzione del rischio di un successivo ricovero per cause cardiovascolari (CV).
MATERIALI E METODI I dati e l’approccio qui presentati sono parte integrante del programma di monitoraggio e valutazione dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali garantiti dai livelli essenziali di assistenza (LEA) sperimentati dai pazienti affetti da patologie croniche6. Il programma è parte integrante delle attività della Direzione Programmazione del Ministero della Salute. I dati qui presentati, non ancora discussi nel gruppo di lavoro del Ministero, devono essere intesi come esperienza preliminare, da estendere, previa discussione e integrazione con altre esperienze regionali, alle Regioni e Provincie Autonome Italiane. I dati sono stati estratti dai database amministrativi della Regione Lombardia, contenenti informazioni relative alle dimissioni ospedaliere, prescrizioni farmaceutiche, prestazioni ambulatoriali, domiciliari e di pronto soccorso ed altre informazioni di natura anagrafica ed amministrativa. Per identificare le cause di ospedalizzazione e le procedure durante il ricovero sono stati utilizzati i codici ICD-9-CM, per le
SCA: dati dal mondo reale in Lombardia prescrizioni farmacologiche i codici ATC, mentre per le prestazioni ambulatoriali il nomenclatore nazionale della specialistica. Lo studio include tutte le ospedalizzazioni in regime di urgenza, o tramite pronto soccorso, con diagnosi di SCA verificatesi nel periodo compreso tra 01/01/2009 e 31/12/2015. Per ogni beneficiario del Servizio Sanitario Regionale (SSR) è stato considerato il primo o unico ricovero, e la corrispondente data di dimissione è stata considerata come data indice. Sono stati esclusi i pazienti (1) di età <40 anni e quelli di età ≥90 anni, (2) che risultavano beneficiari del SSR da meno 5 anni precedenti il ricovero indice, (3) che avevano già sperimentato un ricovero per SCA nei 5 anni precedenti il ricovero indice, (4) che morivano durante il ricovero indice. Ogni paziente rimanente è stato incluso nella coorte in studio ed ha accumulato anni-persona dalla data indice alla prima tra le date dei seguenti eventi: ricovero con diagnosi di esito CV, decesso, emigrazione o fine del periodo di osservazione (30/06/2018). Per ogni paziente incluso nello studio sono state raccolte le informazioni relative alle caratteristiche misurate in condizioni basali e durante il primo anno di follow-up. Al basale, sono state raccolte informazioni su età, genere, indice di comorbosità (Multisource Comorbidity Score, MCS)7 e diagnosi principale dell’ospedalizzazione indice (infarto o angina). In riferimento ai 5 anni precedenti il ricovero indice sono state considerate le ospedalizzazioni per altre cause (ictus/attacco ischemico transitorio, altre CV, insufficienza renale cornica) e le prescrizioni di alcuni farmaci (antidiabetici, antipertensivi, statine, broncodilatatori, antiaritmici, anticoagulanti). L’esposizione al monitoraggio, alla cura e alla riabilitazione dopo la dimissione indice è stata misurata verificando se pazienti con almeno 1 anno di follow-up fossero stati sottoposti durante questo periodo a (1) test di laboratorio (emoglobina glicata, profilo lipidico, creatininemia), (2) esami diagnostici (ecocardiogramma, ECG, test da sforzo), (3) visite cardiologiche ambulatoriali, (4) terapie farmacologiche con betabloccanti, antiaggreganti piastrinici, sostanze che agiscono sul sistema renina-angiotensina, statine, e (5) ricoveri riabilitativi in decenza ordinaria. Come esito principale è stata considerata la prima ospedalizzazione per causa CV. L’associazione tra esposizione alle cure e rischio di ospedalizzazione CV è stata misurata seguendo il principio dell’“intention-to-treat”, ovvero l’esposizione sperimentata nel primo anno dopo la dimissione indice è stata messa in relazione con la probabilità di insorgenza dell’esito dal secondo anno fino al termine del follow-up. Un disegno di appaiamento 1:1 per High Dimensional Propensity Score8, età, genere e MCS è stato utilizzato al fine di (tentare di) garantire il bilanciamento tra esposti e non esposti alle cure per i confondenti. Modelli di tempo al fallimento (stimatore di Kaplan-Meier e log-rank test, e modello dei rischi proporzionali di Cox) sono stati utilizzati per valutare l’associazione tra esposizione alle cure e il tempo di insorgenza dell’esito in studio. Una procedura analoga è stata considerata per valutare l’associazione tra ricovero per riabilitazione CV entro 2 mesi dalla dimissione indice e successiva probabilità di insorgenza dell’esito.
distribuisce nel tempo come segue: 6.5% nel 2009, 6.4% nel 2010, 5.7% nel 2011, 5.8% nel 2012, 5.1% nel 2013, 5.6% nel 2014 e 5.2% nel 2015. Pazienti Dei 125 675 pazienti sopravvissuti al ricovero indice, i 117 191 che non avevano avuto episodi di SCA nei 5 anni precedenti l’evento erano per il 65.1% uomini, avevano un’età media di 69 ± 12 anni, e una diagnosi di infarto nel 79.8% dei casi. Nei 5 anni precedenti il ricovero indice (1) il 72.3% ha avuto almeno una prescrizione di antipertensivi, il 37.0% di statine, il 30.7% di farmaci per il trattamento della broncopneumopatia cronica ostruttiva, il 22.2% di antidiabetici, il 7.7% di anticoagulanti e il 6.8% di antiaritmici; (2) il 24.3% ha avuto almeno un ricovero per esiti CV diversi da SCA e ictus, il 9.6% per ictus e l’1.4% per insufficienza renale cronica; (3) il 14.5% presentava un profilo clinico molto complesso. Esposizione al monitoraggio, alle cure farmacologiche e alla riabilitazione La Figura 1 mostra che, tra i 106 104 pazienti con almeno 1 anno di follow-up, nell’anno successivo la dimissione indice il numero di pazienti in trattamento farmacologico è risultato sistematicamente aumentato rispetto all’anno precedente con un incremento relativo compreso tra il 13.4% per gli antidiabetici e il 66.8% per i betabloccanti. Nell’anno successivo la dimissione indice, inoltre, il 68% dei pazienti è stato sottoposto ad almeno una visita cardiologica, il 38% ad un ecocardiogramma, il 77% ad un ECG, il 32% ad un test da sforzo; al 28% è stata testata l’emoglobina glicata, all’81% il profilo lipidico e al 13% la creatininemia. La Figura 2 mostra che il 20% della coorte in studio ha avuto almeno un ricovero per riabilitazione cardiaca entro 2 mesi dalla dimissione indice. Infine, la Figura 3 mostra che entro 9 anni dalla dimissione indice il 70% dei pazienti ha sperimentato un esito clinico rilevante, tra cui, nel 57.5% dei casi (n = 25 919) un ricovero per cause CV. Associazione tra esposizione alle cure e alla riabilitazione e rischio di esiti clinici Rispetto ai pazienti non trattati, quelli che entro l’anno successivo la dimissione indice hanno avuto almeno una prescrizione di betabloccanti, statine, antiaggreganti e inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina/antagonisti recettoriali dell’angiotensina hanno sperimentato una riduzione del rischio di ricovero per esito CV rispettivamente del 13% (intervallo di confidenza [IC] 95% 11-15%), 10% (IC 95% 8-12%), 5% (IC 95% 2-6%) e 3% (IC 95% 1-6%). La Figura 4 mostra che i pazienti che entro 2 mesi dalla dimissione indice hanno sperimentato un ricovero riabilitativo, hanno una riduzione del rischio CV del 29% (IC 95% 26-32%) rispetto ai pazienti non ricoverati per riabilitazione cardiaca. Dalla figura emerge anche che il tempo mediano di insorgenza dell’esito nei trattati con intervento riabilitativo risulta ritardato di circa 2 anni rispetto ai non trattati.
DISCUSSIONE RISULTATI Fra il 2009 e il 2015, 133 374 pazienti sono stati ricoverati per SCA. I pazienti deceduti durante il ricovero sono stati 7699. Nello specifico, la mortalità intraospedaliera per SCA si
La mortalità intraospedaliera e a breve termine (entro 1 anno) per SCA sembra essersi progressivamente ridotta nell’ultimo decennio. Tale riduzione, tuttavia, ha generato un incremento del numero di malati cronici a carico del SSR. Per questo moG ITAL CARDIOL | VOL 20 | SUPPL 2 AL N 10 2019
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R Ronco, G Corrao Figura 1 Incremento relativo Antidiabetici
+ 13.4%
Betabloccanti
+ 66.8%
ACEi - Sartani
+ 35.2%
Statine
+ 66.4%
Antiaritmici
+ 56.0%
Anticoagulanti
+ 49.5%
Antiaggreganti
+ 60.0% 0
20
40 Un anno dopo
Figura 2
60
80
100
Un anno prima
Figura 1. Percentuale di pazienti in trattamento farmacologico 1 anno prima il ricovero indice e 1 anno dopo la dimissione indice, e corrispondente incremento relativo. ACEi, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina.
Incidenza cumulativa
0.3
0.2
0.1
0.0 0
2
6
4
8
12
10
Mesi dalla dimissione indice
Figura 2. Incidenza cumulativa di ricovero riabilitativo in degenza ordinaria entro 1 anno dalla dimissione indice. Figura 3 0.7
Decessi
Funzione di incidenza cumulativa
0.6 0.5
Altri esiti CV
0.4 0.3
0.2 0.1
SCA
0.0 0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
7,243
Anni dalla dimissione indice N. a rischio
117 919
82 520
71 707
58 964
44 464
32 513
22 403
14 115
Decesso
5585
1437
1137
818
608
437
302
164
80
Esiti CV
21 928
7441
5188
3534
2400
1672
1105
610
241
7158
1935
1223
833
575
402
263
171
58
SCA
Figura 3. Stima dell’incidenza cumulativa di ricoveri per sindrome coronarica acuta (SCA) e per altri esiti cardiovascolari (CV) e di morte nella coorte dei pazienti dimessi vivi per ricovero in urgenza con causa di SCA dalla dimissione indice ai 9 anni successivi.
e10
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Figura 4
Probabilità cumulativa di non sperimentare un ricovero per causa CV*
SCA: dati dal mondo reale in Lombardia
1.0
HR: 0.71 (IC 95% 0.68-0.74) NNT: 16
0.8
0.6
Riabilitazione si 0.4
Riabilitazione no 0.2
0.0 0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Anni dalla dimissione del ricovero riabilitativo Figura 4. Probabilità cumulativa di non essere ospedalizzati per esiti cardiovascolari nei pazienti che sperimentano, e in quelli che non sperimentano, intervento riabilitativo in regime di degenza entro 2 mesi dalla dimissione indice. CV, cardiovascolare; IC, intervallo di confidenza; HR, hazard ratio; NNT, number needed to treat. *Stime ottenute con appaiamento 1:1 in base a età e genere al ricovero indice, Multisource Comorbidity Score e High Dimensional Propensity Score.
tivo, è necessario indagare quali fattori possono condizionare la prognosi dei pazienti a lungo termine. Dalle analisi è emerso che un’adeguata aderenza alla terapia farmacologica può ridurre il rischio di esiti CV a lungo termine dal 3% al 13% circa a seconda del trattamento utilizzato. Sebbene sia raccomandato effettuare almeno una visita cardiologica di controllo entro il primo anno, il 32% dei soggetti non ha seguito tale indicazione. Diverse linee guida raccomandano di effettuare almeno un ECG entro il primo anno dall’episodio, ma anche in questo caso la raccomandazione non è stata seguita dal 23% dei pazienti. Infine, si è osservato che solo il 20% circa dei soggetti inizia un percorso riabilitativo in regime ospedaliero entro 2 mesi dalla dimissione indice, e questi hanno un rischio di avere esiti CV nel follow-up di circa il 30% inferiore rispetto ai soggetti che non sperimentano ospedalizzazione per riabilitazione. In conclusione, i pazienti sottoposti ad un più attento monitoraggio dopo il ricovero e maggiormente aderenti alle terapie prescritte hanno un rischio ridotto di sperimentare eventi CV a lungo termine.
RIASSUNTO Razionale. Gli esiti a breve termine della sindrome coronarica acuta (SCA) sono stati ampiamente studiati, tuttavia è in discussione il ruolo di monitoraggio, terapie e riabilitazione post-di-
BIBLIOGRAFIA 1. Timmis A. Acute coronary syndromes. BMJ 2015;351:h5153. 2. Perugini E, Maggioni AP, Boccanelli A, Di Pasquale G. Epidemiologia delle sindromi coronariche acute in Italia. G Ital Cardiol 2010;11:718-29.
missione nella prevenzione di esiti a lungo termine. Scopo dello studio è stato misurare l’aderenza al percorso terapeutico e valutarne l’impatto sul rischio di ricovero per causa cardiovascolari (CV) a lungo termine. Materiali e metodi. Complessivamente, 106 104 episodi incidenti di SCA in cui pazienti di 40-90 anni sono sopravvissuti al ricovero sono stati registrati nei database amministrativi fra il 2009 e il 2015 e identificati come ricoveri indice. Ogni paziente ha accumulato anni-persona dalla dimissione del ricovero indice al primo tra i seguenti eventi: ricovero per CV o censura (decesso, emigrazione, 30 giugno 2018). L’associazione tra esposizione (terapie farmacologiche e riabilitazione) e rischio di ospedalizzazione CV è stata valutata mediante un modello di Cox in accordo con l’approccio “intention-to-treat”. Risultati. Rispetto ai pazienti non trattati, quelli con prescrizioni di betabloccanti, statine, antiaggreganti e inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina/antagonisti recettoriali dell’angiotensina nell’anno successivo la dimissione indice hanno sperimentato una riduzione del rischio rispettivamente del 13% (intervallo di confidenza [IC] 95% 11-15%), 10% (IC 95% 8-12%), 5% (IC 95% 2-6%) e 3% (IC 95% 1-6%). Il ricovero riabilitativo entro 2 mesi ha invece ridotto il rischio del 29% (IC 95% 26-32%). Conclusioni. I pazienti sottoposti ad un più attento monitoraggio dopo il ricovero e maggiormente trattati hanno un rischio ridotto di sperimentare eventi CV a lungo termine. Parole chiave. Aderenza; Esiti cardiovascolari; Riabilitazione; Sindrome coronarica acuta; Trattamento.
3. Jiang M, Mao J, Pu K, He B. Timing of early angiography in non-ST elevation acute coronary syndrome. J Invasive Cardiol 2014;26:47-54. 4. Deharo P, Bode C, Cohen M, et al. Timing of angiography and outcomes in high-risk patients with non-ST-seg-
ment-elevation myocardial infarction managed invasively: insights from the TAO trial (Treatment of Acute Coronary Syndrome with Otamixaban). Circulation 2017;136:1895-907. 5. Piironen M, Ukkola O, Huikuri H, et al. Trends in long-term prognosis after
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R Ronco, G Corrao acute coronary syndrome. Eur J Prev Cardiol 2017;24:274-80. 6. Corrao G, Rea F, Di Martino M, et al.; Working Group â&#x20AC;&#x2DC;Monitoring and assessing diagnostic-therapeutic pathsâ&#x20AC;&#x2122; of the Italian Heath Ministry. Effectiveness of adherence to recommended clinical examinations of diabetic patients in pre-
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venting diabetes-related hospitalizations. Int J Qual Health Care 2018 Sep 11. doi: 10.1093/intqhc/mzy186 [Epub ahead of print]. 7. Corrao G, Rea F, Di Martino M, et al. Developing and validating a novel multisource comorbidity score from administrative data: a large population-based
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cohort study from Italy. BMJ Open 2017;7:e019503. 8. Schneeweiss S, Rassen JA, Glynn RJ, Avorn J, Mogun H, Brookhart MA. High-dimensional propensity score adjustment in studies of treatment effects using health care claims data. Epidemiology 2009;20:512-22.
Il soccorso preospedaliero nella sindrome coronarica acuta Guido F. Villa Azienda Regionale Emergenza Urgenza Lombardia (AREU), Milano
Background. In Europe, the biological and healthcare costs of acute coronary syndrome (ACS) are extremely high. For this reason, the Emergency Medical Service of the Lombardy Region (AREU Lombardy) has defined a “mission” that can partly resolve this issue, through an accurately balanced clinical/organizational plan of territorial medical rescue. Methods. The territorial and housing complexity of the Region has conditioned the recent strategic choices, that have foreseen the alignment to Europe with the introduction of the 1st level Public Safety Answering Point (NUE 1.1.2.), for the exact localization of the event, and its subsequent management by the Operations Centers of the Emergency Medical System with the dispatch of the most suitable rescue vehicles, all of which are capable of carrying out a 12-lead ECG for cardiology diagnostics. Furthermore, in order to meet the European quality requirements, all the rescuers are specifically trained to treat ACS, the healthcare professionals employed in the rescue are all “specialists”, and a standard pharmacological treatment is administered prior to arrival at the hospital. Results. As a result of this rescue organization, 78 425 12-lead ECGs were performed in Lombardy in 2018, subsequent to emergency calls; of the 52 528 cases of chest pain, the potential ACSs detected in the area were 41 220, of which 4980 confirmed in the emergency departments through the subsequent refined instrumental and laboratory diagnostics. The diagnoses of ST-elevation myocardial infarction at the territorial point of care were 1833, and all the events were pharmacologically pretreated in the territorial setting, according to the AREU procedure. Conclusions. In Lombardy, the out-of-hospital management of ACS is strictly aligned with the standards of the Ministerial Decree no. 70 of 2015 and follows a well-defined track, aimed at meeting the current quality goals and the performance indicators of this pathology. This track surely needs to be improved through the concerted effort by all the healthcare stakeholders in order to univocally define the outcome indicators, which at present are not yet perfectly defined. Key words. Acute coronary syndrome; Electrocardiogram; Regional Medical Emergency Service; ST-elevation myocardial infarction; Territorial rescue. G Ital Cardiol 2019;20(10 Suppl 2):e13-e16
INTRODUZIONE In Europa i costi sia biologici che sanitari inerenti la malattia ischemica cardiaca risultano estremamente elevati. In Italia i dati Istat ci confermano per il solo anno 2012 un alto numero di morti/anno (75 028) e per il 2015 una spesa annuale di ben € 1 197 4321. Per poter fronteggiare al meglio queste evidenze, partendo dalla risposta di emergenza territoriale, in Lombardia l’Azienda Regionale Emergenza Urgenza (AREU) si è prefissata una “mission” che contempla un importante bilanciamento clinico-organizzativo. Infatti, in emergenza gli obiettivi della gestione territoriale, secondo le linee guida per la rianimazione cardiopolmonare e la cura dell’emergenza cardiovascolare
© 2019 Il Pensiero Scientifico Editore L’autore dichiara nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Dr. Guido F. Villa Azienda Regionale Emergenza Urgenza (AREU), Via Campanini 6, 20124 Milano e-mail: gf.villa@areu.lombardia.it
pubblicate nel 20002, devono prevedere una serie di item che possano: –– assicurare l’arrivo dei mezzi di soccorso “on-scene” in tempi rapidi; –– annullare i ritardi evitabili territoriali riducendo il tempo speso sul territorio; –– assicurare la miglior terapia di supporto (ed eventualmente riperfusiva) farmacologica fin dal territorio, tramite un corretto approccio sanitario; –– gestire al meglio e prontamente i casi dubbi dal lato clinico e assistenziale; –– garantire un adeguato percorso diagnostico-terapeutico dal territorio all’ospedale, integrando le diverse risorse professionali a disposizione. Tutto ciò si concretizza per AREU con la presenza di équipe sanitarie avanzate (che applicano le evidenze dell’“Advanced Life Support”) sul territorio in grado di: raggiungere il paziente tempestivamente indipendentemente da dove si trovi, stabilizzare il paziente anche molto complesso ed infine G ITAL CARDIOL | VOL 20 | SUPPL 2 AL N 10 2019
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GF Villa anticipare la terapia necessaria, contenendo la malattia fino al suo trattamento specialistico definitivo ospedaliero3.
METODOLOGIA E SISTEMA ORGANIZZATIVO La Lombardia è una Regione complessa con più di 10 milioni di abitanti distribuiti su una superficie che contempla la pianura per il 47%, la montagna per il 40% e la collina per il 13% e con una prevalente concentrazione della popolazione (≈50%) nella fascia territoriale centrale del suo territorio, con la presenza di importanti aree metropolitane di alcune provincie4. Nei fatti, la risposta di emergenza al cittadino in Lombardia viene inizialmente mediata dalla Centrale Operativa di I livello del Numero Unico Europeo 1.1.2., che permette l’inquadramento del problema (sanitario, tecnico o di sicurezza pubblica), la localizzazione precisa dell’evento e il rinvio alla corretta centrale di II livello, secondo necessità. Per quanto riguarda la parte sanitaria, la risposta di AREU si articola sulla processazione del bisogno inerente la chiamata, sull’invio sistematico di un mezzo di soccorso di base negli eventi minori (ambulanza - MSB) o come prima risposta e nell’ulteriore invio di un mezzo di soccorso avanzato con sanitari specialisti (Auto MSA1 o MSA2 o elisoccorso) nei codici di soccorso più elevati, a seconda della gravità stessa dell’evento e della logistica di gestione (Figura 1). Indipendentemente dal mezzo utilizzato (solo MSB o MSB + MSA), l’equipaggio di ognuno di questi è in grado di eseguire un ECG a 12 derivazioni e di trasmetterlo al sistema operativo della Sala Operativa Regionale di Emergenza Urgenza Sanitaria (SOREU) per la lettura da parte di un medico (se inviato da un MSB) o per una “second opinion” sul tracciato e sul caso clinico (se trasmesso da un MSA)5. Nell’anno 2018 gli ECG eseguiti dai mezzi di soccorso territoriali risultavano 78 425, con una proiezione di esecuzione per l’anno 2019, basata sui dati del primo quadrimestre, di più di 80 000 tracciati effettuati e trasmessi. In tale contesto il tempo medio di arrivo sul posto per l’intervento è risultato di soli 11 min, mentre la diagnosi elettrocardiografica/clinico-sintomatologica di infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) si è evidenziata in 1833 casi, con un dato sostanzialmente sovrapponibile all’anno precedente (2017)6.
Fig. 1
MSA MSA + MSI MSI solo MSB
19% 14%
65%
2% Figura 1. Soccorsi primari per infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI): percentuale di utilizzo dei mezzi di soccorso di base (MSB), avanzato (MSA) e intermedio (MSI).
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In campo internazionale gli standard di qualità per un corretto soccorso sanitario territoriale avanzato per l’individuazione e il trattamento della sindrome coronarica acuta (SCA)7 prevederebbero: • l’esecuzione dell’ECG a 12 derivazioni on-site (“first medical contact” [FMC]); • la formazione specifica degli operatori territoriali (tecnici e sanitari) sulla tematica SCA; • la comprovata esperienza di operatività d’emergenza territoriale del personale sanitario; • la capacità di gestione globale del trattamento farmacologico preliminare utile e necessario; • l’ospedalizzazione più corretta nel “right hospital” nel “right time”. AREU, per soddisfare questi standard e per raggiungere tutti gli obiettivi precedentemente descritti con risultati di alto livello clinico, ha stigmatizzato tre risposte concrete8: 1. Una formazione a tutto campo in ambito cardiologico d’urgenza per il proprio personale. 2. La costruzione di un percorso diagnostico-terapeutico condiviso tra AREU-HQ - SOREU - AAT - Cardiologie e Direzioni Sanitarie delle ASST ospedaliere. 3. L’organizzazione del dispatch e del successivo smistamento di rete, specifico per la SCA. In particolare per il punto 1 è stato costruito un percorso formativo ad hoc preparato sulle diverse qualifiche degli stakeholder del soccorso preospedaliero e gestito dall’International Training Centre di AREU. Per il punto 2 è stato costruito in ogni provincia con le unità di cardiologia locali un percorso diagnostico-terapeutico che tenesse conto delle differenze e delle necessità logistiche dell’area interessata, tutte rientranti in un documento ufficiale denominato DOC. 24. Per il punto 3 invece è stato tenuto conto della dotazione ed ubicazione dei mezzi di soccorso disponibili e dei livelli di classificazione delle strutture cardiologiche ospedaliere (D.G.S. no. 10446 del 15/10/2009)8 secondo una scelta dinamica di invio dal territorio dei pazienti soccorsi, privilegiando la centralizzazione negli hub per gli STEMI e delegando agli spoke i soli casi non impegnativi (Figura 2).
Rete di Patologia per STEMI-SCA •
IV livello = 19 Presidi (CathLab 24h, UCC + CCH)
•
III livello = 28 Presidi (CathLab 24h + UCC)
•
II livello
= 3 Presidi (CathLab 6/12h + UCC)
•
I livello
= 35 Presidi (solo UCC)
Figura 2. Rete di patologia per infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST-sindrome coronarica acuta (STEMI-SCA). CCH, cardiochirurgia; UCC, unità di cura coronarica.
Il soccorso preospedaliero nella SCA Fig. 3
FMC
DOOR
95° pctl
pPCI
76
75° pctl
ESC 2012: raccomandata
54
mediana
accetta
42 0
20
40
60 80 minuti
90
100
120
140
Figura 3. Risultati regionali: percentili dell’intervallo “First medical contact (FMC)-Door” nella casistica regionale lombarda dei soccorsi primari per infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST. ESC, Società Europea di Cardiologia; pPCI, angioplastica coronarica primaria.
RISULTATI E DISCUSSIONE
CONCLUSIONI
Una siffatta organizzazione e filosofia gestionale regionale ha portato ad elevati risultati di performance clinica e gestionale con un tasso di centralizzazione degli STEMI del 96.8% e un utilizzo degli MSA2 nell’81% dei casi cardiologici primari soccorsi in ambito territoriale. Inoltre si è evidenziata un’ospedalizzazione dei pazienti, già parzialmente trattati per la loro patologia, con un tempo mediano di 42 min e di 76 min al 95° percentile, ben al di sotto di quanto la Società Europea di Cardiologia raccomanda fin dal 2012 quale tempistica di riferimento (90 min per “FMC-Door”) (Figura 3). Per quanto riguarda i dati raccolti, nel 2018 su 52 528 casi di dolore toracico (24% di tutte le sindromi dolorose soccorse nell’anno) le potenziali SCA rilevate sul territorio sono risultate 41 220 (78% dei dolori toracici), di cui 4980 confermate successivamente in dipartimento d’emergenza dalla diagnostica completa ospedaliera. In questo panorama non è stato possibile valutare gli effettivi costi biologici contrastati per ogni soggetto soccorso, ma si ritiene che la tempistica ridotta di “FMC-Treatment” per la maggior parte dei pazienti e soprattutto l’anticipata terapia farmacologica somministrata in fase preospedaliera, abbia influito positivamente sul percorso sanitario globale e sull’esito clinico a breve e lungo termine9. Dal punto di vista economico invece una tale organizzazione ha inoltre evidenziato un costo globale di soli € 169 per 1 h di intervento territoriale (“all inclusive”), costo molto inferiore a quello di ogni altro paese occidentale e della media italiana. In questo quadro, tutto sommato confortante, ci si è comunque chiesto che cosa potrebbe fare in più AREU sul versante cardiologico per migliorare il percorso di soccorso territoriale e di integrazione con l’interfaccia ospedaliera10. La risposta ad ora plausibile è stata individuata in questi indirizzi:
Il percorso territoriale della SCA pone sicuramente delle problematiche che devono essere risolte centralmente da AREU seguendo una traccia condizionata da un modello strategico comune per ogni 118 provinciale della Regione, da un allineamento agli standard proposti dal D.M. 70 del 2015 e dal rispetto di indicatori di performance e di esito non ancora ben delineati dallo stesso decreto. Tale percorso in Lombardia potrà risultare ulteriormente virtuoso se imperniato su di un rapporto privilegiato (costruito e condiviso alla pari) tra tutti gli stakeholder costituiti da AREU, laboratori di Emodinamica cardiologici, unità operative complesse di cardiologia, cardiochirurgie, terapie intensive, pronto soccorso/dipartimenti d’emergenza ed anche medici di medicina generale.
1. Una nuova verifica dei criteri di appartenenza delle strutture hub and spoke della Rete insieme alla Direzione Generale Welfare di Regione Lombardia. 2. La ricucitura dei flussi informativi regionali di concerto con le ATS, le ASST per una migliore determinazione del percorso di cura del paziente acuto con SCA. 3. Il maggior coinvolgimento delle ONLUS in favore di progetti informativi del cittadino per una sua sensibilizzazione sugli eventi cardiologici, la prevenzione di malattia e la relativa chiamata di soccorso in caso di evento acuto.
RIASSUNTO Razionale. Poiché in Europa i costi biologici e sanitari della sindrome coronarica acuta (SCA) risultano estremamente elevati, AREU Lombardia si è preordinata una “Mission” che possa risolvere in parte tale evidenza, tramite un corretto bilanciamento clinico-organizzativo del soccorso territoriale. Materiali e metodi. La complessità territoriale e abitativa regionale hanno condizionato le recenti scelte strategiche che hanno previsto l’allineamento all’Europa con l’introduzione delle Centrali di Soccorso di I livello (NUE 1.1.2.) per l’esatta localizzazione dell’evento e la successiva gestione da parte della Sala Operativa Sanitaria dell’Emergenza/Urgenza con il dispatch dei mezzi più idonei di risposta al bisogno richiesto, ma tutti in grado di effettuare un ECG a 12 derivazioni per la diagnostica cardiologica. Inoltre per rispondere ai requisiti di qualità, si è prevista una formazione a tutto campo e specifica sulla SCA degli operatori del soccorso, l’utilizzo sui mezzi avanzati di professionisti sanitari “specialisti” e una procedura standard di trattamento farmacologico antecedente l’arrivo in ambiente ospedaliero. Risultati. La risposta di soccorso così organizzata ha permesso nell’anno 2018 in Lombardia di evidenziare l’esecuzione di 78 425 ECG a 12 derivazioni successivi a chiamate di emergenza; dei 52 528 casi di dolore toracico, le potenziali SCA rilevate in ambito territoriale sono risultate 41 220, di cui 4980 confermate successivamente nei dipartimenti di emergenza tramite la successiva raffinata diagnostica strumentale e di laboratorio. Le diagnosi di infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST al “point of care” territoriale sono state 1833, eventi tutti pretrattati farmacologicaG ITAL CARDIOL | VOL 20 | SUPPL 2 AL N 10 2019
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GF Villa mente nel contesto territoriale secondo la procedura contenuta nel documento 24 di AREU. Conclusioni. Il percorso territoriale della SCA, che prevede un severo allineamento agli standard del D.M. 70 del 2015, ha seguito in Lombardia una traccia ben definita, indirizzata a rispettare gli attuali indicatori di qualità e performance di questa patologia. Tale percorso dovrà essere sicuramente migliorato
BIBLIOGRAFIA 1. Wilkins E, Wilson L, Wickramasinghe K, et al. European Cardiovascular Disease Statistics 2017. Brussels: European Heart Network; 2017. 2. Guidelines 2000 for cardiopulmonary resuscitation and emergency cardiovascular care. An international consensus of science. Circulation 2000;102(8 Suppl): I1-384. 3. Jollis JG. Moving care forward: prehospital emergency cardiac systems. Circulation 2010;122:1443-5. 4. Lombardia – Istat.it: http://dati.istat. it/Index.aspx?QueryId=18548 [accessed September 16, 2019].
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tramite un rapporto privilegiato tra tutti gli stakeholder sanitari per poter definire univocamente gli indicatori di esito, non ancora attualmente perfettamente delineati. Parole chiave. Azienda Regionale Emergenza Urgenza (AREU); Elettrocardiogramma; Infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST; Sindrome coronarica acuta; Soccorso territoriale.
5. Villa GF, Migliori M. La realtà dello STEMI secondo il 118. Conf. Paper - Saronno 2015 https://www.researchgate. net/profile/Guido_Villa/publications?sorting=newest&page=2 [accessed September 16, 2019].. 6. Perugini E, Maggioni AP, Boccanelli A, Di Pasquale G. Epidemiologia delle sindromi coronariche acute in Italia. G Ital Cardiol 2010;10:718-29. 7. Steg PG, James SK, Atar D, et al. ESC Guidelines for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation. Eur Heart J 2012;33:2569-619. 8. Regione Lombardia, Decreto D.G.S.
G ITAL CARDIOL | VOL 20 | SUPPL 2 AL N 10 2019
n. 10446 15/10/2009. Determinazioni in merito alla rete per il trattamento dei pazienti con infarto miocardico con tratto ST elevato (STEMI). 9. Ministero della Salute, AGENAS; Programma Nazionale Esiti - Risultati, Edizione 2018. https://www.agenas.gov.it/images/ agenas/In%20primo%20piano/PNE/2019/ PNE2018_4_giugno.pdf [accessed September 16, 2019]. 10. G.U. no. 127 - 4 giugno 2015; Decreto no. 70 del 2/4/2015 - Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera (15G00084).
La fase della riabilitazione Roberto F.E. Pedretti U.O. Cardiologia Riabilitativa, Dipartimento di Cardioangiologia Riabilitativa, Istituti Clinici Scientifici Maugeri, IRCCS, Istituto di Pavia
Preventive Cardiology and Cardiac Rehabilitation (CR) is the specialty of clinical cardiology dedicated to the care of post-acute and chronic heart disease patients. The goals are to improve quality of life and prognosis, clinical stability, optimization of pharmacological and non-pharmacologic therapy, management of comorbidities, treatment of disabilities, reinforcement of secondary prevention interventions and adherence to therapy. The global mandate of CR has changed over time. From the acute intervention, we moved on to the care in the medium and long-term period. Despite its clear benefits and guideline recommendations, CR is still not fully considered within the cardiovascular landscape. Furthermore, the importance of CR at the clinical level and of the “health” gain of CR is little known by the beneficiaries themselves, i.e. patients on one side and the health system on the other. The main criticism is the low referral rate of cardiac patients to CR programs. In Italy, in Europe and in the USA it appears to be <30%. The challenge for CR is to work on the changes induced by epidemiology and the healthcare system needs. CR inpatient wards must be increasingly available and organized to acquire complex patients, often elderly and frail, up to the development of sub-intensive rehabilitation therapy units; in Italy, it is also necessary to develop outpatient pathways for patients of moderate-low complexity, in order to increase the referral rate to CR. Finally, integrating CR programs with long-term follow-up pathways of cardiac patients is a very important task, fully entering in the areas of e-Health and m-Health. Key words. Cardiac rehabilitation; Secondary cardiovascular prevention. G Ital Cardiol 2019;20(10 Suppl 2):e17-e20
CARDIOLOGIA RIABILITATIVA E PREVENTIVA: LA SITUAZIONE ATTUALE La Cardiologia Preventiva e Riabilitativa (CPR) costituisce la specialità della cardiologia clinica dedicata alla cura del paziente cardiopatico cosiddetto post-acuto e cronico, il cui obiettivo è quello di migliorarne la qualità di vita e la prognosi mediante la prosecuzione della stratificazione prognostica, la stabilizzazione clinica, l’ottimizzazione della terapia farmacologica e non, la gestione delle comorbilità, il trattamento delle disabilità, la prosecuzione e il rinforzo degli interventi di prevenzione secondaria e il mantenimento dell’aderenza alla terapia1,2. Il mandato globale della CPR si è modificato nel tempo. Dall’intervento in acuto, si è passati alla sfida assistenziale di garantire continuità e qualità di cura a medio e lungo termine. La CPR (o i suoi elementi costitutivi) continuano a trovare indicazione dopo sindrome coronarica acuta, con raccomandazione di classe I, dopo interventi di cardiochirurgia coronarica e valvolare, e nello scompenso cardiaco post-acuto e cronico3-6. Non trovano indicazione ad un programma di CPR solo quei pazienti che presentino una modesta probabilità di recupero funzionale, quali i pazienti con importante disabilità
© 2019 Il Pensiero Scientifico Editore L’autore dichiara nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Dr. Roberto F.E. Pedretti U.O. Cardiologia Riabilitativa, Dipartimento di Cardioangiologia Riabilitativa, Istituti Clinici Scientifici Maugeri, IRCCS, Istituto di Pavia, Via S. Maugeri 10, 27100 Pavia e-mail: roberto.pedretti@icsmaugeri.it
motoria o dello stato cognitivo preesistente all’evento acuto o i soggetti con breve aspettativa di vita. La fotografia 2013 della CPR in Italia evidenziava 221 strutture dedicate, in continuo incremento da oltre 30 anni, con una distribuzione regionale ancora non omogenea, ma con la media di una struttura ogni 270 000 abitanti. Il network appariva, sia pure in minor misura rispetto alle survey precedenti, ancora molto sbilanciato verso un’offerta prevalentemente degenziale, talora anche ad alta complessità organizzativa. Infatti, l’11% dei posti letto venivano descritti come dotati di un’organizzazione sub-intensiva7. La CPR, nonostante la sua storia pluridecennale e l’aver dimostrato negli anni grande vitalità sul piano sia culturale che operativo, continua ad essere non adeguatamente considerata all’interno del panorama cardiologico. Inoltre, l’importanza della CPR sul piano clinico e dei risultati “di salute” che essa fornisce è poco conosciuta dagli stessi beneficiari, cioè i pazienti da un lato e il sistema sanitario dall’altro. Continua probabilmente ad esistere una certa pregiudiziale nei confronti della CPR basata su equivoci di fondo: forse si pensa che la prevenzione sia qualcosa che tutti gli operatori sanitari già conoscano e realizzino al meglio e che la riabilitazione null’altro sia che attività fisica, poco diversa da quella che si può eseguire in una palestra, forse con una maggior supervisione sanitaria. Per quanto riguarda il sistema sanitario continua a persistere una visione di associazione stretta tra riabilitazione e fisioterapia, visione mutuata dalla riabilitazione neuromotoria, probabilmente ormai non più adeguata nemmeno per quest’ultima e traslata sic et simpliciter anche alla CPR e a quella respiratoria. Quanto sopra pare persistere nonostante innumerevoli documenti G ITAL CARDIOL | VOL 20 | SUPPL 2 AL N 10 2019
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RFE Pedretti di consenso sviluppati dalle diverse Società Scientifiche che, tra loro aggregate sul piano culturale, mostrano una “base” assai più lontana rispetto alle loro indicazioni.
MULTIDISCIPLINARIETÀ ED EFFICACIA Il primo punto da sottolineare è che la CPR non coincide con la sola prescrizione e svolgimento di un programma di training fisico, dove peraltro tuttora persistono problemi nella corretta prescrizione e declinazione dello stesso8,9; al contrario i programmi di CPR sono costituiti da un intervento multidisciplinare, diretto da un cardiologo e alla cui realizzazione collaborano ulteriori professionisti quali l’infermiere, il fisioterapista, lo psicologo e il dietista1,10. A questi possono aggiungersi ulteriori professionalità quali l’assistente sociale e i diversi specialisti medici per la gestione ottimale delle comorbilità, sempre più comuni oggi nei pazienti avviati a programmi di CPR. Quanto sopra può essere realizzato sia in regime degenziale che in contesto ambulatoriale, sulla scorta delle necessità dei pazienti. In qualunque contesto venga declinata, la CPR non può prescindere dal continuare a erogare i propri contenuti fondamentali, ovvero una valutazione complessiva centrata sui bisogni e sugli obiettivi del paziente, un intervento di stabilizzazione clinica e di ottimizzazione della terapia, una prescrizione e implementazione di attività fisica, un supporto educazionale sui fattori di rischio legati allo stile di vita e sul disagio socio-emotivo, un counseling specifico (anche mirato all’aderenza terapeutica) e infine una valutazione periodica degli outcome1,2. L’efficacia della CPR non è in discussione, dal momento che lo svolgimento di un programma di CPR costituisce una raccomandazione di classe I da parte delle linee guida. A supporto di tale concetto menzioniamo qui solo i risultati di due recenti studi italiani, l’uno condotto nel contesto clinico riabilitativo ambulatoriale e relativo a pazienti con cardiopatia ischemica e l’altro basato sull’analisi di dati amministrativi, condotto nel contesto clinico riabilitativo degenziale in pazienti con scompenso cardiaco11,12. Doimo et al.11 hanno mostrato come in pazienti affetti da cardiopatia ischemica (sindrome coronarica acuta, intervento chirurgico di rivascolarizzazione miocardica, angioplastica coronarica), 839 con e 441 senza un programma di CPR, la CPR durante un follow-up mediano di 82 mesi riduca significativamente la mortalità per ogni causa a lungo termine (10 vs 19%, p=0.002), la mortalità cardiovascolare (2 vs 7%, p=0.008) e le ospedalizzazioni (11 vs 25%, p<0.001). In una coorte di 140 552 pazienti ricoverati presso gli ospedali per acuti della Regione Lombardia per un episodio incidente di scompenso cardiaco, il 29% (n = 39 709) alla dimissione dall’ospedale per acuti ha avuto poi ≥1 accesso presso un reparto degenziale di Cardiologia Riabilitativa a differenza del restante 81% (n = 100 843) che non ha mai svolto alcun programma di CPR degenziale12. I pazienti ammessi in CPR apparivano significativamente più gravi, come dimostrato dal fatto che presentassero un numero significativamente più elevato di comorbilità (p<0.001) e il primo accesso in un reparto di CPR fosse preceduto nella storia clinica da ben 3.26±1.78 ospedalizzazioni in acuto12. Nonostante il profilo di maggior rischio, all’analisi multivariata l’accesso ad un reparto di CPR condizionava una significativa riduzione della mortalità per ogni causa (hazard ratio
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[HR] 0.577, p=0.01) e della probabilità di riospedalizzazione per ogni causa (HR 0.799, p=0.01) in un follow-up a lungo termine interessante la finestra temporale degli anni 2005201212. Un accenno inoltre al tema dell’aderenza alla terapia farmacologica e ad un corretto stile di vita. L’aderenza al trattamento medico è la chiave del successo nella quasi totalità delle condizioni croniche, in special modo nelle malattie cardiovascolari ove gioca un ruolo determinante. L’aderenza viene definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come il comportamento di un soggetto/paziente, in termini di assunzione di farmaci, osservanza di una dieta, di un particolare stile di vita che corrisponde alle raccomandazioni concordate con un professionista sanitario13. I fattori alla base della scarsa aderenza sono molteplici e possono essere divisi in quelli correlati al paziente, al medico prescrittore, al sistema sanitario ed infine, all’ambiente. La dimensione del problema è ben descritta da una metanalisi eseguita su 20 studi coinvolgenti oltre 370 000 pazienti, che ha osservato come l’aderenza alla terapia farmacologica per i farmaci cardiovascolari sia solo del 57% (intervallo di confidenza [IC] 95% 50-64) dopo una mediana di 24 mesi dalla prescrizione, sebbene vi sia una maggiore aderenza nella prevenzione secondaria (66%; IC 95% 56-75) rispetto alla prevenzione primaria (50%; IC 95% 45-56)14. È stato calcolato che la scarsa aderenza alla terapia si traduce in circa 200 000 morti all’anno in Europa e si stimano costi di circa 125 miliardi di euro/anno nel vecchio Continente e 300 miliardi di dollari/anno negli Stati Uniti15,16. Un consistente contributo al raggiungimento e al mantenimento dell’aderenza, intesa nel senso più ampio e completo del termine, può essere offerto dai programmi di CPR, non a caso definita come l’unione di tutti gli interventi richiesti per garantire il miglioramento fisico, psicologico e sociale dei pazienti con malattia cronica o successivamente ad un evento acuto cardiovascolare. In un’importante metanalisi, Anderson et al.17 hanno valutato 14 486 pazienti in 63 studi, con un follow-up mediano di 12 mesi, dimostrando come i programmi di CPR possano ridurre la mortalità cardiovascolare e le ospedalizzazioni migliorando, inoltre, la qualità di vita dei pazienti.
CRITICITÀ E PROSPETTIVE La principale criticità è rappresentata dal basso “referral rate” dei pazienti cardiopatici ai programmi di CPR. Il dato, stimato nella realtà nazionale, non pare >30%7. Tale problematica non è solo italiana, ma deve trovare una soluzione sia attraverso una corretta applicazione nella pratica clinica quotidiana del concetto di “appropriatezza organizzativa”, basato sulla scelta del contesto clinico (CPR degenziale, CPR ambulatoriale, invio diretto al territorio) più adatto sulla scorta della stratificazione prognostica e dei bisogni del paziente, sia attraverso la trasmissione da parte della CPR della cultura della prevenzione e della riabilitazione al di fuori del proprio perimetro. Circa quest’ultimo punto, i dati del Registro BLITZ-4 dimostrano come sia ampiamente insufficiente lo svolgimento nei reparti per acuti di momenti di counseling sui diversi temi della prevenzione secondaria18. La CPR, la cui efficacia è già stata ben dimostrata, deve però accettare pienamente la sfida imposta dall’epidemiologia e dal sistema sanitario. I reparti di degenza devono esse-
La fase della riabilitazione re sempre più disponibili e organizzati per acquisire pazienti complessi, spesso anziani e fragili, sino allo sviluppo di unità di terapia sub-intensiva riabilitativa; è necessario parallelamente sviluppare e incentivare percorsi ambulatoriali per i pazienti di complessità moderato-bassa, anche per aumentare il “referral rate” alla CPR ed evitare che il paziente oggi a basso rischio diventi domani un soggetto ad alto rischio. Naturalmente quanto sopra non può realizzarsi in assenza di un’adeguata sensibilità da parte dell’interlocutore istituzionale. La CPR deve infine presidiare il percorso della continuità assistenziale, inserendosi ed integrandosi al meglio con i percorsi di follow-up a lungo termine dei pazienti cardiopatici19, muovendosi inoltre nell’ottica della “medicina individualizzata” e “di precisione”, inserendosi nei settori dell’e-Health e m-Health. Le esperienze aneddotiche di telemedicina censite da ISYDE.13-Directory è importante si sviluppino e diventino modalità di cura complementari a quelle tradizionali. Per questo, è importante che ci si avvicini e familiarizzi sempre più con termini come biomarcatori, genetica, epigenetica, intelligenza artificiale.
RIASSUNTO La Cardiologia Preventiva e Riabilitativa (CPR) costituisce la specialità della cardiologia clinica dedicata alla cura del paziente cardiopatico cosiddetto post-acuto e cronico, il cui obiettivo è quello di migliorarne la qualità di vita e la prognosi mediante la prosecuzione della stratificazione prognostica, la stabilizzazione clinica,
BIBLIOGRAFIA 1. Pedretti RFE, Fattirolli F, Griffo R, et al. La Cardiologia Preventiva e Riabilitativa “3.0”: dalle acuzie alla cronicità. Position paper del Gruppo Italiano di Cardiologia Riabilitativa e Preventiva (GICR-IACPR). G Ital Cardiol 2018;19(10 Suppl 3):3S-40S. 2. Pedretti RF. Cardiac rehabilitation in Europe: wWhere we are and where we are going. Eur J Prev Cardiol 2019;26:112830. 3. Ibanez B, James S, Agewall S, et al. 2017 ESC Guidelines for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation: The Task Force for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J 2018;39:119-77. 4. Roffi M, Patrono C, Collet JP, et al. 2015 ESC Guidelines for the management of acute coronary syndromes in patients presenting without persistent ST-segment elevation. Task Force for the Management of Acute Coronary Syndromes in Patients Presenting without Persistent ST-Segment Elevation of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J 2016;37:267-315. 5. Ponikowski P, Voors AA, Anker SD, et al. 2016 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure: The Task Force for the diagnosis and treatment of acute and chron-
l’ottimizzazione della terapia farmacologica e non, la gestione delle comorbilità, il trattamento delle disabilità, la prosecuzione e il rinforzo degli interventi di prevenzione secondaria e il mantenimento dell’aderenza alla terapia. Il mandato globale della CPR si è modificato nel tempo. Dall’intervento in acuto, si è passati alla sfida assistenziale di garantire continuità e qualità di cura a medio e lungo termine. La CPR, nonostante la sua storia pluridecennale e l’aver dimostrato negli anni grande vitalità sul piano sia culturale che operativo, continua ad essere non adeguatamente considerata all’interno del panorama cardiologico. Inoltre, l’importanza della CPR sul piano clinico e dei risultati “di salute” che essa fornisce è poco conosciuta dagli stessi beneficiari, cioè i pazienti da un lato e il sistema sanitario dall’altro. La principale criticità è rappresentata dal basso “referral rate” dei pazienti cardiopatici ai programmi di CPR. Il dato, stimato nella realtà nazionale, non pare >30%. La CPR, la cui efficacia è già stata ben dimostrata, deve però accettare pienamente la sfida imposta dall’epidemiologia e dal sistema sanitario. I reparti di degenza devono essere sempre più disponibili e organizzati per acquisire pazienti complessi, spesso anziani e fragili, sino allo sviluppo di unità di terapia sub-intensiva riabilitativa; è necessario parallelamente sviluppare e incentivare percorsi ambulatoriali per i pazienti di complessità moderato-bassa, anche per aumentare il “referral rate” alla CPR. La CPR deve infine presidiare il percorso della continuità assistenziale, inserendosi ed integrandosi al meglio con i percorsi di follow-up a lungo termine dei pazienti cardiopatici, muovendosi inoltre nell’ottica della “medicina individualizzata” e “di precisione”, inserendosi nei settori dell’e-Health e m-Health. Parole chiave. Cardiologia riabilitativa; Prevenzione cardiovascolare secondaria.
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La gestione domiciliare del paziente con cardiopatia ischemica Anna Carla Pozzi Medico di Medicina Generale, FIMMG Lombardia, Milano
Chronic pathologies increase constantly as the average life period lengthens. In particular, it has been observed a significant increase in cardiovascular diseases. In the Lombardy Region, this issue has been faced by developing a project for those who are suffering from both single or multi-pathologies. This project called PIC, which stands for “treatment of chronic patients” in Italian, is improving patient adherence to therapies. To meet the needs of these patients, Lombardy’s family doctors have joined in cooperatives in order to better help chronic patients by providing a service center and the necessary tools for drafting a detailed individual care plan. The individual care plan is a digital document including a customized planning for each patient. This allows a better monitoring, which results in an effective treatment course. Key words. Adherence; Care; Chronic illness; Family doctor. G Ital Cardiol 2019;20(10 Suppl 2):e21-e23
INTRODUZIONE La vita media e quindi l’invecchiamento e le patologie croniche sono in continuo aumento1, in particolare per quanto riguarda le malattie cardiovascolari dal 2005 al 2013 in Regione Lombardia si è avuto un incremento di 480 000 pazienti, oltre che un aumento dei pazienti con più patologie (+200% pazienti con più di quattro malattie croniche) (Figura 1). Questa situazione è destinata a peggiorare in futuro, come confermato anche dalle previsioni Istat che evidenziano che nel 2049 gli over 66 saranno ben il 41% (Figura 2). Il trattamento del paziente cardiopatico non si ferma al trattamento del singolo evento ma deve proseguire per tutta la vita. Questa presa in carico viene svolta dai medici di medicina generale (MMG). Da qui la necessità di trovare un modello organizzativo che preveda di: –– –– –– ––
garantire la continuità delle cure, effettuare un monitoraggio continuo, attuare l’integrazione tra le varie figure socio-sanitarie, supportare l’empowerment e il self-management del paziente.
+ pazienti pluripatologici 2005-2013
+ 200% + 97% 1 malattia cronica 2 malattie croniche 3 malattie croniche 4 malattie croniche
+ 12%
+ 39%
Figura 1. Incremento dei pazienti con mono o pluripatologie al 2005 al 2013 nella Regione Lombardia.
Il valore aggiunto di questo modello sarà determinato da efficienza, appropriatezza, adeguatezza ed outcome.
LA PRESA IN CARICO DEL PAZIENTE CRONICO IN LOMBARDIA La riforma lombarda della presa in carico del paziente cronico2 è un modello innovativo che ha l’obiettivo di seguire al meglio lo stesso paziente. Va riconosciuto come quello della Regione
© 2019 Il Pensiero Scientifico Editore L’autore dichiara nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Dr.ssa Anna Carla Pozzi Medico di Medicina Generale, FIMMG Lombardia, Via Mozart 10, 20096 Pioltello (MI) e-mail: anna.pozzi@unimi.it
Figura 2. Previsioni Istat al 2049 delle percentuali di pazienti con patologie croniche. Figura 2 G ITAL CARDIOL | VOL 20 | SUPPL 2 AL N 10 2019
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AC Pozzi Lombardia sia stato il primo e concreto tentativo di attuazione del Piano Nazionale della Cronicità. È stato definito un modello di presa in carico che ha coinvolto come gestori sia le strutture pubbliche che private accreditate, ma soprattutto i MMG che si sono organizzati per attuare la riforma in cooperative che, garantendo un processo erogativo unitario ed una responsabilità unitaria in capo al soggetto gestore, coordinano l’integrazione tra i differenti livelli di cura ed i vari attori. Secondo FIMMG Lombardia, sulla base dei dati evidenziati, solo la medicina generale può gestire il percorso del paziente cronico. Esistono però delle criticità che vanno affrontate. Il ruolo fondamentale del MMG è documentato dai primi dati che indicano che laddove lo stesso abbia scelto di candidarsi al ruolo di gestore o “clinical manager”, si registra il numero maggiore di adesione dei pazienti (Tabella 1). Strumento fondamentale è il piano assistenziale individuale (PAI), che è un documento digitale di pianificazione delle cure personalizzato per ogni paziente3 che permette un’organizzazione del percorso di cura nella rete con monitoraggio e verifica dell’empowerment del paziente. Questo determina maggior adeguatezza, appropriatezza4, continuità di sistema, maggior qualità di sistema e maggior educazione alla salute. In questa riforma rivoluzionaria e ambiziosa è doveroso sottolineare come il protagonista debba rimanere il paziente nella sua totalità dal punto di vista sanitario e sociale. Tra gli obiettivi particolare importanza va data al miglioramento dell’aderenza5. Crediamo che uno dei risultati principali che dobbiamo attenderci da questa riforma debba essere proprio un miglioramento del percorso di cura sia in termine farmaceutico che di accertamenti. Importante è anche l’attenzione agli stili di vita e la presa di coscienza consapevole dei pazienti della propria patologia. Quest’anno nel PAI vengono inseriti anche gli “stili di vita” in termini di indice di massa corporea, abitudine al fumo e al consumo di alcool ed attività fisica oltre all’informativa sulle vaccinazioni consigliate.
LE COOPERATIVE DI MEDICI DI MEDICINA GENERALE La cooperativa IML (Iniziativa Medica Lombarda) ha aperto il primo centro servizi della medicina generale che si occupa di contattare i pazienti cronici con PAI attivo per aiutarli a fissare gli appuntamenti, monitora l’aderenza al percorso di cura e promuove gli stili di vita e le campagne vaccinali6 (Figura 3). La gestione delle patologie cardiovascolari sul territorio La Regione Lombardia2 ha stratificato la popolazione cronica in tre livelli:
–– livello 3: monopatologici; –– livello 2: pluripatologici; –– livello 1: pluripatologici particolarmente fragili. Le patologie cardiache sono state classificate nel seguente modo: –– cardiopatia ischemica, –– cardiopatia valvolare, –– miocardiopatia non aritmica, –– miocardiopatia aritmica, –– scompenso cardiaco. È stato analizzato l’andamento dei pazienti arruolati di tre cooperative di MMG (IML, CMMC, GST) e si è visto che circa il 6% degli stessi è affetto da cardiopatia ischemica cronica (il 36% è di livello 3, il 58% di livello 2 e il 6% di livello 1).
Tabella 2. Prestazioni più prescritte dai medici di medicina generale nei piani assistenziali individuali. Prestazioni di laboratorio più frequenti Glicemia
127%
Esame urine
115%
Colesterolo totale
113%
Trigliceridi
112%
Colesterolo HDL
112%
Creatinina
111%
Emocromo completo con formula
110%
Potassio
107%
Sodio
106%
Prestazioni ambulatoriali più frequenti ECG
104%
Visita cardiologica
100%
Ecocardiografia color Doppler a riposo
86%
N. pazienti che hanno attivato la PIC
Ecocardiografia Doppler dei tronchi sovra-aortici
78%
Fundus oculi
19%
Gestori MMG/PLS
245 829
Test cardiovascolare da sforzo al cicloergometro
13%
Strutture pubbliche/private
64 458
Visita diabetologica
9%
Totale
310 287
Visita oculistica
7%
Spirometria semplice
6%
Tabella 1. Presa in carico del paziente cronico (PIC). Tipologia ente
MMG, medico di medicina generale; PLS, pediatra di libera scelta. Dati aggiornati al 12.02.2019.
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Figura 3. Centro servizi IML.
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Gestione domiciliare della cardiopatia ischemica Le co-patologie più frequenti dei pazienti con cardiopatia ischemica sono: l’ipercolesterolemia, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito di tipo 2, la miocardiopatia aritmica e non. Nella Tabella 2 sono riportate le prestazioni più prescritte dai MMG nei PAI pubblicati. Il valore al di sopra del 100% indica che tali prestazioni sono state prescritte più di una volta in 1 anno. Particolarmente significativo è il dato di prescrizione del 100% di visite cardiologiche; questo dato sta a significare che verosimilmente i pazienti con recente evento acuto fanno anche due o più controlli in 1 anno, invece i pazienti già stabilizzati effettuano la visita con minor frequenza. La recente delibera del 17 dicembre 2018 della Regione Lombardia avente per oggetto la telemedicina permetterà al medico di famiglia di eseguire nel proprio ambulatorio prestazioni di primo livello quali ECG, fundus oculi, spirometrie, ecc., in modo da poter monitorare direttamente il paziente stabile con notevole miglioramento dei tempi di attesa delle strutture erogatrici.
CONCLUSIONI È doveroso sottolineare alcune criticità più frequentemente riscontrate durante l’attuazione del progetto: –– alcuni PAI bloccati nella pubblicazione sul Fascicolo Sanitario Elettronico da errori del Sistema Informatico Socio-Sanitario,
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–– alto numero di software di gestione in uso ai MMG (n = 22), –– difficile dialogo con il sistema di pubblicazione, –– difficoltà del centro servizi a prenotare in autonomia per l’impossibilità di visione delle agende delle strutture (ogni struttura erogatrice ha richieste differenti ed il centro servizi si deve adattare alle diverse esigenze), –– mancanza dei dati di ritorno sul prescritto eseguito per il monitoraggio dell’aderenza.
RIASSUNTO L’allungarsi della vita media determina un continuo aumento delle patologie croniche. In particolare si è osservato un incremento di quelle cardiovascolari. In Regione Lombardia è stato messo a punto un progetto (PIC – presa in carico del paziente cronico) per migliorare l’aderenza alla terapia e al percorso di cura dei pazienti mono e pluripatologici. Per rispondere a questa esigenza i medici di famiglia lombardi si sono associati in cooperative, per poter gestire il paziente cronico, anche fornendo un centro servizi e gli strumenti necessari per la stesura del piano assistenziale individuale. Quest’ultimo è un documento digitale di pianificazione delle cure personalizzato per ogni paziente, che permette di programmare un efficace percorso di cura con monitoraggio e verifica dell’empowerment del paziente. Parole chiave. Aderenza; Cronicità; Medico di famiglia, Presa in carico.
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Conclusioni La sequenza delle diverse relazioni può essere sintetizzata da una serie di affermazioni. 1. L’organizzazione è muscolo. Da oltre 30 anni, già dai tempi del GISSI 1, è stato dimostrato che più è rapido un intervento riperfusivo, minore è la mortalità intraospedaliera e a medio-lungo termine. Con l’avvento della terapia di rivascolarizzazione percutanea, un’organizzazione tempestiva e mirata del trasporto dell’ammalato direttamente in sala di emodinamica è la chiave strategica per salvare muscolo cardiaco. Rimane aperto il problema del numero ancora rilevante di pazienti che non ricorrono al 118. 2. Il dolore toracico merita sempre attenzione. Anche se in una percentuale rilevante di casi il dolore toracico non risulta dovuto ad insufficienza coronarica, nessun tipo di dolore toracico ha un livello di rischio così basso da non giustificare accertamenti specifici. In questo senso, l’istituzione di un Chest Pain Team in ogni struttura ospedaliera potrebbe rappresentare la formula organizzativa più efficace dal punto di vista clinico ed economico. 3. La prognosi è migliorata negli anni. I flussi amministrativi regionali dimostrano una riduzione della mortalità intraospedaliera per tutte le cause dal 2009 (6.5%) al 2015 (5.2%). Il sistema sanitario dà prove di buon funzionamento ma si può fare di più prima e dopo il ricovero in ospedale. 4. I farmaci per la prevenzione secondaria servono soprattutto a chi li assume. Emerge ancora una volta come una buona aderenza alle terapie, in questo caso di prevenzione secondaria, si associ in maniera chiara a una riduzione degli eventi nel corso del follow-up. 5. Riabilitazione cardiovascolare oggi significa soprattutto prevenzione secondaria. Non si tratta di pianificare solo un programma di riabilitazione fisica, ma di condividere con il paziente tutte le modalità terapeutiche basate sull’evidenza, utili a ridurre le recidive ischemiche nel corso del follow-up. La comprensione e la condivisione delle strategie terapeutiche nel loro insieme sono la base per un’adeguata aderenza alle raccomandazioni. 6. La riabilitazione serve a chi la fa. Sia gli studi clinici controllati che i dati osservazionali di “real world” documentano che la prognosi dei soggetti che sono avviati a un programma di riabilitazione è significativamente migliore di chi non è avviato a tali programmi. Il problema vero rimane quindi la possibilità di accesso ai programmi strutturati di riabilitazione. Una percentuale ancora modesta di soggetti reduci da un episodio di sindrome coronarica acuta viene avviata a un programma di riabilitazione sia in regime di ospedalizzazione che ambulatoriale. 7. Il paziente coronarico è sempre più anziano e non presenta quasi mai una sola patologia. L’età media dei pazienti con sindrome coronarica acuta è sempre più avanzata e le comorbilità sono la regola. Questo andamento epidemiologico necessita di un approccio multidisciplinare, dove la componente cardiologica non può essere che solo una parte. La continuità terapeutica tra ospedale e territorio vede una posizione centrale nel medico di medicina generale, il cui ruolo può garantire la continuità delle cure, la possibilità concreta di effettuare un monitoraggio continuo del paziente, attuare l’integrazione tra le varie figure socio-sanitarie, supportare l’empowerment e il self-management del paziente. 8. Come integrare i differenti livelli di cura e gli attori coinvolti. Il modello lombardo per gestire la cronicità può essere considerato uno dei primi e concreti tentativi di attuazione del Piano Nazionale della Cronicità. Un confronto, pianificato in maniera metodologicamente solida, fra modelli attuati nel concreto in altre regioni italiane potrebbe aiutare a comprendere, in maniera scientificamente corretta, quali siano le migliori strategie per attuare il Piano Nazionale della Cronicità su tutto il territorio nazionale. Il quadro generale è quello di un sistema sanitario lombardo ben strutturato per gestire le emergenze dovute alle sindromi coronariche acute. Ci sono ancora alcuni aspetti rilevanti da affrontare:
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Conclusioni –– l’organizzazione del trasporto del paziente là dove può ricevere le cure migliori funziona in maniera più che adeguata, ma sono ancora troppo numerosi i pazienti che non utilizzano i servizi del 118; –– le multimorbilità e l’età sempre più avanzata devono far ripensare alle modalità di gestione di questi pazienti, da un approccio strettamente specialistico, tipico del passato, a uno di tipo multidisciplinare; –– se l’andamento clinico in fase acuta è decisamente migliorato, quello sul medio-lungo termine è ancora caratterizzato da frequenti recidive e necessità di nuovi ricoveri. Programmi volti a ottenere una maggiore aderenza alla terapia e un ricorso più frequente a programmi di riabilitazione strutturati potrebbero essere un obiettivo strategico realizzabile nel prossimo futuro; –– la continuità terapeutica tra ospedale e territorio va assicurata e non può essere gestita che dal medico di medicina generale. La ricetta più efficiente in questo senso deve venire da un confronto sistematico tra i diversi modelli di presa in carico dei pazienti affetti da questa o altre patologie croniche. Maddalena Lettino U.O.C. Cardiologia Ospedale San Gerardo, ASST-Monza Monza e-mail: maddalena.lettino@hotmail.it Aldo Pietro Maggioni Centro Studi ANMCO Firenze e-mail: maggioni@anmco.it
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