Magazine P&F Ottobre 2022

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MAGAZINE Finanza & Progetti Pubblicazione mensile in formato digitale sul sito www.progettiefinanza.info Editore Payclick srl anno V •numero 49 • ottobre 2022 I primi provvedimenti del nuovo Governo di centro-destra ® MAGAZINE Finanza & Progetti POSTE ITALIANE S.P.A.SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALEAUT. N°MIPA/CENTRO-SUD/191/2022 L’italia che punta all’efficienza energetica
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AUTUNNO ITALIANO, LA STAGIONE DEL CAMBIAMENTO

L’Italia si ritrova davanti ad una stagione di cambiamenti. Ci auguriamo che questa stagione sia la primavera, carica di novità e di germogli economici. Un auspicio che nasce dalla serie di circostanze messe in campo in questi coda del duemilaventidue. Un nuovo governo e un nuovo assetto politico significano un nuovo modo di pensare anche all’economia del Paese, fatta di manovre che dovranno dare risposte alle tante promesse fatte in campagna elettorale. Oggi l’Italia essenzialmente vuole una svolta e in questa richiesta non ha le idee chiare; un po’ come quando si va a cena in un ristorante e il desiderio è cambiare pietanza senza avere la più pallida idea di quello che si cerca. Il rischio è adattarsi ad un cambiamento che nasce da un’esigenza intrinseca e non da una consapevolezza. Il nuovo assetto politico, quindi, potrebbe diventare una risposta fisiologica ad un ciclo e non una volontà piena dei cittadini di avere nuovi rappresentati politici. Un dato che è elegantemente è espresso in diverse pubblicazioni è il cambiamento dello status del politico in influencer. Andiamo sempre di più incontro ad una società che segue dei personaggi politici non per credo o per le idee ma perchè attratte dal personaggio in quanto esposto mediaticamente. Il politico si trasforma in influencer, e lo fa nel quotidiano postando storie e foto sui social istituzionali che non raccontano un vissuto politico ma una narrazione molto più simile ad un fashion blogger che ad un esponente delle istituzioni. Un elemento non per forza negativo ma che assottiglia l’appeal con l’elettore e il cittadino, fino ad avere un ciclo di vita politica con le stesse tappe di un influencere. Così facendo la cresta dell’onda per un politico dura non più di quattro, cinque anni e di conseguenza anche il consenso dato al partito che si trascina dietro. Basti pensare a tutte quelle coalizioni che hanno raggiunto anche il 40% nelle scorse elezioni e che oggi sono a rischio estinzione. Quindi in questo autunno, l’Italia non solo vede un cambiamento di assetto ma si trova davanti al bivio di rottamare la vecchia concezione di uomo politico rispetto alla nuova molto più smart ma anche priva di molti concetti importanti. Una riflessione che non riguarda solo la politica. Si percepisce, infatti, un cambiamento simile anche nel mondo dell’economia globale. Esponenti di grandi potentati economici di comportano come influencer anche davanti a teatri difficili da poter affrontare in chiave social. Basti pensare a Elon Musk che interloquisce con i grandi del mondo su questioni come la guerra in Ucraina, con la stessa leggerezza decisionale che utilizza ogni giorno per questioni evidentemente meno importanti come il costo della spunta blu su twitter. Questo non significa che un atteggiamento del genere sia sbagliato. Forse una comunicazione semplice, come quella degli influencer, ha la possibilità di arrivare a tutti, creando una sorta di democrazia del pensiero, ma spesso la comunicazione semplice travalica nel semplicistico, ossia nel relegare questioni complesse in uno spazio populista difficilmente utile ai cambiamenti. Volendo fare un esempio attribuire alle malefatte della politica l’epiteto “tanto si sa che quando vanno a Roma tutti rubano”, è essenzialmente un’affermazione semplicistica che non da spazio a una discussione capace di cambiare, indagare e anche trovare soluzioni. Oggi, quindi, abbiamo la necessità di dover puntare ad una nuova stagione che non sia solo un modo per svecchiare quello che abbiamo ma una essenziale occasione per traghettare il Paese verso quei cambiamenti inevitabili che il mondo ci sta propinando. Possiamo farlo solo con la consapevolezza che l’Italia da sempre è stata lal guida dei cambiamenti e non un fanalino di coda.

Tommaso Mazziotti

OTTOBRE 2022 MAGAZINE
EDITORIALE
26 Nasce il governo Meloni, il primo guidato da una donna Sempre più si vola con il vento dell’energia ottobre 2022 SOMMARIO MAGAZINE 6 28 12 20 MAGAZINE Finanza & Progetti anno V •numero 49 •ottobre 2022 • Direttore Responsabile Maria Rosaria De Leonardis Realizzazione editoriale e pubblicita’ Pay Click Srl Piazza IV novembre, 4 20124 Milano Tel. +39 02 82396397 Pec: payclicksrl@pec.net P. Iva: 04167300716 Sito web www.progettiefinanza.info Progetto grafico Alessandro Gisoldi Pay Click Srl Viale degli Artigiani, 9 71121 - Foggia (FG) Foto: Stock.adobe.it Stampa Grafiche Deste srl - Bari Testata giornalistica registrata al Tribunale di Foggia n. 3 del 28/04/2021 E’ vietata la riproduzione anche parziale dei testi e materiale fotografico MAGAZINE Finanza & Progetti Il 110% cambia pelle ma non sostanza L’italia che punta all’efficienza energetica per essere sempre più indipendente Arriva il decreto per il Biometano italiano Finanza&Progetti 4 WWW.PROGETTIEFINANZA.INFO
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È partito il primo governo guidato da una donna

Giorgia Meloni alla guida dell’esecutivo di Centro-destra nato dopo le elezioni di settembre

Il governo di Giorgia Meloni muove i suoi primi passi. E’ targato centrodestra ed è forte di alcune esclusive: è il primo nella nostra storia repubblicana guidato da una donna. Per la prima volta da 11 anni, un leader che ha vinto le elezioni diventa premier. Degli ultimi sei capi di governo italiani – insieme al solo Enrico Letta – la Meloni è l’unica parlamentare eletta. C’è di più. Mai come in questa tornata, il nuovo esecutivo è nato subito dopo l’incarico. Agli Italiani tutto questo piace. Finalmente chi vince può governare. Per quasi due anni non ci saranno alternative, il primo test politico nazionale serio è previsto nel 2024. E non esiste nemmeno la possibilità di sostituire il governo Meloni con un governo tecnico o di larghe intese, come accaduto spesso in quest’ultimo decennio, poiché Pd e M5S hanno promesso di non parteciparvi mai più.

Il fattore D fa del governo Meloni un accadimento di rilevanza storica. Manda in frantumi il “soffitto di cristallo” più duro a rompersi della Prima Repubblica (resta la Presidenza della Repubblica). Una donna sul più alto scranno del governo ha messo all’angolo – per quanto tempo? - Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, che proprio non riescono a credere a quanto accaduto. Facile concludere che da questo punto di vista Meloni è una rivoluzione.

Dicevamo dei primi passi di questo governo. Un aiutino la Meloni l’ha sicuramente ricevuto. Mario Draghi ha esercitato una moral suasion verso l’Europa e ha lottato fino all’ultimo giorno di suo governo per preparare la “migliore accoglien-

za” in Europa della Meloni, per il PNRR, per il price cap, per il tetto al costo del gas. Naturalmente tutto è in divenire e la leader dei conservatori europei dovrà davvero lavorare strenuamente nei prossimi mesi, in considerazione dei tanti pessimisti che vedono l’Italia in recessione. A conferma del sostegno di Draghi va considerata anche la permanenza del ministro Roberto Cingolani nel governo Meloni, in qualità di consulente.

Intanto il nuovo corso governativo sarà segnato da una nuova “onomastica” dei ministeri, a rappresentare l’importanza di taluni argomenti in agenda: il ministero della Famiglia sarà anche della Natalità, per dare risalto ai problemi epocali della crisi demografica, e la Sicurezza Energetica sarà al fianco dell’Ambiente, per segnare l’impegno sul fronte della dipendenza energetica. Il nuovo governo ha delle terribili priorità programmatiche, a partire dall’economia. Dovrà provvedere a misure straordinarie per il costo dell’energia, pena la chiusura di tanti presidi industriali e artigianali e la nuova povertà di migliaia di semplici cittadini. E dovrà dire qualcosa anche in materia di riforme istituzionali – c’è solo la riforma presidenziale?di Mezzogiorno, di Ambiente e di clima. E ancora: flat tax e riforma pensioni, lotta all’inflazione. E previsto che si possa tornare nuovamente ai tanti vituperati condoni: pace fiscale e rottamazione di milioni di cartelle esattoriali saranno davvero la salvezza per milioni di famiglie? A fronte di tanti proclami e programmi, resta il dato della co-

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alizione di centrodestra che è stata vincente e che, in misura inversamente proporzionale, è anche molto rissosa. Nel numero di settembre abbiamo parlato chiaramente di un centrodestra a fortissima trazione dei Fratelli d’Italia, i cui consensi rappresentano la somma di Forza Italia più Lega. Ai numeri si aggiungano le personalità represse di Berlusconi –che è “abituato a comandare” – e di Salvini che “un’elezione fa” aveva gli stessi numeri della Meloni è pareva stradominare il centrodestra.

Nel momento in cui andiamo in pagina, i nomi annunciati dei componenti del nuovo governo sono la conseguenza più probabile degli assetti politici della compagine: veti e divieti partoriti dagli alleati hanno sicuramente impedito una lista di alto profilo. La squadra di governo non è certamente di primo piano, anche perché “gli alleati in armi” si sono limitati a schierare i migliori professionisti politici – ben 11 su 24 erano in forza al governo Berlusconi - puntando a dotarsi di uomini e donne (poche!) esperti nella guerra di posizione: perché l’impegno dei nuovi governanti sarà sicuramente segnato da strabismo: un occhio al Paese e un occhio ai consensi elettorali.

Della nuova compagine, di cui non mancheremo di parlare nei prossimi numeri della nostra rivista, merita di essere citato Giancarlo Giorgetti, sicuro ministro del Bilancio e manifesto evidente della continuità di Meloni col governo Draghi. L’uomo ha sicure qualità di moderazione e di esperienza, ma è la dimostrazione pratica del diniego di tanti economisti di

vaglia a scendere in campo con il centrodestra ed è anche la spia di possibili scontri nella “famiglia” Lega, se si considerano le incomprensioni tra Salvini e lo stesso Giorgetti, quest’ultimo più in linea con gli amministratori territoriali della Lega che con il suo leader. Dicevamo dell’attuale forza della Meloni. Doppiamente più forte dei suoi alleati e fortunata a non avere in questo momento nessuna opposizione politica consistente. Ma questi fattori sono anche la più grande incognita. Gli alleati potranno coltivare il proprio orticello elettorale ma non oseranno mai buttare a mare il proprio governo, a meno di perdere il senno e rinunciare ad un governo che è destinato ad essere di legislatura. Riguardo all’opposizione, si tratta di un fronte estremamente diviso e caratterizzato da visioni e strategie davvero divisive. Il duo di Azione e Italia Viva ha il pregio di dialogare con l’attuale maggioranza (concezione nobile della politica o tattica temporanea in attesa che crescano i consensi?). Il Pd organizza il proprio congresso, per cui i tempi sono davvero lunghi, i candidati altrettanti, le opinioni sempre più numerose. Il M5S di Giuseppe Conte è attualmente il più lontano ma anche il più speculare rispetto al centrodestra, ha ormai intrapreso un percorso di “opposizione” radicale che ha un solo scopo: incassare i consensi di tutti i malcontenti d’Italia, puntando dritto alle prossime politiche. A meno di sorprese che nel nostro Belpaese non mancano mai.

MINISTRI E MINISTERI DIETRO UN BANCO DI SCUOLA

E’ già volato via un mese dall’insediamento dei Deputati eletti, per la prima volta in numero ridotto rispetto al passato. Sono in totale 630 di cui 315 senatori. Ai senatori eletti dal popolo si aggiungono, in questo momento ne sono 7, quelli a vita nominati direttamente dal Presidente della Repubblica. Continuando in questo excursus diciamo che 25 sono i nuovi Ministri, incluso il Presidente del Consiglio, 15 quelli “con portafoglio” titolari di un dicastero e 9 quelli “senza portafoglio” i quali svolgono specifiche funzioni su delega del Presidente del Consiglio. Questi ultimi vengono nominati per poter assegnare, a personaggi politici “importanti”, delle varie componenti politiche della maggioranza, incarichi di rilievo. I ministri senza portafoglio non hanno autonomia di spesa a differenza dei ministri titolari di uno specifico ministero (es. Ministero della Giustizia, Ministero della Difesa eccetera eccetera eccete-

ra) ma fanno parte, a pieno titolo, della squadra che compone l’esecutivo. Vediamo, dunque, chi sono i nostri ministri tralasciando, solo in questa circostanza, quelli senza portafoglio, e di quali ministeri sono responsabili. Ci siamo divertiti nel farveli conoscere e nel dare dei voti. Una sorta di pagellina che tiene conto del vissuto e delle prime azioni messe in campo dopo l’insediamento. Partiamo dal Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni. Tutta da scoprire anche se rivela subito una certa ritrosia alle interviste che indagano sull’operato e non sulle chiacchiere. Se le persone di potere parlano solo tra loro possono anche non parlare. Siamo speranzosi. La concretezza operativa mette in secondo piano le tante inutili ed irrealizzabili promesse fatte in campagna elettorale. Voto 7 di stima, come si fa a non dare un buon voto al primo Primo Ministro donna?. Antonio Tajani Vice Presidente, Figura

istituzionale che calza bene il ruolo. Voto 7. Ma Tajani è anche Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Ha “le phisique du role”. Facile sostituire il predecessore, gli auguriamo di conquistare la necessaria fiducia dei partners internazionali. 7. Matteo Salvini Vice Presidente. Ruolo ricoperto già in passato, non ci ricordiamo di sue particolari azioni rappresentative di una nazione e non di un partito. Voto 5 di incoraggiamento e speranza idem per il suo nuovo ruolo a capo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Ministero dell’Interno Matteo Piantedosi, Chiamato subito ad agire ha (quasi o del tutto) compromesso un accordo internazionale sulla ricollocazione dei migranti. Idee confuse? Voto 5. Ministero della Giustizia Carlo Nordio. All’origine (politica) iscritto al Partito Liberale, il centro destra lo inserì tra i possibili candidati alla Presidenza della Repubblica nella seconda ele-

ANTONIO CAIVANO
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zione del Presidente Mattarella. Ancora non pervenuto. Voto 6 di stima e fiducia. Ministero della Difesa, Guido Crosetto. Tra i fondatori di Fratelli d’Italia, ha sempre avuto a che fare con le armi (nel senso di commercio). Speriamo ci “difenda” bene. 6. Ministero dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti. Il suo non è stato proprio un ingresso con le trombe, anzi è parso più un ingresso con trombetta. Speriamo (bene) per il futuro. Voto 5. Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Le imprese e il Made in Italy hanno grande bisogno di sostegno, ci auguriamo, tutti, che il Ministro sia all’altezza. Voto 6 che speriamo diventi presto 8 e anche più. Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida. Fermamente contrario al reddito di cittadinanza auguriamoci che altrettanto fermamente riesca ad investire risorse ed idee nell’agricoltura, nella

sovranità (che parolone) alimentare e nelle foreste. Voto 5,1/2. Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin. Signor Ministro, anziché inutili portaborse si porti appresso dei traduttori per evitare (altre) brutte figure. Pensi che di incontri internazionali ne avrà tanti. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Elvira Calderone. Anche Presidente del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro, ancora non pervenuta. Voto 6 ci fidiamo. Ministero dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. In questo ruolo l’hanno voluto in due, Salvini e Meloni, è tutto dire. Umiliazione non è umiltà, così quando capirà il perché dell’aggiunta “merito” si accorgerà che ricopre un ruolo immeritatamente. Voto 2- Pronti ad alzare il voto se spiega anche a noi, al più presto, cosa dobbiamo intendere per “Merito”. Ministero dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Ber-

nini. Prima Alleanza Nazionale, poi Il Popolo della Libertà e per ultimo ma non ultimo Forza Italia. Figlia d’arte, il papà Giorgio Bernini, Ministro del Commercio Estero con il primo Governo Berlusconi, ha già una discreta esperienza politica. Giovane e carina la scambieranno per una fuoricorso. Voto 6 di fiducia. Ministero della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Già direttore del Tg1 dal 2009 al 2018, è l’esempio che con la cultura si mangia. Speriamo che con e come lui mangino anche altri. Voto 6 speranzoso. Ministero della Salute, Orazio Schillaci. E chi non la vorrebbe come amico, Ministro. Voto 9 (interessato) nella speranza che ci aiuti a guarire. Ministero del Turismo, Daniela Garnero Santanchè. Con lei (e Briatore) ci divertiremo di sicuro tra Versilia, Sardegna eccetera eccetera eccetera. N.C. Aspettando la stagione invernale, poi la primavera e poi l’estate e poi ancora l’autunno.

Conosciamo il nuovo esecutivo guidato dalla Meloni dandogli un goliardico voto
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RITORNO IN PRESENZA PER LE UNIVERSITÀ:

LESIONE DEL DIRITTO ALLO STUDIO O INNOVAZIONE ACCADEMICA?

A seguito dell’emergenza sanitaria da Covid-19, il Governo e il Ministero dell’Istruzione hanno messo a disposizione delle scuole dei fondi straordinari a supporto della Didattica a Distanza (DAD) e Didattica Digitale Integrata (DDI) attraverso il Decreto Cura Italia e il Decreto Ristori. Ciascun decreto ha messo a disposizione delle scuole italiane 85 milioni di euro, per un totale di 170 milioni di euro. Gli ingenti finanziamenti hanno permesso fin da subito all’Istruzione Universitaria italiana di mantenere la sua eccellenza riconosciuta in tutto il mondo; ma ad oggi, con un’emergenza sanitaria che sembra superata, cosa ne sarà di tutti quei finanziamenti? È l’Università di Bologna, riconosciuta nella cultura di massa come l’Università migliore d’Italia e riconfermata per il tredicesimo anno consecutivo al primo posto nella classifica Censis, ad aver preso le redini in merito facendo di fatto da guida a tutte le Università Italiane.

È il rettore Molari a chiarire la posizione dell’Alma Mater Studiorum: «Il mio ateneo sarà innovativo. E in presenza» ma siamo sicuri che la scelta di buttare tutti i finanziamenti ricevuti per una visione tradizionalista delle aule universitarie sia la migliore? «Basta didattica a distanza, da settembre saremo tutti in aula» conclude il rettore senza voler sentire ragioni. A voler farsi sentire invece sono gli studenti che subito sono corsi in difesa del proprio diritto allo studio con il Manifesto degli studenti dell’Università di Bologna (“Manifesto per il mantenimento della didattica ibrida”) dove si legge: «Dopo l’accadersi di un avvenimento, con le sue corrispettive dinamiche, non è possibile tornare indietro, pena la regressione. Intendiamo dunque negare la polverosa tesi secondo cui se la direzione tenuta da un Ateneo è sempre stata

quella di presenziare fisicamente, sempre e per sempre così dovrà essere. Affiancare la didattica online a quella in presenza è uno strumento che serve a tutelare il diritto allo studio di tutti i cittadini e dunque non ha come suoi interessati solo alcune categorie; tuttavia, è chiaro che alcuni ne traggono maggiore beneficio essendo a loro altrimenti completamente precluso il diritto ad assistere alle lezioni».

Le categorie sopraccitate sono molte, tra queste vi sono gli studenti con difficoltà economiche e pendolari, gli studenti lavoratori e gli studenti con disabilità. Per quest’ultima categoria viene ricordato infatti che «Le studentesse e gli studenti con disabilità hanno trovato nella didattica mista numerose soluzioni ai loro problemi. Le disabilità motorie, ad esempio, sono spesso incompatibili con la vita universitaria, soprattutto da fuori sede. Gli atenei italiani non sono ancora purtroppo pienamente accessibili né bastano i servizi di trasporto/accompagnamento dedicati alle persone con disabilità».

Vi sono inoltre studenti con malattia e che necessitano di bisogni educativi speciali (BES), che hanno potuto seguire le lezioni online e usufruire delle registrazioni per gli appunti. «Personalmente, non ho un vero motivo per voler mantenere la Dad - dice una studentessa - la mia è soprattutto una battaglia per gli altri. Diversi miei amici hanno dovuto cambiare facoltà e iscriversi in altre che invece garantiscono la didattica mista. Devono arrendersi all’evidenza che le lezioni possiamo comunque registrarle e mandarle ai nostri colleghi che non possono permettersi di assistere in presenza. A Bologna è quasi impossibile trovare una stanza, i prezzi sono altissimi e la domanda supera di gran lunga l’offerta.

DOPO LO STOP DOVUTO ALL’EMERGENZA COVID, GLI STUDENTI TORNANO A RIEMPIRE GLI ATENEI MA I PROBLEMI RESTANO Finanza&Progetti 10 WWW.PROGETTIEFINANZA.INFO

Gli studentati sono carissimi, io ho fatto il primo anno alloggiando al Camplus College e spendevo 800 euro al mese. Bologna è una città per pochi, non per tutti».

Per l’UniBo sembra che la fine dello stato d’emergenza sia anche la fine di quei problemi strutturali che non rendono il diritto allo studio un diritto per tutti, ma in realtà basta pensare al problema delle case in affitto a Bologna, non sufficienti per il numero di richieste e soprattutto poco accessibili a livello di prezzo, per capire che quello sanitario non è l’unico stato d’emergenza del Paese. A testimonianza di ciò vi è l’allarma della Caritas che urla: «Ci sono tanti universitari che vengono qui a studiare con la borsa di studio, poi la perdono perché magari non stanno al passo con gli esami. Talvolta perdono il loro alloggio e spesso li vediamo nelle nostre mense o, in alcuni casi, finiscono per qualche tempo a dormire in stazione» e tocca quel nervo scoperto che sembra voler essere messo a tacere dalle alte cariche accademiche: la questione abitativa per gli studenti in città. «La crisi economica ha colpito anche loro e, in più, il mercato degli affitti è tornato ad essere quello di sempre: caro e saturo. Difficile trovare posto in città per gli iscritti all’Alma Mater».

Nonostante l’appello della Caritas e il Manifesto degli studenti di Bologna, che in pochissimo tempo ha raggiunto tutte le città italiane e suscitato fortissima condivisione negli studenti (si vedano le statistiche di AlmaLaurea secondo le quali l’82% degli studenti italiani sono favorevoli al mantenimento della didattica online), l’Ateneo bolognese tiene il punto con il rettore Molari che dichiara: «da settembre tutti in presenza nelle aule. L’Università di Bologna ha deliberato un ritorno al 100% in presenza in aula

e speriamo che la pandemia non ci crei ulteriori problemi» e a seguirlo, aspettando ormai tutte le Università italiane, c’è subito Milano con il rettore Franzini che dichiara che anche «il sistema lombardo ha scelto la presenza piena: a settembre abbandoneremo lo streaming» e nel frattempo, data la notizia del ritorno in presenza, sono aumentati gli affitti Universitari fino al 40% rispetto al 2021 con il costo medio per stanza singola di 620 euro per Milano, 465 per Roma, 457 per Padova, 451 per Firenze e 447 per Bologna.

Ciò che viene da domandarsi è l’efficacia del mandare in fumo i milioni di finanziamenti e del creare lo scontento studentesco, ma soprattutto se questa decisione è stata veramente “innovativa” come da discorso iniziale del rettore Molari. Nel frattempo, con l’abolizione dal Parlamento Italiano (6 aprile 2022) della norma prescritta all’art. 142 del Regio Decreto (R.D.) 1592/1933, cd. Testo Unico sulle leggi sull’istruzione superiore, che sanciva il divieto di contemporanea iscrizione a più corsi di istruzione superiori e con il conseguente Decreto Ministeriale n. 930 del 29-07-2022 che disciplina le modalità per facilitare la contemporanea iscrizione degli studenti a due diversi corsi di laurea, si rende possibile la c.d. Doppia Laurea (possibile anche in città e atenei differenti).

Non rimane che chiederci come mai non vi sia una legge che garantisca la lezione in streaming, data l’evidente impossibilità di uno studente a seguire lezioni in presenza in due città diverse, con la Caritas che urla di vedere studenti finire a dormire in stazione. Siamo davvero innanzi ad un’evidente lesione del diritto allo studio?

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SUPERBONUS 110 COSA CAMBIA?

Il provvedimento cambia pelle ma non va in archivio

La Meloni ridisegna la Legge simbolo del M5S cambiando nella sostanza alcuni aspetti ma mantenendone il principio di vocazione per efficientare energeticamente l’Italia

Il Superbonus cambia pelle ma non va in archivio. È questa in sintesi la linea scelta dal nuovo Governo a guida centro-destra, secondo quanto emerge dalle misure del Decreto Aiuti Quater pubblicato in Gazzetta Ufficiale e dalla manovra fiscale che prevedrà le risorse a copertura. La misura di incentivazione fiscale sui lavori di efficientamento energetico è stata in lungo e largo osteggiata, già a partire dall’ultima fase del premierato di Mario Draghi. In campagna elettorale tante compagini politiche avevano promesso di riformarla per evitare le problematiche che si sono create. Su tutti la cessione dei crediti ad aziende ‘fantasma’ e il blocco conseguente di tantissimi cantieri in tutta Italia.

NUOVO SUPERBONUS E GLI SCAGLIONI

Riconoscendo che la misura abbia comunque consentito al settore dell’edilizia di rilanciarsi, il nuovo Governo ha apportato delle modifiche ma non ha accantonato modus operandi. Le finalità delle modifiche introdotte dal Governo Meloni riguardano il sistema di agevolazioni, con l’obiettivo di semplificare le procedure e renderle più trasparenti. La nuova maggioranza, d’accordo sul fatto che il Superbonus risulti abbastanza oneroso per le casse dello Stato, ha ridotto la quota di sgravio riconosciuta in capo ai committenti dei lavori. In linea generale saranno ridotte le quote delle spese edili da portare a rimborso. Il Super-

bonus, infatti, passerà dal 110% di credito fiscale, al 90% nel 2023. Tale quota sarà inferiore negli anni a seguire e in modo particolare sarà del 70% nel 2024 e del 65% nel 2025. A rendere ancora più profonda la riforma del Superbonus sono le nuove scadenze e le nuove categorie di lavori da far rientrare nello sgravio. Avranno diverse scadenze e diverse quote di sgravio gli edifici a seconda delle sei aree di catalogazione. Trovano menzione, in tal senso, i condomini, gli edifici unifamiliari, gli edifici ricadenti nelle zone terremotate, le case popolari e le sedi delle associazioni del terzo settore.

COSA CAMBIA PER I CONDOMINI Sono la fetta maggiore dei cantieri del

IL
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Superbonus e sono anche la categoria che comprende più persone. I condomini sono l’aggregato sociale che va per la maggiore in Italia ma questo comporta diverse problematiche non solo ai fini dell’organizzazione, ma anche per le nuove scadenze dettate dalla novella indicata dal Governo. Per i condomini bisognerà tenere presente la data della CILAS, la comunicazione asseverata che riguarda i lavori ricadenti nel Superbonus. Il Decreto Aiuti Quater prevede la scadenza del 25 novembre per la presentazione di tale documentazione, come spartiacque per ricadere nella nuova normativa. Nello specifico è previsto il superbonus al 110% per le spese sostenute fino al 31 dicembre

2023, il Superbonus ridotto al 70% nel 2024 e al 65% nel 2025 per coloro che hanno rispettato la scadenza. Pe coloro che non l’hanno rispetta è previsto un Superbonus al 110% per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022 e un Superbonus ridotto al 90% nel 2023, al 70% nel 2024 e al 65% nel 2025. In ragione di ciò è corsa all’ultima asseverazione, per cercare di rimanere nei termini previsti.

E IL SUPERBONUS

Il quadro cambia decisamente per le abitazioni singole o unifamiliari. In questo caso la data da tener presente è a ritroso quella del 30 settembre scorso. Importi e scadenze infat-

ti cambiano a seconda di chi, entro quella data, abbia completato il 30% dei lavori presentando una dichiarazione del direttore lavori che attesti il requisito. Soltanto in questo caso, i proprietari di edifici unifamiliari potranno accedere alla misura al 110% per le spese fino al 31 marzo 2023. Al contrario, chi non ha rispettato il requisito del 30 settembre, per le spese effettuate dopo il 30 giugno 2022 potrà godere solo dei bonus minori. A chi, invece, avvia i lavori dal 1° gennaio 2023 su un’unità di cui sia proprietario o titolare di diritto reale (come l’usufrutto), spetterà un superbonus al 90% fino al 31 dicembre 2023 a patto che la casa sia abitazione principale e il beneficiario abbia un reddito di

riferimento inferiore a 15mila euro. Restano fuori le spese effettuate da comodatari e locatari. L’agenzia delle Entrate dovrà pronunciarsi invece sui conviventi.

LA MISURA NELLE ZONE TERREMOTATE

Nell’Italia dei terremoti e del “fine lavori mai” il Superbonus ha rappresentato un’opportunità per restituire dignità alle famiglie colpite. Per questo motivo il Governo ha deciso di dare maggiore flessibilità all’applicazione della misura in queste aree territoriali. Nelle zone colpite da eventi sismici, infatti, il Superbonus 110% è stato prolungato, ma a condizioni ben precise. Si prendono infatti a riferimento gli interventi su tutti i tipi di immobili agevolati dalla misura, che appartengano a Comuni colpiti da terremoti verificatisi dal 1° aprile 2009 e in cui è stato dichiarato lo stato di emergenza. Sugli edifici danneggiati dal sisma è possibile ottenere Superbonus al 110% sulle spese sostenute fino al 31 dicembre 2025, solo per la parte eccedente l’eventuale contributo per la ricostruzione. Se si rinuncia al contributo per la ricostruzione è previsto il Superbonus 110% fino al 31 dicembre 2025 con spesa maggiorata del 50%.

IL SUPERBONUS PER LE CASE POPOLARI

L’ultima fattispecie riguarda le case popolari, per le quali è rimasto invariato il calendario che punta a fine 2023 con il test sull’avanzamento lavori al prossimo 30 giugno. Per gli interventi eseguiti da istituti case popolari (comunque denominati), compresi quelli di persone fisiche sulle singole unità nello stesso edificio, e cooperative edilizie a proprietà indivisa su immobili dalle stesse posseduti e assegnati ai propri soci, le date da segnare sul calendario sono dunque le seguenti: auperbonus al 110% fino al 31 dicembre 2023 per edifici in cui alla data del 30 giugno 2023 sarà stato eseguito almeno il 60% dell’intervento

Se con la legge di bilancio il Superbonus è stato definito nei termini, rimane bloccata la questione degli istituti che accettano i crediti fiscali. Sono sempre meno, infatti, le banche che consentono di avviare le pratiche per il Superbonus, anche sullo scotto di quelle che sono state le problematiche del passato. Per questo motivo ABI e ANCE, due organizzazioni importanti che si occupano di rappresentare le banche e i costruttori edili, negli scorsi giorni, hanno recapitato una missiva congiunta al Governo per chiedere rassicurazioni.

Con la missiva si richiama l’attenzione del Governo sulla gravità della situazione nella quale si trovano, oramai da mesi, migliaia di cittadini e imprese che hanno fatto affidamento sui bonus edilizi per l’efficientamento energetico e sismico nonché per altre attività connesse al nostro patrimonio immobiliare. In particolare, scrivono i Presidenti di Abi e Ance Patuelli e Brancaccio, occorre scongiurare al più presto una pesante crisi di liquidità per le imprese della filiera che rischia di condurle a gravi difficoltà a causa di crediti fiscali maturati e che in questo momento non è più possibile cedere, visti anche i limiti delle capienze fiscali. Per questo motivo serve un intervento tempestivo. Abi e Ance chiedono quindi una misura tempestiva e di carattere straordinario che consenta agli intermediari di ampliare la propria capacità di acquisto utilizzando una parte dei debiti fiscali raccolti con gli F24, compensandoli con i crediti da bonus edilizi ceduti dalle imprese e acquisiti dagli intermediari. Questa soluzione, scrivono i Presidenti di Abi e Ance, permetterebbe agli intermediari di ampliare la loro capacità di acquisto di crediti certi e verificati dagli intermediari stessi, al momento non utilizzabili.

complessivo scadenza al 30 giugno 2023 per chi non avrà raggiunto il 60%. ABI E ANCE CHIEDONO CHIAREZZA PER LO SBLOCCO DEI CREDITI FISCALI
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Efficientamento energetico, gli investimenti verdi

L’Italia

ha dato una bella spinta in tal senso con l’applicazione del Superbonus

Ancora una volta possiamo tornare a parlare della guerra in Ucraina e delle terribili ripercussioni nel nostro Paese e nel mondo intero. Su tutte l’aumento del costo delle materie prime e dei prodotti energetici. Su quest’ultimo aspetto in particolare, negli ultimi mesi tutti gli stati europei stanno cercando di intervenire. Anche il nostro paese si è mosso in questo senso siglando una serie di accordi con l’Algeria ed emanando alcuni decreti legge volti a limitare l’impatto dell’aumento dei costi per aziende e cittadini.

Nel medio-lungo periodo però sarà molto importante lavorare per incrementare l’efficienza energetica, in primis degli edifici sia pubblici che privati. Secondo le stime del governo infatti, gli immobili italiani costituirebbero circa la metà dei costi energetici del paese. Interventi in questo senso quindi sono fondamentali. Non solo perché contribuirebbero a ridurre gli sprechi ma anche perché permetterebbero una limitazione delle emissioni inquinanti. Per questi motivi nel piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sono presenti alcune misure che vanno proprio in questa direzione.

Gli investimenti individuati sono 4 per un valore complessivo di 20,31 miliardi di euro, considerando anche alcune risorse provenienti dal fondo complementare.

La gran parte di queste risorse (circa 18,5 miliardi) è stata utilizzata per rifinanziare il cosiddetto “superbonus“. Una misura introdotta per la prima volta nel 2020 con il decreto rilancio che ha prodotto effetti positivi per il rilancio del settore dell’edilizia nel nostro Paese.

Il secondo investimento più significativo riguarda la costruzione di nuove scuole per cui sono stati stanziati in prima battuta 800 milioni di euro. A questa cifra poi il ministero ha aggiunto ulteriori fondi per un totale di 1,2 miliardi di euro circa. La terza voce di spesa è legata all’efficientamento dei tribunali e delle cittadelle giudiziarie. In questo caso l’investimento riguarda pre-

cisamente 48 strutture per una spesa complessiva pari a 411,74 milioni di euro. Infine 200 milioni saranno investiti per lo sviluppo di sistemi di teleriscaldamento.

Che il Superbonus sia nato con delle pecche e che sia migliorabile si sapeva fin dall’inizio, ma vediamo perché l’affresco dipinto dagli autori dello studio non sia da percepire a tinte così fosche. La critica principale contenuta nelle elaborazioni dello studio è che il Superbonus si ripagherebbe prima del 2100 solo in un caso, cioè nel 2067, ma ipotizzando di applicare un valore SSC molto alto a un tasso di sconto – che ci permette di calcolare il valore attuale dei danni futuri delle emissioni – piuttosto basso, e cioè uguale o inferiore al 2%.

In merito, invece, all’altro fattore della moltiplicazione, cioè il valore economico presente assegnato ai danni sociali futuri di ogni tonnellata aggiuntiva di CO2, bisognerebbe fare delle precisazioni. Gli autori hanno fatto un ottimo lavoro, considerando il panorama completo dei valori in euro dei danni sociali così come sono stati stimati dal Gruppo di lavoro inter-agenzie degli Usa (IWG) e dall’Agenzia tedesca per l’ambiente (UBA).

Il Superbonus è cioè un tavolino a tre gambe: se si tiene conto solo della gamba climatica potrebbe non stare in piedi. Sappiamo però che l’obiettivo di questo strumento non è solo climatico, ma anche economico e sociale, in termini di ripresa delle attività produttive dopo la pandemia e di equità sociale ai fini della riduzione del divario nell’accesso a misure di efficienza energetica e generazione da fonti rinnovabili. Non sarà una situazione asetticamente perfetta dal punto di vista del rapporto costi/benefici, ma la perfezione è spesso nemica del bene. E poi la transizione non potrà avvenire senza coinvolgere e beneficiare le fasce meno privilegiate, in Italia come negli altri paesi. E ciò anche a costo di spese maggiori e non sempre rispondenti ad un teorico optimum climatico.

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Transizione verso fonti di energia rinnovabile: a che punto sono Regioni e comuni italiani?

La transizione verso fonti di energia rinnovabili è cruciale per la riduzione delle emissioni di gas climalteranti. Dal punto di vista dei consumi, l’Unione europea ha definito dei traguardi che sono stati raggiunti con l’impegno dei singoli stati membri. A livello italiano, il conseguimento degli obiettivi è definito anche dai contributi delle singole regioni.

L’Unione europea ha come obiettivo quello di diventare il primo continente a emissioni zero entro il 2050. Per muoversi in questa direzione, ci sono stati diversi provvedimenti dal punto di vista legislativo. In particolare, la direttiva 2009/28 del parlamento europeo, recepita sul piano nazionale con il decreto legislativo 28/2011, e del consiglio sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili definisce i traguardi comunitari per quel che riguarda il consumo di energia da fonti diverse da quelle fossili. È una

misura che riguarda tutti gli ambiti del consumo di energia.

Come per gli altri stati membri, anche per l’Italia sono stati definiti due traguardi da raggiungere entro il 2020.

Uno è relativo ai consumi finali lordi, che devono essere supportati da fonti rinnovabili almeno per il 17%. Il secondo invece riguarda specificamente il settore dei trasporti, in cui il minimo è stabilito al 10%.

L’Italia è uno di quei paesi comunitari in cui il risultato raggiunto ha superato gli obiettivi prestabiliti. Sul piano nazionale, il secondo target, quello legato ai trasporti è stato raggiunto nel 2020, con un valore pari a 10,7%.

Al contrario, l’obiettivo generale era già stato raggiunto nel 2014 con il 17,1% andando poi a crescere fino al 2020 con il 20,4%. Un dato su cui incide anche la diminuzione dei consumi dovuta alle limitazioni dei trasporti e alle attività commerciali causate dall’emergenza pandemica. Secondo

Eurostat, questo può aver inciso principalmente sulla diminuzione dello sfruttamento dell’energia prodotta con combustibili fossili.

Per il raggiungimento del primo obiettivo nazionale è stato necessario il contributo di tutte le regioni. Per questo motivo il ministero dello sviluppo economico ha emanato un decreto nel 15 marzo 2012 chiamato “burden sharing“, che significa letteralmente “condivisione delle responsabilità”. Questo decreto definisce infatti i target minimi di consumo per ogni singola regione.

La Valle d’Aosta, con un Consumo coperto da fonti rinnovabili del 105,4% si registra il consumo maggiore di energia da fonti rinnovabili, seguono la provincia autonoma di Bolzano (67,9%), la Basilicata (52,1%) e la provincia autonoma di Trento (47,2%).

In fondo alla classifica si trovano Emilia-Romagna (12%), Lazio (11,2%) e Liguria (7,9%). In termini di valore

FOCUS
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assoluto, la Lombardia è quella che riporta i consumi maggiori, sia per quel che riguarda il dato complessivo che per l’ambito delle energie rinnovabili. È però importante notare che questa è la regione con il maggior numero di abitanti in Italia.

Come è stato detto, per ogni regione erano previsti degli obiettivi specifici. In linea con il dato nazionale, quasi tutti i territori considerati registrano un valore superiore ai traguardi prestabiliti.

La regione che riporta il consumo più ampio rispetto alle previsioni è, ancora una volta, la Valle d’Aosta (+53,3 punti percentuali); seguono la Provincia autonoma di Bolzano (+31,4), la Basilicata (+19) e la Calabria (+15,7). Gli incrementi minori si registrano in Emilia-Romagna (+3,1 punti percentuali), Campania (+3,1) e Toscana (+1,9). Sono tre le regioni in cui il valore riportato è minore di quello definito dal burden share. Si tratta di Lazio (-0,7 punti percentuali), Sicilia (-2,1) e Liguria (-6,2).

Insieme alle regioni anche i Comuni hanno dovuto lavorare per permettere una serena e necessaria transizione verso fonti di energia rinnovabili.

Il Comune di Biccari, che, come si è visto in un precedente numero del Magazine (“Comunità energetiche, il futuro dell’Italia”, pag. 20-21), ha già realizzato, con la collaborazione della cooperativa energetica ènostra, una comunità energetica rinnovabile con il duplice obiettivo di efficientare i consumi e autoprodurre energia, è rientrato tra le prime comunità energetiche italiane essendo ad oggi tra le sole 35 sul suolo del Bel Paese. Infatti, a due anni dalla legge, faticano a partire le comunità energetiche di enti locali e cittadini e ne sono nate solo 35. Con il prezzo dell’elettricità in continua crescita è semplice immaginare la felicità dei sindaci e dei cittadini che sono riusciti ad accedere a un’iniziativa pubblica impervia dal punto di vista burocratico, ma che da qualunque

lato la si guardi ha ricadute positive. «Nella primavera 2020, da quando esistono le norme sulle comunità energetiche, un megawattora costava 20 euro. Ora siamo a oltre 500» spiega Sara Capuzzo, presidente della cooperativa “ènostra”, che effettua consulenze per chi vuole imbarcarsi in questa avventura. Avventura che però, nella maggior parte dei casi, è destinata a non approdare da nessuna parte, soprattutto per la carenza delle leggi che dovrebbero definire regole e incentivi. Le lacune, promettono al Mite, Ministero per la transizione ecologica, dovrebbero essere colmate entro dicembre, e infatti Valeria Amendola, direttrice generale della sezione approvvigionamento, efficienza e competitività energetica del Mite, ha dichiarato: «Ci stiamo lavorando, anche insieme ad Arera, l’Autorità di regolazione per l’energia e le reti, perché loro devono stabilire le condizioni di interconnessione nella rete, ma sono fiduciosa, entro la fine dell’anno le norme saranno complete, anche con

Molteplici i progetti degli enti tra cui spicca quello del piccolo comune di Biccari

l’ammontare degli incentivi». Di tempo, eppure, non ne è passato poco, da quando l’Europa nel 2019 ha emanato la direttiva Red II, secondo la quale nel 2030 l’Unione avrebbe dovuto produrre il 32% della sua energia da fonti rinnovabili. L’Italia si è affrettata a recepire la parte della direttiva che prevedeva le comunità energetiche alla fine del 2019, ma con grossi limiti di potenza degli impianti e di distanza fisica tra i membri. Poi, a dicembre del 2021, ha recepito la direttiva per intero, dando ampio respiro alle comunità energetiche con il decreto legislativo 199 dell’8 novembre 2021. Salvo poi mancare di approvare i decreti attuativi e le tabelle degli incentivi. Alle comunità energetiche, tra l’altro, sono legati 2,2 miliardi di finanziamenti del Pnrr per i comuni con meno di 5mila abitanti. Accanto alla scheda del progetto ora è scritto un laconico “da avviare”. Eppure i vantaggi, com’è chiaro, non sarebbero pochi e a spiegarli è Marco Raugi, responsabile della cattedra Unesco in “comunità energetiche sostenibili” dell’Università di Pisa: «Non risolveremo certo il problema del gas russo, ma se le comunità energetiche si diffondessero a macchia d’olio potrebbero anche coprire i consumi domestici del paese. Resterebbero da alimentare le industrie, soprattutto quelle energivore, ma sarebbe un grosso passo avanti». Il consumo dell’energia “a chilometro zero” cancella poi i problemi di trasporto. «Sappia-

mo - prosegue Raugi - che il trasporto dell’energia provoca dispersioni. Quando il consumo avviene vicino al luogo di produzione abbiamo il massimo dell’efficienza» e conclude con: «E’ una transizione culturale, prima ancora che energetica. Eravamo abituati all’elettricità che ci arrivava in casa da chissà dove. Dovremo invece diventare noi stessi produttori dell’energia che consumiamo».

Ad aver effettuato questa “transizione culturale” è stato il Sindaco Mignogna che ha avuto la lungimiranza e la tenacia di credere in un progetto, ai tempi ancora sconosciuto e burocraticamente al limite del possibile, che ha reso il magnifico borgo di Biccari un punto di riferimento energetico di tutto il Paese.

Il Sindaco di Biccari, Gianfilippo Mignogna, ha risposto alle seguenti domande per Progetti&Finanza: Cosa ha provato ad essere uno dei primi in Italia a credere nelle comunità energetiche?

Sicuramente un po’ di sorpresa perché l’importanza del tema dovrebbe spingere tutte le amministrazioni locali ad intraprendere iniziative di questo tipo. Quando abbiamo avviato il progetto sapevamo di essere tra i primi perché ci siamo resi conto di non avere molti modelli già strutturati a disposizione.

Quando ha letto il progetto cosa ha pensato? Il primo pensiero è anda-

to verso i cittadini, volendo aiutare una popolazione in un momento di rincari bollette, oppure è andato in favore della Terra?

Noi siamo un’Amministrazione “rinnovabile” e negli anni abbiamo sempre cercato di avviare progetti ed iniziative a favore dell’ambiente. Siamo stati tra i primi (anche in quell’occasione) ad introdurre la mensa scolastica totalmente plastic free, oppure ad installare lampioni fotovoltaici, colonnine per la ricarica delle auto elettriche, ecc... Dunque la nostra sensibilità sul tema è risaputa. In questa occasione, tuttavia, l’idea di poter aiutare i cittadini contro il caro bollette è stata una motivazione decisiva per l’avvio della sperimentazione.

È sempre stato sensibile sugli argomenti riguardanti la sostenibilità? Come dicevo sopra, sì. A titolo di esempio posso aggiungere anche l’installazione di oltre 150 kw di fotovoltaici sui tetti comunali, oppure l’adesione alla strategia europea del Patto dei Sindaci. Insomma, sono temi che consideriamo centrali nella nostra attività amministrativa.

Ha affrontato molti ostacoli nella realizzazione della sua iniziativa? Sì, abbiamo iniziato il progetto con una normativa giovane, nuova e non ancora collaudata che peraltro è stata modificata in corso d’opera e questo non ci ha sicuramente aiutato. A ciò bisogna aggiungere le note difficoltà dovute alla burocrazia italiana, all’esi-

guo personale a disposizione nei piccoli comuni e, per finire, l’inesistente collaborazione da parte di ENEL. La minoranza ha compreso l’importanza del progetto oppure ha cercato di ostacolarlo?

Da parte della minoranza nessun ostacolo, se non ricordo male l’idea di costituire una comunità energetica era presente anche nel loro programma.

Dati gli ultimi disastri climatici e ambientali, di cui tutti stiamo seguendo gli aggiornamenti, è contento della sua scelta per Biccari? Sarò contento quando il nostro modello iniziale sarà pienamente operativo a favore di una cinquantina di famiglie biccaresi e, soprattutto, quando saremo nelle condizioni di allargare questo progetto pilota al resto della popolazione.

La popolazione cosa pensa di questo progetto? Ha notato un favore popolare maggiore del solito?

No, nessun fervore. Uno dei problemi principali delle amministrazioni nei piccoli comuni è quello di attivare la cittadinanza, di coinvolgerla, di favorire il protagonismo locale. Sono processi lenti e pieni di difficoltà, che richiedono impegno, tempo e pazienza. Ma crediamo molto in questo tipo di lavoro e siamo convinti che alla fine possa portare i propri frutti. Nello specifico iniziamo appunto con un progetto pilota aperto a solo cinquanta famiglie per creare un modello replicabile per gli altri. Ci sono state critiche per questa scelta? Quali sono state?

GM: Non nelle sedi istituzionali, non pubblicamente. Siamo stati chiamati più volte a spiegare i motivi della nostra scelta di iniziare con un progetto piccolo per un numero limitato di famiglie, ma è ovviamente una scelta dettata dalle disponibilità economiche. Ha avuto contatti con Legambiente? Sì, è un’associazione con cui condividiamo diversi progetti e con cui abbiamo un’interlocuzione continua. Siamo stati molto felici, per esempio, di ospitare recentemente una tappa della festa regionale di Legambiente Puglia e l’appuntamento con Voler Bene all’Italia dedicati proprio a questi temi.

La Provincia di Foggia e la Regione Puglia come hanno reagito per questa sua meravigliosa iniziativa? Diversi colleghi amministratori si sono interessati al nostro progetto e ci hanno chiesto di poter fare incontri o di visionare gli atti amministrativi che abbiamo adottato. Alcuni comuni, da

quello che leggo, hanno manifestato l’intenzione di partire con progetti simili e questo ovviamente è un bene. Dopodiché aggiungo anche che grazie all’assemblea dei Sindaci dell’Area Interna dei Monti Dauni abbiamo un luogo istituzionale di dialogo, di confronto e di stimolo continuo in cui anche il tema delle rinnovabili è molto dibattuto ed oggetto di iniziative specifiche.

Si aspettava un supporto maggiore dalla Provincia e dalla Regione?

In realtà non credo che la Provincia abbia grandi competenze in materie. Da parte della Regione abbiamo ricevuto la visita dell’Assessore regionale all’energia Delli Noci che si è detto molto interessato al nostro progetto. Sarebbe importante, comunque, poter contare sul supporto istituzionale degli altri enti, anche solo dal punto di vista economico, visto che finora tutta l’iniziativa è stata finanziata unicamente dalla nostra Amministrazione. Sul punto, peraltro, si parla di finanziamenti ad hoc in arrivo dal PNRR ma finora non c’è stato nessun bando specifico. Quali sono i prossimi passi per l’attuazione del progetto? A che punto

siamo?

GM: Stiamo definendo gli ultimi dettagli per la costruzione di altri impianti sui tetti delle case popolari presenti nel nostro paese. A tal fine abbiamo stanziato una somma di 90 mila euro e raggiunto un accordo con Arca Capitanata che è il soggetto pubblico gestore degli edifici e che ci metterà a disposizione gratuitamente i tetti delle proprie palazzine. Contiamo di iniziare i lavori a settembre. Altri impianti sono stati già realizzati e devono soltanto essere allacciati.

Ha progetti futuri relativi alla corsa alle rinnovabili?

Sì, stiamo valutando la possibilità di mettere a disposizione di soggetti privati dei terreni comunali idonei per la realizzazione di impianti fotovoltaici recuperando in cambio risorse o parte degli stessi impianti da mettere a disposizione della comunità energetica. Se tutto va bene, il primo atto amministrativo sarà pronto a settembre. In ogni caso continueremo a seguire le evoluzioni normative e finanziarie per cogliere ogni possibile nuova occasione.

Gargano Esco, con noi l’efficientamento arriva a casa tua anche con il Bonus al 90%

La società è pronta a realizzare anche i progetti con il nuovo provvedimento del Governo

Cambiano le regole di ingaggio ma non cambia la forza di volontà di affrontare il mercato al fianco di imprese e cittadini per Gargano Esco, leader nell’edilizia. I cambiamenti legati ai bonus e alla pianificazione degli incentivi per la rigenerazione energetica non spaventano Gargano Esco ma, al contrario, hanno spinto l’azienda ad avviare una nuova stagione al fianco delle imprese del mondo dell’edilizia. Dalla progettazione, alla ristrutturazione passando per i vari bonus come sisma e 110 l’azienda ha segnato una stagione di successi ed ora si appresta a continuare su questa linea anche con il bonus 90%. Una decisione che viaggia al fianco delle comunità e dei cittadini che davanti ai repentini cambiamenti in questi ultimi mesi sono stati più volte scoraggiati ad intraprendere la via del bonus edilizio per poter rigenerare condimi e abitazioni. Con l’introduzione della nuova manovra molte aziende del settore hanno rinunciato alle richieste di lavori mediante bonus. Gargano Esco, invece tiene saldi gli impegni,

soprattuto perchè fortemente convinta che le politiche ambientali passano sopratutto dall’efficientamento energetico delle nostre abitazioni. A questo si aggiungono le politiche volte all’aiuto sostanziale alle famiglie anche sotto il profilo economico visti i rincari dei carburanti e energia. Una scelta, quella di dar continuità alla strada dei bonus per la rigenerazione energetica che nasce appunto proprio per dare risposte alle famiglie ormai strette nella morsa dei rincari. Basti pensare che quest’anno ci saranno oltre 1.100 euro in più di spesa per la bolletta della luce. A tanto ammonta l’aumento che dovrà sostenere la famiglia tipo, con un consumo annuo di 2.700 chilowattora, in regime di maggior tutela secondo le simulazioni che Altroconsumo ha preparato per Il Sole 24 Ore. Un’altra primaria associazione, l’Unione nazionale consumatori, aggiunge il confronto fra i diversi ritocchi tariffari e il più pungente è stato quello autunnale, seguito dai due rincari della scorsa stagione fredda. Quindi oggi ancor di più è

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importante dare risposte alle famiglie rendendo le abitazioni sempre più smart e a basso consumo energetico. Rivestimento termico, porte e finestre sono responsabili di oltre il 30% delle dispersioni termiche in una abitazione e quindi d un aumento dei consumi energetici. In particolare le perdite di calore dovute alle superfici trasparenti incidono per il 25%. Appare quindi chiaro l’importanza di avere abitazioni performanti con un basso valore di trasmittanza termica, in grado di minimizzare le dispersioni di calore verso l’esterno. Nel caso di interventi di riqualificazione energetica, per ottenere i valori di trasmittanza termica fissati per legge, non è però sufficiente acquistare serramenti performanti o rifare il capotto, ma è necessaria anche una corretta programmazione, che deve essere fatta da ditte specializzate, capaci di guidarvi nella scelta giusta . Una installazione errata può compromettere l’obiettivo finale in termi-

ni di isolamento termico/acustico che si voleva ottenere.

Lavori che rappresentano economicamente un investimento importante, ma interamente compensato da una riduzione notevole di consumi energetici e da un miglioramento della qualità abitativa, vantaggi che si mantengono per molti anni. Con questa politica Gargano Esco non solo riesce a soddisfare tutte le esigenze ma mette in campo tutte le professionalità per abbattere i costi attraverso l’utilizzo dei bonus e di ogni forma di incentivo messo a disposizione dallo stato per efficientare le abitazioni.

In quest’ottica Gargano Esco ad oggi ha portato a termine ben 107 progetti edili, co 1300 clienti soddisfatti per 45 ristrutturazioni completate e 52 nuovi cantieri in fase di chiusura. Numeri importanti che danno un quadro ben chiaro della strategia aziendale di Gargano Esco in risposta alle esigenze della gente.

REDAZIONALE A CURA DELL’INSERZIONISTA
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ENERGIA EOLICA

sempre più parchi spuntano tra il mare e le colline italiane

Italia l’energia che si ricava dalle pale eoliche è in continuo aumento. Secondo i dati pubblicati nell’ultimo report dell’ANEV nel 2021 l’Italia ha generato 20,62 TWh di energia

La britannica Aquaterra Energy, società di ingegneria offshore, e l’olandese Seawind Ocean Technology, fornitore chiavi in mano di asset eolici marini, hanno reso noto che il più grande impianto ibrido eolico galleggiante-idrogeno potrebbe sorgere in Italia e che è già nella sua prima fase autorizzativa, in cui sono richieste le valutazioni di impatto ambientale e infrastrutturali. Le due realtà, infatti, hanno firmato un accordo di collaborazione attraverso il quale daranno vita a HyMed. L’iniziativa, spiegano in una nota stampa congiunta, prevede la realizzazione nelle acque profonde italiane di un mega impianto ibrido, un mix di eolico galleggiante e idrogeno che a regime dovrebbe vantare una potenza produttiva di 3,2 GW.

Per vedere il maxi progetto in azione si dovrà aspettare il 2027 e Anne Haase, Renewables Director di Aquaterra Energy, commenta: “Con i governi e le imprese che riconoscono il valore dell’idrogeno come risorsa vitale per iniziative a zero emissioni nette, sicurezza energetica e protezione contro la volatilità dei prezzi del gas naturale, siamo estremamente entusiasti delle opportunità di produzione presentate da questa nuova partnership. Il sistema eolico galleggiante completamente integrato e scalabile di Seawind offre un percorso chiaro per una produzione su scala industriale conveniente e siamo lieti di essere in grado di fornire il pezzo finale del puzzle.” Tralasciando il futuro e concentrandoci sul presente possiamo notare che le pale eoliche sono molto diffuse soprattutto nelle regioni del Sud Italia;

ma scopriamo di più sulla distribuzione delle pale eoliche nel nostro Paese. In Italia l’energia che si ricava dalle pale eoliche è in continuo aumento.

Secondo i dati pubblicati nell’ultimo report dell’ANEV nel 2021 l’Italia ha generato 20,62 TWh di energia grazie all’impiego delle pale eoliche (aerogeneratori) diffuse sul territorio nazionale, che hanno permesso il risparmio di più di 25 milioni di barili di petrolio e di 12 milioni di tonnellate di emissioni di CO₂.

Secondo i dati di Terna il fabbisogno annuale di energia elettrica nel nostro Paese corrisponderebbe a 319,9 TWh, l’eolico, quindi, rappresenta al momento circa il 6,27% della copertura energetica nazionale.

Quasi tutte le regioni italiane ospitano nel proprio territorio dei parchi eolici più o meno estesi, per un totale di

INTERVISTA A VIRGILIO CAIVANO, DELEGATO AI RAPPORTI PARLAMENTARI DELL’ASSOCIAZIONE SVIMAR
In
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7.289 pale eoliche e una potenza di 11.035 MW.

A generare le maggiori quantità di energia eolica in Italia sono sei regioni meridionali: Puglia, Campania, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Nel 2019 questi territori ospitavano il 91% delle centrali eoliche italiane e la sola Puglia, per potenza, è attualmente in grado di generare un quarto dell’energia eolica totale.

Analizzando i dati forniti da ANEV notiamo che è proprio la Puglia ad ospitare il maggior numero di pale eoliche (1.615), seguita da Sicilia (1.574), Campania (1.196) e Sardegna (753). Possiamo notare poi che Basilicata (713) e Calabria (624), pur avendo un numero minore di impianti, sono in grado di compensare questi valori in termini di potenza. Seguono poi il Molise (321) e l’Abruzzo (250) mentre il numero de-

Firmato il decreto per lo sviluppo del Biometano

1,7 miliardi di euro destinati allo sviluppo del carburante da produrre in Italia

Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica, ha firmato lo scorso 15 settembre il nuovo Decreto sugli incentivi per la produzione del biometano.

Finalmente il nuovo Decreto riceve il lasciapassare con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 251 del 26 ottobre 2022. Si sbloccano così, ufficialmente, le misure previste dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) a supporto del settore. Cosa prevede il Decreto? Il Decreto Biometano mette in campo 1,7 miliardi di euro destinati allo sviluppo del biometano nazionale che viene immesso nella rete del gas naturale una volta prodotto da impianti di nuova realizzazione alimentati da matrici agricole e da rifiuti organici o da impianti per la produzione di elettricità da biogas agricolo che saranno riconvertiti, aprendo alla possibilità di destinare il biometano anche a usi diversi dai trasporti incentivando sia la riconversione e l’efficientamento degli impianti di biogas agricoli esistenti verso la produzione totale o parziale di biometano, sia la costruzione di nuove centrali di biometano.

A ottobre 2021 l’Europa contava 1.023 impianti di produzione di biometano. Nella precedente edizione del 2020, gli impianti sulla mappa dell’Europa erano 729.

Francia, Italia e Danimarca sono i Paesi con il più alto tasso di crescita dei nuovi impianti.

Nel 2020 in Italia sono entrati in funzione 11 nuovi impianti e nel 2021 gli impianti di produzione tra biogas e biometano erano circa 20.000.

L’Italia conta, secondo le stime di Eba e Gie, 27 impianti per la

produzione di biometano con capacità complessiva di produzione di biometano in Italia di 25.445 mc all’ora, pari a circa 220 milioni di mc.

Ma cos’è il biometano? Il biometano è un gas combustibile derivato dal biogas e ottenuto rimuovendo da questo l’anidride carbonica tramite la procedura di purificazione o upgrading.

«Il decreto rappresenta un provvedimento chiave – ha detto Piero Gattoni, presidente del Cib (Consorzio italiano biogas) –per rilanciare gli investimenti del settore biogas e biometano. Soprattutto alla luce del perdurare della crisi energetica e degli approvvigionamenti delle materie prime. L’agricoltura può dare un contributo significativo all’aumento della quota rinnovabile nel mix energetico nazionale, in favore di diverse filiere produttive».

Ma dovrà, come ha ricordato sempre Gattoni, essere ora disciplinato in dettaglio attraverso un ulteriore decreto del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, su proposta del Gse.

«È necessario - conclude Gattoni - che il successivo Decreto con il quale si dettaglieranno le regole applicative preveda modalità di gestione degli impianti che minimizzino gli effetti dell’aumento dei costi delle materie prime, che supportino la possibilità di sviluppo del mercato del biometano negli usi finali e nel settore dei trasporti. E che consentano di realizzare gli investimenti rispettando le strette tempistiche imposte dal Pnrr. Anche alla luce delle attuali difficoltà di reperimento di materiali e componentistica».

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DISOCCUPAZIONE Una migliore conoscenza per migliori interventi

La pandemia ha colpito duramente il mercato del lavoro, causando oltre una perdita salariale e di ore lavorative, un aumento della disoccupazione.

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L’esatta conoscenza del significato di “Disoccupato – Inoccupato – Inattivo” è indispensabile per affrontare, con consapevolezza, questo argomento così importante. Disoccupato: è colui che ha svolto un lavoro, regolato da un contratto, e, al momento, non ha un lavoro retribuito. In questa definizione non si tiene conto, in alcun modo di lavoro in nero, tirocinio, periodo di pratica. La disoccupazione può essere volontaria, se dovuta a dimissioni, o involontaria, se dipesa da licenziamento per dinamiche aziendali o giustificato motivo. Inoccupato: è colui che non ha mai lavorato ed è alla ricerca della prima occupazione. Inattivo: è colui che non cerca lavoro pur non avendo alcun impedimento ed essendo “lavorativamente attivo”. Per maggiore chiarezza e per fornire ulteriori elementi necessari ad inquadrare il fenomeno, è necessario dire che ai fini statistici si considerano le persone che non hanno cercato lavoro nelle quattro settimane precedenti la ricerca presa in riferimento e non intendono cercare lavoro nelle due successive. Secondo queste indicazioni è facile intuire che i numeri relativi al lavoro, in qualsiasi Paese, risentono di fattori non assoggettabili a statistiche. Talvolta si ha l’impressione che siano diminuiti i disoccupati ed invece è semplicemente aumentato il numero degli inattivi o questi ultimi decidono di mettersi a cercare un lavoro aumentando il numero dei disoccupati. Teniamo buone le indicazioni INPS e rileviamo che il numero dei disoccupati, allargatosi nel periodo delle chiusure e delle restrizioni a causa della pandemia, è rientrato nelle percentuali conosciute, anzi è calato. Sono tanti quelli che ritengono che la distanza tra domanda e offerta di lavoro, che crea, in Italia, migliaia di posti di lavoro vacanti, non dipende da una cattiva informazione ma, piuttosto, dalla mancanza di competenze necessarie. Formazione, formazione, formazione...In un mondo del lavoro in continuo mutamento, l’occupabilità necessita, soprattutto, di competenze, per cui la qualità dei percorsi formativi è essenziale. In Italia i disoccupati sono il 9,5% della popolazione, a partire dai 15 anni, occupabile. La media nella Ue è del 6% (fonte Eurostat, agosto 2022). La regione con il maggior numero di disoccupati è la Campania (19,3%) seguita dalla Sicilia (18,7%) e la Calabria (18%). Al contrario la percentuale più bassa si registra nel Trentino Alto Adige (4,8%). Se analizziamo la composizione

dell’occupazione, divisa tra uomini e donne, vediamo che in Italia, in maniera praticamente invariata da sempre, la sottoccupazione è marcatamente un fenomeno femminile. Pregiudizi culturali e sociali sui ruoli familiari, ancora oggi, fanno si che le donne lavorino meno degli uomini e laddove i numeri dicono il contrario, hanno contratti part-time. A questo riguardo, nel Trentino Alto Adige e Veneto l’80% dei lavoratori part-time sono donne, nella provincia di Bolzano raggiungono l’81,5%, seguono Valle d’Aosta e Lombardia. Le percentuali più basse si riscontrano in Calabria 55,4%, in Sicilia e Campania circa il 60%. Questi numeri non tengono conto, però, del fatto che l’occupazione è diversa nelle varie regioni d’Italia e che, nel meridione è molto più alto il tasso di inattività e molto più basso quello di occupazione, soprattutto tra le donne, e il lavoro part-time è 3 volte maggiore tra le donne (Istat giugno 2022). Per cercare di venire incontro alle tante persone in difficoltà, il Governo è intervenuto con forme di aiuto economico pur non perdendo di vista il dovere di ognuno di cercare un posto di lavoro. Per questo sono state coinvolte figure professionali per aiutare nella ricerca di un lavoro. A tanti queste azioni sono sembrate un tentativo “tipicamente politico”, inefficace e costoso, con il quale si sia voluto calare dall’alto una, presunta, soluzione alla questione dell’orientamento al lavoro. Se da una parte Qualcuna di queste forme di aiuto si è dimostrata un manifesto di civiltà con cui l’Italia si è messa alla pari di altri Paesi che queste forme di “aiuto” le

adoperavano già da tempo, dall’altra ha rappresentato un problema, alzando le aspettative retributive da parte di chi cerca un lavoro. Le persone intervistate hanno attribuito a questo aspetto la mancanza di “mano d’opera” registrata nelle attività legate al turismo o alla raccolta agricola. Così si è spostata l’attenzione dalla disponibilità o indisponibilità di lavoro all’adeguatezza dei salari e condizioni di lavoro per questi mestieri. Come si sono manifestate fino ad ora queste forme di aiuto, si confondono facilmente con l’assistenzialismo che tiene viva la dipendenza di chi le riceve da chi le eroga. Chi ha studiato il“welfare state” di alcuni Paesi ha definito questi aiuti “la trappola della povertà”, poiché la spinta, lo stimolo, l’incoraggiamento, l’incentivo a vivere di queste forme di aiuti sono maggiori di quelle per la ricerca di lavoro. Tanti giovani si accontentano di queste forme di aiuti che, se non sufficienti, incrementano con forme di lavoro in nero. In questo modo non si risolve alcun problema e ad impoverirsi è solo la società che perde l’aiuto di giovani, e meno giovani, capaci di contribuire, attraverso il lavoro, al benessere collettivo; si produce meno ricchezza da destinare a chi, veramente, ne ha bisogno. Sussidio, bonus, ristoro eccetera eccetera eccetera, tutte misure giuste e necessarie in tempi di crisi, non possono sostituire una seria, concreta politica di sviluppo del lavoro. C’è da augurarsi che con l’aiuto significativo del Pnrr si riesca a cambiare strada ai vari tentativi, fallimentari, fatti fino ad ora e che non sia più necessario continuare a distribuire “aiuti”.

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180 MILIONI DI EURO CONTRO I 110 OFFERTI DA MEDIASET: POLEMICHE A VIALE MAZZINI E IN PARLAMENTO

I

MONDIALI DI CALCIO IN QATAR COSTANO CARO ALLA RAI

MARCO ZONETTI

Nell’aprile 2021, l’allora Presidente della Rai Marcello Foa parlava di “grande successo” riguardo all’acquisto da parte dell’azienda dei diritti esclusivi multipiattaforma di Qatar 2022, i Campionati mondiali di calcio che il servizio pubblico non trasmette in esclusiva dal lontano 2002 e che andranno in onda sulla tv pubblica a partire dal prossimo 20 novembre fino al 18 dicembre 2022.

La Rai si è aggiudicata le sessantaquattro partite in programma per la “modica” cifra di 180 milioni di euro, quando invece - secondo fonti di stampa - l’offerta di Mediaset si era fermata a 110 milioni. La Rai conserverà inoltre la facoltà di sub-licenziare i diritti ad altri broadcaster, dando modo ad Amazon di tornare in gioco. Di nuovo Amazon... tanto sponsorizzata proprio nei programmi della Rai, tanto da indurre il Segretario della Commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi a chiedere chiarezza al riguardo.

Per giunta, a conti fatti, si evince che la Rai abbia sborsato settanta milioni in più rispetto alla concorrenza... ma perché questa cifra? Non bastavano dieci milioni in più per batterla e aggiudicarsi lo stesso i diritti? Insomma, l’acquisto ha

lasciato perplessi molti a Viale Mazzini, visto che 180 milioni di euro sono un autentico macigno sul futuro dell’azienda già in rosso. Azienda sovvenzionata dal canone dei cittadini, ricordiamo.

“Chi ha trattato?” si domandano insistenti ai piani alti della Rai. E soprattutto, s’interroga chi di dovere, cosa dicono “gli uomini dei conti di Viale Mazzini che hanno tagliato i budget della fiction (autentica gallina dalle uova d’oro)” e, aggiungiamo noi, di reti e testate, di artisti e giornalisti?”. Quella che da Foa e dall’allora Ad Salini veniva sbandierata come un trionfo, per molti alla Rai è stata giudicata “l’ultima, devastante eredità” della loro contestatissima gestione. Per i Mondiali di calcio del 2018 disputati in Russia, fu Mediaset ad aggiudicarsi i diritti di trasmissione del campionato, per circa 78 milioni di euro a fronte dei 65 che aveva offerto invece Viale Mazzini. Un colpaccio per il gruppo controllato dalla famiglia Berlusconi, che con Mediaset España si era già assicurato nel dicembre 2017 l’esclusiva per trasmettere le partite del Mondiale 2018 nell’etere spagnolo, con i match più importanti trasmessi da Telecinco e quelli

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minori da rete Cuatro. Ottanta milioni di euro circa a fronte dei centottanta sborsati dalla Rai quest’anno. Non sorprende che vi sia sgomento da parte di molti. E anche la scelta del Paese ospite, dal canto suo, suscita polemiche. In primis per via delle condizioni disumane con cui si dice siano fatti lavorare gli operai impiegati nella massiccia opera di costruzione delle infrastrutture necessarie per lo svolgimento della World Cup. Il tutto con relative accuse di sfruttamento di lavoratori stranieri che avrebbero portato alla morte di migliaia di operai, secondo schiere di reporter di tutto il mondo, di ONG che si occupano di diritti umani ma anche d’importanti personalità del mondo della politica e dello spettacolo. Senza contare il divieto di protesta e di libertà d’espressione che vige nel Paese mediorientale, la repressione dei diritti LGBTQ+ e così via, tanto da gettare una livida luce sulla stessa FIFA, chiamata duramente in causa anche da Amnesty International.

Amnesty International ritiene infatti che la FIFA debba mettere a disposizione un importo di ben 440 milioni di dollari (somma che equivale al premio in denaro della Coppa del Mondo) per aiutare a risarcire i lavoratori migranti che

sono morti o hanno subito lesioni in Qatar. Per questo, nel maggio del 2022 Amnesty insieme a una coalizione di altre organizzazioni hanno lanciato una campagna per chiedere di avviare un programma complessivo di rimedi per le centinaia di migliaia di lavoratori vittima di abusi. Questa iniziativa ha ottenuto ampio sostegno da parte di numerose associazioni calcistiche, tra cui quella inglese, francese e tedesca e degli sponsor dei Mondiali. A poche settimane dall’inizio dei Mondiali, il Presidente FIFA Gianni Infantino ha infatti sollecitato le 32 nazioni finaliste a “concentrarsi sul pallone” e non sulle questioni relative ai diritti umani. Ma non è l’unico a cui i diritti fondamentali dei lavoratori non stanno particolarmente a cuore. Il ministro del Lavoro del Qatar, infatti, aveva liquidato la campagna di Amnesty International come “una trovata pubblicitaria”. Tornando però alla questione dei costi affrontati dalla Rai, come abbiamo anticipato sopra il Segretario della Commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi è intervenuto sull’argomento e ha chiesto delucidazioni a Viale Mazzini sull’utilizzo di risorse pubbliche auspicando chiarezza. “Va chiarito anche il rapporto con Amazon: emerge uno strano

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intreccio, tra pubblicità della piattaforma streaming nelle fasce orarie più pregiate e addirittura su RaiPlay (diretto concorrente Amazon), ospitate promozionali nelle principali trasmissioni Rai dei protagonisti delle nuove trasmissioni Amazon, ora anche l’alleanza a peso d’oro sui diritti per i Mondiali. Che c’è dietro? Il Cda chieda e faccia chiarezza”. E l’esclusione della nazionale italiana di calcio dai campionati che prenderanno il via in Qatar nel novembre 2022 non rappresenta soltanto una cocente delusione per i tifosi azzurri, ma potrebbe costituire una costosissima beffa per i teleutenti Rai obbligati a pagare il canone. Con il sogno dell’Italia ai Mondiali di calcio andato in fumo, resta sul groppone della Rai - e dei cittadini che pagano il canone - quell’investimento milionario relativo a sessantaquattro partite, riportando dunque in auge il piano B: ovvero quello di sub-licenziare il 50% delle partite (32) a una televisione pay. Non Mediaset, ovviamente, che è il principale competitor Rai, ma per l’appunto Amazon o in alternativa Sky. A un’interrogazione del Senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia, membro della Commissione di Vigilanza, interessato a conoscere nei dettagli costi e supposti ricavi derivati dall’acquisto dei diritti Tv di Qatar 2022, la Rai ha fatto notare che il torneo andrà in onda in autunno - e non come di consueto in estate, fuori del “periodo di garanzia” - e che pertanto i volumi dei ricavi pubblicitari attesi avrebbero consentito introiti molto elevati, capaci di superare i 2/3 dell’investimento sui diritti e costi connessi, anche grazie a un “programmato ampio sfruttamento editoriale dell’e-

vento” (alle partite si sarebbero aggiunte rubriche, speciali, approfondimenti ecc.). Tutte rosee e ambiziose previsioni che potrebbero essere di fatto divenute pie illusioni con l’esclusione dell’Italia dai Mondiali di calcio, e con “l’oro” dell’esclusiva Rai per le sessantaquattro partite trasformatosi in “vil metallo” nello spazio di una notte. Riprendendo poi piede l’ipotesi della Tv pubblica di sub-licenziare la metà degli incontri a una televisione Pay, anche il Segretario della Commissione di Vigilanza Anzaldi è tornato sull’argomento: “Se la Rai cedesse davvero una quota dei diritti dei Mondiali di calcio in Qatar ad Amazon sarebbe una beffa e un danno per gli italiani, che si troverebbero a pagare doppio per vedere le partite: canone Rai + abbonamento Amazon. È doverosa una riflessione attenta”. Non soltanto i tifosi di calcio sarebbero cornuti e mazziati, insomma, ma anche tutti i cittadini obbligati a pagare il canone. Perché quei 180 milioni di euro pagati per l’esclusiva di campionati di Calcio che hanno già perduto gran parte della loro attrattiva sono di fatto soldi nostri.

Ora si tratta di vedere se il riscontro televisivo dei mondiali di calcio in Qatar che partiranno il mese prossimo, senza l’Italia in gara, riusciranno a far rientrare la Rai dei costi esorbitanti ottenendo come vagheggia l’azienda introiti pubblicitari considerevoli o se, invece, saranno le “Cassandre” ad aver ragione e gli auspici della Tv pubblica s’infrangeranno contro gli scogli della dura realtà. Ne riparleremo, facendo i conti in tasca alla Rai, a campionati conclusi.

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La crisi energetica riporta a galla le trivelle nell’Adriatico

Si stima che nel sottosuolo italiano siano presenti circa 1,5-1,8 miliardi di barili di petrolio e 350 miliardi di metri cubi di gas naturale (valori che includono sia riserve già confermate che possibili).

Per quanto riguarda il gas, se teniamo in considerazione solo le riserve certe possiamo dire che l’Italia è seduta su un patrimonio tra i 70 e i 90 miliardi di metri cubi, conteso con la Croazia che invece estrae metano ed esporta a prezzi da capogiro in Europa. Più della quota di importazioni che l’anno scorso è arrivata da Mosca e che ora si è costretti a ridurre e ad azzerare in un paio di anni.

Il Governo corre ai ripari tentando di spingere la produzione nazionale di gas crollata nel 2021 ai livelli del 1954. Nell’emendamento al decreto Aiuti-ter l’esecutivo prevede due miliardi di metri cubi di gas destinati alle aziende ad alto consumo di metano. Se ne contano circa 150 in una lista già compilata da Confindustria recepita dal ministero per la Transizione ecologica. Gas distribuito, secondo un meccanismo di aste coordinato dal Gse, il gestore per i servizi energetici, a prezzi calmierati. In una forchetta tra i 50 e i 100 euro a megawattora, un valore più basso di quello attuale del Psv, circa 153 euro, parametro di riferimento per il mercato italiano.

L’estrazione di gas, a differenza di quanto dice la premier Giorgia Meloni che ha assicurato. «mettiamo così in sicurezza il tessuto produttivo e ci rendiamo più indipendenti dalle importazioni di gas», non è una pratica che si può avviare da un giorno con l’altro, come se ci fosse un interruttore e ci vorranno probabilmente diversi anni per aumentare in modo sensibile la produzione nazionale di metano.

Ma siamo sicuri che sia una soluzione sensata? Le stime del MISE riferite al 2021 parlano di 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale estratto, a fronte di un consumo complessivo di 76,1 miliardi di metri cubi (2021): per questo motivo la risorsa gas viene largamente importata dall’estero. Questi 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale sono estratti da 1298 pozzi estrattivi: di questi, 514 sono abitualmente utilizzati per l’estrazione mentre 752 sono attivi solo formalmente ma al momento non impiegati; la restante parte è composta da pozzi di controllo e manutenzione. E quindi quanto andranno ad influenzare la produzione di gas? Nelle migliori delle ipotesi potremmo raggiungere entro qualche anno una produzione annua attorno ai 10 miliardi di metri cubi. È tanto? È poco? Come abbiamo anticipato, il consumo annuale di metano nel nostro Paese è di circa 70 miliardi di metri cubi, quindi si passerebbe dall’attuale 5-6% di produzione interna al 14-15% circa. L’incremento non è trascurabile, certo, ma probabilmente non andrà a diminuire in maniera sostanziale il costo del metano al distributore.

Anche la scelta del luogo non sembra essere delle migliori: stiamo parlando di una porzione interdetta da 30 anni che corrisponde all’estremità più a sud, tra il 45° parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po. Dunque al largo di Rovigo dove già insiste il rigassificatore Adriatic Lng. A poca distanza dalla laguna di Venezia, area che però è stata esclusa per il rischio di abbassamento dei fondali, su cui pendono i maggiori interrogativi di impatto ambientale. Una scelta che modifica il piano regolatore che disciplina le estrazioni di idrocarburi in Italia riducendo la distanza dalla costa a 9 miglia dalle attuali 12.

Si torna a parlare di metano presente nel sottosuolo marino davanti alle coste italiane
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LEONARDO

il made in Italy che traina il Paese

Non solo moda e food, l’Italia è leader nel mondo nel settore aerospaziale della difesa e della sicurezza

L’Italia non è solo food e moda ma anche tecnologia avanzata rispetto a nuove forme di difesa e areospazio. Leader assoluto è Leonardo che concorre nel pil del Bel Paese. Difatti la società multinazionale aerospaziale della difesa e della sicurezza, ha registrato 11,7 miliardi di euro di nuovi ordini per i primi nove mesi del 2022: si tratta di un balzo del 26,8% rispetto ai 9,2 miliardi di euro registrati nello stesso periodo di un anno fa. L’aumento del volume dei nuovi ordini è stato attribuito al positivo andamento commerciale dei core business, in particolare nella divisione elicotteri dell’azienda. La società italiana ha registrato ricavi per 9,9 miliardi di euro, in crescita del 4% rispetto ai 9,5 miliardi di euro dell’anno precedente, trainata dall’andamento del business degli elicotteri nei settori militare e civile. Nel periodo gennaio-settembre l’utile prima di interessi, tasse e ammortamenti della società è salito del 2,7%: da 603 milioni di euro nel 2021 a 619 milioni di euro. in maniera predominante. Un dato che permesso a Leonardo di continuare ad avere credito presso la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) firmando un contratto di finanziamento per 260 milioni di euro. Il prestito “Sustainability-Linked” è finalizzato a promuovere le attività di Ricerca, Sviluppo e Innovazione (RSI) nel campo dell’elicotteristica, della sicurezza e elettronica per la difesa e spazio, nonché le attività di ricerca svolte dai Leonardo Labs contribuendo allo stesso tempo alla lotta ai cambiamenti climatici. Il prestito, che avrà una durata massima di 12 anni e un periodo di preammortamento fino a quattro anni, prevede un aggiustamento del margine in base al raggiungimento da parte di Leonardo di determinati indicatori (KPIs) legati agli obiettivi ESG. Alessandro Profumo, CEO di Leonardo, ha

commentato “Questo finanziamento permetterà a Leonardo di avere un contributo importante per gli investimenti ad alto contenuto tecnologico nell’elicotteristica, nella sicurezza, nelle infrastrutture informatiche, nell’elettronica commerciale, nello spazio e nei Leonardo Labs, per lo sviluppo di nuove tecnologie all’avanguardia.” “È il primo finanziamento nel settore dell’A&D in cui uno dei target ESG selezionati è legato alla tecnologia, in particolare l’aumento della potenza di calcolo pro capite di Leonardo, come abilitatore chiave e booster nella nostra ricerca, simulazione numerica, big data analytics e intelligenza artificiale. L’altro KPI è la riduzione delle emissioni di CO2 – conclude Alessandro Profumo – a conferma dell’impegno di Leonardo nel contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici”. Il finanziamento consentirà a Leonardo di avere accesso ad uno strumento di finanziamento a lungo termine a condizioni più favorevoli di quelle offerte sia sul mercato bancario che su quello obbligazionario oltre a una flessibilità nei tempi di tiraggio del finanziamento che potrà avvenire entro i prossimi 15 mesi. Si tratta della quarta operazione realizzata tra BEI e Leonardo; la prima, interamente rimborsata, del valore di 500 milioni di euro, risalente al 2009, è stata finalizzata allo sviluppo e alla produzione di componenti aeronautici tecnologicamente innovativi; la seconda, del valore di 300 milioni di euro risalente al 2018 e la terza, per ulteriori 200 milioni di euro conclusa nel 2020, miravano invece a sostenere progetti di investimento in quattro aree specifiche di intervento relative allo sviluppo di prodotti ad alto contenuto tecnologico nel settore elicotteristico, Cyber security, Advance manufacturing (Industry 4.0) ed Investimenti in zone di coesione.

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dando avanti alle prossime sfide che ci attendono in questa fase di ripresa verso obiettivi di sviluppo sostenibile». La prima sfida per il Forum è dare il proprio contributo –in termini di divulgazione, formazione e ricerca – al raggiungimento degli obiettivi climatici e alla realizzazione di una transizione ecologica giusta e inclusiva. Di pari passo, l’associazione punta ad accompagnare lo sviluppo della finanza sostenibile, promuovendo il riorientamento degli investimenti verso obiettivi di sostenibilità e una sempre più profonda integrazione dei fattori ambientali, sociali e di buona governance nelle politiche aziendali. Il Forum si

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anni con gli sviluppi della normativa a livello europeo e con la progressiva integrazione dei fattori ambientali, sociali e di buona governance da parte degli operatori finanziari e delle aziende – ha dichiarato il segretario generale del Forum Francesco Bicciato – Spesso il Forum ha avuto con soddisfazione il ruolo di indicare la strada e anticipare tendenze ed evoluzioni del mercato Sri. Con entusiasmo raccogliamo le sfide del futuro: la trasparenza, la ricerca, la divulgazione, il contributo per una transizione giusta e la promozione del dialogo costruttivo con le istituzioni e gli attori economici pubblici e privati».

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Il turismo in Abruzzo arriva sugli sci

Nel Parco nazionale della Maiella nell’Appennino centrale abruzzese in piena crisi climatica si punta solo sullo sci con 23,7 milioni di euro di fondi pubblici per un grande impianto di risalita a 1550 metri di quota e l’innevamento artificiale. In quest’area sono già presenti alcuni impianti, divisi in due sub-aree quella della Maielletta e quella di Passolanciano, non collegate tra di loro per alcune centinaia di metri. Hanno anche due diversi gestori. Il progetto per collegare le due stazioni fu finanziato nell’ambito del Masterplan per le regioni del sud e la regione Abruzzo decise di affidarne la progettazione all’ARAP, l’Azienda Regionale per le Aree Produttive, che finora non si è mai occupata di impianti di risalita e sviluppo turistico. L’azienda in questi giorni ha depositato i primi documenti per l’analisi ambientale ed economica del progetto. Nessun investimento viene destinato a riorientare l’offerta turistica e organizzare adeguatamente i servizi per destagionalizzarli, nonostante l’esistenza del Parco nazionale della Maiella e il turismo naturalistico estivo stia esplodendo in maniera praticamente anarcoide, con tanto di incidenti e lutti. In realtà la scheda originaria del Masterplan prevedeva assieme a seggiovia e innevamento artificiale anche investimenti su sentieri, bivacchi ecc., organizzazione dello ski-pass unico e ristrutturazione di un edificio, cioè i servizi, per un totale di 20,7 milioni di euro. Ora l’ARAP concentra tutti i denari sulle infrastrutture pesanti e cioè non tanto su un semplice e poco costoso impianto di collegamento ma su un impianto più grande di arroccamento dallo stazzo di Roccamorice nel versante pescarese del costo di 11,46 milioni di euro, su un impianto di innevamento artificiale da 6,7 milioni di euro e su tre parcheggi, a Roccamorice (2,2 milioni di euro), Lettomanoppello (2,6 milioni) e Pretoro (0,8 milioni) per un totale appunto di 23,7 milioni. Per il nuovo impianto di risalita ARAP calcola in 901.810 euro annui i soli costi di gestione, tra l’altro considerando un prezzo dell’energia elettrica assolutamente fantasioso, 0,15 euro Kwh quando oggi è a 0,5 euro. Tenendo conto dei costi aggiornati la gestione peserebbe per oltre 1,1 milioni di euro l’anno, senza contare il sistema di innevamento artificiale che è estrema-

mente energivoro. Attualmente non vi è alcun soggetto privato disponibile a sobbarcarsi tali oneri, visto che un primo tentativo di ARAP di orientarsi verso un project-financing è andato a vuoto per cui si rischia di costruire una cattedrale nel deserto. Diverse associazioni ambientaliste recentemente hanno fatto notare che un conto è razionalizzare l’esistente, fermo restando i dubbi sullo spendere comunque milioni di euro in piena emergenza climatica, altro è incidere su aree oggi intatte. Le praterie e i boschi che verrebbero interessati dal nuovo impianto e dalle nuove tre piste ospitano infatti diverse specie d’interesse comunitario. Preoccupano anche i drenaggi superficiali in progetto per incanalare l’acqua verso i serbatoi nonché l’invaso per l’innevamento artificiale. Anche qui costi importanti per ben 6,7 milioni di euro per modificare il ciclo dell’acqua addirittura in un’area protetta. Nel frattempo a pochi chilometri la città di Chieti è in piena crisi idrica per le reti colabrodo a cui mancano investimenti da quasi 100 anni.In Abruzzo è in atto un vero e proprio revival del cosiddetto carosello sciistico. Oltre ai 23,7 milioni di euro per la Maielletta sono previsti altri 12 milioni di euro a Monte Piselli nel versante teramano del Parco nazionale del Gran Sasso, 20 milioni di euro per una nuova strada per collegare la stazione di Prati di Tivo, dove peraltro gli impianti sono aperti a singhiozzo da anni, e 10 milioni per gli impianti a Ovindoli nel Parco regionale del Sirente-Velino. All’orizzonte, poi ,si profila anche un braccio di ferro con la Commissione europea visto che pochi giorni fa il presidente della Regione Marsilio ha annunciato di voler chiedere una riperimetrazione con riduzione dell’estensione dei siti Natura2000 del Parco del Gran Sasso a Campo Imperatore, probabilmente per favorire l’ulteriore ampliamento degli impianti. Si continua quindi a puntare sulle infrastrutture pesanti in ambienti delicati e tutelati. In questo senso sta fallendo la strategia avviata a metà degli anni ‘90 del secolo scorso per puntare su un turismo naturalistico, strategia sostanzialmente rimasta sulla carta anche in considerazione della scarsità di investimenti sia strutturali che in know-how nonostante sia una delle forme di turismo a più forte crescita nel mondo.

SuperBonus 110%

Responsabilità solidale nelle cessioni di crediti d’imposta originati da superbonus 110%

In tema di superbonus 110% le forme di responsabilità delle imprese fornitrici (di solito general contractors che maturano il credito d’imposta per poi cederlo) e dei loro cessionari del predetto credito (di solito operatori finanziari) sono disciplinate dai commi 4 e 6 dell’articolo 121 del decreto Rilancio n. 34/2020 come convertito dalla legge 77/2020. Nella versione dei citati commi antecedente alla conversione in legge del decreto Aiuti-bis, il D.L. 115 del 9 agosto 2022, i fornitori e i cessionari erano responsabili: − per utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto all’importo acquistato (articolo 121, comma 4); si può porre come esempio il caso del cessionario che, dovendo utilizzare il credito con le stesse modalità con le quali sarebbe stato utilizzato dal soggetto cedente (in 4 o 5 rate), utilizzi in compensazione il predetto credito con modalità diverse (ad esempio in 3 rate), oppure il caso in cui l’importo del credito utilizzato in compensazione sia maggiore di quello realmente spettante; − in caso di concorso nella violazione; in tale ipotesi, oltre all’applicazione dell’articolo 9, 1° co, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (disciplina delle sanzioni tributarie in caso di concorso), sussisteva la responsabilità in solido dell’appaltatore che ha applicato lo sconto e dei cessionari per il pagamento dell’importo di cui al comma 5 e dei relativi interessi» (articolo 121, comma 6). In base ai principi generali in materia di sanzioni tributarie ex art. 5 del D.Lgs. n. 472 del 1997, detta responsabilità operava sempre indifferentemente in caso sia di dolo che di colpa (non distinguendo tra colpa lieve e colpa grave) ed era esclusa solo nelle ipotesi di assenza di colpa e quindi di errore incolpevole; infatti, ai sensi dell’articolo 5, quello sulla colpevolezza, nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.

Di recente, in sede di conversione del decreto Aiuti-bis, è stato modificato il comma 6 del citato articolo 121 e l’ipotesi di concorso in violazione del fornitore e dei cessionari è stata limitata

ai soli casi di dolo o colpa grave, a condizione che, per i crediti originati dall’esercizio di una delle opzioni di cui all’articolo 121, comma 1, lettere a) e b), del decreto Rilancio, siano stati acquisiti, nel rispetto delle previsioni di legge, i visti di conformità, le asseverazioni e le attestazioni di cui all’articolo 119 e di cui all’articolo 121 comma 1-ter (Art. 14, co. 1 bis del decreto Aiuti). Pertanto, a seguito di tale modifica, affinché l’appaltatore o il cessionario che utilizza in compensazione il credito d’imposta possa considerarsi responsabile in solido con il beneficiario della detrazione in ipotesi di carenza dei presupposti costitutivi, lo stesso, nel rispetto delle altre condizioni recate dalla novella normativa, deve aver operato con dolo o colpa grave, risultando, al contrario, irrilevante l’ipotesi di colpa lieve. Al fine di meglio inquadrare la portata della modifica normativa intervenuta è necessario soffermarsi per sommi capi: 1 sull’elemento soggettivo dell’illecito tributario (dolo o colpa); 2 sul concorso nella violazione.

1) Quanto al primo punto, per la corretta individuazione delle nozioni di dolo e colpa grave, occorre avvalersi del D.Lgs. n. 472 del 1997, che reca disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie e nel quale si precisa che:

- si considera dolosa, ai sensi del richiamato articolo 5, comma 4, del citato D.Lgs. n. 472 del 1997, la violazione attuata con l’intento di pregiudicare la determinazione dell’imponibile o dell’imposta ovvero diretta ad ostacolare l’attività amministrativa di accertamento. Ciò che rileva è la volontà dell’autore della violazione consapevolmente diretta all’evasione, cosicché non è mai possibile considerare doloso quel comportamento che, pur violando la legge tributaria, non persegua intenzionalmente tale obiettivo;

- la colpa grave, ai sensi del citato articolo 5, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997, sussiste quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari. Essa, pertanto,

Avvocato
A cura di Dario Gucci
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ha tra i suoi elementi essenziali tanto l’imperizia o negligenza indiscutibili quanto, sotto il profilo del possibile errore di diritto, l’impossibilità di dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata. In questi casi le condotte sono caratterizzate da violazioni palesi sia sul piano fattuale che sul piano dell’interpretazione della norma, tali da comportare l’evidente e macroscopica inosservanza di obblighi tributari. In ogni caso va distinto il grado della colpa, parametrato alla condotta (o inerzia) dell’autore ed alla possibilità di esigere dal medesimo – anche in ragione del suo profilo professionale – uno specifico comportamento; così, ad esempio, la diligenza richiesta ai fini della individuazione della colpa sarà valutata anche tenendo conto dell’attività professionale o d’impresa svolta dal cessionario, richiedendosi un livello di diligenza particolarmente qualificato, ad esempio, nei casi in cui il soggetto sia tenuto al rispetto di specifiche normative regolamentari e soggetto alle indicazioni di un’Autorità di vigilanza.

2) Per quanto riguarda il concorso nella violazione in materia tributaria, l’articolo 9 del d.lgs. n. 472 del 1997 stabilisce il principio, che quando più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta. Tuttavia, quando la violazione consiste nell’omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso.

Il successivo articolo 10 individua invece la figura dell’autore “mediato” e disciplina le ipotesi di non colpevolezza dell’autore materiale, stabilendo che salva l’applicazione dell’articolo 9 chi, con violenza o minaccia o inducendo altri in errore incolpevole ovvero avvalendosi di persona incapace, anche in via transitoria, di intendere e di volere, determina la commissione di una violazione ne risponde in luogo del suo autore materiale. In linea generale, dunque, al soggetto che ha concorso in una violazione è irrogata la sanzione prevista per la medesima violazione, a meno che l’errore non sia incolpevole. Le violazioni amministrative di norme tributarie – come stabilito dal predetto art. 5 del D.Lgs. n. 472 del 1997, che definisce, in termini generali, l’elemento soggettivo rilevante ai fini dell’irrogazione delle sanzioni tributarie – sono, infatti, punibili in caso di dolo o colpa e la sussistenza di tali elementi soggettivi rileva anche con riferimento ai soggetti che hanno concorso all’illecito tributario. Ciò premesso, con particolare riferimento al concorso dell’appaltatore o del cessionario di cui all’articolo 121, comma 6, con le recenti modifiche introdotte in sede di conversione del decreto Aiuti-bis, la responsabilità solidale, nel rispetto delle condizioni previste dalla norma è limitata alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.

Giova descrivere per una migliore comprensione alcune ipotesi esemplificative e non esaustive in cui sussistono il dolo e la colpa grave, come indicate dalla stessa Agenzia delle Entrate nella recente Circolare n. 33/2022:

il dolo ricorre quando il cessionario è consapevole dell’inesi-

stenza del credito, come ad esempio nel caso in cui quest’ultimo abbia preventivamente concordato con l’asserito beneficiario originario le modalità di generazione e fruizione dello stesso ovvero qualora il carattere fittizio del credito sia manifestamente evidente ad un primo esame, da chiunque condotto, e ciononostante il cessionario proceda comunque all’acquisizione e alla successiva compensazione dello stesso nel modello F24, traendo così l’indebito beneficio fiscale scaturito dal credito inesistente;

− la colpa grave ricorre quando il cessionario abbia omesso, in termini “macroscopici”, la diligenza richiesta, come, ad esempio, nel caso in cui l’acquisto dei crediti sia stato eseguito in assenza di documentazione richiesta a supporto degli stessi o in presenza di una palese contraddittorietà della documentazione prodotta dal cedente riscontrabile ictu oculi (ad esempio, nel caso in cui l’asseverazione si riferisca a un immobile diverso da quello oggetto degli interventi agevolati).

Al fine di limitare la responsabilità in solido del cessionario alle sole ipotesi di dolo o colpa grave – con riferimento ai crediti d’imposta di cui all’articolo 121 del decreto Rilancio sorti prima dell’introduzione degli obblighi di acquisizione dei visti di conformità, delle asseverazioni e delle attestazioni di cui al comma 1- ter del medesimo articolo 121 – ai sensi del comma 1-bis del richiamato articolo 14 del decreto Aiuti, il cedente, “a condizione che sia un soggetto diverso da banche e intermediari finanziari, da società appartenenti a un gruppo bancario ovvero da imprese di assicurazione, e che coincida con il fornitore, acquisisce, ora per allora, … la documentazione di cui al citato comma 1-ter dell’articolo 121 del decreto Rilancio.”

In sintesi, la limitazione della responsabilità suddetta opera, a condizione che, nel rispetto delle previsioni di legge, siano stati acquisiti il visto di conformità, le attestazioni e le asseverazioni prescritte:

- ab origine, per i crediti d’imposta sorti ai sensi dell’articolo 119 del decreto Rilancio (Superbonus), per i quali è sempre stata obbligatoria l’acquisizione della predetta documentazione per l’esercizio delle opzioni dello sconto in fattura e della cessione; - dall’introduzione dell’obbligo di visto di conformità, attestazioni e asseverazioni previsto dal comma 1-ter dell’articolo 121 del decreto Rilancio (in vigore dal 12 novembre 2021), per i crediti d’imposta relativi agli altri bonus edilizi.

Si precisa in ultimo, come già chiarito con la circolare del 23 giugno 2022, n. 23/E al paragrafo 6.1 che la limitazione della responsabilità solidale in caso di concorso in violazione per i fornitori opera anche per il general contractor che effettua lo sconto in fattura ai sensi dell’articolo 121 del decreto Rilancio. Alla luce di quanto sopra si può in conclusione sostenere che i tempi sono ormai maturi per una sana e sicura circolazione dei crediti d’imposta derivati da bonus edilizi essendo ormai netto il confine della responsabilità dell’acquirente del credito e molto chiari e limitati i casi in cui realmente egli sia chiamato a rispondere.

communication

Gap digitale in azienda, come superarlo

La tecnologia ha assunto oggi un ruolo fondamentale non solo nella vita di tutti i giorni dei cittadini, ma anche e soprattutto nel sistema produttivo ed economico. Esiste un gap evidente fra le organizzazioni che riescono ad accedere ai processi e alle tecnologie abilitanti la digital transformation e quelle che non riescono: è il digital divide in azienda. Questo non fa che accrescere il divario interno alle organizzazioni e, conseguentemente, la loro capacità di accedere alle nuove tecnologie e di implementarle e utilizzarle efficacemente nei processi di business. Il risultato è un gap sempre più ampio fra le aziende che sono state in grado di seguire l’evoluzione tecnologica e quelle che sono rimaste indietro. Le cause, ovviamente, non sono solo umane. Oltre all’oggettiva incapacità per mancanza di skill tecniche o per iniziale scetticismo, per molte aziende pesa molto l’impossibilità economica di attivare determinati percorsi di trasformazione. Il digital divide non riguarda solo l’accesso alla tecnologia, ma anche l’accesso al capitale e alle competenze. Ad accrescere le difficoltà contribuisce la dinamica del mercato italiano, che vede tipicamente le Corporate spesso approvvigionarsi di servizi e soluzioni provenienti da aziende di medie e piccole dimensioni, che vengono così inserite nella value chain. Tuttavia, dal momento che le corporate possono affrontare la digital transformation con i mezzi che questa richiede, mentre le PMI non sempre ci riescono, ecco che la catena del valore si spezza. In Italia, ad esempio, ci

sono differenze significative tra piccole e grandi imprese per quanto riguarda la digitalizzazione e tra Nord e Sud. In un panorama di globalizzazione accelerato, solo i gruppi industriali internazionali o multinazionali sono culturalmente e operativamente più distanti da dinamiche conservative. Ecco allora che le aziende più piccole rischiano di soccombere, con enormi e catastrofiche conseguenze sull’economia interna e sul tessuto sociale.

Puntare sull’innovazione tecnologica non significa solo aumentare la competitività di un’azienda sul mercato, ma anche sapersi dotare di strumenti e di saperli sfruttare.

Il personale è pertanto chiamato a imparare a conoscere e utilizzare i nuovi strumenti. I giovani, in tal senso, posseggono nativamente delle adeguate competenze digitali e sono pertanto dei facilitatori e acceleratori d’innovazione nel contesto

aziendale.

Le aziende, quindi, devono obbligatoriamente ridurre il digitale che divide a partire dai propri collaboratori; non si tratta di operazioni di ricambio della workforce bensì di azioni mirate, volte all’innesto di giovani risorse in dipartimenti strategici per la trasformazione digitale, dove il cambiamento può essere progettato, programmato, governato e promosso all’interno dell’organizzazione. Un percorso di integrazione fra personale esistente e nuove figure, avviando un processo di contaminazione tra livelli organizzativi e tra generazioni.

Affrontare e risolvere il problema deve essere un impegno imperativo per le aziende, se vogliono sopravvivere e prosperare; esistono soluzioni, strumenti, processi e professionisti in grado di facilitare e governare la trasformazione digitale in azienda, a cominciare dal digital divide in azienda.

Digital
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parere legale

Partite Iva: Occhio alle trappole del regime forfettario

Sebbene non sia ancora stata approvata in via definitiva, la nuova Legge di Bilancio 2023 sta facendo tirare un sospiro di sollievo ai tanti forfettari che si trovano nell’indecisione tra il restare nel regime agevolato oppure passare a quello ordinario. Nel testo circolato fino a ora, infatti, è contenuta la conferma della Flat Tax al 15% per gli autonomi, già esistente, ma con un’aggiustatura: la soglia di ricavi o compensi che permettono il forfait sale da 65 mila a 85 mila euro. Considerato che oggi tre partite iva su cinque sono forfettarie, l’innalzamento del tetto del fatturato a 85mila euro potrebbe risolvere il dilemma a quasi un milione di italiani. Per coloro che erano stati costretti a passare al regime ordinario negli anni scorsi, con questo innalzamento della soglia si profila dunque la possibilità di rientrare in quello forfettario. Un’opzione allettante ma che nasconde alcuni rischi, non sempre così evidenti, che è necessario valutare. La normativa impone infatti di effettuare opportune rettifiche a sfavore di tutti quei beni e servizi non ancora ceduti o non ancora utilizzati al 31/12/2022 se dal 1 Gennaio 2023 si vuole aderire al regime forfettario, regime nel quale l’iva diventa del tutto indetraibile. In altre parole, la rettifica iva deve essere eseguita sui beni strumentali non del tutto ammortizzati al 31/12/2022, rimanenze di magazzino e servizi non ancora utilizzati. Rispetto ai beni ammortizzabili (macchinari ed attrezzature per esempio) la rettifica va eseguita soltanto se non sono trascorsi i 4 anni successivi a quelli della loro entrata in funzione. Ai fini della rettifica però, non si tiene

conto di quei beni che hanno avuto un costo inferiore a € 516,46 e che vengono ammortizzati solitamente in un anno.

In altre parole se ricevessimo una fattura da Google per 1000 euro, il giorno 16 del mese successivo dovremmo versare in Italia 220 euro di iva su tale servizio ricevuto.

Le nuove regole, che partiranno dal 1 gennaio 2023, prevedono un’altra novità significativa: il limite di “sforamento” a 100mila euro. In pratica, chi sceglie il regime forfettario al 15% lo vedrà applicato fino agli 85 mila euro, ma se supererà i 100 mila euro, sarà immediatamente ricollocato nel regime ordinario, già in corso d’anno.

Il regime forfettario consiste nell’applicazione di un’aliquota di tassazione fissa su ricavi e compensi: al 5% per le start up e al 15% per le altre partite Iva. Per calcolare quante tasse si pagano, bisogna moltiplicare l’importo fatturato per l’aliquota fiscale del 5% o 15% e successivamente moltiplicare per il coefficiente di redditività.

Se nel 2023 si prevede di fatturare meno di 85mila euro, il forfettario dovrebbe essere la prima scelta.

Alcune condizioni da valutare per scegliere questa strada sono: Prima esperienza da lavoratore autonomo per cui in forfettario i costi per consulenza e per adempimenti burocratici sono minimi e si riduce dunque il rischio; Assenza di costi inerenti il business o assoluta marginalità degli stessi; Bassa incidenza degli acquisti di servizi dall’estero sui quali diventa obbligatorio il versamento dell’iva in Italia su tutte le

fatture ricevute con il meccanismo del reverse charge.

Se invece ci si trova in queste condizioni, si può valutare di restare o passare al regime ordinario:

1) Elevata incidenza di costi fissi nel proprio modello di business che in regime forfettario sarebbero completamente indeducibili; 2) Assunzione di personale dipendente che per un datore di lavoro in forfettario rappresentano un motivo di fuoriuscita dal regime agevolato se i costi superassero i 20 mila euro annui;

3) Risicati margini unitari di guadagno sul venduto, ad esempio per i commercianti che non potendo scaricare i costi sulle merci acquistate, si vedrebbero penalizzati da una tassazione che impatta soltanto sui ricavi lordi e non sugli utili.

4) Se si prevede già di sforare gli 85 mila euro di fatturato, con il nuovo meccanismo di perdita del regime agevolato in corso d’anno, potrebbe essere utile partire fin da subito con il regime ordinario;

5) Se si intende fare business con altre persone e costituire una società, il forfettario non sarebbe applicabile.

Va tenuto presente presente che dalla tua parte hai alcuni strumenti e agevolazioni dei quali non potresti usufruire in regime forfettario, come per esempio la possibilità di beneficare in dichiarazione dei redditi di tutti i più comuni oneri deducibili e detraibili tra cui spese mediche, familiari a carico, oneri per ristrutturazione edilizia e risparmio energetico, ecc.

Fonte: Comunicato Stampa: Alkèmia Media Training & Media Consulting

economia a 360°

PNRR 2023 - Le imprese verso la trasformazione

digitale: su 830 imprese di tutta Italia il 57,84% ritiene necessario attrezzarsi nel campo del digital

Il 57,84% delle imprese italiane ha giudicato non ancora sufficiente il lavoro compiuto nel campo del ‘digital’, indicando come una priorità assoluta lo sviluppo delle componenti digitali dell’azienda. Il 48,20% del campione considera inoltre di primaria importanza l’approfondimento dei principi del digital marketing.

Sono questi alcuni dei dati che emergono dallo studio promosso da Stefano Turchi, imprenditore esperto in digitale, e da Fabio Centurioni, Ceo di Contributi Regione, il portale di Finanza Agevolata più conosciuto sul web da oltre 10 anni.

in diverse Regioni della Penisola. Il sondaggio, su un campione di 830 imprese e microimprese, mirava a verificare lo stato dell’arte della digitalizzazione aziendale nel nostro Paese in correlazione agli obiettivi e le opportunità del PNRR.

Al sondaggio hanno preso parte aziende che operano in svariati settori: dall’artigianato alla vendita al dettaglio, dalla consulenza tecnica alla ristorazione, dal benessere all’industria passando per l’ambito medico, legale/finanziario, alimentare farmaceutico. Di PNRR e di trasformazione digitale delle imprese italiane si parlerà nel Convegno (online e a porte chiuse) organizzato, in occasione del 24 Novembre, da Stefano Turchi e Fabio Centurioni. L’invito a partecipare al Convegno è stato riservato alle 79mila aziende che hanno manifestato interesse nel corso del 2022 in merito alla digitalizzazione e residenti nelle Regioni Abruzzo, Lazio, Lombardia, Toscana, Sicilia, Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Calabria e Campania, dove sono in partenza ad inizio 2023 i nuovi bandi del PNRR.

Tra i temi centrali dell’incontro ci sarà proprio il PNRR e le enormi opportunità che esso riserva all’Italia e al suo tessuto economico e imprenditoriale, con investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori; e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale.

Tutto questo presuppone però che le aziende italiane siano predisposte a recepire le novità legate al PNRR, in particolar modo per quanto riguarda il processo di trasformazione digitale.

Qual è il grado di preparazione delle aziende italiane rispetto al processo di trasformazione digitale indicato come uno degli obiettivi fondamentali del PNRR? Gli imprenditori italiani hanno gli strumenti e le competenze per poter impiegare le risorse economiche che l’Europa, nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha destinato all’Italia?

“La crisi legata all’emergenza Covid ha accelerato il processo di digitalizzazione delle aziende italiane” spiega Stefano Turchi, Ceo di Unique Web Studio di Mariano Comense (in provincia di Como), uno studio di digital marketing specializzato nell’analisi di fattibilità, test di mercato e sistemi di acquisizione, vendita e fidelizzazione dei clienti online. “Molti imprenditori, nel nostro Paese, sono ancora però indietro per quanto riguarda il raggiungimento di un pieno livello di consapevolezza digitale, e ciò potrebbe in qualche modo rallentare od ostacolare la possibilità di beneficiare ed intercettare le importanti risorse connesse al PNRR”.

Fonte: Ufficio Stampa UNIQUE Web

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