

ca|re
costi dell’assistenza e risorse economiche
3|2025
INCONTRI
Valutazione dei farmaci tra efficacia clinica e sostenibilità: il nuovo ruolo dell’HTA
A colloquio con Giovanna Scroccaro
Direttrice della Direzione Farmaco, protesica e dispositivi medici della Regione Veneto e componente della Commissione scientifica ed economica dell’Agenzia Italiana del Farmaco
Negli ultimi anni si è assistito a un'evoluzione nei criteri di valutazione dei farmaci, dal tradizionale rischio-beneficio alla costo-efficacia. Quali sono, secondo lei, le implicazioni principali di questo cambiamento e che impatto ha avuto sulla sostenibilità del nostro servizio sanitario?
CARE offre dal 1999 a medici, amministratori e operatori sanitari un’opportunità in più di riflessione sulle prospettive dell’assistenza al cittadino, nel tentativo di coniugare – entro severi limiti economici ed etici – autonomia decisionale di chi opera in sanità, responsabilità collettiva e dignità della persona.
Negli ultimi anni abbiamo effettivamente assistito a una trasformazione significativa. Oggi non è più sufficiente che un farmaco riceva una valutazione positiva da parte dell’Ema per poter essere considerato meritevole di rimborso e reso disponibile gratuitamente ai pazienti. Ai consueti tre livelli di valutazione — quello dell’EMA, che stabilisce se un farmaco può essere commercializzato in Europa; quello nazionale, che decide sulla commercializzazione e rimborsabilità in Italia; e quello regionale, che ne definisce l’organizzazione e la programmazione della spesa — si è recentemente aggiunto un quarto livello: il Joint Clinical Assessment.
Questa nuova procedura, congiunta a livello europeo e applicata da tutti gli Stati membri, rappresenta un ulteriore tassello nel processo di valutazione. Essa prende in considerazione l’efficacia e la sicurezza relativa del farmaco, confrontandolo con le alternative esistenti. Si tratta di un passaggio importante e necessario per determinare se un
DALLA LETTERATURA
Approfondimenti su: antibiotici e gravidanza, la Valle del Sacco, la nuova FDA, disuguaglianze e carcinoma epatico, fluorazione negli Usa
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DOSSIER
IA e cure primarie: un percorso promettente che non nasconde ostacoli, da costruire attraverso una governance trasparente
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CONFRONTI
Gestione della cronicità: un obiettivo da condividere tra ospedale e territorio, come spiegano Umberto Gallo e Fabio Pieraccini
01 Incontri
VALUTAZIONE DEI
FARMACI TRA EFFICACIA CLINICA E SOSTENIBILITÀ:
IL NUOVO RUOLO DELL’HTA A colloquio con Giovanna Scroccaro
14 Dalla letteratura internazionale
10 Dossier
INTELLIGENZA
ARTIFICIALE IN CORSIA:
LA RIVOLUZIONE
SILENZIOSA DELLE CURE
PRIMARIE
14 Confronti GESTIONE
DELLA CRONICITÀ: UN OBIETTIVO DA CONDIVIDERE TRA OSPEDALE E TERRITORIO
A colloquio con Umberto Gallo e Fabio Pieraccini
Tutti gli articoli e le interviste sono disponibili su www.careonline.it
CARE Costi dell’assistenza e risorse economiche
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Dirigente di lunga esperienza nel settore della sanità pubblica, Giovanna Scroccaro è attualmente direttrice della Direzione farmaco, protesica e dispositivi medici della Regione Veneto. Dal 2019 ha ricoperto incarichi di rilievo all'interno dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), tra cui quello di presidente del Comitato prezzi e rimborso. Nel 2024 è stata designata dalla Conferenza Stato-Regioni come componente della nuova Commissione scientifica ed economica (CSE) dell'AIFA, contribuendo attivamente alla valutazione dell’efficacia, della sicurezza e della sostenibilità economica dei farmaci in Italia. Nel corso della sua carriera ha maturato competenze approfondite in ambito di Health technology assessment (Hta), programmazione della spesa farmaceutica e politiche di rimborso, con particolare attenzione all’equilibrio tra innovazione terapeutica e sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. È spesso coinvolta in tavoli tecnici e istituzionali sia a livello nazionale che europeo.
farmaco abbia un reale valore terapeutico aggiunto e, quindi, se meriti di essere rimborsato.
Un’analisi pubblicata sul BMJ* ha dimostrato che una quota significativa dei farmaci oncologici approvati dall’EMA tra il 1995 e il 2020, una volta sottoposti alle valutazioni nazionali, mostrava in realtà un beneficio aggiunto nullo o limitato: su 458 valutazioni, il 41% è stato classificato come privo di beneficio significativo e il 23% come di beneficio incerto. Questo limite si riscontra più frequentemente nei farmaci approvati tramite vie accelerate (CMA o AEC), sollevando dubbi, a mio avviso, sull’introduzione delle procedure accelerate di rimborso. Nei sistemi universalistici, che garantiscono l’accesso gratuito ai farmaci per tutti i cittadini senza distinzione di reddito, è indispensabile effettuare questa selezione per individuare i farmaci effettivamente meritevoli di rimborso e per definirne un prezzo giusto, equo e sostenibile.
Il Joint Clinical Assessment, entrato in vigore a gennaio 2025 per i farmaci oncologici e le terapie avanzate (ATMP), e che dal 2028 diventerà obbligatorio anche per i farmaci orfani e dal 2030 per tutti gli altri farmaci, introduce dunque maggiore rigore nella valutazione clinica, lasciando però agli Stati membri la responsabilità finale su rimborsabilità e prezzi.
Esiste secondo lei il rischio che l’attenzione all’efficacia clinica finisca per far sottovalutare elementi che incidono direttamente sulla qualità della vita del paziente e sull’aderenza alle terapie?
Sicuramente è necessario integrare i dossier valutati dalle agenzie regolatorie nazionali con dati relativi alla qualità della vita. Tali dati sono sempre più richiesti, poiché non è più sufficiente considerare solo l’efficacia di un farmaco. È fondamentale comprendere anche quale impatto esso abbia avu-
* Brinkhuis F, Goettsch WG, Mantel-Teeuwisse AK, Bloem LT. Added benefit and revenues of oncology drugs approved by the European Medicines Agency between 1995 and 2020: retrospective cohort study. BMJ 2024; 384: e077391.
to sulla qualità della vita del paziente. Un profilo di effetti collaterali particolarmente gravoso può compromettere la continuità del trattamento, con ripercussioni negative sulla compliance. In particolare, nei farmaci che puntano ad aumentare la sopravvivenza, non basta valutare i mesi o gli anni di vita guadagnati, ma anche come questi siano vissuti.
Anche AIFA ha recentemente attribuito maggiore peso a questi parametri nei criteri per il riconoscimento dell’innovatività di un farmaco.
Parlando proprio di innovatività, cosa cambia con la recente revisione dei criteri da parte di AIFA?
I cambiamenti introdotti non sono rivoluzionari, ma migliorativi. È stata posta maggiore attenzione alla qualità della vita, come già accennato, ai confronti indiretti e al valore terapeutico aggiunto. L’obiettivo rimane quello di riconoscere l’innovatività solo ai farmaci che apportano benefici clinici significativi e documentati, integrando efficacia, sicurezza e sostenibilità economica.
Data la sua esperienza sia in AIFA sia nella Regione Veneto, come si potrebbe migliorare la collaborazione tra gli enti nazionali e regionali per accelerare la disponibilità dei nuovi farmaci ai cittadini?
Attualmente le Regioni dedicano molto tempo ad analizzare i vantaggi dei farmaci approvati da AIFA rispetto alle alternative disponibili e a stimare la casistica, cioè il numero di pazienti potenzialmente interessati, al fine di programmare la spesa. Per velocizzare il processo di valutazione a livello regionale, sarebbe opportuno che l’AIFA mettesse a disposizione delle Regioni le valutazioni effettuate a livello nazionale, in particolare quelle relative ai comparatori, ai costi, alla casistica delle patologie e alle previsioni di spesa.
Oggi questi documenti restano interni all’Agenzia, costringendo le Regioni a ripetere le stesse valuta-
zioni. Quando l’AIFA sarà in grado di fornire schede sintetiche con queste informazioni, le Regioni potranno accelerare il proprio processo di introduzione dei farmaci.
Guardando al futuro, quali sono secondo lei le sfide più urgenti per migliorare l’integrazione tra valutazione clinica, farmacoeconomia e sostenibilità del sistema sanitario?
Credo che sia giunto il momento di rivedere il decreto ministeriale del 2 agosto 2019, che ha stabilito i criteri per la definizione dei prezzi dei farmaci in Italia, per renderlo più aderente al contesto attuale. Considerata la crescente spesa farmaceutica, che mette in seria difficoltà molte Regioni, sarebbe opportuno ripensare le soglie di priorità, definendo con maggiore precisione i requisiti necessari affinché un farmaco possa essere realmente rimborsato. È inoltre indispensabile fare chiarezza sui farmaci e vaccini di fascia C, acquistati dalle strutture pubbliche con fondi del Servizio Sanitario Nazionale. Mi sto riferendo ai medicinali per cui l’azienda produttrice ha fatto richiesta esplicita di classificazione in
classe C: il prezzo non viene quindi negoziato, ma definito liberamente dal produttore. Quando è lo Stato l’ente pagatore, deve esserci l’obbligo per le aziende farmaceutiche di sottoporsi al processo negoziale.
Non si tratta solo di una valutazione tecnica. È fondamentale il coinvolgimento della politica per decidere quante risorse destinare alla spesa farmaceutica. Se l’aspettativa politica è quella di rendere disponibili tutti i farmaci approvati dall’agenzia europea a qualsiasi costo, l’Agenzia tecnica dovrà agire in un certo modo. Se, invece, l’obiettivo è mantenere la sostenibilità del sistema, selezionando accuratamente i farmaci e valutando attentamente i prezzi — anche a costo di dire dei “no” — allora l’Agenzia potrà operare diversamente.
La questione della sostenibilità non può essere demandata esclusivamente all’agenzia tecnica. Serve una riflessione profonda. Non a caso, il DM del 2 agosto 2019 è un decreto interministeriale, sottoscritto sia dal Ministero della salute sia da quello dell’economia. n
Intervista a cura di Mara Losi
Il valore dei farmaci

Giuseppe Traversa
Il valore dei farmaci
Giuseppe
Accesso alle terapie efficaci e sostenibilità della spesa
Presentazioni di Patrizia Popoli e Massimo Riccaboni
È possibile rendere sostenibile la spesa farmaceutica in presenza di continue scoperte e commercializzazioni di nuove terapie il cui costo è in costante aumento? E con quali strumenti si può fare? È quanto si propone di argomentare Giuseppe Traversa, secondo il quale è possibile trovare un equilibrio fra interessi molto divergenti. Alcune proposte mirano a un rafforzamento strategico dell’intervento pubblico, ma per essere attuate richiedono un forte consenso politico e accordi sovranazionali. Il libro si concentra dunque su quello che può essere fatto già oggi, in Italia, all’interno del quadro di norme e regolamenti presenti. Elementi fondamentali a questo scopo sono la valutazione dell’efficacia di un nuovo farmaco rispetto alle alternative disponibili, la negoziazione dei prezzi e la promozione della concorrenza fra aziende produttrici. Il libro è rivolto a tutti coloro che sono interessati a capire come continuare a garantire l’universalità del servizio sanitario nazionale e ad approfondire le politiche di accesso ai farmaci, ma anche a coloro che operano nel mondo delle aziende farmaceutiche, nella consapevolezza che per una discussione vera sia necessario chiarire al meglio i diversi punti di vista.
Antibiotici in gravidanza: uso reale, variabilità regionale e implicazioni di sistema
Servadio M, Belleudi V, Poggi FR et al Real-world antibiotic utilization during pregnancy in Italy: a multiregional retrospective population-based study
BMC Pregnancy Childbirth 2025; 25: 480
Un recente studio retrospettivo di popolazione pubblicato su BMC Pregnancy and Childbirth offre un’analisi dettagliata dell’uso degli antibiotici durante la gravidanza in Italia, rivelando dati significativi sia per la sanità pubblica che per la governance del farmaco. Condotto dal gruppo MoM-Net e coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia del Lazio e dall’AIFA, lo studio ha esaminato una coorte di 449.012 donne residenti in otto regioni italiane (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Puglia e Sardegna) di età compresa tra i 15 e i 49 anni, che hanno partorito tra il 2016 e il 2018.
I DATI SUI CONSUMI
I dati indicano che circa il 32% delle donne ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici sistemici durante la gravidanza. Il ricorso agli antibiotici non si limita però al periodo gestazionale: il 33,9% delle donne ha ricevuto antibiotici nel trimestre pre-gravidanza, e il 29,3% nel post-parto. I picchi di prescrizione si registrano nel secondo trimestre di gestazione (16%), fase che coincide con la maggior frequenza di esami prenatali invasivi come amniocentesi e villocentesi. Le penicilline (ATC J01C) risultano gli antibiotici più prescritti, seguite da macrolidi e lincosamidi (ATC J01F). Se da un lato l’uso delle penicilline è coerente con le linee guida nazionali e internazionali, la somministrazione di macrolidi durante la gravidanza solleva interrogativi: studi recenti ne hanno associato l’uso a potenziali rischi fetali, come malformazioni cardiache e aborto spontaneo1,2. Preoccupante, seppur residuale, è anche la prescrizione di tetracicline e aminoglicosidi, noti per i loro effetti teratogeni3
UNA MAPPA DISOMOGENEA DELL’ITALIA
PRESCRITTIVA
Il dato forse più interessante, dal punto di vista della programmazione sanitaria, è l’elevata variabilità regionale. Se Lombardia e Veneto mostrano i livelli più bassi di consumo (intorno al 26-29% nei vari periodi), la Puglia supera in ogni fase il 40%, con picchi del 45,6% nel pre-gravidanza e 41,6% durante la gestazione. Altre regioni come Umbria e Lazio mostrano aumenti significativi nel secondo trimestre, probabilmente legati all’uso di antibiotici in associazione con amniocentesi. È importante notare che l’utilizzo profilattico di antibiotici per esami invasivi non è raccomandato dalle principali società scientifiche4
CONCLUSIONI
Le evidenze emerse da questo studio suggeriscono la necessità di interventi sistemici per migliorare l’appropriatezza dell’uso degli antibiotici in gravidanza. In primo luogo, emerge con forza l’urgenza
di rafforzare il monitoraggio prescrittivo sia a livello regionale che nazionale, al fine di individuare tempestivamente eventuali scostamenti dalle raccomandazioni cliniche. È altresì fondamentale favorire una più ampia e omogenea diffusione delle linee guida evidence-based tra i professionisti sanitari coinvolti nella cura delle donne in gravidanza, superando le attuali disomogeneità territoriali che si traducono in scelte terapeutiche non sempre allineate agli standard internazionali. In parallelo, è opportuno avviare una riflessione sulle ricadute economiche di queste pratiche prescrittive, considerando i costi diretti legati ai farmaci e quelli indiretti derivanti da potenziali effetti avversi o dalla contribuzione alla diffusione della resistenza antimicrobica. La profilassi antibiotica in assenza di infezioni documentate, come nel caso di alcune procedure invasive, solleva interrogativi non solo clinici ma anche di sostenibilità del sistema. Infine, integrare in maniera più sistematica l’informazione relativa alle terapie farmacologiche prenatali nei percorsi di sorveglianza dell’antimicrobico-resistenza rappresenta un passaggio essenziale per affrontare con maggiore consapevolezza le sfide future. Promuovere l’uso appropriato degli antibiotici in gravidanza non è solo un obiettivo clinico, ma una leva strategica per garantire un'assistenza sanitaria più sicura, equa e sostenibile. n
Mara Losi
BIBLIOGRAFIA
1. Fan H, Li L, Wijlaars L, Gilbert RE. Associations between use of macrolide antibiotics during pregnancy and adverse child outcomes: a systematic review and meta-analysis. PLoS One 2019;14.
2. Fan H, Gilber t R, O’Callaghan F, Li L. Associations between macrolide antibiotics prescribing during pregnancy and adverse child outcomes in the UK: population based cohort study. BMJ 2020;368.
3. Bookstaver PB, Bland CM, Griffin B, Stover KR, Eiland LS, McLaughlin MA. Review of antibiotic use in regnancy. Pharmacotherapy 2015;35:1052-62.
4. Giovannopoulou E, Tsakiridis I, Mamopoulos A, Kalogiannidis I, Papoulidis I, Athanasiadis A, et al. Invasive prenatal diagnostic testing for aneuploidies in singleton pregnancies: a comparative review of major uidelines. Medicina (Kaunas) 2022; 58: 1472.
PREVALENZA DELL’USO DI ANTIBIOTICI (%) PER SOTTOGRUPPO TERAPEUTICO (ATC LIVELLO III)
Prima della gravidanza
Trimestre
Gravidanza
Trimestre
Dopo il parto
Trimestre +III
Antibiotici Penicilline
Macrolidi e lincosamidi
Chinoloni Altri antibiotici Altri antibiotici beta-lattamici
FDA: il cambio di paradigma con Makary e Prasad
Prasad V, Makary MA
An evidence-based approach to covid-19 vaccination N Engl J Med 2025 May 20. doi: 10.1056/NEJMsb2506929
Con l’avvento dell’amministrazione Trump, la Food and Drug Administration (FDA) ha inaugurato una nuova stagione di indirizzo strategico e regolatorio. Al centro di questa transizione ci sono Marty Makary – Commissario della FDA – e Vinay Prasad – nuovo direttore del Center for Biologics Evaluation and Research della stessa agenzia, due figure di spicco nel panorama medico statunitense, noti per un approccio critico alle dinamiche istituzionali e per una spiccata inclinazione al dialogo con la comunità scientifica e con i cittadini. La loro nomina segna una discontinuità significativa nei metodi e nelle priorità della principale agenzia di regolazione sanitaria degli Stati Uniti. Nel recente articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine, Makary e Prasad illustrano le direttrici fondamentali della loro visione. Il documento (intenzionalmente open access) è incentrato su un tema specifico – la strategia vaccinale contro il Covid-19 – ma offre spunti di riflessione di più ampio respiro, anticipati e approfonditi ulteriormente in una conversazione video resa disponibile su YouTube (https:// www.youtube.com/watch?v=sB4rr_JK2Ak).
VERSO UNA FDA TRASPARENTE
Il primo punto dirimente è la trasparenza. Makary e Prasad dichiarano la volontà di rendere pubblici non solo gli esiti delle decisioni regolatorie, ma anche i ragionamenti che le sostengono, incluse le divergenze interne e le incertezze. L’obiettivo è duplice: da un lato, costruire un rapporto più solido con il pubblico, fondato su una comunicazione franca e verificabile; dall’altro, legittimare la complessità delle scelte in un contesto dove le evidenze scientifiche possono essere incomplete, contraddittorie o in evoluzione. In questa direzione si colloca la proposta di istituire una serie di ‘technical rational briefs’, documenti sintetici che accompagneranno le decisioni della FDA e conterranno il bilancio tra benefici e rischi, gli scenari alternativi considerati, i limiti dei dati disponibili. Questi materiali saranno accessibili a tutti e resi disponibili simultaneamente agli atti ufficiali dell’agenzia.
ACCETTARE L’INCERTEZZA
Un altro tema chiave è il riconoscimento esplicito dell’incertezza. Makary e Prasad contestano l’idea – radicata nella comunicazione regolatoria degli ultimi decenni – secondo cui la FDA debba presentarsi come una fonte di certezze assolute. Questo modello, sostengono, ha contribuito all’erosione della fiducia pubblica, soprattutto in fasi critiche come la pandemia.
La nuova leadership intende normalizzare l’uso dell’incertezza come elemento strutturale della decisione scientifica, promuovendo un lessico che esprima gradazioni di evidenza, margini di errore, e scenari probabilistici. Questa filosofia sarà applicata tanto nella comunicazione esterna quanto nei processi decisionali interni, con una revisione dei criteri di approvazione che tenga conto delle specificità dei contesti clinici.
FLESSIBILITÀ REGOLATORIA
E MEDICINA PERSONALIZZATA
Un terzo asse di intervento riguarda la flessibilità. Secondo Makary e Prasad, l’Agenzia ha troppo a lungo applicato criteri omogenei a contesti disomogenei. La nuova direzione propone un adattamento dei percorsi di approvazione, distinguendo tra le esigenze della medicina oncologica, delle malattie rare e delle patologie croniche. In ciascuno di questi ambiti, la FDA sarà chiamata a calibrare i propri strumenti in funzione delle evidenze disponibili, del profilo di rischio dei pazienti, e del contesto terapeutico.
Questo approccio si tradurrà nella definizione di ‘track decisionali’ differenziati: percorsi paralleli ma non equivalenti, pensati per rispondere alle necessità di velocità, robustezza, accessibilità e sostenibilità che variano da area ad area. La flessibilità diventa così un elemento sistemico del regolatorio, non più una concessione straordinaria ma un principio metodologico.
UN NUOVO MODELLO DI COMUNICAZIONE
Un elemento di forte rottura rispetto al passato è infine il modello comunicativo. Makary e Prasad scelgono di interagire con la comunità attraverso canali non convenzionali – piattaforme video, social media, newsletter – con un linguaggio diretto, spesso non tecnico, rivolto tanto ai professionisti quanto ai cittadini comuni. Il messaggio è chiaro: la fiducia si costruisce solo se l’informazione è accessibile, tempestiva e onesta.
Questa scelta comunicativa non è priva di rischi. Espone i vertici dell’agenzia a una visibilità inedita e li rende interlocutori diretti di un pubblico frammentato e polarizzato. Tuttavia, secondo i due direttori, il costo della trasparenza è inferiore a quello della distanza: un’Agenzia silenziosa è un’agenzia vulnerabile.
CONCLUSIONI
L'auspicio di un 'nuovo corso' per la FDA, delineato dalle posizioni critiche di Makary e Prasad, riceve ulteriore impulso alla luce di un'inchiesta giornalistica firmata da Jeanne Lenzer e Shannon Brownlee e ripresa il 5 giugno dall'Associazione Alessandro Liberati Cochrane affiliate centre in un articolo pubblicato sul proprio sito (https://associali.it/farmaci-approvati-senza-prove-il-sistema-fda-sotto-accusa/). L’approfondimento porta all’attenzione pubblica una serie di gravi falle nei processi di autorizzazione regolatoria della FDA, inclusi molti casi di approvazione di farmaci in assenza di solide evidenze cliniche.
Il quadro che ne emerge evidenzia una tendenza sistemica a privilegiare iter accelerati e surrogati non validati, talvolta in risposta a pressioni commerciali o a una visione eccessivamente permissiva del concetto di 'accesso precoce'. Tali criticità, documentate anche in passato da esperti indipendenti, confermano quanto già sostenuto da Makary e Prasad: la necessità non di una semplice revisione operativa, ma di una rifondazione culturale del ruolo regolatorio dell'agenzia.
In questo contesto, l'invocazione di un cambio di paradigma non appare più solo una proposta teorica, bensì una condizione necessaria per ristabilire la fiducia pubblica e il rigore scientifico nella valutazione dei farmaci. n
Luca De Fiore
Valle del Sacco: malattie neurodegenerative e inquinamento
Trentalange A, Badaloni C, Porta D et al
Association between air quality and neurodegenerative diseases in River Sacco Valley: a retrospective cohort study in Latium, Central Italy
Int J Hyg Environ Health 2025; 267: 114578
Ci sono luoghi in cui l’inquinamento non si vede, ma si sente. Entra nei polmoni, si annida nel sangue, lascia tracce invisibili che si sommano giorno dopo giorno. A volte, però, il suo percorso è più profondo. Silenzioso, inesorabile, può arrivare a toccare anche ciò che abbiamo di più fragile: la memoria, il linguaggio, i movimenti, la nostra capacità di riconoscere il mondo. È questa la traiettoria che esplora un nuovo studio condotto dal Dipartimento di epidemiologia SSR Lazio –ASL Roma 1, pubblicato sulla rivista International Journal of Hygiene and Environmental Health, che indaga l’associazione tra inquinamento atmosferico e incidenza di malattie neurodegenerative – demenza e morbo di Parkinson – nella Valle del Sacco, nel Lazio.
UN LABORATORIO NATURALE, NEL SENSO PIÙ AMARO DEL TERMINE
La Valle del Sacco è una ferita ambientale aperta. Definita Sito di interesse nazionale (SIN), ospita da decenni impianti chimici e metal-

lurgici, snodi autostradali, combustioni di biomasse, traffico pesante. Una valle chiusa, orograficamente sfavorevole alla dispersione degli inquinanti, dove le concentrazioni atmosferiche di particolato (PM10 e PM2.5) e altri contaminanti – come biossido di azoto, benzene, ozono e biossido di zolfo – rientrano stabilmente tra le più alte d’Italia. In questo contesto, l’ipotesi di partenza dello studio è chiara: vivere per anni in un ambiente così può aumentare il rischio di sviluppare malattie neurologiche croniche e progressive?
Attraverso una coorte retrospettiva, i ricercatori hanno analizzato più di un decennio (2007-2018) di dati sanitari relativi a quasi 300.000 persone di età pari o superiore a 40 anni, residenti nei 19 comuni della Valle del Sacco e della provincia di Frosinone. L’esposizione agli inquinanti è stata stimata con modelli ambientali ad alta precisione forniti da ARPA Lazio, mentre i casi di demenza e Parkinson sono stati identificati incrociando flussi amministrativi e dati sanitari regionali. L’analisi ha tenuto conto di fattori come età, sesso, condizione socio-economica e comune di residenza.
I RISULTATI: UN LEGAME CHE NON SI PUÒ IGNORARE
I dati parlano chiaro, anche senza appesantirsi in percentuali. Tra le sostanze inquinanti più pericolose per il cervello spiccano il benzene, il biossido di azoto e il particolato fine. Chi vive in aree più esposte corre un rischio maggiore di sviluppare demenza, con un’incidenza che cresce all’aumentare della concentrazione di questi agenti. Anche il Parkinson mostra un legame con l’inquinamento, in particolare con l’ozono e, seppur in modo più lieve, con il PM2.5. Degna di nota l’associazione tra le polveri sottili e la demenza vascolare, che colpisce la delicata rete dei vasi cerebrali.
Non si tratta di semplici correlazioni. I risultati sono coerenti con quanto emerso in altri studi europei e internazionali, e si appoggiano a un corpus crescente di evidenze biologiche: l’infiammazione sistemica cronica, lo stress ossidativo, la maggiore permeabilità della barriera ematoencefalica e i danni al DNA sono alcuni dei meccanismi che legano l’esposizione prolungata agli inquinanti al declino cognitivo e alla neurodegenerazione.
I siti contaminati come la Valle del Sacco non possono più essere considerati solo “zone a rischio ambientale”. Sono luoghi dove il peso dell’aria si fa biologico, dove gli effetti sulla salute si stratificano nel tempo e nella geografia. Studi come questo rafforzano la necessità di includere anche le malattie neurologiche – tradizionalmente meno osservate in questi contesti – tra gli esiti sanitari da monitorare. Includerle nei piani di sorveglianza significa anticipare la cura, orientare le politiche, fare prevenzione reale.
UNA SALUTE CHE RESPIRA CON L’AMBIENTE
Non possiamo parlare di salute pubblica senza parlare di ambiente. La storia della Valle del Sacco ce lo insegna da anni, con gli eccessi di mortalità per tumori, malattie cardiovascolari e respiratorie già documentati. Ora sappiamo che anche il cervello può ammalarsi a causa dell’aria che respiriamo. E allora, il confine tra ambiente e salute si fa sempre più sottile. Così sottile che spesso, senza accorgercene, lo oltrepassiamo già. n
Tiziano Costantini
RFK Jr contro l’editoria scientifica (e la democrazia)
JP Kassirer, R Steinbrook
Medical journals need to fight back against Trump attacks
Bostonglobe.com, 3 May 2025
Editorial
Supporting medical science in the USA Lancet 2025; 405 (10488): 1439.
Negli Stati Uniti, le politiche aggressive contro le istituzioni di ricerca e l’editoria scientifica stanno assumendo proporzioni allarmanti. Due figure di primo piano nel mondo della medicina accademica, Jerome P. Kassirer (professore alla Tufts University e già editor-in-chief del New England Journal of Medicine) e Robert Steinbrook (già editor in varie fasi della sua carriera sia al NEJM che al JAMA), hanno lanciato un appello pubblico attraverso le pagine del Boston Globe. La loro denuncia, dettagliata e diretta, non riguarda soltanto le politiche sanitarie dell’amministrazione Trump, ma un vero e proprio tentativo sistematico di intimidazione verso l’informazione scientifica indipendente. Secondo gli autori, la sostituzione di competenze medico-scientifiche all’interno del Department of Health and Human Services (HHS) con figure prive di titoli adeguati – inclusi complottisti e soggetti estranei al mondo clinico – ha determinato un rapido decadimento delle capacità operative delle agenzie sanitarie federali. Licenziamenti mirati, cancellazione di contratti e di sovvenzioni per miliardi di dollari, soppressione di programmi di prevenzione e sostegno a terapie non validate sono solo alcuni degli effetti immediati.
LE REAZIONI
La reazione del mondo medico non è stata all’altezza della minaccia. I principali organi dell’editoria scientifica statunitense – New England Journal of Medicine, JAMA, Chest, Obstetrics and Gynecology – sono stati destinatari di lettere intimidatorie da parte del procuratore ad interim per il Distretto di Columbia, come confermato dal New York Times il 18 aprile scorso. Secondo quanto riportato dal quotidiano, l’obiettivo sarebbe quello di identificare eventuali ‘interferenze’ di natura politica nei contenuti pubblicati. Si tratta di un precedente inquietante: un’azione giudiziaria diretta contro le riviste scientifiche, con l’intento evidente di delegittimare i contenuti non allineati con la narrativa ufficiale dell’esecutivo.
In questo contesto, Kassirer e Steinbrook criticano apertamente il silenzio – o la cautela eccessiva – di molte riviste mediche. A fronte della crisi che coinvolge non solo la salute pubblica ma anche l’autonomia professionale e il ruolo sociale della medicina, la risposta della comunità editoriale americana appare timida e frammentaria. Al contrario, alcune voci si sono distinte per coraggio e chiarezza. The Lancet, in un editoriale pubblicato nel maggio 2025, ha chiesto esplicitamente le dimissioni del Segretario alla Salute, Robert F. Kennedy Jr, definendo il suo operato “una disintegrazione violenta della scienza e della medicina americana sotto gli occhi del mondo”. Anche l’American Public Health Association si è schierata, denunciando “pregiudizi impliciti ed

espliciti” e “disprezzo per l’evidenza scientifica” da parte dell’attuale leadership federale.
L’EDITORIA SCIENTIFICA COME ATTORE POLITICO E SOCIALE
L’appello di Kassirer e Steinbrook è, in ultima analisi, un invito a riconoscere il valore dell’editoria scientifica come attore politico e sociale. Lungi dall’essere una deviazione dal mandato editoriale, la presa di posizione in contesti emergenziali è parte integrante della responsabilità verso i pazienti, i professionisti e la società nel suo complesso. Come sempre accade nella sistematica attività di disinformazione, anche le denunce di personaggi come RFK Jr contengono delle verità: è del tutto evidente che gran parte dei tre milioni di articoli scientifici pubblicati ogni anno è di scarsa qualità e che la responsabilità delle riviste accademiche nel sostenere gli interessi dell’industria è stata più volte denunciata, anche da autori come Kassirer* e Steinbrook. Storicamente, però, le riviste mediche più serie e autorevoli hanno avuto un ruolo attivo nel denunciare le distorsioni del “complesso medico-industriale” e nel difendere l’interesse pubblico contro derive commerciali o ideologiche. Oggi, questa tradizione sembra vacillare. Il caso statunitense solleva interrogativi anche per l’Europa. In un’epoca di crescente pressione politica sulla scienza, la neutralità può trasformarsi in complicità. Se i leader accademici e i responsabili editoriali rinunciano alla loro voce, chi difenderà l’integrità della medicina e i diritti dei pazienti?
L’editoria scientifica non è un esercizio sterile di valutazione critica dei risultati della ricerca: è una funzione critica di vigilanza democratica e culturale. Quando viene intimidita o costretta al silenzio, si compromette non solo la libertà di ricerca, ma anche la possibilità per i sistemi sanitari di evolvere sulla base delle evidenze, e non delle ideologie. Di fronte a questa minaccia, la responsabilità di parlare – con chiarezza, con forza, e senza ambiguità – è di tutti. n
Luca De Fiore
*Kassirer JP. How medicine’s complicity with big business can endanger your health. Oxford Academy Press 2007.
Disuguaglianze socioeconomiche e mortalità per carcinoma epatico
Vaz J, Hagström H, Eilard MS, Rizell M, Strömberg U
Socioeconomic inequalities in diagnostics, care and survival outcomes for hepatocellular carcinoma in Sweden: a nationwide cohort study
Lancet Reg Health Eur 2025; 52: 101273
Le disuguaglianze socioeconomiche rappresentano un determinante strutturale della salute, con effetti documentati sull’incidenza, sulla diagnosi, sul trattamento e sulla prognosi di numerose patologie, incluse le neoplasie. In ambito oncologico è crescente l’evidenza che dimostra come i fattori socioeconomici possano influenzare negativamente l’intero percorso diagnostico-terapeutico. Il carcinoma epatocellulare (HCC), la più diffusa neoplasia epatica, costituisce un paradigma di tale fenomeno. Un recente studio svedese, pubblicato su The Lancet Regional Health Europe, analizza l’associazione tra condizioni socioeconomiche e prognosi nei pazienti affetti da HCC, evidenziando come il reddito familiare – unitamente ad altri fattori sociodemografici – incida significativamente sugli esiti clinici.
I RISULTATI
Sulla base dei risultati di questo studio, il rischio di mortalità per HCC è risultato circa il 30% più elevato nei pazienti appartenenti a famiglie a basso reddito rispetto a quelli con reddito medio-alto. I ricercatori dell’Università di Göteborg, coordinati da Juan Vaz, avevano già in precedenza dimostrato che l’HCC è circa cinque volte più diffuso tra i soggetti con basso reddito familiare. L’obiettivo di questo nuovo studio è stato quello di indagare l’impatto delle variabili socioeconomiche e demografiche – tra cui reddito, istruzione, etnia – sulla fase della diagnosi, l’accesso ai trattamenti curativi e la sopravvivenza complessiva. I risultati indicano che i pazienti con basso reddito familiare presentano minori probabilità di ricevere una diagnosi precoce e un trattamen-
to efficace. Inoltre, in questo gruppo si osserva un tasso di mortalità superiore del 29% rispetto ai pazienti con reddito più elevato. “Lo studio dimostra chiaramente come le disparità socioeconomiche influenzino negativamente gli esiti sanitari dei pazienti con HCC a ogni livello del percorso assistenziale”, afferma Juan Vaz, ricercatore in medicina di comunità presso la Sahlgrenska Academy dell’Università di Göteborg. L’indagine si è basata sui dati di 5.490 pazienti adulti con diagnosi di HCC, registrati nel Registro nazionale svedese del fegato (SweLiv) tra il 2011 e il 2021. I dati socioeconomici sono stati integrati mediante altri registri sanitari e demografici nazionali. L’analisi ha evidenziato che il basso reddito familiare è associato a una ridotta probabilità di diagnosi in regime di sorveglianza (aOR 0,63; IC 95%: 0,50-0,80), diagnosi precoce (aOR 0,58; IC 95%: 0,51-0,67) e accesso a trattamenti curativi (aOR 0,65; IC 95%: 0,50-0,85). Dopo aggiustamenti per variabili cliniche (stadio BCLC), comorbilità, stato di cirrosi e altri fattori sociodemografici, il rischio di mortalità risultava significativamente più alto (HR aggiustato 1,29; IC 95%: 1,15-1,45) nei pazienti con basso reddito. Tali risultati confermano che le disuguaglianze economiche si associano a uno stadio più avanzato al momento della diagnosi, a un minor accesso a trattamenti efficaci e a una prognosi peggiore nei pazienti con HCC.
LE CONCLUSIONI
Lo studio offre un contributo rilevante alla letteratura sulle disuguaglianze in ambito oncologico, dimostrando in modo solido come le condizioni socioeconomiche influenzino negativamente non solo l’incidenza, ma anche la diagnosi e la prognosi del carcinoma epatocellulare. I dati emersi rafforzano la necessità di mettere in atto strategie di sanità pubblica volte a mitigare l’impatto delle disuguaglianze sociali sulla salute. Interventi mirati alla sorveglianza precoce, all’equità nell’accesso alle cure e alla promozione di percorsi assistenziali standardizzati e inclusivi potrebbero contribuire a migliorare significativamente gli esiti clinici nelle popolazioni vulnerabili, promuovendo una medicina più equa ed efficace. n
David Frati
Curve di sopravvivenza per pazienti con reddito familiare basso, medio e alto, con diagnosi di carcinoma epatocellulare in Svezia (2011–2021).
Modello di regressione di Cox multivariabile aggiustato per caratteristiche demografiche, cliniche e socioeconomiche, tra cui età, sesso, stato civile, istruzione, deprivazione del quartiere, eziologia, stato della cirrosi, caratteristiche tumorali, comorbilità e performance status.
Reddito alto
Reddito medio
Reddito basso
La fluorazione
dell’acqua pubblica negli Stati Uniti: un baluardo da difendere o una prassi da superare?
Choi SE, Simon L
Projected outcomes of removing fluoride from US public water systems
JAMA Health Forum 2025; 6(5): e251166
Attuata per la prima volta a Grand Rapids (Michigan) nel 1945, la fluorazione delle acque pubbliche ha ridotto in modo sostanziale l’incidenza della carie dentale tra bambini e adolescenti negli Stati Uniti. Tuttavia, negli ultimi anni è cresciuta la pressione politica e sociale per rimuovere il fluoro dalla rete idrica, anche a causa di presunti effetti neurotossici. In questo contesto si inserisce lo studio condotto da Choi e Simon, che ha utilizzato un modello di microsimulazione per stimare gli effetti della cessazione della fluorazione in termini sanitari ed economici sulla popolazione statunitense.
GLI OBIETTIVI
Lo studio ha inteso valutare la costo-efficacia dell’eliminazione della fluorazione delle acque pubbliche negli Stati Uniti, focalizzandosi su bambini e adolescenti di età compresa tra 0 e 19 anni. L’analisi ha considerato l’impatto della rimozione del fluoro sulla salute dentale e sulla qualità di vita su questa popolazione, nonché sui costi sanitari ad essa associati. Il tema degli effetti neurocognitivi provocati dall’esposizione al fluoro è stata volutamente esclusa dall’analisi, in linea con le attuali raccomandazioni delle agenzie federali statunitensi (CDC, EPA, NTP), che non evidenziano effetti avversi ai livelli di esposizione standard (≤0,7 mg/l).
LA METODOLOGIA
Il team di ricerca ha utilizzato i dati di 8.485 bambini e ragazzi americani tra i 0 e i 19 anni, provenienti dal National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES 2013-2016) per costruire un modello matematico di simulazione. Attraverso questo modello è stata ‘proiettata’ una popolazione sintetica di 10.000 bambini in due scenari alternativi: quello del mantenimento dei livelli attuali di fluoro nell’acqua e quello dell’eliminazione completa della supplementazione di fluoro da tutte le acque pubbliche del territorio nazionale.
I RISULTATI
I risultati mostrano che la rimozione della fluorazione porterebbe a un aumento netto dei costi sanitari e della morbilità odontoiatrica infantile. In uno scenario a 5 anni, l’eliminazione del fluoro comporterebbe: un aumento di 7,5 punti percentuali di prevalenza della carie, 25,4 milioni di denti cariati in più, un costo aggiuntivo di 9,8 miliardi di dollari di spese sanitarie e una perdita netta di 2,9 milioni di QALY (indicatore che combina la durata con la qualità della vita).
Se si estende la simulazione a un periodo più lungo (10 anni), le cifre raddoppiano: quasi 54 milioni di denti cariati in più e quasi 20 miliardi di dollari di costi sanitari aggiuntivi. Al contrario, ottimizzare la fluora-
zione in aree attualmente sottodosate (tra 0,1-0,6 mg/l) potrebbe prevenire 22 milioni di denti cariati, far risparmiare 9,3 miliardi di dollari in 5 anni, aumentare i QALY di circa 2,6 milioni.
IMPLICAZIONI PER LA SANITÀ PUBBLICA
Sulla base di questi risultati, lo studio evidenzia chiaramente che interrompere la fluorazione sarebbe un errore dal punto di vista dell’equità sanitaria e della sostenibilità economica nella realtà americana. I benefici della fluorazione sono massimi per le popolazioni più vulnerabili, ovvero per i bambini che vivono in famiglie a basso reddito, per i residenti nelle aree rurali, per i non assicurati e anche per chi è coperto da Medicaid.
Anche se le linee guida federali impongono la copertura odontoiatrica pediatrica nel Medicaid, meno del 50% dei bambini iscritti a questo programma visita in realtà il dentista ogni anno e solo il 10% riceve regolarmente l’applicazione topica di fluoro durante le visite pediatriche. La fluorazione dell’acqua rimane quindi uno strumento di prevenzione importante, capace di ridurre le disparità garantendo un’esposizione diffusa al fluoro anche in assenza di visite odontoiatriche.
IL CONTESTO INTERNAZIONALE
In diversi paesi, la fluorazione sistemica dell’acqua si è dimostrata una misura efficace per prevenire la carie infantile. A Calgary (Canada), la sospensione del trattamento nel 2011 ha portato a un netto aumento della carie nei bambini, spingendo la città a reintrodurre la misura nel 2025. In Israele, l’interruzione della fluorazione ha causato un incremento delle cure dentali nei bambini piccoli. In Nuova Zelanda, i dati confermano la riduzione della carie nei bambini nelle aree fluorate. In Europa, invece, la fluorazione dell’acqua è poco diffusa; si preferiscono strategie alternative come integrazione di fluoro nel sale o interventi scolastici specifici, che richiedono però una forte organizzazione territoriale.
In Italia, l’acqua non è fluorata a livello nazionale per motivi storici, normativi e culturali. La prevenzione si basa su approcci individuali e topici, come l’impiego di dentifrici fluorati e supplementazioni di fluoro in casi selezionati, oltre che a progetti di educazione sanitaria. Tuttavia, l’incidenza della carie nei bambini italiani resta alta, con forti disparità regionali, specie nel Sud e tra le famiglie a basso reddito. n
Mara Losi
Scenario a 5 anni con ELIMINAZIONE della fluorazione dell’acqua potabile
+7,5 punti percentuali nella prevalenza di carie tra i bambini
+25,4 milioni di denti cariati in più nei primi 5 anni
+9,8 miliardi di dollari di costi sanitari aggiuntivi
–2,9 milioni di QALY
Scenario a 5 anni con OTTIMIZZAZIONE della fluorazione dell’acqua potabile
–22 milioni di denti cariati
–9,3 miliardi di dollari di costi sanitari
+2,6 milioni di QALY
“Uno dei maggiori incentivi alla sua adozione è proprio il potenziale di alleggerire il carico amministrativo che schiaccia gli operatori sanitari, liberando tempo prezioso per l’assistenza diretta ai pazienti.”
Intelligenza artificiale in corsia: la rivoluzione silenziosa delle cure primarie
Immaginate un futuro non troppo lontano in cui il vostro medico di famiglia non è soltanto un professionista esperto, ma ha al suo fianco anche un ‘co-pilota’ invisibile, un assistente virtuale che lo aiuta a navigare nella complessità della medicina moderna. Non è fantascienza, ma la realtà che sta prendendo forma nelle cure primarie, un contesto in cui l’intelligenza artificiale (IA) sta diventando un alleato sempre più prezioso e affidabile. L’American Medical Association (AMA) preferisce chiamarla ‘intelligenza aumentata’, un termine che sottolinea come questa tecnologia in realtà non sostituisca l’uomo, ma ne potenzi invece le capacità, mantenendo al centro la relazione medicopaziente1,2.
Negli ultimi due anni abbiamo assistito a un’accelerazione senza precedenti in questo settore: l’uso dell’IA tra i medici è passato dal 38% al 66%3. Un balzo che sa di rivoluzione, ma che nasconde anche delle ombre. Gli esperti, infatti, avvertono che molte organizzazioni sanitarie si sono lanciate a capofitto nell’adozione senza aver fatto i “compiti a casa”, cioè senza aver preparato il terreno per un’integrazione efficace4. Il rischio? Che questa corsa all’oro digitale possa portare a implementazioni inefficaci, o peggio, pericolose.
QUANDO L’IA DIVENTA
UN SUPERPOTERE: DIAGNOSI, BUROCRAZIA E COMUNICAZIONE
L’IA non è più solo una promessa, ma una realtà che sta già migliorando la precisione diagnostica e permettendo di scoprire le malattie molto prima che si manifestino, un vero game-changer per la salute dei pazienti5,6
Pensate alla diagnostica per immagini: un software di IA è risultato due volte più accurato dei radiologi umani nell’esaminare le scansioni cerebrali di pazienti colpiti da ictus, riuscendo anche a identificare la tempistica dell’evento, un dettaglio fondamentale per il trattamento tempestivo. E non soltanto7. L’IA può individuare fratture ossee nelle radiografie, un compito per il quale i medici di pronto soccorso possono arrivare a non diagnosticare fino al 10% dei casi8. Inoltre sono già in rampa di lancio progetti pilota che usano l’IA per valutare immagini TC e per analizzare anomalie delle mucose nell’endoscopia, identificando dettagli virtualmente invisibili all’occhio umano.
Ma le potenzialità dell’IA non si fermano qui, soprattutto nella prevenzione. Modelli avanzati di apprendimento automatico possono arrivare a prevedere diagnosi anni prima che i sintomi compaiano. In uno studio realizzato nel Regno Unito un’IA ha scoperto il 64% delle lesioni cerebrali precedentemente sfuggite ai radiologi, riuscendo a individuare quelle più piccole o nascoste in tempi molto più rapidi9. E c’è persino uno strumento, FaceAge di Mass General Brigham, che usa le foto del viso per stimare l’età biologica e prevedere gli esiti del tumore, superando i medici nella previsione dell’aspettativa di vita a breve termine10. Questo passaggio da un approccio reattivo a uno proattivo e preventivo è una vera rivoluzione per le cure primarie, promettendo interventi più precoci, meno invasivi e più efficaci. Anche sul fronte della burocrazia l’IA può rivelarsi decisiva. Uno dei maggiori incentivi alla sua adozione è proprio il potenziale di alleggerire il carico amministrativo che schiaccia gli operatori sanitari, liberando tempo prezioso per l’assistenza diretta ai pazienti11. Strumenti come Dragon Copilot di Microsoft ‘ascoltano’ le visite e creano note e appunti di cui altrimenti dovrebbero occuparsi i clinici con aggravio di tempo e di mancanza di empatia, mentre Google offre una suite di modelli IA per le attività amministrative. Molti medici cominciano a usare l’IA per la documentazione di codici di fatturazione, cartelle cliniche e note di visita. In Spagna, il sistema AI Mobility Scribe, integrato nel 2024, trascrive già conversazioni, genera rapporti medici e suggerisce prescrizioni, riducendo notevolmente il lavoro amministrativo. Non è un caso quindi che il 57% dei medici vede nella riduzione delle attività amministrative la “più grande opportunità” offerta dall’IA12 Infine l’IA sta rendendo possibile una rete di comunicazione e coordinamento delle cure più ‘densa’ ed efficiente, migliorando i risultati per i pazienti e rafforzando i sistemi sanitari. Chatbot clinici e interfacce digitali sono sempre più usati per il triage dei pazienti, per capire le loro esigenze e aiutarli a prendere decisioni informate. In uno studio del NEJM AI un modello di elaborazione del linguaggio naturale (NLP), addestrato dai clinici per i messaggi dei pazienti, ha ridotto il carico della casella di posta elettronica del 40% e ha accelerato i tempi di risoluzione dell’84%13. E uno studio di Stanford Medicine si è soffermato su un modello IA in grado di prevedere il peggioramento del paziente e di allertare contemporaneamente medici e infermieri, con una dimi-
LE MAGGIORI OPPORTUNITÀ DELL’IA RICONOSCIUTE DAI MEDICI
Riduzione del carico amministrativo
Capacità diagnostica
E cienza lavorativa
Migliori esiti clinici
01020304050607080
Vantaggi stimati (%)
nuzione del 10,4% del peggioramento tra i pazienti ad alto rischio14. Questo non è solo automazione, ma una vera e propria facilitazione della collaborazione umana in situazioni con alta posta in gioco.
IL CUORE DEI MEDICI E LA MENTE
DELL’IA: TRA ENTUSIASMO E TIMORI
I medici stanno abbracciando le prospettive offerte dall’IA con un favore crescente. Oggi, il 35% dei medici è più entusiasta che preoccupato, un au-

Guida facile all’intelligenza artificiale in medicina
La rivoluzione degli LLM, dei digital twin e degli agenti intelligenti
Alberto E. Tozzi Diana Ferro
Presentazioni di Alessandro Vespignani e Anthony Chang
06/03/2025 16:27:50
mento rispetto al 30% dell’anno precedente. Complessivamente, il 68% riconosce almeno un vantaggio nell’uso dell’IA nell’assistenza ai pazienti3 Le opportunità più citate? La riduzione del carico amministrativo (57% dei medici), la capacità diagnostica (72%), l’efficienza lavorativa (69%) e il potenziale di migliorare gli esiti clinici (61%)12. Sembra che i medici stiano adottando l’IA prima di tutto per liberarsi dei compiti più noiosi e time-spending, ma, man mano che prendono confidenza con la nuova tecnologia, il loro entusiasmo cresce anche per le applicazioni più complesse.
Eppure l’entusiasmo non elimina del tutto preoccupazioni, anche significative, come l’impatto sulla relazione medico-paziente (39%) e sulla privacy del paziente (41%)12. I timori riguardano poi i sistemi IA difettosi, la scarsa integrazione con i sistemi esistenti, le conclusioni errate e le nuove questioni di responsabilità. La richiesta di una maggiore supervisione è un segnale chiaro: la fiducia nell’IA è legata a doppio filo alla supervisione umana e alla connessione. I medici vogliono che l’IA li assista, non che sostituisca il loro giudizio.
DATI, COSTI E DISUGUAGLIANZE
L’integrazione dell’IA nelle cure primarie, anche se molto promettente, è un percorso pieno di ostacoli. Le organizzazioni sanitarie gestiscono
Guida facile all’intelligenza artificiale in medicina
La rivoluzione degli LLM, dei digital twin e degli agenti intelligenti
Di Alberto E. Tozzi e Diana Ferro Presentazioni di Alessandro Vespignani e Anthony Chang
Se pensate che questo sia un manuale pieno di equazioni e informazioni tecniche siete fuori strada. Il libro nasce dalla convinzione che l’intelligenza artificiale diventerà un’alleata per chiunque si dedichi alla cura del paziente. Questo potrà però avvenire solo a condizione che il professionista della salute comprenda i meccanismi di base di questa incredibile tecnologia.
A chi è curioso, scettico o incerto riguardo al futuro dell’intelligenza artificiale in medicina il libro si propone di raccontare le ambizioni più alte, le cose che già oggi si possono fare con questi strumenti e, soprattutto, come il compito del professionista sanitario rimanga centrale.
cui ogni click, ogni like, ogni acdi noi. La disponibilità di grandi trasformato il modo in cui interagiamo necessaria una nuova chiave di letcomplessità. La data science è queper pochi eletti, ma una necessità sentono persi in una società che corre, il minimale per ragionare su questi riflessioni per interpretare ciò che ci analizzano; semplici possono generare fenomeni ingorghi stradali ai meccanismi che gomodelli di rete e fenomeni di crefacili e concreti;
una piccola enciclopedia (divertanta competenza c’è anche una saautoironia) che definisce, elenca dinamiche, i fenomeni e le regole che mondo dei dati. Leggetelo e distriche tanta (orgogliosamente italica) come lacrime nella pioggia. Presentazione di Diego Antonelli
ISBN 978-88-490-0798-5 Walter Quattrociocchi Matteo Cinelli In che mondo vivi
9 788849007985
enormi quantità di dati sensibili, rendendole bersagli appetitosi per i cyberattacchi. Il 72% dei leader sanitari identifica la privacy dei dati come un rischio significativo15. Crittografia robusta, controlli di accesso ferrei e conformità a normative come HIPAA e GDPR sembrano a oggi le uniche soluzioni. Si sa che i sistemi di IA sono affamati di dati di alta qualità, ma la realtà sanitaria si rivela spesso un caos di registrazioni frammentate e formati incoerenti. Da questo punto di vista, potrebbero rivelarsi decisivi una governance robusta dei dati e standard di interoperabilità per abbattere i ‘silos’ informativi16
Poi ci sono i costi. L’implementazione dell’IA richiede investimenti iniziali notevoli in infrastrutture e formazione, che possono essere proibitivi per le strutture più piccole. E non dimentichiamo la resistenza del personale clinico, diffidente verso nuove competenze e complessità. Anche i vecchi sistemi informatici sono un freno all’integrazione. La strada proposta è quella di iniziare con soluzioni scalabili e fornire formazione pratica, coinvolgendo soprattutto il personale di prima linea.
Ma la sfida più delicata è il rischio di ‘deskilling’ dei clinici, cioè la perdita di competenze se ci si affida troppo all’IA. E c’è il timore, espresso da Helen Salisbury sul BMJ, che l’IA possa esacerbare le disuguaglianze esistenti, creando un sistema sanitario a due velocità: “i pazienti privilegiati potrebbero ancora vedere un vero medico, ma quelli più poveri saranno serviti da clinici meno qualificati e con un
Walter Quattrociocchi Matteo Cinelli
In che mondo vivi
Pillole di data science per comprendere la contemporaneità
bot nell’auricolare”17. Questo non è solo un problema tecnologico, ma sociale, che richiede strategie proattive per garantire equità e accesso per tutti18 Infine, un’altra grande barriera è l’incertezza etica, legale e regolatoria. Questioni irrisolte sul bias algoritmico, sulla responsabilità nelle decisioni critiche e sulla responsabilità del medico per le prestazioni dell’IA continuano a preoccupare. Servono quadri di conformità proattivi e protocolli di responsabilità chiari19. Una maggiore supervisione è la richiesta principale per aumentare la fiducia dei medici12
LA BUSSOLA ETICA E LA FORMAZIONE: PILASTRI PER IL FUTURO
Lo sviluppo e l’implementazione etici dell’IA in sanità sono di importanza fondamentale. L’AMA ha creato un quadro, Trustworthy augmented intelligence in health care, basato su etica, evidenza ed equità, orientato sull’obiettivo di migliorare l’assistenza, la salute della popolazione, la vita lavorativa degli operatori e di ridurre i costi2. A livello internazionale, le linee guida FUTURE-AI, frutto del lavoro di 117 esperti da 50 paesi, offrono un consenso per un’IA affidabile e implementabile, basata su sei principi: equità, universalità, tracciabilità, usabilità, robustezza e spiegabilità19
Il bias algoritmico, che può perpetuare disparità se i modelli sono addestrati su dati distorti, è una preoccupazione etica cruciale. È fondamentale dare
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Pillole di data science per comprendere la contemporaneità
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Giampaolo Collecchia, Riccardo De Gobbi Intelligenza artificiale e medicina digitale Una guida critica
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Impazienti La medicina basata sull’innovazione
Carmine Pinto, Giulia Annovi Nelle reti
L’oncologo in un sistema complesso di comunicazione e relazioni
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La disponibilità di grandi quantità di dati ha trasformato il modo in cui interagiamo con il mondo, rendendo necessaria una nuova chiave di lettura per comprenderne la complessità. La data science è questa chiave: non una scienza per pochi eletti, ma una necessità per tutti. A quanti si sentono persi in una società che corre, il libro fornisce una guida minimale per ragionare su questi temi e offre strumenti e riflessioni per interpretare ciò che ci circonda a partire da:
Web 2.0 e social media in medicina Come social network, wiki e blog trasformano la comunicazione, l’assistenza e la formazione in sanità
• cosa sono i dati e come si analizzano;
• come interazioni semplici possono generare fenomeni complessi, dagli ingorghi stradali ai meccanismi che governano i social media;
• distribuzioni statistiche, modelli di rete e fenomeni di crescita, spiegati con esempi facili e concreti; limiti della data science.
11/03/25 18:32
“È necessaria una maggiore alfabetizzazione e consapevolezza dell’IA tra pazienti, clinici e professionisti.”
priorità a set di dati diversi e rappresentativi e monitorare costantemente gli output dell’IA. La trasparenza e l’adeguata rappresentazione dei pazienti sono essenziali.
In generale serve maggiore trasparenza nell’uso dell’IA, sia per i medici che per i pazienti. Ruoli e responsabilità devono essere chiaramente definiti per sviluppatori, organizzazioni sanitarie e medici. L’AMA, in questa direzione, chiede che gli sviluppatori monitorino i prodotti dopo la commercializzazione per garantirne sicurezza ed equità2. Il 78% dei medici desidera informazioni chiare sulle decisioni dell’IA e su come le sue prestazioni sono monitorate12
La mancanza di formazione sull’IA è sicuramente un ostacolo alla sua adozione. È necessaria una maggiore alfabetizzazione e consapevolezza dell’IA tra pazienti, clinici e professionisti. L’IA sta comunque già rivoluzionando l’educazione medica, offrendo opportunità come l’apprendimento personalizzato e le simulazioni cliniche con pazienti virtuali per la formazione.
IL DOMANI È GIÀ QUI:
IA E SOSTENIBILITÀ
Ma l’IA può anche contribuire alla sostenibilità dell’assistenza sanitaria, ottimizzando il consumo energetico e snellendo i flussi di lavoro. Uno studio interno di Caresyntax del 2022 ha rivelato che gli ospedali che usano sistemi IA hanno ridotto il consumo energetico delle sale operatorie del 25%. Questo si ottiene ottimizzando l’uso delle attrezzature e snellendo i flussi di lavoro, con un impatto ambientale netto positivo20. Anche se l’addestramento di grandi modelli IA prevede, come è ovvio, un consumo di energia, i risparmi energetici generati dalle efficienze dell’IA in sanità superano di gran lunga l’energia consumata dai sistemi stessi. È comunque fondamentale investire in fonti di energia rinnovabile per alimentare i data center e l’infrastruttura IA.
CONCLUSIONI: FIDUCIA IN UN FUTURO ‘AUMENTATO’, NON ‘SOSTITUITO’
La fiducia è un prerequisito fondamentale per un’adozione diffusa dell’IA. Ma questa fiducia deve essere costruita attraverso una governance chiara, protocolli di responsabilità espliciti e una dimostrazione costante dell’affidabilità e dell’equità degli strumenti di IA. L’enfasi sull’IA come ‘intelligenza aumentata’ e l’imperativo di mantenere un “human-in-the-loop” nel processo decisionale sono aspetti decisivi per preservare la relazione medico-paziente e garantire che l’IA sia un supporto, non un sostituto, del giudizio clinico umano. In sintesi, quindi, il futuro dell’IA nelle cure primarie non ri-
guarda al momento la sostituzione degli operatori sanitari, ma il loro potenziamento. Realizzare il pieno potenziale dell’IA per un sistema sanitario più efficiente, equo e sostenibile richiederà un’implementazione strategica, collaborativa ed eticamente guidata, supportata da quadri normativi robusti e da un impegno continuo nella formazione e nell’alfabetizzazione all’IA per tutti gli stakeholder. n
Alessio Malta
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“... in questi ultimi anni, grazie anche al contributo formativo di SIFaCT, stiamo registrando in Italia una costante crescita delle competenze cliniche dei farmacisti che operano in ospedale o nei servizi farmaceutici territoriali.”
Umberto Gallo
Gestione della cronicità: un obiettivo da condividere tra ospedale e territorio
A colloquio con Umberto Gallo1 e Fabio Pieraccini2
1UOC Assistenza Farmaceutica Territoriale, Ulss 6 Euganea, Padova e consigliere SIFaCT;
2Direzione Tecnica Assistenza Farmaceutica, AUSL della Romagna e Comitato scientifico SIFaCT
I farmacisti clinici si confermano figure centrali nella riconciliazione terapeutica, nella personalizzazione delle cure e nell’identificazione precoce della cronicità complessa. È quanto sottolineano Umberto Gallo e Fabio Pieraccini, della Società Italiana di Farmacisti Clinici (SIFaCT), in un’intervista che mette in luce il contributo strategico di questa figura nella presa in carico dei pazienti con patologie croniche. La conversazione anticipa i temi del primo convegno SIFaCT della Rete cronicità e politerapia, ponendo al centro del dibattito l’urgenza di modelli organizzativi integrati tra ospedale e territorio, basati su team multiprofessionali, la continuità assistenziale e la sicurezza delle terapie.
ne adulte, si può stimare che oltre 14 milioni (27%) presentino almeno una patologia cronica, quasi i 2/3 (8,4 milioni, 60%) dei quali sono soggetti con età superiore ai 65 anni.
Per rispondere a questo cambiamento inevitabile è quindi fondamentale scegliere i modelli organizzativi più adeguati, considerando che gli obiettivi di cura nei pazienti con cronicità, non potendo essere rivolti alla guarigione, devono essere finalizzati alla stabilizzazione del quadro clinico e dello stato funzionale, alla prevenzione delle disabilità e, complessivamente, a migliorare la qualità della vita della persona. Proprio per affrontare questa importante sfida, l’Italia sta aggiornando il proprio Piano nazionale della cronicità.
Quale supporto può fornire il farmacista clinico nei confronti del medico e degli specialisti nella gestione del paziente cronico?
Che cosa si intende per cronicità e quali sono le principali sfide nella gestione delle malattie croniche?
Umberto Gallo Ad oggi, purtroppo, non esiste a livello internazionale una definizione univoca di cronicità in quanto questa dipende dal contesto medico, epidemiologico e sociale nella quale viene applicata. Le definizioni quindi possono variare, ma tutte riconoscono come principali caratteristiche la lunga durata della patologia e la necessità di una gestione volta a stabilizzare la situazione clinica per evitare la progressione e la comparsa di complicazioni. È pertanto fondamentale, soprattutto nelle persone con diverse comorbilità, una gestione integrata di più figure professionali ma, soprattutto, il coinvolgimento attivo del paziente per potenziare la sua capacità di gestire la malattia, con particolare riferimento al problema dell’aderenza terapeutica ai corretti stili di vita.
L’Oms ha stimato che oltre l’80% dei costi sanitari dei paesi industrializzati viene assorbito dalla ‘cronicità’. In Europa le patologie croniche sono responsabili dell’86% di tutti i decessi, con una spesa complessiva di circa 700 miliardi di euro l’anno. In Italia, su una popolazione residente di 51 milioni di perso-
Umberto Gallo Per rispondere a questa domanda è doveroso precisare che in questi ultimi anni, grazie anche al contributo formativo di SIFaCT, stiamo registrando in Italia una costante crescita delle competenze cliniche dei farmacisti che operano in ospedale o nei servizi farmaceutici territoriali. Questa acquisizione di nuove conoscenze ha determinato un riconoscimento della figura del farmacista non solo come esperto di farmacoterapia ma anche come professionista indispensabile per ottimizzare e personalizzare le terapie di pazienti complessi, elementi necessari per il raggiungimento degli obiettivi di salute proposti.
Nel contesto dei possibili modelli assistenziali di cronicità, il farmacista clinico può assumere un ruolo chiave nei seguenti ambiti:
1. riconciliazione delle terapie nelle cosiddette ‘transizioni di cura’;
2. ottimizzazione e personalizzazione di terapie complesse in ambito di team interprofessionali; 3. identificazione delle persone con ‘cronicità complessa’ per una precoce presa in carico.
Per quanto riguarda la riconciliazione delle terapie nelle ‘transizioni di cura’ (per esempio, al momento del ricovero o della dimissione ospedaliera), i dati
“Tra le iniziative principali promosse da SIFaCT, vi sono progetti specifici per l’implementazione dell’attività di medication review, con l’obiettivo di migliorare la gestione delle politerapie, soprattutto nei pazienti fragili e complessi.”
Fabio Pieraccini
di letteratura ci indicano che 2 persone su 3 presentano al momento del ricovero alcune discrepanze dovute al mancato riconoscimento esaustivo dei farmaci assunti a domicilio e alla relativa posologia; si ritiene inoltre che circa il 20% di questi errori può causare un reale danno al paziente. In questo contesto, il farmacista, intervenendo nella cosiddetta ‘ricognizione’ delle terapie farmacologiche, può dare un prezioso contributo nel riconoscimento di tutte le terapie in atto, utili per evitare errori forieri di importanti eventi avversi. Questo intervento è particolarmente significativo nei soggetti con patologie croniche in politerapia, ossia pazienti che assumono 5 o più farmaci diversi. Inoltre, anche al momento della dimissione dall’ospedale l’intervento del farmacista può essere determinante per fornire corrette comunicazioni al paziente o al caregiver in relazione ai medicinali effettivamente necessari da continuare a domicilio, alla loro modalità di assunzione e all’importanza dell’aderenza terapeutica. Nell’ambito invece dell’ottimizzazione e personalizzazione di terapie ‘complesse’ attraverso i team interprofessionali, il farmacista può contribuire all’ottimizzazione dei regimi terapeutici nei soggetti portatori di più patologie croniche sia in relazione alle proprie conoscenze di farmacocinetica e farmacodinamica, tipiche della sua formazione professionale, sia attraverso specifiche competenze cliniche acquisite con la sua esperienza. In particolare, sulla base di specifici fattori del paziente, quali l’età, il peso, la funzionalità epatica e renale e l’identificazio-
PRINCIPALI ATTIVITÀ
DEL SERVIZIO
DI MEDICATION REVIEW E DEPRESCRIBING
Visita del paziente e raccolta dati
Analisi clinica e farmacologica
Richiesta di consulenza farmacologica
Valutazione delle terapie farmacologiche
Valutazione dell’appropriatezza prescrittiva
Stesura di report in cui evidenziare criticità, suggerimenti e\o raccomandazioni
Confronto tra farmacologi clinici/farmacisti ospedalieri e clinici
Valutazione del report formulato dal farmacologo clinico/farmacista ospedaliero
Prescrizione della terapia farmacologica e/o delle sue variazioni, con coinvolgimento attivo del paziente
Modificata da: https://www.sifact.it/documenti-e-raccomandazioni/
ne di prescrizioni potenzialmente inappropriate, la figura del farmacista può essere rilevante nella personalizzazione delle terapie, massimizzando l’efficacia delle stesse e riducendo gli effetti collaterali. Inoltre, il farmacista può essere d’aiuto al medico per eseguire una ‘diagnosi differenziale’ allo scopo di distinguere se dei nuovi sintomi manifestati dal paziente siano dovuti alla comparsa di una nuova patologia piuttosto che a una reazione avversa dovuta ai farmaci in uso. Questa integrazione professionale con il medico rappresenta un importante valore aggiunto in quanto permette di evitare la cosiddetta ‘cascata prescrittiva’, ossia l’aggiunta di un nuovo farmaco per trattare gli effetti collaterali di un altro farmaco che non è stato riconosciuto quale causa dei nuovi sintomi. Venendo infine all’identificazione delle persone con ‘cronicità complessa’, è rilevante stratificare la popolazione per profili di rischio al fine di identificare rapidamente quei pazienti con cronicità complessa non ancora presi in carico dal Servizio sanitario nazionale (Ssn), che in futuro potrebbero determinare un maggior consumo di risorse a causa del peggioramento della loro situazione clinica. Il Piano nazionale della cronicità e il decreto 77/2022 auspicano la realizzazione di algoritmi predittivi utili all’identificazione precoce di pazienti fragili per le numerose comorbilità. In questo ambito, il farmacista clinico che opera nei Servizi farmaceutici territoriali si trova in una condizione ‘privilegiata’ in quanto, anche attraverso la collaborazione in team con i controlli di gestione e le cure primarie, può fornire un rilevante contributo per la realizzazione e validazione di algoritmi utili a identificare popolazioni affette da cronicità complessa grazie alle sue capacità di leggere e integrare tutti i flussi informativi sanitari e sociosanitari (per esempio, utilizzo dei farmaci, ricoveri ospedalieri, accessi al Pronto Soccorso, ecc.).
Monitoraggio del paziente
Follow-up ambulatoriale o telefonico del paziente
Rivalutazione periodica della terapia farmacologica del paziente
Quali sono i temi più rilevanti oggi nel dibattito sulla cronicità e la politerapia che SIFaCT intende affrontare?
Fabio Pieraccini I temi al centro del dibattito nazionale sulla gestione della cronicità e della politerapia sono gli stessi su cui si concentra anche il primo convegno SIFaCT della Rete Cronicità e Politerapia. Il titolo dell’evento, "Gestione integrata della persona con patologie croniche: un obiettivo da condividere tra continuità ospedale-territorio" (Padova, 9 aprile 2025), esprime chiaramente l’orientamento verso una presa in carico condivisa e continua del paziente cronico.
Tra le priorità, vi sono le indicazioni del Piano Nazionale della Cronicità sulle modalità più efficaci per garantire la continuità terapeutica nelle transizioni di cura, soprattutto per le persone con cronicità complesse, e la valorizzazione di un approccio
“Il farmacista fornisce supporto tecnico ai medici nel processo decisionale, contribuisce alla sicurezza delle terapie in corso e migliora l’aderenza terapeutica, sia in ambito ospedaliero – con gli specialisti – sia sul territorio, a fianco dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta.”
Fabio Pieraccini
interdisciplinare che coinvolga medico, infermiere e farmacista all’interno del SSN, con l’obiettivo di migliorare gli esiti clinici. Il concetto stesso di cronicità implica una condizione duratura, che richiede un'assistenza continua ben oltre la fase acuta. Questo rende urgente il ripensamento dei percorsi di cura e dei modelli organizzativi, in un sistema sanitario ancora troppo centrato sull’ospedale e sull’emergenza. È necessario sviluppare soluzioni orientate alla prossimità delle cure e alla gestione integrata nel territorio, tenendo conto dell’impatto crescente della cronicità non solo sulla sostenibilità del sistema, ma anche sulla qualità della vita delle famiglie e dei caregiver. Un aspetto particolarmente rilevante è quello della polifarmacoterapia, definita come l’assunzione contemporanea di cinque o più farmaci. Si tratta di un fenomeno in continua espansione, associato a una ridotta aderenza terapeutica, a un aumento del rischio di interazioni farmacologiche e, di conseguenza, a un maggior numero di reazioni avverse: una vera e propria sfida di sanità pubblica.
Il confronto tra esperienze e buone pratiche rappresenta quindi un’opportunità cruciale per individuare soluzioni innovative. Il programma del convegno è stato articolato in tre sessioni, dedicate rispettivamente alla programmazione sanitaria e ai nuovi modelli organizzativi per la gestione della cronicità; alla ricerca e all’innovazione per una corretta definizione del place in therapy delle nuove opzioni terapeutiche; e alla valorizzazione del ruolo del farmacista clinico nei team multiprofessionali, con particolare attenzione alla continuità terapeutica ospedale-territorio nei pazienti con multimorbilità e politrattati.
Il dialogo tra i diversi setting assistenziali, ospedalieri e territoriali – con il coinvolgimento attivo di medici specialisti e medici di medicina generale –conferma la necessità di un approccio integrato e multiprofessionale per rispondere in modo efficace e sostenibile alle sfide poste dalla cronicità e dalla politerapia.
Quali sono gli investimenti formativi e divulgativi in materia di cronicità e politerapia promossi da SIFaCT?
Fabio Pieraccini Divulgare e far conoscere le implicazioni della cronicità e della politerapia è fondamentale, non solo per sensibilizzare i professionisti sanitari, ma anche per informare i cittadini e valorizzare il ruolo sempre più centrale del farmacista clinico in questo contesto complesso.
I dati più recenti confermano l’urgenza di intervenire: secondo il Rapporto OsMed 2023, circa il 30% degli over 65 in Italia assume più di dieci farmaci contemporaneamente. In parallelo, la diffusione del-
la multimorbilità e delle terapie multiple aumenta significativamente il rischio di prescrizioni inappropriate e di eventi avversi. In questo scenario, il farmacista clinico può e deve offrire un contributo determinante attraverso le sue competenze specifiche. Purtroppo, i ricoveri ospedalieri causati da reazioni avverse a farmaci sono in aumento. Le stime, ormai consolidate a livello nazionale e internazionale, indicano che siamo passati da un’incidenza del 4-5% all’8-9% sul totale dei ricoveri. Ancora più significativo è il dato che circa il 50% di questi eventi è prevenibile, se affrontato con interventi mirati per migliorare la sicurezza delle cure.
Per rispondere a questa sfida di salute pubblica, SIFaCT ha avviato da tempo investimenti mirati in formazione e aggiornamento. Tra le iniziative principali, vi sono progetti specifici per l’implementazione dell’attività di medication review, con l’obiettivo di migliorare la gestione delle politerapie, soprattutto nei pazienti fragili e complessi.
La revisione delle terapie farmacologiche deve avvenire all’interno di un modello multiprofessionale integrato, in cui ogni figura sanitaria – medico, infermiere, farmacista – apporta le proprie competenze per una presa in carico realmente condivisa. Lavorare in équipe è oggi una condizione imprescindibile per affrontare in modo efficace la cronicità.
In questa direzione, SIFaCT promuove corsi di formazione multiprofessionale in collaborazione con altre società scientifiche, favorendo l’integrazione del farmacista clinico nei team di cura. Il farmacista fornisce supporto tecnico ai medici nel processo decisionale, contribuisce alla sicurezza delle terapie in corso e migliora l’aderenza terapeutica, sia in ambito ospedaliero – con gli specialisti – sia sul territorio, a fianco dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta.
In molti paesi del Nord Europa e negli Stati Uniti, l’attività di medication review e deprescribing è già una pratica consolidata. Anche in Italia occorre promuoverne una diffusione sistematica, personalizzandola in base alle condizioni cliniche e al contesto socioassistenziale del paziente, tenendo conto anche del ruolo cruciale dei caregiver nella gestione quotidiana della terapia.
Un altro obiettivo strategico per la nostra società scientifica è la promozione della ricerca: SIFaCT sostiene attivamente il coinvolgimento del farmacista clinico come principal investigator in studi osservazionali e di farmaco-utilizzazione post-marketing, anche per quanto riguarda le terapie croniche e le politerapie. Una direzione che mira a rendere il farmacista sempre più protagonista nei percorsi di cura, con un impatto diretto sulla qualità e sicurezza dell’assistenza. n
Intervista a cura di Mara Losi